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Italo e Paola Mannucci, telefono e fax 02 4151880, [email protected] Mario e Santina Viscovi, telefono e fax 02 4151596, [email protected] La volta a tutto sesto produce un semicerchio perfetto, con un canone classico che è del mondo greco–romano poi di quello rinascimentale, e in ogni caso simbolo di una italianità che vuol dire semplicità e solidità. note di informazione per gli amici del sesto piano maggio 2012 SU QUESTO NUMERO Intervista a Tommaso Piffer Nell’archivio del terrore Quel ramo del lago di Como... 28 a tutto sesto EDITORIALE «Il quinto Vangelo» (Nican mopohua) Fu scritto nel XVI secolo nella lingua Nahuatl su carta uguale a quella usata per gli antichi documenti aztechi. Il documento narra le apparizioni della Madonna di Guadalupe all’indio Juan Diego (1474-1548) nei dintorni di Tlatilolco, l’attuale Città del Messico. Il fatto è testimoniato dalla immagine della Vergine incinta, impressa miracolosamente sul mantello del veggente, conservato nella basilica della capitale per la devozione delle genti delle Americhe. Il messaggio è profondamente cristocentrico e rigorosamente teologico, pur nel modo semplice e fortemente espressivo dei na- tivi. Anche Gesù si faceva capire mediante parabole e detti tipici della sua regione; la sua Madre non vuole essere diversa e parla a Juan Diego chiamandolo «Ascolta, mio piccolo bambino, dove stai andando?... Sappi e siine sicuro che io sono la …Madre del veris- simo Dio per il quale viviamo». E, di fronte alla titubanza dell’indio, gli dice: «Non sono forse qui io, che sono tua Madre? Non stai forse sotto la protezione della mia ombra e della mia protezione? Non sono io la fonte della tua gioia? Non vedi che sei avvolto dal mio mantello, stretto tra le mie braccia? Cos’altro ti può mancare?» Lo stupore incantato di Juan Diego gli fa esclamare: «Ma io son degno di quello che odo? Che forse lo meriti? O è soltanto un sogno? … Rivolgiti a qualcun altro più ragguardevole di me, mia Signora! Perché io sono un povero contadino, sono un laccio da facchino, una lettiga, sono solo una coda, un’ala…». Juan Diego è stato canonizzato da Giovanni Paolo II nel 2002; la sua festa è il 9 dicembre. Vale la pena di ricordare che recenti studi effettuati con moderni mezzi di indagine hanno potuto stabilire che nella pupilla della Madonna raffigurata sul mantello è ritratta una famiglia e gli astanti che si trovavano di fronte al veggente al momento del miracolo. Per questa ragione Essa viene invocata Patrona della famiglia”. Non so se esista una buona traduzione italiana di questa rivelazione che i messicani chiamano affettuosamente il “quinto vangelo”. Io l’ho contemplata spesso nella bella traduzione castigliana di Mario Rojas Sànchez, messicano, cultore della letteratura degli Aztechi. Mario Viscovi I mezzi di comunicazione al servizio della famiglia Il rapporto tra i mezzi di comunicazione e la famiglia è complesso, ma nello stesso tempo propone sfide appas- sionanti: una di esse è il modo in cui i valori della fami- glia sono rappresentati a livello pubblico; un’altra è la risonanza formativa o diseducativa dei contenuti e delle abitudini sul piano dei rapporti che generano negli utenti. Per studiare questi aspetti, fare proposte educative e cer- care soluzioni ai problemi, è stato costituito un gruppo di ricerca su iniziativa di alcuni docenti della Pontificia Università della Santa Croce, una iniziativa apostolica dell’Opus Dei a Roma. Il progetto, denominato Family & Media, dispone di una pagina web in tre lingue (spagnolo, inglese e italiano) con numerosi articoli su queste tematiche: da come la famiglia viene presentata sulla stampa, al cinema o in televisione, fino ai risvolti educativi dei videogiochi. La pagina web contiene anche recensioni di studi specia- listici, articoli o libri che possono interessare le persone che lavorano nell’ambito della difesa della famiglia o del- l’educazione all’uso dei mezzi di comunicazione nell’am- bito familiare. Si può visitare la pagina all’indirizzo http://www.familyandmedia.eu/it.html Fanno parte di questo gruppo di ricerca anche alcuni do- centi delle Università di Lugano in Svizzera, di Navarra in Spagna, delle due università argentine Austral e Cat- tolica, di quella di Concepción in Cile e infine dell’Uni- versità Cattolica di Milano. sulla famiglia hanno scritto...

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Periodico di approfondimenti

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Italo e Paola Mannucci, telefono e fax 02 4151880, [email protected] e Santina Viscovi, telefono e fax 02 4151596, [email protected]

La volta a tutto sesto produce un semicerchio perfetto, con un canoneclassico che è del mondo greco–romano poi di quello rinascimentale, ein ogni caso simbolo di una italianità che vuol dire semplicità e solidità.

note di informazioneper gli amici del sesto piano

maggio 2012

SU QUESTO NUMERO

Intervista a Tommaso Piffer

Nell’archivio del terrore

Quel ramo del lago di Como...

28

a tutto sestoEDITORIALE

«Il quinto Vangelo» (Nican mopohua)Fu scritto nel XVI secolo nella lingua Nahuatl su carta uguale a

quella usata per gli antichi documenti aztechi. Il documento narrale apparizioni della Madonna di Guadalupe all’indio Juan Diego(1474-1548) nei dintorni di Tlatilolco, l’attuale Città del Messico. Ilfatto è testimoniato dalla immagine della Vergine incinta, impressamiracolosamente sul mantello del veggente, conservato nella basilicadella capitale per la devozione delle genti delle Americhe.

Il messaggio è profondamente cristocentrico e rigorosamenteteologico, pur nel modo semplice e fortemente espressivo dei na-tivi. Anche Gesù si faceva capire mediante parabole e detti tipicidella sua regione; la sua Madre non vuole essere diversa e parla aJuan Diego chiamandolo «Ascolta, mio piccolo bambino, dove staiandando?... Sappi e siine sicuro che io sono la …Madre del veris-simo Dio per il quale viviamo». E, di fronte alla titubanza dell’indio,gli dice: «Non sono forse qui io, che sono tua Madre? Non stai forsesotto la protezione della mia ombra e della mia protezione? Nonsono io la fonte della tua gioia? Non vedi che sei avvolto dal miomantello, stretto tra le mie braccia? Cos’altro ti può mancare?»Lo stupore incantato di Juan Diego gli fa esclamare: «Ma io sondegno di quello che odo? Che forse lo meriti? O è soltanto unsogno? … Rivolgiti a qualcun altro più ragguardevole di me, miaSignora! Perché io sono un povero contadino, sono un laccio dafacchino, una lettiga, sono solo una coda, un’ala…».

Juan Diego è stato canonizzato da Giovanni Paolo II nel 2002; lasua festa è il 9 dicembre. Vale la pena di ricordare che recenti studieffettuati con moderni mezzi di indagine hanno potuto stabilireche nella pupilla della Madonna raffigurata sul mantello è ritrattauna famiglia e gli astanti che si trovavano di fronte al veggente almomento del miracolo. Per questa ragione Essa viene invocata“Patrona della famiglia”.

Non so se esista una buona traduzione italiana di questa rivelazioneche i messicani chiamano affettuosamente il “quinto vangelo”. Iol’ho contemplata spesso nella bella traduzione castigliana di MarioRojas Sànchez, messicano, cultore della letteratura degli Aztechi.

Mario Viscovi

I mezzi di comunicazione al servizio della famigliaIl rapporto tra i mezzi di comunicazione e la famiglia

è complesso, ma nello stesso tempo propone sfide appas-sionanti: una di esse è il modo in cui i valori della fami-glia sono rappresentati a livello pubblico; un’altra è larisonanza formativa o diseducativa dei contenuti e delleabitudini sul piano dei rapporti che generano negliutenti.Per studiare questi aspetti, fare proposte educative e cer-care soluzioni ai problemi, è stato costituito un gruppodi ricerca su iniziativa di alcuni docenti della PontificiaUniversità della Santa Croce, una iniziativa apostolicadell’Opus Dei a Roma.Il progetto, denominato Family & Media, dispone di unapagina web in tre lingue (spagnolo, inglese e italiano)con numerosi articoli su queste tematiche: da come lafamiglia viene presentata sulla stampa, al cinema o intelevisione, fino ai risvolti educativi dei videogiochi.La pagina web contiene anche recensioni di studi specia-listici, articoli o libri che possono interessare le personeche lavorano nell’ambito della difesa della famiglia o del-l’educazione all’uso dei mezzi di comunicazione nell’am-bito familiare. Si può visitare la pagina all’indirizzo http://www.familyandmedia.eu/it.htmlFanno parte di questo gruppo di ricerca anche alcuni do-centi delle Università di Lugano in Svizzera, di Navarrain Spagna, delle due università argentine Austral e Cat-tolica, di quella di Concepción in Cile e infine dell’Uni-versità Cattolica di Milano.

sulla famiglia hanno scritto...

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A Francesco Gonin (1808-1889) che illustrò l’edizionedel 1840-41 de I Promessi Sposi, il Manzoni era solitodare minuziose istruzioni perché l’iconografia corri-spondesse ai suoi intendimenti.Nicola Cianfanelli (1793-1848) realizzò nel 1828 congrande successo una serie di incisioni tratte dal ro-manzo, in base a un allestimento teatrale commissio-natogli per la sua villa di campagna dal Granduca diToscana.

La diversa aderenza al vero con cui viene rappresen-tato lo sfondo di montagna colpisce: viene da pensareche il Manzoni abbia dato precise indicazioni al Goninin modo che l’amato Resegone dominasse, con veri-smo, l’intera scena della fuga di Lucia, la cui barcaquasi sparisce nel complesso della illustrazione.

Il rapporto barca-sfondo viene invece rovesciato dalCianfanelli, che disegna in lontananza montagne deltutto anonime e colloca barca e personaggi in primopiano.

dal volume Milano e le sue montagne, ediz. CAI Milano, 2002

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno,tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e agolfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli,vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso efigura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampiacostiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge ledue rive, par che renda ancor più sensibile all'occhioquesta trasformazione, e segni il punto in cui il lagocessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lagodove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti,scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto disan Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, daimolti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somi-gliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo,purché sia di fronte, come per esempio di su le mura diMilano che guardano a settentrione, non lo discernatosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di formapiù comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento econtinuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte ein ispianate, secondo l'ossatura de' due monti, e il lavorodell'acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de' torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campie vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parteboschi, che si prolungano su per la montagna.

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Quel ramo del lago di Como...Due diverse interpretazioni iconografiche dell’«Addio ai monti»

incisione di Francesco Gonin

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Pubblichiamo una recente intervista di Italo Mannucci al dott. Piffer. Tommaso Piffer è nato a Milano nel 1981 e si è laureato in Giurisprudenza presso l’UniversitàStatale di Milano. Successivamente ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia politica del-l’età contemporanea nei secoli XIX e XX presso l’Università degli Studi di Bologna. Ha pubblicatodiversi libri e saggi per varie riviste di ricerca storica. Ricordiamo tra gli altri il suo libro sul-l’eccidio di Porzûs del quale si è parlato nel numero 26 di questo giornale. Attualmente è visiting scholar all’università di Harvard, dove si occupa di un progetto di ricercasulla seconda guerra mondiale.

Come studioso della seconda guerra mondiale, ci puòdire se per questa tragedia globale ci sono ancoraaspetti poco conosciuti o di cui si preferisce non par-lare?Sulla seconda guerra mondiale esiste ormai una lette-ratura immensa, ricca di opere di sintesi o di ricostru-zioni di aspetti particolari. Tuttavia ci sono ancoramolti aspetti da esplorare. Mi limito a menzionarnedue. Il primo è quello della partecipazione dell’UnioneSovietica al conflitto, che oggi possiamo ricostruire conl’ausilio della documentazione resasi disponibile dopola fine della guerra fredda e la parziale apertura degliarchivi di Mosca. Qui ci sono molti aspetti da approfon-dire, tra i quali la politica del movimento comunistainternazionale durante la guerra. Anche i numeri esattidei caduti in Russia è ancora incerto, perché dopo laguerra Mosca non aveva alcun interesse a mostrare ledimensioni di una tragedia in parte determinata da er-rori di strategia militare. Un secondo aspetto su cui sista lentamente iniziando a lavorare è quello dei criminidi guerra commessi dagli alleati, un tema che per lungotempo è stato dimenticato da una lettura del conflittoche era chiaramente quella dei vincitori.

La seconda guerra mondiale ha causato distruzioniimpressionanti e milioni di morti. Ha anche cam-biato radicalmente lo scenario geopolitico. Cosa cipuò dire su questo?La guerra ha tolto il ruolo di perno del sistema geopo-litico mondiale all’Europa, che lo esercitava da secoli:l’ordine che emerge dal conflitto è basato al contrariosulla contrapposizione e il bilanciamento di due po-tenze extra europee: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.Non si tratta in verità di un evento improvviso: la crisiera già iniziata con la prima guerra mondiale, che nona caso è stata definita il vero e proprio “suicidio del-l’Europa”.

La seconda guerra mondiale ha lasciato dopo il suotermine, tra i vinti e tra i vincitori, anche strascichidi rancori e di divisioni interne che non sono ancorarisolti. In Europa, vediamo che l’Italia e forse laFrancia o i Paesi dell’Est, soffrono in modo partico-lare di questa situazione anche dopo quasi 70 anni.Il contributo degli storici a scoprire meglio torti e ra-gioni mi sembra importante: sono disponibili le fontinecessarie a una valutazione obiettiva o resistonoancora reticenze e difficoltà a reperire dati e a farliconoscere?Direi che ora la documentazione a nostra disposizioneè ampiamente sufficiente, anche se rimane la difficoltàa fare i conti con vicende che hanno lasciato ferite pro-fondissime. Penso ad esempio ai vari episodi di vendettecontro i collaborazionisti o presunti tali che hanno col-pito l’intera Europa alla fine del conflitto: come mo-strano le polemiche suscitate in Italia dai volumi diGiampaolo Pansa, le passioni sono spesso ancora vive.Anche la memoria dell’Olocausto è ancora un nervoscoperto in diversi paesi d’Europa. Non solo in Germa-nia, ma anche nei paesi occupati la cui popolazione avolte collaborò attivamente alla persecuzione degliebrei. Per quanto riguarda la Francia, ad esempio, cisono voluti decenni prima che si potesse anche soloparlare del ruolo del regime di Vichy nella deportazioneverso i campi di concentramento degli ebrei francesi.

Condivide la necessità di superare i torti subiti, leingiustizie, le rivendicazioni (che del resto per for-tuna interessano poco ai giovani) per pensare final-mente all’Italia e all’Europa con maggior serenità edesiderio di costruire una casa comune, pur mante-nendo le proprie peculiarità culturali?Sì, certo. In questo il ruolo degli storici è importante.Anche se da un certo punto di vista sarà solo un pas-saggio generazionale a permettere di guardare con ilgiusto distacco a un evento che ha segnato così in pro-fondità la storia d’Europa.

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Santa Maria delle Grazie a Milano, dopoil bombardamento dei Lancaster inglesinella notte tra il 15 e il 16 agosto 1943.

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La prima volta che ho visto le foto qui pubblicate eroa Mosca, nella sede di Memorial, reduce da una visitaalle fosse di Butovo, dove le persone qui ritratte sonostate fucilate e sepolte. Proprio per questo, quindi, eropreparata a coglierne la profonda carica drammatica enon solo a comprendere il loro valore di testimonianza.Le foto, copie fatte negli archivi della Lubjanka, eranoriposte in un contenitore di legno da archivio, da cuisbucavano questi volti, che rivestivano di carne e san-gue il ricordo delle fosse comuni che avevo visto suiluoghi delle fucilazioni di massa.

Sono rimasta subito colpita dall’estrema differenzacon cui ciascuna persona ritratta si comportava difronte a una situazione per tutti identica: la fotografiache veniva fatta per identificarli al momento della fu-cilazione.

Questa differenza rivela che ogni essere umano entrain modo diverso in rapporto con quello che Tzvetan To-dorov ha chiamato «l’estremo» e che, in questo caso, èil male che li condanna a morte. Un male le cui tracce icarnefici avrebbero voluto cancellare per sempre dallastoria. I volti delle vittime, invece, per una felice serie dicircostanze arrivati fino a noi, esprimono stupore, do-lore, disperazione, sfinimento, impotenza, qualche voltaanche sfida, odio, con l’occhio rivolto a chi, in quel mo-mento, per loro rappresenta il male. Un male inspiega-bile ma ineluttabile, e proprio per questo assoluto.

Sul male inflitto nel Novecento esiste una ricca do-cumentazione fotografica, e qualche volta anche fil-mica: si pensi alle foto scattate nei lager nazisti dagliAlleati, che hanno per sempre fermato nella nostra me-moria questa tragedia, o dai carnefici stessi, fieri di te-

stimoniare magari a Hitler le sevizie a cui sottopone-vano i prigionieri. Ma si tratta pur sempre di istantanee,o di filmati, non di ritratti.

Quasi inesistenti invece le foto dei lager sovietici,dove non sono entrati liberatori, e quindi l’occhioesterno non ha registrato il dramma nel momento incui stava per finire. Sui lager sovietici abbiamo in realtàimportantissime testimonianze letterarie, ma il fatto

che non ci siano foto, in una cultura come la no-stra così centrata sull’immagine, ha contribuitoa rendere la loro realtà meno presente nella me-moria collettiva, e quindi a indebolirne la por-tata storica: «Un evento diventa reale — scriveSusan Sontag — perché viene fotografato».

Tenendo da anni gli esami di storia contem-poranea all’università La Sapienza di Roma, hopotuto verificare come per la maggior parte

degli studenti le due forme di terrore — quello nazistae quello comunista — non siano da considerare com-parabili: il peggiore, naturalmente, e di gran lunga, èconsiderato quello nazista, e non già per l’unicitàdell’Olocausto, ma per l’unicità della documentazionevisiva. Guardare i volti effigiati nelle pagine di questolibro, quindi, vuol dire anche prendere atto, concreta-mente, delle stragi perpetrate da Stalin, e accettare diessere coinvolti emotivamente in questo massacro,così come lo siamo per i campi nazisti.

Come ha scritto un importante burocrate dello Statosovietico che ha denunciato gli orrori comunisti, Alek-sandr Jakovlev: «I documenti non subiscono mai nes-suna distruzione; solo gli esseri umani spariscono.Sono questi documenti macchiati di sangue che si ac-catastano sulla mia scrivania. Essi provengono dagli ar-chivi del presidente della Russia e da quelli dellaLubjanka, il quartier generale del Kgb. Se solamentequesti dossier potessero bruciare e questi uomini equeste donne tornare in vita! Ma essi non tornerannomai in vita».

Le immagini dei condannati a morte negli anni delle purghe staliniane

Nell’archivio del terrore

Fotografati poco prima di essere giustiziati

Il 26 aprile è uscito nelle librerie italiane il volumeLa vita in uno sguardo. Le vittime del Grande Ter-rore staliniano (Torino, Lindau, 2012, pagine 240,euro 24) che riporta le foto segnaletiche dei con-dannati a morte negli anni della dittatura stali-niana fatte poco prima della fucilazione. Pubblichiamo brevi stralci dei saggi scritti dalledue curatrici e di quello che chiude il libro.

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Pubblicare questi ritratti non significa riportarli invita, ma almeno farli entrare nella storia, testimoniareuna fede nel potere terapeutico della memoria, crederecioè che la memoria possa servire come rimedio almale, non solo prolungandone il ricordo ma addiritturafacendo sì che queste stragi non siano più replicate.

Molti infatti invocano la memoria come rimedio effi-cace per guarirci dal male, ma tale certezza è incrinatada più di un dubbio. Lo studioso che ha affrontato conmaggiore profondità questo problema è senza dubbioTodorov, il quale ha scritto: «La lotta oggi si svolgenella fedeltà alla memoria, nel nostro giudizio sul pas-sato, negli insegnamenti che ne ricaviamo».

È proprio questa la ragione per cui ammiriamo il co-raggio e la tenacia di una istituzione votata alla memo-ria come appunto Memorial, e di tanti altri gruppi esingoli, come Lidija Golovkova, che hanno conservatoqueste immagini permettendone il ricordo. E sappiamoche per farlo deve costantemente vincere le resistenzedella società russa contemporanea, dove prevale il ri-fiuto di ricordare un passato pesante e imbarazzante.Ma, come giustamente ricorda Todorov, la resistenzapiù subdola e massiccia a tale genere di memoria vienein realtà da tutti noi, che abbiamo fretta di allontanarcida queste storie terribili, con la scusa che conosciamogià perfettamente quello che è accaduto.

Guardare negli occhi le vittime del massacro stali-niano ci impedisce di allontanarne da noi la pesanteeredità: i loro volti ci ricordano che erano esseri umanicome noi, con le nostre fragilità e le nostre paure. Eche sono stati sterminati. Accettando di guardarli, nonpossiamo più nasconderci la portata del dolore che iltotalitarismo comunista ha provocato e, più in gene-rale, non possiamo sfuggire alla riflessione sul male nel

Novecento. Al fatto cioè che, anche se ci sono semprestati violenze e dolore, tutto induce a credere che nelNovecento si sia assistito in Europa a una manifesta-zione del male mai vista in precedenza, e non ci si puòesentare dal cercare le ragioni di questa caduta.

Siamo costretti a continuare a interrogarci sulle ra-gioni che hanno reso possibilel’avvento del male, perché soloriconoscendole possiamo sperareche cose così non succedano più.I volti ritratti in queste fotografieci spingono a farlo. Perché lasemplice evocazione della me-moria non basta. Può giocareanche brutti scherzi, può addirit-tura attutire le coscienze.

Tzvetan Todorov, in un saggio intitolato proprio Lamemoria come rimedio al male, segnala come sia inrealtà pericoloso il totale consenso che di solito si ac-compagna — almeno nei Paesi occidentali — a questeevocazioni. «E se la sterilità degli appelli alla memoriafosse dovuta alla costante identificazione di “noi” neglieroi o nelle vittime e nell’allontanamento dei malfattorida “noi”?» egli scrive, sicuro che «il ricordo non èl’arma migliore» perché «l’impotenza delle vittime puòcondurci alle lacrime ma non ci insegna come agire».

Lo scrittore bulgaro giustamente ci mette in guardiadalla vana speranza di raggiungere una condizione de-finitivamente libera dal male, perché «la memoria delpassato sarà sterile se ci serviamo di essa per innalzareun muro invalicabile tra il male e noi, se ci identifi-chiamo unicamente negli eroi irreprensibili e nelle vit-time innocenti, respingendo chi ha compiuto il malefuori dalle frontiere dell’umanità».

Dal momento che il male non è eliminabile, l’unicasperanza è «tentare di comprenderlo, contenerlo, do-minarlo, riconoscendo che è presente anche in noi».

Lucetta Scaraffiada L’Osservatore Romano del 27 aprile 2012

Le curatrici del libro La vita in uno sguardo

Marta Dell’Asta (Varese 1953) si è laureata in Lingua e letteratura russaall’Università Cattolica di Milano. Pubblicista, è direttore responsabiledella rivista La Nuova Europa e ricercatrice presso la Fondazione RussiaCristiana. Ha lavorato sulla storia della Chiesa e sul dissenso in UnioneSovietica. È autrice di una biografia del gesuita Pietro Leoni e di unastoria del dissenso, Una via per incominciare (La Casa di Matriona).

Lucetta Scaraffia (Torino 1948) insegna storia contemporanea all’Uni-versità di Roma «La Sapienza». Si è occupata soprattutto di storia delledonne e di storia del cristianesimo, con particolare attenzione alla reli-giosità femminile. Collabora con L’Osservatore Romano, Il Foglio, IlSole24ore, Il Messaggero e con diverse riviste. Per le Edizioni Lindauha curato i volumi Bioetica come storia (2011) e I cattolici che hannofatto l’Italia (2011).