A tutto sesto n.26

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Italo e Paola Mannucci, telefono e fax 02 4151880, [email protected] Mario e Santina Viscovi, telefono e fax 02 4151596, [email protected] La volta a tutto sesto produce un semicerchio perfetto, con un canone classico che è del mondo greco–romano poi di quello rinascimentale, e in ogni caso simbolo di una italianità che vuol dire semplicità e solidità. note di informazione per gli amici del sesto piano marzo 2012 SU QUESTO NUMERO Rileggendo Porzûs si ripensa l’Italia Mistero della Sindone: fu un lampo di luce? 26 a tutto sesto EDITORIALE La dignità dell’essere donna Nel rito ambrosiano della Messa, il primo lunedì di quare- sima si legge come Dio creò l’uomo (maschio e femmina a immagine e somiglianza di Dio) e come l’uomo – ricevuto il potere di dare un nome a tutte le creature viventi – la chiamò donna, la traduzione latina direbbe virago cioé «uoma», perché dall’uomo è stata tolta. Ho chiesto a un rab- bino le parole autentiche della Bibbia e mi ha confermato: l’uomo è ISH e la donna è ISHAH, cioè il femminile di uomo (Genesi, 2,23). Ha pure aggiunto che la desinenza AH è un segno di giubilo, come quello di allelui-ah, perché è la donna che porta gioia e compagnia all’uomo che non trovava tra le creature viventi un essere simile a sé. Approfondendo il significato e l’etimologia delle parole, lo scrittore Alessandro D’Avenia qualche giorno fa ha detto: «L’uomo trova il suo essere dal suo lavoro; la donna inventa il suo lavoro a partire dal suo essere.» L’uomo realizza pie- namente il suo essere santificando il lavoro, la sua attività preminente: era stato messo nel giardino terrestre perché lo lavorasse. La donna invece è già cosciente e consapevole del suo essere, della sua dignità, per natura. E dal suo peculiare modo di essere inventa il suo prezioso lavoro. Pur posse- dendo la stessa dignità di persona, questi due esseri non sono uguali ma complementari: all’uomo viene riconosciuta una maggiore forza e resistenza, tant’è vero che in caso di peri- colo con naturalezza si ordina: prima le donne e i bambini! Fotocopiare un sesso dall’altro è depauperarlo. L’uomo do- vrebbe cooperare alla massima realizzazione di ogni donna se – diceva Paolo VI nel 1976 – «appare all’evidenza che la donna è posta a far parte della struttura vivente ed operante del cristianesimo in modo così rilevante che non ne sono forse ancora state enucleate tutte le virtualità.» Mario Viscovi È molto importante che il senso vocazionale del ma- trimonio sia sempre presente, tanto nella catechesi e nella predicazione quanto nella coscienza di coloro che Dio prepara a questo cammino, poiché è attraverso di esso che sono realmente chiamati a incorporarsi al dise- gno divino di salvezza di tutti gli uomini. Non si può quindi proporre agli sposi cristiani un mo- dello migliore di quello delle famiglie dei tempi aposto- lici: la famiglia del centurione Cornelio, che fu docile alla volontà di Dio e nella cui casa si realizzò l’apertura della Chiesa ai gentili; quella di Aquila e Priscilla, che diffusero il cristianesimo a Corinto e a Efeso e collaborarono al- l’apostolato di san Paolo; quella di Tabita, che con la sua carità soccorse i bisognosi di Joppe, e tanti altri focolari di giudei e di gentili, di greci e di romani, nei quali at- tecchì la predicazione dei primi discepoli del Signore. Famiglie che vissero di Cristo e che fecero conoscere Cristo; piccole comunità cristiane che furono come cen- tri di irradiazione del messaggio evangelico. Focolari come tanti altri di quei tempi, ma animati da uno spirito nuovo che contagiava chi li avvicinava e li frequentava. Così furono i primi cristiani, e così dobbiamo essere noi, cristiani di oggi: seminatori di pace e di gioia, della pace e della gioia che Gesù ci ha guadagnato. San Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, 30, Edizioni Ares, Milano sulla famiglia hanno scritto...

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Periodico di approfondimenti

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Italo e Paola Mannucci, telefono e fax 02 4151880, [email protected] e Santina Viscovi, telefono e fax 02 4151596, [email protected]

La volta a tutto sesto produce un semicerchio perfetto, con un canoneclassico che è del mondo greco–romano poi di quello rinascimentale, ein ogni caso simbolo di una italianità che vuol dire semplicità e solidità.

note di informazioneper gli amici del sesto piano

marzo 2012

SU QUESTO NUMERO

Rileggendo Porzûs si ripensa l’Italia

Mistero della Sindone: fu un lampo di luce?

26

a tutto sesto

EDITORIALE

La dignità dell’essere donnaNel rito ambrosiano della Messa, il primo lunedì di quare-sima si legge come Dio creò l’uomo (maschio e femmina aimmagine e somiglianza di Dio) e come l’uomo – ricevutoil potere di dare un nome a tutte le creature viventi – lachiamò donna, la traduzione latina direbbe virago cioé«uoma», perché dall’uomo è stata tolta. Ho chiesto a un rab-bino le parole autentiche della Bibbia e mi ha confermato:l’uomo è ISH e la donna è ISHAH, cioè il femminile di uomo(Genesi, 2,23). Ha pure aggiunto che la desinenza AH è unsegno di giubilo, come quello di allelui-ah, perché è la donnache porta gioia e compagnia all’uomo che non trovava tra lecreature viventi un essere simile a sé. Approfondendo il significato e l’etimologia delle parole, loscrittore Alessandro D’Avenia qualche giorno fa ha detto:«L’uomo trova il suo essere dal suo lavoro; la donna inventail suo lavoro a partire dal suo essere.» L’uomo realizza pie-namente il suo essere santificando il lavoro, la sua attivitàpreminente: era stato messo nel giardino terrestre perché lolavorasse. La donna invece è già cosciente e consapevole delsuo essere, della sua dignità, per natura. E dal suo peculiaremodo di essere inventa il suo prezioso lavoro. Pur posse-dendo la stessa dignità di persona, questi due esseri non sonouguali ma complementari: all’uomo viene riconosciuta unamaggiore forza e resistenza, tant’è vero che in caso di peri-colo con naturalezza si ordina: prima le donne e i bambini!Fotocopiare un sesso dall’altro è depauperarlo. L’uomo do-vrebbe cooperare alla massima realizzazione di ogni donnase – diceva Paolo VI nel 1976 – «appare all’evidenza che ladonna è posta a far parte della struttura vivente ed operantedel cristianesimo in modo così rilevante che non ne sonoforse ancora state enucleate tutte le virtualità.»

Mario Viscovi

È molto importante che il senso vocazionale del ma-trimonio sia sempre presente, tanto nella catechesi enella predicazione quanto nella coscienza di coloro cheDio prepara a questo cammino, poiché è attraverso diesso che sono realmente chiamati a incorporarsi al dise-gno divino di salvezza di tutti gli uomini.

Non si può quindi proporre agli sposi cristiani un mo-dello migliore di quello delle famiglie dei tempi aposto-lici: la famiglia del centurione Cornelio, che fu docile allavolontà di Dio e nella cui casa si realizzò l’apertura dellaChiesa ai gentili; quella di Aquila e Priscilla, che diffuseroil cristianesimo a Corinto e a Efeso e collaborarono al-l’apostolato di san Paolo; quella di Tabita, che con la suacarità soccorse i bisognosi di Joppe, e tanti altri focolaridi giudei e di gentili, di greci e di romani, nei quali at-tecchì la predicazione dei primi discepoli del Signore.

Famiglie che vissero di Cristo e che fecero conoscereCristo; piccole comunità cristiane che furono come cen-tri di irradiazione del messaggio evangelico. Focolaricome tanti altri di quei tempi, ma animati da uno spiritonuovo che contagiava chi li avvicinava e li frequentava.Così furono i primi cristiani, e così dobbiamo essere noi,cristiani di oggi: seminatori di pace e di gioia, della pacee della gioia che Gesù ci ha guadagnato.

San Josemaría Escrivá,È Gesù che passa, 30, Edizioni Ares, Milano

sulla famiglia hanno scritto...

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Mistero della Sindone: fu un lampo di luce? I risultati di un'indagine

Come si è formata l’immagine impressa sulla Sindone?Questa è la domanda-chiave sul misterioso telo conser-vato a Torino, alla quale ha cercato di dare risposta unaéquipe dell’Enea – Agenzia nazionale per le nuove tec-nologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile –con una indagine durata cinque anni, dal 2005 al 2010. Tralasciando quindi la controversa questione sulla data-zione della Sindone, gli scienziati dell’Enea hanno cer-cato di riprodurre su tessuti di lino una colorazionesimile a quella dell’immagine corporea della Sindone,attraverso una serie di esperimenti documentati nel re-port finale. Gli scienziati spiegano di aver abbandonato la strada deimetodi fisici e chimici, perché si sono rivelati inadatti(per la parzialità o insufficienza dei loro risultati) ehanno quindi deciso di irraggiare i tessuti di lino tramiteimpulsi laser eccimeri nell’ultravioletto e nel lontano ul-travioletto. Soltanto in questo modo, ad esempio, si riesce a ripro-porre una delle più peculiari caratteristiche dell’imma-gine sindonica: lo spessore di colorazione estremamentesottile, pari ad un quinto di millesimo di millimetro. Illoro risultato forse più importante è aver individuato al-cuni processi fotochimici in grado di spiegare sia la co-lorazione superficiale, sia il fenomeno della colorazionelatente. È possibile – affermano gli scienziati dell’Enea –che questi processi fotochimici abbiano contribuito allaformazione della immagine sulla Sindone.

Il know-how di una indagine del 1978La ricerca svolta presso il Centro Enea di Frascati è par-tita dai risultati dell’ultima analisi in situ delle proprietàfisiche e chimiche dell’immagine corporea della Sin-done, effettuata nel 1978 da un gruppo di 31 scienziatisotto l’egida dello Shroud of Turin Research Project.Ecco alcune delle conclusioni cui arrivarono questiscienziati:

> l’immagine non è dipinta, né stampata, né ottenutatramite riscaldamento. > le macchie sono di sangue umano. > la colorazione dell’immagine risiede soltanto nellaparte più esterna e superficiale delle fibrille che costitui-scono i fili di tessuto del lino. > non c'è traccia di pigmenti. > l’immagine non si è formata dal contatto del lino conil corpo. Questa considerazione, unita ai due punti pre-cedenti, rende estremamente improbabile ottenere unaimmagine simil-sindonica tramite metodi chimici a con-tatto, sia in un moderno laboratorio sia a maggior ra-gione da parte di un ipotetico falsario medievale. > non c’è immagine sotto le macchie di sangue. Ciò si-gnifica che le tracce di sangue si sono depositate primadell’immagine, quindi l’immagine si formò in un mo-mento successivo alla deposizione del cadavere.> poiché le macchie di sangue hanno contorni definiti,senza sbavature, si può ipotizzare che il cadavere non fuasportato dal lenzuolo. > la sfumatura del colore contiene informazioni tridi-mensionali del corpo. > mancano segni di putrefazione in corrispondenza degliorifizi, che si manifestano dopo circa 40 ore dalla morte.Quindi l’immagine non dipende dai gas di putrefazionee il cadavere non rimase nel lenzuolo per più di duegiorni.> la colorazione è conseguenza di un processo di invec-chiamento accelerato del lino.

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L’ipotesi studiata: un lampo di luce L’équipe dell’Enea ha quindi seguito l’ipotesi che unaforma di energia elettromagnetica (ad esempio un lampodi luce a corta lunghezza d’onda) incidente su un tessutodi lino possa avere i requisiti adatti a riprodurre le prin-cipali caratteristiche dell’immagine sindonica, quali lasuperficialità della colorazione, la sfumatura del colore,l’immagine anche nelle zone del corpo non a contattocon il telo e l’assenza di pigmenti sul telo. Gli scienziatihanno effettuato i loro esperimenti tramite radiazioneultravioletta (UV) e poi tramite una radiazione a lun-ghezza d’onda ancora più corta, nello spettro del lontanoultravioletto (VUV) per ottenere una colorazione più si-mile a quella sindonica.

Risultati dell’indagine> La scienza non è ancora in grado di spiegare come sisia formata l’immagine corporea della Sindone.> L’ipotesi di un falsario medievale non è ragionevole. >La radiazione laser è uno strumento adatto a studiare indettaglio i processi fisici e chimici che potrebbero esserealla base dell’immagine corporea della Sindone, indipen-dentemente dalla sorgente di radiazione (o energia) chepuò aver generato questa immagine.> L’immagine sindonica presenta alcune caratteristicheche non si è ancora riusciti a riprodurre. Ad esempio, lasfumatura dell’immagine è dovuta ad una diversa con-centrazione di fibrille colorate gialle alternate a fibrillenon colorate.> Impulsi di luce VUV della durata di alcuni nanosecondisono capaci di colorare soltanto la parte più esterna deltessuto di lino, che è una delle caratteristiche dell’im-magine sindonica più difficili da replicare, riprodurre lastessa tonalità di colore e l’assenza di fluorescenza.> Il processo di colorazione ottenuto è di tipo fotochi-mico, a bassa temperatura. È da escludere un processodi colorazione a temperature elevate.> Seguendo l’ipotesi di irraggiamenti laser – che nonproducono una colorazione visibile – esiste la possibilitàche l’immagine della Sindone si sia resa visibile a di-stanza di anni dal momento in cui si è formata.> Non ci sono incompatibilità con la teoria (elaboratadallo scienziato Jackson) del corpo emettente luce: laluce VUV è compatibile con l’assenza di immagini late-rali del corpo sulla Sindone, perché i fotoni VUV vengonoassorbiti dall’aria e non riescono a colorare il linoquando è distante (come nel caso dei fianchi).> La potenza totale della radiazione VUV richiesta percolorare istantaneamente la superficie di un lino corri-spondente ad un corpo umano di statura media, è pari a34mila miliardi di Watt, e non può essere riprodotta danessuna sorgente di luce VUV costruita fino ad oggi (lepiù potenti reperibili sul mercato arrivano ad alcuni mi-liardi di Watt)

Stefano Grossi Gondida Documentazione.info

Cenni storici

A tutt’oggi le prime testimonianze documentarie sicure e irrefu-tabili relative alla Sindone di Torino datano alla metà del XIV secolo,quando Geoffroy de Charny, valoroso cavaliere e uomo di profondafede, depose il Lenzuolo nella chiesa da lui fondata nel 1353 nelsuo feudo di Lirey in Francia, non lontano da Troyes.

Nel corso della prima metà del ‘400, a causa dell’acuirsi dellaGuerra dei cento anni, Marguerite de Charny ritirò la Sindone dallachiesa di Lirey (1418) e la portò con sé nel suo peregrinare attra-verso l’Europa. Finalmente ella trovò accoglienza presso la cortedei duchi di Savoia, alla quale erano stati legati sia suo padre siail secondo marito, Umbert de La Roche. Fu in quella situazione cheavvenne, nel 1453, il trasferimento della Sindone ai Savoia, nel-l’ambito di una serie di atti giuridici intercorsi tra il duca Ludovicoe Marguerite.

A partire dal 1471, Amedeo IX il Beato, figlio di Ludovico, incominciòad abbellire e ingrandire la cappella del castello di Chambéry, ca-pitale del Ducato, in previsione di una futura sistemazione dellaSindone.Dopo una iniziale collocazione nella chiesa dei francescani, la Sin-done venne definitivamente riposta nella Sainte-Chapelle du Saint-Suaire. In questo contesto i Savoia richiesero e ottennero nel 1506dal Papa Giulio II il riconoscimento di una festa liturgica propria,per la quale fu scelto il 4 maggio. II 4 dicembre 1532 un incendiodevastò la Sainte-Chapelle e causò al Lenzuolo notevoli danni chefurono riparati nel 1534 dalle Suore Clarisse della città.

Emanuele Filiberto trasferì definitivamente la Sindone a Torino nel1578. Il Lenzuolo giunse in città il 14 settembre di quell’anno, trale salve dei cannoni, in un'atmosfera di grande solennità.La Sindone restò, da quel momento, definitivamente a Torino dove,nei secoli seguenti, fu oggetto di numerose ostensioni pubbliche eprivate. La religiosità del Piemonte (e non solo) fu ovviamentemolto influenzata da questa presenza così importante. Ne sono te-stimonianza viva numerosi dipinti rinvenibili nella capitale e inmolti paesi del ducato. Anche le grandi e solenni ostensioni, moltofrequenti nei due secoli barocchi, ne sottolinearono l’aspetto de-vozionale pubblico.

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L’eccidio di Porzûs, che si consumò tra il 7 e l’8 febbraiodel 1945, rappresenta ancora oggi una ferita aperta nellastoria d’Italia. Una lacerazione profonda che, tra processigiudiziari e scomuniche ideologiche, ricostruzioni stori-che approssimative e motivazioni politiche contingenti,non ha avuto finora dei gesti significativi di pacificazione.

I fatti sono noti ma vale la pena ricordarli. Il 7 febbraio1945 un commando dei Gruppi di azione patriottica(Gap) comunisti guidato da Mario Toffanin, detto Giacca,attaccò il comando delle formazioni Osoppo, di estra-zione cattolica e azionista, che si era insediato nelle Mal-ghe di Porzûs. Una volta disarmati gli osovani, furonoimmediatamente uccisi il comandante Bolla, FrancescoDe Gregori e il commissario politico Enea, Gastone Va-lente, il partigiano Giovanni Comin ed Elda Turchetti, unaragazza accusata da Radio Londra di essere una spia deitedeschi ma che era stata giudicata innocente dagli uo-mini della Osoppo.Nei giorni successivi i gappisti uccisero in modo efferatoanche gli altri diciassette partigiani nella zona di BoscoRomagno (Cividale del Friuli).Una vicenda paradigmatica che, nella sua estrema e radi-cale drammaticità, riesce a scardinare ogni tipo di dog-matica interpretazione del passato. A partire, ovviamente,dalle vicende della Resistenza, la cui complessità di storie,personaggi, visioni del mondo e legami internazionali civiene restituita appieno dal volume curato da TommasoPiffer, Porzûs. Violenza e resistenza sul confine orientale(Bologna, Il Mulino, 2012, pagine 162, euro 15). I saggi raccolti nel volume hanno il merito di esporre, conpacatezza e senza indulgenza, le più recenti acquisizionidella storiografia sull’eccidio e di stimolare una profondariflessione sulle categorie storiche utilizzate fin qui peranalizzare le vicende del periodo.

L’eccidio di Porzûs rimanda, irrimediabilmente, ad al-meno tre questioni decisive. Innanzitutto, alle violenze dimassa sprigionatesi nella Venezia Giulia tra guerra edopo-guerra; in secondo luogo, al ruolo svolto dal Partitocomunista italiano e dal suo legame, politico e ideologico,con i Paesi del socialismo reale, in questo caso l’Urss e laJugoslavia; e infine, al giudizio storico sulla Resistenza,alla sua complessità e alle sue diverse stratificazioni, mi-litari, politiche e culturali.Questioni non di poco conto, anzi cruciali, che hannoavuto un peso determinante nell’elaborazione della cosid-detta “memoria divisa” della storia d’Italia e sull’identitànazionale. Beninteso, l’efferata e drammatica strage diPorzûs non è comprensibile se non la si inserisce in quellapolveriera di scontri e conflitti che fu il “confine orien-tale”. E quindi, quella tragedia non è spiegabile fino infondo se non si tiene conto della volontà annessionisticadella Venezia Giulia e del Friuli orientale da parte delletruppe titine e della conseguente “connivenza” e “acquie-scenza” del Partito comunista italiano con il comando ju-goslavo.D’altro canto, però, accanto a questa specificità, per cosìdire locale, va sottolineata, all’opposto, la dimensione in-ternazionale della posta in gioco, come ha ribadito ElenaAga Rossi, senza la quale quel fatto di inaudita violenzapotrebbe essere facilmente derubricato — e così è statoper decenni — al gesto isolato di un piccolo gruppo digappisti guidati da un esaltato, nella fattispecie Mario Tof-fanin.Purtroppo non è così. Il gesto del pazzo esaltato — chepotrebbe far comodo alla coscienza di molti — non spieganulla dell’eccidio di Porzûs e del contesto di guerra in cuisi svolse quell’esecuzione.Un contesto nel quale, scrive Piffer, il conflitto “bilaterale”tra fascismo e antifascismo si intreccia con il conflitto

Il libro è espressione di una nuova generazione di studiosi a cui spetta il compito di avviare un confronto serio e pacato, senza le contrapposizioni del passato.Riportiamo l’articolo di Andrea Possieri apparso su L’Osservatore Romano del 5 febbraio

Tommaso Piffer sul terribile eccidio del 7 febbraio 1945

Rileggendo Porzûs si ripensa l’Italia

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“trilaterale” tra fascismo, democrazia e comunismo. Unoscontro che si combatte, dunque, su più livelli — un con-flitto politico all’interno di un conflitto militare — e cheevoca già uno scenario da guerra fredda. Non a caso, comemostrano i saggi di Raoul Pupo e Orietta Moscarda, il con-flitto tra forze comuniste e forze antifasciste non comu-niste ebbe in alcune zone un’intensità non dissimile daquelle tra le stesse forze antifasciste e il nazismo.

Tuttavia, una questione emerge su tutte: l’eccidio di Por-zûs è un tema delicatissimo perché mette in discussioneil carattere nazionale del Partito comunista italiano.Quando il 17 ottobre del 1944 Togliatti incontrò a Romaalcuni dirigenti jugoslavi non mise in dubbio, infatti, cheTrieste spettasse alla Jugoslavia ma si preoccupò sola-mente, secondo il resoconto dello sloveno Edvard Kardelj,di «applicare una politica nazionale atta a soddisfare gliitaliani». Per questo motivo a difendere l’italianità di queiterritori rimasero solo le formazioni Osoppo che costitui-vano, di fatto, «un cuneo ingombrante in un territoriodominato dalle formazioni slovene».Uno scontro fratricida che portò alla drammatica e sbri-gativa esecuzione del febbraio 1945. Un’esecuzione effe-rata che, nel caso di Guidalberto Pasolini, il fratello di PierPaolo, ebbe i contorni di un incubo. Preso e incarceratodai gappisti venne condannato a morte e costretto a sca-varsi la fossa. In quei tragici minuti, sospeso tra la vita ela morte, riuscì a fuggire, nonostante fosse stato feritocon colpi di arma da fuoco.Una fuga drammatica che si concluse, però, con l’incontrodi un partigiano gappista che lo riportò, dopo avergli as-sicurato che lo avrebbe portato a curarsi le ferite, nelluogo da dove era scappato: ovvero la fossa che si era sca-vato. In quella buca fu finito a colpi di piccone, ucciso «damano fraterna nemica» come scrisse più tardi il fratello.Una morte drammatica, di cui Pasolini fa cenno, oltre chenella poesia Vittoria, in almeno due momenti della suavita: in una lettera dell’agosto del 1945, in cui lo scrittorecelebrò l’eroismo di quei ragazzi che si erano rifiutati di«combattere per Tito e il comunismo» e avevano invecedifeso «l’Italia e la libertà»; e in un intervento pubblicatonel luglio del 1961 sul periodico del Pci Vie Nuove,quando, invece, pur salvaguardando l’onore dei caduti, at-tenuò la sua lettura dei fatti sfumandola a «una sorta di

lotta tra nazionalismi».«Credo che non ci sia nessun comunista — chiosò loscrittore — che possa disapprovare l’operato del parti-giano Guido Pasolini». Anche in quelle parole di dolore ecommozione scritte nel 1961 si odono gli echi del climadi divisione ideologica propri della guerra fredda e, so-prattutto, la difficoltà di fare i conti con le ferite e leasprezze della storia.

Oggi questo clima di divisione non esiste piùed è forse venuto il momento per un ricono-scimento pubblico e istituzionale di pacifica-zione nazionale. D’altra parte, un gestosignificativo era già accaduto nel 2001 conl’incontro tra Giovanni Padoan delle BrigateGaribaldi e don Redento Bello, cappellanodella Osoppo. Questo volume, fra l’altro, cu-rato non a caso da un giovane studioso forma-tosi dopo il 1989, risente anche di questonuovo clima culturale. Una dimensione intel-lettuale che è propria di una nuova genera-zione di studiosi — con opinioni e sensibilitàculturali differenti ma cresciuti al di fuoridelle malmostose pastoie ideologiche nove-centesche — al quale spetta il compito, grande

e doveroso, di avviare un confronto serio e pacato su que-sti temi senza scadere nelle uggiose e stantie contrappo-sizioni del passato. Insomma, un modo nuovo e autenticodi pensare l’Italia.

Mario Toffanin, Giacca

Francesco De Gregori, Bolla

Vittoria(...)Se ne vanno... Aiuto, ci voltano le schiene,le loro schiene sotto le eroiche giacchedi mendicanti, di disertori... Sono così serenele montagne verso cui ritornano, battecosì leggero il mitra sul loro fianco, al passoch‘è quello di quando cala il sole, sulle intatteforme della vita tornata uguale nel basso e nel profondo! Aiuto, se ne vanno! Tornano ailoro silenti giorni di Marzabotto o di via Tasso.Con la testa spaccata, la nostra testa,tesoro umile della famiglia,grossa testa di secondogenito,mio fratello riprende il sanguinoso sonnosolo, tra le foglie secche e i caldi fienidi un bosco delle prealpi; nel dolore e la pace di un’interminabile domenica...Eppure, questo è un giorno di vittoria.

Pier Paolo Pasolini

La malga con la lapide che ricorda l’eccidio

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