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Italo e Paola Mannucci, telefono e fax 02 4151880, [email protected] Mario e Santina Viscovi, telefono e fax 02 4151596, [email protected] te di informazione r gli amici del sesto piano 2011 SU QUESTO NUMERO San Josemaría in terra lombarda La meglio gioventù EDITORIALE Sei cristiano? Sarai esposto a incomprensioni, pre- venzioni, gelosie, mormorazioni: diffusione a macchia d’olio del malanimo. Niente di nuovo, l’allievo non è più del maestro. La seconda persona della santissima Trinità ha subito le stesse umiliazioni e così i suoi se- guaci. San Paolo si era dato tutto a tutti e alla fine gli hanno tagliato la testa; e la sua umiliazione continua dopo 2000 anni nei “gentili” convertiti. La sua terra, infatti, è completamente islamizzata e il capo del Go- verno della Turchia fa il giro dei Paesi arabi del nord Africa appena emancipati per insegnare «la laicità dello Stato e la sua imparzialità di fronte a tutte le forme di fede religiosa». Una beffa e una ulteriore umiliazione per coloro che vivono in quella nazione o la visitano. Perché fino ad oggi in quel grande Paese ogni persona ha sì il diritto di credere alla propria religione, ma guai a permettersi di praticarla pubblicamente, a meno che non sia quella islamica. Quanto è distante il nostro modo di concepire il suc- cesso da quello che usa Dio-Amore con ciascuno di noi: quello che Egli ama lo benedice con la croce. Ma l’ac- corgersi di venire umiliati e l’accettarlo per Cristo è già di per sé una grazia, per la quale è giusto essere rico- noscenti, con buona pace e in allegria. Benedire chi ti maltratta è amare di più: come una mamma che ha un affetto particolare per il figlio malato. Mario Viscovi Ci ritroviamo dopo la lunga pausa estiva. Qualcuno si è semplicemente riposato o ha visitato luo- ghi interessanti, altri hanno potuto finalmente leggere quel grosso libro che da mesi giaceva sul comodino, altri ancora hanno riempito le giornate lavorando sodo alla manutenzione della casa e del giardino: comunque un cambiamento necessario e rigenerante. Ma poi è veramente un piacere riprendere contatto con gli amici e con la vita di sempre. È vero, ritroviamo anche preoccupazioni e problemi, forse più impegnativi: noi cercheremo di proporvi an- cora non certo ricette impossibili ma qualche incorag- giamento, qualche motivo di riflessione, qualche approfondimento fuori dai sentieri battuti. È sempre più necessario saper scoprire nel nostro cam- mino, nel lavoro, nelle speranze liete ma anche nel no- stro invecchiare e nelle difficoltà di ogni giorno, la sicurezza e la consolazione di sentirsi figli amati di Dio. Italo Maria Mannucci a tutto sesto 20 A TUTTO SESTO

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Italo e Paola Mannucci, telefono e fax 02 4151880, [email protected] e Santina Viscovi, telefono e fax 02 4151596, [email protected]

te di informazioner gli amici del sesto piano

2011

SU QUESTO NUMERO

San Josemaría in terra lombarda

La meglio gioventù

EDITORIALE

Sei cristiano? Sarai esposto a incomprensioni, pre-venzioni, gelosie, mormorazioni: diffusione a macchiad’olio del malanimo. Niente di nuovo, l’allievo non èpiù del maestro. La seconda persona della santissimaTrinità ha subito le stesse umiliazioni e così i suoi se-guaci. San Paolo si era dato tutto a tutti e alla fine glihanno tagliato la testa; e la sua umiliazione continuadopo 2000 anni nei “gentili” convertiti. La sua terra,infatti, è completamente islamizzata e il capo del Go-verno della Turchia fa il giro dei Paesi arabi del nordAfrica appena emancipati per insegnare «la laicità delloStato e la sua imparzialità di fronte a tutte le forme difede religiosa».

Una beffa e una ulteriore umiliazione per coloro chevivono in quella nazione o la visitano. Perché fino adoggi in quel grande Paese ogni persona ha sì il dirittodi credere alla propria religione, ma guai a permettersidi praticarla pubblicamente, a meno che non sia quellaislamica.

Quanto è distante il nostro modo di concepire il suc-cesso da quello che usa Dio-Amore con ciascuno di noi:quello che Egli ama lo benedice con la croce. Ma l’ac-corgersi di venire umiliati e l’accettarlo per Cristo è giàdi per sé una grazia, per la quale è giusto essere rico-noscenti, con buona pace e in allegria. Benedire chi timaltratta è amare di più: come una mamma che ha unaffetto particolare per il figlio malato.

Mario Viscovi

Ci ritroviamo dopo la lunga pausa estiva. Qualcuno si è semplicemente riposato o ha visitato luo-ghi interessanti, altri hanno potuto finalmente leggerequel grosso libro che da mesi giaceva sul comodino, altriancora hanno riempito le giornate lavorando sodo allamanutenzione della casa e del giardino: comunque uncambiamento necessario e rigenerante.Ma poi è veramente un piacere riprendere contatto congli amici e con la vita di sempre. È vero, ritroviamo anche preoccupazioni e problemi,forse più impegnativi: noi cercheremo di proporvi an-cora non certo ricette impossibili ma qualche incorag-giamento, qualche motivo di riflessione, qualcheapprofondimento fuori dai sentieri battuti. È sempre più necessario saper scoprire nel nostro cam-mino, nel lavoro, nelle speranze liete ma anche nel no-stro invecchiare e nelle difficoltà di ogni giorno, lasicurezza e la consolazione di sentirsi figli amati di Dio.

Italo Maria Mannucci

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Donare tempo è l’unica forma di amore reale Nel maggio 2010 Alessandro D’Avenia ci aveva presentato il suo libro Bianca come il latte, rossacome il sangue (Mondadori editore) che continua ad avere un grandissimo successo soprattuttotra i giovani. Di questo prof straordinario vi proponiamo ora un articolo che è per tutti, educatorie genitori, una lezione di amore.

Per parlare dei ragazzi bisogna guardarli e ascoltarli.Non in televisione, ma in carne e ossa. Da quando in-segno ho sempre avvertito una certa distanza tra i ra-gazzi che incontravo in classe e quelli raccontati daimedia. Il ragazzo che emerge dai media non è reale:come il marziano che cercando di decodificare i se-gnali usati dagli uomini senza conoscerli pensa cheil semaforo rosso obblighi a fermarsi e mettersi le ditanel naso. La distanza tra realtà e rappresentazione halentamente scavato dentro di me il desiderio di raccon-tare il volto dei giovani che le telecamere non inqua-drano. I ragazzi mi sembravano molto migliori di comece li raccontano, ma non volevo cadere nell’errore op-posto: una rappresentazione ideologica nell’altro senso.

Posso essere felice?Negli anni precedenti all’uscita del mio libro sono an-dato in giro per molte città italiane per conoscere realtàscolastiche diverse grazie all’esperienza di professore ea quella di esperto di educazione e media, punto di os-servazione privilegiato per cogliere i bisogni di questagenerazione. Dopo l’uscita del libro la mia possibilitàdi incontrare ragazzi di scuole e città diverse si è mol-tiplicata aldilà di ogni mia più rosea aspettativa, ed èstato uno dei doni più interessanti del libro. Sono statoin decine di scuole di tutto il Paese e ho incontrato mi-gliaia di ragazzi, con un dispendio di energie ripagatecento volte tanto: chi sta con i giovani diventa giovane.Il libro era il punto d’appoggio su cui fare leva: durantegli incontri si partiva dal libro per raggiungere altriporti. Questo è accaduto senza forzature, perché eranoi ragazzi stessi a porre domande a un interlocutore cheritenevano valido per il semplice fatto di aver parlatodi certi temi in un romanzo. Ho trovato un’accoglienzasorprendente (in scuole di tutti i tipi), e spesso gli in-contri si svolgevano in orario pomeridiano, a parteci-pazione libera: centinaia di ragazzi. Li ho visti rimanereoltre l’orario scolastico, ritardare l’orario del treno, or-ganizzarsi affittando un pullman... per ascoltare unprofessore parlare di un libro.

Mi chiedevo dove fosse la ragionei questa mobilitazione. La rispo-ta era nelle loro domande: veni-ano per chiedere su dolore,

morte, felicità, amore, sesso, Dio,ede, paura... Insomma quelle do-

mande che ruotano attorno ai quesiti di sempre, rias-sunti nel grido: posso essere io felice? Percepivano nellibro uno spiraglio su un mondo desiderato. Nientemuove le persone come la felicità, niente muove un ra-gazzo o una ragazza come la possibilità di raggiun-gerla.

Donare il tempoMi ha colpito il fatto che mentre molti adulti mi rin-graziano o criticano per quello che faccio o dico, per lamia performance, i ragazzi ringraziano soprattutto peril tempo che dedico loro: «Grazie per il suo tempo» èil grazie più frequente. Così ho capito che prima ancoradi giudicare i ragazzi che ho di fronte devo giudicarel’uso che faccio del mio tempo: quanto tempo dedicoai miei alunni al di fuori delle ore in classe? Tempo diquello vero: che prendi e butti via per loro. Donaretempo è l’unica forma di amore reale: Dio si è fattotempo per regalarci il senza tempo. Il ringraziare peril tempo donato manifesta due punti forti di questa ge-nerazione: la silenziosa richiesta di ascolto da partedegli adulti (che rinfacciano loro proprio il fatto di nonascoltare, ma perché una persona ascolti deve essereprima ascoltata) e la capacità di ringraziare quando ri-conoscono la gratuità. Sono attratti dalla vita comedono, non come prestazione o come consumo egoi-stico.

Niente effetti specialiNegli incontri non vado a fare pubblicità al mio libro,ma vado a complicare le loro vite, a spronarli, a met-

La meglio gioventù

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terli in crisi. Molti di loro escono in crisi, una crisi po-sitiva, una benedizione, la crisi di chi scopre che puòliberare delle forze imprigionate. Solo a contatto conla ricerca della verità le forze di un ragazzo si liberano,la libertà è messa in gioco. Non uso effetti speciali, solole parole. E la parola che loro vogliono sentire non èquella che dà soluzioni, quella non l’ascoltano, ma laparola accompagnata da occhi che brillano, la parolavissuta, la parola che cerca la verità e la ama senza na-scondere la fatica e gli insuccessi. Questi ragazzi hanno bisogno di persone che manife-stino di non avere paura di vivere, anche se la vita fatremare e non bisogna nasconderlo, solo così comin-ciano a generare la vita e si sentono spronati a farlo,nell’età in cui il loro corpo scopre di essere fatto pergenerarla. Ma abbiamo talmente anestetizzato la veritàe virtualizzato la realtà che le verità più evidenti comeil corpo, l’amore, il sesso, il dolore, la morte, la felicità,Dio... diventano allegorie ideologiche, ingabbiate in in-terpretazioni preconfezionate prima ancora di esserevissute, e questo vale anche in ambito cattolico.

Ho visto ragazzi creare canzoni, pezzi teatrali, balli,video ispirati al libro. Ho ascoltato confidenze di-sperate di ragazzi che non riuscivano a trovare unadulto a cui chiedere aiuto, ho visto ragazzi alla ri-cerca di un sogno diverso da ciò che si può com-prare. Mi sembra di avere a che fare con unagenerazione che è stata generata biologicamentema non culturalmente, e quindi è privata di un or-dine simbolico e narrativo grazie al quale interpre-tare esperienze ed emozioni. Se manca il senso si perdono i significati. Doloresenza significato, vita senza significato, sesso senza si-gnificato... Ecco cosa cercano: una capacità di letturadella realtà, che se viene a mancare oscilla tra labilitàdelle emozioni (più forti sono, più mi sento vivo) e di-pendenza dal più forte, dal così fan tutti (conformi-smo). Entrambi gli atteggiamenti scavano un pozzo didolore nei loro cuori, una prigione interiore di noia eincertezza.

C’è bisogno di adultiQuali le risorse da intercettare? Infinite. La loro fameè maggiore, perché più profonda. Più difficile da rag-giungere perché più facilmente soddisfatta da surro-gati.Ho incontrato ragazzi che a 14 anni hanno già messoin piedi business leciti da centinaia di euro, ho incon-trato ragazzi che a 16 anni hanno inventato una radiodal computer di casa loro, ho incontrato ragazzi gene-rosi e disposti a mettersi in gioco per gli altri, se soloqualcuno sfida le loro vite e le inserisce in un orizzontepiù grande. Ho incontrato anche ragazzi cinici, scettici:già arrugginiti e disincantati alla loro età, rifugiati inun mondo piccolo piccolo di affetti privati e ossessivi,droghe e disturbi di vario tipo, senza interessi o pas-

sioni, se non quelle capaci di scatenare adrenalina.Ecco cosa mi ha scritto sul blog (profduepuntozero.it)una sedicenne: «Prova un giorno a travestirti da insegnante precarioe a insegnare a una terza aziendale, dove sono tutti ra-gazzi che spacciano a cui non importa nulla di avereun diploma... O semplicemente nella mia classe,ghetto di ragazze popolari che arrivano la mattinastrafatte di canne e dormono tutto il tempo con latesta sul banco...Prova a insegnare Dante, Boccaccio e Petrarca a deiragazzi che non sanno cosa vuol dire amare la vita...E i professori si lasciano trasportare, un po’ come queiragazzi, a quella stessa condizione, pensando che nonci sia più nulla da fare. Il più di volte troviamo inse-gnanti con poca voglia di vivere, quindi di lavorare,quindi di insegnare. Allora la domanda che sorge è senon bisogna cambiare il mondo adulto prima di volercambiare il mondo adolescenziale, prima di lavoraresull’insegnamento lavoriamo sugli insegnanti».

Accolta la provocazione le ho ri-sposto che sono stato precario sinoall’anno scorso (33 anni), che hocambiato due volte città (Palermo,Roma, Milano), che ho cominciatoa insegnare alle medie e in un do-poscuola di un quartiere disastratodella mia città natale. Ho incontrato ragazzi del liceo,ma anche di istituti professionali,tecnici, nautici e chi più ne ha piùne metta, e non li ho trovati menomotivati e reattivi dei primi, anzi,

gli incontri più interessanti li ho avuti proprio in que-sto tipo di realtà. Le ho poi chiesto spiegazione su al-cune delle dinamiche autodistruttive descritte e mi harisposto: «Non tutti sono capaci di costruire il ponte della co-municazione tra alunni e insegnanti, certi ci provanoma usando un legno scadente che si distrugge allaprima bufera. Allora si rinuncia a ricostruirlo con glistrumenti giusti e si resta bloccati ognuno dalla pro-pria parte senza possibilità di congiunzione. A me personalmente la distanza fa paura. Fa paura amolti ragazzi. Hanno paura che nessuno in realtàpossa davvero arrivare a concepire almeno in parte illoro dolore, spesso perché a casa, la famiglia non sirende conto del disagio e li abbandona emotivamentea loro stessi, così quando arrivano a scuola cercano inqualche modo di attirare una silenziosa attenzione,cercano di esternarlo con comportamenti "animali",sfogando una rabbia e una tristezza davvero spaven-tose. Ai ragazzi forse importa avere un diploma, il pro-blema è che se non hanno le basi affettive indispensabiliper affrontare la crescita con le sue difficoltà, nonavranno le energie necessarie per arrivare a guada-gnarselo. Se però sono stanchi a 16 anni e la vita ti an-

Questi ragazzihanno bisogno di persone che manifestino dinon avere paura di vivere, anche se la vita fa tremaree non bisogna nasconderlo.

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noia, probabilmente l’apatia affettiva li ha già svuotatie non sanno come andare avanti, con che forza e perquale scopo.I genitori sono lontani anni luce sensibilmente par-lando. Allora ci provano con gli insegnanti, insommacon qualcuno che ricordi loro, e chiedono aiuto attra-verso i loro comportamenti. Abbiamo pochi professoriche se ne accorgono, pochi quelli che ci tengono dav-vero. Per questo sei l’eccezione che conferma la regola.C’è bisogno di adulti: chi c’è? Se fossi un’insegnantemi rimboccherei le maniche per fare la mia parte, nonemarginando nessuno. Se fossi un’insegnante cerche-rei di sfruttare al meglio gli attrezzi che ho a disposi-zione».Io meglio non avrei saputo dirlo.

«Prof, avremo un futuro?»La meglio gioventù c’è, ma la meglio “non-gioventù”dov’è? Il problema restiamo noi adulti e la cultura cheabbiamo costruito attorno a questi ragazzi. Così miscrive una maturanda: «La prof di italiano ci ha detto: Smettete di sognare,non ne vale la pena... perdete solo tempo... vivete coni piedi per terra perché con una generazione senza fu-turo e senza valori come la vostra solo vivendo razio-nalmente riuscirete a concludere qualcosa... Non dateretta a certi professori che vi spingono a osare... a pun-tare in alto... a credere che ogni tanto la botta di "for-tuna" arrivi per tutti... la fortuna non esiste... esistonosolo raccomandazioni e raccomandati... quindi rasse-gnatevi...».La misura alta del quotidiano di cui parlava il beatoKarol è spazzata via. Il criterio di felicità è ridotto alsuccesso e non alla capacità di sognare la vita che ci èstata data, accettare e trasformare il destino che ab-biamo in una vita personale, vivendo per la ricerca diverità, bene e bellezza nello spazio consentito dai nostrilimiti e pregi.

La razionalità è pura funzione pragmatica.«Ho paura prof, tanta paura, paura di crescere, paurache la prof abbia ragione, paura di sognare. Sono de-moralizzata perché mi rendo conto che forse nonavremo mai davvero un futuro. È così brutto a 18 annipensare questo...».

L’epoca delle passioni tristiLa meglio gioventù c’è, non c’è però speranza, perchéle utopie si sono rivelate tali. La meglio gioventù c’è:c’è quella forte, con alle spalle famiglie forti, che stannogià costruendo il loro futuro e non aspettano altro cheil tempo faccia il suo corso con chi li ha preceduti (lasocietà italiana è una piramide rovesciata, pochi gio-vani portano il peso di un’Italia che invecchia). C’è la gioventù fragile, che soccombe sotto i colpi delcinismo e del disfattismo di chi spesso non vuole fare iconti con i propri fallimenti, ma anche questi cercanointerlocutori per sopravvivere e a volte la loro fragilitàesplode in richiami che non si possono ignorare: dipen-denze, disturbi alimentari, suicidi. Sono i frutti più maturi della dittatura del relativismo.Ho sentito una professoressa dire, dopo un mio incon-tro: «A scuola dobbiamo seminare dubbi, non cer-tezze». Io non semino certezze, ma voglia di vivere perla verità, il bene e la bellezza.L’alternativa non è tra dubbi e certezze, ma tra senso enon senso della vita. L’epoca delle passioni tristi (titolodi un libro che ogni educatore dovrebbe leggere) èl’epoca che ha imbrigliato le risorse migliori, perché laricerca della verità è stata rimossa dal centro della so-cietà e delle relazioni. Non si genera vita perché si hapaura di vivere e si ha paura perché non c’è verità daseguire.Chi paga la dittatura relativista sono quelli che per es-senza sono fatti per la verità: i giovani. Le loro passionitristi sono la nostra mancanza di vita interiore e ditempo, il nostro attaccamento alle cose prima che allepersone, la nostra fatica a donare, la nostra ebbrezza dicarriere e consumi. Valgano le parole del rabbino di unromanzo di S.Zweig: «È più forte chi si aggrappa al-l’invisibile di chi confida nel percepibile, perché questoè effimero, quello permanente». Avremo il coraggio di tornare ad aggrapparci all’invisi-bile?

Alessandro D’Aveniada Avvenire del 10 giugno 2011

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C’è tutto il nord della Lombardia, con i suoi laghi, nellamappa dei luoghi visitati da san Josemaría Escrivá. Un’area molto vasta e amata dal fondatore dell’Opus Deie che Lorenzo Revojera ha voluto fotografare a parole nelsuo libro appena pubblicato dalla casa editrice Àncora,dal titolo «San Josemaría in terra lombarda - Con losguardo alla Madonnina 1948-1973». Un volume di 208 pagine che racconta il Lario, i luoghidella provincia di Varese, di Lecco, con qualche incur-sione al confine con la Valtellina, attraverso le visite com-piute dal santo nei diversi territori della Lombardia finoad appena due anni prima della sua morte.Ma san Josemaría, fece tappa molto spesso anche in Ti-cino, a Lugano e in altri centri dell’Europa dove fece «lapreistoria dell’Opus Dei». Una preistoria che, per la Lom-bardia, partì da Milano e dalla città salì verso nord, arri-vando molto spesso a soggiornare nei paesi lungo le rivedel lago di Como, che Escrivá prediligeva per la sua tran-quillità e per la bellezza dei paesaggi e delle montagne: ilsanto vi amava riposare, ma soprattutto organizzare itantissimi incontri con i suoi figli spirituali.Del Castello di Urio, sul lago di Como, parla diffusamenteRevojera (che fu il primo milanese ad entrare nell’OpusDei nel 1950 quando aveva solo vent’anni), anche per ri-cordare ai lettori che proprio a Urio san Josemaría incon-trò, per l’ultima volta, un gruppo di fedeli dell’Opus Deiil 25 agosto del 1973. San Josemarìa fece però tappaanche a Cantù, Como, Caglio, Varese e Premeno, a Ci-venna e Bellagio, a Lecco e Montevecchia, fino a Piona ein molte altre località limitrofe dalle quali si trovava apassare diretto verso il Ticino.Nel libro – insieme al racconto molto circostanziato delletappe dei vari soggiorni del fondatore dell’Opus Dei e dimolte delle riflessioni e dei discorsi che lo stesso Escrivátenne in quelle sedi a uomini e donne che credevano inlui – si trova un ricco apparato iconografico. Si tratta difotografie del santo in compagnia di collaboratori e fedeli,moltissime scattate proprio sul lago di Como, spesso al-l’interno del giardino del Castello di Urio negli anni cin-quanta.

L’INTERVISTALa lettura del libro di Revojera, che riesce ad avvicinareancor più la figura di san Josemaría al cuore dei lombardi,ci ha spinto a porre all’autore alcune domande.

Come lei ha sottolineato, negli anni ’50 relativi allaprima espansione dell’Opera in Italia, i giovani potevanovivere un clima culturale senz’altro stimolante e anchele possibilità di lavoro erano elevate. Nel contempo eradiffuso un senso di responsabilità che forse oggi si èsbiadito. Rimane tuttavia sorprendente la disponibilitàdi tanti giovani a seguire le proposte impegnative diun’Opus Dei ancora quasi sconosciuta e certo moltocontrastata. Come spiegare questa speciale attrattiva?

Un confronto fra i ragazzi di allora e quelli di oggi èquasi impossibile. Troppo è cambiato nella società civile.Occorre soprattutto ricordare che – prevalentemente alNord – le tragiche vicende seguite all’8 settembre 1943avevano gettato gli adulti in uno stato di totale sbanda-mento, di prostrazione morale; qualcuno parlò di “mortedella patria”. Per contro, noi ragazzi che ci affacciavamo freschi e unpo’ ignari alla vita sociale cittadina eravamo più inclini acogliere i lati positivi; un clima di libertà, un desiderio diriscatto, spazi di iniziativa, amicizie stimolanti dopo illungo isolamento da “sfollati”. C’era tutto da rifare, c’eravoglia di unirsi ad altri per mettere su qualcosa di validonello smarrimento circostante. Chi aveva un minimo dibase spirituale cattolica sentiva quindi con interesse ilrichiamo di una istituzione come l’Opera, al vederla in-carnata da amici in gamba come erano i primi. Del restofurono accolte dai giovani con entusiasmo – anche se sualtri piani – diverse altre proposte che si ripresentarono,come lo scoutismo, il movimento alpinistico, l’associa-zionismo sportivo e culturale.

È in libreria«San Josemaría in terra lombarda - Con lo sguardo alla Madonnina 1948-1973»(ed. Àncora), di Lorenzo Revojera

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San Josemaría arrivava nei luoghi di soggiorno estivispesso in condizioni fisiche precarie ma continuava alavorare intensamente cercando inoltre di mantenere icontatti con i suoi figli. Come riusciva a trovare il ne-cessario riposo e nel contempo far riposare le personeche lo accompagnavano e lo incontravano?

Sappiamo che era un’impresa non da poco convincerloa lasciare Roma, dove pativa moltissimo il caldo; inoltresoffriva dei postumi del diabete e di disturbi alla vista. Me-rito di don Álvaro, che fu il suo successore, l’averlo con-vinto … ma, appunto, a patto di non trascurare il lavoro.Riposava molto camminando: quando era a Civenna, peresempio, andava a passeggiare volentieri avanti e indietrosul lungolago di Lecco, un’altra scoperta di don Álvaro.Ma riposava ancor di più stando con le persone, con i suoifigli o figlie, parlando e sentendoli parlare; anzi si puòdire che era quello il riposo che preferiva, cioè dedicarsiagli altri. Stare con la gente lo trasformava, anche fisica-mente: in un certo senso lo spirito aveva il sopravventosul fisico. Nel libro riporto la testimonianza di Lina Mattazzi, unainsegnante di Lanzo d’Intelvi, che fortuitamente lo in-contrò in un angolo del Castello di Urio dopo una seriedi visite impegnative che aveva avuto, e scrive «erastanco, accasciato, mi fece pena». Ma – appena gli ven-nero a dire che c’erano altre persone venute da fuori persalutarlo – lo vide alzarsi di scatto e andare da loro sorri-dendo, come se niente fosse.

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Era presente in questi giovani la percezione della san-tità del Fondatore e la consapevolezza di essere prota-gonisti di una svolta importante nella storia dellaChiesa?

Conoscevamo il Fondatore e il suo spirito attraverso lalettura di “Cammino” che – fra l’altro – era anche difficileda trovare nelle librerie; quel libro aprì, ed apre tuttora,orizzonti affascinanti a un cristiano che voglia dare unsenso compiuto alla propria vita. Per molti questa letturafu determinante per maturare l’adesione all’Opera. Non ci ponevamo molti problemi di santità o di protago-nismo, eravamo abbastanza semplici e lineari nelle scelte,come era semplice il nostro modo di vivere: famiglia, stu-dio e gioco del calcio. Certamente si intuiva che l’autoredi “Cammino” era un santo; ma lo avremmo capito me-glio dopo. Nella pratica il fascino dell’Opera veniva dalfatto che la si vedeva vissuta da studenti come noi, nor-mali, simpatici, allegri, e da sacerdoti con una mentalitàaperta, laicale. Personificavano un ideale grande, positivo,contagioso. Non bisogna però dimenticare che certa-mente, nei primi tempi dell’Opera e di ogni istituzionesanta della Chiesa, il Signore concede alle persone graziespeciali.

I luoghi che hanno visto sostare san Josemaría