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A nno X X V II. Torino, lt)01 L’INGEGNERIA CIVILE N um . Sì S. L B ART I N D U S T R I A L I PERIODICO TECNICO QUINDICINALE Si discorre in fine del Fascicolo delle opere e degli opuscoli spediti franchi alla Direzione dai loro Autori od Editori. È riservata la proprietà letteraria ed artistica delle relazioni, memorie e disegni pubblicati in questo Periodico. COSTRUZIONI METALLICHE LA CUPOLA PEL GRAN RIFRATTORE DELL'OSSERVATORIO ASTRO-FISICO DI POTSDAM ( Veggansi le Tavole X X I e X X I I ) Nella bibliografia (V. fase. 17 ie\YIngegneria Civile, anno 1901, pag. 270) relativa alle Memorie contenute nella Zeitscìirift fiir Bamcesen ci siamo riservati di parlare in apposito articolo di quella che l’architetto Saal ha compi- lata sul Cupolone pel gran Rifrattore dell'Osservatorio astro- fisico di Potsdam, e che, per la sua importanza, è stata pubblicata anche in edizione separata (1); ed ora adem- piamo al nostro impegno. È noto che l'Osservatorio di Potsdam è specialmente de- dicato alle ricerche astro-fisiche, nelle quali ha acquistata una meritata celebrità nel mondo scientifico. La sua costru- zione data dagli anni 1875-1878, da quando, cioè, si ri- conobbe l ’alta importanza di applicare l ’analisi spettrale allo studio degli astri ; e sebbene fosse stato allora fornito di tutti gli istrumenti che si ritenevano necessari, per i ra- pidi progressi di questa disciplina e branche affini, si trovò in breve non solo al di sotto di altri Osservatori analoghi, ma nemmeno più all’altezza dei tempi. Eppure, nonostante la deficienza dei mezzi, ebbe a segnare, nella sua marcia progressiva, delle orme incancellabili, cosicché si attirò ben presto l’attenzione e l'approvazione del mondo scientifico. Allora si sentì più forte che mai la necessità di provvederlo di istrumenti perfezionati allo scopo di farlo approfittare delle scoperte più recenti, per continuare trionfalmente nella via intrapresa. Ciò che sopratutto occorreva era un grande Rifrattore, pel quale bisognava anche costruire l’edificio per accoglierlo. E così nel 1896 si votarono dal Parlamento i fondi necessari per questo Cupolone e strumenti relativi, con che si veniva a completare la serie degli edifici che costitui- scono gli Osservatori scientifici sul Telegraphenberg di Potsdam. Le nuove costruzioni da eseguirsi comprendevano : 1) Un edificio a cupola pel gran Rifrattore, con stanze annesse per gli astronomi e per altri strumenti, ecc. (Tav. XXII, fig. 1); 2) Un edificio per abitazione degli impiegati nell'im- mediata vicinanza, e per l ’ installazione di un eliostato; 3) Una piccola officina per la produzione dell’energia e della luce elettrica ; 4) Strade, piantagioni, ecc., intorno agli edifici. (1) S aal , Da s Kuppelgebciule far din grossen Refractor des astrophysicalischen Observatoriums auf dem Tjlegra- phenberge bei Potsdam. — Volume in-foglio con 3 tavole e 14 figure nel testo. — Berlino, 1901, Wilhelm Ernst und Sohn. L’ubicazione del fabbricato pel Rifrattore veniva stabi- lita dalla località stessa, vicina all’Osservatorio esistente, per le necessarie relazioni che esistono fra gli astronomi del- l'uno e dell’altro, ma a una distanza sufficiente per non di- sturbarsi reciprocamente nelle osservazioni del cielo. Il Cu- polone si trova a 4 metri più basso dell'Osservatorio e a circa 90 metri di distanza da esso. Il suo asse principale è in pro- lungamento di quello dell'Osservatorio nella linea nord-sud. Il fabbricato consta di un sotterraneo dell’altezza di metri 2,80 e per m. 1,30 sotto il terreno naturale; di un pianter- reno alto m. 5,70; e di un piano superiore, dove si fanno le osservazioni; il Cupolone copre per l'appunto questo spazio, ed ha un diametro di m. 21. Il punto di appoggio del Ri- frattore, intorno al quale esso si muove, trovasi a m. 14,50 sul terreno esterno. Esso è sopportato da un pilastro di mu- ratura completamente isolato dal resto del fabbricato e si- tuato nel centro del medesimo. La sua fondazione è stata facile, perchè a un metro sotto il terreno naturale si trovò della sabbia compatta, che offriva la solidità necessaria. I vani dei sotterranei e del pianterreno circondano il pi- lastro, ma sono da esso separati, oltreché da un muro circo- lare, da un’ intercapedine di metri 0,50 fra il muro ed il pilastro, così da garantire quest’ultimo d'ogni cambiamento rapido di temperatura, che potrebbe cagionare qualche mo- vimento nella muratura. Le fondazioni sono indipendenti da quelle dell'edificio, quindi non vi è a temere che alcun tre- molìo abbia a riportarsi sul pilastro. Questo è cilindrico alla base e va rastremandosi in forma di tronco di cono verso l'alto; nell'interno di esso sono praticati dei vani in corri- spondenza fra loro, onde lasciare circolare l'aria ed affret- tare il prosciugamento della muratura, ma senza che possa venire il benché minimo nocumento alla stabilità del pi- lastro. Nella muratura non si è fatto uso che di calce ordi- naria, perchè il cemento è soggetto a variare di volume, e ciò avrebbe potuto dar luogo a dei movimenti nella mura- tura. I vani del pilastro sono chiusi da 'doppie porte, per evitare qualunque contatto coll'aria esterna. Ben inteso che anche la travatura del pavimento del piano superiore e le tavole del medesimo non toccano in alcun punto nè il pilastro, nè la base del Rifrattore, ma appoggiano semplice- mente sul muro circolare z (Tav. XXI, fig. 1), che lo con- torna. Nei sotterranei vi sono dei laboratori e dei magazzini; nel pianterreno vi ò una sala per riunioni e lezioni, una per la Direzione, poi diverse camere da lavoro e studio, e per fare delle ricerche scientifiche. Nell’avancorpo del fabbri- cato, dal lato nord, trovasi l’entrata, la scala per salire ai diversi piani e quattro camere più piccole, delle quali l'ima per la fotografia (camera oscura) e un’altra pel meccanismo che serve a regolare il movimento del Rifrattore; i pesi, al- l'uopo necessari, discendono fino nei sotterranei. La coper- tura dell'avancorpo è una terrazza, dalla quale si accede al corridoio esterno, che gira intorno la base del Cupolone (Tav. XXII, fig. 1).

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A n n o X X V I I . Torino, lt)01

L’INGEGNERIA CIVILEN u m . Sì S .

L B A R T I N D U S T R I A L IP E R I O D I C O T E C N I C O Q U I N D I C I N A L E

Si discorre in fine del Fascicolo delle opere e degli opuscoli spediti franchi alla Direzione dai loro Autori od Editori. È riservata la proprietà letteraria ed artistica delle relazioni, memorie e disegni pubblicati in questo Periodico.

COSTRUZIONI METALLICHE

L A C U P O L A P E L G R A N R I F R A T T O R E DELL'OSSERVATORIO ASTRO-FISICO

D I P O T S D A M

( Veggansi le Tavole X X I e X X I I )

Nella bibliografia (V. fase. 17 ie\YIngegneria Civile, anno 1901, pag. 270) relativa alle Memorie contenute nella Zeitscìirift fiir Bamcesen ci siamo riservati di parlare in apposito articolo di quella che l ’architetto Saal ha compi­lata sul Cupolone pel gran Rifrattore dell'Osservatorio astro­fisico di Potsdam, e che, per la sua importanza, è stata pubblicata anche in edizione separata (1); ed ora adem­piamo al nostro impegno.

È noto che l'Osservatorio di Potsdam è specialmente de­dicato alle ricerche astro-fisiche, nelle quali ha acquistata una meritata celebrità nel mondo scientifico. La sua costru­zione data dagli anni 1875-1878, da quando, cioè, si ri­conobbe l ’alta importanza di applicare l ’analisi spettrale allo studio degli astri ; e sebbene fosse stato allora fornito di tutti gli istrumenti che si ritenevano necessari, per i ra­pidi progressi di questa disciplina e branche affini, si trovò in breve non solo al di sotto di altri Osservatori analoghi, ma nemmeno più all’altezza dei tempi. Eppure, nonostante la deficienza dei mezzi, ebbe a segnare, nella sua marcia progressiva, delle orme incancellabili, cosicché si attirò ben presto l ’attenzione e l'approvazione del mondo scientifico. Allora si sentì più forte che mai la necessità di provvederlo di istrumenti perfezionati allo scopo di farlo approfittare delle scoperte più recenti, per continuare trionfalmente nella via intrapresa. Ciò che sopratutto occorreva era un grande Rifrattore, pel quale bisognava anche costruire l ’edificio per accoglierlo. E così nel 1896 si votarono dal Parlamento i fondi necessari per questo Cupolone e strumenti relativi, con che si veniva a completare la serie degli edifici che costitui­scono gli Osservatori scientifici sul Telegraphenberg di Potsdam.

Le nuove costruzioni da eseguirsi comprendevano :1) Un edificio a cupola pel gran Rifrattore, con stanze

annesse per gli astronomi e per altri strumenti, ecc. (Tav. XXII, fig. 1);

2) Un edificio per abitazione degli impiegati nell'im­mediata vicinanza, e per l ’ installazione di un eliostato;

3) Una piccola officina per la produzione dell’energia e della luce elettrica ;

4) Strade, piantagioni, ecc., intorno agli edifici.

(1 ) Sa a l , Da s Kuppelgebciule fa r din grossen Refractor des astrophysicalischen Observatoriums auf dem Tjlegra- phenberge bei Potsdam. — Volume in-foglio con 3 tavole e 14 figure nel testo. — Berlino, 1901, Wilhelm Ernst und Sohn.

L’ubicazione del fabbricato pel Rifrattore veniva stabi­lita dalla località stessa, vicina all’Osservatorio esistente, per le necessarie relazioni che esistono fra gli astronomi del­l'uno e dell’altro, ma a una distanza sufficiente per non di­sturbarsi reciprocamente nelle osservazioni del cielo. Il Cu­polone si trova a 4 metri più basso dell'Osservatorio e a circa 90 metri di distanza da esso. Il suo asse principale è in pro­lungamento di quello dell'Osservatorio nella linea nord-sud.

Il fabbricato consta di un sotterraneo dell’altezza di metri 2,80 e per m. 1,30 sotto il terreno naturale; di un pianter­reno alto m. 5,70; e di un piano superiore, dove si fanno le osservazioni; il Cupolone copre per l'appunto questo spazio, ed ha un diametro di m. 21. Il punto di appoggio del Ri­frattore, intorno al quale esso si muove, trovasi a m. 14,50 sul terreno esterno. Esso è sopportato da un pilastro di mu­ratura completamente isolato dal resto del fabbricato e si­tuato nel centro del medesimo. La sua fondazione è stata facile, perchè a un metro sotto il terreno naturale si trovò della sabbia compatta, che offriva la solidità necessaria.

I vani dei sotterranei e del pianterreno circondano il pi­lastro, ma sono da esso separati, oltreché da un muro circo­lare, da un’ intercapedine di metri 0,50 fra il muro ed il pilastro, così da garantire quest’ultimo d'ogni cambiamento rapido di temperatura, che potrebbe cagionare qualche mo­vimento nella muratura. Le fondazioni sono indipendenti da quelle dell'edificio, quindi non vi è a temere che alcun tre­molìo abbia a riportarsi sul pilastro. Questo è cilindrico alla base e va rastremandosi in forma di tronco di cono verso l'alto; nell'interno di esso sono praticati dei vani in corri­spondenza fra loro, onde lasciare circolare l'aria ed affret­tare il prosciugamento della muratura, ma senza che possa venire il benché minimo nocumento alla stabilità del pi­lastro. Nella muratura non si è fatto uso che di calce ordi­naria, perchè il cemento è soggetto a variare di volume, e ciò avrebbe potuto dar luogo a dei movimenti nella mura­tura. I vani del pilastro sono chiusi da 'doppie porte, per evitare qualunque contatto coll'aria esterna. Ben inteso che anche la travatura del pavimento del piano superiore e le tavole del medesimo non toccano in alcun punto nè il pilastro, nè la base del Rifrattore, ma appoggiano semplice- mente sul muro circolare z (Tav. XXI, fig. 1), che lo con­torna.

Nei sotterranei vi sono dei laboratori e dei magazzini; nel pianterreno vi ò una sala per riunioni e lezioni, una per la Direzione, poi diverse camere da lavoro e studio, e per fare delle ricerche scientifiche. Nell’avancorpo del fabbri­cato, dal lato nord, trovasi l ’entrata, la scala per salire ai diversi piani e quattro camere più piccole, delle quali l'ima per la fotografia (camera oscura) e un’altra pel meccanismo che serve a regolare il movimento del Rifrattore; i pesi, al­l'uopo necessari, discendono fino nei sotterranei. La coper­tura dell'avancorpo è una terrazza, dalla quale si accede al corridoio esterno, che gira intorno la base del Cupolone (Tav. XXII, fig. 1).

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338 L’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI

Per la costruzione del piano dove trovasi l ’istrumento e pel Cupolone si fece naturalmente tesoro dell’esperienza acquistata in altre costruzioni analoghe. Il suo diametro è, j come già si è detto, di m. 21; l ’altezza nel mezzo di 17 m.; j il muro circolare dell’edificio si eleva fino a ricevere l’ im­postazione su cui si muove la base del Cupolone, ossia per m. 5,42 al disopra del pavimento.

La Cupola (Tav. XXI, fig. 1) ha un'armatura di ferro gi­revole, elevata sopra un anello di ghisa, ed è costituita da due semi-cupole sovrapposte, che si adattano all'armatura stessa. L’esterna è rivestita da lamiera di acciaio ; l ’interna da legname di cipresso, per evitare possibilmente la conden­sazione dell’umidità e il gocciolamento che ne deriverebbe. j L'intercapedine che ne risulta comunica pel basso coll’aria dello spazio interno, e per il cervello coll’atmosfera esterna ; in questo modo, e per la comunicazione coll’aria esterna anche della base, si ha continuamente una corrente d’aria nell’intercapedine, che impedisce il riscaldamento interno sotto l ’influenza dei raggi solari sulla Cupola, e nello stesso tempo mantiene un giusto equilibrio nelle condizioni ter­miche fra l'aria interna e la esterna; il che è di somma im­portanza, perchè le correnti che si producono per la diver- sita di temperatura, fra l’aria interna e quella di fuori, ca­gionano un tremolìo nell'aria che avrebbe reso le osserva­zioni al cannocchiale assai difficili, e bene spesso impossibili.

Un ballatoio x all’interno e un altro y all’esterno (fig. 1 e 7, Tav. XXI) girano intorno al binario a della Cupola, per poterlo visitare in ogni tempo e sorvegliare il movimento quando occorre. In corrispondenza della corona superiore b, su cui gira la Cupola, sono due piattaforme n per ricevere gli apparecchi destinati a manovrare il chiusino dell’aper­tura della Cupola. Le Tavole XXI e XXII indicano tutte le altre particolarità in modo chiarissimo e non vi è bisogno di menzionarle singolarmente. Pel movimento della Cupola si ; è ricorso all’elettricità, la quale fornisce anche la luce ne­cessaria all’ illuminazione.

L’ intensità della corrente venne calcolata in modo da : potere alimentare 20 lampade durante 12 ore stabilite pel­le osservazioni, e nello stesso tempo potere far fare tre giri completi alla Cupola, un'alzata e una discesa al chiusino dell’apertura nella Cupola e dieci salite con altrettante di­scese del palco t, su cui trovasi la sedia dell’osservatore.

Il movimento della Cupola intorno al proprio asse verti­cale avviene per mezzo delle due corone a e b (Tav. XXI, fig. 1) ; l ’inferiore a consta di dieci segmenti di cerchio in ghisa, che giaciono orizzontalmente sull'anello del muro perimetrale e sono assicurati ad esso con chiavarde; porta due guide concentriche, sulle quali scorrono le ruote c del carro (fig. 7); Luna all’esterno, l ’altra internamente. LTna terza ruota è fissata sull’albero fra le altre due ; così l ’attrito strisciante viene trasformato in attrito rotolante e il movi­mento della Cupola facilitato assai.

La corona superiore b consta pure di dieci segmenti di circolo. I carrelli sono in numero di 20 e collegati fra loro mediante tiranti. Le figure 4 e 5 indicano una pianta, una proiezione orizzontale ed una sezione dei carrelli.

Il movimento della Cupola può farsi in tre modi diversi : l “Coll’energia elettrica, per mezzo dell’elettro-motore d

(fig. 2), della forza di 3,5 cavalli; impiega solamente cinque minuti per compire un giro intero di 360°;

2° Coll’elettro-motore f (fig. 2 e 3), della forza di 0,25 cavalli; la Cupola segue nel suo movimento la velocità della terra e impiega 24 ore ;

3 ’ Si può muovere colla ruota i a mano (fig. 2 e 3) ; è evidente che allora la velocità è di gran lunga minore che non coll’elettricità ; però in un’ora si può comodamente far compiere tutto il giro alla Cupola.

Affinchè il tetto della Cupola, durante il movimento, si mantenga sempre nella posizione centrale, e possa resistere senza conseguenze alla spinta obliqua del vento, sono ap­plicate dodici rotelle l (fig. 1 e fig. 7), le quali trovansi fis­sate alla muratura all’ altezza della corona superiore col mezzo delle mensole in ferro che si vedono nelle stesse figure.

Per avere anche un’idea dell’aspetto architettonico del­l'edificio. riportiamo nella fig. 1 della Tav. XXII in foto­tipia una veduta prospettica dell’esterno, e nelle fig. 6 e 7 della Tav. XXI il prospetto e una sezione trasversale del cornicione di coronamento.

Una delle difficoltà maggiori consistette nel trovare la disposizione più conveniente per permettere le osservazioni al grosso cannocchiale in tutte le sue posizioni. D’ordinario nelle piccole cupole basta una scaletta facile a muoversi e portarsi dove occorre; ma qui il perno dell’ istrumento tro­vandosi a m. 7,50 sul pavimento del primo piano, la cosa diventava abbastanza difficile. Nelle specole di Washington, di Chicago e di San Francisco il pavimento è mobile, si alzao si abbassa, secondo il bisogno, mediante disposizioni idrau­liche o elettriche.

In Pulkowa lo spazio dove si trova il Rifrattore è diviso in due parti da un ballatoio sopportato da colonne di ferro ; due impalcature, una alla base, l ’altra in alto, permettono le osservazioni secondo le posizioni dell’istrumento. In Pots­dam, invece, si fece astrazione di tali disposizioni e si trovò un modo assai più semplice e di maggiore comodità. Si costruì una specie di sedia d’osservazione q (fig. 1, Tav. XXI, e fig. 2, Tav. XXII), perfettamente libera nello spazio, ed a cui si possono imprimere tutti i movimenti occorrenti per se­guire il cannocchiale in ogni sua posizione. La sedia è sospesa per la parte superiore alla Cupola in r , e per la parte infe­riore corre mediante le rotelle s sopra una corona fissata sul ciglio del muro circolare s che contorna il pilastro centrale. Può quindi seguire tutti i movimenti della Cupola mante­nendosi sempre di fronte all’apertura in essa praticata.Il piano, su cui si colloca l ’osservatore, può alzarsi ed ab­bassarsi a piacere, e così mantenersi sempre a portata del- l ’ istrumento, e può anche avvicinarsi od allontanarsi da esso. Una piccola gru v, girevole, permette di sollevare e discendere tutte quelle parti di istrumenti che si debbono adoperare.

Per la Cupola si è cercato di riunire la massima leggerezza colla maggiore stabilità, e dalla figura 1 (Tav. XXI) si scorge subito quale gradevole impressione essa fa. Si ebbe pure cura di mantenere isolate le varie parti della Cupola dalla co­rona di piede, per evitare qualsiasi deformazione che il gran peso necessariamente avrebbe prodotto durante il movi­mento. Si è inoltre fatto in modo da facilitare l ’accesso delle corone e di tutte le disposizioni pel movimento, onde per-

; mettere l’ ispezione di esse in ogni tempo (fig. 7).Pel calcolo si considerarono il peso proprio della Cupola,

| quello della neve, la pressione del vento e le dilatazioni per : effetto del calore ; è noto che le forze provenienti dalla neve,

dal vento e dalle dilatazioni sono quelle che possono pro­durre delle deformazioni oblique, perciò si ebbe particolare

| cura nel determinare un giuoco sufficiente alla dilatazione della Cupola in tutte le direzioni; all’uopo si scelse un si­stema con opportune articolazioni, e siccome la Cupola è costituita da una superficie esterna e da un’altra interna, ciascuna completa per sè stessa, così si è avuto cura, per ottenere la stabilità necessaria, di riunirle convenientemente, mediante contravventi, in modo da formare un sistema unico.Il calcolo si è fatto colle ipotesi seguenti :

1° Che le centine dell’apertura della Cupola abbiano a sopportare tutto il peso, ammesso, ben inteso, che le tavole

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L’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI 339

curvate nelle loro parti compresse siano sufficientemente consolidate dalle sbarre della Cupola ed impedite di piegareo di cedere in modo qualunque ;

2° Che tanto la Cupola esterna, quanto l ’ interna sop­portino l ’intero peso, nel caso dovessero cedere le centine deH’apertura.

Il collegamento dei tre sistemi basta a dare all'opera tutta la stabilità desiderata.

Nell’ intercapedine della Cupola vi è un’opportuna sca­letta per accedere alle parti più elevate ; disposizioni adatte sono state previste per allontanare senza inconvenienti la umidità e l ’acqua che potesse penetrare dal disopra della Cupola o dalla sua apertura meridiana.

11 peso che viene mosso, quando si fa girare la Cupola, è considerevole, e in cifra rotonda si può ritenere di 250000 chilogrammi. 1 risultati, dacché la Cupola si trova in eser­cizio, sono soddisfacentissimi, tanto nel movimento a mano, quanto in quello coll’elettricità.

Il Rifrattore (Tav. XXII, fig. 2) è sostenuto da una colonna di ferro molto elevata e si muove intorno a due assi, l'uno dei quali è parallelo all’ asse terrestre, l ’altro perpendicolare al medesimo. È lungo m. 12,50, e in vista delle sue dimensioni straordinarie si applicarono delle disposizioni speciali pel suo maneggio. Comprimendo colla mano l’ estremità inferiore dell’oculare, si può muoverlo, ma questo è solo per casi ecce­zionali ; d’ordinario il movimento gli viene impresso da due ruote a mano con trasmissione per imboccamento, applicate alla parte inferiore della colonna che sopporta l ’istrumento.Il peso da muoversi è di kg. 7000 circa. Uno dei movimenti è diretto in senso contrario alla rotazione della terra, per poter mantenere nel campo del cannocchiale la regione di cielo che si studia durante l ’osservazione, e a questo scopo j serve il movimento di orologio situato nell’avancorpo del i fabbricato, il cui regolatore è situato al piede della colonna, j Quattro aste metalliche, che dall’oculare vanno alla metà j del cannocchiale, servono a fissarlo in una determinata po- < sizione, dove, mediante viti micrometriche, gli si possono far fare ancora movimenti piccolissimi.

Il cannocchiale è doppio, e cioè consta di due cannocchiali I sovrapposti, dei quali l ’uno serve per le riproduzioni foto- j grafiche della vòlta celeste e per rilevare gli spettri degli j astri ; l’altro, perfettamente parallelo al precedente, serve j di guida all’osservatore durante le sue operazioni ; è come un telescopio cercatore. I due cannocchiali sono contenuti in un unico inviluppo d’acciaio, e ciò per accrescerne la ri­gidezza e la stabilità. I due obbiettivi sono fissati sopra una lastra comune di ferro : il maggiore ha un diametro di 80 centimetri e un peso di kg. 300 ; il minore, un dia­metro di 50 centimetri. Questo secondo può servire anche da sè per osservazioni astronomiche.

La seconda costruzione, a cui abbiamo accennato, è l'edi­ficio destinato all’abitazione dell’astronomo capo, il quale necessariamente deve trovarsi in vicinanza al Rifrattore, nonché di un custode e di un macchinista. Questa abita­zione contiene al pianterreno tutte le stanze a ciò neces­sarie, in numero di dieci, e al piano superiore un'installa­zione per l ’eliostato, che l’Osservatorio già possiede, ma che non si poteva utilizzare in modo conveniente, appunto per mancanza di spazio.

L’ installazione consiste in una specie di via della lun­ghezza di 15 metri, elevata all'aperto e libera da ogni parte, sulla terrazza del fabbricato. Questa disposizione veniva

richiesta dal fatto, che per fare delle fotografie del sole è necessario avere un’immagine di esso grande per quanto è possibile, il che non si può ottenere senza una lunghezza relativamente grande del cannocchiale e un apparato d’ in­grandimento alla sua parte inferiore. Nella montatura paral­itica ordinaria del cannocchiale, occorreva una costruzione costosa ed una cupola girevole. Siccome, data la grande luminosità del sole, una perdita di raggi non è un grande inconveniente, si preferisce rendere fissi gli istrumenti de­stinati a tale operazione, sia nella direzione dell’asse ter­restre, sia in quella perpendicolare alla medesima, come si è fatto nell'edificio in parola. In ambedue i casi la luce solare viene riflessa nel cannocchiale col sussidio di uno specchio, il quale, per mezzo di un meccanismo d’orologio, segue costantemente il sole nel suo movimento. Lo specchio è appunto l'eliostato. In questo modo si possono impiegare per l ’osservazione del sole degli spettrometri grandiosi, come quello che possiede l ’Osservatorio, e che pel suo peso enorme non si potrebbe applicare ad un cannocchiale or­dinario.

La terza costruzione è l’officina, modesto fabbricato, dove trovasi un motore a gas di 12 cavalli, una dinamo ed una batteria di 00 elementi, con una tensione di 60 volt ed una forza di scarico di 80 ampère.

La corrente viene, col mezzo di un cavo sotterraneo, con­dotta nell'edificio del Rifrattore e adoperata per l ’illumina­zione e come energia.

La corrente può prendersi anche direttamente dalla di­namo, quando si disgiunga la batteria.

Finalmente intorno ai vari fabbricati si sono costruite le opportune strade di accesso e si sono fatte diverse pianta­gioni, in modo da avere col tempo un bel giardino.

La somma preventivata era di lire 882 812 per l ’ in­sieme delle costruzioni e forniture ; le spese fatte ascesero a lire 880 169, così distinte:

Acquisto'e fornitura di istrumenti. . . . L. 337 500Edificio pel Rifrattore . . . L. 400 420Edificio per gli impiegati e l’elio­

stato » 79 637Officina................................... » 4 962Strade, piantagioni, ecc. . . » 57 650

------------ » 542 669

Totale L. 880 169

Il lavoro è stato iniziato nell'autunno 1896, venne ulti­mato nell’estate 1899 e inaugurato il 26 agosto alla pre­senza dellTmperatore.

L'architetto è stato il signor Saal, consigliere intimo suc­ceduto al primitivo architetto Spieker, dopo la sua morte, e che aveva progettato e costruito gli altri edifici dell’Os- servatorio. La direzione immediata dei lavori era stata con­fidata all'architetto Starkloff e una Commissione di scien­ziati aveva la vigilanza dell’ insieme, in particolar modo per ciò che aveva riguardo alle installazioni scientifiche.

Teramo, 22 dicembre 1901.

Ing. G. Crugnola .

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340 L’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI

E L E T T R O T E C N I C A E SUE APPLICAZ10HI

L’INDUSTRIA IN ITALIA DELLE MACCHINE ED APPARECCHI ELETTRICI

(Continuazione)

*Alternatori. — Si costruiscono ordinariamente per ele­

vate forze elettromotrici e deboli intensità di corrente, di rado pe’ casi inversi di deboli forze elettromotrici ed elevate intensità di corrente. Destinati a fornire sempre grandi quan­tità di energia elettrica, sono del tipo multipolare, onde pos­sano funzionare con numero limitato di giri ed all’occorrenza essere anche direttamente accoppiati con le macchine motrici, che di solito hanno moderate velocità. Alternatori di tipo bipolare non se ne costruiscono neppure per le basse potenze motrici, mai inferiori a’ 20 cavalli, a causa della enorme ve­locità che oltrepasserebbe di molto il valore limite massimo di 30 m. ammesso in pratica, in base agli ordinari valori della frequenza, oscillanti tra 40 e 50.

De’ noti tre tipi di alternatori classificati in base all’or­gano mobile, cioè alternatori ad induttore fisso ed indotto rotante, alternatori ad induttore rotante ed indotto fisso ed alternatori ad induttore ed indotto fissi, detti anche a ferro rotante od a riluttanza variabile, sono attualmente da’ nostri costruttori adottati soltanto i primi due, perchè risultano meno pesanti ed hanno un rendimento migliore. Ambedue i tipi sono provvisti di collettore e spazzole, che propria­mente nel primo servono per inviare la corrente indotta nei circuiti esterni e nel secondo per alimentare con corrente continua a bassa tensione le spirali eccitatrici avvolte su’ nuclei induttori.

Il tipo d’alternatore ad indotto mobile ed induttore ro­tante presenta vantaggi dal punto di vista delle perdite per isteresi e correnti parassite, l ’altro ad indotto fisso ed in­duttore rotante invece dal punto di vista dell’isolamento dei conduttori e delle varie parti della macchina, dell’immis­sione della corrente ne’ circuiti esterni e delle condizioni di funzionamento e di sicurezza. Sembra perciò naturale di do­versi preferire quest’ultimo tipo quando gli alternatori sono destinati a fornire correnti ad alta tensione, ed il primo invece nel caso opposto. Tale norma effettivamente si segue da alcune nostre Case costruttrici ; tuttavia si nota la ten­denza sempre più marcata di adottare in tutti i casi la disposizione che consiste nel rendere l ’indotto fisso e l ’indut­tore girante.

Quando si preferisce questa disposizione si suole all’in- duttore dare la forma di un ordinario mozzo calettato sul­l ’albero della macchina, dal quale si diramano radialmente una serie di nuclei polari avvolti dalle spirali eccitatrici e terminati dalle rispettive espansioni. Negli alternatori però di grandi dimensioni l ’induttore consta di un vero volante sulla corona del quale sono avvitati od imbullonati i nuclei polari.

Non fu adottato da nessuno de’ nostri costruttori il tipo d’ induttore rotante con due serie di poli uscenti da due mozzi o volanti ed affacciati fra loro. È stato invece da qualcuno costrutto un tipo d’induttore rotante a due serie di poli, intercalati quelli di una serie fra quelli dell’altra: tipo che, come ho già rilevato, offre il vantaggio di poter produrre il campo magnetico con una sola spirale eccita­trice, ma poco raccomandabile per i forti disperdimenti ma­gnetici cui dà luogo. È stato anche costrutto un tipo d’in­duttore rotante formato da due di queste doppie serie di poli, affatto identiche, calettate sull’albero della macchina

l ’una a fianco dell’altra per modo che abbiano lo stesso nome non solo i poli direttamente addossati, ma anche quelli esterni, i quali hanno naturalmente nome opposto rispetto a questi ultimi. Questo tipo richiede soltanto due spirali ecci­tatrici, ma, come il precedente, è suscettibile di forti disper­dimenti magnetici. L ’uno e l ’altro hanno perduto oramai molto della loro primitiva importanza e sono costrutti solo da qualche Ditta, ed assai di rado. Mi riferisco perciò per quanto segue sempre al primo tipo ricordato, quello cioè con una sola serie di poli radiali alternati, affacciati con le relative espansioni verso la superficie cilindrica interna dell’indotto fisso.

I nuclei induttori si fanno di ferro o di acciaio fuso che si può ottenere con una permeabilità magnetica piuttosto elevata, mai di ghisa, che avendo una permeabilità magne­tica molto debole, accresce considerevolmente il peso delle macchine. La ghisa è solamente impiegata pe’ basamenti, per i supporti, e negli alternatori di grandi dimensioni anche per le carcasse degli indotti, ed i mozzi degli in­duttori.

Quando i nuclei indotti sono molto dentati si hanno du­rante il funzionamento fluttuazioni di flusso e quindi cor­renti parassite ne’ nuclei induttori. In questo caso questi non si fanno totalmente massicci, ma laminati nelle parti più prossime agl’indotti stessi. Alcuni costruttori si limi­tano a laminare soltanto le espansioni polari che poi fissano in modi diversi a’ corrispondenti nuclei, altri invece per maggiore solidità costruttiva, ed in specie quando gli al­ternatori hanno grandi dimensioni, preferiscono laminare i nuclei polari con le rispettive espansioni, che allora risul­tano costituiti da pacchetti uguali di lamierini di spessore variabile da 0,2 a 0,6 mm., soprapposti l ’uno all’altro e separati fra loro da un sottile strato isolante.

L'isolamento de’ lamierini può effettuarsi in modi diversi : ad esempio, ossidando le superficie de’ lamierini in contatto,o spalmando sopra una delle loro facce delle vernici speciali, come l ’asfalto sciolto nel bitume e nell’olio di lino, ovvero incollando su’ lamierini stessi de’ fogli di speciale carta di spessore piccolissimo, anche meno di 1/ ?0 di mm. Di questi tre diversi modi soltanto i due ultimi sono usati, ed il terzo più del secondo, che, se non toglie a’ diversi pezzi la voluta elasticità per resistere agli eventuali urti e sforzi cui la macchina è sollecitata durante il funzionamento, può però essere difettoso per la facilità che hanno le vernici di fondersi sotto l ’azione del riscaldamento de’ nuclei stessi.

Per isolare i lamierini con fogli di carta si suole proce­dere con due sistemi diversi: secondo l’uno sono dapprima con speciali macchine separatamente tagliati dalle lamiere e da’ fogli di carta i diversi pezzi della forma che si desi­dera, e poscia incollati i pezzi di carta su’ pezzi di lamiera ; secondo l ’altro sistema invece si sottopongono al taglio le lamiere dopo che sono state su di esse incollate a mano o con apposite macchine i fogli di carta. È ovvio che di questi due sistemi è preferibile il secondo, non solo perchè è più economico, ma anche perchè è molto più probabile di far corrispondere esattamente fra loro le parti soprapposte.

Preparati così i diversi lamierini induttori si soprappon­gono nel numero occorrente per formare i nuclei polari, si comprimono poscia sotto potenti presse e si essiccano, se sono stati isolati con vernice. I nuclei successivamente si fis­sano su’ mozzi o sulle corone dell’induttore ed, occorrendo, se ne ritoccano o con lime o al tornio le superficie prospi­cienti verso l ’indotto, onde eliminare le sbavature e le piccole parti sporgenti, che possono essersi prodotte per qualche di­fetto nella, punzonatura o per discentramento de’ lamierini stessi. Questo lavoro di ritoccatura è assai delicato e deve essere condotto in modo da portare via unicamente le sba­

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L’ INGEGNERIA CIVILE E LE AETI INDUSTRIALI 341

vature e non esteso a tutta la superficie, imperocché po­trebbe accadere che appunto in questa si riproducano altri contatti tra i lamierini contigui e quindi, durante il funzio­namento della macchina, probabili correnti superficiali pa­rassite.

Circa le dimensioni che si assegnano a’ nuclei e alle espansioni polari mi limito ad osservare che, in vista della migliore utilizzazione dello spazio, si sogliono accostare fra loro i nuclei fin quanto Io comportano le spirali eccitatrici, compatibilmente con la condizione che non risultino poi troppo vicini i poli di nome contrario per non accrescere inutilmente le dispersioni di flusso magnetico. Tale norma sopratutto si segue per le espansioni polari, che a volte sono arrotondate a’ bordi e spesso leggermente rialzate per modo che, risultando accresciuto in questi punti il traferro, le va­riazioni del flusso induttore sono meno rapide.

Il numero delle spirali induttrici è in generale uguale a quello de’ poli; ma se la potenza dell’alternatore è bassa, può ridursi a metà, collocandone una per ogni coppia di nuclei polari. Le spirali eccitatrici o sono avvolte diretta- mente su’ nuclei polari o su carcasse fissate su di essi con viti, bulloni o squadre. Alcune volte sono le stesse espansioni polari che le tengono a posto su’ nuclei stessi. Le carcasse hanno forme diverse corrispondentemente a’ nuclei polari e possono essere di materia isolante, come cartone compresso, ambroina, ecc., o metalliche, come ferro, bronzo, ottone o zinco. In questi ultimi casi si cerca sempre di ricoprire di uno strato isolante la superficie delle carcasse su cui si ada­giano le spirali eccitatrici. Questa precauzione non è per­tanto assolutamente necessaria, essendo i voltaggi impie­gati per le correnti d’eccitazione sempre deboli, e le spirali eccitatrici sempre isolate da due o tre strati di cotone lac­cato, se costituite con fili di rame, od avvolte da speciale tela, se con sbarre.

Non mi consta che qualche costruttore abbia cominciato ad adottare il sistema che si osservava applicato in un gran numero di macchine dell’Esposizione parigina, secondo il quale le spirali induttrici, formate con sbarre di rame, sono isolate con semplici strisce di carta forte incollate su di una loro faccia, quindi avvolte ad elica e serrate alla pressa, per modo da risultare completamente a metallo nudo sulle superficie esterne.

Alcune volte, compiuto l’avvolgimento, si dispone sulle spirali uno strato di cordone per proteggere i fili induttori.Io non ritengo che questo sia un buon procedimento, perchè si viene in tal modo ad ostacolare il naturale raffreddamento delle spirali di cui la temperatura, in marcia continua del­l ’alternatore, non deve superare di più di 50° la temperatura ambiente per non compromettere l ’isolamento.

La corrente necessaria per l ’eccitazione è prodotta sempre con una macchina eccitatrice indipendente, che spesso è mon­tata sullo stesso albero dell'alternatore. Sebbene sia possibile costrurre macchine a corrente alternata che funzionino come autoeccitatrici, pure attualmente nessuno de' nostri costrut­tori ne costruisce.

Circa la forma degl’ indotti noto subito che quelli a disco non sono stati affatto adottati da’ nostri costruttori, neppure quando erano in gran voga. Fino a pochi anni or sono, in generale, i costruttori di alternatori si preoccupa­vano molto degli effetti della seltinduzione provocati dalle armature con nuclei di ferro, e preferivano per conseguenza il tipo a disco che non richiedeva sostegno magnetico per gli avvolgimenti indotti ed offriva per di più il vantaggio di eli­minare le perdite per isteresi e correnti parassite negl’indotti, non che di dare alle forze elettromotrici forma affatto sinu­soidale. Un inconveniente piuttosto grave e presto ricono­sciuto in questo tipo d’ indotto era però la forte intensità

di corrente per l’eccitazione a motivo del notevole spessore dell’interferro.

Ora invece i costruttori sono quasi tutti d’accordo nel ritenere: che l ’alternatore debba avere una certa induttanza, affinchè nel caso fortuito di corti circuiti non abbia a rovi­narsi per l'aumento che subisce l ’intensità della corrente, — che la curva della forza elettromotrice possa essere non sinusoidale e spesso anche di forma molto acuminata, ad esempio, quando l ’alternatore è destinato per una distri­buzione con trasformatori, il rendimento de’ quali si au­menta appunto con la maggiore acutezza di questa curva, — e che infine si abbia poco consumo di energia per l’ecci­tazione. Per conseguenza essi oggi preferiscono gli altri due tipi d’armatura ad anello ed a tamburo, che hanno nuclei magnetici, ne’ quali poi, con disposizioni speciali, cercano di ridurre quanto più è possibile le perdite per isteresi e correnti parassite. Anzi, appunto perchè con l'ar­matura a tamburo, potendosi annegare i fili conduttori in­dotti nella massa di ferro, si riducono in maggior misura le perdite per correnti parassite e si possono dare agl’in- terferri spessori minori, si suole preferire d’ordinario l ’ar­matura a tamburo. Oltre a ciò, questa si presenta van­taggiosa perchè permette di realizzare un po’ di economia nel rame nelle macchine di debole o media potenza mo­trice, risultando minore la lunghezza de’ conduttori oziosi, non che di adottare la costruzione, tanto generalizzata, con spire avvolte precedentemente su sagome e poi montate sul nucleo.

È vero che l ’avvolgimento ad anello presenta il van­taggio di poter avere una minore differenza di potenziale fra i fili che si susseguono, che è molto più stabile contro gli effetti della forza centrifuga, ed offre una maggiore su­perficie di ventilazione all’avvolgimento, ma è anche vero che si possono conseguire, con opportune disposizioni, suffi­cientemente gli stessi vantaggi anche con gl’indotti a tam­buro. In ogni modo, ne’ tipi di alternatori di costruzione corrente nelle nostre officine, gl’indotti sono sempre a tam­buro ed avvolgono gl'induttori rotanti, con cui sono coas­siali.

Anche ne’ nuclei indotti, com’è noto, si generano cor­renti parassite che sono causa di dissipazioni d’energia sotto forma di calore, abbastanza intense per la brevità e grande sezione de’ loro circuiti. Esse si sogliono ridurre sezionando in più punti i circuiti di queste correnti, ossia laminando i nuclei indotti. Per l ’ordinaria posizione che hanno rispetto agl’induttori, sogliono costituirsi soprappo­nendo l ’uno sull’altro tanti dischi di lamiera di ferro dolceo di eccellente acciaio fuso dello spessore variabile tra0,2 e 0,(3 mm., isolati fra loro con fogli di carta o ver­nici speciali, come i nuclei polari laminati. Spesso per favo­rire il raffreddamento de’ nuclei indotti, si lasciano di tratto in tratto tra i dischi de’ piccoli intervalli.

Per le grandi macchine i dischi non si fanno di un sol pezzo, chè sarebbero allora troppo costosi, ma tagliati in piii parti e disposti per modo che i segmenti di un disco siano sfalsati con quelli del successivo. Per tenere poi i diversi segmenti a posto, i nostri costruttori hanno prefe­rito l ’impiego de’ bulloni, piuttosto che ricorrere ad altri artifici non privi d’inconvenienti e più costosi, come, ad esempio, quello di riunire, mediante saldatura, i segmenti incastrati preventivamente a coda di rondine.

I nuclei indotti possono ossere lisci, a fori ed a denti. Gl’indotti lisci sono quelli per i quali i fili o i cavi sono disposti in uno o più strati alla periferia dell’indotto ; gli indotti a fori e gl’indotti a denti sono invece quelli per i quali i fili o le sbarre di rame sono rispettivamente di­sposti in fori od in scanalature presso la periferia de’ dischi

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342 L’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI

indotti. Gl’indotti lisci hanno, rispetto agli altri a fori ed ! a denti, i vantaggi di una lavorazione più economica, in ! quanto che per i dischi che li compongono possono ado- j perarsi cesoie circolari o coltelli-utensili semplici, di una applicazione più generale, prestandosi per un numero qua- i lunque di fili, non che di dar luogo a minore selfinduzone | ed a curve di forze elettromotrici molto prossime alla si- j nusoide. Per contra, i nuclei indotti a fori ed a denti assicurano meglio la trasmissione del movimento fra il nucleo laminato e l ’avvolgimento, non che l ’isolamento de’ conduttori stessi, presentano minori perdite per correnti pa­rassite e si possono costrurre con interferri molto stretti e quindi con minor numero di spire induttrici e minore in­tensità di corrente d’eccitazione. Essendo nella maggioranza de' casi i vantaggi degl’ indotti dentati e forati sempre supe­riori a quelli degl’indotti lisci, sono di solito preferiti i primi.

I denti ed i fori possono pertanto avere forme diverse: ad esempio, i fori possono essere circolari od oblunghi, ed i denti foggiati per modo da dare luogo a scanalature ret­tangolari, completamente aperte o semi-chiuse. Essendo gli alternatori costruiti per produrre generalmente forze elettromotrici elevate, si comprende ch’è necessario pren­dere grandissime precauzioni per l'isolamento de’ conduttori indotti in rapporto alle lamiere dell’armatura. Esso è ge­neralmente fatto con tubi di micanite dello spessore di 4 a 5 min., prolungati di circa 10 a 20 cm. al di fuori dei due fianchi dell’indotto.

Se l’ indotto è dentato, le spirali indotte possono, come ho incidentalmente dianzi detto, essere preparate in prece­denza su apposite forme ed in seguito collocate ne’ canali dell’armatura; se è a fori, si devono introdurre i fili o le sbarre di rame indotte, le une dopo le altre, ne’ tubi di micanite. La formazione deH’avvolgimento indotto nel primo caso, oltre ad essere meno costoso, offre maggiore garanzia di isolamento, potendosi le spirali con facilità isolare, verni­ciare ed essiccare, permette una formazione rapida e sicura deH’avvolgimento a motivo della forma delle spirali elemen­tari, che mentre non può originare errori di conteggio nel numero de’ canali da lasciare liberi durante la sua esecu­zione, serve di guida nel loro collocamento, ed inoltre faci­lita non solo il ricambio totale di esso, ma anche quello della sola parte eventualmente guasta. È vero che gl’indotti dentati obbligano a laminare i nuclei induttori ; ma questo è un difetto largamente compensato dagli altri vantaggi che si realizzano. Del resto si può eliminare la laminazione de’ nuclei induttori facendo i denti piccoli e numerosi, anziché pochi e grossi. Per queste ragioni si preferiscono da buona parte de’ nostri costruttori gl’indotti dentati. Volendosi, è sempre possibile chiudere con listerelle di legno o di fibra iso­lante i vani lasciati liberi da’conduttori o trattenere questi con fasciature disposte sulla superficie degl’indotti stessi.

Nelle officine di una certa importanza, la fabbricazione de’ dischi indotti si fa completamente con macchine spe­ciali : con cesoie a ghigliottina o circolari si tagliano i dischi che soprapposti poi devono costituire i nuclei indotti, con punzonatrici si effettuano su di essi i fori o i denti, con torni si tolgono dalle superficie esterne le sbavature. La tornitura delle lamiere non dev’essere generale, perchè pos­sono verificarsi, come ho già detto parlando degl'induttori, sempre sulla loro superficie eventuali contatti fra le la­miere. In ogni caso è buona pratica quella introdotta da poco di frapporre nel nucleo laminato de’ fogli di carta di spessore maggiore di quello frapposto fra un disco e il suc­cessivo, in modo da essere certi di ridurre ad una lunghezza minima i possibili corti circuiti superficiali.

A complemento di tali notizie, osservo che si suole anche effettuare la ripulitura de’ fori o denti per togliere le parti

sporgenti e le sbavature. Quest’operazione non è però sempre consigliabile, come non è pure troppo conveniente l ’uso delle frese per la formazione dei denti dei nuclei indotti.

Gli avvolgimenti indotti presentano particolarità diverse a seconda che gli alternatori sono destinati per correnti monofasi, bifasi o trifasi. In generale si può dire che negli alternatori monofasi il numero delle spirali indotte può es­sere uguale al numero de’ poli quando questi sono alter­nati, com’è d’ordinario; nelle macchine a correnti bifasi o

j trifasi questo numero può essere doppio o triplo. Fino a1 pochi anni or sono, gli alternatori monofasi erano mag- ; giormente richiesti, quelli polifasi meno frequentemente;| oggidì invece gli alternatori monofasi si costruiscono d’or­

dinario per gl’impianti d'illuminazione elettrica, quelli poli- fasi, e sopra tutto trifasi, per impianti di distribuzione di energia elettrica od anche per impianti destinati per en­trambi gli scopi. Ciò è dovuto al fatto che i motori polifasi hanno vantaggi superiori a quelli monofasi. Gli alternatori bifasi sono raramente costrutti, sebbene possano essere util­mente adoperati negl’impianti per illuminazione elettrica, perchè obbligano ad una maggiore spesa di rame nelle con­dutture di distribuzione.

Negli alternatori trifasi gli avvolgimenti indotti sono di due specie: a stella od a triangolo. L ’avvolgimento a stella è generalmente preferito, forse perchè permette di risparmiare un po’ di rame nell’indotto, ch’è percorso da corrente di minore intensità.

Tanto negli avvolgimenti indotti degli alternatori mono­fasi, quanto in quelli trifasi a stella, i conduttori indotti si sogliono collegare, come ho detto, fra loro per modo da for­mare delle vere spire, le quali possono facilmente intro­dursi ne’ nuclei indotti od estrarre da essi. E’ ovvio che per gli alternatori trifasi possono assegnarsi più di un foro per fase : d’ordinario non si sorpassano i due fori.

Nel caso degli avvolgimenti polifasi le spire di una fase inevitabilmente s’ intrecciano con quelle delle altre due; sono state anche applicate da’ nostri costruttori disposizioni tali da ottenere l ’avvolgimento affatto simmetrico e da per­mettere il distacco della metà superiore dell’ indotto senza essere obbligati a smontare l ’avvolgimento.

I morsetti degl’ indotti sono generalmente fissati in parti difficilmente accessibili dal personale, per diminuire così i danni che si hanno a lamentare con le alte tensioni : sono di solito fissati al disotto delle carcasse portanti i nuclei indotti. L’albero degli ordinari alternatori si suole fare oriz­zontale, anche ne’ casi in cui essi possono collegarsi diret­tamente con le motrici. L’ incastellatura consta di un basa­mento provvisto di tenditori, al quale sono connessi con bulloni due o tre supporti pel sostegno dell'albero rispetti­vamente ne’ due casi in cui si debba fare, oppur no, l ’accop­piamento diretto colle motrici, non che la carcassa portante il nucleo indotto che può essere tutta di un pezzo o divisa in due parti. Quando l'alternatore ha la dinamo eccitatrice calettata sul suo albero questa è fissata di solito su di una mensola imbullonata o al basamento o ad uno de’ supporti dell’albero medesimo.

*Motori a corrente alternata. — Motori sincroni a cor­

rente monofase o polifase, che presentano i vantaggi di avere un fattore di potenza elevata ed una velocità costante, si possono dire che non sono più adoperati, appunto perchè non si avviano da sè a sotto carico, richiedono l ’aggiunta di una dinamo a corrente continua,destinata a produrre la cor­rente eccitatrice, e non possono funzionare che unicamente alla velocità di sincronismo. La loro costruzione, che in sostanza non differisce da quella delle generatrici, non è stata curata dalle nostre Case costruttrici, dalle quali in-

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L ’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI 343

vece è stata sviluppata e sempre più perfezionata la costru­zione de' motori asincroni. Questi non hanno gl’ inconvenienti de’ motori sincroni e presentano per di più il grande van­taggio di non abbisognare di spazzole od altri organi di comunicazione co’ circuiti esterni, o di usarle soltanto al­l ’atto delLavviamento. Tra i motori asincroni quelli più generalmente adoperati sono i politasi, detti anche a campo rotante o a campo Ferraris, dal nome del loro inventore, che sono alimentati da correnti spostate di fase. Quelli mo­nofasi, cioè funzionanti con semplici correnti monofasi, sono di minore importanza appunto perchè richiedono apparecchi speciali di avviamento.

Ne’ motori asincroni a correnti politasi il campo rotante è ottenuto disponendo convenientemente su di un sistema induttore, che dicesi statore appunto perchè è fermo, bobine percorse da correnti alternate sfasate fra loro. Il numero delle correnti finora adoperate in pratica è 2 o 3 : i motori sono detti allora hi fasi o trifasi rispettivamente. Molto più diffusi sono i trifasi appunto perchè d'ordinario, come ho già più volte rilevato, si preferisce negl'impianti elettrici la corrente trifase alla bifase.

Il nucleo dello statore è costituito da una serie di dischi di lamiera di ferro tra loro isolati. Esso è di solito all'esterno e presenta, come i nuclei indotti degli alternatori, in prossi­mità della superficie cilindrica interna de’ fori o delle sca­nalature, entro cui sono piazzate secondo i soliti processi i fili, i cavi o le sbarre di rame. Nessuno de’ nostri costrut- j tori colloca le bobine su sporgenze, simili a' poli delle mac- ; chine generatrici, per non rendere troppo disuguale la coppia i motrice a causa.della variazione della permeabilità del j mezzo, durante una rivoluzione del campo rotante.

Il sistema indotto mobile, detto comunemente rotore, j consta di un secondo nucleo di ferro laminato, sulla super- ì ficie cilindrica esterna del quale sono disposti secondo le ge­neratrici nel solito modo, in fori o su scanalature, i condut­tori che si sogliono collegare in modi diversi tra loro. Talvolta sono collegati con semplici cerchi metallici per modo da costituire un circuito unico chiuso; si realizza allora l’avvol­gimento così detto a gabbia di scoiattolo o semplicemente a gabbia, che però è soltanto impiegato pe' motori di piccola potenza. Pe’ grossi motori invece si sogliono riunire i con­duttori come le sbarre d'un indotto d'una generatrice a cor­rente continua o polifase, e terminare le estremità degli av­volgimenti che così si formano con anelli isolati, piazzati sull'albero. Questo dispositivo permette, per mezzo di spaz­zole, d’ introdurre nell' indotto alla messa in marcia resi- j stenze, le quali servono a limitare la corrente d'avviamento ! quando, il rotore essendo fisso, la velocità del campo rotante j in rapporto ad esso ha il suo maggior valore. Queste resi- I stenze possono essere metalliche o liquide.

Da alcune nostre Case costruttrici furono, come ho già ; detto, brevettati a tale proposito avviatori automatici fun- j zionanti per forza centrifuga, i quali permettono di togliere | la resistenza inserita nell’ indotto man mano che il motore I si avvia, di mantenerla disinserita durante la marcia del mo- | tore e di tornarla ad inserire quando esso si arresta. Essendo j i conduttori tanto nel rotore, quanto nello statore, annegati j nel ferro, si può dare all’ interferro uno spessore piccolissimo i col vantaggio di evitare le perdite e di diminuire la resi­stenza del circuito magnetico. Le superficie affacciate sono così interamente metalliche e più facili a mettersi a posto.

Le nostre Case costruttrici quasi tutte hanno curato in modo speciale la costruzione de’ motori asincroni a campo rotante del tipo ermeticamente chiuso, che assicurano una conservazione maggiore dell’ isolamento degli avvolgimenti preservati dalla polvere, limature metalliche, materie grasse, vapori ed altre sostanze, facilmente trasportabili dall’aria.

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Per queste ragioni essi trovano largo impiego nelle officine dove si hanno produzione di pulviscolo, emanazioni di gaso di vapore e molta umidità, come ne’ mulini, nelle fab­briche di prodotti chimici, nelle miniere per l ’azionamento delle pompe da collocarsi entro pozzi, e via dicendo. E' ovvio che questi motori chiusi per la loro minore facilità di raf­freddamento devono essere calcolati in modo da avere un rendimento più alto, per minori perdite nel ferro e nel rame. Spesso si costruiscono con riduttori di velocità direttamente accoppiati.

I motori asincroni monofasi, come i polifasi, hanno lo statore esterno ed il rotore interno, entrambi co' nuclei la­minati e con avvolgimento di solito a tamburo. La corrente che s'invia nell'avvolgimento.dello statore essendo alternata monofase non genera, come ne’ motori asincroni polifasi, il campo rotante : è per questo che bisogna provvedere all'av- viamento del motore. L’artificio solito cui si ricorre per tale scopo è quello di generare il campo rotante nel periodo del­l'avviamento. Ciò si consegue di solito producendo, alla messa in marcia, per mezzo d'una bobina di selfinduzioneo di un condensatore due correnti alternate opportunamente sfasate tra loro che percorrono due avvolgimenti distinti collocati sullo statore. Quando il motore è avviato, s’ invia senz’altro la corrente monofase di cui si dispone soltanto nell’avvolgimento destinato ad essere percorso nel periodo di lavoro.

Un altro sistema di avviamento de" motori asincroni mo­nofasi, adottato da qualcuna delle nostre Case costruttrici, è quello ideato dall'ingegnere Arno, per mezzo del quale essi funzionano sempre sotto l'azione di una sola corrente alter­nata tanto nel periodo di lavoro, quanto in quello d’avvia­mento. Ecco in che consiste :

S’inserisce, durante i primi istanti del periodo di avvia­mento, in ciascuna delle spirali elementari dell’armatura, una determinata resistenza addizionale, tale che, detta r ed L rispettivamente la resistenza e l’induttanza del cir­cuito cui uno di queste spirali appartiene ed n la frequenza della corrente alternata, risulti r inferiore, ma di poco, a 2 ttìiL ove n è il rapporto della circonferenza al diametro; s’imprime quindi alla parte mobile dell’apparecchio una de­terminata velocità -iniziale, quale è quella che si ottiene fa­cendo percorrere un quarto di giro alla puleggia o dando uno strappo alla cinghia del motore; infine si diminuiscono gradatamente, fino ad escludere da' singoli circuiti, cui ap­partengono le spirali elementari di armatura, le resistenze addizionali, per le quali il motore si avvia da sè come mo­nofase in corrispondenza di una debolissima velocità iniziale.

I vantaggi di questo metodo d'avviamento, che l’Arnò ha ampiamente illustrato in due Memorie, si possono rias­sumere ne’ seguenti :

a) Esso è semplice e non richiede manovre speciali ;b) Non richiede che i motori abbiano l ’induttore co­

stituito da due gruppi di spirali, eliminandosi quello se­condario richiesto con gli altri sistemi per l ’avviamento, e perciò ne semplifica la costruzione ;

c) Elimina l'apparecchio a reattanza con cui si produce il necessario spostamento di fase fra le due correnti che ge­nerano il campo rotante ;

d) In corrispondenza della resistenza di avviamento inserita in ciascuna spirale elementare d’armatura, e nei primi istanti del periodo iniziale, rende l'intensità efficace della corrente alternata nel circuito induttore presso a poco uguale a quella che nelle condizioni di carico, dovuto sol­tanto alla cinghia ed alla puleggia folle, si ha nel periodo di funzionamento normale del motore: condizione questa che non si può raggiungere con gli altri metodi in uso ;

e) Riduce il costo de’ motori stessi.

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344 L’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI

*Trasformatori. — Sotto questa denominazione, com’è

noto, sogliono indicarsi tutti quegli apparecchi che hanno per iscopo di modificare la natura delle correnti in riguardo alla loro forma e tensione ; si hanno perciò i trasformatori di tensione, i trasformatori di corrente ed i trasformatori di fase.

Non mi occupo di questi ultimi che sono raramente im­piegati, nè de’ trasformatori di corrente, sotto la quale deno­minazione rientrano anche i trasformatori rotativi, le com­mutatrici ed i raddrizzatori di corrente, che in questi ultimi anni si sono cominciati ad impiegare per la trazione, ma di cui la costruzione presso di noi è appena iniziata ; e mi fermo a parlare esclusivamente de’ trasformatori di tensione, che possono essere a corrente continua od alternata.

Fra i primi sono notevoli gli egualizzatori impiegati nelle reti di distribuzioni a più fili ed i survoltori che, oltre ad essere impiegati negli alimentatori delle reti di distribuzione per compensare le cadute di tensioni, sono impiegati anche nelle installazioni elettriche con batterie di accumulatori, sopratutto per eliminare il pericoloso sistema de' riduttori destinati a far variare il numero degli elementi di una bat­teria, messa in parallelo con una sorgente d’elettricità a tensione costante.

Anche la costruzione di questi apparecchi è presso di noi all'inizio. È invece molto progredita quella de’ tra­sformatori a corrente alternata, assolutamente sconosciuti appena 20 anni or sono, a’ quali si deve sopratutto la rea­lizzazione del problema del trasporto dell’energia elettrica a grandi distanze e ad alte tensioni.

Questi apparecchi sono reversibili, cioè possono servire ad elevare la tensione o a diminuirla. Se ne può vedere su­bito l'impiego di ambedue i tipi nel caso di trasporto di energia elettrica che si ha interesse di fare ad alta tensione per evitare le perdite di energia nelle linee e l'impiego di grossi conduttori. Infatti quando non si vogliono installare nella stazione generatrice alternatori di altissima tensione ma alternatori di tensione minore, si può elevare alla sta­zione stessa la tensione con trasformatori che funzionano da elevatori ed abbassare poi la tensione alla stazione ricettrice con altri trasformatori simili, ma funzionanti in modo in­verso a’ primi, che si possono dire diminutori. Un'installa­zione di questa natura è stata fatta dalla Società Siemens e Halske di Berlino nell’impianto di Castellamonte.

Tutti i nostri costruttori hanno adottato in questi appa­recchi per diminuire le dispersioni di ilusso, circuiti magne­tici assolutamente chiusi, i quali sono costituiti da nuclei laminati di ferro, come i nuclei indotti degli alternatori, sempre per ridurre le perdite dovute alle correnti parassite.I due circuiti, primario e secondario, si sogliono soprapporre a strati alternativi su' nuclei magnetici o tenere accostati l ’uno a fianco dell’altro ; nel primo caso occorre provvedere ad un isolamento più accurato che nel secondo, il quale rispetto al primo ha però l'inconveniente di una maggiore perdita di flusso magnetico. L ’isolamento de’ circuiti oramai si fa bene dalle nostre Case costruttrici: basta ricordare i trasformatori per le elevate tensioni di 50000 e 60000 volt, rispettivamente costrutti dalla Ditta Gadda di Milano e dalla Ditta Caramagna di Torino. Fra gli isolanti di solito j impiegati sono il cotone, la tela paraffinata, l ’amianto, il ; pressphan, la mica o i suoi succedanei. Gli avvolgimenti sono poi costituiti da fili di rame tanto pel circuito primario quanto pel secondario ; per questo però si può sentire il bi- j sogno d’impiegare anche vere sbarre di rame, se occorrono per le forti intensità di corrente conduttori di grande sezione, j

I trasformatori a corrente alternata possono impiegarsi j tanto per le correnti monofasi, quanto per quelle polifasi. In ;

quest'ultimo caso i circuiti magnetici corrispondenti alle diverse fasi si sogliono allora spesso combinare in modo da ridurre al minimo il peso del ferro occorrente.

*Dinamo. — Si costruiscono per potenze motrici variabili,

ma non tanto elevate, per deboli o forti intensità di corrente e per forze elettromotrici basse od alte, non però paragonabili a quelle elevatissime degli alternatori. Il bisogno che queste macchine hanno di collettori o commutatori a segmenti, impropri per le alte tensioni, limita la costruzione delle dinamo a tensioni che, secondo alcuni autori, non devono oltrepassare i 5000 volt. Possono essere bipolari o multipo­lari. 11 tipo bipolare si adotta di solito per basse potenze motrici, che da qualche Casa forse inopportunamente si spingono fino a’ 25 cavalli. Il tipo multipolare si adotta per le potenze maggiori, imperocché, per i grandi diametri che assumono gli indotti, i nuclei induttori possono farsi meno voluminosi, le reazioni dell’ indotto possono dimi­nuirsi e la macchina rendersi meno pesante.

Nelle dinamo, a differenza degli alternatori, l ’ indotto è quasi sempre rotante e l’induttore invece fisso. Tipi di di­namo ad induttore mobile ed indotto fisso, od a ferro ro­tante non si costruiscono probabilmente per la maggiore complicazione che deriverebbe circa l ’ invio della corrente indotta ne’ circuiti esterni. Infatti in questi due casi occor­rerebbero due collettori e due sistemi di spazzole : un primo collettore, cioè, a segmenti, collegato con l'indotto fisso, un primo sistema di spazzole rotanti sulla sua superficie, un secondo collettore ad anelli, simili a quelli degli alternatori, connesso col primo sistema di spazzole e quindi rotante con esso, ed un secondo sistema di spazzole fisse comunicanti col circuito esterno ed appoggiate su questo secondo col­lettore.

Ne’ tipi delle nostre Case costruttrici l ’induttore fisso av­volge sempre l'indotto mobile, cui è coassiale. Il tipo adot­tato dalla Ditta estera Siemens e Kalske di Berlino, nel quale l'indotto mobile avviluppa l’induttore e funge anche da collettore, non fu da noi imitato.

Le forme assegnate agli induttori non sono numerose; sembra che i nostri costruttori tendono all’uniformità di pochi tipi, che possono poi prestarsi a variazioni essenzial­mente di carattere meccanico piuttosto che elettrico. Infatti è evidente la tendenza di preferire i tipi di induttori con nuclei polari avvolti dalle spirali eccitatrici aventi gli assi concorrenti verso quello dell'indotto. Così vanno sempre più perdendo importanza, nel caso delle dinamo bipolari, le di­namo del tipo superiore e quelle del tipo Manchester, tanto diffuse fino a pochi anni or sono. D'ordinario, se la dinamo è bipolare, i nuclei polari sono fusi insieme con le carcasse, di forma di solito rettangolare ; se multipolare, sono di ri­porto sulle carcasse circolari o poligonali, che, a loro volta, mediante bulloni, sono fissate a’ basamenti.

Circa il materiale che s'impiega per i nuclei induttori, le loro dimensioni, la loro laminazione, nel caso d’ indotti den­tati, il numero, la formazione e collocamento delle spirali eccitatrici, valgono anche per le dinamo le stesse osserva­zioni fatte per gli alternatori. Riguardo l’eccitazione noto soltanto che molto di rado, a differenza degli alternatori, è indipendente. D’ordinario si costruiscono le dinamo autoec­citatrici: de’ tre diversi modi di autoeccitazione, in serie, in derivazione e composta, è di solito preferito quello in de­rivazione.

Riguardo alla forma dell’indotto per le dinamo sono ado­perati gli indotti ad anello ed a tamburo. Soltanto gli in­dotti a disco attualmente non si costruiscono ; ma non è da escludere che potranno tornare in uso, forse ne’ casi di di­namo destinate a funzionare con grande velocità.

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L'INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI 345

Parlando degli alternatori ho citati i vantaggi e gli in- j convenienti che per essi presentano gli indotti a tamburo e j gli indotti ad anello. Nel caso delle dinamo, le stesse osser- j vazioni fatte allora possono tutte ripetersi; possono anzi aggiungersene altre, di cui credo utile di far cenno, anche per far risultare in quali casi possa tornare conveniente l ’adozione dell’uno e dell’altro tipo.

Gli indotti ad anello presentano nelle dinamo, se di pic­cole dimensioni, una costruzione molto semplice dell’avvol­gimento e quindi una maggiore facilità d’ ispezione per la ricerca de’ guasti e di riparazione; permettono poi, nel caso di basse tensioni, di dare al collettore, a parità di tratti at- j tivi, un numero di sezioni maggiore di quello realizzabile negli indotti a tamburo, e quindi minori pulsazioni nell’in- j tensità della corrente. Per contro, essi, rispetto agli indotti J a tamburo, hanno un volume complessivo maggiore, danno < luogo ad una più sensibile reazione d’ indotto e richiedono una maggiore proporzione di filo inattivo e l ’ impiego di lanterne di bronzo nelle piccole macchine e nelle grandi in parte in ghisa ed in parte in bronzo, per ridurre le perdite per correnti parassite che si verificano in esse, pel fatto che ì fili interni creano un campo magnetico di direzione fissa j nell’ interno dell’ indotto. Inoltre questi fili spostandosi in tal campo sono sede di forze elettromotrici contrarie, che j rappresentano una diminuzione di effetto della macchina a \ parità di peso, volume e dimensioni. Patta perciò eccezione j delle piccole dinamo, si suole quasi sempre preferire anche per queste generatrici, gli indotti a tamburo a quelli ad anello.

Anche qui si possono ripetere le stesse osservazioni fatte occupandomi degli alternatori riguardo alla forma, lamina­zione, isolamento e costruzione de’ nuclei indotti a tamburo, a" diversi sistemi per assicurare su di essi i fili conduttori, e a quali di questi sistemi si suole dare la preferenza. Circa i nuclei ad anello aggiungo soltanto che essi hanno la formaOo Oanaloga a quella di un indotto a tamburo liscio, in quanto che i conduttori costituenti l ’avvolgimento sono piazzati informa di spire sulla loro superficie.

Nel caso d'indotti a tamburo per piccole dinamo, le lamine possono andare fino all’albero, dal quale è inutile d’altra parte d’isolarle, e sono insieme chiavettate sull’albero stesso e serrate fra loro per mezzo di piastre e bulloni. Per le mac­chine più importanti gl’indotti sono costituiti, quando le dimensioni lo permettono, di dischi in lamiera che sogliono collocarsi su appositi mozzi di ghisa tra due spallamenti ; di questi uno è fisso e l ’altro è mobile e si serra contro i dischi per mezzo di un dado. I mozzi possono farsi di un pezzo o in due parti serrate da bulloni.

Per macchine ancora di maggiori dimensioni, invece del dado, si possono impiegare bulloni traversanti gli spalla- menti e i dischi di lamiera, di preferenza in punti degl'in­dotti dove le linee d’induzione sono meno numerose. Talvolta si sogliono serrare i dischi di lamiera tra due altri dischi di bronzo di maggior spessore con bulloni, e fissare poi su’ mozzi le corone risultanti a mezzo di chiavette, che trovano sede j in scanalature praticate su’ mozzi e su’ dischi stessi, o a j mezzo di risalti venuti di getto co' mozzi medesimi, che s’im- j pegnano in scanalature corrispondenti praticate ne’ dischi. !

Nel caso degl'indotti ad anello, le carcasse o lanterne sono ; provviste di alette che si collegano in modi diversi a’ nuclei indotti. Talvolta la trasmissione del moto tra le carcasse ed i nuclei si fa mediante chiavette o bulloni piazzati tra i dischi e le alette. Rilevo a questo proposito che le lanterne degl'indotti sono spesso disposte per produrre una ventila­zione artificiale.

Gli avvolgimenti indotti sono sempre del tipo di Pacinotti. Nel caso delle dinamo multipolari, a seconda del risultato

Fase. 22° — Fog. 2°

che si vuol conseguire, gli avvolgimenti si fanno in serie, in parallelo o misti ; quelli in serie si prestano per forti ten­sioni, quelli in parallelo per grandi intensità di corrente e quelli misti, ne’ quali il numero de’ circuiti interni è di­verso dal numero de' poli, pe’ c$si intermedi.

Nel caso in cui si impiegano gl’indotti lisci, i nuclei in­dotti sono verniciati e muniti di una guarnitura isolante ge­neralmente di tela imbevuta d’olio di lino, sulla quale si appoggiano i conduttori indotti. Per impedire poi le defor­mazioni che potrebbero essere prodotte a motivo degli sforzi laterali e dell'azione della forza centrifuga, si dispongono delle fasciature trattenenti i conduttori, formate in generale da fili o nastri sottili d'ottone.

Gli avvolgimenti, come è noto, sono riuniti in punti equi­distanti a’ segmenti successivi del collettore, che è collocato sull’albero della macchina. Il collettore è di solito costituito da lamine di bronzo o di rame, separate da sottili striscie isolanti di cartone compresso speciale, se la macchina è a basso potenziale, di mica o micanite, se ad alto potenziale. Queste lamine, di solito a sezione trapezoidale ed in numero sufficiente affinchè il voltaggio medio non oltrepassi i 30o i 35 volt, sono montate su apposito manicotto, o carcassa portante, per modo da formare un cilindro. Nelle piccole macchine la chiusura delle lamine al manicotto è fatta per mezzo di un anello e di un dado, nelle grandi macchine per mezzo di segmenti fissati con viti sul manicotto. L ’isola­mento delle lamine in rapporto al manicotto che le sostiene, è fatto con cartone compresso speciale per i bassi potenziali,

: in mica o micanite per i voltaggi elevati, raramente in car- ! tone e mica, dello spessore in generale di circa 4 o 5 mm.| Le lamine del collettore, se di bronzo, portano spesso una j coda venuta di getto per la connessione co’ fili dell’indotto;| se di rame laminato, questa connessione si fa sulle lamine

stesse dell’indotto, sia a mezzo di saldatura, sia con viti, ovvero saldando delle listerelle di rame in scanalature pra-

| ticate ne’ fianchi delle lamine del collettore e collegando poi ! queste listerelle co’ conduttori indotti.

La corrente è raccolta dal collettore per mezzo di spaz­zole, che possono essere metalliche o di carbone. Le spazzole

j metalliche sono impiegate di solito per le macchine a bassa : tensione e grande intensità di corrente ; le spazzole di car- | bone ne’ casi opposti. Queste si presentano vantaggiose non | solo perchè riducono lo scintillìo al collettore e non abbiso- | gnano di essere invertite nel caso di inversione della rota- | zione della macchina, ma anche perchè dànno una maggiore | resistenza ad ogni elemento nel momento del corto circuito I e si prestano per un’opportuna autolubrificazione, formando

sulla superficie del collettore un velo di grafite, che come | lubrificante è migliore dell’olio. È utile notare che questo | velo di grafite non dev’essere spesso, perchè altrimenti si | avrebbe un corto circuito su tutta la superficie del collettore | con grande scintillìo e rovina di esso. Conviene quindi sce- : gliere per la formazione delle spazzole una grafite non troppo ! dura, nè troppo grossa.

Il tipo del collettore maggiormente adoperato è quello di grande lunghezza e piccolo diametro, affinchè riesca ampia la superficie di contatto fra le spazzole ed il collettore, e pic­cola la velocità periferica per avere una minore perdita per attrito. Nel caso di macchine multipolari, in cui le spazzole lavorano in parallelo, si adotta però il tipo di collettore corto

j ed a grande diametro. Ma, a parità di condizioni, devesi | avere sempre per il collettore una lunghezza maggiore con I le spazzole a carbone che non con le spazzole metalliche.! Spesso è necessario in una dinamo di poter ricambiare le ! spazzole. A questo scopo, esse sono montate su di un col­

lare (portaspazzole) portato dall’incastellatura della mac­china clic può girare intorno ad un cuscinetto per mezzo di

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346 L’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI

un braccio, ma che per mezzo d’una vite a pressione può fis­sarsi quando ha raggiunto la posizione conveniente. Nelle grosse macchine il portaspazzole è fissato ad una corona portata dalla carcassa degl’induttori per sostenere in modo molto più rigido i suoi alberelli ; la corona poi si sposta per mezzo di viti e ruote elicoidali od altri meccanismi analoghi.

Molte volte occorre riunire le spazzole separatamente fra loro le positive e le negative per inviare una forte intensità di corrente ne’ circuiti esterni. Si può ottenere lo stesso scopo con due sole spazzole, adottando speciali avvolgimenti.

In riguardo agli alberi, a’ supporti ed a’ basamenti delle dinamo, nonché agli accoppiamenti di esse con le motrici, valgono le stesse osservazioni fatte parlando degli alterna­tori.

*

Motori a corrente continua. — La costruzione di questi motori non differisce da quella delle dinamo ; perciò non avrei nulla da aggiungere a tale riguardo. Credo però utile di rilevare che quasi tutte le Case costruttrici hanno curato in modo speciale la fabbricazione de' motori a corrente con­tinua, del tipo ermeticamente chiuso, come pe’ piccoli mo­tori trifasi, che hanno contraddistinto col nome di motori corazzati, od anche motori del tipo Marina, perchè molto impiegati sulle navi pel comando delle macchine-utensili di bordo. Sono peraltro impiegati per le tramvie e per altri scopi, come ho avuto occasione di rilevare altra volta. Si comprende che ciò doveva verificarsi, giacché se .per i mo­tori a corrente alternata hanno valore le ragioni accennate a favore de’ motori chiusi, con maggior forza esse si possono ripetere per i motori a corrente continua, dove, oltre agli avvolgimenti, conviene proteggere il collettore da materie estranee pericolose per l ’isolamento.

E ad onore del vero posso rilevare con compiacimento che la costruzione di questi motori non lascia nulla a desiderare. In quasi tutti i tipi delle nostre Case gli avvolgimenti di questi motori sono costituiti da matassine avvolte separata- mente su apposite forme ed i collettori sono composti esclu­sivamente di rame elettrolitico trafilato, lastrine di mica e pezzi isolanti interni di micanite. Questi motori chiusi, com­pletamente in lamiera e perciò leggeri, con spazzole fisse in j carbone, non richiedono maggiore sorveglianza de’ motori j trifasi, a’ quali sono superiori in tutti i casi in cui convenga j variare la velocità. Anch’essi si costruiscono aH’occorrenza con riduttori di velocità direttamente accoppiati, come pe’ ; motori trifasi.

*

Dopo quanto ho fin qui esposto, credo di non errare affer­mando che l ’ industria delle macchine elettriche in Italia, j dove i primi concetti sul macchinario elettrico si realizza- ; rono per opera di Pacinotti e di Ferraris, può anche met- j tersi in linea coll’ industria straniera. Le nostre macchine elettriche, sia a corrente continua, sia a corrrente alternata, non sono nè per peso, volume, rendimento e costo, inferiori a quelle straniere. Questi risultati, se trovano la loro princi- j pale ragione nella migliore scelta ed utilizzazione del mate- ■ riale che le costituiscono, rese possibili per la conoscenza j oggi più approfondita de’ circuiti magnetici ed in genere de’ J fenomeni elettromagnetici e per la facile calcolazione de’ di- j versi organi costituenti le macchine stesse, non solo dal punto ; di vista meccanico, ma anche da quello elettromagnetico, ! trovano eziandio la loro spiegazione nella perseveranza ed j amore che animano i nostri costruttori di svincolare la nostra j industria dalla soggezione straniera. Le nostre macchine, j razionalmente costrutte e sempre meglio rispondenti alle j svariate esigenze delle applicazioni industriali della corrente ! elettrica, hanno guadagnata la simpatia di una buona parte ;

de’ nostri industriali ed opposto già un freno alla forte■ concorrenza straniera. Però, affinchè l ’opera di emancipa­

zione dall’estero, con tanto ardore già avviata, possa com­piersi ed una vantaggiosa esportazione possa iniziarsi, è

I d’uopo l ’appoggio del nostro Governo, al quale spetta con : sagge disposizioni di provvedere ad una più giusta perequa- : zione doganale ed alla restituzione de’ dazi per l ’esporta­

zione.I I . — A c c u m u l a t o r i e l e t t r ic i .

Le principali Case italiane costruttrici di questi appa­recchi sono : la Ditta Giovanni Hensemberger di Monza, la

| Fabbrica italiana di accumulatori elettrici leggeri e la Ditta | Debenedetti, Tedeschi e C. di Torino, la Società italiana di 1 elettricità già Cruto e la Fabbrica nazionale di accumula- j tori Tudor di Genova. Di queste soltanto la penultima par­

tecipò all'Esposizione di Parigi, mandandovi gli accumula- | tori del tipo Pescetto, che allora unicamente costruiva, insieme » con i diversi tipi di lampade elettriche ad incandescenza, pure \ di sua fabbricazione. Farò un breve cenno di ciascuna.

*Ditta Giovanni Hensemberger. — Questa Ditta nel 1892

aggiunse un’officina per la costruzione di accumulatori elet- | trici al suo stabilimento meccanico di Monza, che copre unI terreno di 5800 mq. Fabbrica accumulatori del tipo Hagen i con lastre a griglia e materia attiva tenera riportata. Le | anime delle lastre constano di due griglie uguali con nerva- | ture ad angolo retto ed a sezione triangolare, soprapposte

l ’una sull’altra per modo da far combaciare le nervatureI stesse fra loro e collegate ne’ punti d’incrocio di queste me- j diante caviglie e lungo i contorni mediante cornici massicce j di piombo. Le cavità esistenti fra le nervature, appunto per ! la forma di esse, si restringono verso la parte esterna delle | griglie, e perciò rendono meno facile la caduta della so- ,■ stanza attiva.! Il processo di fabbricazione delle lastre positive e nega- • ti ve è il seguente: Si formano dapprima con le solite mac­

chine a stampo e controstampo le anime di argilla per la fondita delle lastre di piombo, poi si portano entro staffe metalliche e si lasciano essiccare completamente, riscaldan­dole mediante cannello ad idrogeno. Si versa quindi nelle dette staffe il piombo fuso e ve lo si lascia fino a che si sia solidificato ; infine si tolgono le lastre di piombo, che così si ottengono per estrarne le anime ed introdurre a mano in loro vece l ’ossido di piombo compresso. Le lastre negative hanno talvolta le anime costituite da griglie semplici.

Così fabbricate, le lastre sono assoggettate all'azione della corrente normale di carica durante sette od otto giorni, dopo di che sono lavate con acqua e messe in opera. Le casse de­stinate a ricevere le lastre e l’acido solforico, che dev’essere a 21° Beaumé, sono di legno rivestito internamente con la­mine di piombo, saldate fra loro mediante piombo col can­nello ad idrogeno.

Per batterie così dette di ripulsione e per trazione, questa Ditta fabbrica anche un altro tipo di lastre positive costi­tuite da anime centrali di conveniente spessore di piombo laminato, sulle cui due faccie, mediante speciale utensile, sono rilevate una serie numerosa di costole sottili, parallele, molto vicine fra loro ed alquanto inclinate. L’inclinazione delle costole di una faccia è opposta a quelle sull’altra faccia ; tale disposizione, secondo la Casa, favorisce la buona diffu­sione dell’acido. Inoltre le lastre, per essere percorse dalla corrente in tutte le parti, sono provviste in alto di due oc­chielli laterali, entro i quali s’infilano due liste di piombo. Dopo fabbricate, si sottopongono all’azione della corrente per essere formate.

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L'INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI 347

*Fabbrica italiana di accumulatori elettrici leggeri. —

Gli accumulatori costrutti da questa fabbrica torinese sono del sistema di Giovanni Garassino, brevettato nel dicembre 1899. Le carcasse delle lastre hanno la forma di sottili cas­sette, che contengono la materia attiva costituita da protos­sido di piombo granuloso, destinata ad essere ridotta, inve­stita dalla corrente, in piombo puro poroso per le lastre ne­gative ed in ossido pulce per le positive. Ciascuna è formata con una lamina di piombo molto antimonioso di conveniente spessore, tutta bucherata, la quale è avvolta per modo da formare una cassettina stretta senza fianchi, dopo essere stata preventivamente molte volte pieghettata in senso tra­sversale ; le pieghe sono inclinate verso l ’alto rispetto alla superficie della lamina e quelle di un lato di questa sfalsate con quelle dell’altro lato. La lamina così lavorata è poi chiusa ne’ fianchi con lamine di piombo della stessa natura.

Le numerose pieghe delle carcasse, oltre ad aumentare la superficie della lastra, non si oppongono, ma favoriscono le dilatazioni della materia attiva, mentre la loro inclina­zione agevola il libero efflusso de’ gas durante la formazione di essa. Allo scopo di permettere ancora di più le dilatazioni alle lastre stesse e al loro insieme che costituisce l ’elemento, tutto all'intorno di questo sono collocate lamine di ebanite bucherate ed ondulate. Inoltre, per aumentare la solidità dell’elemento, le varie lastre sono tra loro separate da sot­tili lamine di ebanite pure bucherate e con nervature che non diminuiscono in modo apprezzabile, per altro, la super­ficie della lastra stessa. Esse, infine, sono collegate in alto, separatamente le positive dalle negative, mediante traverse di piombo e sostenute in basso da speciali cavalletti di eba­nite. Formate, vengono compresse per ottenere una buona coesione tra le parti. Gli elementi sono racchiusi in vasi di vetro, cassette di ebanite o di legno rivestito di guttaperca.

*Ditta Ing. Debenedetti, Tedeschi e G. — È rilevataria

de’ brevetti della Electricitats Gesellschaft Gelnhausen sugli accumulatori a polvere di piombo. Le ricerche su questo tipo di accumulatore furono iniziate in un momento in cui l’industria degli accumulatori era alquanto preoccupata da’ risultati poco soddisfacenti che si avevano dagli accumula­tori così detti Planté, con le negative ad ossidi ed a griglie, e le positive a nervature sottili formate con processo elet­trochimico. Invero, l'impiego degli ossidi nelle negative dava spesso origine ad una forte caduta di materia in grossi pezzi, poiché gli ossidi, riducendosi in piombo spugnoso, diminui­vano di volume, e le nervature, gli alveoli o le griglie non erano più adatti a trattenerli ; inoltre per le lastre positive, in mancanza di materia attiva rapportata, si doveva cercare di aumentarne la superficie attiva mediante nervature troppo sottili e di affrettarne la formazione, onde riuscisse meno costosa, mediante attacchi preventivi con perclorato di po­tassa od altri bagni clorurati. Le ricerche adunque erano di­rette a costruire un tipo d’accumulatore che non avesse os­sidi rapportati, nè alcuna parte o nervatura troppo sottile che non fosse sottoposta ad una preparazione chimica preli­minare, che fosse formato, in tempo relativamente breve, con attacco degli elettrodi, così positivi che negativi, con la cor­rente elettrica, e che non costasse più degli altri tipi mag­giormente noti.

Si pensò allora di modificare semplicemente l ’idea primi­tiva del Planté nel senso di avere in luogo di una placca di piombo massiccio, del piombo estremamente suddiviso e facilmente attaccabile, del piombo cioè in polvere finissima; e si fece brevettare con l'accumulatore a polvere di piombo un metodo assolutamente nuovo per ridurre il piombo in

polvere impalpabile. La Ditta Debenedetti, Tedeschi e C., attualmente è l ’unica in Italia che costruisce per l ’industria accumulatori di questo tipo.

Descriverò brevemente come si compie nell’officina di questa Ditta tale fabbricazione. Questa consta delle se­guenti fasi : tiratura de’ nastri di piombo, taglio de’ nastri, formazione de’ supporti od ossature delle lastre, polverizza­zione del piombo, riempimento de’ telai, e formazione delle lastre.

La tiratura de’ nastri si compie per mezzo di pressa idrau­lica attraverso ad una filiera. La Ditta dispone appunto di una pressa potentissima orizzontale di cui il cilindro può contenere 150 kg. di piombo. La pressione idraulica di 400 atmosfere nel cilindro d’acqua è prodotta da un sistema di 5 pompe, di cui una soltanto è a grosso stantuffo. Questa inizialmente spinge lo stantuffo della pressa a forte velo­cità, fino a che la pressione ha raggiunto le 25 atmosfere, quindi viene automaticamente esclusa, mentre le altre quattro a piccolo stantuffo, calettate sullo stesso albero a distanza angolare di 90°, provocano l ’avanzamento dello stantuffo medesimo della pressa con dolcezza e sufficiente uniformità. Essendo le sezioni de’ due cilindri, d’acqua ed

j a piombo, nel rapporto di 5 a 1, la pressione sul piombo riesce di circa 2000 atmosfere. I nastri di piombo puro uscenti dalla pressa idraulica hanno delle nervature longi­tudinali a T, sono compatti ed omogenei e a sufficienza ro­busti non solo per la forte compressione, ma anche per gli spessori che sono in ogni parte superiore al millimetro.

La formazione ed il riempimento de’ supporti delle lastre non presentano notevoli particolarità. Tagliati i nastri in pezzi di diversa lunghezza, a seconda del tipo di lastra che si vuol fare, si riuniscono in numero di cinque o sei con due grossi regoli, fortemente saldati alle estremità. Tra un nastro e l’altro si lascia uno spazio libero di 5 mm., e ciò allo scopo di favorire le eventuali dilatazioni del piombo, senza contorsione delle lastre. Tra le nervature de’ diversi pezzi di nastro viene costipata una pasta di polvere di piombo con una piccola quantità di materia porosa inerte.

Il peso de’ telarini è il doppio di quello della materia at­tiva ; la forma e gli spessori delle varie parti di essi sono sufficienti per trattenere la materia stessa e per farla com­pletamente attraversare dalla corrente elettrica. I supporti che, come ho detto, sono di piombo puro, non possono subire reazioni secondarie con la materia attiva, anzi finiscono per ricevere essi stessi una lenta formazione che compensa la caduta di materia producibile col tempo, presentano una resistenza elettrica interna minore de’ supporti di piombo

| antimonioso, ed hanno una lunghezza superiore alla lar- j ghezza, per evitare una grande altezza de’ vasi e gli incon- | venienti relativi dovuti alle differenti densità dell’acido alleI diverse profondità. Tanto l’operazione della saldatura de’| pezzi di nastro, quanto quella del riempimento de’ telarini

con la materia attiva, richiedono speciale abilità negli ope¡ai1 ed il controllo del personale dirigente.

Assai notevole e caratteristico è il processo di polveriz­zazione del piombo, processo affatto originale che apre un

! vero orizzonte ad una grandissima serie di applicazioni, in j parte già attuate, in parte allo studio da’ possessori del

brevetto. Il metallo viene fuso e portato ad altissima tempe­ratura entro un’apposita pentola di ghisa ; da questa ef­fluisce in un cassone ermeticamente chiuso, fatta eccezione di uno sfiatatoio, per un piccolo apparecchio a zampillo ; il ̂getto viene investito alla sua uscita da una fortissima cor­rente di aria compressa e ridotto in minutissimo pulviscolo, che immediatamente si solidifica, a causa dell’estrema sud- divisione, e cade nel cassone in polvere impalpabile ; anzi si

| deve impedire a questa di essere soffiata via dal cassone me­

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348 L’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI

diante alcuni diaframmi mobili. La potenza e semplicità di un tale sistema sono veramente prodigiose ; esso richiede bensì personale praticissimo e molto diligente, ma con un solo apparecchio può produrre la polverizzazione di qualche tonnellata di piombo in un giorno.

Era naturale che con lo stesso processo venissero tentate le polverizzazioni di altri metalli; e, salvo varianti nelle modalità, si ottennero anche polveri di zinco, di ottone, di stagno, di rame e persino di antimonio. Ma a questa non doveva limitarsi l ’estensione del sistema; il pulviscolo li­quido proiettato dalla corrente gassosa si trovava in condi­zioni ideali per essere ossidato ; non mancava che di creare le condizioni opportune al prodursi del fenomeno. Ciò fu studiato e risolto per vari importantissimi casi, primo fra tutti per lo stagno, di cui si ottenne l ’ossidazione col solo fare avvenire la polverizzazione entro una storta di materiale § refrattario portata ad alta temperatura e con un eccesso j d’aria. Non è qui il luogo di descrivere i dettagli degli appa- : recchi e de’ forni, che costituiscono la principale difficoltà ; del problema, e noto solo che la Casa di Gelnhausen prò- duce attualmente grandissime quantità di ossido di stagno pregiatissimo per bianchezza e purezza e di gran lunga pre- ferito a quello ottenuto con processi umidi.

La formazione delle lastre è, come ho detto, fatta con l ’attacco diretto della corrente in un bagno d’acido solforico ! chimicamente puro a 23° Beaumé. E’ dessa un’operazione delicata che richiede tutta l ’esperienza de’ costruttori, po- j tendo influirvi circostanze svariate e segnatamente la tem- j peratura dell’ambiente. Anzi, per questa ragione, il locale j destinato alla formazione è provvisto di apparecchio di ri- scaldamento a vapore. Le necessità di un tale ambiente ; suggerirono d’altra parte l ’adozione di pavimenti inattac­cabili in asfalto e di numerosi sfiatatoi al soffitto. I movi- ; menti dell’acido da una vasca interrata, raccoglitrice del- j l ’acido da’ vasi di formazione all’atto della vuotatura, ad j altra vasca sotto tetto sono ottenuti mediante un elevatore j a vapore in lega di piombo.

I regimi di formazione sono naturalmente stabiliti su dati di lunga pratica e possono variare a giudizio de’ co- | struttori secondo le circostanze ; è questo un delicato ap- j prezzamento che richiede speciale competenza ; in complesso j però si può dire che il regime di formazione è il seguente : jl a carica inversa di ore 10 ; l a diretta di ore 20 ; <2a » » » 25 ; 2a » » 30 ^35 ; ì3a » » » 10^ 15 ; 31 » » 4 0 ^ 4 5 ;naturalmente ogni volta si scarica a zero.

Riguardo a queste scariche è da notarsi una disposizione permettente di utilizzare l’energia sopra un motore elettrico j a tensione opportuna che aiuta ad azionare le dinamo cari- j canti altre batterie. L'impianto elettrico della Ditta è stato studiato per modo che si possono eseguire con semplicità j tutte le manovre di carica, scarica, inversione di corrente, ricupero di corrente, ecc. Completano l'impianto una bat- j teria di accumulatori a parte la quale, oltre che per l ’illu- ; minazione dell’officina, serve per carica di elementi separati j in prova, e per le cassette di accumulatori di fabbricazione speciale, ed un laboratorio di prove munito di tutte le ne- cessarle disposizioni, combinatori a mercurio, reostati, ecc. j Dopo la formazione, le lastre sono tutte ripassate e com­presse.

Di particolare studio fu oggetto il montaggio. La lastra porta due grossi appendici o nasi a due terzi della sua al­tezza; con questi poggia su due lastre di vetro erette sul fondo del vaso e trattenute in basso da due pezzi scanalati di legno paraffinato. Il sistema che sarebbe oscillante è 1 fissato nel vaso con de’ blocchiti di gomma. Si ha così un ;

insieme elastico che permette ogni allungamento della lastra, senza timore di contorsione o di rottura del vaso. I nasi delle lastre positive sono guerniti di ebonite che deve evitare i corti circuiti, nel caso in cui per un colpo di cor­rente i nasi si ripiegassero sino a toccarsi.

Il tipo d’accumulatore a polvere di piombo è particolar­mente destinato alle batterie stazionarie. La Ditta Debene­detti, Tedeschi produce per queste applicazioni tre tipi A, E, S, cui corrispondono tre dimensioni di lastre, non diffe­rendo i numeri della stessa serie che pel numero delle lastre. L ’adozione di poche serie e molti numeri della stessa serie rende possibile con grande latitudine i rimaneggiamenti delle batterie ed in modo speciale gli ampliamenti con semplice aggiunta di lastre della stessa serie. Le prime due serie sono montate con recipienti di vetro, l ’ultima con vaso di legno foderato di piombo. La serie A contiene 6 numeri e la capacità (riferita a scarica in 5 ore), a partire dal primo ch’è di 22 ampère-ore cresce di 22 ampère-ore per numero; per la serie E l ’ incremento è di 38 e per la S è di 76. Si ha per tal modo una minuta scala di capacità che permette di applicare ad ogni caso la batteria necessaria senza deficenze e senza spese superflue.

Rimane quasi invariata la capacità specifica per le lastre delle diverse serie in quanto che non vi sono nelle lastre porzioni inerti; tale capacità è di circa 11 ampère-ore per Kg. di lastra positiva ; varia invece abbastanza sensibil­mente la capacità riferita al peso degli elementi montati da una serie all'altra, segnatamente fra i numeri di una stessa serie ; così per la serie E mentre pel primo numero si ha una capacità di ampère-ore 1,9 per Kg. di elemento completo (acido incluso), per il numero maggiore della serie si arriva a 3,7.

Una seconda applicazione degli accumulatori a polvere di piombo è quella per uso medico. A differenza di quanto fanno i costruttori stranieri, la Ditta Debenedetti, Tedeschi ha cercato di ridurre i suoi accumulatori per tale scopo a grande semplicità, pur conservando quella eleganza nelle verniciature, niellature che rendono gli apparecchi stessi una vera decorazione di gabinetto. Ove i costruttori stra­nieri cercano di ottenere le graduazioni della corrente me­diante apparecchi di accoppiamento vario di elementi, assai delicati per la loro necessaria piccolezza, essa invece tiene sempre gli elementi di ciascuna cassetta in serie fra di loro e procura le variazioni di corrente a mezzo di un reostato. Per gli usi cui questi apparecchi sono destinati, è veramente trascurabile il consumo d’energia, mentre la scarica in una sola serie, oltre alla maggiore semplicità negli accessori, dà maggior sicurezza che tutti gli elementi lavorino in uguale misura.

Altra categoria è quella delle cassette a due elementi per l ’accensione de’ motori a benzina nelle automobili, le quali devono essere solide ed impedire l’uscita dell’acido a sobbalzi. Un’ultima categoria è quella destinata alla tara­tura de’ voltometri. Una batteria di ben 320 elementi fu studiata a tale scopo dalla Ditta per il Politecnico di Milano.

Più sopra si è notato come le lastre degli accumulatori a polvere di piombo hanno un’anima assai robusta di puro piombo. Ciò dà luogo ad una resistenza interna minima circa il 30 0[0 inferiore che ne’ tipi a griglie, e permette scariche assai intense, senza deformazioni, e cariche a basso voltaggio con risparmio d’energia. In alcuni casi, come nelle così dette batterie a ripulsione, si arriva a permettere una scarica di ben 11 ampère per Kg. di lastra positiva, senza che la tensione vari oltre il 7 od 8 0[0. E’ questa proprietà che rende applicabile questo tipo per le centrali di trazione, per funicolari elettriche, casi tutti ne’ quali si raggiungono in qualche istante intensità di corrente di gran lunga supe­

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L’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI 349

riori alle normali. Un'applicazione di tal genere fu eseguita appunto nello scorso anno dalla Casa torinese pei- la funi­colare di S. Vincent. Ivi per condizioni locali, non era pra­ticamente opportuno nè attingere in misura troppo variabile alla sorgente di energia, nè disporre di corrente sufficiente nelle ore serali, poiché la corrente richiesta da’ bisogni del servizio subiva forti variazioni d’ intensità. L ’ esperienza di una stagione ha provato che, tenendo costante la produzione di energia alla sorgente nella misura di circa 20 ampère, la batteria forniva il di più ne’ momenti opportuni e si ca­ricava inoltre in modo da fare poi da sola il servizio per varie ore.

L’officina della Ditta Debenedetti, Tedeschi ha lina po­tenzialità produttiva di 3000 Kg. di lastre al giorno; di­spone di circa 100 cavalli di potenza motrice, e di uno sta­bilimento di 5000 mq. Lavora da poco più di tre anni ed ha installato in questo tempo più di un centinaio di batterie.11 tipo è adottato dal Ministero delle Poste e Telegrafi per azionare i motorini delle macchine Hugues e dagli arsenali marittimi per illuminazione ed esperienze.

*Società italiana di elettricità già Cruto. — Ha sede a

Genova, ma ha l ’opificio in Alpignano. Attualmente fabbrica accumulatori con lastre positive del tipo Majert e lastre negative del tipo Pescetto. Per le lastre positive impiega delle anime di piombo laminato sulle facce del quale sono intagliate con speciale utensile una serie di lamelle verti­cali sottili, tutte uguali e avvicinate fra loro. Così lavorate, le lastre sono sottoposte alla formazione secondo il processo Piante. Con tale artificio è ovvio che si possono ottenere superficie attive anche 15 volte maggiori di quella di base e quindi un possibile aumento di capacità per unità di peso ed una conseguente facilità di assoggettare l ’elemento a ca­riche ed a scariche variabili. E’ del pari evidente che si pos­sono così fabbricare tipi di piastre di dimensioni e spessori vari, senza ricorrere a stampi. Le lastre negative del tipo Pescetto sono costituite da una griglia di piombo, i di cui interstizi vengono riempiti con materia attiva, preparata con metodi speciali e contenente anche ulmato di ulmina.

*Fabbrica nazionale di accumulatori Tudor. — È una

emanazione della Società anonima di accumulatori di Ila yen in Westfalia. Cominciò nel 1891 a lavorare in Sampierdarena, ma pel rapido sviluppo che subito prese, di­venne autonoma per iniziativa dell’ingegnere Gustavo Doss- mann che la trasferì in Val Varenna presso Pegli. Lo sta­bilimento occupa 2000 metri quadrati circa di suolo coperto ed è provvisto di turbine della potenza complessiva di 100 cavalli, le quali azionano diverse macchine-utensili e due di­namo a corrente continua. Gli accumulatori che si costrui­scono in questa fabbrica sono del noto tipo Tudor, che acquistò in così breve tempo tanta popolarità non solo al­l'estero, ma anche in Italia.

Le lastre Tudor, così com’erano costrutte in principio, segnavano il passaggio fra le lastre Faure con massa attiva riportata e le lastre Piantò con massa estratta dal sup­porto. Infatti le piastre erano dapprima caricate per varie settimane dalla corrente, e poscia ricoperte di minio e riat­taccate dalla corrente. Presentavano però l ’inconveniente di non essere pronte per funzionare se non dopo tre o quattro mesi. Per accorciarne il processo di formazione, diminuirne il costo ed aumentarne la capacità, furono apportate succes­sivamente alcune modificazioni al processo medesimo: si fecero innanzi tutto i sostegni delle lastre più sottili e si provvidero di nervature, si cambiarono poi i sostegni delle ne­gative che si fecero a griglia e si sottoposero infine a bagni

clorurati od affini le lastre prima di farle attaccare dalla corrente.

La Fabbrica nazionale di accumulatori Tudor ha instal­late in Italia numerose batterie, tra le quali sono notevoli quelle somministrate alla Società Generale Italiana Edison di Milano, alla Società Generale per l ’ illuminazione di Na­poli, alla Società Anglo-Romana di Roma, ecc., ecc. Credo interessante di descrivere brevemente l ’impianto di Milano, che è il più colossale del genere che forse esista in Europa.

È noto come l’energia prodotta a Paderno sotto forma di corrente trifasica a 12500 volt circa venga convogliata alla stazione trasformatrice di Porta Volta, dove, ridotta al po­tenziale di 3000 volt, viene in parte distribuita ad un cir­cuito esterno ed in parte condotta alla Centrale di Santa Ra- degonda, nella quale, dopo essere trasformata in corrente continua, è destinata all’alimentazione della rete tram viaria e del circuito per luce nell’interno di Milano. Però, siccome a causa del continuo aumentare delle richieste di luce e dello sviluppo raggiunto dalla rete tramviaria ben presto l ’energia di Paderno doveva essere assorbita nella sua tota­lità, la Società Edison ritenne opportuno di munire la sua Officina di Santa lìadegonda di due batterie colossali d’ac­cumulatori del tipo Tudor, di cui l’una adibita alla rete tramviaria, l ’altra al circuito per luce.

La prima si compone di 260 elementi Tudor tutti messi in una serie e capaci di fornire circa 3600 ampère per un’ora alla tensione media di 550 volt. La seconda, dovendo sod­disfare alla richiesta di ben 20000 ampère per un’ora alla tensione di 140 volt e non potendo, a causa dell’enorme grandezza, costituirsi di un’unica serie di elementi, si com­pone di 312 elementi ripartiti in 4 serie uguali, capaci cia­scuna di fornire 5000 ampère circa per un’ora. Tutte le batterie suddette si collegano alle proprie reti da un polo direttamente e dal polo opposto mediante dinamo survoltrici- devoltrici speciali, che ne uniformano automaticamente la tensione a mezzo di regolatore automatico Thury.

Per farsi un’idea approssimativa della grandezza di dette batterie, basta por mente che occupano tre piani sovrap­posti della superficie di 1800 mq. complessivamente; che

; ciascun elemento, pesando quasi 3 tonnellate, ha il volume superiore ad 1 me., e che le connessioni tra le varie serie degli elementi sono formate da quattro sbarre di rame a se­zione rettangolare di 3000 mmq. in totale, avendo ogni sbarra le dimensioni di 6X 125 mm. Con tali batterie non solo la Società Edison provvide allo sviluppo ognor cre­scente del proprio consumo, ma in pari tempo si costituì una gagliarda riserva in caso d’ interruzioni dell’energia di Pa­derno.

*

Le poche notizie suesposte circa le fabbriche nazionali di accumulatori possono bastare per convincere che anche la costruzione di questi apparecchi è in Italia abbastanza svi­luppata ed in grado di soddisfare alle richieste del nostro mercato. Molte sono le batterie d’accumulatori installate per i nostri impianti di luce, tramvie, funicolari elettriche e per altri scopi, ed altre se ne installerebbero ancora, se un

; certo discredito nou fosse sorto da qualche anno sul conto di esse in seguito a’ risultati poco confortanti di alcune. Se è innegabile che tali risultati in alcuni casi derivarono dalla scelta di tipi d’accumulatori poco appropriati, o da fabbri­cazione scadente o formazione incompleta delle lastre, in molti altri furono però la naturale conseguenza o di un im­proprio impiego delle batterie medesime o di un cattivo loro governo od anche di un irregolare funzionamento. Non bi­sogna dimenticare che gli accumulatori sono apparecchi de­licatissimi che richiedono una continua ed accurata sorve­glianza, molto maggiore di quella che a prima vista appa­

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risce, e che trovano razionale impiego soltanto in date applicazioni, mentre sono assolutamente inadatti in altre, dove con leggerezza si vollero impiegare.

Nè inoltre bisogna dimenticare che è tuttora un problema da risolvere quello della costruzione di accumulatori di piombo, soddisfacenti agli svariati desideri de’ costruttori e de' clienti, fra cui principali : la formazione relativamente breve delle lastre, la elevata capacità per unità di peso, la lunga durata ed il costo limitato. Però, per la cura sempre più crescente de’ nostri fabbricanti nella costruzione di questi apparecchi e per lo studio continuo de’ teorici su di essi, è lecito ritenere non lontano il giorno in cui ci sarà dato di vedere realizzata la costruzione di accumulatori elet­trici veramente pratici e bene rispondenti al loro scopo.

(‘Continua) Ing. I gnazio V eerotti.

T E C N O L O G I A I N D U S T R I A L E E C H I M I C A A P P L I C A T A

1 NUOVI METODI D ’ IMPERMEABILIZZAZIONE DEI TESSUTI.

R e n d e r e i m p e r m e a b i l i i t e s s u t i , s e n z a a u m e n t a r n e i l p e s o i n m o d o n o t e v o l e , e s e n z a o s t a c o l a r e l a p e r m e a b i l i t à a l l ’ a r i a , c o s t i t u i s c e u n i n t e r e s s a n t e p r o b l e m a d e l l a t e c n i c a d e l v e s t i t o .

V e r a m e n t e a l c u n e d e l l e f i b r e , i m p i e g a t e n e l l a t e s s i t u r a d e l l e s t o f f e , s o n o g i à p e r l a l o r o n a t u r a s t e s s a i m p e r m e a b i l i e d i d r o f u g h e , m a i t r a t t a m e n t i i n d u s t r i a l i c u i v e n g o n o a s ­s o g g e t t a t e , a l t e r a n o p r o f o n d a m e n t e q u e s t e p r o p r i e t à , c o s i c c h é a n c h e l a l a n a , a d e s e m p i o , c h e n a t u r a l m e n t e è i d r o f u g a , p u ò a s s o r b i r e e t r a t t e n e r e l ’ a c q u a .

I m e t o d i c h e l ’ i n d u s t r i a h a n e g l i u l t i m i a n n i e s c o g i t a t o p e r r e n d e r e i m p e r m e a b i l i l e s t o f f e n o n s o n o m o l t i , n è t u t t i d i p a r i v a l o r e , o d u g u a l m e n t e p r a t i c i .

II p r o c e d i m e n t o p i ù g e n e r a l m e n t e n o t o , e d a p p l i c a t o s p e ­c i a l m e n t e a i s o p r a b i t i , c o n s i s t e n e l r i v e s t i r l i e s t e r n a m e n t e , o d i n t e r n a m e n t e d i u n o s t r a t o d i g u t t a p e r c a . P e r ò l e s t o f f e , c h e h a n n o s u b i t o q u e s t o t r a t t a m e n t o d i v e n t a n o i m p e r m e a b i l i a i g a s e d a i v a p o r i , c o s i c c h é p o s s o n o g e n e r a r e g r a v i i n c o n v e ­n i e n t i d a l l a t o i g i e n i c o , o s t a c o l a n d o l a t r a s p i r a z i o n e d e l l a p e l l e e l ’ e v a p o r a z i o n e d e l s u d o r e . P e r q u e s t o f a t t o e p e r i l l o r o c o s t o e l e v a t o e l a l o r o b r e v e d u r a t a , l ’ u s o d i q u e s t e s t o f f e è a s s o l u t a m e n t e d a p r o s c r i v e r s i .

F i n d a l 1 8 8 8 H i l l e r e B ü c h n e r p r o p o s e r o u n m e t o d o p i ù s e m p l i c e e d e c o n o m i c o d i i m p e r m e a b i l i z z a z i o n e , i l q u a l e c o n ­s i s t e v a n e l l a s c i a r e i m m e r s e l e s t o f f e p e r q u a l c h e t e m p o i n u n s a l e d i a l l u m i n i o , a c e t a t o d i a l l u m i n i o , o d a l l u m e .

P e r ò q u e s t a p r a t i c a v e n n e t o s t o a b b a n d o n a t a , e s s e n d o s i r i ­c o n o s c i u t o c h e i r i s u l t a t i n o n e r a n o p e r f e t t i , e v e n i v a i m p e ­d i t a u n a u l t e r i o r e l a v a t u r a d e l l e s t o f f e .

U n a l t r o p r o c e s s o p r o p o s t o d a l L a m y , a n a l o g o a l p r e c e ­d e n t e , m a p i ù c o m p l e s s o , c o n s i s t e n e l t r a t t a r e l a s t o f f a c o n u n a s o l u z i o n e d i s a p o n e d i r e s i n a , f a t t o c o n d u e p a r t i d i r e ­s i n a e d u n a p a r t e d i c a r b o n a t o d i s o d a , i n r a g i o n e d i 5 a 6 g r . p e r l i t r o ; q u i n d i s ’ i m m e r g e i l t e s s u t o i n u n b a g n o p r e p a r a t o c o n 1 0 g r . d i a l l u m e , 1 0 g r . d i s o l f a t o d i z i n c o e 1 0 g r . d i s o l f a t o d i m a g n e s i a p o r l i t r o ; l o s i l a s c i a i n r i p o s o p e r d i e c i m i n u t i e l o s i p a s s a p o i i n u n a s o l u z i o n e d i c a r b o n a i o d i s o d a a l d u e p e r m i l l e .

I l d o t t o r B e r t h i e r c e r c ò i n v e c e , m o l t o p i ù r a z i o n a l m e n t e , d i r i d a r e a l l e s t o f f e d i l a n a l a v o r a t a q u e l l a i m p e r m e a b i l i t à c h e l a l a n a p r e s e n t a a l l o s t a t o g r e g g i o . A q u e s t o s c o p o e g l i t r a t t a v a i t e s s u t i c o n s o l u z i o n i d i l a n o l i n a i n b e n z i n a , o d i n e t e r e d i p e t r o l i o a l 1 5 - 2 0 0 [ 0 , i m m e r g e n d o l i p e r b r e v e t e m p o e l a s c i a n d o p o i e v a p o r a r e a l l ’ a r i a l a s t o f f a . S i o t t e n e v a c o s i u n a n o t e v o l e , s e n o n p e r f e t t a i m p e r m e a b i l i z z a z i o n e , m a t u t t a v i a q u e s t o p r o c e d i m e n t o n o n e n t r ò n e l l a p r a t i c a , a n c h e p e r l ’ a ­s p e t t o u n t u o s o c h e c o n f e r i v a a l l a s t o f f a .

*P a r e c c h i a l t r i m e t o d i v e n n e r o r e c e n t e m e n t e p r o p o s t i p e r

l ’ i m p e r m e a b i l i z z a z i o n e d e i t e s s u t i , d e i q u a l i c r e d o u t i l e r i f e ­r i r e i s e g u e n t i :

E LE ARTI INDUSTRIALIj

1. I n 1 0 0 p . d ’ a c q u a s i s c i o l g o n o 1 0 p . d i s o d a c r i s t a l ­l i z z a t a e 1 0 p . d i c o l o f o n i a , e s i f a b o l l i r e p e r p a r e c c h i e o r e . M e d i a n t e a d d i z i o n e d i 5 p . d i s a l e d i c u c i n a s i f a s e p a r a r e i l s a p o n e r e s i n o s o f o r m a t o s i e s i m e s c o l a q u e s t o c o n 1 0 p . d i

| s a p o n e b i a n c o s c i o l t o i n 1 0 p . d i a c q u a b o l l e n t e ; s i a g i t a e s i a p p r e t t a a 6 0 ’ .

2 . S ’ i m b e v e i l t e s s u t o c o n s o l u z i o n e d e b o l e d i c o l l a , s i s p a l m a i m m e d i a t a m e n t e p i ù v o l t e c o n u n a s o l u z i o n e d i b i ­c r o m a t o p o t a s s i c o e s i e s p o n e p o i i l t e s s u t o a l s o l e . L a l u c e r e n d e i n s o l u b i l e l a g e l a t i n a b i c r o m a t a t a .

3 . I n 5 0 l i t r i d ’ a c q u a s i s c i o l g o n o : k g . 2 d i a l l u m e , k g . 1 d i c o l l a d i p e s c e e g r . 5 0 0 d i s a p o n e b i a n c o . I n q u e s t a

| l i s c i v a s i i m m e r g o n o d e i t e s s u t i g r o s s o l a n i , p e i q u a l i è s p e - | c i a l m e n t e i n d i c a t o q u e s t o m e t o d o , e q u i n d i s i f a n n o p a s s a r e | i n u n a s e c o n d a l i s c i v a d i k g . 2 d i a c e t a t o d i p i o m b o i n 5 0I l i t r i d ’ a c q u a ; p o i s i p o r t a n o a l l ’ a s c i u g a t o i o .

4 . S e c o n d o i l b r e v e t t o Bastvils, s i s c i o g l i e d e l l a p e r g a ­m e n a v e g e t a l e , o m e g l i o c a s c a m i d e l l a f a b b r i c a z i o n e d i q u e s t a c a r t a , i n o s s i d o d i r a m e a m m o n i a c a l e e c o n q u e s t a s o l u z i o n e i m p r e g n a n s i i t e s s u t i . A p p e n a c h e l ’ a m m o n i a c a s i a s i e v a p o ­r a t a , q u e s t i t e s s u t i a s s u m o n o l e p r o p r i e t à c a r a t t e r i s t i c h e

| d e l l a p e r g a m e n a . S i s c i o g l i e d e l l ’ i d r o s s i d o d i r a m e i n a m - | m o n i a c a d e l p e s o s p . 0 , 9 1 , i n m o d o c h e 1 l i t r o d e l l a s o l u z i o n e | c o n t e n g a g r . 3 0 d i r a m e , e v i s i a g g i u n g o n o a l l o r a g r . 1 5 d i | p e r g a m e n a v e g e t a l e . D o p o a v e r c o s i i m p r e g n a t o i l t e s s u t o , j d o v e n d o s i e l i m i n a r e l ’ o s s i d o i d r a t o d i r a m e , s i t r a t t a l a j s t o f f a c o n u n a s o l u z i o n e d i a c e t a t o d i a l l u m i n a d i p e s o s p . 1 , 0 4 ;! e d a l l o s c o p o d i a c c e l e r a r e l a d e c o m p o s i z i o n e d e l l ’ o s s i d o

i d r a t o d i r a m e , s i a g g i u n g o n o g r . 1 0 0 d i s o l f a t o d i a m m o n i o j p e r o g n i l i t r o d i s o l u z i o n e .

5 . S e g u e n d o i l p r o c e d i m e n t o Brodmann s i s p e n g o n o 100 p . d i c a l c e u s t a e c o n s o d a s i p r e p a r a u n a l i s c i v a c a u ­

s t i c a , n e l l a q u a l e s i d i s e i o l g o n o 2 7 0 p . d i c o l o f o n i a e 3 p . d i g o m m a g o t t a p e r d a r v i i l c o l o r e . C o n q u e s t o l i q u i d o s i s p a l -

| m a n o i t e s s u t i e d o p o a s c i u g a m e n t o s i t r a t t a n o c o n s o l u z i o n e | d i a l l u m e .

6. S ’ i m p r e g n a d a p p r i m a i l t e s s u t o c o n v e t r o s o l u b i l e ; l o | s i t r a t t a p o i c o n u n a s o l u z i o n e d i a l l u m e e d i s o l f a t o d i a l l u - | m i n a , e q u i n d i l o s i i m m e r g e i n u n a s o l u z i o n e d i s a p o n e | b i a n c o , c o n t e n e n t e d e l g r a s s o l i b e r o .

I n s e g u i t o l a s t o f f a v i e n e p a r a f f i n a t a , f a c e n d o l a p a s s a r e i n | u n b a g n o c o n t e n e n t e k g . 3 0 d i p a r a f f i n a m o l l e , k g . 1 d i c e r a | g i a l l a , k g . 1 d i c e r a m i n e r a l e , 2 5 0 g r . d i o l i o d i p a p a v e r o e

2 0 0 g r . d i b e n z i n a d i p e t r o l i o . Q u i n d i s i f a a s c i u g a r e .7 . I n u n a t i n o z z a d i l e g n o p u l i t a s i p o n g o n o k g . 4 d i c a -

| s e i n a ; s i s c i o g l i e q u e s t a i n 3 0 l i t r i d ’ a c q u a e v i s i a g g i u n g o n o ! s u c c e s s i v a m e n t e g r . 1 0 0 d i c a l c e s p e n t a . I n u n ’ a l t r a t i n o z z a s i j s c i o l g o n o k g . 2 d i s a p o n e n e u t r o i n l i t r i 2 4 d ’ a c q u a b o l l e n t e , s i | m e s c o l a c o l l a s o l u z i o n e d i c a l c e e c a s e i n a , s i a g i t a e s i f i l t r a | a t t r a v e r s o u n o s t a c c i o d i c r i n e o d a t t r a v e r s o u n p a n n o l i n o , e | s i a p p r e t t a . Q u i n d i s i i m m e r g e i l t e s s u t o i n u n a s o l u z i o n e d i j a c e t a t o d i a l l u m i n a a 5 ’ B , s c a l d a t a a 6 0 ’ C , c h e i n s o l u b i - ! l i z z a l a c a l c e - c a s e i n a . S i l a v a i l t e s s u t o e s i f a a s c i u g a r e .

8 . A i s i g n o r i Schiomanti e De Castro è d o v u t o u n r e - j c e n t e p r o c e s s o d i i m p e r m e a b i l i z z a z i o n e d e l l e s t o f f e , m e d i a n t e | i l q u a l e i l t e s s u t o v i e n e i m m e r s o p e r q u a l c h e t e m p o i n u n j t i n o c o n t e n e n t e u n a s o l u z i o n e d i s o l f a t o d i r a m e , d i z i n c o , d i j n i c h e l i o , o d i q u a l u n q u e a l t r o m e t a l l o ( u n a p a r t e d i s o l f a t o ; e d u n a p a r t e d i a m m o n i a c a i n d u e p a r t i d ’ a c q u a ) ; c o s i i m -> p r e g n a t o i l t e s s u t o p a s s a t r a d u e c i l i n d r i , c h e s c a c c i a n o p e r

p r e s s i o n e l ’ e c c e s s o d e l l i q u i d o . E s s o v i e n e i n s e g u i t o d i - | s t e s o s u d i u n a t a v o l a m e t a l l i c a i n c o m u n i c a z i o n e c o l p o l o | n e g a t i v o d i u n a d i n a m o ; a l d i s o t t o è p o s t a u n a l a s t r a m e t a l - j l i c a c h e p r e m e i l t e s s u t o e c h e t r o v a s i i n c o m u n i c a z i o n e c o l1 p o l o p o s i t i v o . I n t a l i c o n d i z i o n i l a s o l u z i o n e c h e i m p r e g n a ! i l t e s s u t o è e l e t t r o l i z z a t a e d u n o s t r a t o d i m e t a l l o s i d e p o s i t ai s u l l e f i b r e ; q u e s t o s t r a t o , m e t t e n d o l a f i b r a a l r i p a r o d e l - | l ’ a r i a , i m p e d i s c e c h e l e i n t e m p e r i e l a d e t e r i o r i n o , c o m e | p u r e n e i m p e d i s c e l a c o m b u s t i o n e . S e i l t e s s u t o è s u f f i c i e n t e - j m e n t e f i t t o , e s s o è r e s o n e l l o s t e s s o t e m p o i m p e r m e a b i l e a n c h e ; a l l ’ a c q u a .i T u t t i q u e s t i m e t o d i p e r ò , o l t r e c h é e s s e r e a s s a i p o c o e c o - | n o m i c i , n o n s e m p r e r i e s c o n o d i p r a t i c a a p p l i c a z i o n e , e d i li l o r o u s o r e s t a q u i n d i a s s a i l i m i t a t o .

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L’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI 351

I l Cathoire i n F r a n c i a h a r e c e n t e m e n t e s t u d i a l o i l m o d o d i r e n d e r e i d r o f u g h e l e s t o f f e , u s a n d o l a p a r a f f i n a i n v e c e d e l l a l a n o l i n a , p r o p o s t a d a l d o t t . B e r t h i e r ; i n d o t t o a c i ò d a l l ’ a v e r e o s s e r v a t o c o m e n e l l e f a b b r i c h e d i p a s s a m a n t e r i e s i r i c o p r a n o v a n t a g g i o s a m e n t e i f i l i d ’ o r o e d ’ a r g e n t o d e i r i ­c a m i c o n u n a i m p e r c e t t i b i l e s t r a t e r e l l o d i p a r a f f i n a a l l o s c o p o d i p r e s e r v a r l i d a l l ’ u m i d i t à e d a l l a c o n s e g u e n t e o s s i d a z i o n e .

E g l i c o n s i g l i a d i m e s c o l a r e l a p a r a f f i n a f u s i b i l e a 5 2 " — 5 3 ° c o n v a s e l i n a p u r a ( 2 [ 3 d i p a r a f f i n a e d 1 [ 3 d i v a s e l i n a ) , o t t e ­n e n d o c o s ì u n a p a r a f f i n a f u s i b i l e a c i r c a 4 5 ° . V e n t i g r a m m i d i q u e s t a m i s c e l a , p r e v i a m e n t e f u s a a c a l d o , v e n g o n o d i s c i o l t i i n u n l i t r o d i e t e r e d i p e t r o l i o . I l t r a t t a m e n t o d e g l i a b i t i e d e l l e s t o f f e i n g e n e r e , p u ò e s e g u i r s i s e g u e n d o d i v e r s i m e t o d i , c o n s i s t e n t i , o n e H ’ i m m e r s i o n e , o n e l l o s p r u z z a m e l o p e r m e z z o d i u n p o l v e r i z z a t o r e , o d a n c h e n e l l ’ i m b i b i z i o n e m e ­d i a n t e u n a s p u g n a . A p p e n a t e r m i n a t a l ’ o p e r a z i o n e s u b e n t r a l a s p o n t a n e a e v a p o r a z i o n e d e l l ’ e t e r e d i p e t r o l i o , e p e r n e c e s ­s a r i a c o n s e g u e n z a t u t t i g l i e l e m e n t i c h e c o s t i t u i s c o n o l ’ i n t e r o s p e s s o r e d e l l a s t o f f a , d a l l a s u p e r f i c i e s u p e r i o r e a q u e l l a i n f e ­r i o r e , r i m a r r a n n o r i v e s t i t i d a u n f i n i s s i m o s t r a t e r e l l o i n v i ­s i b i l e , d i p a r a f f i n a .

È n o t o c h e l a p a r a f f i n a n o n s i l a s c i a p e n e t r a r e d a l l ’ a c q u a ; p e r t a l e r a g i o n e e s s a , f o r m a n d o u n o s t r a t o p r o t e t t o r e , p r o ­d u c e n e i t e s s u t i u n a p e r f e t t a i m p e r m e a b i l i t à a l l ’ a c q u a s t e s s a , s e n z a i m p e d i r e m e n o m a m e n t e i l p a s s a g g i o d e i g a s a t t r a v e r s o a l l e s t o f f e .

*•I d o t t o r i Berlarelli e Mazza - e s e g u i r o n o i n T o r i n o , s u s t o f f e

e d a b i t i , m o l t e e d i m p o r t a n t i e s p e r i e n z e d i i m p e r m e a b i l i z z a ­z i o n e , s e g u e n d o i l m e t o d o d e l C a t h o i r e , l e g g e r m e n t e m o d i f i ­c a t o , e s o s t i t u e n d o o p p o r t u n a m e n t e a l l ’ e t e r e d i p e t r o l i o l a b e n z i n a , l a q u a l e d i s c i o g l i e m e g l i o l a p a r a f f i n a e d è a s s a i p i ù e c o n o m i c a .

U n g r a n d e v a n t a g g i o s i v e r i f i c a n e l l a i m p e r m e a b i l i z z a z i o n e d e l l e s t o f f e c o l l a p a r a f f i n a , m o r d e n z a n d o l e p r e v i a m e n t e c o n s a l i d i a l l u m e , p r e f e r i b i l m e n t e c o n a c e t a t o d i a l l u m i n i o ; e d è p u r d e g n o d i r i l i e v o i l f a t t o c h e a n c h e l a s a p o n a t u r a r i p e ­t u t a n o n a l t e r a c h e i n u n g r a d o r e l a t i v a m e n t e l e g g i e r o l ’ i m ­p e r m e a b i l i t à d e i t e s s u t i d i l a n a .

N e l l a p r a t i c a p o i , s i c c o m e l a l a n a t r a t t i e n e l ’ a c q u a , s i a i n r a g i o n e d e l l a s u a c a p i l l a r i t à , s i a p e r i l f a t t o d i p r e s e n t a r e u n a s u p e r f i c i e n o n l i s c i a , m a s c a b r a , a c a g i o n e d e l l a c a r a t t e r i s t i c a s u a e m b r i c a t u r a , c h e t r a t t i e n e a d e r e n t i l e m i n u t e g o c c i o l i n e , n e d e r i v a c h e i l t r a t t a m e n t o c o l l a p a r a f f i n a o f f r i r à n o n s o l o i l v a n t a g g i o d i r i d u r r e a s s a i i l p o t e r e d i c a p i l l a r i t à e q u i n d i l a f a c o l t à d i a s s o r b i m e n t o p e r l ’ a c q u a , m a , r e g o l a r i z z a n d o a n ­c o r a l e m i n u t e a s p e r i t à d e l l e s u p e r f i c i e d e i f i l a m e n t i , r e n ­d e r à m e n o f a c i l e l ’ a d e s i o n e m e c c a n i c a d e l l e g o c c i e a l t e s s u t o .

R i c e r c h e e s e g u i t e s u l l a p e r m e a b i l i t à a i g a s d e l l e s t o f f e p a ­r a f f i n a t e d i m o s t r a r o n o c h e q u e s t e s t o f f e p e r d o n o a s s a i p o c o d e l l a l o r o p r i m i t i v a p e r m e a b i l i t à , a n z i p e r l e s t o f f e u n p o ’ s o t t i l i l a d i m i n u z i o n e è a f f a t t o t r a s c u r a b i l e .

I t e s s u t i p a r a f f i n a t i , q u i n d i , r i g u a r d o a l l a p e r m e a b i l i t à a l ­l ’ a r i a e d a l v a p o r d ’ a c q u a p r e s e n t a n o l e m a g g i o r i g u a r e n t i g i e i g i e n i c h e e n o n m o d i f i c a n o , c o l t r a t t a m e n t o d i i m p e r m e a b i l i z ­z a z i o n e , c h e i n m o d o a f f a t t o i n a p p r e z z a b i l e l e l o r o p r o p r i e t à .

I n o l t r e i l p a r a f f i n a m e n t o d e l l a s t o f f a n o n v a r i a p u n t o l a c o n ­d u c i b i l i t à d e i t e s s u t i , o l a d i m i n u i s c e d i q u a n t i t à p r a t i c a - m e n t e t r a s c u r a b i l i ; p e r c u i , a n c h e s o t t o q u e s t o r i g u a r d o , i l p r o c e s s o d i i m p e r m e a b i l i z z a z i o n e c o l l a p a r a f f i n a è a s s a i r a c ­c o m a n d a b i l e ; i n o l t r e l a p a r a f f i n a n o n a l t e r a l a m o r b i d e z z a d e l l a s t o f f a , n o n n e m o d i f i c a l ’ e l a s t i c i t à , l a r e s i s t e n z a , i l c o ­l o r e , n e p e r m e t t e l a p u l i z i a e r e s i s t e a l l ’ a z i o n e d e l t e m p o , m o s t r a n d o s i c o n v e n i e n t i s s i m a p e r l e s t o f f e g r i g i e , s p e s s e , a p e l o a l q u a n t o l u n g o .

I I s u o i m p i e g o è a n c h e a s s a i e c o n o m i c o ; a m m e s s o c h e p e r l ’ i m p e r m e a b i l i z z a z i o n e d i u n a b i t o c o m p l e t o o c c o r r a n o 3 a 3 , 5 l i t r i d i s o l u z i o n e , e c a l c o l a n d o i l p r e z z o d e l l a b e n ­z i n a a L . 0 , 9 0 a l l i t r o , e q u e l l o d e l l a v a s e l i n a a L . 1 , 9 0 - 2 a l c h i l o g r a m m a , l ’ i m p e r m e a b i l i z z a z i o n e d i u n a b i t o c o s t e r e b b e c i r c a 3 l i r e .

P e r c i ò n e l l a p r a t i c a c o m u n e e p i ù s p e c i a l m e n t e n e l l ’ i m - p e r m e a b i l i z z a z i o n e d e i c a p p o t t i d e i s o l d a t i , d e l l e g i u b b e d i c o ­

l o r o c h e s i d e d i c a n o a l l e v a r i e f o r m e d i sport, d i c o c c h i e r i , : f a t t o r i n i d i t r a m , g u a r d i e m u n i c i p a l i , e c c . , l a p a r a f f i n a p u ò

r e n d e r e o t t i m i s e r v i z i c o m e i d r o f u g o .| D i f a c i l e a p p l i c a z i o n e , e c o n o m i c o , r i n n o v a b i l e s e m p r e q u a ­

l o r a o c c o r r a , q u e s t o p r o c e s s o s i m o s t r a d i g r a n l u n g a s u ­p e r i o r e a g l i a l t r i a n t e r i o r m e n t e d e s c r i t t i , p e r c h è n o n m o d i -

! f i c a q u e l l e q u a l i t à , c h e f a n n o d e l l ’ a b i t o l a p i ù e f f i c a c e p r o t e - ; z i o n e d e l n o s t r o o r g a n i s m o , e c i o è l a p e r m e a b i l i t à a l l ’ a r i a e | l a c o n d u c i b i l i t à t e r m i c a .

M . S CAVIA.

N O T I Z I EFabbricazione di formelle di lignite colla sola compressione.

! — Devesi all’iniziativa dell’egregio signor Ercole Telfi, direttore delle miniere della Società delle ferriere italiane, se si costruì presso la mi­niera di Castelnuovo in Valdarno (nel distretto minerario di Firenze) un importante stabilimento per la fabbricazione di formelle di lignite, prodotte colla sola compressione, senza l’aggiunta di elementi cemen­tanti, che venne inaugurato nel novembre 19(J0.

Come è noto, la lignite bruna viene estratta dalle miniere umida, con circa il 40 per cento d'acqua e vendesi al commercio dopo un'essic­cazione aU'aria sui piazzali e sotto tettoie, colla quale si può ridurreil tenore d’acqua mediamente al 22 per cento ed anche spingersi fino al 16 o 17 per cento.

L ’essiccazione artificiale venne tentata, ma poi abbandonata, per cui le miniere di lignite, mentre da un canto hanno il vantaggio di uno scavo nelle condizioni più favorevoli (tanto che la lignite posta sui piazzali costa mediamente da lire 2,50 a lire 3 la tonn.), d’altra parte hanno l’ inconveniente che in inverno l’ essiccazione è lenta o quasi nulla, e per far fronte ad uno smercio regolare quotidiano, occorrono grandi depositi di lignite e conseguentemente estese tettoie e piazzali.

Un secondo inconveniente presentano le ligniti brune ; il loro trito, che forma circa un terzo della produzione totale, difficilmente trova compratori per le difficoltà che presenta alla perfetta combustione, e ciò per il seguente motivo. I combustibili dotati di forti proporzioni di cenere, quali sono generalmente le ligniti italiane, sono suscettibili di bruciare bene se in grossi pezzi ed impiegando perciò griglie a larghi - intervalli fra le sbarre, onde permettere la caduta delle ceneri; per il trito, invece, dovendosi impiegare griglie serrate, la cenere ottura fa­cilmente il passaggio dell’aria, e quindi occorre un frequente sgriglia- mento; la marcia del focolare è interrotta, e colle ceneri cade una grande quantità di carbone incombusto. Adoperando griglie speciali si attenua alquanto l’incombustione, ma non si elimina.

Essiccare la lignite a misura che si estrae, per passarla subito al con­sumatore, e ridurre il trito in formelle, ecco il duplice scopo che si è voluto raggiungere nell’ impianto della nuova fabbrica alla miniera della Società delle ferriere italiane.

Fra i modi di fabbricazione di formelle, venne opportunamente scelto quello ottenuto colla semplice compressione della lignite, quale trovasi adoperato in Germania, nei dintorni di Halle e di Cologna, del quale l’ ingegnere del distretto minerario di Firenze, signor P. Toso, aveva già fatto cenno nella Rivista mineraria per l’anno 1882.

In Germania il problema della fabbricazione di formelle colla lignite venne in tal modo e da anni risolto. Restava il dubbio se le ligniti del Valdarno, di natura tanto diversa dalle tedesche, fossero suscettibili di dare una buona formella compatta e resistente al fuoco. Le esperienze fatte dapprima in Germania e l’esercizio di alcuni mesi dimostrarono come le formelle di ligniti italiane riescano non meno compatte delle tedesche.

I grandi depositi di lignite bruna, in Germania, forniscono una lignite con un’umidità non inferiore alle ligniti del Valdarno, differi­scono in ciò che in esse la quantità di cenere è molto minore e si in­contrano rarissimi tronchi d’albero, tanto che la lignite tedesca ha l’apparenza di torba disfatta e spappolata.

La costruzione della fabbrica di formelle a San Giovanni venne affidata ad una ditta di Zeitz, che fece molti analoghi impianti in Ger­mania. Ecco quali sono le operazioni a cui viene sottoposta la lignite.

Mediante una serie di cilindri frantumatori, la lignite viene ridotta a grani fini, cioè non superiori a mm. 3 di diametro; quindi passa nel­l’apparecchio di essiccazione, il quale consiste in una serie di dischi sovrapposti, riscaldati internamente dal vapore; la lignite si fa cadere gradatamente da un disco al sottostante mediante rastrelliere che gi­rano sopra ogni disco, smovendo la lignite e, poco alla volta, traspor­tandola verso la periferia, donde cade nel disco sottostante, sul quale invece le rastrelliere fanno convergere la polvere di lignite verso il centro, e così alternativamente, fino a che la polvere di lignite arrivata al fondo è essiccata, ed ha ordinariamente dal 12 al 14 per cento d’acqua. Essa passa in seguito alla pressa, dove viene assoggettata a circa 1200 atmosfere di pressione e ne esce sotto forma di un cordone nero, formato da tante formelle aderenti, le quali però facilmente, ad un leggero urto, si distaccano. Le formelle pesano circa 1/3 di chilo-

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352 L’INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI

gramma. La produzione giornaliera è di circa 35 tonn. al giorno ed il prodotto è compatto, a superficie lucida.

Se il prezzo di fabbricazione riescirà modesto e rimunerativo, ed il modo di comportarsi nei focolari delle formelle di lignite, fatte coi triti di quelle miniere, riescirà soddisfacente, benché generalmente assai più carichi di cenere, è evidente che si sarà fatto un gran passo per la buona utilizzazione dei combustibili di qualità scadente che si trovano in abbondanza nel Valdarno Superiore.

(Rivista mineraria per il 1900).

Un motore solare. — Parecchi anni sono erasi annunziata nei giornali la istituzione in California di una Società col titolo « Solar Heat Power Company », che si proponeva di utilizzare il calore del sole come forza motrice, a scopo di irrigazione e per altri lavori agri­coli. Ma di quella Società più non avevasi udito a parlare, nè ben sap­piamo se la medesima abbia qualche relazione col nuovo motore so­lare del quale l’Engineering News ed altri giornali hanno dato, mesi sono, la descrizione.

Il nuovo motore solare venne impiantato a South Pasadena in Cali­fornia, e dicesi sia il risultato di ricerche sperimentali che durarono parecchi anni e costarono assai. Il motore fu costruito a Boston, dove la Società ha la propria sede, e spedito per essere provato sotto l’azione continua del sole estivo nella regione meridionale della California.

L’apparecchio si compone di due parti essenziali : il riflettore e la caldaia. Il primo ha la forma di un tronco di cono a base circolare, il cui diametro maggiore è di 10 m. circa, ed il minore di m. 4,80. La superfìcie riflettente consta di 1788 specchietti piani disposti nell’in­terno del cono. Questi specchi sono di lastra di vetro, dell’ordinario spessore, e ricoperta per di dietro da tre strati d’argento puro, con so­vrapposizione di un preparato per preservare l’argento dalle ingiurie degli agenti atmosferici. L’asse del cono, essendo posto in direzione del sole, tutti i raggi incidenti sugli specchi vengono riflessi sull’asse.Il riflettore è mantenuto sempre nella direzione del sole per mezzo di ; un movimento di orologeria con scappamento elettrico che opera ad \ ogni 20 secondi. Tutto l’apparecchio è sospeso ad un’incastellatura in ferro leggera, ma abbastanza rigida per resistere alla violenza del ! vento.

La caldaia è posta evidentemente nel fuoco, ed è un cilindro della j lunghezza di metri 4,14, della capacità di 450 litri per l’acqua e j 225 litri per il vapore. Consta di un robusto tubo d’acciaio terminato j da due calotte di ghisa, di cui quella superiore porta un duomo di j presa del vapóre. Vi sono nell’interno certe disposizioni speciali, non ben conosciute finora, e che hanno per effetto di impedire lo spandi- j mento dell’acqua quando la caldaia si trova rovesciata nel seguire il ! movimento generale dell’apparecchio. Essa è munita di una valvola di sicurezza, e di un indicatore a livello; essa mantiene il vapore j alla pressione di kg. 10,5, bastando di un’ora di esposizione al sole j per arrivare a tale pressione. La parte esterna è rivestita d’una pre- j parazione contenente del nero fumo nello scopo di accrescere il po- j tere assorbente della sua superficie. Un tubo inviluppato di amianto j conduce il vapore ad una macchina compound, a condensazione, di j 11 cavalli-vapore, la quale, per mezzo di una cinghia, muove una j pompa centrifuga, capace di estrarre 100 litri circa d’acqua al minuto j secondo da un pozzo profondo m. 4,80 e di sollevarli a m. 2,10 circa ; sul suolo.

L’applicazione meglio indicata del calore solare è appunto il sol- ! levamento dell’acqua da migliaia di pozzi che, nelle vaste regioni della California meridionale, del Nevada, del Nuovo Messico e del- l’Arizona, servono all’ irrigazione. In quelle località il cielo è sempre sereno dall’ aprile all’ ottobre, ed il calore solare è sempre intenso, mentre vi è mancanza assoluta di corsi d’acqua, ed il combustibile è siffattamente raro che talvolta impiegasi in sua vece il mais. L ’ap­plicazione in larga scala dei motori solari permetterebbe quindi di ottenere colla irrigazione una produzione agraria enorme dalle plaghe più favorevolmente situate del gran deserto americano.

Le esperienze che si sono fatte non avrebbero dimostrato l’ utilità di aumentare le dimensioni del motore solare al di là di quelle so- vraindicate, le quali permettono di sviluppare comodamente 10 ca­valli-vapore, i quali potranno anche essere portati a 15 in seguito ad alcuni perfezionamenti che sono in vista. Occorrendo maggiore potenza, converrà riunire parecchi riflettori e caldaie al servizio di una sola motrice

(Bulletin de la Société des Ingénieurs Civils).

B I B L I O G R A F I AIng. A. C i A P n . — Sulla trasmissione (lei lavoro mediante

il meccanismo di biella e manovella. — Un voi. in-8° di pag. 28, con una tavola litografata e sei figure nel testo. Estratto dagli Annali della Società degli Ingegneri in Roma. — Roma, Tipo-Litografia del Genio civile, 1901.

Se si gnardi con occhio puramente teorico, la determinazione del diagramma del lavoro disponibile sull’albero motore d’ una motrice

i con trasmissione a biella e manovella ha indubitamente notevole im­portanza; e la elegante soluzione, preminentemente grafica, che l’A. dà in questa monografia al quesito proposto, semplificando ed abbre­viando l’opera di altri autori, torna a suo merito, e tanto più distinto in quanto nelle sue ricerche teoriche e nella applicazione che vi fa seguito, l’A. dimostra una scrupolosità ed una precisione quasi mai smentita.

Ma se si entri nel campo pratico, e si guardi alle applicazioni ed agli uffici che questo diagramma del lavoro disponibile può avere e compiere, e che dall’A. sono specificati:

1° nella ricerca del rendimento organico della motrice;2“ nel porre in evidenza i pregi od i difetti della trasmissione

per biella e manovella;3° nel fornire il coefficiente di regolarizzazione del movimento

* dell’albero motore della motrice;: si può dubitare dell’utilità pratica di questo diagramma per quanto

concerne la prima e la seconda applicazione, ed inoltre si debbono far riserve sulla maggior precisione in confronto di altri metodi per quanto riguarda la terza.

Ed in vero il calcolo preventivo del rendimento organico, che si riferisce al periodo intero, e non a frazione di periodo, del moto della motrice, riesce certo più pronto, meno soggetto ad errori, ed anche più facile se, calcolati i lavori passivi consumati in un periodo del

> moto della macchina, questi si detraggano dal lavoro indicato, e la j differenza si divida pel lavoro indicato stesso. Il metodo usato dall’A.,

consistente essenzialmente nello studio grafico successivo dell’equi- ! librio dinamico dei varii elementi della catena d’organi meccanici | che va dallo stantuffo alla puleggia motrice, se ben tenga conto della j leggera variazione subita dall’attrito nelle snodature e nei perni di j rotazione, per nulla elimina la ben più grave incertezza della scelta | dei convenienti coefficenti di attrito, per nulla facilita la determina- | zione, nelle vere condizioni di marcia della motrice, delie pressioni

unitarie sulle parti cilindriche muoventi con sfregamento, quali le guerniture elastiche degli stantuffi, lo stelo e controstelo entro i passaggi stoppati. Nè un’ influenza praticamente sensibile sul rendi­mento può avere l’azione delle masse spostantisi, che l’A. computa sotto aspetto di forze d'inerzia nei suoi poligoni d’equilibrio dinamico, sia a causa del carattere alterno del moto e del piccolo valore delle masse (esclusi gli organi sull’albero, che i’A. suppone di velocità costante), sia per la cura che moderni costruttori pongono nel contro­pesarle.

Come pure la mancanza o meno di regolarità negli «forzi, e la manifestazione dì urti anormali nella trasmissione per biella e ma­novella, prima ancora che dal diagramma del lavoro effettivo, dia­gramma che, per errori inevitabili in un calcolo grafico un po’ lungo, può non tradurre colla voluta esattezza l’andamento del fenomeno fisico, saranno rilevati da una ispezione accurata della motrice in marcia.

Tanto l’occhio quanto l’orecchio esperto ed educato a tali indagini subito rileverà se la biella manchi di registrazione e « batta » ; solo col toccare i perni e le articolazioni si vedrà se si scaldano ; insomma i soli sensi del meccanico in brevissimo tempo daranno quanto, con probabile minor precisione, riesce possibile di rilevare da un dia­gramma di cui il tracciamento richiede uno studio abbastanza lungo e delicato.

È poi evidente che il diagramma del lavoro effettivo, sì come è dall’A. ricavato, per quanto concerne la determinazione della ecce- denza massima del lavoro motore sul lavoro medio utile, la quale è

; necessaria a conoscersi per calcolare colla formola del Tredgoold il | coefficente di regolarizzazione della motrice, non può dare la preci- i sione che l’A. si ripromette, poiché con esso si vorrebbe ricavare il ! valore di un coefficente cui implicitamente l’A. dà già valore oo , poi■ che ammette nullo il suo reciproco col ritenere fin da principio « che ; il moto dell’albero principale sia così regolarizzato da potersi ritenere | uniforme », e che non si debba « considerare per l’albero alcuna j » forza d’ inerzia, imperocché movendosi esso di velocità uniforme, j » come da principio veune supposto, la sua accelerazione è costan-

» temente nulla ».E quand’anche, con maggior precisione, l’A. volesse applicare il

j metodo dei successivi poligoni d’equilibrio dinamico per la ricerca | di questo coefficente di regolarizzazione, metodo certamente buono, j poiché il problema si riferisce ad una porzione del periodo della mo- | trice, e non a tutto il periodo (d’onde la convenienza di prendere | in considerazione le forze e non i lavori), dovendo in allora consi- | derare anche le variazioni di forza viva negli organi rotanti, impli- ! citamente dovrebbe conoscere già il coefficente di regolarizzazione. E j questo non conoscendo, il concetto suo potrebbe essere applicato col | metodo delle successive approssimazioni ; la qnal cosa, pur non to- ì gliendo l’eleganza di cui, per la trattazione grafica adottata, l ’A. hai saputo rivestire la soluzione del problema propostosi, allungherebbe ; talmente il calcolo, ed allungandolo renderebbe possibili errori taliI per cui a parer nostro riuscirebbe dubbia la convenienza di questo j metodo in confronto di altri noti.

G io v a n n i S a c h e r i , Direttore. Tip. e Lit. C a m il l a e B e r t o l e r o di N a t a l e B e r t o l e r o , Editore. P a o l o M a r ia n o , Gerente.

Ing. G. A l l a r a .

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L’ Ingegneria C ivile e le Arti Industriali. Anno XXVII — Tav. XXII.

Fig. 1. — Veduta prospett ica del l ’edificio a cupol a pel gran Rifrattore.

Fig. 2. — Interno del cupolone. — Rifrattore e Sedia d'osservazione.

IL CUPOLONE DEL GRAN RIFRATTORE DELL’ OSSERVATORIO ASTRO-FISICO DI POTSDAM ( T a v . II).

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