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GEORISORSE AMBIENTE TERRITORIO ECOTER CPA S.r.l. Via Selvagreca, 14H – 26900 Lodi tel.: 0371/427203 (r.a.) – fax: 0371/50281 e-mail: [email protected] – web: www.ecotercpa.it ECOTER CPA S.r.l. Partita I.V.A. 11710640159 – Capitale Sociale Euro 25.000,00 i.v. Registrazione C.C.I.A.A. di Lodi 1442050 – Registrazione Tribunale di Lodi 10652/290/10712 Progetto: PROGETTAZIONE DEFINITIVA DELLA NUOVA CENTRALE TERMO- ELETTRICA A CARBONE (2X660 We) A SALINE JONICHE (RC) Attività: STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE: ANALISI DEGLI EFFETTI DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA SULLE COLTURE LOCALI DI BERGAMOTTO Committente: SEI S.p.A. Contenuti: RELAZIONE FINALE Rif. e data: SEI/488/11 – MARZO 2012 timbro e firma committente: timbro e firma progettista:

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GEORISORSE • AMBIENTE • TERRITORIO ECOTER CPA S.r.l. Via Selvagreca, 14H – 26900 Lodi tel.: 0371/427203 (r.a.) – fax: 0371/50281 e-mail: [email protected] – web: www.ecotercpa.it

ECOTER CPA S.r.l. Partita I.V.A. 11710640159 – Capitale Sociale Euro 25.000,00 i.v.

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Progetto: PROGETTAZIONE DEFINITIVA

DELLA NUOVA CENTRALE TERMO-ELETTRICA A CARBONE (2X660 We)

A SALINE JONICHE (RC) Attività:

STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE: ANALISI DEGLI EFFETTI DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA SULLE COLTURE

LOCALI DI BERGAMOTTO Committente:

SEI S.p.A. Contenuti:

RELAZIONE FINALE Rif. e data:

SEI/488/11 – MARZO 2012

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CONTENUTI

1. INTRODUZIONE 1.1. PREMESSE 1.2. SOMMARIO E CONCLUSIONI

1.2.1. Aspetti metodologici 1.2.2. Sintesi delle attività 1.2.3. Analisi dei risultati 1.2.4. Prospettive

2. SINTESI DEL QUADRO CONOSCITIVO 2.1. DESCRIZIONE DEL QUADRO PROGRAMMATICO

2.1.1. Pianificazione territoriale regionale 2.1.2. Pianificazione territoriale provinciale 2.1.3. Pianificazione urbanistica comunale 2.1.4. Pianificazione di settore: aria 2.1.5. Aspetti Socio Economici e Territoriali 2.1.6. Conclusioni

2.2. DESCRIZIONE DEL QUADRO PROGETTUALE 2.2.1. Il sito: l’area industriale dismessa di Saline Joniche 2.2.2. Localizzazione dell’impianto 2.2.3. Parametri e dati comuni di riferimento 2.2.4. Criteri di selezione adottati e conclusioni della valutazione comparativa 2.2.5. Ulteriori elementi progettuali

2.3. DESCRIZIONE DEL QUADRO AMBIENTALE 2.3.1. Individuazione e delimitazione dell’ambito di indagine 2.3.2. Quadro meteo-climatico

3. MODELLAZIONE DEGLI IMPATTI SULLA QUALITÀ DELL’ARIA 3.1. IMPATTO SULLA QUALITÀ DELL’ARIA 3.2. AREA DI STUDIO E RECETTORI DISCRETI CONSIDERATI 3.3. SORGENTI CONSIDERATE 3.4. OPZIONI DI CALCOLO 3.5. DATI METEOROLOGICI 3.6. SIMULAZIONI EFFETTUATE

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4. ANALISI DATI PREGRESSI: SUOLO E SOTTOSUOLO

4.1. INQUADRAMENTO GEOLOGICO STRUTTURALE DELL’AREA VASTA 4.2. INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO E COSTIERO 4.3. CARATTERI GEOLOGICI E LITOLOGICI DELL’AREA D’IMPIANTO 4.4. IL SUOLO 4.5. INQUADRAMENTO PEDO-GEOGRAFICO 4.6. I TIPI PEDOLOGICI

5. ANALISI DATI PREGRESSI: LA VEGETAZIONE 5.1. USI DEL SUOLO: AREA D’IMPIANTO 5.2. QUADRO FLORISTICO-VEGETAZIONALE DELL’AREA VASTA 5.3. FLORA E VEGETAZIONE DELL’AREA D’IMPIANTO 5.4. ELEMENTI DI FISIOLOGIA DELLE PIANTE

6. ANALISI DEGLI ELEMENTI DI SENSIBILITÀ DEL SITO 6.1. VALUTAZIONE DEL QUADRO AMBIENTALE

6.1.1. Impatti in fase di cantiere 6.1.2. Impatti in fase d’esercizio 6.1.3. Misure di mitigazione e sistemi di monitoraggio 6.1.4. Sintesi del quadro di riferimento attuale: aria 6.1.5. Analisi e previsione di impatto 6.1.6. Co-combustione carbone-biomasse

6.2. ATTITUDINI DEI SUOLI E DELLE TERRE 6.2.1. Capacità d’uso dei suoli e delle terre 6.2.2. Attitudine alla coltivazione degli agrumi

7. ANALISI DEGLI ELEMENTI DI INCIDENZA DEL PROGETTO 7.1. VALUTAZIONE DEL QUADRO PROGETTUALE

7.1.1. Sintesi delle prestazioni energetiche ed ambientali della Centrale 7.1.2. Qualità dell’aria e ricadute al suolo degli inquinanti: risultati di simulazioni

prodotte nel SIA con l’uso di modelli 7.2. SUOLI: PRESSIONI PRODOTTE

7.2.1. L’acidificazione 7.2.2. Gli elementi in traccia 7.2.3. Comportamento dei metalli nel suolo 7.2.4. La mobilità dei metalli nei suoli

7.3. INQUINANTI DELL’ARIA E FISIOLOGIA DELLE PIANTE

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7.4. GLI INQUINANTI PIÙ IMPORTANTI E LORO EFFETTO SULLE PIANTE 7.4.1. Effetti dell’Anidride Solforosa (SO2) 7.4.2. Effetti degli Ossidi di Azoto (NOx) 7.4.3. Effetti delle piogge acide 7.4.4. Effetti delle Polveri sottili 7.4.5. Effetti dei metalli (mercurio, arsenico, cromo e cadmio) 7.4.6. Effetti dell’Ozono (O3)

8. VALUTAZIONE DI IMPATTO SUL TARGET CONSIDERATO 8.1. POTENZIALI EFFETTI QUALITATIVI SUI SUOLI 8.2. VALUTAZIONE DELL’IMPATTO DEL PROGETTO SULLA FISIOLOGIA DELLE

PIANTE COLTIVATE 8.2.1. Concentrazioni di inquinanti in corrispondenza dei target considerati 8.2.2. Impatto degli inquinanti sulla vegetazione 8.2.3. Studi in condizioni ambientali non controllate 8.2.4. Studi in condizioni ambientali controllate 8.2.5. Conclusione relativa al target “colture”

APPENDICI APPENDICE 1 ------- IL QUADRO CONOSCITIVO: SINTESI DEL SIA APPENDICE 2 ------- ELABORATI CARTOGRAFICI (Tavole A3)

Tav. 1 ----------- Inquadramento territoriale: Area d’impianto – Scala 1:10.000 Tav. 2 ----------- Inquadramento territoriale: Area ristretta – Scala 1:25.000 Tav. 3 ----------- Inquadramento territoriale: Area vasta – Scala 1:50.000 Tav. 4 ----------- Inquadramento territoriale: Area vasta – Scala 1:100.000 Tav. 5 ----------- Inquadramento territoriale: Area di produzione del

bergamotto – Scala 1:100.000 Tav. 6 ----------- Uso del suolo – Corine Land Cover – Scala 1:100.000 Tav. 7 ----------- Distribuzione spaziale delle concentrazioni medie annue di

SOx, NOx, CO, PM10 (μ/m3) per lo scenario di progetto Tav. 8 ----------- Distribuzione spaziale delle deposizioni totali annuali di Pb,

Ni, As, Cd (mg/m2) per lo scenario di progetto

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1. INTRODUZIONE

1.1. PREMESSE Il presente documento corrisponde alla Relazione Finale prodotta a conclusione delle attività svolte dalla Società Consulente ECOTER CPA S.r.l. (di seguito definita “il Fornitore”) per conto della Azienda SEI S.p.A. (di seguito definita “il Committente”), attività che hanno avuto come obiettivo quello di fornire al Committente, relativamente al progetto di realizzazione della Centrale Termo-Elettrica a Carbone da 2x660 MWe (di seguito anche definita anche solo “centrale” o “impianto”) a Saline Joniche, nel comune di Montebello Jonico (RC), quanto il Committente stesso ha richiesto, ossia ricostruzioni, analisi e valutazioni, per identificare possibili interazioni tra emissioni in atmosfera dell’impianto e le locali coltivazioni agrumicole (bergamotto). La prestazione d’opera intellettuale è garantita per il Fornitore dai propri professionisti, che si sono occupati degli aspetti di relativa competenza, coordinati dal Dott. Paolo Cerutti, coadiuvato dal Dott. Enrico Casati e dal Dott. Alessandro Bianchi, in particolare per ciò che concerne competenze specifiche e specialistiche di carattere agronomico, e da altri singoli consulenti per analisi di aspetti di minor rilievo. Il programma dei lavori è stato definito a partire dai contenuti dell’estratto di documentazione dello Studio di Impatto Ambientale (nel seguito definito solo “SIA”) fornita dal Committente a inizio attività, comprendente: • quadro progettuale, quadro programmatico, quadro ambientale, • allegati fotografico e cartografici: n° 67 Tavole (1, 2, 3, 4a, 4b, …, 39), • sintesi non tecnica dello stesso SIA; non si sono viceversa ritenuti utili allo scopo gli ulteriori allegati e documenti facenti parte del SIA, relativi ad impatto acustico ed indagini geo-ambientali sul sottosuolo. Il risultato finale di cui alla presente relazione è scaturito quindi da una analisi, oltre che del citato estratto parziale della documentazione del SIA, di quanto segue; • altra documentazione di SIA; • dati di dominio pubblico acquisiti nel corso della attività; • dati, informazioni e conoscenze di proprietà del Fornitore; • letteratura scientifica di settore; • valutazioni già effettuate congiuntamente. Il SIA disponibile tuttavia ricostruisce e analizza a scale diverse aspetti diversi e fornisce, per la diffusione degli inquinanti, il quadro emissivo e le dinamiche, mentre ad esempio nulla dice sui caratteri pedologici dei suoli (salvo rifarsi al quadro nazionale per la definizione dei livelli critici per l’acidificazione e il carico di piombo e cromo) nel territorio circostante il sito e nemmeno sulla struttura produttiva agricola locale, di cui si descrive solo la geografia delle classi generali d’uso (legenda CORINE), senza altre informazioni in merito alle tecniche colturali utilizzate e nello specifico al peso locale e regionale delle produzioni di qualità, come è quella del bergamotto. Nel testo della presente relazione, per esigenze di inquadramento del progetto e delle valutazioni fornite, si riportano in corsivo stralci del SIA; i riferimenti ad elaborati quali tabelle, figure, grafici, tavole, se non esplicitato diversamente, devono essere intesi come riferimenti ai corrispondenti elaborati del SIA stesso. A completamento di quanto sopra, nelle due appendici alla presente relazione si forniscono rispettivamente: • un’ampia descrizione del quadro conoscitivo presentato dal SIA e descritto in sintesi anche nel capitolo 2; • rappresentazioni cartografiche di alcuni elementi di inquadramento territoriale dell’area di studio, nonché

delle distribuzioni spaziali delle concentrazioni medie annue e delle deposizioni totali annuali di alcuni inquinanti per lo scenario di progetto, come fornite nel SIA.

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1.2. SOMMARIO E CONCLUSIONI 1.2.1. Aspetti metodologici In considerazione della potenziale complessità ed articolazione delle valutazioni richieste dal Committente e dei numerosi livelli di possibile approfondimento delle ricostruzioni e delle analisi, si ritiene opportuno fornire alcune considerazioni di carattere metodologico, utili per una prima verifica e condivisione dell’approccio proposto e seguito, nonché di conseguenza dei risultati raggiunti, in questa fase. 1. Premesso che gli esiti delle valutazioni richieste non sono ovviamente predeterminati, né prevedibili, e che

in un caso teorico e molto semplice si potrebbe evidenziare la non sussistenza di effetti di alcun tipo relativamente a quanto richiesto, è giusto sottolineare che nella fattispecie si è dovuta ad esempio verificare la sussistenza o meno di effetti diretti sulle colture, ma anche a dover definire (come suggerisce la metodica europea DPSIR - Driving forces, Pressures, States, Impacts, Responses) il quadro delle “pressioni” che si vengono a verificare complessivamente sull’ecosistema, cioè sulle relazioni suolo-pianta-atmosfera-idrosfera a seguito della costruzione e messa in opera della centrale.

2. Sulla base di quanto richiesto dal Committente, gli elementi considerati sono essenzialmente le emissioni in

atmosfera e le loro dinamiche, mentre ad esempio: a. il consumo di acqua (realistico peso dell’utilizzo previsto di acqua di acquedotto e di pozzi soprattutto

per la costruzione, ma anche per l’operatività dell’impianto rispetto all’uso irriguo effettivo o potenziale, con particolare riferimento alle colture di pregio);

b. eventuali effetti sulle acque superficiali (come fonti di approvvigionamento possibile, realisticamente coinvolte, stante il regime idrologico dei corsi d’acqua, nel processo di produzione agricola);

c. relativi effetti secondari ed altri impatti, relativi sia alla fase di costruzione che a quella di esercizio, nonché relativi ad altri target;

non sono stati considerati in quanto non in grado di generare effetti significativi. 3. Pur comunque rifacendoci anche solo alla componente “emissioni in atmosfera”, gli aspetti considerati sono

stati ricondotti a target differenti, ossia: a. le colture: la fisiologia e la tecnica di coltivazione specifica per caratterizzare la sensibilità agli

inquinanti dei singoli individui e dei campi coltivati; b. il suolo: per cogliere le dinamiche delle deposizioni umide e secche con riferimento alla resilienza agli

apporti acidificanti e al possibile accumulo o trasferimento di elementi in traccia (c.d. metalli pesanti). 1.2.2. Sintesi delle attività 1. Relativamente agli obiettivi del lavoro, le attività sono state programmate e sviluppate con riferimento alle

necessità concordate di: a. predisporre ricostruzioni e analisi qualitative, oltre alle necessarie elaborazioni relative a componenti

di interesse (inquadramento geo-pedologico regionale, aree agricole produttive identificate nella carta dell’uso del suolo esistente) non trattate nel SIA, indicando quindi, in funzione di quanto sopra, le valenze e le criticità riscontrate ed alcune prospettive per un eventuale futuro approfondimento;

b. non mettere in discussione gli elementi conoscitivi e metodologici già definiti nel SIA (quadri progettuale, programmatico ed ambientale), né in ogni caso di procedere ad elaborazioni quantitative ex-novo, anche riferite a componenti ed elementi che siano già state oggetto di analisi all'interno dello stesso SIA, né tantomeno di effettuare rilievi in sito, né trasferte di altro tipo;

c. produrre infine gli elaborati definitivi, redatti nei termini che parzialmente comunque già si sono identificati nel corso del lavoro in base alle risultanze progressivamente emerse.

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2. Nel corso delle attività, per livelli di approssimazione successivi in termini di ricostruzione, analisi e valutazione, si è quindi proceduto in sintesi, alla stessa scala del SIA, a quanto segue: a. sistematizzazione dei dati pregressi per la ricostruzione dello stato di fatto; b. analisi del quadro progettuale e degli elementi di sensibilità del sito e di incidenza del progetto, e

integrazione, per ciò che concerne il quadro ambientale, dei dati pregressi; c. valutazione dell’impatto del progetto sul target considerato, ossia dei potenziali effetti qualitativi di

inquinanti già considerati sui suoli e sulla fisiologia delle piante coltivate; d. redazione di una prima sintesi tecnica relativa a quanto sopra, a beneficio del Committente, e

comprensiva di un programma di predisposizione degli elaborati finali; e. analisi e valutazione di quanto sopra, effettuate congiuntamente al Committente, che ha prodotto

proprie osservazioni scritte finalizzate anche agli approfondimenti successivi; f. redazione della presente Relazione Finale, che propone un’analisi dei quadri programmatico,

territoriale e progettuale, fornendo indicazioni in merito a quanto descritto, analizzato e valutato. 3. Relativamente all’analisi dei potenziali effetti delle emissioni in atmosfera:

a. le attività di ricostruzione hanno comportato in un primo momento la necessità di definire un modello concettuale condiviso e successivamente quanto già identificabile sulla base di dati pregressi, mentre solo in una seconda fase si è potuto procedere a ricostruzioni parzialmente integrative (per scala o per aspetto) di quanto disponibile;

b. come già indicato in precedenza, l’analisi è stata impostata facendo riferimento a due target finali differenti, ossia il suolo, in quanto elemento potenzialmente esposto alla deposizione delle emissioni ed indirettamente in grado di veicolare a sua volta effetti sulle colture, e le colture stesse la relativa sensibilità alle emissioni stesse, da confrontare con il quadro emissivo previsto;

c. non essendo stato previsto di mettere in discussione in questa fase gli elementi conoscitivi e gli aspetti metodologici già definiti nel SIA, le conclusioni finali del lavoro, le valutazioni espresse e le associate condizioni di validità e incertezze proprie della scala e delle metodologie di lavoro adottate potranno essere verificate ed integrate sia mediante eventuali approfondimenti futuri, sia sulla base delle evidenze fornite dal monitoraggio già previsto dal SIA.

4. Relativamente al target “suolo”:

a. si è operato con riferimento alla necessità di definire l’eventuale rischio reale di un effettivo instaurarsi di condizioni ritenute dannose per l’attività biologica dei suoli a seguito degli eventuali apporti atmosferici, considerando l’odierna conoscenza dei suoli, della loro interazione con l’ambiente e dei livelli attuali dei singoli elementi;

b. l’indagine sull’area circostante la localizzazione della futura centrale ha consentito di circoscrivere ambiti territoriali a differente vocazione alla coltura degli agrumi e di caratterizzarli qualitativamente per il loro potenziale comportamento nei confronti delle principali pressioni dovute al possibile effetto delle deposizioni dovute alle emissioni in atmosfera da parte della centrale.

5. Relativamente al target “colture”:

a. è stata esaminata nel dettaglio l’influenza di ossidi di Zolfo, ossidi d’Azoto, Ozono, metalli pesanti e delle polveri sottili sulla crescita delle piante e sulla fisiologia degli agrumi in particolare, fornendo al contempo una sintesi concettuale di alcuni elementi di fisiologia delle piante ed una descrizione dei principali potenziali e teorici effetti dell’inquinamento atmosferico;

b. gli inquinanti considerati di maggiore interesse ai fini dello studio sono: anidride solforosa (SO2), ossidi di azoto (NOx), ozono troposferico (O3) e alcuni metalli pesanti (Hg, Cr, Cd, As);

c. gli effetti sullo stato di salute delle piante dovuti ad inquinanti emessi da processi industriali e da impianti di produzione di energia sono stati descritti facendo riferimento a noti e numerosi studi effettuati a partire dagli anni sessanta ad oggi; oltre alla trattazione generale degli effetti dovuti agli inquinanti osservabili sulle specie vegetali, la presente relazione si è rivolta infatti alla ricerca di prove sperimentali o di studi specifici in grado di fornire previsioni utili rispetto all’obiettivo principale dello studio di cui alla presente relazione, ossia la ricerca di effetti negativi sulle colture di bergamotto (Citrus bergamia L.) nell’intorno dell’area di installazione dell’impianto.

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1.2.3. Analisi dei risultati Anticipando in forma sintetica quanto più estesamente indicato nelle rispettive parti nel seguito della presente relazione, con riferimento al target “suolo” ed alla definizione del rischio reale di un effettivo instaurarsi di condizioni ritenute dannose per l’attività biologica dei suoli, considerando l’odierna conoscenza degli stessi suoli, della loro interazione con l’ambiente e dei livelli attuali dei singoli elementi, la valutazione, seppur qualitativa e preliminare, ha evidenziato che: a. nella zona di maggior attitudine all’agrumicoltura i parametri relativi alla valutazione dei processi di

acidificazione presentano condizioni in genere favorevoli, cioè tali da scongiurare verosimilmente il rischio di un potenziale danneggiamento dei suoli a fronte di una intensificazione di possibili apporti acidificanti: reazioni sub alcaline o neutre, spesso associate alla presenza anche solo moderata di carbonati (se non in superficie nell’orizzonte immediatamente sottostante), sono caratteri ampiamente diffusi indicanti un alto potere tampone dei suoli ed una loro elevata eventuale resilienza;

b. si possono verificare situazioni sub ottimali in concomitanza di suoli sottili, a granulometria grossolana con scarsa capacità di scambio cationico, diffusi in settori litoranei delle piane costiere e in aree alluvionali più prossime ai corsi d’acqua (Phaeozems, Fluvisols) però caratterizzate da intensa dinamica distributiva dei carbonati; le prime presentano tuttavia e comunque importanti limitazioni all’uso agricolo e modesta attitudine alla agrumicoltura, diversamente dalle piane delle fiumare, che hanno una discreta attitudine alla coltivazione degli agrumi in cui però il rischio di acidificazione è fortemente ridotto dalla presenza di suoli con accumulo di carbonati negli orizzonti profondi tali da lasciare ipotizzare un importante trasporto, sia interno al suolo, che dagli ambiti circostanti;

c. condizioni differenti, seppur non necessariamente critiche, sono riferibili a situazioni locali (terrazzi pleistocenici), qualora nei suoli illuviali (Luvisols) che ne caratterizzano la copertura pedologica prevalgano i caratteri “districi”, che, stanti le tessiture moderatamente grossolane di cui si riporta la maggior frequenza e lo scarso contenuto in sostanza organica, possono presentare simultaneamente anche valori di capacità di scambio bassi e possibili pressioni dovute principalmente all’apporto esogeno di metalli pesanti e, in misura minore, ai composti acidificanti.

Relativamente viceversa al target “colture”, si sono effettuate valutazioni basate su indagini e studi di diverso tipo che valutano gli effetti degli inquinanti atmosferici in condizioni naturali, con osservazioni istologiche e fisiologiche di piante (anche del genere Citrus) cresciute in zone ad inquinamento più elevato di quello che si riscontra nell’area di Saline Ioniche; questo tipo di studi in genere non sempre consente di ottenere una correlazione dose-risposta, in quanto gli effetti osservati derivano da una combinazione di condizioni non “controllate”, cioè non completamente note e che inoltre non tengono conto dell’andamento degli inquinanti negli anni precedenti all’indagine; altri studi invece sono svolti in condizioni di laboratorio o di serra, quindi “controllate” per ciò che concerne le concentrazioni di inquinanti, le riferibilità a concentrazioni crescenti degli stessi inquinanti, nonché altri parametri (es.: apporto idrico, temperatura, tipo di suolo, concimazioni, ecc.); molti degli studi di questo tipo dimostrano l’effetto dei contaminanti, sia singolarmente, sia sinergicamente, e consentono di costruire dei modelli dose–risposta e di stabilire dei valori limite oltre i quali l’effetto negativo si può osservare: ai nostri fini gli effetti negativi dovuti a concentrazioni di inquinanti paragonabili a quelle previste dal progetto della centrale oggetto della presente relazione non sono in genere nemmeno descritti o comunque non forniscono risultati statisticamente significativi; i dati scientifici esistenti illustrano infatti gli effetti negativi degli inquinanti atmosferici sul metabolismo e sulle funzioni fisiologiche in generale delle piante coltivate e sul genere Citrus, in generale; tuttavia, effetti diretti ed evidenti sono correlati a concentrazioni degli inquinanti considerati molto superiori a quelle previste nel SIA e/o comunque a condizioni non direttamente confrontabili. In sintesi quindi, i risultati dello studio sulle colture evidenziano che: 1. i livelli di emissione di inquinanti previsti dal SIA sono ovviamente nei limiti di legge e, anche con

riferimento ad essi, comunque bassi o molto bassi; 2. ai livelli di emissione e di deposizione indicati dal SIA non sono emerse problematiche di fito-tossicità; 3. l’effetto sinergico tra inquinanti, soprattutto in relazione a fonti esterne non correlate con le emissioni della

centrale, dirette ed indirette, non è allo stato attuale misurabile e valutabile; un elevato fattore di sicurezza è comunque fornito dal calcolo delle emissioni e della loro diffusione fornito dal SIA.

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1.2.4. Prospettive Eventuali ulteriori competenze, escluse da necessità ed attività attuali, relative a: • verifiche e modifiche od integrazioni del quadro progettuale e dei relativi aspetti tecnologici, nonché del

quadro ambientale e dei relativi aspetti geologici, naturalistici, climatici, faunistici e vegetazionali; • analisi di ulteriori aspetti inerenti emissioni in atmosfera e relativa modellizzazione e ad una valutazione

specialistica relativa agli aspetti di coltivazione e difesa di specie arboree; • analisi e valutazioni, anche economiche, relative ai processi e cicli industriali per l’utilizzo delle produzioni

agrumicole ed ai prodotti dell'estrazione di oli essenziali (ci si riferisce al ciclo di produzione industriale che utilizza la produzione agrumicola, cioè il frutto del bergamotto ed anzi solo la sua scorza, per la preparazione di olio essenziale, che è il prodotto finale dell’industria del bergamotto);

potranno eventualmente essere messe in campo dal Fornitore successivamente, sulla base di valutazioni e successive programmazioni effettuate congiuntamente da Fornitore e Committente. Con riferimento al suolo in quanto comparto ambientale non direttamente coinvolto nell’eventuale effetto acuto, come indicato in precedenza non è possibile allo stato attuale definire un livello di rischio reale riferito alle ricadute atmosferiche; pur in assenza di criticità identificate, è stato possibile però circoscrivere ambiti territoriali di potenziale maggior sensibilità alle pressioni (acidificazione e apporti di metalli pesanti) dovute alle deposizioni di inquinanti già identificate nel SIA ed entro tali ambiti si potrebbero ipotizzare future specifiche azioni di rilievo e monitoraggio dei livelli e delle dinamiche di accumulo degli inquinanti atmosferici. Con riferimento viceversa alle colture, partendo dal presupposto per il quale gli effetti ad esempio connessi all’ozono ed alle polveri sottili non sono facilmente stimabili poiché la formazione di questi composti, così come la loro diffusione, è influenzata da un elevato numero di parametri non facilmente correlabili tra loro, e comunque spesso indipendenti dalla singola emissione, nonché considerando che i danni segnalati in altri studi (ad esempio da SO2 e O3) fanno riferimento a situazioni estreme, nel complesso assai lontane (aree altamente inquinate, con numerose sorgenti, emissioni nel complesso molto più elevate) da quelle previste nell’area di realizzazione della centrale, in prospettiva i dati forniti dal monitoraggio delle emissioni in atmosfera di tali composti potranno essere oggetto di valutazioni sito-specifiche in grado di confermare, sulla base di concentrazioni effettivamente misurate in loco, il giudizio sugli effetti sulle locali coltivazioni agrumicole espresso nel presente studio.

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2. SINTESI DEL QUADRO CONOSCITIVO

2.1. DESCRIZIONE DEL QUADRO PROGRAMMATICO Il SIA, con riferimento alla normativa sulla Valutazione di Impatto Ambientale (di seguito VIA), considera e riporta, in forma necessariamente sintetizzata, i contenuti delle leggi, delle norme e degli atti di pianificazione o programmazione di rilevanza per il territorio interessato e la tipologia dell’intervento previsto; in esso in particolare sono presi in considerazione: • strumenti di pianificazione e programmazione, vigenti e previsti, coi quali la centrale in progetto

interagisce; • norme internazionali, nazionali e locali ed atti di rilievo per la centrale proposta; • ulteriori elementi di interazione e di coerenza della centrale con il quadro programmatico delineato. 2.1.1. Pianificazione territoriale regionale Relativamente al quadro della pianificazione territoriale regionale, il SIA descrive in forma più ampia i riferimenti nel seguito riportati in forma più sintetica. La normativa regionale e strumenti di pianificazione: la Regione Calabria, con la L.R. 16.4.2002, n. 19, “Norme per la tutela, governo ed uso del territorio – Legge Urbanistica della Calabria”, ha definito la disciplina della pianificazione, tutela e recupero del territorio regionale e l’esercizio delle competenze e delle funzioni amministrative attinenti. Gli oggetti della pianificazione territoriale ed urbanistica sono i sistemi naturalistico - ambientali, insediativo e relazionale (art.5) e la definizioni di questi è compito specifico e prioritario della Regione che vi provvede attraverso il Quadro Territoriale Regionale (QTR). La pianificazione si attua secondo modalità di intervento articolate in azioni tipologiche, ovvero la conservazione, trasformazione, nuovo impianto, ed in modalità d’uso ovvero quella insediativa, produttiva, culturale, infrastrutturale, agricola-forestale, di uso misto (art.6). Gli ambiti della pianificazione (art.7) sono il territorio regionale, provinciale, comunale, dei parchi e riserve naturali nazionali e regionali, dei bacini regionali e interregionali, della pianificazione paesaggistica come definiti dal QTR ai sensi degli articoli 135, 143 e 146 del D. Lgs 42/2004, dei consorzi di bonifica. Gli strumenti della pianificazione, come definiti dalla legge con riferimento ai diversi livelli territoriali ed amministrativi, sono i seguenti: • Quadro Territoriale Regionale – QTR • Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - PTCP; • Piano Strutturale Comunale – PSC e Regolamento Edilizio ed Urbanistico comunale; • Piano Operativo Temporale - POT (di livello comunale); • Piani Attuativi Unitari - PAU (di livello comunale); • Programma integrato d’intervento - PINT (di livello comunale); • Programma di recupero urbano - PRU (di livello comunale); • Programmi di riqualificazione urbana - RIURB (di livello comunale); • Programmi di recupero degli insediamenti abusivi - PRA (di livello comunale); • Programmi d’Area (di competenza regionale). Per quanto riguarda la politica del paesaggio si evidenzia (art. 8bis) che la Regione recepisce la Convenzione Europea del Paesaggio, ratificata con L. 14/2006, ed attua i contenuti della “Carta Calabrese del Paesaggio”, sottoscritta il 22.6.2006; in quest’ultimo caso è prevista la redazione, da parte della Regione, del Documento relativo alla “Politica del Paesaggio per la Calabria”. La legge regionale stabilisce, inoltre, che per l’assetto agricolo e forestale gli strumenti urbanistici (art. 50), nell’individuazione delle zone agricole, disciplinano la tutela e l’uso del territorio agro-forestale secondo un elenco di finalità individuate.

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Strumenti di pianificazione della Regione Calabria: la Regione Calabria, degli strumenti di pianificazione previsti dalla L.R. 19/2002, ha al momento approvato, con D.C.R. 10.11.2006, n. 106, le Linee Guida della Pianificazione Regionale e lo Schema base della Carta Regionale dei Luoghi. Per il QTR, dopo la sottoscrizione in data 23.9.2005 del Protocollo d’Intesa denominato “Un Patto per il governo del territorio” è stata avviata, con D.G.R. del 22.11.2005, n. 995, la procedura di elaborazione del citato strumento di pianificazione regionale ed attualmente sono ancora in corso le attività di stesura del documento preliminare. Linee Guida della Pianificazione Regionale: le Linee Guida si articolano in due parti, la prima riguardante i “Riferimenti per la pianificazione regionale” e la seconda i “Tematismi ed approfondimenti”, a loro volta suddivise in capitoli che trattano diversi aspetti, tra gli altri relativi a: difesa del suolo e delle risorse idriche; paesaggio, parchi e ambiti naturali; infrastrutture e trasporti; reti tecnologiche. Nel caso del tema della pianificazione provinciale l’attenzione delle Linee Guida è rivolta alla componente geologica ed in tale caso, oltre ad evidenziare la competenza del PTCP ad identificare gli areali di rischio idrogeologico, utilizzando il PAI ed integrandolo, si indicano obiettivi e si delineano direttive e prescrizioni. Il documento contiene: prescrizioni alla localizzazione delle aree di espansione e delle infrastrutture, come fattori escludenti e limitanti; direttive e prescrizioni per le azioni connesse all’attività estrattiva; indicazioni sulle modalità di considerazione del rischio sismico e relative prescrizioni per le aree di espansione e le infrastrutture sempre come fattori escludenti o limitanti. Nel caso del tema della pianificazione comunale le Linee Guida forniscono innanzitutto criteri riferiti agli aspetti idrogeologici ed alle risorse geo-ambientali, da considerare in sede di redazione del PSC. In particolare, il documento riporta le prescrizioni relative alle localizzazioni delle aree di espansione e delle infrastrutture, come fattori escludenti o limitanti associati sia al rischio idrogeologico sia al rischio sismico. Nel caso dei geo-siti si precisa che il PSC deve procedere alla congrua valutazione e valorizzazione assumendoli eventualmente come possibili elementi ordinatori e dialettici dei processi di trasformazione territoriale locale. Per quanto attiene agli ambiti territoriali le Linee Guida evidenziano, quale obiettivo fondamentale, anche per il PSC, quello della riqualificazione del territorio che deve ispirare le strategie di intervento relative ai tre sistemi della pianificazione e per quello insediativo (articolato in sottosistemi) e agricolo-forestale sono riportati ulteriori obiettivi specifici. Schema base della Carta Regionale dei Luoghi: nelle Linee Guida si richiama il ruolo della Carta Regionale dei Luoghi, che è parte integrante del QTR, e si precisa che lo Schema base assume il valore e l’efficacia del QTR fino alla sua approvazione. Lo Schema base, contenuto nelle stesse Linee Guida, fornisce indicazioni di metodo e di contenuto per la redazione della Carta e definisce linee di indirizzo per la costruzione dei quadri conoscitivi. Tale documento rimanda alle norme vigenti per le aree già sottoposte a regime di tutela e propone misure di salvaguardia per le aree che esprimono particolari valori sotto il profilo ambientale. Per il regime di tutela vigente si registra quanto prescritto per le aree protette (Parchi, Riserve e Oasi) e si precisa che, in attesa dei relativi Piani, valgono le norme di salvaguardia contenute nei decreti istitutivi e nella normativa di tutela di cui alla L.R. 23/1990. Quadro inerente l’area dell’impianto: gli atti di pianificazione regionale attualmente redatti, le Linee Guida e lo Schema base per la Carta regionale dei Luoghi, non consentono di identificare una relazione diretta con l’area dell’insediamento della centrale ma forniscono indicazioni generali su obiettivi, direttive ed in alcuni casi prescrizioni. 2.1.2. Pianificazione territoriale provinciale Riferimenti normativi: il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (art. 18) è lo strumento attraverso il quale la Provincia esercita un ruolo di coordinamento programmatico e di raccordo tra le politiche territoriali della Regione e la pianificazione urbanistica dei Comuni ed inoltre è il documento che si raccorda ed approfondisce i contenuti del QTR per la parte riguardante i valori paesistico ambientali di cui al D.lgs 42/2004. Il PTCP, inoltre, assume come riferimento le linee di azione della programmazione regionale e le prescrizioni del QTR, specificandone analisi e contenuti.

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Strumenti di pianificazione della Provincia di Reggio Calabria: la Provincia di Reggio Calabria non ha ancora approvato il proprio PTCP adottato con Delibera di Consiglio Provinciale n 15 del 04/04/2011. Atto di riferimento, per quanto attiene agli aspetti della pianificazione territoriale, sono le Linee Guida approvate con D.C.P. del 29.7.2003, n. 40. 2.1.3. Pianificazione urbanistica comunale Riferimenti normativi: la L.R. 16.4.2002, n. 19, “Norme per la tutela, governo ed uso del territorio – Legge Urbanistica della Calabria”, per quanto riguarda il livello comunale identifica il Piano Strutturale Comunale (PSC) quale principale strumento di pianificazione urbanistica e lo associa agli strumenti esecutivi denominati POT (Piano Operativo Temporale) e PAU (Piano Attuativo Unitario), ai quali si aggiungono i diversi strumenti della pianificazione negoziata. Strumenti urbanistici del Comune di Montebello Jonico: il Comune di Montebello Jonico non è ancora dotato di un PSC, come previsto dalla L.R. 19/2002, ma risulta vigente un Piano Regolatore Generale (PRG), approvato con Decreto del Presidente della Regione n. 1635 del 30.11.1994 e soggetto a successiva Variante approvata con Decreto n. 418 del 4.7.97. In relazione all’assenza del nuovo strumento di pianificazione comunale introdotto dalla normativa regionale, si evidenzia che il Comune di Montebello Jonico, con D.C.C n. 1 del 27.1.2007, ha deliberato di addivenire alla formazione del PSC e di tutti gli strumenti necessari alla sua funzionalità e in data 22.12.08 è stata firmata la convenzione di incarico relativa ai servizi tecnici per la redazione del Piano Strutturale Comunale. nell’ambito della formazione del quale è stato completato il Quadro Conoscitivo Territoriale. Nel caso dell’Area di Sviluppo Industriale (ASI) di Saline Joniche, si deve tenere conto anche dello specifico strumento di pianificazione denominato Piano Regolatore Territoriale (PRT) delle aree di sviluppo industriale, la cui redazione è attualmente di competenza del Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Reggio Calabria (ASIREG). Quadro inerente l’area dell’impianto: l’area direttamente interessata all’insediamento della centrale ricade interamente all’interno del perimetro della “Zona di vincolo – confini ASI” e per una porzione limitata (lato ovest dell’area stoccaggio carbone) anche in una Zona di vincolo idrogeologico. Per quanto riguarda l’identificazione della zona dell’ASI non si riscontra un rimando diretto alle NTA del PRG, ma si evidenzia che: l’articolo 2 precisa che il PRG si attua attraverso Programmi Pluriennali di Attuazione (PPA); l’articolo 3 contempla i Piani delle aree destinate agli insediamenti produttivi (art. 27 della L. 865 del 1971) come strumenti di attuazione che prevedono interventi urbanistici preventivi con progettazione urbanistica di dettaglio intermedia tra PRG e progetto edilizio; l’articolo 4 stabilisce che l’attuazione del PRG nelle zone destinate ad insediamenti produttivi (zona D) potrà essere consentita solo dopo la formazione dei piani previsti dall’art. 27 della Legge 865 del 1971; l’articolo 16 associato alle Zone D per attività artigianale e piccolo-industriale, individuate nella Tavola di Piano, riguarda le zone destinate all’insediamento di attività artigianali e industriali che non possono insediarsi nell’agglomerato industriale ai sensi dell’art. 4 delle norme del piano regolatore di detto agglomerato. Per quanto attiene alla Zona a vincolo idrogeologico, l’articolo 20 delle NTA, precisa che tale vincolo consiste nell’osservanza delle norme stabilite dal R.D. 30.12.1923, n. 3267 e dal R.D. 16.5.1926, n. 1126. 2.1.4. Pianificazione di settore: aria Riferimenti generali e normativa nazionale: con l’approvazione del Decreto Legislativo n. 351 del 4 Agosto 1999, che recepisce la Direttiva Europea 96/62/CE del 27 settembre 1996 sulla valutazione e gestione della qualità dell’aria, è stato ridefinito il quadro normativo italiano in materia di limitazione e controllo dell’inquinamento atmosferico. La direttiva ed i suoi provvedimenti attuativi nazionali individuano gli inquinanti atmosferici da monitorare e controllare in base a metodi di analisi e valutazione comuni a livello europeo, e definiscono le linee alle quali gli stati membri devono attenersi per l’attivazione di piani di risanamento nelle aree in cui la qualità dell’aria non risulti conforme ai valori limite. Regioni e Province

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autonome, oltre ad effettuare la valutazione della qualità dell’aria (inclusa la valutazione preliminare), devono dunque provvedere alla predisposizione ed adozione di piani di risanamento (nel caso di zone dove "i livelli di uno o più inquinanti eccedono il valore limite aumentato del margine di tolleranza o i livelli di uno o più inquinanti siano compresi tra il valore limite ed il valore limite aumentato del margine di tolleranza") e/o mantenimento della qualità dell'aria (viceversa nel caso "in cui i livelli degli inquinanti sono inferiori ai valori limite e tali da non comportare il rischio di superamento degli stessi"). Successivamente con l’approvazione del Decreto Ministeriale (Ambiente e della Tutela del Territorio) n. 60 del 2 aprile 2002, che recepisce le Direttive 99/30/CE e 2000/69/CE, sono stati recepiti in Italia i valori limite per la protezione della salute pubblica e degli ecosistemi relativi alle concentrazioni ambientali di biossido di zolfo (SO2), biossido di azoto (NO2), particelle (PM10), piombo (Pb), monossido di carbonio (CO) e benzene. Oltre a definire i valori limiti, le soglie di valutazione inferiore e superiore ed i livelli di allarme, le direttive recepite nel 2002 contengono precise ed articolate indicazioni circa la data entro la quale detti valori dovranno essere raggiunti, ammettendo margini di tolleranza percentuali che, a partire dai primi anni di applicazione della normativa devono progressivamente ridursi fino ad annullarsi. Infine, il D. Lgs 183/2004 ha recepito nel ordinamento italiano la Direttiva 2002/3/CE relativa all’Ozono nell’aria. Con il D. Lgs 152/2007 è stata recepita a livello nazionale la Direttiva 2004/107/CE del 15 Dicembre 2004 concernente l’arsenico (As), il cadmio (Cd), il mercurio (Hg), il nickel (Ni) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA, utilizzando come marker il benzo(a)pirene) nell’aria ambiente, che individua per tali inquinanti dei valori obiettivo di concentrazione nell’aria ambiente da raggiungere a partire dal 31 dicembre 2012, nonché definisce i metodi ed i criteri per la valutazione delle relative concentrazioni. Riferimenti generali, normativa e pianificazione regionale: in attuazione di quanto previsto dal Decreto Legislativo n. 351 del 4 Agosto 1999 la Regione Calabria ha reso noti i primi i risultati della valutazione preliminare della qualità dell’aria. Questa valutazione, basata sui dati disponibili a livello regionale relativamente al biossido di zolfo (SO2), biossido di azoto (NO2) ed al materiale particolato (PM10), ha portato ad una suddivisione preliminare del territorio regionale in zone, in funzione della classificazione della qualità dell’aria. Come previsto dall’art. 7 del D.Lgs 351/99, la Regione Calabria ha provveduto, infine, ad indicare, per ciascuna zona, i metodi più idonei di rilevamento e monitoraggio della qualità dell'aria. I risultati, che verranno resi disponibili a seguito di una valutazione della qualità dell'aria realizzata in accordo con le indicazioni della zonizzazione preliminare, oltre a servire alla necessaria validazione della stessa zonizzazione preliminare, dovrebbero servire alla predisposizione ed adozione di piani/programmi atti a fare rientrare entro i valori limiti i livelli di concentrazione degli inquinanti. Con Decreto n. 1727 del 17/2/05, la Regione ha approvato il Quadro esecutivo dell’Azione Progettuale per la predisposizione del Piano Regionale di Tutela della Qualità dell’Aria e realizzazione della struttura tecnico-scientifica per la gestione dello stesso. 2.1.5. Aspetti Socio Economici e Territoriali Regione Calabria – Documento Strategico per la politica di coesione 2007-2013: il Documento Strategico Regionale (DSR) si colloca nel processo finalizzato alla definizione del Quadro Strategico Nazionale (QSN) e come passaggio propedeutico alla costruzione dei Programmi Operativi regionali (POR), per il periodo di programmazione 2007-2013. Il DSR per la politica di coesione 2007-2013 (proposta condivisa dai tavoli tematici) del luglio 2006, raccoglie le principali indicazioni provenienti dalla regione e dal partenariato istituzionale, economico e sociale sulle strategie per il nuovo periodo di programmazione. Tale documento di tipo strategico anticipa una prima definizione degli obiettivi generali e specifici in cui si articola la strategia generale della programmazione regionale. Il DSR si suddivide in sei capitoli: Principali elementi strategici e nuova programmazione; Sistema regione; Analisi di scenario; Gli obiettivi e le priorità della strategia regionale per la programmazione 2007-13; Integrazione finanziaria e coerenza programmatica; Governance e partenariato. All’interno di tale documento si individuano alcuni passaggi di particolare interesse, in relazione all’intervento previsto ed alle condizioni territoriali di contorno, che sono richiamati in forma sintetica nel SIA ASIREG - Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Reggio Calabria - Programma di attività 2003-07: il Consorzio ASIREG, che è un Ente Pubblico Economico istituito

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per la promozione e lo sviluppo imprenditoriale nelle aree attrezzate del comprensorio secondo gli indirizzi stabiliti dagli organi dello stesso Consorzio, ad oggi gestisce quattro aree industriali tra cui quella di Saline Joniche. Tra le competenze o finalità del Consorzio è inclusa quella di predisporre ed aggiornare i Piani regolatori delle aree di sviluppo industriale, in conformità con le indicazioni del Piano Regionale di Sviluppo. Il Programma di attività 2003-2007, che è redatto facendo riferimento alla L.R. 38/2001, è sinteticamente descritto nel SIA, data la sua importanza come strumento di programmazione generale per le aree attrezzate industriali. Il Programma 2003-07, contiene una sezione dedicata specificatamente all’Agglomerato industriale di Saline Joniche dove è descritto, sotto diversi profili, l’intervento previsto ovvero il “Potenziamento ed ampliamento dotazione tecnologica ed infrastrutturale materiale ed immateriale dell’agglomerato industriale di Saline Joniche”. In tale caso l’Ente proponente e realizzatore è il Consorzio ed il PIT di competenza è quello dell’Area Grecanica mentre il territorio interessato è quello del Comune di Montebello Jonico. Progetto Integrato Territoriale n. 23 “Area Grecanica”: i Progetti Integrati Territoriali (PIT) sono individuati quali strumenti per sostenere la realizzazione, crescita ed implementazione dei sistemi locali di sviluppo all’interno del Programma Operativo Regionale Calabria 2000/2006 (POR), approvato con Decisione della Commissione Europea del 8.8.2000, n. 2000/2345 e modificato con Decisione 2004/5187 del 15.12.2004. I singoli PIT sono associati alle relative aree territoriali che sono state individuate con la D.G.R. 27.4.2001, n. 354 e tra queste la n. 23, denominata “Area Grecanica”, interessa il Comune di Montebello Jonico ed anche il confinante Comune di Melito di Porto Salvo. Il PIT n. 23 è stato assunto con Accordo di Programma, in data 2.3.2005, tra la Regione Calabria, la Provincia di Reggio Calabria, i Comuni territorialmente interessati, la Comunità Montana Versante Jonico Meridionale – Capo Sud. Il citato Accordo di Programma è finalizzato all’attuazione delle infrastrutture materiali e immateriali, degli interventi del FSE e delle operazioni in regime di aiuto, come individuati nelle schede inserite negli Allegati n. 3, 4 e 5 dello stesso Accordo e come previsti dal PIT. La durata dell’accordo è stabilita fino al 30.6.2009. L’Accordo è integrato da sette Allegati ovvero, il Quadro Generale, il Quadro riepilogativo degli interventi, le tre Schede degli interventi (per le infrastrutture, per il regime di aiuto e per il FSE), lo Schema di convenzione per l’attuazione del PIT ed infine le Indicazioni per la sostenibilità ambientale. Il Quadro Generale si articola in Schede, la prima di “Analisi del contesto socio economico”, la seconda di “Analisi SWOT”, la terza della “Idea strategica”, la quarta degli “Obiettivi specifici”, la quinta degli “Indicatori” ed infine la sesta del “Partenariato pubblico e privato”. La lettura di tale documento consente di evidenziare alcuni aspetti di maggiore rilevanza ed in particolare le strategie e gli obiettivi del PIT. 2.1.6. Conclusioni Aspetti della pianificazione territoriale-paesistica ed urbanistica: la Regione Calabria, che con la L.R. 19/2002 ha ridefinito gli strumenti della pianificazione territoriale ed urbanistica, non è dotata del previsto Quadro Territoriale Regionale e nemmeno di altro e precedente strumento di pianificazione territoriale regionale. Al momento sono state approvate, con D.C.R. 106/2006, le Linee Guida della Pianificazione Regionale e lo Schema base della Carta Regionale dei Luoghi, che non determinano una relazione diretta con l’area interessata dalla realizzazione della centrale. Tali documenti contengono, infatti, principi e riferimenti di ordine generale, indicano obiettivi generali di riferimento e includono gli obiettivi, direttive e prescrizioni da assumere in sede di redazione degli strumenti previsti dalla citata legge regionale. Anche nel caso della Provincia di Reggio Calabria non sono vigenti strumenti di pianificazione territoriale ed il PTCP risulta attualmente in fase di redazione. Nel caso del Comune di Montebello Jonico, non ancora dotato del Piano Strutturale Comunale, previsto dalla L.R. 19/2002, risulta vigente un Piano Regolatore Generale, approvato con D.P.R. 1635/1994, successivamente soggetto a Variante approvata con Decreto 418/1997. L’area interessata dalla localizzazione della centrale ricade interamente all’interno del perimetro della “Zona a vincolo – confini ASI” e per una porzione limitata dell’impianto si ha anche una sovrapposizione con una zona a vincolo idrogeologico che comporta l’applicazione delle procedure stabilite dal R.D. 3267/1923. Per quanto riguarda la zona ASI (Area di Sviluppo Industriale) non si riscontra un relazione diretta nelle Norme Attuative ma si deduce che per tale area si rimanda ai piani specifici delle zone d’insediamento produttivo e quindi a quelli dell’ASIREG. L’ASIREG ha in corso la redazione del nuovo Piano Regolatore Territoriale (PRT) dell’ASI di Saline Joniche mentre quello adottato con Delibera 270/1978, che identificava il perimetro

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della zona industriale e la suddivisione interna, è decaduto ripristinando, di fatto, il rimando al vigente PRG. Per quanto attiene all’ASIREG si cita invece il documento di programmazione denominato “Programma di attività 2003-07” che, in riferimento all’area industriale di Saline Joniche, indica quale obiettivo strategico la “specializzazione dell’area industriale favorendo gli insediamenti del comparto dei servizi e della distribuzione commerciale e logistica del comparto ittico in un’ottica di integrazione e proto-industrializzazione”. In base agli strumenti urbanistici, comunque, l’impianto ricade all’interno di una zona industriale e non risultano quindi incompatibilità tra le norme ed il tipo d’intervento e la destinazione d’uso prevista. Aspetti della pianificazione di settore energetica: il principale strumento di programmazione di settore per l’energia, a livello regionale, è il Piano Energetico Ambientale Regionale approvato con D.C.R. 315/2005 che definisce gli obiettivi generali ed indica, quale priorità, il ricorso alle fonti rinnovabili ed al risparmio energetico come mezzi per una maggiore tutela ambientale ovvero la riduzione delle emissioni inquinanti. Il Piano contiene scenari tendenziali ed obiettivi al 2010 e, tra i diversi punti, evidenzia che l’insediamento di nuovi impianti di produzione di energia termoelettrica deve essere attentamente valutato ed attuato in conformità con le indicazioni contenute nello stesso Piano. Per quanto riguarda il quadro di riferimento europeo e nazionale, oltre al richiamo agli impegni assunti con riferimento al Protocollo di Kyoto, si evidenziano le indicazioni contenute nella Comunicazione della Commissione al Consiglio e Parlamento Europeo “Produzione sostenibile di energia elettrica da combustibili fossili: obiettivo emissioni da carbone prossime allo zero dopo il 2020”, del gennaio 2007. In tale Comunicazione si afferma che il carbone potrà essere utilizzato solo con il ricorso a tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS), in grado di ridurre drasticamente la sua immissione. Nella Comunicazione si afferma che dovrà essere evitato che gli impianti nuovi, che entreranno in funzione prima del 2020, siano costruiti in modo da rendere impossibile o scarsamente fattibile installare a posteriori componenti per la cattura e lo stoccaggio del carbonio, su scala abbastanza ampia, dopo tale data. Per gli impianti nuovi, l’obbligo di predisporre strutture per la futura installazione di tecnologie CCS, comporta la considerazione delle esigenze connesse alla futura tecnologia di cattura e quindi la idonea configurazione delle centrali, come previsto per quello in esame. Aspetti della pianificazione di settore della difesa del suolo e del vincolo sismico ed idrogeologico: per quanto riguarda la difesa del suolo il Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico della Regione Calabria, approvato con D.C.R. 115/2001, identifica i rischi o pericolosità connesse alle modifiche della fascia costiera, all’esondazione dei corsi d’acqua, ai movimenti per frane e colate detritiche. Nel caso del rischio costiero l’intero territorio, ricadente nel Comune di Montebello Jonico, è in classe di rischio R3 – elevato ed in dettaglio si evidenzia che le tubazioni di restituzione dell’acqua a mare e di presa delle acque per la centrale attraversano un tratto di costa identificato come in ripascimento. Nel caso del rischio idraulico la zona della centrale non è interessata da nessuna area a rischio di nessuna delle quattro classi ma solo da due aree di attenzione. La prima area di attenzione è associata alla Fiumara Monteneo e non si individuano situazioni di interferenza con gli impianti ed edifici della centrale. La seconda area di attenzione è associata alla Fiumara di Sant’Elia e ricadono all’interno di questa l’edificio sala pompe acqua mare, l’edificio impianto clorinazione e la vasca nuova presa acqua mare: la norma del PSAI stabilisce che si applicano, ai fini della tutela preventiva, le disposizioni delle aree R4, di divieto a realizzare opere ed attività di trasformazione dello stato dei luoghi di carattere edilizio od urbanistico, ma al contempo è lasciata la possibilità, ai soggetti interessati, di presentare studi di dettaglio, finalizzati a classificare l’effettiva pericolosità e perimetrale le stesse aree, rispondenti ai requisiti minimi stabiliti dalle Linee Guida approvate dal Comitato Istituzionale della ABR il 31.7.02. Nel caso del rischio idrogeologico la zona di insediamento della centrale non ricade all’interno di aree di instabilità. Il Comune di Montebello Jonico, in base alla classificazione del 2004, è associato ad una zona sismica 1, il livello più alto di rischio previsto dalle normative nazionali e regionali che comporta l’applicazione dei massimi livelli di tutela e quindi delle disposizioni definite dal D.P.R. 380/2001, dal D.M. 16.1.96 e dal O.P.C.M. 3274/2003. Per quanto riguarda il vincolo idrogeologico, nelle tavole del vigente PRG del Comune di Montebello Jonico, è individuata una zona che interessa in parte anche la zona di insediamento della centrale: in tale caso si devono osservare le norme di cui al RD 3267/1923 e RD 1126/1926. Aspetti connessi alle aree naturali protette e di interesse naturalistico: l’area di insediamento della centrale non ricade all’interno di parchi e riserve naturali, di SIC o ZPS, di Zone Umide di

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importanza internazionale (zone Ramsar) e di Aree di interesse avifaunistico (zone IBA). Si segnala solo la presenza, ad 1 km dal perimetro dell’impianto, del SIC “Saline Joniche” costituito da due laghetti che insieme formano una zona umida con presenza di 4 habitat inclusi nell’elenco dell’Allegato I Direttiva 92/43/CEE, di 14 specie di uccelli inserite nell’elenco dell’Allegato 2 della Direttiva 79/409/CEE e di una specie importante di flora (Tamerice delle Canarie). Aspetti connessi ai vincoli di beni culturali e paesistici: l’area di localizzazione della centrale ricade all’interno di alcune aree associate a categorie paesistiche vincolate, la fascia costiera e la fascia contermine ai corsi d’acqua Fiumara Monteneo e Fiumara Sant’Elia. In tutti questi casi il sito della centrale è escluso però dall’applicazione del vincolo paesistico in quanto rientra nelle eccezioni previste dal comma 2 dell’articolo 142 del D. Lgs 42/2004. Analoga considerazione vale con riferimento alle misure minime di salvaguardia di cui all’articolo 7 della L.R. 23/1990. Per quanto attiene alla fascia costiera vincolata che non ricade all’interno del perimetro dell’ASI e quindi soggetta a vincolo paesistico, che è interessata dall’attraversamento in sotterranea delle tubazioni delle prese acqua mare e di quelle di restituzione delle acque dall’impianto, per le modalità di realizzazione ed inserimento dei manufatti non si determinano modifiche del luogo e quindi non è necessaria l’applicazione delle procedure previste dal D. Lgs 42/2004. Nel caso dei beni culturali, in tutta la zona di insediamento della centrale non risultano essere presenti; si segnala invece il sito di interesse archeologico (insediamento del IV-V sec d. C.) presente vicino al perimetro esterno della centrale, tra la fiumare di Monteneo, la vecchia e la nuova Strada Statale Ionica.

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2.2. DESCRIZIONE DEL QUADRO PROGETTUALE Nel SIA il Quadro progettuale evidenzia elementi impiantistici e modalità operative dell’intervento in progetto ed i fattori di potenziale impatto sulle componenti ambientali interessate. Scopo di questa parte del documento è la descrizione dei profili progettuali desunti dal progetto della centrale (e relative opere connesse: portuali, sistema di trasporto carbone, sottoprodotti di processo ed altri materiali solidi, presa acqua mare, scarico acque di raffreddamento), per la quale è previsto un funzionamento continuo base load di 8.000 ore/anno al Carico Nominale Continuo (CNC) e utilizzo di carbone oppure carbone in co-combustione con biomasse (fino ad un massimo del 5% sulla potenza termica). L’energia elettrica prodotta, al netto degli autoconsumi, sarà immessa direttamente nella Rete di Trasmissione Nazionale a 380 kV attraverso due elettrodotti di collegamento della lunghezza di circa 35 km cadauno, oggetto di uno Studio di Impatto Ambientale separato. Parte dell’energia termica ed elettrica prodotta potrà essere resa disponibile alle aziende dell’area industrializzata di Saline Joniche. Il previsto impiego di personale all’interno della Centrale è di circa 140 unità lavorative. 2.2.1. Il sito: l’area industriale dismessa di Saline Joniche Il sito destinato ad ospitare la Centrale Termoelettrica è stato acquisito dal Proponente nell’ambito dell’area occupata dallo stabilimento ex Liquichimica in località Saline Joniche, comune di Montebello Jonico, provincia di Reggio Calabria. Lo stabilimento, operativo a partire dal 1976 ma mai entrato in produzione, si estende, lungo la costa, su un’area pari a circa 700.000 m2, ed è stato oggetto, in tempi recenti, di parziali alienazioni e dismissioni degli impianti industriali esistenti. L’area destinata ad ospitare la nuova Centrale Termoelettrica si estende su una superficie di circa 320.000 m2, (incluse le aree demaniali per la nuova presa acqua mare); tale area, che per la parte non compresa nel demanio è stata acquisita dal Proponente SEI S.p.A., sarà resa disponibile e libera dalle passività presenti alla data di avvio dei lavori per la costruzione della Centrale.

L’area ex Liquichimica vista dalla banchina del porto (Fotografia scattata nel settembre 2007) La realizzazione della Centrale Termoelettrica può costituire, sotto questo particolare profilo, anche l’occasione per una riqualificazione dell’intero sito, che appare attualmente in stato di avanzato degrado. 2.2.2. Localizzazione dell’impianto La Centrale Termoelettrica sarà ubicata nell’area industrializzata di Saline Joniche del Comune di Montebello Jonico (Provincia di Reggio Calabria).

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Fotografia da satellite dell’area – in rosso l’area dell’intervento, escluse le opere a mare L’ area industriale è dislocata parallelamente lungo la costa ionica calabrese ed è delimitata a nord dalla Strada Statale n°106 “Ionica”, e a sud dalla linea ferroviaria Reggio Calabria-Metaponto. A sud della ferrovia è localizzata la struttura portuale. A sud-est dell'impianto è localizzata un’area demaniale che verrà utilizzata per la realizzazione della nuova presa acqua mare e per gli impianti di dissalazione e clorazione. Sempre su area demaniale (portuale) insisterà una parte delle strutture del sistema di movimentazione materiali solidi (di cui carbone, biomassa e calcare) e dei sottoprodotti (gesso e ceneri). All’interno del perimetro dell’impianto saranno ubicate le seguenti apparecchiature e servizi5: • sistema di movimentazione, stoccaggio e macinazione del carbone; • sistema di movimentazione, stoccaggio e macinazione del calcare; • sistema di movimentazione, stoccaggio e macinazione della biomassa • sistema di movimentazione e stoccaggio dei sottoprodotti solidi (ceneri, gesso); • due caldaie ultrasupercritiche a polverino di carbone, con relativo sistema di trattamento fumi; • due turbine a vapore con relativo alternatore; • due condensatori del vapore; • due interruttori di macchina; • due trasformatori elevatori; • una stazione elettrica AT in blindato; • unità ausiliarie; • sistema elettrico di distribuzione ausiliaria; • impianto di raccolta e trattamento delle acque di scarico; • sistema per il combustibile ausiliario (gasolio); • sistema antincendio; • edifici vari (officine, magazzini, uffici, spogliatoi, mensa, infermeria, ecc). Nell’area demaniale localizzata a sud-est del perimetro di impianto saranno ubicate le seguenti apparecchiature e servizi:

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• opere di presa/restituzione acqua mare; • unità clorazione acqua mare; • unità produzione acqua industriale / demineralizzata; • turbina idroelettrica per il recupero di una parte dell’energia contenuta nel flusso di scarico a • mare delle acque di raffreddamento. Nell’area portuale saranno infine localizzate le seguenti apparecchiature e servizi: • sistema scaricatori navi e movimentazione carbone (con realizzazione di un nuovo pontile foraneo,

dedicato e dotato di idonei sistemi di attracco e scarico delle carboniere); • sistema scarico navi e movimentazione biomassa; • sistema scaricatore navi e movimentazione calcare; • sistema caricatore navi gesso e ceneri. Il conferimento dei materiali solidi (carbone, biomassa e calcare) alla Centrale e la spedizione a destinazione finale dei sottoprodotti (gesso e ceneri) saranno assicurati ricorrendo per quanto possibile al trasporto via mare; in particolare è prevista la realizzazione, all’esterno del porto, di un terminale per l’attracco delle navi carboniere, mentre le altre navi potranno attraccare nel porto esistente; il porto, attualmente inagibile in quanto insabbiato e dissestato, è oggetto di uno specifico progetto di adeguamento e potenziamento delle strutture ai requisiti determinati dalle funzioni (con particolare riferimento alle esigenze connesse all’attracco di navi carboniere di grandi dimensioni). Una volta ristrutturato e potenziato, il porto sarà quindi adeguato all'accesso ed all'attracco di navi fino a 20.000 DWT (Dead Weight Tonnage), e verrà utilizzato per il carico/scarico di calcare, biomassa, gesso e ceneri; per lo scarico del carbone verrà realizzato viceversa un nuovo attracco completamente esterno al porto esistente, localizzato in un area ad ovest dello stesso, dimensionato per navi fino a 170.000 DWT. 2.2.3. Parametri e dati comuni di riferimento Caratteristiche del Carbone - Il carbone assunto come riferimento per la comparazione delle tecnologie e come base per la valutazione di prestazioni ed emissioni è un carbone Sudafricano con un tenore di riferimento per lo zolfo dello 0,6% e le caratteristiche mostrate in Tabella 1.

Analisi Elementare (secca) (% peso) Umidità totale 8,0 Ceneri 11,0 Carbonio totale 64,7 Idrogeno 4,4 Azoto 1,5 Zolfo 0,6 Ossigeno 9,8

Totale 100,0 Potere Calorifico Inferiore (kJ/kg): 24.886

Tabella 1 – Analisi del carbone

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Condizioni ambientali - Le condizioni ambientali di riferimento sono riportate nella Tabella 2. Le prestazioni dell’impianto sono fortemente dipendenti dalle condizioni ambientali che influenzano la produzione di energia elettrica della turbina a vapore (presente in tutte le alternative analizzate) e della turbina a gas (presente nel solo ciclo combinato IGCC).

AmbienteTemperatura Umidità

15°C 60 %

Acqua Raffreddamento CondensatoriTemperatura acqua mare (ingresso) Temperatura acqua mare (scarico) Pressione di condensazione

18°C 25°C 0,042 bar

Tabella 2 – Condizioni ambientali di riferimento

Limiti alle Emissioni in Atmosfera - I limiti di legge sono definiti nell’Allegato II relativo ai “Grandi Impianti di Combustione” del Decreto Legislativo n. 152 del 3 Aprile 2006 (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.88 del 14 Aprile 2006), che recepisce la Direttiva Europea 2001/80 (23 ottobre 2001). Tali limiti sono precisati in funzione della potenzialità dell’impianto (nel nostro caso oltre i 300 MWt) e della tipologia di combustibile (solido, liquido o gassoso). Nel caso di combustibile gassoso (gas metano o altro), specifici limiti vengono fissati per le turbine a gas e sono riassunti in Tabella 3. Tutte le opzioni tecnologiche considerate per la Centrale di Saline Joniche consentono l’utilizzo del carbone nel rispetto di valori di emissione anche ben al di sotto dei limiti di legge specificati per le concentrazione di NOx, SOx e particolati nei fumi scaricati; a dimostrazione di ciò alle Centrali a Carbone recentemente autorizzate o in corso di autorizzazione in Italia (Cicli a Vapore USC di Torvaldaliga e Porto Tolle) sono stati prescritti, in sede di VIA, limiti massimi di emissione pari alla metà dei valori ammessi dal citato D. lgs. 152/2006. Per tale motivo, i limiti che sono stati presi a riferimento come basi di progetto per la centrale a carbone di Saline Joniche sono quelli – più restrittivi – riportati in Tabella 4.

Inquinante Centrale a Carbone Turbogas Riferimento mg/Nm3 @ 6% O2 nei fumi secchi mg/Nm3 @ 15% O2 nei fumi secchi

NOx 200 120 (limite definito per combustibili diversi dal gas naturale)

SOx 200 Non definito CO Non definito Non definito

Particolati 30 Non definito

Tabella 3 - Limiti Emissivi D. Lgs n. 152 per Centrali a Carbone o Turbogas oltre i 300MWt

Inquinante Centrale a Carbone Turbogas Riferimento mg/Nm3 @ 6% O2 nei fumi secchi mg/Nm3 @ 15% O2 nei fumi secchi

NOx 100 50 (limite definito per gas naturale) SOx 100 5 CO 150 30

Particolati 15 0

Tabella 4 - Limiti Emissivi considerati per l’analisi delle alternative impiantistiche di Saline Joniche

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Emissioni di CO2 - La centralità assunta dalla questione del cambiamento climatico associato all’aumento delle concentrazioni di CO2 ed altri gas a effetto serra conseguenti alle emissioni antropogeniche rende ineludibile una attenta considerazione di tale problematica anche (o forse soprattutto) in sede di progettazione di un impianto per la produzione di energia elettrica mediante combustione di carbone, considerato il fatto che è proprio sulle emissioni di CO2 che più significativi risultano i differenziali fra le diverse tecnologie di combustione e, soprattutto, tra i diversi combustibili. Al momento non è possibile ipotizzare precisi limiti all’emissione di CO2, che potranno essere effettivamente determinati (ed eventualmente imposti) in un più o meno prossimo futuro; per la comparazione delle alternative tecnologiche disponibili per la combustione del carbone si sono comunque considerate le opzioni disponibili per quanto concerne la “cattura” ed il successivo confinamento della CO2, che vengono confrontate con una soluzione progettuale di riferimento che prevede solamente la predisposizione impiantistica alla cattura della CO2. Tale soluzione viene considerata come ipotesi “base”, in quanto, come prima riferito, il confinamento/stoccaggio dell’anidride carbonica prodotta dalla combustione di fonti fossili (carbon capture and storage o CCS), è considerato dall’Unione Europea una opzione indispensabile – quanto meno nel lungo periodo - per il successo delle politiche di mitigazione del cambiamento climatico. La configurazione di base dell’impianto è dunque quella che prevede la predisposizione alla cattura della CO2 (impianti CO2 Capture ready). 2.2.4. Criteri di selezione adottati e conclusioni della valutazione comparativa La selezione della tecnologia di combustione del carbone da adottare per la centrale di Saline Joniche si basa su diversi criteri di carattere sia economico che ambientale. Sotto il profilo economico, la valutazione ha preso in considerazione i costi di investimento ed i costi operativi associati alle differenti opzioni, le taglie disponibili per le diverse tecnologie considerate, le performance conseguibili in termini di producibilità ed efficienza dell’impianto. Per quanto concerne in particolare le prestazioni ambientali delle differenti opzioni, si rinvia alle Tabelle 5 e 6 riportate a conclusione del presente capitolo (il differenziale di emissioni di CO2 delle differenti tecnologie di combustione del carbone rispetto ad un ciclo combinato a gas può essere stimato sulla base di un parametro medio, relativo a questa ultima tecnologia, stimabile in circa 360 kg di CO2/MWhe immesso in rete). Dal confronto effettuato sulla base dei parametri tecnico-economici sinteticamente descritti, il proponente ed il progettista dell’impianto hanno concluso per un significativo vantaggio delle tecnologie convenzionali – sia con caldaia a polverino che a letto fluido - rispetto alla gassificazione. Per quanto riguarda in particolare la gassificazione, la limitata esperienza operativa di impianti IGCC a carbone evidenzia in ogni caso la difficoltà che si incontrerebbe, specialmente nei primi anni di attività, nel raggiungere livelli di disponibilità dell’impianto compatibili con una gestione commerciale dell’iniziativa. Per quanto concerne le tecnologie a letto fluido, le prescrizioni normative vigenti nel nostro paese in materia di importazione di carbone (con un contenuto massimo di zolfo ammesso pari all’1%) non consentono il pieno sfruttamento dei vantaggi associati a tale opzione. Con riferimento infine alle due opzioni disponibili per la tecnologia a polverino (due unità da 660 MW o una da 1000 MWe) si è ritenuta preferibile la prima (due unità da 660 MWe) sulla base delle seguenti considerazioni: • maggiore flessibilità operativa; • possibilità di realizzare in fasi l’investimento; • taglia delle unità consolidata e per certi versi ormai “standard” per impianti a carbone in Italia; • possibilità di implementare un impianto dimostrativo di cattura della CO2 di dimensioni più ridotte. Riconoscendo la grande criticità legata alla maggiore emissione di anidride carbonica intrinsecamente connessa alla combustione del carbone, le due linee da 660 MWe vengono, come si è detto, progettate in modo da essere predisposte alla futura installazione di un sistema per la cattura e la compressione di una quota massima pari all’85% della CO2 presente nei fumi prodotti dalle due caldaie. L’eventuale installazione dei sistemi di cattura della CO2 potrà essere effettuata in fasi successive, prevedendo una prima fase dimostrativa e successive implementazioni.

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Tabella 5 - Caratteristiche tecniche principali delle alternative impiantistiche di Saline Joniche

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Tabella 6 – Confronto emissioni specifiche delle alternative impiantistiche di Saline Joniche)

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2.2.5. Ulteriori elementi progettuali Nel SIA, al quale si rimanda per ogni esigenza di approfondimento, sono descritti in dettaglio gli elementi sopra sintetizzati e quelli ulteriori che costituiscono il Quadro Progettuale, inerenti tra l’altro: • la configurazione della centrale termoelettrica, • la capacità delle unità funzionali della Centrale, • i principali sistemi ed unità operative, • l’approvvigionamento e stoccaggio di carbone, calcare e biomassa, • la movimentazione Materiali Solidi da Stoccaggio a Caldaie con eventuali lavorazioni intermedie, • il ciclo termico caldaia-turbina-condensatore, • il sistema di rimozione ceneri, • la linea fumi. Gli ulteriori elementi di cui sopra sono sintetizzati anche nell’Appendice 1 alla presente relazione.

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2.3. DESCRIZIONE DEL QUADRO AMBIENTALE 2.3.1. Individuazione e delimitazione dell’ambito di indagine Lo Studio di Impatto Ambientale analizza le potenziali ricadute ambientali e sulla salute umana conseguenti la realizzazione della centrale termoelettrica a carbone e delle relative opere connesse, che SEI S.p.A. intende realizzare nell’area industrializzata ex-Liquichimica di Saline Joniche nel Comune di Montebello Jonico (RC). Il SIA ha pertanto come oggetto di analisi le opere direttamente connesse con la realizzazione della centrale termoelettrica, con l’esclusione dell’elettrodotto e delle opere infrastrutturali non direttamente necessarie alla operatività dell’impianto. L’ambito di indagine definito per la caratterizzazione del territorio e dello stato dell’ambientale, e quindi per l’individuazione, la stima e la valutazione dei potenziali impatti derivanti dalla realizzazione della centrale termoelettrica, è articolato su due livelli: • un’area ristretta di indagine, che comprende una buffer zone di almeno 1 km di ampiezza intorno al sito

dell’impianto (si rimanda per la relativa rappresentazione alla Tav. 1 “Inquadramento territoriale – Area d’impianto” e Tav. 3 "Inquadramento territoriale - Area ristretta”, un cui stralcio è riportato in App. B);

• un’area vasta di indagine, dimensionata sulla base di un raggio di influenza di almeno 10 km dal sito di progetto (si rimanda per la relativa rappresentazione alle Tavv. 4a e 4b "Inquadramento territoriale - Area vasta", un cui stralcio è riportato in App. B).

Ubicazione della centrale termoelettrica a carbone.

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In particolare, l’area ristretta di indagine verrà considerata per analizzare e valutare i dati e i parametri ambientali e territoriali le cui potenziali variazioni determinate dalla realizzazione del progetto si ritiene possano ragionevolmente manifestarsi nell’immediato intorno dell’impianto; viceversa, l’area vasta di indagine verrà considerata prevalentemente per la caratterizzazione e la valutazione dei potenziali impatti del progetto sulla qualità dell’aria. La ricostruzione dello stato di fatto delle componenti ambientali nonché dei relativi fattori di pressione è stata effettuata in relazione tra l’altro a: • Aria e Clima; • Suolo e sottosuolo; • Fauna e Flora, ecosistemi e beni ambientali e di interesse naturalistico; • Paesaggio, beni culturali e beni paesistici; • Uso del suolo. Oltre a ciò nel SIA vengono descritti ulteriori elementi che compongono il quadro ambientale e territoriale, dei quali una sintesi è riportata in Appendice 1 alla presente relazione, ad esempio relativi a: • Produzione nazionale di energia elettrica • Previsioni di evoluzione del sistema elettrico nazionale • Produzione Regionale di energia elettrica • Previsioni di sviluppo della produzione regionale di energia elettrica • Co-combustione a biomasse: valutazioni preliminari sulle potenzialità di filiere locali di

approvvigionamento. • Qualità dell’aria ambiente

Impianti termoelettrici esistenti, autorizzati e in corso di valutazione (anno 2007).

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Bacini di approvvigionamento di biomasse agro-forestali.

Localizzazione delle centrali a biomassa esistenti.

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2.3.2. Quadro meteo-climatico La Calabria si sviluppa principalmente lungo la direzione Nord Sud per un’estensione di circa 250 km ed è caratterizzata dalle catene montuose appenniniche della Sila e dell’Aspromonte che raggiungono quote elevate (le quote più elevate sono rispettivamente i 1929 m s.l.m. del monte Botte Donato e i 1956 m s.l.m. del Monte Pecoraio). La presenza del Mar Tirreno sulla costa occidentale, del Mar Ionio su quella orientale e dello Stretto di Messina determinano il carattere prettamente mediterraneo del clima della Calabria; tuttavia l’esigua estensione latitudinale del territorio (la soglia di Marcellinara, il punto più stretto della Regione, separa per soli 30 km il Mar Tirreno dal Mar Ionio) e la presenza di rilievi così significativi all’interno, lungo la dorsale appenninica, determinano un’estrema variabilità climatica non solo tra le zone interne montuose e le zone costiere, ma anche tra le diverse zone costiere. Da un punto di vista climatico-meteorologico il sito di Saline Joniche è da contestualizzarsi nella zona geomorfologica della costa calabrese dello Stretto di Messina, individuabile indicativamente come la fascia costiera compresa tra Scilla a Nord (mar Tirreno) e Bova Marina, Capo Spartivento a Sud (mar Ionio). Questa zona si distingue dalla costa tirrenica e dalla costa ionica in quanto la presenza dello Stretto di Messina, della catena montuosa dei Monti Peloritani nella Sicilia Nord Orientale e delle montagne dell’Aspromonte determinano caratteristiche del tutto particolari della zona stessa dal punto di vista anemologico e pluviometrico. Di seguito si riporta nell’ordine un breve inquadramento climatico, di carattere bibliografico, della fascia costiera calabrese dello Stretto di Messina (ove ubicato il sito oggetto del presente studio), l’analisi generale dei dati rilevati dalla stazione meteorologica di Saline Joniche nel periodo 2003-2006 e un’analisi di dettaglio dei dati meteorologici misurati dal 1 gennaio al 31 dicembre 2004. La presenza della catena dei Monti Peloritani (con vette a quote superiori ai 1000 m) disposta con direttrice SudOvest-NordEst nel settore nord orientale della Sicilia, a poche decine di km ad ovest dalla costa calabrese dello Stretto di Messina, determina su quest’ultima un effetto schermo importante da un punto di vista pluviometrico: nel loro movimento da ovest verso est le perturbazioni atlantiche perdono infatti buona parte del contenuto d’acqua precipitabile scaricandolo sui Monti Peloritani a causa del forzato sollevamento orografico della massa d’aria. Dai dati in Tabella 7 si nota come le località situate più a Nord risultino soggette ad apporti precipitativi prossimi o superiori ai 1000 mm/anno (Bagnara Calabra, Scilla), mentre, via via che si scende verso sud lungo la costa, le precipitazioni cumulate subiscano un deciso calo fino a raggiungere valori inferiori ai 600 mm/anno (Capo dell’Armi, Melito di Portosalvo, Bova Marina). Ciò è certamente dovuto ad una maggiore esposizione alle correnti NordOccidentali delle località più settentrionali che subiscono “un effetto-schermo” dell’orografia più limitato. La distribuzione stagionale delle precipitazioni risulta abbastanza omogenea per le località calabresi della zona dello Stretto di Messina con un regime pluviometrico tipico Mediterraneo, con scarsa piovosità dei mesi estivi rispetto a quelli invernali, nei quali si accumula circa l’80% delle precipitazioni totali annuali.

Tabella 7- Precipitazioni medie annuali, precipitazioni medie nel semestre freddo e precipitazioni medie nel semestre

caldo. Medie calcolate sui dati 1980-2001 (Fonte: http://www.crati.it/analisi_climatologiche.html).

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Immagine satellitare elaborata dello Stretto di Messina (Fonte: http://maps.google.it/).

Tabella 8 - Temperature minime, medie, massime e variazioni medie di temperatura tra il mese più caldo e quello più freddo rilevate presso alcune località calabresi. Medie calcolate sui dati del periodo inizio rilevamenti – 2001 Fonte:

http://www.crati.it/analisi_climatologiche.html. Per quanto concerne l’aspetto termico la fascia ionica calabrese è caratterizzata da una temperatura maggiore rispetto alla fascia tirrenica: nonostante la temperatura del Mar Ionio sia mediamente inferiore rispetto a quella del Mar Tirreno, infatti, l’area tirrenica, essendo sopravvento ad una importante catena montuosa quale

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l’Appennino calabrese, risulta più piovosa e più fredda dell’area ionica (sottovento al normale flusso perturbato atlantico) la quale risente di effetti favonici in termini di acqua precipitabile, umidità e temperatura. L’area dello Stretto risulta climaticamente simile all’area ionica con l’ulteriore “effetto schermo” dei monti Peloritani, che di fatto rende la zona meridionale della Provincia di Reggio Calabria tra le più calde e secche di tutta la Regione (Tabella 8). In Tabella 9 si riportano dati di statistica descrittiva dei valori di temperatura rilevati presso la stazione di Melito di Porto Salvo, nel periodo 1955-1975; la stazione appartiene alla rete dell’Ufficio Idrografico e Mareografico - Dipartimento di Catanzaro. Il periodo è stato scelto in quanto caratterizzato da una completa copertura del dato (serie completa di valori medi mensili) e massima sovrapponibilità con la disponibilità dei dati delle altre stazioni della rete. Analizzando i valori medi rilevati nei diversi mesi si notano le caratteristiche tipiche del clima Mediterraneo e in generale dei climi marittimi: i mesi autunnali risultano più caldi dei mesi primaverili a causa della presenza del mare che “rilascia” calore soprattutto nei mesi successivi a quelli estivi, le variazioni intermensili di temperatura sono maggiori nei mesi di transizione tra una stagione e l’altra10. La temperatura minima più bassa si rileva in gennaio e febbraio (8.6 °C), la massima più elevata in luglio e in agosto (31.3 °C), il quale risulta il mese con la temperatura media più elevata (26.4 °C); l’escursione media diurna più elevata si rileva in luglio (10.4 °C), il mese in cui si registra il massimo di eliofania e di radiazione solare e quindi il mese in cui si ha la maggior influenza del mare sulle escursioni termiche diurne.

Tabella 9 - Temperature minime, medie, massime ed escursione termica media mensile rilevate presso la località di Melito di Porto Salvo. Medie calcolate sui dati del periodo 1955-1975 - Fonte: Bellecci C. et al., Il clima in Calabria.

Andamenti termopluviometrici e analisi dei trend in zone climaticamente e morfologicamente omogenee, 2003. Per quanto concerne il regime anemologico della zona dello Stretto di Messina, questo è direttamente influenzato dalle caratteristiche geomorfologiche della zona: la presenza ad ovest della catena dei monti Peloritani e ad est dei rilievi dell’Aspromonte determina un “incanalamento” della ventilazione sinottica nello Stretto di Messina e il successivo e conseguente intensificarsi della ventilazione stessa. Nell’area dello Stretto la ventilazione risulta dunque orientata prevalentemente dai quadranti settentrionali in quanto le correnti prevalenti a livello sinottico, il flusso zonale atlantico (da ovest verso est), risultano convogliate nell’area compresa tra la Sicilia e la Calabria per via della particolare orografia della zona. La direzione predominante di provenienza del vento risulta dunque il Nord mentre la seconda direzione predominante risulta la direttrice Nord-Est/Sud-Ovest, probabilmente a causa della presenza dell’Aspromonte e del mare, che determinano la genesi di brezze locali di terra e di mare, accentuate dalla presenza della vicina catena appenninica (Giuliacci et al., 2001 – direzioni di provenienza prevalenti determinate su medie mensili e stagionali nel periodo 1980-1999). La presenza di importanti catene montuose e la posizione “sottovento” a queste, della zona dello Stretto di Messina e in generale della costa ionica meridionale calabrese, determinano tuttavia una ventilazione meno sostenuta rispetto a quella misurabile nelle altre zone costiere calabresi. Nella zona della Basilicata ionica e della Calabria, infatti, il numero delle calme (velocità del vento media giornaliera inferiore a 0.5 m/s) è piuttosto limitato: 111 giorni a Potenza, solo 48 a Crotone, sullo Ionio, e tuttavia ben 145 a Capo Spartivento;

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il numero dei giorni con vento moderato (tra 5.3 e 7.4 m/s) è notevolmente elevato in tutta l’area (230-270 giorni all’anno) tranne che, appunto, a Capo Spartivento (186 giorni all’anno). Analisi dei dati meteorologici rilevati presso la stazione di Saline Joniche Sono stati analizzati i dati misurati dalla stazione meteorologica convenzionale ubicata presso il porto industriale di Saline Joniche. La serie di dati orari parte dal 16 aprile 2004 e termina il 31 dicembre 2006: pur non essendo particolarmente lunga la serie risulta quasi completa con una copertura di almeno il 90 % dei dati potenziali mensili, per tutti i mesi da maggio 2003, compreso, in avanti. La stazione fornisce valori orari di temperatura (°C), umidità relativa (%), pressione atmosferica s.l.m. (hPa), precipitazione oraria cumulata (mm/h), radiazione solare globale (MJ/m2), velocità (m/s) e direzione di provenienza (°) del vento. Nel paragrafo che segue si riporta un’analisi complessiva del dataset con elaborazioni effettuate sui parametri di temperatura, precipitazione oraria cumulata e direzione e velocità del vento con l’obiettivo di proporre un confronto con le considerazioni climatiche riportate in precedenza, compatibilmente con i dati e i parametri disponibili in letteratura. Successivamente si riporta un’analisi di dettaglio della serie di dati meteorologici rilevati nel corso del 2004, anno considerato a riferimento per la realizzazione delle simulazioni modellistiche della dispersione degli inquinanti in atmosfera. Analisi dei dati meteorologici rilevati nel periodo 2003 – 2006 Dall’analisi dei valori di precipitazione cumulata riportati in Tabella 10 e riferentisi alla stazione meteorologica di Saline Joniche si nota come i valori di precipitazione cumulata annua rilevati negli anni 2004-2006 presso Saline Joniche siano i più bassi rispetto alle medie del periodo 1980 – 2001 di tutte le stazioni della zona dello Stretto di Messina. I valori misurati presso Saline Joniche si avvicinano alla precipitazione cumulata rilevata dalle stazioni di Bova Marina, Capo dell’Armi e Melito Portosalvo (Saline Joniche è situata lungo la costa tra queste due località a loro volta costiere) e tuttavia si nota un deficit rispetto ai valori medi misurati in passato presso queste 3 località. Interessante notare come la differenza sia dovuta per il 2004 e il 2005 ad una carenza di precipitazioni nel semestre freddo mentre nel semestre caldo le precipitazioni siano risultate ben superiori alle medie delle altre tre stazioni della zona sia in termini assoluti che relativi; al contrario nel 2006 la quasi totalità delle precipitazioni si è verificata nel semestre freddo con un evidente deficit nel semestre estivo sia rispetto agli anni precedenti che alle medie delle altre stazioni. Il deficit pluviometrico degli ultimi anni presso Saline Joniche rispetto ai valori di paesi limitrofi rilevati mediamente fino al 2001 con scarsa probabilità è da imputarsi ad una caratteristica locale: più probabilmente è la conferma del trend pluviometrico negativo degli ultimi anni13 aggravatosi a partire dal 2003, anno dal quale, per quanto concerne le dinamiche sinottiche, si è sempre più accentuata la tendenza ad interessare l’area del Mediterraneo Centrale da parte degli anticicloni (figure bariche sinonimo di alta pressione, forte stabilità atmosferica, assenza di precipitazioni). Dall’analisi degli andamenti pluviometrici mensili della stazione di Saline Joniche nel periodo 16 aprile 2003 - 31 dicembre 2006 (v. grafico alla pagina successiva) si nota come luglio sia il mese con l’accumulo inferiore mentre dicembre sia il mese con l’accumulo più elevato. Distintamente si possono riconoscere 3 quadrimestri in cui gli accumuli precipitativi mensili risultano pressoché omogenei: il periodo da gennaio ad aprile con accumuli in media compresi tra 20 e 50 mm/mese, il periodo da maggio ad agosto con accumuli in media inferiori ai 20 mm/mese e il periodo da settembre a dicembre con accumuli superiori ai 50 mm/mese. Tipicamente, le regioni costiere meridionali della Penisola sono soggette alle precipitazioni più intense e consistenti nel corso dei mesi autunnali quando il contrasto tra l’acqua marina molto calda e le masse d’aria di origine artica o polare (convogliate nel Mediterraneo dalle perturbazioni atlantiche) favoriscono precipitazioni impulsive molto intense, anche a carattere di nubifragio.

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Tabella 10 - Precipitazioni medie annuali, precipitazioni medie nel semestre freddo e precipitazioni medie nel semestre caldo rilevate dalla stazione meteorologica di Saline Joniche.

Precipitazione mensile cumulata presso la stazione meteorologica di Saline Joniche: dati rilevati e media mensile. Elaborazione sui dati del periodo aprile 2003-dicembre 2006.

Dalle statistiche descrittive relative ai valori di temperatura medi mensili misurati dalla stazione di Saline Joniche nel periodo 16 aprile 2003 - 31 dicembre 2006, si nota come la media delle temperature minime più bassa si sia rilevata in febbraio (8,0 °C) mentre la media delle temperature massime più elevata si sia rilevata in luglio (33.2 °C), mese caratterizzato anche dalla temperatura media più alta (28,7 °C). La temperatura media più bassa si è misurata in gennaio (11,6 °C) mentre l’escursione termica media maggiore in giugno (9,2 °C). Confrontando questi valori con gli analoghi misurati presso la località di Melito di Porto Salvo (a pochi chilometri da Saline lungo la costa) si nota una corrispondenza per quanto concerne i mesi più caldi (luglio e agosto) e più freddi (gennaio e febbraio) mentre l’escursione termica media massima, che a Melito è stata rilevata in luglio (10,4 °C) e agosto (9,9 °C), si presenta nei mesi di giugno (9,2 °C) e luglio (9,1 °C). Degna di nota, infine la differenza per quanto concerne le temperature medie annue: sia per la media annua delle

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temperature minime, sia per le temperature medie, negli ultimi anni la stazione di Saline Joniche ha rilevato valori superiori a 1 °C rispetto alle medie del periodo 1955 – 1975 misurate dalla stazione della vicina Melito di Porto Salvo. L’aumento delle massime è invece contenuto entro 1 °C. Considerando minime le variazioni termiche in ambito spaziale tra le due località, l’aumento delle temperature degli ultimi anni è probabilmente correlabile alla maggior frequenza dei di tipi di tempo anticiclonici sul Mediterraneo Centrale.

Tabella 11 - Temperature minime, medie, massime ed escursione termica media mensile rilevate presso la stazione meteorologica di Saline Joniche. Medie calcolate sui dati del periodo aprile 2003-dicembre 2006.

Infine, dal grafico della rosa dei venti relativa all’intero dataset di dati orari di velocità e direzione del vento misurati dalla stazione di Saline Joniche si nota come la direzione prevalente in termini di frequenza risulti NordOvest, seguita da NordEst e SudEst. La frequenza delle calme di vento (intensità del vento media oraria inferiore a 0.5 m/s) è molto bassa (0.59 %) e la velocità media dell’intero periodo è di 2.9 m/s corrispondente al grado 2 della scala Beaufort definito “Brezza Leggera”. Alla direttrice NordOvest-SudEst risultano associati valori di intensità del vento superiori rispetto alla direttrice NordEst, direzione di provenienza correlabile al fenomeno della brezza di terra (vento tipico dei tipi di tempo stabili, anticiclonici) la cui azione viene decisamente rinforzata dai venti freschi che di notte scendono dai pendii dell’Aspromonte (ventilazione catabatica) fino a raggiungere il mare. Generalmente la brezza di terra è più debole, almeno di un fattore 2, della brezza di mare ed è molto attiva nelle tarde ore notturne: essa inizia infatti a manifestarsi tra le 21 e le 22, raggiunge la massima intensità verso le 5 di mattino per poi annullarsi verso le 7; la sua velocità è dell’ordine di 2-3 m/s (Centro Epson Meteo, 2003). Le ventilazioni di maestrale (da NordOvest), scirocco (da SudEst) e levante (da Est) sono invece correlabili alle correnti sinottiche associate alle diverse configurazioni bariche dei tipi di tempo instabili e perturbati e alla rotazione diurna della brezza di mare, associata, al contrario, a un tipo di tempo stabile. Infatti, con venti al largo deboli, come avviene quasi sempre nelle situazioni anticicloniche, la brezza di mare al mattino è diretta perpendicolarmente alla costa ma poi, al crescere dell’intensità, ruota in verso antiorario finché nel tardo pomeriggio si dispone quasi parallela alla linea costiera e con la bassa pressione (la costa) a sinistra. Analisi dei dati meteorologici rilevati nel 2004 Dall’analisi degli andamenti della temperatura rilevata nel 2004 il SIA evidenzia un ottimo allineamento delle temperature medie, minime e massime con differenze contenute, pressoché costanti, nel corso dell’anno, per via dell’azione mitigatrice del mare, fornendo al contempo dettagliate descrizioni di: • Andamento mensile della temperatura - Saline Joniche 2004 • Andamento mensile dell'umidità relativa - Saline Joniche 2004

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• Andamento mensile della pressione atmosferica - Saline Joniche 2004 • Precipitazione cumulata totale, valore massimo, giorni di pioggia – Saline Joniche 2004 Sempre nel SIA, la distribuzione di frequenza mensile delle categorie di Pasquill determinate dai dati della stazione meteorologica di Saline Joniche è riferita al periodo 1 gennaio-31 dicembre 2004). La categoria A non è stata quasi mai rilevata (a parte qualche ora in gennaio) per via della ventilazione sistematicamente superiore ai 3 m/s nel corso delle ore in cui si sono manifestate condizioni spiccatamente convettive (ovvero con forte insolazione) a causa della presenza del mare e della conseguente genesi di brezze. Le categorie B e C, rappresentative di un’atmosfera rispettivamente moderatamente instabile e leggermente instabile, sono risultate più frequenti nei mesi estivi quando il cielo sereno o poco nuvoloso, il forte soleggiamento e una moderata ventilazione hanno determinato un ottimo rimescolamento verticale dei bassi strati dell’atmosfera. La categoria D è risultata equamente distribuita in tutti i mesi dell’anno a parte in ottobre (meno del 20%), quando si è verificata un’anomala scarsità di precipitazioni e dunque di passaggi di fronti perturbati, e in novembre e dicembre (frequenze rispettivamente prossima e superiore al 35%) quando, al contrario, la copertura del cielo per il passaggio di perturbazioni è stata frequente. La categoria D rappresenta infatti le situazioni atmosferiche neutre, prossime all’adiabaticità, tipiche di situazioni diurne o notturne con cielo coperto e vento teso. Infine le categorie E ed F, rappresentative di un’atmosfera rispettivamente leggermente stabile e moderatamente stabile, sono state più frequenti nei mesi autunnali ed invernali (la categoria F supera il 50% in ottobre, mese che è stato particolarmente stabile) quando alla maggior durata della fase notturna giornaliera, è stata inevitabilmente associata una minor capacità di rimescolamento dei bassi strati atmosferici per via della stratificazione delle masse d’aria indotta dal raffreddamento del suolo. Infine, per quanto concerne la rosa dei venti per la categoria di stabilità A, questa è stata determinata a partire da 5 dati orari corrispondenti alla tarda mattinata di 3 giorni di gennaio in cui si è rilevata una ventilazione debole con un’intensa radiazione globale; in 3 casi su 5 la ventilazione si è orientata da SudSudEst. La media dell’intensità del vento associata alla categoria A è stata di 2,3 m/s. Per la categoria di stabilità B si sono rilevati 744 valori orari con una prevalenza evidente delle direzioni di provenienza da SudEst e da SudSudEst e una disposizione di tutte le altre direzioni di provenienza da Sud. Le intensità del vento associate alla categoria B risultano modeste, inferiori ai 4 m/s, indicative probabilmente della brezza di mare. La media dell’intensità del vento associata alla categoria B è stata di 2,4 m/s. La rosa di stabilità corrispondente alla categoria C risulta principalmente orientata lungo la direttrice SudEst – NordOvest ed è associata ad una velocità del vento elevata e ad una radiazione solare ridotta. La direzione di provenienza SudEst risulta la più frequente mentre alla direzione NordOvest sono associati i valori più elevati di velocità del vento con intensità anche superiori a 10 m/s. La categoria C è risultata frequente, con 1.159 occorrenze orarie su 8.664 dati disponibili e la media dell’intensità del vento ad essa associata è stata di 3,6 m/s. Alla categoria D risultano associate le intensità del vento maggiori con numerose rilevazioni superiori a 8 m/s. La maggiore frequenza di provenienza associata a questa categoria di stabilità è NordOvest, direzione da cui spirano i venti ogni qualvolta transita sulla Calabria una perturbazione atlantica o si verifica un’intensa avvezione da Nord, per via dell’incanalamento delle correnti nello Stretto di Messina. In questa categoria rientrano, infatti, le velocità massime registrate nel corso del 2004 con valori pari a 15.4 m/s, velocità corrispondente al grado 8 della scala Beaufort (definito “Burrasca Moderata”21). Queste velocità sono state registrate il giorno 15 gennaio alle ore 15 e 16 con direzione di provenienza NordOvest, causate da un flusso zonale delle correnti molto teso a tutte le quote. La categoria D è risultata molto frequente con 2.518 occorrenze orarie su 8.664 dati disponibili e la media dell’intensità del vento ad essa associata è stata di 4,2 m/s. La rosa di stabilità corrispondente alla categoria di stabilità E tende a disporsi come la rosa corrispondente alla categoria D con intensità inferiori e un maggior contributo dal quadrante di NordEst per quanto concerne la provenienza della ventilazione. La categoria E è risultata frequente, con 934 occorrenze orarie su 8664 dati disponibili e la media dell’intensità del vento ad essa associata è stata di 3,6 m/s. In fase notturna, con cielo sereno e stabilità atmosferica (categoria di stabilità F), la rosa dei venti si orienta prevalentemente da NordEst con una ventilazione modesta (sempre inferiore ai 4 m/s) associata alla ventilazione di brezza di terra intensificata dal carattere catabatico indotto dalla presenza dei rilievi dell’Aspromonte. La categoria F è risultata la più frequente con ben 3.304 occorrenze orarie su 8.664 dati disponibili e la media dell’intensità del vento ad essa associata è stata di 1,7 m/s.

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3. MODELLAZIONE DEGLI IMPATTI

SULLA QUALITÀ DELL’ARIA 3.1. IMPATTO SULLA QUALITÀ DELL’ARIA Il codice di calcolo utilizzato per la valutazione dell'impatto sulla qualità dell'aria è costituito dal modello CALPUFF (Scire et al., 1995)30, nella versione 5.711A level 040716 (luglio 2004), versione approvata dall’US-EPA nel giugno 2006. L’utilizzo di tale modello risulta in accordo con quanto specificato nelle “Linee guida per la selezione e l'applicazione dei modelli di dispersione atmosferica per la valutazione della qualità dell’aria” redatte dall’APAT (RTI CTN_ACE 4/2001), per la tipologia di sorgente e l’ambito territoriale specifici del caso di studio e le scale spaziale e temporale scelte per la valutazione. Il modello si basa su un approccio di tipo lagrangiano gaussiano a puff, non stazionario, multistrato e multispecie, e comprende una serie di opzioni per la stima del trasporto e diffusione in atmosfera di emissioni prodotte da diverse configurazioni di sorgenti (puntuale, areale, lineare), in situazioni orografiche semplici o complesse. Le principali caratteristiche del modello sono ampiamente descritte nel SIA, in termini di capacità di trattare sorgenti puntuali, lineari, aerali, volumetriche con caratteristiche variabili nel tempo, estensione del dominio di simulazione, effettuare simulazioni short-term e long-term e situazioni meteorologiche variabili e complesse, nonché condizioni di orografia complessa, effetti quali trasformazioni chimiche, trasporto su specchi d’acqua ed interazione tra zone marine e zone costiere e la possibilità di applicazione ad inquinanti inerti e polveri. Per poter tener conto della non stazionarietà dei fenomeni, l’emissione di inquinante (plume) viene suddivisa in “pacchetti” discreti di materiale (puff o slug) la cui forma e dinamica dipendono dalle condizioni di rilascio e dalle condizioni meteorologiche locali. In particolare la dinamica dei puff, che simula l’innalzamento del pennacchio, viene descritta con un algoritmo che include i principali effetti che influenzano le modalità di innalzamento: galleggiamento termico e quantità di moto, stratificazione verticale del vento in atmosfere stabili, parziale penetrazione del pennacchio nel livello d’inversione stabile, effetti di depressione dovuti alla presenza del camino (stack-tip downwash) o di edifici (building downwash). Il contributo di ogni puff alle concentrazioni rilevate presso un recettore viene valutato mediante un metodo “a foto”: ad intervalli di tempo regolari (sampling step), ogni puff viene “congelato” e viene calcolato il suo contributo alla concentrazione. Il puff può quindi muoversi, evolversi in forma e dimensione fino all’intervallo successivo. Applicando i principio di sovrapposizione degli effetti, la concentrazione di inquinante in un recettore è quindi calcolata come sommatoria del contributo di tutti i puff vicini, considerando la media di tutti gli intervalli temporali (sampling step) contenuti nel periodo di base, in genere equivalente ad un’ora. Il contributo di concentrazione al suolo C di un puff presente nel dominio istantanea derivante dalla sua presenza in un generico recettore è descritto da una relazione in cui : Q = massa di inquinante nel puff; σx, σy = coefficienti di dispersione orizzontale e verticale, rispettivamente; da = distanza tra il recettore ed il centro del puff nella direzione del vento; dc = distanza tra il recettore ed il centro del puff nella direzione trasversale al vento; g = termine che tiene conto delle riflessioni multiple della copertura e del suolo in funzione dell’altezza dello strato di mescolamento h, dell’altezza effettiva del centro del puff da terra H e della dispersione turbolenta lungo la verticale σz: In un generico recettore tutti i puff presenti nel dominio di calcolo contribuiscono alla concentrazione totale con un proprio contributo proporzionale alla distanza orizzontale tra il loro baricentro e il recettore, all’altezza del proprio baricentro, al valore delle proprie deviazioni standard ed alla quantità di inquinante contenuto. Oltre ad essere trasportato dal movimento medio delle masse d’aria, un puff è soggetto all’azione della dispersione turbolenta, che determina il progressivo inglobamento di aria associata a vortici turbolenti di

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piccole e medie dimensioni, con una conseguente progressiva diminuzione della concentrazione entro il puff ed un aumento irreversibile di omogeneità nella sua distribuzione interna. Per trattare questo aspetto, è consuetudine ipotizzare che il processo di dispersione turbolenta sia descrivibile con una distribuzione della concentrazione di inquinante di forma gaussiana nelle tre direzioni coordinate. I coefficienti di dispersione rappresentano le deviazioni standard delle distribuzioni spaziali delle concentrazioni e forniscono, quindi, una misura della dispersione dei valori di concentrazione attorno all’asse del pennacchio. Le deviazioni standard σx, σy, σz delle tre distribuzioni gaussiane lungo gli assi coordinati che dipendono principalmente dalla turbolenza dello strato limite planetario, ma anche dalla geometria della sorgente e dalla spinta di galleggiamento posseduta dal puff. Le formulazioni parametriche utilizzate per la determinazione dei coefficienti di dispersione (Hanna e al, 1977) considerano il tempo di volo del puff, cioè il tempo trascorso dalla sua emissione, le deviazioni standard della componente trasversale e verticale del vento nel baricentro del puff, il tempo di scala per i movimenti orizzontali e per i movimenti verticali. In particolare, i coefficienti di dispersione risultano direttamente proporzionali alle deviazioni standard delle componenti del vento in quanto queste rappresentano effettivamente la reale capacità disperdente dell’atmosfera. Il modello prevede inoltre specifici algoritmi per la dispersione in zone marine e costiere, che tengono conto della diversa struttura dello strato limite marino e della sua incidenza sulle modalità di dispersione di inquinanti, e la possibilità di trattare calme di vento. In questo caso non è previsto un algoritmo specifico, ma il modello tiene conto del fenomeno attraverso modifiche della procedura di calcolo che riguardano il tipo di rilascio e l’innalzamento dei puff, la loro evoluzione durante gli intervalli di tempo e il modo di simulare gli effetti in vicinanza della sorgente. Ulteriori accorgimenti che consentono di mantenere l’accuratezza e tempi di calcolo contenuti prevedono, in caso di campi meteorologici non omogenei, la suddivisione dei puff (puff-splitting) in puff di dimensioni inferiori che possano essere sensibili esplicitamente alle variazioni della meteorologia e, in situazioni caratterizzate da venti deboli, la fusione (puff-merging) di puff vicini in un unico puff che li rappresenti collettivamente sia dal punto di vista della massa trasportata che dal punto di vista della conservazione dei momenti. Il modello è in grado di considerare anche l’effetto di trascinamento al suolo del pennacchio indotto dalla presenza di edifici sottovento alla sorgente di emissione. Il fenomeno, definito come “downwash” nella terminologia anglosassone, è conseguenza della turbolenza meccanica generata dalla presenza dell’edificio nella zona sottovento adiacente all’edificio stesso, e determina un incremento delle concentrazioni massime al suolo ed un avvicinamento della loro localizzazione al punto di emissione. La possibilità che il fenomeno si verifichi e la sua entità dipendono dalla distanza tra l’emissione e gli edifici circostanti e dalle dimensioni relative degli edifici stessi rispetto all’altezza effettiva della sorgente. A tale proposito, l’algoritmo di calcolo considera le interazioni tra ogni singola sorgente e gli edifici che la circondano in funzione della meteorologia e della direzione del vento dominante, provvedendo ad apportare le eventuali correzioni richieste all’innalzamento dell’emissione secondo due distinte procedure (modello di Huber-Snyder, modello di Schulman-Scire) individuate in base all’altezza della sorgente ed alle dimensioni degli edifici. L’approccio di calcolo è altresì in grado di valutare gli effetti dell’orografia, tenendo conto dell’interazione tra puff e terreno sia su piccola che su grande scala. La fisionomia del terreno su grande scala, viene considerata in fase di predisposizione dei campi di vento tridimensionali dal preprocessore meteorologico CALMET mentre per la piccola scala si fa riferimento all’algoritmo di terreno complesso utilizzato nel Complex Terrain Model dell’US EPA. Per ciò che si riferisce ai tempi di integrazione delle concentrazioni stimate per tutti gli inquinanti, il modello è in grado di effettuare simulazioni a breve termine (“short-term”), stimando cioè i valori su base temporale oraria, e quindi di calcolare successivamente le concentrazioni su base media annuale. Ai fini dell’applicazione modellistica i dati meteorologici in ingresso sono pertanto richiesti in termini di sequenza oraria dei campi tridimensionali di velocità, direzione di provenienza del vento, e temperatura al suolo e dei campi bidimensionali dei parametri micrometeorologici descrittivi delle condizioni di stabilità dell’atmosfera.

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3.2. AREA DI STUDIO E RECETTORI DISCRETI CONSIDERATI L’area considerata nello studio è costituita da un quadrato di 22,5 km di lato, centrato sulla localizzazione dell’impianto di progetto: nella scala di riferimento UTM33-WGS84, l’area di studio ha coordinate comprese tra 553,5 km e 576 km lungo la direzione X e tra 4.187 km e 4.209,5 km lungo la direzione Y. Ai fini dell’applicazione del modello di diffusione, l’area così definita è stata disaggregata in un grigliato cartesiano ortogonale, costituito da maglie quadrate di 500 m di lato per un totale complessivo di 2.025 punti di calcolo. La stima delle concentrazioni e dei depositi al suolo è stata inoltre estesa a 55 ricettori discreti, di cui 22 collocati in corrispondenza dei punti di misura della campagna di qualità dell’aria e 33 in corrispondenza dei principali centri abitati ricadenti nell’area di studio. Dal punto di vista orografico l’area appare caratterizzata da dislivelli altimetrici significativi (figura sottostante), con un’altezza che varia da 0 m della linea di costa a quasi 1.000 m sul livello del mare dei rilievi posti a nord e a nord-est rispetto all’area di insediamento della centrale in progetto.

Estensione, caratteristiche orografiche e localizzazione dei ricettori discreti dell’area di applicazione del modello di trasporto e diffusione.

Esclusivamente per la valutazione dell’impatto sulla qualità dell’aria delle sorgenti di polveri minori, riportate nel successivo paragrafo, è stata considerata una porzione ridotta dell’area di studio precedentemente descritta, caratterizzata da un’estensione di 4,5 km per 4 km (coordinata X da 562.460 m a 566.960 m, coordinata Y da 4.197.395 m a 4.201.395 m nella scala di riferimento UTM33-WGS84), sempre centrata sull’impianto in progetto. Ai fini dell’applicazione del modello di diffusione, l’area ristretta così definita è stata disaggregata in un grigliato cartesiano ortogonale, costituito da maglie quadrate di 100 m di lato per un totale complessivo di 1886 punti di calcolo. La scelta di limitare l’area di indagine e di aumentare la risoluzione spaziale del dominio di calcolo nel caso delle sorgenti di polveri minori è dettata dal fatto che, date le ridotte altezze di tali punti di emissione, si attende un impatto circoscritto all’immediato intorno della centrale di progetto.

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3.3. SORGENTI CONSIDERATE La presente valutazione ha preso in considerazione come sorgenti emissive i due camini che convogliano i fumi in uscita dalle caldaie e i 28 punti di emissione di polveri localizzati in corrispondenza di installazioni di trasporto, carico, scarico, macinazione di carbone e reagenti di processo. Così come i camini, tali punti di emissione minori di polveri sono stati schematizzati come sorgenti puntuali. Distribuzione granulometrica del particolato emesso dalle sorgenti In mancanza di dati di progetto, come distribuzione granulometrica in massa delle polveri emesse dai due camini è stata utilizzata quella suggerita dall’US-EPA per centrali a carbone dotate, come sistemi di depurazione fumi, di filtri a manica, riassunta nella Tabella (US-EPA (1995) Compilation of air pollutant emission factors, AP-42, Fifth edition) fornita dal SIA. Tale distribuzione è stata utilizzata, in quanto in entrambi i casi i dispositivi di controllo delle emissioni di polveri sono costituiti da filtri a manica, per la valutazione: • delle concentrazioni attese al suolo di PM2,5 e di PM10, come contributo delle emissioni dei due camini; • delle concentrazioni di polveri totali attese al suolo come contributo delle emissioni delle sorgenti minori di

polveri. Per la stima delle concentrazioni in atmosfera e dei depositi al suolo dei microinquinanti Pb, Cd, As e Ni (che si ipotizza siano emessi totalmente in fase particolato), si è seguita la procedura suggerita dall’US-EPA in base alla quale si considera che tali elementi ricondensino solo sulla superficie del particolato emesso e che, quindi, la loro presenza nelle polveri sia proporzionale alla superficie delle singole particelle e non all’intera massa. Dalla distribuzione in massa è stata quindi calcolata, sulla base della procedura indicata dall’US-EPA, la corrispondente distribuzione granulometrica in superficie, utilizzata per la valutazione delle concentrazioni in atmosfera e dei deposito al suolo dei microinquinanti adsorbiti sul particolato (US-EPA, 2005 - Human Health Risk Assessment Protocol, Chapter 3: Air Dispersion and Deposition Modeling September 2005).

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3.4. OPZIONI DI CALCOLO Orografia e uso del suolo Le caratteristiche orografiche e di uso del suolo sono considerate dal preprocessore CALMET nella ricostruzione dei campi bi-tridimensionali dei parametri meteorologici in ingresso al modello. Tali informazioni non sono pertanto richieste espressamente in ingresso al modello CALPUFF. Linea costa Nella valutazione sono state introdotte le coordinate della linea di costa in quanto il modello di calcolo utilizza un algoritmo specifico per una migliore descrizione dell’interfaccia terra-mare ed in particolare per valutare con maggiore accuratezza le caratteristiche dello strato rimescolato nelle celle del dominio di calcolo attraversate dalla linea di costa. Opzioni relative all’innalzamento del pennacchio L’innalzamento del pennacchio è stato gestito attivando le opzioni consigliate dall’US-EPA, nello specifico: • Transitional Plume Rise, che prevede l’emissione di puff anche nella fase di innalzamento del pennacchio; • Stacktip Downwash, che consente di modificare l’innalzamento del pennacchio nelle situazioni in cui si

verifica una zona di depressione sottovento al camino; • Partial Plume Penetration, che prevede la possibilità che una parte del pennacchio sconfini oltre l’altezza

di rimescolamento nel caso in cui questa sia prossima alla quota di emissione. Building downwash Il modello è in grado di considerare anche l’effetto di trascinamento al suolo del pennacchio indotto dalla presenza di edifici sottovento alla sorgente di emissione. Il fenomeno definito come “Building downwash” è conseguenza della turbolenza meccanica generata dalla presenza dell’edificio nella zona sottovento adiacente all’edificio stesso, e determina un incremento della concentrazione massima al suolo ed un avvicinamento della sua localizzazione al punto di emissione. La possibilità che il fenomeno si verifichi e la sua entità dipendono dalla distanza tra l’emissione e gli edifici circostanti e dalle dimensioni relative degli edifici stessi rispetto all’altezza effettiva della sorgente. Per la valutazione del Building downwash, è stato applicato il modello BPIP (Building Profile Input Program) dell’U.S. EPA che calcola i parametri “direction-specific building widths” e “directionspecific building heights” utilizzati dal modello CALPUFF per valutare gli eventuali effetti di downwash. Gli edifici caratterizzati dalle altezze più significative della centrale di progetto sono l’edificio carbonile e i due edifici delle caldaie.

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3.5. DATI METEOROLOGICI I dati meteorologici utilizzati per la valutazione della diffusione atmosferica sono stati elaborati tramite il modello meteorologico diagnostico CALMET, processore del modello di dispersione CALPUFF (Scire et al., 1995), dalla società Enviroware srl32, sulla base delle predizioni del modello BOLAM 21 e dei rilevamenti meteorologici acquisiti localmente dalla centralina di Saline Joniche (15°44'17.54"E; 37°55'41.08"N). Il rapporto completo dello studio effettuato è riportato nell’allegato “Ricostruzione del campo di vento e micrometeorologico con il modello CALMET, Luglio 2007”. La simulazione è stata effettuata con il modello CALMET versione 5.53a livello 040716, compatibile con CALPUFF versione 5.711a livello 040716. Tali versioni, pur non essendo le più recenti, sono quelle ufficialmente suggerite dalla US-EPA. CALMET (Scire et al., 1995) è un modello meteorologico diagnostico, cioè in grado di ricostruire il campo di vento su un dominio di calcolo con orografia complessa a partire da misure al suolo e da almeno un profilo verticale. Esso contiene inoltre degli algoritmi per il calcolo di parametri micrometeorologici fondamentali nell'applicazione di modelli di dispersione in atmosfera, come, ad esempio, l’altezza di rimescolamento, la lunghezza di Monin-Obukhov e la classe di stabilità atmosferica di Pasquill-Gifford. Il dominio per il quale è stato predisposto il file meteorologico è rappresentato da un’area quadrata di 30 km di lato centrata sulla localizzazione dell’impianto di progetto, disaggregata in 63 x 63 maglie di 500 m di lato. Il periodo temporale di simulazione è l’intero anno 2004 che, come evidenziato dall’analisi dei dati meteorologici disponibili, può ritenersi pienamente significativo delle condizioni meteorologiche dell’area di studio. L’orografia media e l’utilizzo del suolo sono stati determinati per ogni cella del dominio di calcolo descritto.

Rosa dei venti al suolo sovrapposta all’immagine satellitare del sito (ottenuta a partire dalle misure della - centralina meteorologica di Saline Joniche relative all’anno 2004).

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Rosa dei venti al suolo ottenuta a partire dalle misure della centralina meteorologica di Saline Joniche - 2004.

Rosa dei venti ottenuta a partire dai dati di CALMET estratti dalla cella di calcolo contenente la centralina meteorologica e relativi ad un’altezza di 70 m sopra il suolo.

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3.6. SIMULAZIONI EFFETTUATE Tutte le simulazioni condotte sono state effettuate con risoluzione temporale oraria ed i risultati così ottenuti sono stati successivamente elaborati per calcolare i parametri statistici di interesse ai fini della valutazione dell’impatto sulla qualità dell’aria dei diversi inquinanti. In particolare, per quanto riguarda le emissioni dei camini delle caldaie della centrale di progetto, è stato valutato l’impatto in corrispondenza sia dei punti griglia sia dei recettori discreti. Per gli inquinanti oggetto dei limiti di qualità dell’aria l’impatto è stato valutato nei termini dei parametri statistici di riferimento per i diversi inquinanti, ed in particolare: • NOx: 99,8° percentile delle concentrazioni orarie e concentrazione media annuale; • SO2: 99,7° percentile delle concentrazioni orarie, concentrazione massima giornaliera e concentrazione

media annuale; • CO: concentrazione massima oraria e concentrazione media annuale; • PM10: concentrazione massima giornaliera e concentrazione media annuale; • Pb, Cd, As e Ni: concentrazione media annuale. Come già precisato, il Benzo[a]pirene non è stato considerato in quanto le sue emissioni sono del tutto trascurabili. Per i composti NH3, Hg e la frazione fine del particolato - PM2,5 l’impatto è stato valutato esclusivamente in termini di concentrazione media annuale. Ulteriori simulazioni hanno riguardato la stima del deposito totale annuo (secco + umido) di Pb, Cd, As e Ni. Per quanto riguarda le sorgenti minori di polveri, sono state valutate la concentrazione media annuale di PM2,5

e di PM10 e la concentrazione massima giornaliera di PM10.

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4. ANALISI DATI PREGRESSI: SUOLO E SOTTOSUOLO

4.1. INQUADRAMENTO GEOLOGICO STRUTTURALE DELL’AREA VASTA Durante il Terziario, l’area tirrenica è stata sede di processi estensionali che hanno prodotto l’assottigliamento della crosta continentale ispessita dall’orogenesi alpina e la formazione di nuova crosta oceanica, in un quadro generale di convergenza relativa tra Africa ed Europa (Dewey et al., 1989). L’evoluzione di tale area e, più in generale dell’intero Mediterraneo centrale, è stata caratterizzata dalla coesistenza di processi compressivi ed estensionali che hanno dato origine alla caratteristica fisiografia del sistema alpino occidentale. In particolare, mentre i processi compressivi hanno migrato verso settori via via più esterni rispetto alla polarità orogenica (p.es., Malinverno & Ryan, 1986; Platt & Vissers, 1989; Patacca et al., 1990; Jolivet et al., 1994), le aree di catena interna sono state interessate da processi estensionali a scala crostale, associati, in genere, ad intensa attività magmatica, come nel Mare Egeo (Altherr et al., 1982) e nell’area tirrenica (p.es.: Serri et al., 1993). Il Mar Tirreno è un esempio ben studiato di estensione continentale avvenuta contemporaneamente ai processi di accrezione (formazione della catena a thrust appenninica) (Jolivet et al., 1998).

Il Mar Tirreno è stato interpretato da numerosi Autori come un bacino di back-arc (Barberi et al., 1973; Malinverno and Ryan, 1986; Kastens et al., 1988; Patacca et al., 1990; Sartori, 1990; Doglioni, 1991; Royden, 1993; Faccenna et al., 1996; Giunchi et al., 1996; Jolivet and Faccenna, 2000), che si è sviluppato all’interno di una vasta zona di subduzione che caratterizza l’intero Mediterraneo centrale. In tale sistema, possono essere identificati tre domini: (i) il dominio orogenico interno, affiorante oggi in Toscana occidentale e nell’Arco Calabro-Peloritano, costituito da unità poli-metamorfiche che rappresentano le tracce più antiche del processo di subduzione. Tale dominio separa il (ii) dominio di back-arc (Bacino Tirrenico e Bacino Ligure-Provenzale) dal (iii) dominio esterno (catena Appenninica), rappresentato dall’impilamento di coperture sedimentarie di paleomargini di pertinenza della placca africana e di Adria. L’intera regione tirrenica è caratterizzata da flussi termici elevati, che raggiungono un massimo di oltre 400 mW/m2 in prossimità della piana batiale e del margine tosco-laziale (Della Vedova et al., 1991). L’Arco Calabro e il bacino jonico, invece, sono contraddistinti da valori di flusso di calore abbastanza modesti che non superano i 50 mW/m2 (Della Vedova & Pellis, 1986). Gli spessori della crosta risultano ridotti nell’intero settore tirrenico.

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Carta geologica dell’Arco Calabro-Peloritano (G. Bonardi et Alii, 1970-1976). La profondità della Moho è inferiore ai 20 km nel settore tirrenico settentrionale, costituito da crosta continentale assottigliata; nel settore tirrenico meridionale la Moho risale fino a 15 km, in corrispondenza delle aree di crosta oceanica del Vavilov e Marsili. Anche gli spessori litosferici risultano ridotti, variando da un massimo di 50 km fino a 20 km nel bacino di Vavilov (Suhadolc & Panza, 1989). Il settore meridionale è contraddistinto da un ispessimento della crosta e della litosfera movendosi dalla piana abissale verso l’Arco Calabro, accompagnato, come detto, da una diminuzione in superficie del flusso termico (Mongelli et al., 1989) e della gravità (Mongelli et al., 1975). Nel settore Calabro-Peloritano, la distribuzione di terremoti superficiali, intermedi e profondi registrati, definisce con continuità un piano di Benioff stretto (~200 km) e inclinato (~70 km) orientato circa SW-NE e immergente verso NW, fino a una profondità di circa 500 km (Isacks & Molnar, 1971; Giardini & Velonà, 1988; Selvaggi & Chiarabba, 1995). La presenza di tale sismicità su un piano di Benioff ben definito rappresenta una testimonianza diretta di processi di subduzione passati e ancora attivi dell’avampaese jonico al di sotto dell’Arco Calabro-Peloritano e del Mar Tirreno. La presenza di una zona di subduzione in tale settore è, inoltre, confermata dai numerosi studi di tomografia disponibili per l’area tirrenica (Spakman et al., 1993; Piromallo & Morelli, 1997; Lucente et al., 1999, Cimini, 1999; Piromallo & Morelli,

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2003). Il modello tomografico PM0,5 (Piromallo & Morelli, 2003) mostra un pattern discontinuo di anomalie di alta velocità dall’Appennino settentrionale all’Arco Calabro, a profondità comprese tra i 50 e 150 Km. Anomalie di bassa velocità caratterizzano, invece, l’area bacinale tirrenica, l’Appennino meridionale e la Sicilia. Le anomalie positive al di sotto dell’Arco Calabro, aumentano in ampiezza e dimensione con la profondità e, oltre i 200 km, costituiscono una fascia continua con le anomalie sotto l’Appennino meridionale a NE e la catena Siculo-Magrebide a SW. La struttura ad alta velocità definita dalla tomografia viene interpretata come uno slab, la cui geometria può essere seguita con continuità, fino alla profondità di 660 km. L'Arco Calabro-Peloritano corrisponde al tratto di massima curvatura della catena Appenninico-Maghrebide, che raccorda gli assi a decorso NW-SE dell'Appennino Meridionale (a vergenza orientale) con quelli E-W delle Magrebidi siciliane e nord-africane (a vergenza meridionale). Esso è parte del sistema alpino peri-mediterraneo progressivamente migrato e disperso durante l’apertura del Bacino Tirrenico meridionale e la subduzione dello slab jonico, dal Neogene a oggi (Haccard et al., 1972; Dewey et al., 1989; Faccenna et al. 2001). Esistono diversi modelli sull’origine e sull’evoluzione dell’Arco Calabro-Peloritano nel contesto geodinamico del Mediterraneo centrale, che utilizzano i dati cinematici disponibili (p.e. sensi di taglio) per supportare diverse interpretazioni sul collegamento Alpi-Appennino e sulla polarità del processo di subduzione nell’area appenninica (Haccard et al., 1972; Alvarez et al., 1974; Amodio Morelli et al., 1976; Scandone, 1982; Bouillin, 1984; Knott, 1987; Dietrich, 1988; Cello et al., 1996; Doglioni et al., 1998; Rossetti et al., 2001) Lo schema tettonico generalmente accettato per l’edificio a falde dell’Arco Calabro è basato sulla sintesi di Amodio Morelli et al. (1976). In questo schema è assunto che l’edificio a falde è il risultato del sovrascorrimento verso E di una catena Alpina originatasi per deformazione a polarità europea (“Catena Alpina” di Amodio Morelli et al., 1976), sulle sequenze carbonatiche meso-cenozoiche di pertinenza del paleomargine di Africa e Adria (“Catena Appenninica” di Amodio Morelli et al., 1976) che costituiscono l’Appennino meridionale e la catena magrebide. In questo schema generale, riportato anche in lavori più recenti (Bonardi et al., 1994; Cello et al., 1996; Doglioni et al., 1998; Thomson, 1994), si assume che i contatti tra le diverse unità sono il risultato della sovrapposizione di più eventi compressivi, senza il contributo dell’estensione postorogenica. Il settore è compreso all’interno del dominio strutturale dell’orogeno Africa vergente, caratterizzato da tre falde sovrapposte tettonicamente (Cello et al., 1990; Lentini et al., 1990, 1994 a, 1995): la Catena Cabilo-Calabride, la Catena Appenninico-Maghrebide ed il fronte esterno (“External Thrust System”). L’Arco Calabro Peloritano, principale elemento geo-strutturale dell’area, rappresenta l’estremità orientale della falda superiore, la Catena Cabilo-Calabride. È composto essenzialmente da unità cristalline, che costituivano frammenti separati del margine attivo della placca europea, sovrascorsa sulla placca africana subsidente durante il Terziario (Lentini et al., 1995). La ricostruzione della genesi dell’arco calabro è oggetto in letteratura geologica di numerose divergenze interpretative da parte degli Autori: secondo alcuni (Bousquet, 1972; Boullin, 1984; Boullin et al., 1986) sarebbe un frammento del “Margine Europeo”; secondo altri (Haccard et al.,1972; Alvarez et al., 1974 e Alvarez, 1976; Amodio Morelli et al., 1976, 1979; Grandjacquet e Mascle, 1978; Scandone, 1979; Bonardi et al., 1982; Cello et al., 1982; Tortorici, 1983) la parte nord-occidentale dell’arco sarebbe un frammento del “Margine Africano-Adriatico” Europa vergente sovrascorso sulle unità interne della futura catena appenninica nel Miocene inferiore; secondo alcuni (Auzende et al., 1973; Durand-Delga e Fontbote, 1980; Faure, 1980 e 1981) avrebbe costituito, prima di divenire un massiccio interno, la “Placca Mesomediterranea”; altri autori (Argand, 1924; Andrieux et al., 1971; Hsu, 1971 e 1977; Rios, 1977) ne suppongono la derivazione da un “Placca di Alboran”; infine alcuni (Nur e Benavraham, 1982; Ogniben, 1985) lo definiscono una zolla di crosta sialica staccata dai margini continentali e isolata negli oceani (“displaced terranes”). Dal punto di vista strutturale, l’arco calabro-peloritano sarebbe in contatto con la Catena appenninica attraverso, a nord, la “Linea di Sangineto” (Ghisetti, 1980), a movimento trascorrente sinistro, e a sud, la “Linea di Taormina” (Amodio Morelli et al., 1976), zona di taglio destro. L’esistenza di questo “binario”, che avrebbe portato il complesso peloritano nell’attuale posizione, è messa in forse dalla presunta continuità fra i due settori dell’edificio appenninico (Ogniben, 1985). Nell’area il complesso Calabride è rappresentato esclusivamente dai litotipi dell’Unità dell’Aspromonte (“Falda dell’Aspromonte”, Ogniben, 1960; Lentini e Vezzani, 1975). Si tratta di termini riferibili al metamorfismo di “tipo ercinico”, di medio-alto grado, rappresentati principalmente da paragneiss biotitici passanti a micascisti e gneiss migmatitici e secondariamente da gneiss pegmatoidi aplitoidi (Gargano, 1993). A partire dall’Eocene superiore-Oligocene inferiore ha inizio un ciclo deposizionale sin-orogenico all’interno di un bacino di avantiarco formatosi lungo il margine della catena dei Peloritani. La sedimentazione, controllata dalla combinazione tra tettonica attiva,

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subsidenza regionale e cicli eustatici, con i bacini alimentati in modo consistente dai settori posti a nord, procede indisturbata fino a tutto il Langhiano (Lentini et al., 1995). Le unità riferibili a questa fase (le Argille Scagliose o “Complesso Antisicilide”, Ogniben, 1969 e 1971, e le Calcareniti di Floresta o “Complesso Postantisicilide”, Ogniben, 1973) non affiorano nell’area. Durante il Serravaliano inferiore si innesca un inversione nei processi tettonici, con il collasso delle aree marginali della catena ed il sollevamento dei settori meridionali. Questi processi, che si protraggono per tutto il Serravaliano-Tortoniano, sono presumibilmente legati all’apertura del Tirreno. In tale regime geodinamico, regolato prevalentemente da movimenti verticali, sedimentano i depositi post-orogeni della “Serie Tortoniana” (Ogniben, 1955; Sauret, 1980; Carmisciano et al., 1981), anche detta “Flysch Tortoniano” (Barrier, 1987) e successivamente denominata “Sequenza peliticosabbioso-conglomeratica del Miocene medio-superiore (Gargano, 1993). Tale serie, spessa complessivamente 250 metri, è costituita da conglomerati e sabbie grossolane da mediamente a ben cementati, passanti in eteropia laterale ad un’alternanza pelitico sabbiosa con argille limose. Il mutato assetto della catena inverte, a partire dal Messiniano e per tutto il Plio-Pleistocene, la direzione dei flussi deposizionali, alimentati dalle aree meridonali dell’orogeno (Lentini et al., 1995). Durante la cosiddetta “crisi di salinità” del Messiniano si instaura una sedimentazione di tipo evaporitico, con la deposizone di calcari evaporitici e brecce calcaree per 30 metri di spessore, cui segue nel Pliocene inferiore, con il ripristino delle normali condizioni di salinità e profondità marine, la deposizione dei Trubi, calcari marnosi alternati a sabbie, spessi circa 30 metri (Gargano, 1993). Nel Pliocene superiore, all’interno del processo di sollevamento del settore meridionale dell’arco calabro-peloritano, si innesca la formazione del cosiddetto “graben” dello stretto di Messina, presumibilmente attraverso lo sviluppo del sistema di faglie a prevalente componente diretta N40-60E (Gargano, 1993) e la riattivazione di discontinuità più antiche legate al processo di allontanamento del settore calabro dell’arco (in rotazione antioraria) dal settore peloritano (in rotazione oraria). La fase del Pliocene superiore-Pleistocene inferiore è rappresentata da una successione estremamente varia, composta da litofacies detritiche e calcareo organogene, definita Sequenza calcareniticosabbioso-calcarea (Gargano, 1993). Tale successione, che comprende sabbie e calcareniti inferiori, calcari e brecce a coralli, calcareniti e sabbie superiori e brecce e conglomerati bioclastici, per spessori complessivi di circa 180 metri, rappresenterebbe un ambiente deposizionale passante da litorale a epibatiale (Barrier, 1984). Nel Pleistocene medio si imposta un sistema deltaico (Ogniben, 1975; Selli, 1978; Sauret, 1980), con la messa in posto discordante e trasgressiva delle Ghiaie di Messina (Jacobacci et al., 1961), composte da sabbie e ghiaie poco cementate, talvolta ben diagenizzate, immergenti verso est con inclinazione di 30°. La fase terminale del Pleistocene vede la deposizione di vari ordini di terrazzi marini e continentali e di alluvioni terrazzate in corrispondenza delle aste idrografiche principali. L’articolato reticolo idrografico delle fiumare, vede a partire dall’Olocene la messa in posto delle alluvioni recenti, passanti a spiaggie sabbiose lungo le coste. L’evoluzione recente della catena peloritana è caratterizzata dal sollevamento dei margini più meridionali del bacino tirrenico e da processi locali di subsidenza attiva attraverso faglie apparentemente distensive. Tale quadro è evidenziato dal sollevamento dei depositi deltizi del Pleistocene medio (Caliri et al., 1993) e dai notevoli dislivelli di quota esistenti fra i terrazzi marini del Pleistocene superiore, dislocati fino a 450 metri s.l.m..

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Stralcio Tavola 10.a. - Piano Stralcio di Bacino per l'Assetto Idrogelogico: Carta Geologica.

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Stralcio Tavola 10.a. - Piano Stralcio di Bacino per l'Assetto Idrogelogico: Carta Geologica – Legenda.

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Carta geologica della Calabria in scala 1:25.000: Foglio 263 - Mèlito di Porto Salvo.

Sezione geologica ENE – WSW.

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4.2. INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO E COSTIERO L’area oggetto dello studio è caratterizzata da una stretta fascia sub-pianeggiante, costituita da depositi alluvionali e da depositi di litorale, che lascia subito il posto verso l’interno a una topografia più irregolare, profondamente modellata e incisa dalle acque meteoriche e dai piccoli torrenti che scendono lungo le pendici delle Serre Aspromontane. Il tratto di costa considerato da “Saline Joniche” fino alla “Fiumara Sant’Elia” fa parte del cosiddetto biotopo denominato “Stretto di Messina”, il cui assetto geologico strutturale risulta influenzare gran parte della costa calabra ionica con una serie di fenomenologie oceanografiche e biologiche molto peculiari, tra cui sicuramente il più importante è il regime idrodinamico. Lo stretto di Messina presenta una soglia profonda, 80 – 100 m, che si colloca tra Punta Ganzirri in Sicilia e Punta Pezzo in Calabria. Essa è larga circa un chilometro e divide lo stretto in due valli: quella a Nord con pendenza media del 10% e quella a Sud con orientamento N-S la cui pendenza è del 30% che si sviluppa nel Mar Ionio confluendo una volta raggiunta la profondità di 500 m, nel Canyon di Messina che giunge fino alla piana batiale dello Ionio. Da un punto di vista morfologico la costa calabra ionica è caratterizzata da una spiaggia ciottoloso sabbiosa ristretta, alle cui spalle si estende una pianura di fiumara caratterizzata da valli ampie e profonde. A partire dal Pliocene, l’area è stata soggetta ad una intensa attività tettonica che ha indotto forti dislocazioni verticali. In conseguenza di questo stile tettonico si è verificata una marcata ristrettezza (o addirittura assenza) della fascia litorale, un modesto sviluppo della piattaforma continentale, una notevole estensione del pendio, ed infine la presenza di scarpate di faglia sottomarine ed irregolarità della soglia rocciosa. Il tratto di costa interessato è classificato morfologicamente come del tipo “Pianura di Fiumara”, in base a: • morfologia dell’entroterra: alvei alluvionali incisi in zone collinari e montuose; • articolazione costiera: bassa o media • granulometria del sottosuolo, dei fiumi e delle spiagge: grossolana • profilo sottomarino: inclinato e con scarpata • fondale: ciottoloso e sabbioso • variazioni granulometriche: brusche • deflusso fluviale e freatico: rapido • volume d’acqua subcostiero: grande • zona di scambio in mare: media • fascia di fondo soggetta a moto ondoso: media • possibilità di accumulare inquinanti nei sedimenti costieri: bassa.

Cartografia dei sedimenti sulla costa interessata dall’area d’impianto, ricavata dal GIS Natura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare

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4.3. CARATTERI GEOLOGICI E LITOLOGICI DELL’AREA D’IMPIANTO Sulla base degli elementi conoscitivi reperibili in letteratura, l’area d’impianto, come evidenziato dallo stralcio della carta geologica regionale elaborata nell’ambito del Piano di assetto idrogeologico, ricade quasi interamente sulle alluvioni recenti, di età olocenica: si tratta di deposti continentali, detritici, alluvionali e fluvio-lacustri, che sulla costa passano gradualmente a depositi di spiaggia sabbiosa, con spessori variabili in funzione della distanza dal reticolo idrografico minore delle fiumare. Tali depositi alluvionali poggiano in trasgressione sui depositi torbiditici che caratterizzano l’area collinare e pedemontana immediatamente a nord del sito d’impianto, su cui si trova l’abitato di Saline Joniche-Sant’Elia. Il confine litologico è evidenziato da una netta rottura di pendio, peraltro enfatizzata dalla presenza della rete stradale e dei canali di drenaggio dell’area pedemontana. Le unità torbiditiche sottostanti, di età paleogenica, sono costituite da formazioni argillose e argillosocalcaree, con intercalazioni del Miocene inferiore, note in letteratura come “Argille varicolori dell’Aspromonte”, “Argille scagliose Eoceniche”, “Complesso degli argilloscisti varicolori”. Si tratta quindi di depositi in facies torbiditica, legati al ciclo sedimentario sin-orogenico descritto in precedenza, che presentano caratteri geomeccanici e idrogeologici estremamente variabili, ma complessivamente scadenti. La profondità del tetto delle Argille Varicolori in corrispondenza dell’area industriale si trova intorno ai 17 m da p.c. e lungo la ferrovia in località Casello Pulica è stato incontrato alla profondità di 38 m da p.c. Nell’area del porto di Saline può essere ragionevolmente ipotizzato intorno a 50 m da p.c. Dal punto di vista litologico, i depositi sedimentari marini e continentali affioranti nell’area d’impianto si presentano come accumuli detritici, alluvioni recenti, depositi fluviali e spiagge attuali, con terreni prevalentemente sciolti, da granulari a coesivi, facilmente erodibili. Le formazioni sottostanti, costituenti il substrato roccioso (bedrock) dell’area d’impianto e affioranti nell’area pedemontana situata immediatamente a nord dell’impianto, consistono in depositi prevalentemente torbiditici ad intensa tettonizzazione, costituiti da intercalazioni argillose, arenacee, argilloso-calacaree e marnose. In corrispondenza delle alternanze a prevalente componente arenaceemarnosa e/o calcareo marnosa le caratteristiche meccaniche risultano migliori dove prevalgono livelli arenacei e calcarei e peggiori dove prevalgono livelli marnosi. Le alternanze a prevalente componente argilloso-marnosa possiedono nell’insieme caratteristiche meccaniche piuttosto scadenti. Ulteriori elementi sulle caratteristiche geomeccaniche dei suoli sono reperibili dai sondaggi disponibili in prossimità della costa (sondaggi Rodio n° 13,14, e 15) e dal sondaggio M2 eseguito in mare dalla società Tecnico Geofisica, estesi fino a profondità variabili da -25 a -30 m sotto il livello del mare. Sulla base di tali dati si deduce che i sedimenti in prossimità della costa sono costituiti generalmente da sabbie e ghiaie mediamente addensate. Dalle prove penetrometriche dinamiche effettuate su tali campioni, la resistenza alla penetrazione della punta è risultata pari a 15 colpi fino a 15 m di infissione, con valori crescenti fino a 25 colpi per profondità superiori. A questi valori si può attribuire un angolo di attrito interno di 30° ÷ 35° e coesione nulla. La relazione tecnica "Valutazione ambientale dello stabilimento di Saline Joniche" prodotta dal Consorzio Basi (Gruppo ENI) nel febbraio 1998 fornisce ulteriori dati sul sottosuolo del sito d’impianto. Sono stati effettuati 5 sondaggi, di cui uno (n.5) di controllo, esterno all'area industriale e uno (n.2) in corrispondenza della costa, per profondità comprese tra m 8 e m 13. In tutti i sondaggi è stato rinvenuto uno strato superficiale di materiale di riporto in ghiaia grossa in abbondante matrice sabbioso-argillosa (spessore da m 0,80 a 3,00), a volte giacente su ghiaie e sabbie (sondaggi 1 e 2). In tutti i 5 sondaggi a pochi metri di profondità è stato intercettato uno strato di argille di colore bruno debolmente sabbiose. La correlazione tra i diversi sondaggi mostra notevoli eteropie laterali, che sembrano riconducibili a fattori sedimentari (depositi fluviali, marini e continentali intercalati in ambiente di alta energia), piuttosto che a fattori tettonici. L’esame geomeccanico ha evidenziato terreni con proprietà scadenti, con peso di volume (t/m3) compreso tra 1,77 e 1,92, elevato grado di saturazione, media porosità e alto contenuto d’acqua. Tali dati sono confermati dalla relazione geologico-tecnica dell’area del porto di Saline Joniche realizzata da SoilData, che distingue due litotipi principali (unità A e B).

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4.4. IL SUOLO La relazione "Valutazione ambientale dello stabilimento di Saline Joniche" prodotta dal Consorzio Basi nel 1998 fornisce i dati circa la qualità dei suoli nel sito d’impianto. Sulla base di tale analisi, risalente a una campagna del 1997, emergevano i seguenti aspetti: • il suolo non risultava interessato da alcuna contaminazione di agenti organici quali idrocarburi; • il tenore rinvenuto di nitrati rientrava nell'intervallo di concentrazione assimilabile ad un terreno naturale,

escludendo la contaminazione da reflui civili; • lo stato qualitativo del suolo è risultato buono e l'esame olfattivo-visivo e analitico (anche con valori di

COD) delle acque di falda porterebbe a escludere qualunque contaminazione, sia di origine industriale che civile.

Tuttavia, i parametri utilizzati nel 1997 per stabilire l’eventuale inquinamento non sono tutti comparabili con quelli dettati dal nuovo dispositivo normativo, il D.Lgs 152/2006. Sulla base delle correlazioni possibili con i nuovi valori di legge per la concentrazione di soglia della contaminazione del suolo, si può ritenere che i valori di pH, Carbonio Organico, Nitrati e Idrocarburi totali dei terreni, di cui all’allegato 3 della citata Relazione, siano conformi a quanto stabilito dal 152/2006 per i suoli destinati ad uso industriale. Nell’eventualità che dal 1997 ad oggi siano intervenuti accidentalmente inquinamenti di origine industriale o antropica, anche legati ad attività abusive o illegali in un’area industriale temporaneamente dismessa, è stata avviata una nuova campagna di caratterizzazione dei suoli (fotografia di conformità), sulla base della disciplina vigente (D.lgs 152/2006, Parte Quarta, Titolo V “Bonifica dei siti contaminati”, artt. da 239 a 253, e gli allegati 2, 3, 4, 5 della Parte Quarta). Nel 2007 è stata eseguita un’indagine ambientale finalizzata a valutare lo stato qualitativo del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee presso l’area interna all’agglomerato industriale di Saline Joniche. Le attività di indagine sono state condotte in campo in due fasi: una prima indagine ambientale nel periodo 8-13 Ottobre 2007 e un’indagine suppletiva in data 29 Novembre 2007. Nel corso della prima fase di indagine sono stati realizzati 31 sondaggi a carotaggio continuo, di cui 5 attrezzati a piezometro da 4”, per il prelievo di campioni di terreno e di acque per la determinazione analitica in laboratorio. Per quanto riguarda lo stato qualitativo dei suoli, dai risultati delle analisi chimiche condotte sui 62 campioni prelevati è emerso come tutti i parametri investigati risultino conformi al D.Lgs. 152/06 per una destinazione d’uso Commerciale/Industriale, ad eccezione di due criticità nei sondaggi SG12 e SG14, ubicati all'interno del parco serbatoi oli combustibili. In tali sondaggi sono state rinvenute, nei campioni superficiali concentrazioni di Arsenico superiori al limite normativo (50 mg/kg), pari a 146 mg/kg e 66 mg/kg. Ulteriori verifiche hanno evidenziato la presenza di Arsenico in concentrazioni variabili da 10 a 188 mg/Kg, confermando una distribuzione molto eterogena del suddetto parametro nell'area in questione, non riconducibile a valori di fondo naturale, rinvenuti sul resto del sito investigato. Per quanto riguarda lo stato qualitativo delle acque di falda, dai risultati delle analisi chimiche condotte è emerso come tutti i parametri investigati risultino conformi al D.Lgs.152/06, ad esclusione dei parametri Solfati, Ferro e Manganese, rilevati in concentrazione di poco superiore al limite normativo, ma riconducibili a valori di fondo naturale. Alla luce di tali risultati è stata eseguita un’indagine suppletiva finalizzata all’individuazione dell’eventuale presenza di Arsenico nelle aree limitrofe ai sondaggi SG12 e SG14, mediante 10 saggi superficiali e il prelievo di campioni di terreno. I risultati delle analisi chimiche condotte sui 16 campioni prelevati mostrano la piena conformità dell’Arsenico ai limiti previsti dal D.Lgs. 152/06 per un destino d’uso Industriale.

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4.5. INQUADRAMENTO PEDO-GEOGRAFICO L’area in cui si colloca il progetto della centrale termoelettrica si estende nella Regione Pedologica 62.3 della carta dei suoli a scala 1:5000M della regione Calabria. In essa la zonizzazione nazionale ha inteso comprendere le aree collinari e montane di Calabria e Sicilia con le pianure che le attraversano. Tipicamente sono aree caratterizzate da: • rocce calcaree o dolomitiche (Cenozoico) e dai depositi alluvionali del Quaternario; • un clima di tipo mediterraneo, sub continentale o subtropicale. In tale condizioni generali si sono sviluppati suoli afferenti alle grandi categorie dei Cambisols, Vertisols, Luvisols, Andosols (FAO, 1999). Stante la necessità di considerare un’areale di studio più ampio, paragonabile a quello utilizzato per la simulazione della diffusione degli inquinanti in atmosfera, si sono incluse anche zone ricadenti nella Regione Pedologica 66.5 che include i rilievi appenninici calabresi e siciliani impostati prevalentemente su rocce ignee e metamorfiche e soggetti a condizioni climatiche più montane complessivamente caratterizzata dalla presenza in prevalenza di Cambisols, Leptosols, Umbrisols. La carta dei suoli della regione in scala 1:250M, partendo da questo inquadramento nazionale di massima, articola poi la descrizione della copertura di suolo secondo uno schema che prevede la differenziazione di Province, Sistemi e Sottosistemi pedologici. Tale dettaglio è ottenuto anzitutto facendo riferimento ai caratteri ambientali prevalenti, cioè alle caratteristiche geolitologiche, mesoclimatiche, geomorfologiche e di uso prevalente delle aree in modo da definire contesti ambientali (unità territoriali) sufficientemente omogenee per i principali fattori eco sistemici che interagiscono nella pedogenesi e nelle caratteristiche funzionali dei suoli. Questo approccio cartografico consente seppur con limitate osservazioni di caratterizzare alcune proprietà della copertura pedologica riportandole anche a dettagli maggiori di quello della rappresentazione cartografica disponibile. Si è pertanto cercato di scomporre il processo di elaborazione delle unità cartografiche di suolo di piccolo dettaglio al fine di poter ipotizzare la distribuzione delle tipologie di suolo prevalenti ad una scala maggiore più consona all’analisi di massima delle potenzialità produttive dei suoli e degli ambienti e della loro potenziale sensibilità per le colture da frutto per poterle confrontare con il quadro emissivo previsto e valutarne le eventuali criticità. Si è pertanto considerato una zona di studio più ampia dell’area immediatamente circostante alla localizzazione prevista per l’impianto che comprende parte del litorale e dei rilievi collinari e montuosi circostanti, suddivisi in funzione dei loro substrati litologici e delle condizioni climatiche che cambiano tra la costa e le quote inferiori a 300 m e i rilievi più interni. Nelle figure alle pagine successive si riporta lo stralcio della cartografia e delle tabelle con la descrizione delle cosiddette Province Pedologiche incluse nell’area circostante il sito considerato.

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ARSSA – Agenzia Regionale Sviluppo e Servizi in Agricoltura: Carta dei suoli della Calabria, anno 2003.

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Stralcio della Carta dei suoli della Calabria.

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Regione Pedologica 62.3: Coste e aree collinari - montane calabre e siciliane con pianure incluse su rocce

calcaree e dolomitiche Cenozoiche e alluvioni del Quaternario

Regione Pedologica 66.5: Rilievi appenninici calabresi e siciliani su rocce ignee e metamorfiche

In un regime di Evapotraspirazione potenziale (ETP) da 712 a 570 mm/aa si passa da condizioni subumidi a subaridi con forte eccedenza idrica in inverno sulla costa e i rilievi più esterni (regPed 4;6) a quelle più umide, con moderato deficit idrico estivo nell’interno (RegPed 9;13): in funzione di queste risultanze si ipotizza anche un diverso regime idrologico dei suoli, xerico nelle aree più secche, udico in quelle più umide. Analogamente il regime termico dei suoli passa da termico verso la costa a mesico nei rilievi più interni, credibilmente in funzione della variazione dell’altitudine media. Per quanto concerne gli aspetti litologici i rilievi montuosi più accentuati e acclivi appartenenti all’Appennino Calabro sono caratterizzati da rocce ignee e metamorfiche, diversamente dai rilievi più costieri , in genere meno aspri, impostati su rocce attribuite al Miocene (Cenozoico)mentre verso la costa tendono a prevalere le formazioni Plioceniche e del Quaternario con rilievi viepiù meno acclivi.

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4.6. I TIPI PEDOLOGICI La carta regionale all’interno della geografia brevemente descritta dettaglia un’ulteriore livello di paesaggio in cui riconosce la distribuzione dei principali tipi di suolo. La loro distinzione è effettuata in base alla considerazione di caratteri morfo-metrici del rilievo (altezza, pendenza, eventi erosivi macroscopici…), delle variazione delle varie formazioni geologiche affioranti e dell’uso del suolo prevalentemente riscontrato. Così, a titolo di esempio lungo la costa si differenziano gli ampi alvei delle fiumare con depositi alluvionali recenti grossolani in cui sono diffusi i frutteti e gli agrumeti (Unità 4.3) , dalla pianura costiera caratterizzata da sedimenti tendenzialmente sabbiosa di origine sia fluviale che marina (unità 4.1). La scala di rappresentazione comunque non rende pienamente conto della variabilità tipologica dei suoli che sono spesso raggruppati in unità cartografiche complesse di cui in alcuni casi è stato possibile ipotizzare lo scorporo dei singoli componenti nel passaggio verso un maggior dettaglio. Di seguito si riporta la descrizione dei tipi di suolo prevalenti riferendoli ai diversi Sistemi e Sottosistemi di paesaggio. Provincia pedologica 4 - Piane fluviale e costiere e terrazzi antichi, versante jonico Il substrato è costituito da sedimenti olocenici e pleistocenici; piogge autunnali-invernali tra 400-700 mm; temperatura media dell’aria 15-18 °C; uso agricolo prevalente a seminativo irriguo frutteti e vigneti. Unità 4.1: pianura costiera con sedimenti tendenzialmente grossolani fluviali e marini, con uso del suolo preferenziale a frutteti. Haplic Eutric Cambisols: sono suoli relativamente più sviluppati nel paesaggio costiero, profondi con orizzontazione ben evidente e una debole tendenza alla lisciviazione di particelle argillose negli orizzonti profondi , caratterizzati da tessiture molto variabili sia spazialmente che lungo il profilo da franco sabbiose a franco sabbioso argillose, con scheletro scarso o poco abbondante di norma piccolo. Pur nella loro diversità strutturale si accomunano per un drenaggio buono e una conducibilità idraulica moderatamente alta o alta che garantisce un rapido smaltimento delle acque ed una buona accessibilità dopo gli eventi piovosi ed una buona capacità di ritenzione idrica. Non sono suoli calcarei e la reazione varia da subacida a neutra, ma presentano un elevato tasso di saturazioni in basi; in genere non sono salini. Calcari Fluvic Cambisols: strettamente associati ai precedenti mostrano un relativamente minore grado di evoluzione, presentando solo un orizzonte profondo di alterazione dei materiali parentali. Diffusamente presentano oltre 70-80 cm un elevato contenuto di scheletro che limita lo spessore del suolo utile allo sviluppo radicale ereditato dai materiali alluvionali che costituiscono il materiale parentale da cui si sono differenziati (carattere fluventico) . La tessitura è principalmente franco o franco sabbiosa e, assieme al non trascurabile contenuto di ghiaie, tendono a conferire al suolo una scarsa capacità di ritenzione idrica ed una permeabilità molto alta, che costituiscono il principale limite ad un intensivo utilizzo agricolo. Sono suoli molto calcarei, sub alcalini con bassa capacità di scambio cationico e pertanto sono anche suoli scarsamente protettivi degli acquiferi da eventuali inquinanti. Haplic Phaeozem: suoli tipici delle dune costiere a ridosso della linea di costa caratterizzati da una scarsa orizzontazione consistente in un orizzonte superficiale ricco di sostanza organica e molto iscurito dai processi di umificazione poggiante direttamente sulle sabbie spesso incoerenti del substrato. Sono suoli sabbiosi di scarso interesse agricolo in genere ospitanti rimboschimenti a pino marittimo ed eucalipto con scopi protettivi dai venti salsi. Cutanic Luvisols (Dystric&Chromic): suoli dei terrazzi pleistocenici con quote inferiori a 100 m s.l.m., impostati su conglomerati e spesso sabbiosi rossastri e bruno giallastri. Sono suoli piuttosto evoluti con evidenti orizzontazione e la presenza di importanti fenomeni di illuviazione di argilla negli orizzonti B che tendono a differenziare una tessitura più fine (franco argillosa) rispetto a quella franco sabbiosa in superficie. Si tratta di suoli profondi poco scheletrici, con elevata la capacità di ritenzione idrica, generalmente ben drenati ma con

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possibile locale regime idromorfo temporaneo negli orizzonti soprastanti l’orizzonte illuviale nel corso dell’anno. Tale caratteristica è più accentuata nei casi in cui si vengano a differenziare in profondità orizzonti molto addensati e poco permeabili a fragipan. Non calcarei, presentano reazione da subacida ad acida e uno scarso tasso di saturazione in basi. Unità 4.3: alvei delle fiumare con alluvioni recenti mobili e fissate; uso agricolo del suolo agrumeti e frutteti. Calcari Fluvic Cambisols: suoli molto profondi con importante accumulo di carbonati al di sotto dell’orizzonte lavorato. Tipici delle parti più stabili e distali dall’attuale corso letto di piena, si caratterizzano per una tessitura franca o franco argillosa con scheletro non limitante lo sviluppo delle radici per tutto lo spessore del suolo. Presentano un drenaggio buono ed una elevata riserva idrica. Sono suoli parzialmente decarbonatati con reazione da sub alcalina ad alcalina non salini, con buona capacità di scambio cationica pressoché completamente saturata da cationi di scambio. Skeleti Calcaric Fluvisols: tipici delle aree più prossime al corso d’acqua, sono suoli sottili con orizzonti scarsamente differenziati dal materiale parentale costituito da sedimenti di ambiente de posizionale ad alta energia. Hanno tessitura sabbioso franca o franco sabbiosa con scheletro frequente o abbondante limitante lo sviluppo radicale oltre 60 cm. Bassa capacità di ritenzione idrica, drenaggio rapido e permeabilità alta sono dirette conseguenze dei caratteri fisici di questi suoli. Sono calcarei con reazione sub alcalina e bassa capacità di scambio cationico. Provincia pedologica 6 – Ambiente collinare del versante jonico - Versanti moderatamente acclivi a quote inferiori a 300 m s.l.m.; substrati costituiti da formazioni mio-plioceniche; precipitazioni medie annue 600-900 mm autunno vernine; temperatura media dell’aria 15-18 °C; uso agricolo prevalente oliveti e seminativi non irrigui. Unità 6.2: versanti a profilo rettilineo su sedimenti plio-pleistocenici prevalentemente sabbiosi o conglomeratici; uso agricolo prevalente oliveti e vegetazione a macchia mediterranea. Eutri-Arenic Regosols: caratteristici delle formazioni più sabbiose, sono suoli moderatamente profondi, con tessitura franco sabbiosa o più grossolana, privi di scheletro lungo tutto il profilo che presenta una scarsa differenziazione in orizzonti che si differenzino dal materiale parentale. Hanno un drenaggio rapido e scarsa capacità di ritenzione idrica. Da moderatamente calcarei a non calcarei presentano comunque un alto tasso di saturazioni in basi e una reazione neutra. Haplic Calcisols: sono suoli profondi caratterizzati da un importante accumulo di carbonati secondari negli orizzonti sottosuperficiali, concomitanti alle formazioni con litotipi più fini (argille marnose e marne sabbiose). Le conseguenti tessiture moderatamente grossolane sono tali da limitare i processi di dilavamento dei carbonati ed il loro accumulo. Da moderatamente a molto calcarei hanno reazione alcalina, e presentano un drenaggio buono e una elevata capacità di ritenzione idrica. Unità 6.4: versanti a profilo rettilineo, con pendenza di norma moderata, localmente molto acclive, impostati su litologie grossolane (sabbie variamente argillose a tratti arenarie del Miocene Medio Superiore e conglomerati sabbiosi pliocenici); uso agricolo uliveti e vegetazione rada. Hapli- Eutric Cambisols: suoli con orizzontazione ben evidente dovuta ai processi di alterazione del substrato la cui profondità, di norma moderata, varia in funzione dei processi di erosione cui sono sottoposti. Hanno tessitura franco sabbiosa con scheletro non limitante; presentano drenaggio buono ma moderata capacità di ritenzione idrica e permeabilità moderatamente alta. Poco carbonatici hanno reazione neutra soprattutto in superficie, ma lo scarso contenuto di argilla e sostanza organica umificata determinano capacità di scambio cationico bassa sebbene completamente saturata in basi.

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Roccia nuda: nelle aree più acclivi o prive di copertura vegetale (esboschi, incendi…) a seguito di intensi fenomeni di erosione idrica superficiale il suolo è rapidamente asportato lasciando scoperto il substrato litoide. Unità 6.5: Versanti a profilo complesso a pendenza moderata con frequenti movimenti franosi, su substrati prevalentemente argillosi siltosi, intercalate a sabbie del Miocene Medio-Superiore; uso agricolo a seminativo e vigneto. Hapli-Vertic Calcisols: suoli argillosi profondi, con intenso accumulo di carbonati in profondità, soggetti a processi “vertici” cioè connessi alle variazioni di volume dovute alla variazione del contenuto idrico: nella stagione asciutta sono caratterizzati da fessure sin dalla superficie, mentre il materiale interno presenta segni di sforzi tangenziali dovuti al rigonfiamento nei periodi umidi. L’accumulo di carbonati dilavati dagli orizzonti superficiali è tale da compromettere un buon sviluppo radicale e la profondità a cui si verifica varia secondo le condizioni micro idrologiche e erosive. Inoltre possono presentare negli orizzonti più profondi un sensibile aumento di salinità. Hanno tessitura franco argillosa priva di scheletro, una buona strutturazione soprattutto in superficie consente una buona aereazione del suolo a fronte di un complessivo drenaggio mediocre e una permeabilità moderatamente bassa (nella stagione umida); la capacità di ritenzione idrica è buona. Sono suoli molto calcarei con reazione da sub alcalina ad alcalina, hanno una elevata capacità di scambio cationico e un elevato tasso di saturazione in basi. Hapli-Calcaric Cambisols: suoli assai simili ai precedenti ma tipicamente sviluppati da materiali più limosi e/o sabbiosi. In relazioni alla tessitura più limosa che li contraddistingue i caratteri vertici sono meno espressi così anche le proprietà idrologiche che tendono a favorire il dilavamento dei carbonati e dei sali solubili riducendone l’accumulo negli orizzonti sottosuperficiali, sebbene siano comunque molto calcarei e presentino reazione alcalina. Drenaggio è migliore e la capacità di ritenzione idrica egualmente buona. Unità 6.6: Versanti a profilo complesso a pendenza moderata o localmente molto acclive, con intensi fenomeni di erosione di massa, comprendente argille e silt policrome generalmente caotiche del Miocene Inferiore-medio; aree generalmente poco coltivate, con ampi incolti e rimboschimenti di eucalipto. Calcari-Hyposodic Regosols: sono suoli in genere sottili, con orizzonti sottosuperficiali poco differenziati dai materiali argilloso limosi del substrato di cui conservano l’aspetto caotico e non strutturato, la tessitura fine e la scarsa ossigenazione. Con scheletro da comune a frequente presentano un drenaggio molto lento, ed una capacità di ritenzione idrica limitata dallo scarso spessore del materiale pedogenizzato. Hanno reazione alcalina o molto alcalina e una salinità elevata in profondità e limitante già negli orizzonti superficiali. Unità 6.9: Versanti a profilo rettilineo con pendenze forti o molto acclivi su substrati grossolani miocenici (sabbie variamente argilloso siltose e localmente arenarie e conglomerati); scarso uso agricolo a uliveto, con vegetazione a macchia mediterranea con prevalenza di specie arbustive. Hapli Eutric Leptosols: suoli sottili caratterizzati dalla presenza del solo orizzonte superficiale al di sopra del materiale parentale frequentemente anche litoide affiorante di norma entro i primi 50 cm di profondità. Hanno tessitura da media a grossolana con scheletro comune, poco limitante nel suolo diversamente dalla pietrosità superficiale la cui abbondanza ne riduce drasticamente la coltivabilità. Scarsa è la capacità di ritenzione idrica e il drenaggio è rapido. Non calcarei nell’orizzonte superficiale presentano reazione sub alcalina diversamente dal substrato calcareo. Bassa c.s.c. pressoché completamente saturata dai cationi scambiabili. Provincia Pedologica 9 – Ambiente collinare interno - Colline interne a quote comprese tra 300 e 800 m s.l.m., substrati costituiti da formazioni mio-plioceniche; precipitazioni medie annue 800-1000 mm; temperatura media dell’aria 12-15 °C; Il regime idrologico dei suoli è stimato più umido (udico) e quello delle temperature medie più fresco (mesico); uso agricolo a oliveti e vegetazione a boschi di latifoglie. Unità 9.7: versanti a profilo rettilineo con pendenze da deboli a moderate e aree sommitali comprese tra 300 e 600 m s.l.m. su substrati grossolani miocenici (sabbie variamente argilloso siltose e arenarie calcaree); uso

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agricolo prevalente uliveto e vegetazione a macchia mediterranea con prevalenza di querce. Hapli Calcaric Leptosols:tipicamente sviluppati su substrati litoidi affioranti entro 50 cm di profondità sono caratterizzati da una scarsa differenziazione degli orizzonti altri che quello superficiale relativamente arricchito da sostanza organica umificata; una tessitura franco sabbiosa con scheletro comune non limitante; dalla presenza di carbonati nel substrato se non nell’orizzonte superficiale, e da reazione sub alcalina o alcalina. La scarsa organizzazione del materiale pedogenizzato rende questi suoli fortemente erodibili anche solo dal deflusso superficiale e si alternano spesso a superfici denudate con affioramento del substrato. Bassa è la capacità di ritenzione idrica, buono il drenaggio. Hapli Eutric Cambisols: suoli molto profondi con evidente orizzontazione dovuta all’alterazione dei substrati e alla mobilitazione di carbonati secondari che si accumulano al di sotto dell’orizzonte superficiale. Tipici delle aree sommitali se pianeggianti o nelle parti basse dei versanti, si caratterizzano per la tessitura franco sabbiosa con scarso scheletro, un drenaggio buono e una elevata capacità di ritenzione idrica. Il contenuto di carbonati, scarso in superficie, è maggiore in profondità e tende ad accumularsi subito al di sotto l’orizzonte superficiale: la reazione passa da sub alcalina ad alcalina. Unità 9.10: versanti a profilo rettilineo acclivi o moderatamente acclivi, a 400-600 m s.l.m., su substrati conglomeratici e arenacei (Miocene Inf.), con vegetazione a macchia mediterranea con prevalenza di querce. Hapli Calcaric Leptosols: sono assai simili ai suoli descritti nell’unità 9.7 da cui si differenziano sostanzialmente per caratterizzare un paesaggio assai più aspro ed energetico e pertanto accentuando le medesime limitazioni legate ad uno sviluppo scarso sia dello spessore che dell’orizzontazione risentendo maggiormente dei processi di erosione idrica superficiale con conseguente maggior frequenza delle aree di affioramento roccioso. Presentano tessiture franco sabbiose con scheletro comune, drenaggio rapido o buono e scarsa capacità di ritenzione idrica. Sono in genere calcarei e solo localmente decarbonatati in superficie. Provincia Pedologica 13 – Rilievi collinari della Sila, delle Serre e dell’Aspromonte - Rilievi tra 300 e 800 m s.l.m., con versanti da moderatamente a molto acclivi; substrato costituito da graniti, granodioriti, filladi, scisti e gneiss; precipitazioni medie annue 800-1000 mm; temperatura media dell’aria 12-15 °C. Il regime idrologico dei suoli è stimato più umido (udico) e quello delle temperature medie più fresco (mesico); uso del suolo prevalente a boschi misti, rimboschimenti, macchia mediterranea e oliveti. Unità 13.6: Versanti a profilo rettilineo con pendenza elevata, substrato costituito da rocce metamorfiche paleo-zoiche (filladi, gneiss); vegetazione a macchia mediterranea a prevalenza di querce e locali rimboschimenti. Areni Leptic Umbrisols: suoli sottili o molto sottili composti dal solo orizzonte superficiale molto iscurito ricco di sostanza organica molto umificata poggiante sul substrato litoide non alterato che alla base dei versanti tendono ad ispessire in relazione ad accumulo colluviale che costituisce il materiale parentale di suoli debolmente più evoluti e profondi. Entrambi presentano tessitura sabbioso franca, con drenaggio rapido e capacità di ritenzione molto bassa al punto da poter stimare un regime di umidità dei suoli xerico. Non sono calcarei e presentano reazione sub acida e scarsa c.s.c. e basso tasso di saturazione in basi. Hapli Dystric Cambisols: suoli moderatamente profondi, a tessitura franco sabbioso argillosa, con scheletro comune non limitante; drenaggio buono e moderata capacità di ritenzione idrica (regime idrologico udico), non calcarei hanno reazione subacida e tasso di saturazione in basi basso.

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5. ANALISI DATI PREGRESSI: LA VEGETAZIONE

Obiettivi specifici della presente sezione e delle altre dedicate agli aspetti botanici e vegetazionali sono: 1. ricostruire il contesto vegetazionale, a partire dall’uso del suolo, per poi descrivere il quadro locale, alla

scala sia di area vasta, sia di area di intervento; 2. fornire una base scientifica in tema di fisiologia vegetale ed effetti degli inquinanti principali sulle piante; 3. fornire una terminologia corretta e condivisa in merito alla descrizione degli effetti degli inquinanti sulle

strutture e sui processi metabolici delle piante ; 4. presentare i risultati di studi scientifici che possono avere una rilevanza ai fini della valutazione degli

impatti derivanti dal progetto su piante coltivate, in particolare sulla coltura di bergamotto; 5. elaborare delle valutazioni conclusive sulla base di quanto riportato; 6. proporre approfondimenti successivi, interventi di mitigazione o monitoraggio, prescrizioni. Riprendendo ed integrando quanto riportato nel SIA, la caratterizzazione dei principali aspetti floristici e vegetazionali si fonda su una descrizione d’area vasta, che prende in esame le caratteristiche generali del territorio indagato, con un dettaglio maggiore relativo al SIC IT9350143 "Saline Joniche” (si veda quanto riportato nel capitolo Rete Natura 2000) e all’area interessata in maniera specifica dall’impianto. Quanto nel seguito riportato relativamente all’analisi floristico-vegetazionale deriva da documenti e cartografia in parte reperiti già nel corso della redazione del SIA attraverso indagini bibliografiche e documenti disponibili sui siti internet della Regione Calabria e del Ministero dell’Ambiente. La ricerca bibliografica ha evidenziato la sostanziale mancanza di studi recenti e dettagliati riferiti all’area d’interesse (buona parte della letteratura risale all’800). Le indagini bibliografiche sono state utilizzate soprattutto per la descrizione d’area vasta mentre la trattazione relativa all’area ristretta è fondata prevalentemente su quanto rilevato nei sopralluoghi di campo. La caratterizzazione del comparto floristico è basata su dati bibliografici e su rilievi effettuati sul campo nel periodo marzo-agosto 2007 (v. SIA), ai quali si riferisce la documentazione fotografica riportata nel seguito. Per la determinazione della nomenclatura scientifica delle specie floristiche e per la loro caratterizzazione corologica e biologica si è mantenuto nella presente relazione quanto riportato in GREUTER et al. (1984- 89), TUTIN et al. (1993), CONTI et al. (2005) ed altrimenti a PIGNATTI (1982) e TUTIN et al. (1968-1980), nonché ad altri a lavori specialistici citati per le singole specie.

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5.1. USI DEL SUOLO: AREA D’IMPIANTO L’area direttamente interessata alla realizzazione della centrale ricade interamente all’interno del perimetro dell’ASI di Saline Joniche che occupa una zona più vasta e già interessata da trasformazioni territoriali connesse alla realizzazione di strutture industriali ed infrastrutture viarie, ferroviarie e portuali, sostanzialmente delimitata a nord dalla S.S. 106 Ionica, ad Est dal confine comunale tra Montebello Jonico e Melito di Porto Salvo, a Sud dal mare e ad Ovest dalla zona del Pantano di Saline. L’area della centrale insiste su parte del sito dove sorgeva la Liquichimica Biosintesi, attività industriale ormai cessata da anni e che occupava una porzione di territorio più ampia, di cui restano ancora parte dei fabbricati e degli impianti in disuso ed in corso di smantellamento. Il perimetro della citata area si attesta a Nord lungo la vecchia strada statale Ionica e lungo un tratto della strada interna all’area dell’ASI, ad Est lungo la strada che conduce al porto, a Sud lungo la nuova linea della ferrovia ionica sopraelevata e ad Ovest su una strada interna all’area dell’ASI che separa un lotto con fabbricati dal lotto dove si trova ancora l’impianto di depurazione. In dettaglio, nell’area delimitata per l’insediamento della centrale, risultano attualmente riconoscibili le seguenti diverse zone: fabbricato con funzioni di vigilanza situato all’ingresso ed affiancato da altro fabbricato ora in disuso ed originariamente destinato a spazi ed a servizi per gli operai; palazzina uffici, solo in parte ancora utilizzata con la citata funzione; zona libera che occupa la porzione ad est dell’area e che si presenta come prato incolto; zona occupata dai serbatoi in corrispondenza della frazione di Sant’Elia e fronteggiante gli edifici dello stesso nucleo insediativo; fabbricato in disuso localizzato tra i serbatoi e la Fiumara Monteneo; zona libera ad ovest della Fiumara Monteneo che si presenta come prato incolto; zona composta da diversi fabbricati ed impianti in disuso ed in corso di smantellamento con all’interno viabilità e aree di sosta dei veicoli. Gli usi attuali del suolo nell’area di insediamento della centrale sono quindi di tipo industriale e si nota la vicinanza tra tale attività e l’insediamento di Sant’Elia il cui perimetro dell’urbanizzato a Sud si attesta a ridosso dell’attuale muro di cinta che delimita la zona dell’ASI con le case ubicate a pochissima distanza dai citati serbatoi. Per la realizzazione della centrale è comunque prevista la demolizione dei fabbricati e lo smantellamento di tutti gli impianti ancora esistenti.

Ripresa fotografica interna all’ASI. Se si considera la zona esterna e limitrofa all’area di previsto insediamento della centrale, ai fini di un inquadramento del contesto in cui si inserisce la centrale stessa che in parte è interessato dagli interventi infrastrutturali di servizio (area portuale, prese e scarico a mare, pontile galleggiante), si possono distinguere i seguenti diversi principali usi del territorio: lotti industriali interni all’ASI ed ubicati a Nord della linea ferroviaria ionica; nucleo insediativo residenziale di Sant’Elia; area portuale; area del cementificio Diano attualmente in esercizio; area del Pantano di Saline Joniche; area della Fiumara di Sant’Elia.

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Ripresa fotografica interna all’ASI con vista dell’abitato di Sant’Elia. I lotti industriali interni all’area dell’ASI che non ricadono nell’area delimitata per la realizzazione della centrale ma confinanti con la stessa sul lato ad Ovest, risultano ubicati tra la strada statale ionica, l’area umida del Pantano e la ferrovia ionica ed allo stato attuale si distinguono i seguenti manufatti od utilizzi: una zona libera in parte occupata da vegetazione erbacea, arbustiva ed arborea di scarso interesse ed in parte occupata da materiale di deposito; l’area dell’impianto, ora in disuso, di trattamento dei fanghi e delle acque a servizio della Liquichimica; la zona della centrale termoelettrica dismessa e degli impianti tecnologici acidi grassi attualmente in disuso; i diversi lotti occupati da fabbricati attualmente in parte dismessi ed in corso di smantellamento ed in parte utilizzati con funzioni diverse da quelle originarie.

Ripresa fotografica zona della centrale termoelettrica.

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Il nucleo insediativo della frazione di Sant’Elia, prevalentemente composto da un tessuto residenziale di edifici a corpo basso, sviluppato lungo la vecchia Strada Statale 106 Ionica e la strada che da questa sale sulla collina verso la frazione di Guardia attualmente ormai chiuso tra la zona industriale, a Sud, e la nuova superstrada ionica, a Nord. Tale insediamento non presenta edifici di particolare interesse architettonico salvo il gruppo dei fabbricati ubicati ad Est, che comprendono una piccola chiesa e che conservano la tipologia ed i materiali storici-tradizionali ma che ormai sono in stato di abbandono e chiusi tra le citate strade e la viabilità di raccordo. L’area portuale, collocata a Sud rispetto alla linea ferroviaria ionica e tra la Fiumara di Sant’Elia (confine comunale tra Montebello Jonico e Melito di Porto Salvo) e la Fiumara di Monteneo. All’interno dell’area portuale attualmente si possono riconoscere e distinguere le seguenti funzioni o manufatti: edificio di vigilanza in disuso posto all’ingresso dell’area portuale sull’unica strada di accesso; edificio della Capitaneria di Porto – Delegazione della Spiaggia; molo Est di separazione del porto dal mare aperto; molo Ovest che delimitava la bocca di accesso, ormai crollato e completamente sommerso fatta eccezione per il tratto terminale; banchine disposte sui tre lati del porto di cui quella a Nord ed Est ancora accessibili mentre quella ad ovest non accessibile e recintata a causa del cedimento e dell’erosione con crolli sul lato verso mare; pontile ancorato alla banchina del lato Ovest e terminante in una piattaforma, attualmente in parte crollato ed in parte ribaltato; bocca di accesso al porto attualmente completamente insabbiata con una fascia di deposito larga ed attestata tra la punta restante del molo ad Ovest e la punta del molo Est; binari della ferrovia che corrono lungo la banchina nord e proseguono verso Ovest, avvicinandosi alla linea di costa, che originariamente consentivano la connessione con la vecchia linea ferroviaria ionica e che ora sono totalmente in disuso ed in parte anche scalzati. Il porto risulta attualmente accessibile ai natanti di piccola stazza che passano al di sopra del citato molo Ovest sprofondato e che si ancorano lungo la banchina del lato Est riparata dal molo Est e dalla fascia di sabbia che si è formata per progressivo deposito. Il cementificio, ubicato tra la Fiumara Monteneo ad est, la ferrovia a Nord e la linea di costa a Sud e Sud-Ovest, attualmente ancora in funzione ma di cui si nota la dismissione ed in parte il crollo e lo sprofondamento delle strutture a pontile sul mare. L’area umida del Pantano di Saline Joniche, chiusa tra la linea ferroviaria, la strada statale ionica e l’area dell’ASI, attualmente recintata e composta da due laghetti con presenza sul lato a sud di una strada sterrata e sugli altri tre lati di vegetazione arbustiva ed arborea. Tale area è riconosciuta ed istituita come Sito di Importanza Comunitaria (SIC IT9350143 Saline Joniche). L’area della Fiumara di Sant’Elia, corrisponde alla ristretta fascia interessata dall’alveo e sponde di tale corso d’acqua che ha regime fortemente legato alle precipitazioni e quindi portata altamente variabile ma significativa per gli apporti di materiale solido ed il rapporto esistente con la fascia costiera e la spiaggia presente in tale tratto. Tale area mantiene ancora elementi di naturalità, seppure di non elevato interesse, per la presenza di vegetazione, pur essendo la stessa stretta, sul lato ad Ovest, dalla zona industriale e dall’area portuale, ed attraversata dalla linea ferroviaria, dalla vecchia e dalla nuova Strada Statale Ionica.

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5.2. QUADRO FLORISTICO-VEGETAZIONALE DELL’AREA VASTA Da un punto di vista fitoclimatico secondo la classificazione di Blasi (Blasi, 1996) l‘intera area ricade nella Macroregione Mediterranea a Macrobioclima di tipo Oceanico con quote comprese tra 0 e 800 m s.l.m.. Considerando una suddivisione del territorio in fasce bioclimatiche (Rivas-Martinez, 1995) la vegetazione del territorio è compresa tra la fascia termomediterranea (quella maggiormente rappresentata) e quella meso-mediterranea, con ombrotipi che vanno rispettivamente dal sub-umido e secco al sub-umido e umido. La fascia termo-mediterranea include i territori costieri e collinari, spesso molto antropizzati. Più che dalla vegetazione spontanea (costituita essenzialmente da formazioni erbacee come le praterie steppiche mediterranee, e più raramente da garighe e macchia mediterranea), è caratterizzata dalla diffusa presenza di colture annuali associate a sistemi colturali e particellari permanenti. I versanti sono contraddistinti da un mosaico estremamente frammentato di coltivazioni arboree quali soprattutto gli uliveti, vigneti e più in basso agrumeti. Intervallati tra i coltivi si osservano i frammenti dei preesistenti querceti termofili caducifogli dell'Oleo-Quercetum virgilianae, che nei versanti più freschi e ombreggiati sono sostituiti dalle leccete dell'Erico-Quercetum ilicis. La degradazione di questi boschi, in seguito al pascolo e agli incendi, favorisce l'insediamento di macchia dell'Oleo-Ceratonion e più frequentemente dei cisteti del Cisto eriocephali-Phlomidetum fruticosae. Nelle zone meno acclivi si insedia la macchia dell'Oleo-Euphorbietum dendroidis. L’incendio reiterato determina la sostituzione delle formazioni legnose con quelle erbacee. Da un punto di vista tipologico la vegetazione naturale maggiormente rappresentata nella fascia termomediterranea è quella delle praterie steppiche dei Lygeo-Stipetea , caratterizzate da varie graminacee cespitose quali Hyparrhenia hirta, Ampelodesmos mauritanicus, Lygeum spartum. Sulle rupi, costituite per lo più da conglomerati, calcareniti o scisti, si insedia una peculiare vegetazione casmofila, ricca in specie endemiche molto specializzate come Silene calabra, Helianthemum rupinculum e Allium pentadactyli, Centaurea pentadactyli e Crepis aspromontana. La vegetazione delle rupi è nella fattispecie riferibile al Centaureion pentadactylis, alleanza distribuita in tutto il versante jonico dell’Aspromonte. Un ambiente particolare sono le “fiumare”, corsi d’acqua con regime torrentizio caratterizzati da ampi greti ciottolosi, in genere più o meno completamente asciutti in estate. Sono da collegare innanzitutto al particolare regime delle precipitazioni, concentrate in pochi eventi temporaleschi, e alla natura dei substrati geologici, rappresentati in genere da metamorfiti particolarmente alterate e friabili, facilmente erodibili per l’elevate pendenze e per le azioni di disboscamento. I vistosi fenomeni di erosione da parte delle acque meteoriche determinano un notevole trasporto dei materiali solidi che, al diminuire dell’energia della corrente, vengono depositati nel tratto terminale del letto fluviale. Nella fascia termomediterranea la vegetazione ripale delle fiumare è essenzialmente costituita da boscaglie dei Nerio-Tamaricetea, con Nerium oleander, Tamarix africana, Tamarix gallica e Vitex agnuscastus; sui terrazzi alluvionali posti più a quote più elevate e lontani dall’acqua corrente si insedia una vegetazione pioniera di tipo glareicolo, rappresentata dall'Artemisio-Helichrysetum italici. Nell’ambito di questa fascia si possono osservare rimboschimenti effettuati con varie essenze forestali, in netta prevalenza impianti di eucalipto (Eucalyptus occidentalis, E. camaldulensis e più raramente E. globulus), eseguiti in aree pianeggianti o di moderata pendenza, su suoli ad alta componente argillosa, spesso in zone già interessati da colture agrarie. Si tratta in genere di impianti puri di modesta estensione con struttura prevalentemente monoplana, grado di copertura variabile tra il 40 e l’80%, assenza di rinnovazione naturale e di forme di gestione ordinaria (qualcuno è oggetto di sporadici interventi di ceduazione). Il loro stato vegetativo è mediocre soprattutto a causa di fenomeni di disturbo antropico quali incendio e pascolo. Molto abbondanti nell’area sono gli incolti agrari erbacei con gruppi di vegetazione arbustiva caratterizzata dalla diffusa presenza del lentisco (Pistacia lentiscus). La fascia meso-mediterranea, oltre alle colture degli agrumeti, dei vigneti e soprattutto dell’olivo, vede la presenza di boschi a prevalenza di quercia virgiliana (Quercus virgiliana). Lungo i corpi idrici si osservano sottili fasce di differenti formazioni vegetali riparali, in prevalenza rappresentate da canneti, salici (Salix purpurea, S. alba), pioppi (Populus nigra). I cespuglieti igrofili si rinvengono nei tratti dotati di buone condizioni di igro-mesofilia per tutto l’anno; si tratta di formazioni arbustive in genere rade, caratterizzate dalla dominanza del salice rosso (Salix purpurea) a cui si associano altri arbusti come la ginestra odorosa (Spartium junceum) e l'oleandro (Nerium oleander). Viceversa nei tratti contraddistinti da maggiore aridità tali

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fitocenosi sono sostituite dalla vegetazione glareicola ad elicriso, prettamente xerofila e fisionomicamente caratterizzata dalla dominanza dell'elicriso (Helichrysum italicum) al quale si associano normalmente il ginestrino (Lotus cytisoides), l'enula (Dittrichia viscosa), la scrofularia bicolore (Scrophularia bicolor), tutte specie pioniere in grado di colonizzare rapidamente le alluvioni ghiaiose o ciottolose rilasciate dal corso d'acqua. La fascia sub montana è interessata in prevalenza da pinete di pino laricio (Pinus laricio). Riepilogando, da un punto di vista di vegetazione naturale e potenziale sono presenti le seguenti serie di vegetazione (Blasi, 2005) climatofile che si susseguono al variare dell’altimetria dei luoghi: • Serie costiera termomediterranea della macchia a mirto e lentisco (Myrto-Pistacietum lentisci); • Serie sud-appenninica termomediterranea della quercia virgiliana e dell'olivastro (Oleo-Quercetum

virgilianae) a mosaico con la Serie della macchia a ginepro fenicio e lentisco; • Serie sud-appenninica mesomediterranea acidofila della quercia virgiliana e dell'erica arborea (Erico-

Quercetum virgilianae); • Serie sud-appenninica meso-supramediterranea acidofila del leccio (Teucrio siculi-Quercetum ilicis); • Geosigmeto termo-mesomediterraneo della vegetazione delle fiumare (Artemisio-Helicrysetum italici,

Nerion oleandri, e Tamarici africanae-viticetum agnocasti). Di seguito si propone una breve descrizione di tali serie. Serie costiera termomediterranea della macchia a mirto e lentisco (Myrto-Pistacietum lentisci) L’evoluzione dinamica della macchia a mirto e lentisco (Myrto-Pistacietum lentisci) può derivare dalle garighe a lavanda egiziana e timo (Thymo Lavanduletum multifidae), dalle garighe a cisti (Cisto- Ericion), dalle praterie erbacee perenni a barboncino mediterraneo (Satureio-Hyparrhenion hirtae). In stazioni rupestri è sostituita da aspetti di macchia a ginepro e olivastro (Oleo-Junipereto turbinatae sigmetum) oppure da euforbia arborescente ed olivastro (Oleo-Euphorbietum dendroidis sigmetum). È tipica del Bioclima termomediterraneo secco o subumido e si distribuisce localmente nella fascia costiera da Reggio Calabria a Capo Spartivento su substrati calcari o calcareniti, sabbie o su suoli bruni mediterranei. Il territorio potenzialmente occupato dalla serie del lentisco è attualmente utilizzato per urbanizzazioni, infrastrutture, coltivazioni di agrumi e pascoli. Serie sud-appenninica termomediterranea della quercia virgiliana e dell'olivastro (Oleo-Quercetum virgilianae) a mosaico con la Serie della macchia a ginepro fenicio e lentisco L’evoluzione dinamica del bosco di quercia virgiliana con olivastro (Oleo-Quercetum virgilianae) può derivare dalla gariga a cisti e salvione (Cisto eriocephali-Phlomidetum fruticosae) o dalle praterie steppiche a tagliamani (Avenulo-Ampelodesmion). In stazioni rupestri tale formazione è sostituita da macchia a euforbia e olivastro (Oleo-Euphorbietum dendroidis sigmetum). È tipica del Bioclima termomediterraneo subumido e si rinviene su substrati calcari, arenarie, argille, più raramente su quelli metamorfici o su suoli bruni mediterranei. L’area potenzialmente occupata dalle fitocenosi di questa serie è utilizzata per seminativi e per colture arboree, soprattutto uliveti. Le fitocenosi della serie sono utilizzate come pascolo. La macchia a ginepro fenicio e oleastro è rappresentata in genere da una boscaglia fisionomicamente caratterizzata dalla presenza del ginepro fenicio (Juniperus turbinata) e dell’olivastro (Olea europaea ssp. oleaster). Questa vegetazione, con esigenze marcatamente termo-xerofile, occupa in genere pendii piuttosto acclivi con suoli superficiali e immaturi, localizzati nella fascia termomediterranea secca (Mercurio & Spampinato, 1999). Il bosco a ginepro fenicio e olivastro è da considerare come la formazione climax delle stazioni costiere caratterizzate da substrati prettamente argillosi o marnoso-argillosi. Il ginepro fenicio, specie a lento accrescimento, è caratterizzato da un legno durissimo ed in passato era apprezzato localmente per la realizzazione di travature. I pochi lembi relitti di questo bosco, ridotti ormai ad una macchia, andrebbero preservati, e raccogliendo i semi potrebbero essere ridiffusi in quelle porzioni di territorio comprese tra Melito e Bianco caratterizzate dall’affioramento di substrati marnosi; potrebbe essere così utilizzato in sostituzione di varie specie esotiche (Eucalyptus sp. pl. Pinus sp. pl.) che sono state utilizzate nella riforestazione di questo territorio con scarsi risultati e con un notevole impatto sulla naturalità dell’area. Serie sud-appenninica mesomediterranea acidofila della quercia virgiliana e dell'erica arborea (Erico-Quercetum virgilianae)

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L’evoluzione dinamica del bosco di quercia castagnara con erica (Erico Quercetum virgilianae) può derivare dalla macchia a calicotome e erica arborea (Calicotomo infestae-Ericetum arboreae), dalla gariga cisto rosso e salvione (Cisto eriocephali-Phlomidetum fruticosae), dai cespuglieti a ginestra odorosa (Spartium junceum) o dalle praterie steppiche a tagliamani (Avenulo-Ampelodesmion mauritanici) e dai pascoli aridi subnitrofili (Echio-Galactition). In stazioni rupestri è sostituita da aspetti di macchia ad euforbia e olivastro (Oleo-Euphorbieto dendroidis sigmetum). È tipica del Bioclima mesomediterraneo subumido e si distribuisce nella fascia collinare e submontana (da 200 a 900 m) su substrati a filladi, scisti, gneiss, graniti, conglomerati oppure su suoli bruni acidi (Typic Xerumbrepts). L’area potenzialmente occupata dalle fitocenosi di questa serie è utilizzata per colture agronomiche quali uliveti, vigneti, e meno frequentemente per seminativi. Le fitocenosi della serie sono normalmente utilizzate come pascolo. Serie sud-appenninica meso-supramediterranea acidofila del leccio (Teucrio siculi-Quercetum ilicis) L’evoluzione dinamica del bosco di leccio con camedrio siciliano (Teucrio siculi-Quercetum ilicis) può derivare dalla macchia a erica e sparzio spinoso (Calicotomo infestae-Ericetum arboreae), dai cespuglieti a citiso villoso e ginestra dei carbonai (Cytiseto villoso-scoparii) o dai cespuglieti a ginestra viscosa calabrese (Centaureo-Adenocarpetum brutii). È tipica del Bioclima meso e supramediterraneo umido e si rinviene localmente sui versanti acclivi della fascia collinare superiore e submontana da 500-600 m a 900 m su substrati a filladi, scisti, gneiss, graniti, conglomerati oppure su suoli Ranchers (Typic Haplumbrepts), ben drenati e ricchi in scheletro grossolano, spesso poco evoluti (protorankers). Nelle aree occupate dale fitocenosi della serie si pratica normalmente il pascolo mentre la vegetazione forestale viene utilizzata come ceduo. Geosigmeto termo-mesomediterraneo della vegetazione delle fiumare (Artemisio-Helicrysetum italici, Nerion oleandri e Tamarici africanae-viticetum agnocasti) Si tratta di una vegetazione edafoclimax di tipo azonale, presente sia nella fascia termomediterranea che mesomediterranea, legata alle fiumare, nelle quali sussiste un’articolazione catenale, legata alla profondità della falda freatica ed al disturbo arrecato dalle piene, caratterizzata dall’alternarsi dell’Artemisio-Helicrysetum italici, il Nerion oleander ed il Tamarici africanae-viticetum agnocasti. In particolare la vegetazione ripale delle fiumare nella fascia termomediterranea è costituita da boscaglie dei Nerio-Tamaricetea mentre nei terrazzamenti si insedia una vegetazione pioniera di tipo glareicolo, rappresentata dall'Artemisio-Helichrysetum italici. Nel tratto medio dei corsi d’acqua sono presenti aspetti di vegetazione più igrofila quali le boscaglie ripali caratterizzate dal salice rosso (Salix purpurea) a cui si associano altri arbusti come la ginestra odorosa (Spartium junceum) e l'oleandro (Nerium oleander). I boschetti e le gallerie a Salix purpurea rientrano, invece, nell’associazione Salicetum albo-purpureae (alleanza Salicion albae, ordine Salicetalia purpureae, classe Salicetea purpureae). Quest’associazione è caratterizzata dalla dominanza di Salix alba e Salix purpurea, a cui si possono accompagnare in misura diversa pioppi (Populus alba) ed olmi (Ulmus minor). Lo strato erbaceo è quasi ovunque rigoglioso e ricco di erbe palustri, spesso nitrofile (Equisetum telmateja, Urtica dioica, Phragmites australis) ma anche quello arbustivo è variamente sviluppato e diversificato. Forma cordoni boschivi lungo le rive dei corsi d’acqua, su substrati poco evoluti poiché arrestati dalle correnti di piena che asportano la parte superficiale. Per quanto attiene alla flora all’interno dell’area vasta si segnala la presenza di alcune specie di considerevole valore conservazionistico. Tra le specie inserite negli allegati della Direttiva “Habitat” 92/43/CEE e successiva integrazione (Direttiva 97/62/CE) è presente solo Stipa austroitalica, riportata nell’Allegato II della Direttiva come specie prioritaria nella tutela e conservazione, rinvenibile nei pressi di Capo dell’Armi all’interno del SIC IT9350140 “Capo dell'Armi”. Stipa austroitalica è inoltre una delle 18 specie comprese nella Lista Rossa Nazionale (“Lista rossa della flora d’Italia”, Conti & al., 1992) e in quella Regionale (“Liste rosse regionali della flora d’Italia”, Conti & al. 1997) riscontrabili sul territorio indagato.

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5.3. FLORA E VEGETAZIONE DELL’AREA D’IMPIANTO Il territorio direttamente interessato dalla realizzazione dell’impianto ricade interamente all’interno del perimetro dell’ASI di Saline Joniche, in una zona, pertanto, completamente trasformata, priva di elementi di naturalità. La pressoché totale urbanizzazione dell’area impedisce lo sviluppo di serie vegetazionali ma, viceversa, consente la sopravvivenza di numerose specie di flora. Si tratta in larga misura di elementi ruderali, che si affermano in condizioni di marcato disturbo, ma non mancano alcuni esemplari di maggior pregio rinvenuti negli incolti, in terreni caratterizzati da forte ritenzione idrica e nelle zone più prossime allo stagno di Saline. Le indagini di campo, realizzate nell’area d’intervento, comprese tutte le zone di cantiere e quelle delle opere connesse, hanno portato al rinvenimento di 104 specie. Per la nomenclatura si è fatto principalmente riferimento ai volumi finora pubblicati da GREUTER et al. (1984-89), TUTIN et al. (1993), CONTI et al. (2005) ed altrimenti a PIGNATTI (1982) e TUTIN et al. (1968-1980), nonché ad altri lavori specialistici citati per le singole specie. La ripartizione delle entità ritrovate all’interno dei principali gruppi sistematici è la seguente: Angiosperme Monocotiledoni (76%), Angiosperme Dicotiledoni (23%), Gimnosperme (1%). Le famiglie maggiormente rappresentate sono le Graminacee (21,2%), che comprendono molte delle specie tipiche di ambienti a forte antropizzazione, le Composite (20,2%) e le Leguminose (14,4%), qui caratterizzate anche dalla presenza di numerose avventizie, ovvero specie non autoctone introdotte artificialmente. L’analisi dello spettro biologico evidenzia che quasi l’80% delle piante rinvenute nell’area sono a ciclo annuale o comunque breve (terofite ed emicriptofite), come prevedibile dal momento che si tratta di specie che generalmente si affermano in ambiti con prolungati periodi di aridità. La relativa elevata percentuale delle fanerofite (specie a portamento arboreo) è da mettere in relazione al fatto che molte di esse non sono autoctone (Acacia, Eucalyptus, Cupressus) bensì presenti nell’area a seguito di impianti artificiali effettuati negli anni passati.

Individui di Acacia saligna, specie di origine australiana Osservando lo spettro corologico dell’area di studio si nota come le specie cosiddette Eurimediterranee e Stenomediterranee (ossia le specie Mediterranee sensu strictu) rappresentino circa la metà di quelle complessivamente rinvenute, a conferma delle condizioni climatiche del territorio caratteristiche delle regioni meridionali. Particolarmente significativa è la percentuale delle specie “avventizie” (17%), naturale espressione della modificazione dell’ambiente operata dall’uomo in tale sito. Ben rappresentate sono anche le specie a larga distribuzione, quali le Europee (9%), nonché le cosmopolite e subcosmopolite (7 % del totale), a conferma di una significativa banalizzazione della flora. Tra gli elementi di pregio ritrovati si segnala la presenza di Tragopogon porrifolius L. subsp. Cupani (Guss. ex DC.) I. Richardson. Delle specie della “Lista rossa della flora d’Italia” è presente la sola Tricholaena teneriffae, che viene riportata con lo status di “Dati insufficienti” per la Calabria e di “minacciata” a livello nazionale (Conti et al., 1997).

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5.4. ELEMENTI DI FISIOLOGIA DELLE PIANTE Al fine di procedere con le ricostruzioni, analisi e valutazioni necessarie per identificare potenziali effetti del progetto sulle colture agrarie, e in particolare sulla coltivazione di bergamotto, si intende fornire una base scientifica generale relativamente alla anatomia e alla fisiologia delle piante coltivate. La definizione degli elementi di base di fisiologia delle piante come presentata in questo capitolo è volutamente schematica, intendendosi qui descrivere in forma sintetica gli elementi che vanno a costituire il modello concettuale posto alla base delle valutazioni successive. 1. La pianta è un organismo vegetale costituito da radici, fusto, foglie e fiori (gli organi della pianta), aventi

funzioni diverse che si integrano tra di loro per assicurare alla pianta un’unità funzionale. 2. I tessuti specializzati di cui è costituita una pianta sono i seguenti:

• tessuti epidermici; • tessuti conduttori; • tessuti meccanici; • tessuti parenchimatici; • tessuti meristematici; • cellule stomatiche.

3. Le funzioni più importanti del metabolismo di una pianta sono: assorbimento, trasporto e fotosintesi. L’acqua e i sali minerali sono assorbiti dalla radice, organo che ha anche le funzioni di ancoraggio della pianta al suolo e di produzione di ormoni che regolano il metabolismo della pianta stessa. Nelle radici, come nei fusti, si distingue una zona meristematica apicale (che consente lo sviluppo continuo in lunghezza), cui segue una zona di distensione e quindi una zona di struttura primaria. La struttura della radice è specializzata nell’assorbimento ed è costituita da tre tessuti • l'epidermide (o rizoderma) caratterizzata dalla presenza di peli radicali; • la corteccia (o tessuto corticale) di solito molto sviluppata, costituita da tessuto parenchimatico, che

frequentemente accumula granuli d'amido. Gli spazi intercellulari sono generalmente più ampi che nel fusto e mancano i tessuti di sostegno. Lo strato più interno della corteccia, a contatto con la stele, é l'endoderma. L'endoderma é importante per il passaggio e la selezione dei soluti (Sali minerali) dalla corteccia alla stele;

• il cilindro centrale (o stele) è costituito da uno strato esterno, il periciclo, parenchimatico e internamente dai vasi xilematici e floematici.

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Il trasporto della linfa Il trasporto dell’acqua e delle sostanze nutritive dalla radice ai vari organi della pianta avviene attraverso i tessuti conduttori presenti in tutti gli organi delle piante dalle radici al fusto, alle ramificazioni, alle foglie. Lo xilema (o legno) è l’insieme delle cellule che consentono il flusso di acqua e sali minerali dalle radici alle foglie. E’ costituito da vasi dette trachee e tracheidi (le seconde, a differenza delle prime che non hanno elementi di interruzione, sono caratterizzati da pareti trasversali e lume molto sottile). Il floema (o libro) è l’insieme delle cellule che trasportano acqua e sostanze organiche in particolare zuccheri (linfa elaborata) derivanti dalla processo foto sintetico che avviene nelle foglie. Il libro è costituito dai tubi cribrosi. Il fusto e i rami di una pianta sono costituiti, oltre che dai vasi di trasporto della linfa semplice e della linfa elaborata, da tessuti meccanici, detti collenchima e sclerenchima, che assicurano il sostegno della pianta.

La fotosintesi La fotosintesi clorofilliana è il processo chimico alla base del funzionamento degli organismi vegetali che consente alle piante di accumulare l’energia necessaria per la sua crescita e riproduzione. Avviene all’interno dei cloroplasti, organuli cellulari, all’interno dei quali sono presenti strutture costituite da membrane sovrapposte denominate tilacoidi, che contengono la clorofilla. La clorofilla è la molecola chiave della fotosintesi, poiché è in grado i catturare l’energia luminosa (i fotoni) e trasformarla in energia chimica (energia di legame chimico). Al termine del complesso processo fotosintetico l’energia è catturata all’interno dei molecole di glucosio e sotto questa forma può essere traslocata agli altri tessuti ed organi della pianta.

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La fotosintesi avviene nelle strutture verdi delle piante, quindi prevalentemente nelle foglie. Le lamine fogliari, con particolare riferimento alle latifoglie, sono costituiti da diversi tessuti specializzati per specifiche funzioni. • l’epidermide superiore è il tessuto di rivestimento, costituito da cellule ravvicinate rivestite da cuticola, uno

strato di protezione costituito da cere e cutina; • il tessuto a palizzata (fa parte del mesofillo) costituito da cellule allungate molto vicine le une alle altre

ricche di cloroplasti (dove avviene la fotosintesi); • il tessuto lacunoso (fa parte del mesofillo) costituito da cellule contenenti cloroplasti, ricco in spazi

intercellulari; • l’epidermide inferiore nella quale si aprono gli stomi, aperture regolabili presenti tra le cellule

dell’epidermide, che consentono i passaggio dei gas dall’interno all’esterno della pianta e viceversa. Le aperture stomatiche sono pertanto le strutture attraverso le quali possono passare anche gli inquinanti gassosi e entrare direttamente a contatto con le cellule del tessuto a palizzata e del tessuto lacunoso dove possono interferire con i processi metabolici ed in particolare la fotosintesi. Traspirazione, crescita e riproduzione delle piante La traspirazione è il processo di evaporazione di acqua dalle aperture stomatiche ed è un processo fondamentale per funzionamento di tutti i processi metabolici. La suzione o pressione negativa è la forza necessaria per fare risalire la colonna liquida all’interno dei vasi del legno. La colonna liquida continua si forma grazie alla coesione tra le molecole di acqua e alla forza di adesione alle pareti dei vasi del legno, che a sua volta si origina a seguito dell’evaporazione dell’acqua dagli stomi delle foglie.

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La crescita delle piante La crescita delle piante avviene grazie alla presenza di cellule meristematiche, che sono raccolte in meristemi. Si parla di meristemi primari per i tessuti costituiti da cellule poco differenziate presenti alle due estremità delle piante (germogli e radici), in grado di garantire il continuo accrescimento. Si parla di meristemi secondari nel caso dei tessuti che consentono l’accrescimento in spessore della pianta. Il cambio cribo-legnoso che forma il nuovo xilema e il nuovo floema per tutta la durata della pianta. Vi è inoltre il cambio subero-fellodermico che contribuisce a rivestire il fusto di nuovo sughero. La riproduzione delle piante La riproduzione avviene attraverso la produzione di seme, struttura che contiene l’embrione vegetale, che in seguito alla germinazione produrrà una nuova pianta. Nel seme può essere presente l’endosperma che contiene le sostanze di riserva, utilizzate dall’embrione nei primi stadi di sviluppo , quando non è attiva la fotosintesi e l’assorbimento radicale. L’embrione, come per gli organismi animali, deriva dalla fecondazione del gamete femminile (cellula uovo) con il gamete maschile, detto polline. L’impollinazione è il meccanismo con il quale il polline giunge alla fecondazione della cellula uovo, e può avvenire in diversi modi (impollinazione anemofila – con azione del vento; entomofila . con azione degli insetti ). La struttura specializzata nella riproduzione sessuata è il fiore. In seguito ad impollinazione il pericarpo dell’ovario si trasforma in genere in frutto, che quindi è la struttura che garantisce la protezione, diffusione e germinazione del seme una volta giunto a maturazione.

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6. ANALISI DEGLI ELEMENTI DI SENSIBILITÀ DEL SITO

6.1. VALUTAZIONE DEL QUADRO AMBIENTALE Sempre sulla base della descrizione del quadro ambientale fornita nel SIA si forniscono nel seguito ulteriori elementi, in questo caso tuttavia mirati ad una valutazione delle criticità e sensibilità dell’area di intervento. 6.1.1. Impatti in fase di cantiere La fase di realizzazione del progetto comporterà la dismissione di opere esistenti (attualmente in fase di esecuzione), il riassetto di alcune superfici, la realizzazione di nuovi manufatti e infrastrutture viarie, determinando sensibili trasformazioni della copertura del suolo. Dal momento che ciò avverrà esclusivamente all’interno dell’area industriale, già totalmente artificializzata, non si verificheranno alterazioni di ambiti vegetazionali naturali. La flora è costituita quasi esclusivamente da elementi ruderali sinantropici, di scarso valore naturalistico, con le uniche segnalazioni di rilievo rappresentate da Tragopogon porrifolius L. subsp. cubani, ritrovata negli incolti, e Tricholaena teneriffae, presente soprattutto lungo i margini stradali. L’eventuale perdita di esemplari di queste due specie non appare significativa tenuto conto della loro notevole diffusione nell’area dello stretto di Messina. Nel complesso, quindi, anche per la componente flora si valutano non rilevanti gli effetti determinati dalla messa in opera del progetto. Un altro fattore perturbativo cagionato dalla realizzazione delle attività di cantiere è rappresentato dalla possibile produzione di polveri. In considerazione della distanza degli ambiti naturali dalle aree direttamente interessate dai lavori si ritiene che tale elemento di disturbo non comporterà apprezzabili alterazioni delle funzioni vitali delle specie. La potenziale interferenza determinata da questo fattore è considerata complessivamente trascurabile. 6.1.2. Impatti in fase d’esercizio Durante il funzionamento dell’impianto un potenziale fattore perturbativo è rappresentato dall’immissione di inquinanti quali SO2 e NOx, in grado di determinare alterazioni sulla salute e il funzionamento degli ecosistemi, nonché il rischio di deposito e accumulo all’interno del pantano di Saline di metalli pesanti, segnatamente piombo, che potrebbe potenzialmente determinare significativi effetti negativi sulla sopravvivenza di alcune specie e sul funzionamento dell’ecosistema. E’ possibile fare una prima valutazione mediante la lettura dei carichi critici di zolfo e azoto definiti dall’APAT (Bonanni et al., 2006). Il database nazionale comprende i dati più aggiornati disponibili per il territorio nazionale circa la copertura vegetale, il clima, i suoli, ecc. L’elaborazione dei valori di carico critico segue una metodologia definita dalla Task Force UN/ECE “Modelling and Mapping” (Spranger et al., 2004). Per la zona di Saline Joniche i valori di carico critico relativi alla protezione degli ecosistemi terrestri dall’acidificazione e dall’eutrofizzazione71 sono compresi tra 1.000 e > 2.000 eq/ha*anno relativamente all’acidificazione. Per quanto riguarda l’eutrofizzazione l’area vasta può essere considerata non sensibile (> 20.000 eq/ha*anno). Le limitate concentrazioni di SO2 e NOx previste nelle emissioni della centrale fanno ipotizzare che i livelli di

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questi inquinanti non varieranno in maniera sensibile, mantenendosi al di sotto dei limiti individuati dal DM n.60/2002 per la protezione della vegetazione. Il potenziale impatto è da ritenersi non rilevante. Per quanto riguarda i corpi idrici, in particolare lo specchio d’acqua prossimo all’area industriale di Saline Joniche non si dispone di dati dei valori di carico critico. E’ tuttavia rilevabile che nell’area in esame la presenza di formazioni geologiche calcaree garantisca ai corpi idrici posti a valle un potere tampone sufficiente a neutralizzare ampiamente gli apporti atmosferici di acidità. I carichi critici per i metalli pesanti e segnatamente per piombo e cadmio, prevedono l’applicazione di un’analoga procedura (Bonanni et al., 2006). La risoluzione con cui sono state raccolte ed elaborate le informazioni territoriali sono tuttavia nettamente meno dettagliate (50 x 50 km) e indicano, per la cella EMEP nella quale ricade l’area di indagine un carico critico per il cadmio compreso tra 5,8 e 12,5 g/ha*anno e per il piombo compreso tra 5,1 e 11,5 g/ha*anno. Rigurado invece le stime delle eccedenze (stimate a partire dall’applicazione del modello RAINS) si rileva, per l’area oggetto di valutazione, un valore nullo in relazione al cadmio ed un valore compreso tra 0,1 e 222 g/ha*anno in relazione al piombo. In fase di esercizio, e d’accordo con le simulazioni effettuate (si rimanda al capitolo 4 per maggiori dettagli), il contributo della centrale in termini di deposito totale annuo, come valore medio nell’intera area di studio, risulterebbe pari a 1,5 g ha-1

anno-1 per il Pb e a 0,06 g ha-1 anno-1 per il Cd: tali valori rappresentano rispettivamente il 13% e lo 0,5% del carico limite massimo di Pb e Cd. 6.1.3. Misure di mitigazione e sistemi di monitoraggio Suolo e sottosuolo - Per quanto riguarda la potenziale alterazione dei suoli nell’area di intervento, la gestione delle eventuali criticità, che potrebbero comunque essere di natura minima e confinate arealmente e verticalmente, dovrà comunque avvenire secondo quanto previsto dalla normativa vigente (art. 242 del D.lgs. 152/06). Per quanto riguarda il rischio sismico, l’area in esame è classificata in Zona Sismica 1 sulla base della O.P.C.M. n° 3274 del 20/03/03 e successive modifiche ed integrazioni, caratterizzata, per costruzioni di classe 1, da una valore di accelerazione massima al bedrock pari a 0,35 g, riferito ad una probabilità di superamento non maggiore del 10% in 50 anni, corrispondente ad un tempo di ritorno dell’evento critico di 475 anni. In tale contesto, le misure di mitigazione da raccomandare si limitano al rigoroso rispetto della normativa antisismica vigente. Per quanto riguarda le misure di mitigazione per il rischio idraulico nell’area di intervento, si rimanda alle Linee guida regionali elaborate nell’ambito del Piano Stralcio di Assetto Idrogeologico, già trattate nei precedenti paragrafi. Per quanto riguarda il rischio frane, non si ritengono necessarie misure di mitigazione di sorta. Vegetazione e flora - Per queste componenti non sono previste misure di mitigazione. La attività standard di monitoraggio delle emissioni andrà integrata con la realizzazione di specifiche campagne periodiche di controllo della concentrazione dei principali inquinanti atmosferici e dei metalli pesanti nel territorio del SIC IT9350143. In particolare dovrà essere tenuto sotto osservazione il livello di piombo all’interno delle acque e dei sedimenti dello stagno di Saline. Uso del suolo - La centrale è ubicata in un’area che già ora è destinata ed occupata da impianti di tipo industriale, anche se dimessi ed in corso di smantellamento, e per una ridotta parte, su un’area inclusa nell’infrastruttura portuale. La realizzazione degli edifici e degli impianti tecnici della centrale non determina quindi una variazione degli attuali usi del suolo e quindi non si identificano impatti ambientali. Non sono previste particolari misure di mitigazione ambientale, dato che si mantiene la stessa destinazione d’uso del suolo, pur variando il tipo di impianto industriale.

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6.1.4. Sintesi del quadro di riferimento attuale: aria I risultati delle indagini relative alla qualità dell’aria (si rimanda al capitolo 4 per maggiori dettagli) possono essere sintetizzati in alcune considerazioni generali che traggono diretto spunto dalle campagne di misura condotte. Le rilevazioni effettuate mediante campionatori passivi forniscono un quadro parziale, stante la durata delle campagne, ma sicuramente indicativo del quadro generale della qualità dell’aria. L’area ha evidenziato, nei periodi nei quali sono state effettuate le misure, condizioni di qualità dell’aria sicuramente positive. I valori rilevati per i diversi inquinanti possono essere classificati come contenuti e il territorio esaminato, sia per quanto riguarda la fascia di costa che l’entroterra, evidenzia una modesta presenza di inquinanti dell’aria. Ciò vale sia per i composti per i quali possono essere individuate fonti locali come il biossido di azoto, sia per quelli per i quali può essere ipotizzata la presenza di una componente di trasporto come l’ozono. Queste considerazioni possono essere ragionevolmente estese all’interno anno. Più in dettaglio si può rilevare come le fonti principali di biossido di azoto – traffico veicolare, incendi, riscaldamento domestico e le limitate attività produttive - non sembrino incidere in modo significativo sulle concentrazioni di questo inquinante. I superamenti delle soglie di riferimento orarie (200 μg/m3 come valore massimo orario da non superare più di 18 volte all’anno e 400 μg/m3 misurato su tre ore consecutive) possono considerarsi assai improbabili. I valori più elevati sono stati misurati a ridosso dell’arteria di traffico principale (Strada Statale 106). Nell’entroterra i valori di concentrazione, sostanzialmente più contenuti, sono conseguenti all’assenza di fonti locali significative. I livelli rilevati durante la campagna autunnale sono modesti anche se più elevati di quelli estivi con un incremento, nei diversi siti di misura, compreso tra il 30 e il 50%. Per quanto riguarda l’ozono le concentrazioni misurate sono anch’esse decisamente contenute. Il biossido di zolfo mostra concentrazioni di poco superiori al fondo naturale stimato convenzionalmente in 1 μg/m3. In prossimità delle strade principali si osservano alcuni valori più elevati, conseguenti alle emissioni dei motori diesel. In estate anche gli incendi hanno ragionevolmente contribuito all’incremento di questo inquinante che comunque si mantiene ben al di sotto dei valori soglia fissati dalla normativa vigente sia per la protezione della vegetazione (media annuale-invernale di 20 μg/m3) che della salute pubblica (media giornaliera di 125 μg/m3 non più di 3 volte all’anno, media oraria di 350 μg/m3 non più di 24 volte all’anno e 500 μg/m3 di media oraria su tre ore consecutive). In autunno i livelli di SO2 sono lievemente più elevati, anche se abbondantemente al di sotto dei limiti di legge. I livelli rilevati dei composti aromatici considerati sono coerenti con il livello di traffico relativamente limitato presente nell’area in esame e che rappresenta la fonte principale di questi inquinanti. Alcuni valori di concentrazione più elevati, occasionalmente misurati in due siti su venti, sono riconducibili ad eventi locali che quindi di poco influenzano il valore medio annuale, che rispetta pienamente la soglia fissata dalla normativa di riferimento (5 μg/m3). Nel complesso l’area si caratterizza per livelli di emissione dei principali inquinanti gassosi assai limitati. Le rilevazioni condotte mediante campionatori passivi confermano questo quadro e non evidenziano fenomeni di trasporto significativi. Le misure effettuate, pur con le limitazioni riportate in introduzione, inducono ad un giudizio positivo sulla qualità dell’aria locale. Tale considerazione è valida per tutto il territorio esaminato. I rilevamenti delle polveri sono scarsamente utilizzabili in quanto per motivazioni tecniche e localizzative non consentono di ottenere indicazioni mediabili su periodi significativi. La situazione statistico-sanitaria della popolazione ricavata dai soli dati disponibili, relativi alle morti per

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causa, aggregati a livello provinciale, non consente una corretta definizione delle condizioni presenti nell’area di indagine, né di disporre di informazioni attinenti i più adatti indicatori per stimare gli eventuali effetti della quota di inquinamento aggiuntiva imputabile alla centrale. Dall’osservazione dei dati di cui al punto precedente si nota che, in linea generale, gli andamenti dei tassi standard di mortalità per le varie cause della Provincia di Reggio Calabria non si discostano significativamente dall’andamento delle altre provincie e della regione. 6.1.5. Analisi e previsione di impatto Premesse Allo scopo di tentare di pervenire ad una stima in qualche modo di carattere quantitativo, almeno in termini di ordini di grandezza, dei rischi sanitari potenzialmente collegabili con la quota di immissioni al suolo dei principali inquinanti emessi dall’impianto in esame, è stata analizzata da questo punto di vista la letteratura in materia. Particolare attenzione è stata rivolta ai lavori che, partendo dall’analisi delle indagini epidemiologiche sui fenomeni di inquinamento, ne hanno tratte le indicazioni applicabili alla produzione di energia da combustibili fossili. Tra le fonti reperite, quelle considerate più significative allo scopo sono: • le ricerche del progetto ExternE della Comunità Europea che da oltre quindici anni si occupa di

quantificare i costi esterni dell’energia tra i quali principalmente quelli socio-economici e sanitari; • le serie dei rapporti INERIS (Institut National de l’Environment Industriel ed des Risques) francese

sull’impatto sulla salute delle emissioni atmosferiche dei gruppi a carbone di una centrale termoelettrica. Nei paragrafi seguenti, dove si analizza il quadro emissivo ed immissivo per elemento o gruppo di elementi, le considerazioni tratte sono confrontate e verificate alla luce delle conclusioni riportate nei lavoro succitati. Sintesi delle analisi e previsioni di impatto sulla qualità dell’aria e sul rumore: aria I risultati delle campagne di misura indicano complessivamente una situazione non particolarmente compromessa essendo sempre rispettati con buon margine i limiti di legge succitati. Le restituzioni modellistiche delle ricadute (immissioni) degli inquinanti emessi al camino e dalle sorgenti minori di polveri (torri di trasferimento, stoccaggi, ecc.) delineano una situazione sintetizzabile come segue: • complessivamente la distribuzione al suolo degli inquinanti entro 10 km denota livelli di ricaduta che non

alterano significativamente i livelli di fondo misurati, né ne inducono superamenti dei limiti di legge; • i valori massimi di concentrazione media annua attesi tendono a posizionarsi sulla terraferma nell’area

collinare in direzione nord-ovest a circa 2 km dall’impianto, peraltro a livelli estremamente bassi, come mostrato nella tabella seguente:

Inquinante Media annuale (μg/m3) SO2 1,8 NO2 1,8

Tabella 12 - Massime medie annue stimate nell’area di progetto.

• le concentrazioni di breve periodo, medie giornaliere, medie orarie e relativi percentili estremi (99,7° per

SO2 e 99,8° per NO2), stimate per i soli macroinquinanti oggetto dei limiti di qualità dell’aria presentano una maggiore variabilità spaziale pur ricadendo sempre a Nord Ovest dell’impianto. Per quanto riguarda le concentrazioni medie giornaliere si stimano un valore massimo di SO2 pari a 44 μg/m3 ed uno di PM10

pari a 5,9 μg/m3. Il massimo percentile 99,7° delle concentrazioni orarie (che indica un numero massimo di 24 superamenti annui), di interesse per l’SO2, è pari a 125 μg/m3, mentre il massimo percentile 99,8° delle concentrazioni orarie (che indica un numero massimo di 18 superamenti annui), di interesse per l’NO2, è pari a 132 μg/m3. Analogamente alla concentrazione media annua, quest’ultimo valore è stato ottenuto sulla base dell’ipotesi cautelativa di completa conversione di NOx a NO2; ipotizzando un rapporto

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NO2/NOX pari a 0,75 si ottiene per il massimo percentile 99,8° di NO2 una concentrazione dell’ordine di 100 μg/m3;

• le emissioni di polveri delle sorgenti minori sono trattate nel seguito. Previsioni di impatto sulla salute pubblica: fase di esercizio Il progetto prevede sistemi integrati di trattamento dei fumi articolati su: denitrificatore, desolforatore, filtri a manica e lavaggio a umido. In tal modo si abbattono le emissioni di NOx e SOx e si ottengono i migliori risultati nel controllo delle polveri (PM10 e PM2,5), minimizzando le emissioni di metalli pesanti ad esse associate, e nel controllo del mercurio per la solubilizzazione di parte dei vapori. Emissioni-Immissioni al suolo A) Ossidi di zolfo (SOx/SO2): in generale sono responsabili di fenomeni irritativi a carico dell’apparato respiratorio, delle mucose e degli occhi e di accentuazione dei problemi bronchiali e asmatici. Appartengono al gruppo di non-cancerogeni e, a causa dell’elevata solubilità in acqua, SO2 viene facilmente assorbito dalle mucose e solo piccole quantità possono raggiungere il polmone profondo. Le concentrazioni al suolo per effetto dell’impianto stimate nelle aree di massima ricaduta sono dell’ordine di 1,8 μg/m3 (massima media annuale). Dati i livelli attuali misurati nella stessa area (pari a 2,5 μg/m3 SO2) si constata che la sommatoria porta a concentrazioni prive di significato nei confronti della normativa specifica per la protezione della salute umana sia per i limiti di lungo che di breve periodo (125 μg/m3 media giornaliera, 350 μg/m3 media oraria da non superare più di 24 volte l’anno). La letteratura fornisce stime di rischio per aumenti della concentrazione media giornaliera di SO2 di 50 μg/m3

B) Ossidi di Azoto (NOx/NO2): sono rappresentati principalmente dal monossido (NO) e dal biossido (NO2), inquinante secondario che si forma per reazioni fotochimiche e che riveste un interesse sanitario; in generale hanno effetti vari sulla salute, specialmente a carico del sistema respiratorio, ma non cancerogeni. La Commissione Europea li classifica come “tossici e irritanti per gli occhi e le vie respiratorie.” Le concentrazioni stimate di ricadute al suolo sono pari a 1,8 μg/m3 (massima media annuale), mentre le misure dello stato di base della qualità dell’aria indicano valori di NO2 pari a 12,8 μg/m3. Si deduce che la sommatoria dei due livelli rispetta in ogni caso i valori limite per la protezione della salute umana pari a 200 μg/m3 media oraria da non superare più di 18 volte l’anno, 40 μg/m3 media annua. Anche in questo caso le stime di rischio potenziale, peraltro di bassissimo livello, sono riferite ad aumenti di concentrazione dell’ordine di 50 μg/m3. C) Polveri (Totali, PM10, PM2,5): con il termine Polveri Totali Sospese (PTS) si intende l’insieme di particelle disperse in atmosfera, solide e liquide, con diametro compreso tra 0,1 e 100 μm. Le particelle più grandi (con diametro maggiore di 10 μm) possono essere considerate le meno pericolose perché si depositano al suolo rapidamente e, se inalate, sono trattenute dalle prime vie respiratorie. Con il diminuire della loro dimensione, le particelle divengono via via più pericolose perché rimangono più a lungo in sospensione e perché riescono a penetrare più profondamente nell’organismo umano. Le particelle con diametro inferiore a 10 μm (PM10) sono definite anche polveri inalabili, in quanto sono in grado di penetrare nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (dal naso alla laringe). Le particelle con diametro inferiore a 2,5 μm (PM2,5) costituiscono dal 40% al 60% del totale di PM10 e sono denominate polveri toraciche o respirabili, in quanto in grado di penetrare nel tratto inferiore dell’apparato respiratorio (dalla trachea agli alveoli polmonari). Il fondo naturale di PM10 si aggira sui 6 μg/m3 (OMS Europe). Le polveri sono una miscela fisico-chimica complessa composta sia da componenti primarie, emesse direttamente dalla fonte, sia da componenti secondarie formatesi successivamente. La loro composizione risulta pertanto molto varia (metalli pesanti, solfati, nitrati, ammonio, carbonio organico, idrocarburi policiclici aromatici, diossine/furani). Le polveri emesse al camino da una centrale a carbone hanno una composizione molto variabile in funzione delle caratteristiche/provenienze del combustibile utilizzato. Rispetto ad altre sorgenti si osserva (ExternE) che il PM da motori per autotrazione è quasi interamente organico e carbonaceo mentre quello da combustione del carbone contiene in aggiunta una componente minerale classificabile per dimensioni. Inoltre il materiale particolato proveniente dai motori a combustione interna è prevalentemente PM2,5 mentre quello da impianti energetici ha dimensioni maggiori: in maggior parte PM10, più particelle anche superiori a 10 μm. In ExternE si considera quindi che in questo caso la tossicità del particolato emesso sia equivalente a quella del PM10 piuttosto che a quella del PM2,5. Anche secondo OMS il PM10 è considerato una buona misura della miscela complessa di inquinanti gassosi e

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particolati che si originano nella combustione in veicoli e impianti energetici e rimane l’inquinante di elezione per stimare l’impatto sanitario correlato al traffico. Per quanto riguarda la situazione prevista nel caso in esame, le concentrazioni medie annue massime stimate delle ricadute di polveri emesse come PM10 risultano insignificanti, essendo pari a 0,25 μg/m3. Si deduce che, anche nell’ipotesi di valori discreti di fondo, si rispettano in ogni caso i valori limite attuali per la protezione della saluta umana pari a 50 μg/m3 come media delle 24 ore da non superare più di 35 volte in un anno; 40 μg/m3 come media annua e quelli futuri di 50 μg/m3

come media delle 24 ore da non superare più di 7 volte in un anno e di 20 μg/m3 come media annua. Dalla letteratura si ricavano considerazioni sul rischio potenziale di induzione di vari effetti che sono prevalentemente di tipo respiratorio e cardiovascolare sulla salute umana a carico del PM10, sia attinenti eventi gravi (mortalità acuta per esempio) che morbosi (bronchiti, ecc.). In ogni caso le stime di rischio sono riferite ad aumenti di concentrazione di 10 μg/m3 rispetto alla situazione di base. Ad esempio, OMS nel già citato lavoro sull’impatto sanitario del PM10 e dell’ozono in 13 città italiane, in accordo con le prove derivanti dagli studi epidemiologici, assume funzioni concentrazione-risposta di rischio relativo lineare senza soglia. Ciò significa ad esempio che se il rischio relativo è di 1,06 per un aumento di 10 μg/m3 nella concentrazione del PM10, la popolazione esposta ad una concentrazione di 30 μg/m3 ha una probabilità del 6% in più di soffrire degli effetti dell’inquinante rispetto ad una popolazione esposta a 20 μg/m3; gli esposti a 40 μg/m3 hanno una probabilità del 12% in più rispetto agli esposti a 20 μg/m3, ecc. La frazione delle polveri inquinanti definita PM2,5 è considerata sanitariamente pericolosa sia perché, date le ridotte dimensioni, raggiunge gli alveoli polmonari sia perché è biologicamente più attiva, insieme alle frazioni ultrafini, sia infine perché sembra veicolare sostanze particolari (ad esempio i composti organici volatili). L’Organizzazione Mondiale della Sanità113 ha recentemente riconsiderato le problematiche sanitarie legate alle polveri PM10 e PM2,5 e, benché notando che l’indicatore a più ampia diffusione e anche quello di rilevanza nella maggioranza degli studi epidemiologici sia il PM10, ha basato le proprie linee guida su studi che applicano come indicatore il PM2,5. I valori guida del PM2,5 sono tradotti nei corrispondenti relativi al PM10 applicando un rapporto PM2,5/PM10 di 0,5, rapporto tipico delle aree urbane dei paesi sviluppati e corrispondente al limite inferiore dell’intervallo riscontrato (0,5-0,8). Valori diversi di questo rapporto possono essere usati localmente, purché siano disponibili dati rilevanti, per meglio riflettere le condizioni locali. Le motivazioni, puntualmente riportate nel testo delle linee guida, sono basate sui conosciuti effetti sanitari. Ad esempio il limite della concentrazione media annua di 10 μg/m3 per PM2,5

(esposizione a lungo termine) rappresenta il valore inferiore dell’intervallo sopra il quale sono stati osservati effetti significativi sulla sopravvivenza in studi dell’American Cancer Society. Per le esposizioni a breve termine (media delle 24 ore) il limite di 25 μg/m3 (99° percentile) è basato sui risultati di studi che evidenziano relazioni tra i livelli di PM10 e PM2,5 annuali e quelli delle 24 ore. Alle conclusioni suddette in termini di valori guida, OMS è pervenuta attraverso una serie di fasi di analisi delle evidenze epidemiologiche intese a definire dei valori limite “bersaglio” intermedi attraverso i quali arrivare appunto al valore guida. Complessivamente, l’impatto delle emissioni di polveri dell’impianto è sostanzialmente determinato dalle sorgenti minori e si manifesta pertanto nelle immediate vicinanze dell’impianto stesso. Le massime concentrazioni medie annue di PM10 (1,4 μg/m3) e PM2,5 (0,8 μg/m3) sono praticamente coincidenti con quelle determinate dalle sole sorgenti minori114. La massima concentrazione media giornaliera risente invece sia delle emissioni delle sorgenti minori sia di quelle dei camini principali e sia attesta attorno a 10 μg/m3. D) Metalli: nello spettro dei metalli (e loro composti) per i quali la normativa (vedi allegato tecnico) pone valori limite all’emissione per i nuovi impianti con potenza termica nominale superiore a 500 MW alimentati a combustibili solidi, sono ritenuti in generale di maggiore rilevanza sanitaria l’Arsenico (As), il Cadmio (Cd), il Nichel (Ni), il Piombo (Pb) e il Mercurio (Hg). Essi, tranne il mercurio, volatile in aria, sono prevalentemente associati al materiale particolato distribuiti in misura variabile tra le varie frazioni granulometriche. Risultati scientifici indicano che essi possono avere un ruolo attivo, diretto o indiretto nei meccanismi di azione biologica. Tuttavia diversi fattori chimico-fisici (idrosolubilità, distribuzione dimensionale e arricchimento superficiale, inglobamento nelle particelle di aerosol) possono influenzare la loro biodisponibilità. Il potenziale rilievo sanitario dei metalli e dei metalloidi suddetti è associato all’esposizione per via inalatoria delle frazioni componenti il PM10. Tuttavia la principale via di esposizione per As, Cd e Ni è rappresentata dall’ingestione in quanto una volta dispersi nell’ambiente diventano biologicamente disponibili attraverso i cicli biogeochimici, con fenomeni di accumulo. Sono in genere considerati potenzialmente cancerogeni. Il Pb è introdotto attraverso la via respiratoria e il tubo digerente; nei soggetti adulti solo circa il 5-10% del Pb ingerito è assorbito, depositandosi in organi diversi, mentre il resto viene eliminato con le feci. Nel SIA è fornita una dettagliata tabella, elaborata dall’Istituto Superiore di Sanità, ove sono indicati i valori guida, i valori di rischio unitario di OMS e i valori limite indicati nella Direttiva Europea 2004/107/CE (e recepiti in Italia con il D. Lgs 152/2007).

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Le previste ricadute delle emissioni dell’impianto (si rimanda al capitolo 4) in termini di massime concentrazioni annuali sono pari a 0,0045 μg/m3 per il Pb, 0,0002 μg/m3 per il Cd, 0,0009 μg/m3 per l’As e 0,002 μg/m3 per il Ni. L’esposizione al mercurio della popolazione in generale avviene essenzialmente per inalazione presso impianti industriali che utilizzano il metallo nei loro processi produttivi o per ingestione di pesce contaminato dal metilmercurio. Le centrali a carbone non sono che marginalmente considerate fonte di esposizione al mercurio. Per quanto riguarda le deposizioni dei microinquinanti al suolo, i risultati della simulazione modellistica possono essere intrepretati alla luce delle stime dei valori di carico limite e delle attuali eccedenze ricavati dalle mappe EMEP116 relative all’intero territorio nazionale (cfr. cap 4). Per l’area in esame tali mappe sono disponibili solamente per Pb e Cd ed indicano rispettivamente carichi limite annuali compresi tra 5,1 e 11,5 g ha-1 anno-1 e tra 5,8 e 12,5 g ha-1 anno-1; le stime delle eccedenze indicano valori compresi tra 0,1 e 222 g ha-1 anno-1 per il Pb e nessuna eccedenza per il Cd. Il contributo dell’impianto in termini di deposizione totale annua, come valore medio nell’intera area di studio, è pari a 1,5 g ha-1 anno-1 per il Pb e a 0,06 g ha-1 anno-1 per il Cd: tali valori rappresentano ripettivamente il 13% e lo 0,5% del carico limite massimo di Pb e Cd. E) Idrocarburi policiclici aromatici (IPA): sono inquinanti ambientali ubiquitari immessi in atmosfera durante la combustione dei combustibili fossili; quelli di interesse sanitario per la loro attività cancerogena si trovano quasi totalmente adsorbiti sul materiale particolato. Il benzo(a)pirene (BaP) è il composto più studiato, sia nei sistemi biologici che nelle matrici ambientali. I rapporti quantitativi tra BaP e gli altri IPA sono sostanzialmente costanti per ogni tipo di emissione: il BaP viene quindi generalmente usato come indicatore di esposizione dell’intera classe di IPA. In Italia, l’esposizione (non lavorativa) ad IPA riguarda essenzialmente la popolazione delle aree urbane (ISS). Utilizzando la stima di rischio unitario elaborata da USEPA, OMS ha calcolato un rischio incrementale pari a 9 casi di tumore polmonare ogni 100.000 individui esposti per tutta la vita ad una concentrazione pari al valore guida per il BaP (1 ng/m3). Tale valore è stato recepito nella legislazione italiana come “obiettivo di qualità”, così come l’Unione Europea. Per quanto riguarda l’impatto sulla popolazione italiana, la Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale ha stimato che, ad un’esposizione media per l’intera vita pari a 0,06-1,5 ng/m3 di BaP (corrispondente approssimativamente a concentrazioni medie in aria ambiente di 0,1-2 ng/m3), sarebbe attribuibile un eccesso di casi di tumore polmonare compreso tra 1 e 35 all’anno, per i successivi 75 anni: in termini di proporzione dei casi diagnosticati ogni anno in Italia, tale stima equivale ad una quota variabile tra 0,03 e 1 per mille117. Poiché la base delle stime sono le misure in aree urbane ad elevato traffico, è presumibile che l’esposizione effettiva della popolazione mediata nel tempo sia inferiore di un ordine di grandezza rispetto a 1 ng/m3, il rischio in ambiente urbano sarebbe pari a 1*10-5 (OMS e CCTN). Le emissioni di questi inquinanti da una centrale a carbone si collocano intorno ai nanogrammi (10-9 grammi) Nm3. F) Composti organici clorurati: policlorodibenzodiossine (PCDD)/policlorodibenzofurani (PCDF): sono una categoria di almeno 75 composti aromatici clorurati triciclici (diossine) ai quali sono spesso aggiunti 125 composti strettamente correlati, i dibenzofurani policlorurati. Parecchie di queste sostanze sono cancerogene, immunotossiche e mutagene: quella considerata più tossica è la 2,3,7,8- tetraclorodibenzodiossina (TCDD). Negli impianti energetici i livelli di emissione sono dell’ordine del picogrammo (pg=10-12g) per Nm3. La posizione di OMS118 è che l’introduzione giornaliera tollerabile è di 10pg/kg di peso corporeo/giorno: questo valore rappresenta la dose media nella vita, sotto la quale è considerato improbabile un effetto ed è considerato applicabile sia agli effetti cancerogeni sia a quelli non cancerogeni. L’OMS, nelle linee guida per la qualità dell’aria, non indica valori guida applicabili ai PCDD/PCDF in quanto l’inalazione costituisce una piccola porzione dell’esposizione totale: si stima sia inferiore al 5% dell’ingestione tramite la catena alimentare. La misura di questi composti in aria viene effettuata per determinare la presenza di sorgenti emissive di diossine che possano contaminare la catena alimentare. Di conseguenza, l’esposizione totale, così come quella ai metalli, è molto più dipendente dalle condizioni locali, da fattori legati alle abitudini (di vita, di alimentazione, di lavoro, ecc.), rispetto all’esposizione ai macroinquinanti. Lo studio condotto da INERIS ha calcolato l’aumento di rischio legato ad un impianto energetico a carbone rispetto a quello legato alle concentrazioni ubiquitarie di diossine nell’ambiente in assenza dell’impianto. Nella zona di massima ricaduta si stima una crescita di rischio, considerata non significativa, da 0,03 a 0,6% rispetto a quello esistente per effetto di concentrazioni in aria in ambiente rurale di 0,03 pg/m3 e nel suolo di 0,5 ng/kg misurate in Francia. G) Ozono: si forma tramite una serie di reazioni fotochimiche nelle quali sono coinvolti gli ossidi di azoto (NOx) e i Composti Organici Volatili (COV) ed ha un effetto infiammatorio sulle mucose. Poiché i precursori si disperdono nell’ambiente in funzione delle condizioni meteorologiche e poiché le reazioni chimiche richiedono l’azione della radiazione solare, le concentrazioni di O3 in un dato luogo non sono in genere linearmente

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correlate alle quantità di precursori emessi in loco. Da ciò deriva che il problema dell’inquinamento non può essere valutato strettamente su base locale. Nel caso dell’impianto in esame, inoltre le quantità di precursori emesse sono molto basse e il loro contributo alla formazione di O3 può essere ritenuto trascurabile. Previsione di impatto sulla salute pubblica: fase di cantiere In questa fase i fattori di impatto sulla salute pubblica sono riconducibili a: • emissioni gassose dai mezzi di lavoro; • emissioni gassose dai trasporti interni ed esterni; • emissioni di polveri da movimento mezzi, attività di scavo e movimentazione terre; • emissioni sonore da attività e mezzi all’interno del cantiere e dal traffico da e verso il cantiere. Ad essi si associano elementi generalizzati di disturbo/disagio legati ad interferenze con le normali abitudini di vita e di lavoro della popolazione. Anche in questo caso il numero di residenti maggiormente coinvolti, rispetto alla popolazione totale residente nell’area di influenza potenziale, è limitato all’insediamento di Saline Joniche, in particolare abitato di Sant’Elia, pur rimanendo significativo. In generale alcuni degli elementi di impatto della fase di cantiere sono efficacemente mitigabili con semplici interventi di gestione; in particolare la diffusione di polveri (peraltro prevalentemente grossolane e rapidamente sedimentabili) è fortemente limitata dall’irrorazione delle superfici, dalla limitazione della velocità dei mezzi di lavoro all’interno dell’area di cantiere. In specifico per il rumore, vengono applicati interventi mitigativi quali l’uso di attrezzature maggiormente silenziate (ai sensi della Direttiva 14/2000/CE), la metodica manutenzione delle attrezzature stesse, l’esecuzione di alcune operazioni lontano dal cantiere e dai centri abitati, la programmazione delle attività più rumorose nelle fasce orarie diurne, l’installazione di barriere antirumore (anche mobili) e l’organizzazione delle attività in modo da evitare sovrapposizioni di rumore. 6.1.6. Co-combustione carbone-biomasse Secondo studi recenti la co-combustione di carbone e biomasse permette rendimenti energetici più elevati rispetto al solo utilizzo di biomasse e offre comprovati vantaggi dal punto di vista ambientale, in particolare per quanto riguarda l’emissione di inquinanti in atmosfera, con conseguenti benefici anche dal punto di vista della salute pubblica. I potenziali impatti sulla popolazione legati alla combustione di sole biomasse, sempre nel rispetto dei limiti e dei valori prescritti dalla normativa di riferimento, possono essere ricercati per lo più nel rilascio in atmosfera di particolato e, in minor parte, di ossidi di azoto. L’emissione degli altri macro e micro-inquinanti atmosferici viene considerato del tutto trascurabile. Di contro, invece, sembra possibile che il processo di co-combustione carbone-biomasse consenta di ridurre le emissioni in atmosfera di quasi tutti i principali composti, rispetto alle quantità emesse da un impianto a solo carbone di pari potenza, come mostrano alcune sperimentazioni condotte su una centrale di 160 MW con utilizzo di biomasse legnose vergini (come previsto per la centrale in oggetto). La riduzione riguarderebbe sia gli inquinanti principali (SO2, NOx) sia l’intero spettro di dei microinquinanti considerati nei paragrafi precedenti di questo rapporto per la combustione del solo carbone. Si può quindi concludere che la co-combustione di biomasse non comporterebbe aggravi ulteriori circa gli impatti potenziali sulla salute pubblica.

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6.2. ATTITUDINI DEI SUOLI E DELLE TERRE Nell’intento di valutare gli elementi di sensibilità dell’area presa in considerazione si riportano di seguito considerazioni relative all’attitudine potenziale all’utilizzo agricolo e alla messa a coltura di agrumi: si intende pertanto arrivare ad una delimitazione delle zone in cui sia potenzialmente possibile la messa a coltura di agrumeti, facendo riferimento alle potenzialità dei suoli e degli ambienti in cui si sono sviluppati, prescindendo pertanto dalla loro effettiva presenza o dalla convenienza economico e tecnica di tali coltivazioni. Nell’ambito considerato, le conoscenze dei diversi parametri necessari alla valutazione delle attitudini dei suoli e dei territori non sono disponibili in forma attendibile alla scala di indagine e pertanto i loro valori limite sono stati utilizzati solo in termini qualitativi. Operativamente si sono reinterpretati i limiti dei vari parametri utilizzando i criteri che hanno informato la rappresentazione cartografica dei suoli regionali ad una scala di scarso dettaglio (1:250K): si fa pertanto riferimento alla distribuzione delle unità territoriali pedologiche così come si sono potute dettagliarle con l’incrocio con le conoscenze geologiche nell’area, congiuntamente alla lettura di foto aeree, e qualitativamente alle caratteristiche e qualità in esse descritte. La valutazione pertanto risente di criteri ampiamente discrezionali e poco verificati sul terreno ma, utilizzando una corretta metodologia, ottempera allo scopo di fornire una visione generale tale da consentire l’evidenziarsi di elementi di criticità macroscopici della cui più precisa stima e quantificazione si lascia a eventuali, successive indagini di dettaglio. 6.2.1. Capacità d’uso dei suoli e delle terre La stima della capacità d’uso, la versatilità del territorio all’utilizzo agricolo, è stata eseguita secondo i criteri della Land Capability Classification (Klingebiel, Montgomery, 1961). Il metodo viene usato per classificare le terre non in base a specifiche colture o pratiche agricole, ma per un ventaglio più o meno ampio di sistemi agro-silvo-pastorali: i suoli vengono raggruppati in base alla loro capacità di produrre comuni colture, foraggi o legname, senza subire alcun deterioramento e per un lungo periodo di tempo. Vengono pertanto prese in considerazione i caratteri limitanti permanenti e non quelli temporanei che possono essere risolti da appropriati interventi di miglioramento (drenaggi, concimazioni, ecc.). Dei tre livelli gerarchici (classe, sottoclasse e unità) proposti dalla classificazione si considerano solo le classi di capacità d'uso che raggruppano sottoclassi che possiedono lo stesso grado di limitazione o rischio. Sono designate con numeri romani dall'I all'VIII in base al numero ed alla severità delle limitazioni e sono definite come segue. Le sottoclassi di capacità d’uso sono indicate con una o più lettere minuscole, apposte dopo il numero romano che indica la classe: segnalano se la limitazione, la cui intensità ha determinato la classe d’appartenenza, è dovuta a proprietà del suolo (s), ad eccesso idrico (w), al rischio di erosione (e) o ad aspetti climatici (c).

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Suoli adatti all'agricoltura: Classe I: Suoli che presentano pochissimi fattori limitanti il loro uso e che sono quindi utilizzabili per tutte le colture. Classe II: Suoli che presentano moderate limitazioni che richiedono una opportuna scelta delle colture e/o moderate pratiche conservative. Classe III: Suoli che presentano severe limitazioni, tali da ridurre la scelta delle colture e da richiedere speciali pratiche conservative. Classe IV: Suoli che presentano limitazioni molto severe, tali da ridurre drasticamente la scelta delle colture e da richiedere accurate pratiche di coltivazione. Suoli adatti al pascolo e alla forestazione Classe V: Suoli che pur non mostrando fenomeni di erosione, presentano tuttavia altre limitazioni difficilmente eliminabili tali da restringere l'uso al pascolo o alla forestazione o come habitat naturale. Classe VI: Suoli che presentano limitazioni severe, tali da renderle inadatte alla coltivazione e da restringere l'uso, seppur con qualche ostacolo, al pascolo, alla forestazione o come habitat naturale. Classe VII: Suoli che presentano limitazioni severissime, tali da mostrare difficoltà anche per l'uso silvo pastorale. Suoli inadatti ad utilizzazioni agro-silvo-pastorali Classe VIII: Suoli che presentano limitazioni tali da precludere qualsiasi uso agro-silvo-pastorale e che, pertanto, possono venire adibiti a fini creativi, estetici, naturalistici, o come zona di raccolta delle acque. In questa classe rientrano anche zone calanchive e gli affioramenti di roccia. Ulteriore suddivisione sono le Unità di capacità d’uso che meglio specificano la proprietà che maggiormente determina la limitazione d’uso:

La classe I non ha sottoclassi perché i suoli ad essa appartenenti presentano poche limitazioni e di debole intensità. La classe V può presentare solo le sottoclassi indicate con la lettera s, w, e c, perché i suoli di questa classe non sono soggetti, o lo sono pochissimo, all’erosione, ma hanno altre limitazioni che ne riducono l’uso principalmente al pascolo, alla produzione di foraggi, alla selvicoltura e al mantenimento dell’ambiente. Gli schemi e le tabelle interpretative utilizzate, proposte per la Regione Calabria (ARSSA,2003), integrate con quelle elaborate per l’intero territorio Italiano (MPAAF, 2006) sono riportate nell’Allegato 1. L’applicazione della metodologia all’area indagata mostra come le minori limitazioni alla messa a coltura dei

s – limitazioni dovute al suolo profondità utile per le radici tessitura scheletro pietrosità superficiale rocciosità fertilità chimica dell’orizzonte superficiale salinità drenaggio interno eccessivo

w – limitazioni dovute all’eccesso idrico drenaggio interno rischio di inondazione

e – limitazioni dovute al rischio d’erosione e di ribaltamento delle macchine agricole

pendenza erosione idrica superficiale erosione di massa

c – limitazioni dovute al clima interferenza climatica

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suoli si accentrino lungo la costa (unità 4.1 e 4.3). Fatto salvo le aree più prossime al mare, le dune litoranee con forti limiti dovuti alla tessitura grossolana tale da ridurre fortemente la capacità di alimentazione idrica delle colture (classe IV), le rimanenti aree si presentano come le più adeguate alla messa a coltura con suoli privi di limitazioni (classe I) o moderatamente limitati da spessori non ottimali frequentemente ridotti dalla presenza in profondità di materiali granulometricamente grossolani che ne riducono la capacità di ritenzione dell’acqua. Altre possibili limitazioni sono riconducibili a quei suoli più antichi ed evoluti sui terrazzi costieri più rilevati con reazione acida a cui localmente possono associare condizioni di limitato sviluppo radicale per l’elevata densità degli orizzonti più profondi e le conseguenti difficoltà di drenaggio connesse (classe III). Diversamente, nell’ambito collinare le potenzialità sono drasticamente ridotte: lo scarso spessore dei suoli e l’intensità dei processi erosivi in atto o potenziali sono tali da renderli inadatti alla coltivazione (classi VI-VII) se non addirittura tali da precludere alcuna attività anche solo silvo-pastorale (classe VIII). Il possibile utilizzo agricolo, seppur fortemente limitato, è principalmente relegato ai rilievi più prossimi alla costa sulle superfici meno acclivi o in paesaggi meno aspri (sistema pedologico 6) dove allo spessore relativamente maggiore dei suoli (profondità moderata) si associano caratteri chimici sfavorevoli, quali la reazione alcalina e il possibile accumulo di sali in profondità e talora le tessiture eccessivamente fini cui si associano diffusi fenomeni franosi superficiali.

Tabella 13 - Attribuzione delle classi attitudinali di LCC delle unità cartografiche pedologiche

Unità cartografica Tipo di suolo Classe di Capacità d’uso 4.1 Haplic Eutric Cambisols I

Calcari Fluvic Cambisols IIIs Haplic Phaeozem IVs Cutanic Luvisols (Dystric&Chromic) IIIs

4.3 Calcari Fluvic Cambisols IIs Skeleti Calcaric Fluvisols IIIs

6.2 Eutri-Arenic Regosols IVes Haplic Calcisols IIs

6.4 Hapli- Eutric Cambisols IVes Roccia nuda VIII

6.5 Hapli-Vertic Calcisols IIIes Hapli-Calcaric Cambisols IIs

6.6 Calcari-Hyposodic Regosols VIew 6.9 Hapli Eutric Leptosols VIes/VIII 9.7 Hapli Calcaric Leptosols IVes

Hapli Eutric Cambisols IIs 9.10 Hapli Calcaric Leptosols VIes/VIII 13.6 Areni Leptic Umbrisols VIIes

Hapli Dystric Cambisols VIIes/VIII

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6.2.2. Attitudine alla coltivazione degli agrumi Una agrumicoltura di qualità deve essere preceduta da una oculata analisi dell’ambiente in cui le piante devono vegetare e produrre: clima, suolo e qualità dell’acqua irrigua sono sicuramente i principali fattori da considerare soprattutto in vista della scelta del portainnesto. Se si possono trascurare i requisiti climatici, stante la diffusione e la tipicità delle colture agrumicole nella zona, diversamente i caratteri legati al suolo e alla qualità dell’acqua paiono essere discriminanti nella possibilità di zonizzare in termini potenzialità d’uso l’area considerata. Tenuto conto che molte degli impianti di bergamotto utilizzano l’arancio amaro come portainnesto si è fatto riferimento a condizioni mediamente ottimali per la coltura degli agrumi (tabella sottostante) come riferimento anche per le colture di bergamotto.

Tabella 14 - Requisiti ottimali per la coltivazione degli agrumi

REQUISITI CONDIZIONI Climatici Temperatura > 3°C; < 30°C Temperatura minima assoluta 0 - 1°C Umidità atmosferica > 50% Precipitazioni Integrabili dall’irrigazione fino a 900-1.000 mm anno-1 Pedologici Profondità > 60 cm Tessitura franca o tendenzialmente tale Permeabilità 50 - 150 mm h-1 Drenaggio buono Disponibilità di ossigeno elevata e costante Reazione (pH) preferibilmente 6,5 - 7,5 Salinità del suolo su arancio amaro < 3,5 dS m-1 Calcare attivo su arancio amaro < 10% Gestionali

Salinità dell’acqua irrigua su arancio amaro < 3,0 dS m-1 su citrange < 2,0 dS m-1

Da un punto di vista nutrizionale gli elementi maggiormente utilizzati dagli agrumi sono, come segnalato dalla tabella sottostante indicativa delle asportazioni di un aranceto con produzione di circa 30t: azoto, calcio e potassio; il fosforo è necessario in quantità minori. I microelementi (zinco, manganese, magnesio, ferro, ecc.), pur se necessari in modesta quantità, incidono molto sull’armonia vegeto-produttiva delle piante e sulla qualità dei frutti. Nei riguardi del suolo, gli agrumi si adattano a molte tessiture: i migliori risultati si ottengono nei suoli franchi mentre sfavorevoli sono i suoli con maggior contenuto in particelle fini (limo e argilla), in cui il lento smaltimento idrico provoca problemi di asfissia e parassitari. Tabella 15 - Asportazioni (in Kg) di elementi in un aranceto in Sicilia con una produzione di circa 30t (ARSSA,2003)

Asportazioni e perdite N P K Ca Mg

Frutti 42,0 7,5 45,0 17 10,5

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Potatura 29,0 1,0 4,5 66,5 2,0

Altre 100,0 4,5 25,0 41,5 6,0

TOTALE 171,0 13,0 74,5 125,0 18,5 Gli agrumi sono piante molto sensibili alla carenza di ossigeno in condizioni asfittiche, come può verificarsi nei suoli argillosi, l'apparato radicale, alla ricerca di ossigeno, tende a svilupparsi superficialmente; decisamente non adatti sono pertanto suoli a forte componente limosa o argillosa (> 60% valutata nell’insieme). Alle tessiture grossolane si associa invece una scarsa ritenzione idrica e minerale (bassa CSC) e costringono a maggiore attenzione colturale. La reazione più rispondente è quella di suoli neutri o subalcalini (campo di variazione del pH: 6,5 - 7,5) sebbene l’arancio amaro quale portainnesto tolleri i suoli calcarei e conseguenti condizioni più alcaline sino a pH attorno a valori di 8,0-8,2. Suoli con valori di pH superiori a 8,4 e inferiori a 6,0 sono inospitali. Per quanto concerne il contenuto di carbonati si è fatto riferimento comunque al loro contenuto totale, dato disponibile per l’area in letteratura solo in termini qualitativi, piuttosto che a quello, da un punto di vista produttivo, più rispondente della componente attiva e fine. Per ovviare a ciò si è tenuto conto delle tessiture prevalenti nei suoli e negli orizzonti sottosuperficiali, ipotizzando una quota parte del totale maggiore quanto più fine è la tessitura. Inoltre si è presa in considerazione la sola salinità del suolo facendo riferimento all’arancio amaro che come portainnesto presenta una minore sensibilità, e trascurando invece la qualità delle acque irrigue di cui non si dispone di alcuna informazione. Infine, nella stima dei diversi livelli di adattabilità degli agrumi al territorio si è tenuto conto anche della giacitura considerando la quota altimetrica e la pendenza quali fattori limitanti.

Tabella 16 - Adattabilità degli agrumi in relazione ad alcuni caratteri funzionali del clima in Sicilia. Andando verso nord sono necessari aggiustamenti dipendenti dalla latitudine. (ARSSA,2003)

Parametro S1 S2 S3 N Temperatura (range annuale in °C)

2 30

0 - 2 31 - 35

-2 - 0 36-45

< -2 > 45

Altimetria (m s.l.m.) 0 - 100 100 - 250 250 - 350 > 350

Tabella 17 - Adattabilità degli agrumi in funzione di caratteristiche pedologiche e territoriali (ARSSA,2003 modif.)

Parametro S1 S2 S3 N Profondità (cm) > 70 70-40 40-30 < 30

Tessitura

Franca Franco sabbiosa Franco argilloso sabbiosa

Sabbiosa Sabbioso franca Franco argillosa Argilloso sabbiosa

Franco limosa Franco argilloso limosa

Argillosa Limosa Argilloso limosa

Permeabilità (mm h-1) 50 - 150 15 - 50

> 150 5 - 15 < 5

Drenaggio Da normale a rapido Ostacolato Reazione (pH) 6,0 - 7,5 5,5 - 6,0 ÷ 7,5 - 8,4 < 5,5; > 8,4 Calcare attivo (%) arancio amaro < 7 8 - 10 11 - 12 > 12 Pendenza (%) < 15 15 - 25 25 - 30 > 30 Altitudine (m s.l.m.) >300

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L’altitudine interagisce con il clima, in relazione con la latitudine, influenzando qualitativamente e quantitativamente la produzione dei frutti: in genere si stima un’altitudine massima prudenzialmente non superiore ai 350 m s.l.m. Le possibilità di successo colturale, alla stessa altitudine, si riducono dal 37° al 40° parallelo, considerando in generale per gli agrumi, con molta approssimazione, che l’innalzamento di 100-120 m corrisponda alla variazione di un grado di parallelo. Le condizioni di acclività migliori si verificano su superfici lievemente inclinate, tale da facilitare lo sgrondo delle acque senza creare problemi di erosione superficiale alla coltura. All’aumentare del valore della pendenza si verificano una serie di problemi relativi alle operazioni colturali, all’erosione, ai tempi di movimento degli uomini e delle macchine. A questo riguardo si è fatto riferimento anche alle valutazioni svolte in ambito di capacità d’uso dei suoli. Nell’area considerata (v. Tav. 5 in Appendice 2), l’applicazione dei criteri su riportati, porta all’evidenziazione che gran parte delle aree attorno al sito del progetto presentano una scarsa o nulla attitudine alla coltura degli agrumi. Le principali limitazioni riguardano inevitabilmente gli aspetti più territoriali nell’ambiente collinare interno (Provincie Pedologiche 9; 13): quote elevate e acclività accentuate sono principali limiti cui si associano suoli sottili, spesso facilmente erodibili e associati ad affioramenti del substrato e quand’anche nelle condizioni topografiche migliori si rinvengono suoli alternativamente limitati da un contenuto importante di carbonati o altrimenti (PP13) con reazioni tendenzialmente troppo acide. Anche nella collina più costiera, le unità territoriali più rappresentative e diffuse (Unità 6.6;6.9) presentano limitazioni tali da rendere del tutto inadeguata la coltura degli agrumi. L’unità 6.6 comprende un’area generalmente soggetta a frequenti movimenti franosi in cui i suoli, spesso associati all’affioramento del substrato, sono sottili e sviluppati su substrati argillosi da cui non solo ereditano tessiture fini ma anche una disponibilità di ossigeno mediocre o bassa; nelle condizioni più favorevoli all’utilizzo agricolo in virtù della minor acclività risentono anche di possibile accumulo in sali solubili in profondità che ne limita grandemente l’attitudine all’agrumicoltura. Analoghe problematiche si riscontrano nell’altra grande unità territoriale che compone la Collina Ionica (unità 6.9) dove nonostante suoli con tessiture più grossolane e drenaggio nettamente favorevole si riscontra un rilievo più aspro, con più intensi fenomeni erosivi associati anche alla maggiore erodibilità dei suoli il cui scarso spessore costituisce il limite principale non solo alle colture frutticole ma in generale all’utilizzo agricolo intensivo. Altre unità nel paesaggio collinare presentano invece a fianco di caratteristiche riportabili alle severe limitazioni di cui si è detto anche condizioni di una limitata propensione alla coltura agrumicola resa difficile da tessiture fini e permeabilità moderatamente basse su quei suoli sviluppatisi su argille marnose (unità 6.5) nei casi in cui la tessitura tende ad essere più limosa e minori sono i caratteri “vertici” dei suoli. Le parti di Collina più prossime, prospicienti alla costa, sono anche quelle che presentano una relativamente migliore attitudine (Unità 6.4; 6.2). La generale minore acclività del rilievo, tende ad associarsi ad una maggiore, sebbene non ottimale, profondità dei suoli caratterizzati da tessiture medie o moderatamente grossolane ereditate dai substrati sabbiosi miocenici e pliocenici che garantiscono condizioni di buona aereazione e drenaggio: limiti maggiori sono il possibile accumulo di carbonati in profondità e conseguente reazione sub alcalina discosta dalla neutralità. Le migliori attitudini si riscontrano lungo la costa e nei fondovalle dei principali corsi d’acqua (Provincia Pedologica 4). La maggiore limitazione di questi ambienti è costituita dallo spessore dei suoli spesso ridotto dall’elevato contenuto di materiale grossolano (alluvionale), che determina un drenaggio eccessivo; poche le situazioni dove le limitazioni dipendono dalla reazione tendenzialmente sub acida (Cutanic Luvisols), mentre è possibile riscontrare più diffusamente limiti dovuti alla presenza di carbonati in profondità, che stante la grossolanità dei materiali non costituiscono una forte limitazione (Calcari Fluvic Cambisols). Le aree più prossime ai corsi d’acqua e nell’ambiente più litoraneo sono quelle con minor attitudine stante principalmente la scarsa profondità del suolo e un drenaggio eccessivamente rapido.

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Tabella 18 - Attribuzione delle classi attitudinali e delle principali limitazioni delle unità cartografiche pedologiche

Unità cartografica

Tipo di suolo Classe di attitudine

Principali limitazioni

4.1 Haplic Eutric Cambisols S1 Calcari Fluvic Cambisols S2 profondità, permeabilità Haplic Phaeozem S3 profondità Cutanic Luvisols

(Dystric&Chromic) S2 reazione

4.3 Calcari Fluvic Cambisols S2 carbonati in profondità Skeleti Calcaric Fluvisols S3 profondità, permeabilità alta 6.2 Eutri-Arenic Regosols S2 profondità, acclività Haplic Calcisols S2 profondità, acclività, calcare in profondità 6.4 Hapli- Eutric Cambisols S2/S3 profondità, acclività Roccia nuda N acclività, spessore 6.5 Hapli-Vertic Calcisols S3/N tessitura mod.fine, permeabilità bassa,

salinità e carbonati in profondità, drenaggio mediocre.

Hapli-Calcaric Cambisols S3 tessitura limosa, permeabilità moderatamente bassa

6.6 Calcari-Hyposodic Regosols N tessitura fine, caratteri vertici, drenaggio, spessore, salinità in profondità

6.9 Hapli Eutric Leptosols N acclività, spessore 9.7 Hapli Calcaric Leptosols S3/N quota, spessore, assenza di suolo Hapli Eutric Cambisols S3 quota, carbonati in profondità 9.10 Hapli Calcaric Leptosols N quota, acclività, spessore 13.6 Areni Leptic Umbrisols N(S3) quota, acclività, spessore, reazione Hapli Dystric Cambisols N(S3) quota, acclività reazione

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7. ANALISI DEGLI ELEMENTI DI INCIDENZA DEL PROGETTO

7.1. VALUTAZIONE DEL QUADRO PROGETTUALE Si forniscono nel presente paragrafo ulteriori elementi, mirati alle necessità di una valutazione delle criticità e degli elementi di incidenza dell’intervento in progetto. 7.1.1. Sintesi delle prestazioni energetiche ed ambientali della Centrale La Tabella sottostante riassume i dati essenziali dell’impianto, nella configurazione di progetto di massima (senza cattura della CO2) e comprendente la produzione elettrica della turbina che sfrutta il salto di scarico a mare dell’acqua di raffreddamento dei condensatori.

Tabella 19 – Centrale di Saline Joniche – Scheda tecnica riepilogativa (dati fisici, prestazioni, consumi, emissioni)

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La tabella sottostante sintetizza il bilancio di massa delle emissioni in atmosfera.

Tabella 20 – Centrale di Saline Joniche – Scheda tecnica riepilogativa dati annuali composti emessi in atmosfera 7.1.2. Qualità dell’aria e ricadute al suolo degli inquinanti: risultati di simulazioni

prodotte nel SIA con l’uso di modelli Camini caldaie Le concentrazioni massime orarie, giornaliere e medie annue simulate per tutti gli inquinanti considerati sono sintetizzate nelle tabelle riassuntive fornite nel SIA (Tabella 4.45 a 4.50), in termini dei valori massimi stimati per l’area di studio nel suo complesso e di quelli attesi nei ricettori discreti localizzati in corrispondenza dei principali insediamenti urbani presenti nell’area stessa. Con riferimento agli ossidi di azoto e al biossido di zolfo si riportano anche i valori dei percentili 99,8° e 99,7° delle concentrazioni medie orarie, che corrispondono rispettivamente al numero massimo di 18 e 24 superamenti orari consentiti all’anno per tali inquinanti dai limite di qualità dell’aria per la protezione della salute umana. Le corrispondenti mappe che descrivono la distribuzione spaziale nell’area dei valori stimati, in termini di linee di isoconcentrazione, sono riportate in apposite tavole incluse nell’Allegato Cartografico dello Studio d’Impatto Ambientale. Il ruolo complessivo dell’impianto di progetto sulla qualità dell’aria, valutato in termini delle distribuzioni delle concentrazioni attese nell’area di studio, appare in linea con le caratteristiche operative dello strumento di simulazione utilizzato, costituito da un modello tridimensionale non stazionario basato su un approccio a “puff” per la trattazione delle situazioni di orografia complessa e ambito costiero, e con la meteorologia del sito. Quest’ultima, alla quota dei camini delle caldaie, mostra componenti anemologiche prevalenti provenienti dai quadranti tra Nord-Ovest e Sud-Est: in termini medi annuali, pertanto, le aree di maggior influenza dell’impianto risultano così prevalentemente disposte lungo le direzioni Nord-Ovest e Sud-Est. I valori massimi di concentrazione attesi tendono a posizionarsi sulla terraferma nell’area collinare a Nord Ovest dell’insediamento per effetto della presenza di rilievi orografici e perché le condizioni di instabilità atmosferica che generano fenomeni di rapido abbattimento del pennacchio sono generalmente associate a venti che soffiano da mare verso terra, come evidenziato dall’analisi meteorologica (per maggiore dettagli si rimanda al capitolo 4.1). Le condizioni di maggiore stabilità che caratterizzano l’atmosfera sopra il mare determinano ricadute meno consistenti che interessano essenzialmente l’area a Sud Est dell’impianto. Le massime concentrazioni annue di NO2, SO2 e CO sono dell’ordine di alcuni microgrammi al metro cubo (1,8 μg m-3 per NO2 ed SO2, 2,8 μg m-3 per CO); quelle di PM10 e PM2,5 si attestano rispettivamente su livelli pari a 0,25 e 0,15 μg m-3, con un rapporto PM2,5/PM10 pari a 0,6. Per i restanti microinquinanti, le massime concentrazioni annue sono pari a 0,00006 μg m-3 per Hg, 0,0002 μg m-3 per Cd e 0,0045 μg m-3 per il Pb. Per quanto riguarda gli ossidi di azoto, la stima si basa sull’ipotesi particolarmente cautelativa di completa conversione di NOx a NO2. Si può ipotizzare un rapporto tra NO2 e NOx, in accordo con indicazioni di letteratura (US-EPA – Guideline on air quality models), un valore pari a 0,7536. Sulla base di quest’ultima ipotesi, la massima concentrazione media annuale di NO2 si attesta attorno a 1,4 μg m-3.

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Le concentrazioni di breve periodo, medie giornaliere, medie orarie e relativi percentili estremi (99,7° per SO2 e 99,8° per NO2), stimate per i soli macroinquinanti oggetto dei limiti di qualità dell’aria presentano una maggiore variabilità spaziale pur ricadendo sempre a Nord Ovest dell’impianto. Le massime concentrazioni medie giornaliere e le massime concentrazioni medie orarie risultano ricadere rispettivamente ad una distanza di circa 3,5 km e i 3,2 km dai camini in direzione Nord-Ovest rispetto all’impianto; i massimi valori dei percentili 99,7° e 99,8° delle concentrazioni orarie cadono nel medesimo punto in cui si stimano le massime concentrazioni medie annuali. Per quanto riguarda le concentrazioni medie giornaliere si stimano un valore massimo di SO2 pari a 44 μg m-3 ed uno di PM10 pari a 5,9 μg m-3; per le concentrazioni medie orarie si stima un valore massimo di CO pari a 531 μg m-3. Il massimo percentile 99,7° delle concentrazioni orarie, di interesse per l’SO2, è pari a 125 μg m-3, mentre il massimo percentile 99,8° delle concentrazioni orarie, di interesse per l’NO2, è pari a 132 μg m-3. Analogamente alla concentrazione media annua, quest’ultimo valore è stato ottenuto sulla base dell’ipotesi cautelativa di completa conversione di NOx a NO2; ipotizzando un rapporto NO2/NOx

pari a 0,75 si ottiene per il massimo percentile 99,8° di NO2 una concentrazione dell’ordine di 100 μg m-3. Le valutazioni relative alle concentrazioni medie annue e quelle realative a tempi di integrazione di breve periodo concordano nell’indicare nell’entroterra a Nord Ovest dell’impianto come l’area maggiormente interessata dalle ricadute delle emissioni dell’impianto stesso. I valori massimi di deposito di microinquinanti, essenzialmente governati dal fenomeno di deposizione umida ad una distanza di circa 500 m dall’impianto. I valori di deposito annuo variano da qualche decimo di milligrammo per metro quadro, stimati per Cd, As e Ni, a circa 3 mg m-2 per il piombo. L’analisi relativa alle ricadute nei principali centri abitati dell’area di studio per lo scenario di progetto indica in Fucidà e Acone le località maggiormente interessate dalle emissioni dell’impianto, con valori di concentrazione dei diversi inquinanti che non si scostano sensibilmente dai valori massimi stimati nei punti del dominio di calcolo. Sorgenti minori di polveri La valutazione dell’impatto delle sorgenti minori di polveri, limitata ad un’area più ristretta nelle immediate vicinanze dell’impianto, date le ridotte altezze di tali punti di emissione, indica le massime concentrazioni medie annue di PM10 e PM2,5, rispettivamente pari a 1,3 μg m-3 e 0,8 μg m-3; e la massima concentrazione media giornaliera di PM10 pari a 8,3 μg m-3. Complessivamente, l’impatto delle emissioni di polveri dell’impianto è sostanzialmente determinato dalle sorgenti minori e si manifesta pertanto nelle immediate vicinanze dell’impianto stesso. I valori massimi e la relativa localizzazione delle concentrazioni complessive di PM10 e PM2,5 sono riassunti nel SIA in Tabella 4.39: le massime concentrazioni medie annue di PM10 (1,4 μg m-3) e PM2,5 (0,8 μg m-3) sono praticamente coincidenti con quelle determinate dalle sole sorgenti minori41. La massima concentrazione media giornaliera risente invece sia delle emissioni delle sorgenti minori sia di quelle dei camini principali e sia attesta attorno a 10 μg m-3. Occorre tuttavia sottolineare che quest’ultima valutazione è particolarmente cautelativa in quanto i valori massimi giornalieri dovuti alle emissioni dei camini principali e quelli delle sorgenti minori non sono necessariamente temporalmente coincidenti. Analisi dei risultati e confronto con i limiti di legge ed i valori misurati Il ruolo atteso delle emissioni dell’impianto sulla qualità dell’aria nello scenario emissivo di progetto è stato interpretato inquadrando i risultati ottenuti dalla simulazione modellistica in termini degli standard di riferimento attualmente in vigore e dei livelli di concentrazione misurati nell’area. La verifica è stata effettuata sulla base dei limiti riassunti nel SIA nella Tabella 4.40 A e B con riferimento ai valori massimi stimati per i parametri considerati dai limiti di qualità dell’aria per i diversi inquinanti. I risultati del confronto con i valori limiti mostrano l’assenza di situazioni di superamento dei limiti di qualità dell’aria in tutta l’area e per tutti gli inquinanti esaminati. In particolare, nel caso dell’SO2 i valori massimi stimati per la media annuale (1,8 μg m-

3), per la media giornaliera (44 μg m-3) e per il percentile 99,7° delle concentrazioni medie orarie (125 μg m-3)

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sono sensibilmente inferiori a corrispondenti valori limite. Per quanto riguarda gli ossidi di azoto, anche nell’ipotesi cautelativa di totale conversione di NOx a NO2, i valori massimi stimati risultano inferiori ai limiti di qualità dell’aria, con un margine estremamente ampio per la media annuale (1,8 μg m-3 rispetto a 40 μg m-3) e più contenuto per il 99,8° percentile delle concentrazioni medie orarie (132 μg m-3 rispetto a 200 μg m-3). Con più realistiche ipotesi di parziale conversione di NOx a NO2, dell’ordine del 75%, i margini si allargano ulteriormente ed in particolare per il limite sulle concentrazioni orarie diventa dell’ordine di circa 100 μg m-3 (100 μg m-3 rispetto a 200 μg m-3). Analoghe considerazioni valgono per il PM10, con il contributo dell’impianto in termini medi annui di oltre due ordini di grandezza inferiore rispetto al limite (0,25 μg m-3 rispetto a 40 μg m-3) ed un margine più contenuto, ma ugualmente significativo per le concentrazioni medie giornaliere (5,9 μg m3 rispetto a 50 μg m-3). Per quanto riguarda il CO, i massimi valori orari di concentrazione stimati sono dell’ordine di 0,5 mg m-3 che si confrontano con un valore limite, relativo alla massima concentrazione media di 8 ore, di 10 mg m-3: si può pertanto affermare che il contributo dell’impianto è sempre largamente inferiore al limite di legge. Per il Piombo e per gli altri microinquinanti (Cd, As, e Ni) il contributo dell’impianto in termini di massima concentrazione media annua risulta sempre inferiore ai corrispondenti valori limite e valori obiettivo. I valori stimati sono da almeno 20 volte (nel caso di Cd e Ni) a 50-100 volte (nel caso di Pb e As) inferiori ai corrispondenti valori di riferimento. Il confronto tra il contributo atteso dell’impianto ed i livelli attuali delle concentrazioni dei priincipali inquinanti (NO2, SO2 e polveri) può essere effettuato unicamente in termini di concentrazioni medie annue in quanto i dati disponibili a tale scopo sono relativi a periodi limitati e soprattutto si rifericono a tempi di integrazione tali da non consentirne l’utilizzo ai fini della valutazione del rispetto dei limiti di qualità dell’aria di breve periodo. Come illustrato in dettaglio al capitolo relativo alle campagne di qualità dell’aria, per NOx e SO2 sono disponibili, per tutti i punti recettori di campionamento, i dati medi settimanali per 4 + 4 settimane (prima campagna: 18/07/07-16/08/07; seconda campagna: 11/10/07-11/11/07), mentre per le polveri (PM10 e PM2,5) sono disponibili, nel punto di campionamento 0 (interno all’area industriale), i dati medi giornalieri misurati durante due campagne di misura da 2 settimane ciascuna (prima campagna: 25/07/07-07/08/07; seconda campagna: 25/10/07-07/11/07). Per NO2 e SO2, una stima della concentrazione media annua di fondo dell’area in ogni punto di campionamento è stata ottenuta dalla media aritmetica dei valori di concentrazione rilevati durante le campagne di misura. Tali valori sono stati confrontati con le corrispondenti concentrazioni medie annue stimate come contributo dell’impianto dalla simulazione modellistica, anche se tale confronto risulta comunque parziale, in quanto il dato misurato, riferito ad un periodo di solo 2 mesi, potrebbe non descrivere l’effettivo valore della concentrazione media annuale di fondo. Per quanto riguarda l’NO2, nei punti di campionamento il contributo delle emissioni della centrale di progetto risulta mediamente pari al 6% delle concentrazioni di fondo misurate, con valori compresi tra l’1% e il 22%. Con più realistiche ipotesi di parziale conversione di NOX a NO2, dell’ordine del 75%, il contributo dell’impianto costituisce una percentuale pari al 5% come dato medio su tutti i punti di campionamento, con valori che variano tra l’1% e il 17%. Sommando i valori attesi come contributo delle emissioni della centrale ai valori misurati nei punti di campionamento, si ottiene una stima dei livelli di concentrazione media annua da attendersi dopo la realizzazione dell’impianto: tali livelli si attestano mediamente sui 13,4 μg m-3, variando tra 5,5 μg m-3 e 26,1 μg m-3 e rappresentano mediamente percentuali del limite di legge (40 μg m-3) pari a 34% (massimo 65%, minimo 14%). Anche considerando una conversione di NOx a NO2 pari al 75%, i valori e le percentuali sopraindicati non presentano variazioni, dal momento che i livelli attesi come contributo dell’impianto sono in ogni caso decisamente più contenuti rispetto a quanto misurato.

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Per l’SO2, il contributo delle emissioni della centrale di progetto nei punti di campionamento risulta mediamente pari al 34% delle concentrazioni di fondo misurate, con valori compresi tra il 4% fino al 200%. Tali contributi sono più elevati rispetto a quanto emerso per gli NO2 solo per il fatto che i livelli di fondo di SO2

misurati risultano decisamente contenuti (valore medio dei punti di campionamento 2,5 μg m-3, con un massimo di 4,9 μg m-3 e un minimo di 0,7 μg m-3). Sommando i valori attesi come contributo delle emissioni della centrale ai valori misurati nei punti di campionamento, si ottengono livelli totali di SO2 dopo la realizzazione della centrale che si attestano mediamente sui 3,1 μg m-3, variando tra 1,6 μg m-3 e 5,6 μg m-3 e che rappresentano mediamente percentuali del limite di legge (20 μg m-3) pari al 16% (massimo 28%, minimo 8. Per quanto riguarda le polveri, i dati misurati disponibili si riferiscono ad un solo punto di campionamento, situato all’interno dell’area di futuro insediamento dell’impianto. Le due campagne effettuate hanno fornito complessivamente 28 dati di concentrazione media giornaliera di PM10 e PM2,5 da cui è possibile stimare le corrispondenti concentrazioni medie annue, pari a 54,5 μg m-3 per il PM10 e a 16,8 μg m-3 per il PM2.5. Tali stime risentono tuttavia in forte misura di alcuni valori estremi di concentrazione rilevati durante alcuni giorni della seconda campagna caratterizzati da fenomeni di trasporto a lunga distanza di polveri, che hanno una frequenza di accadimento piuttosto limitata nell’arco dell’anno. Escludendo questi valori si ottengono stime più realistiche delle concentrazioni medie annue di PM10 e PM2,5, rispettivamente pari a 26,0 μg m-3 e a 11,2 μg m-3. Il contributo dell’impianto dovuto alle emissioni dei due camini principali calcolato per il punto di campionamento (0,07 μg m-3), così come la massima concentrazione media annua calcolata nei punti griglia del dominio di calcolo (0,25 μg m-3) rappresentano frazioni del tutto trascurabili rispetto ai valori misurati, tali da non alterare gli attuali livelli di concentrazione. Il ruolo delle sorgenti minori, la cui influenza è in ogni caso limitata all’intorno dell’impianto, con stime ampiamente cautelative dei valori massimi di concentrazione media annua dell’ordine di 1,3 μg m-3 per il PM10 e di 0,8 μg m-3 per il PM2,5, non risulta tale da modificare in maniera apprezzabile gli attuali livelli medi di polvere. Il contributo aggiuntivo associato all’esercizio dell’impianto per il complesso delle emissioni di polveri non appare pertanto in grado di dar luogo al superamento del limite annuo di concentrazione. Per quanto riguarda i depositi dei microinquinanti i risultati della simulazione modellistica possono essere intrepertati alla luce delle stime dei valori di carico limite e delle attuali eccedenze ricavati dalle mappe EMEP relative all’intero territorio nazionale. Per l’area in esame tali mappe sono disponibili solamente per Pb e Cd ed indicano rispettivamente carichi limite annuali compresi tra 5,1 e 11,58 g ha-1 anno-1 e tra 5,8 e 12,5 g ha-1

anno-1; le stime delle eccedenze indicano valori compresi tra 0,1 e 222 g ha-1 anno-1 per il Pb e nessuna eccedenza per il Cd. Il contributo dell’impianto in termini di deposito totale annuo, come valore medio nell’intera area di studio, è pari a 1,5 g ha-1 anno-1 per il Pb e a 0,06 g ha-1 anno-1 per il Cd. Quadro delle emissioni complessive della Centrale Le Tabelle 21 e 22 riportate nel seguito comprendono sia le emissioni dai camini, sia le emissioni di polveri a valle dei sistemi di captazione posti lungo le linee di movimentazione dei materiali solidi, negli impianti di preparazione e nei depositi. Le emissioni totali di polveri da tutti i punti di emissione minori (esclusi dunque i due camini) ammontano a circa 10,3 t/a.

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Tabella 21 – Quadro complessivo delle emissioni in atmosfera – Emissioni da camino

Tabella 22 – Quadro complessivo delle emissioni in atmosfera – Punti di emissione minori

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7.2. SUOLI: PRESSIONI PRODOTTE Per ciò che concerne i suoli, gli elementi di potenziale incidenza del progetto vengono nella presente parte ricondotti alle possibili pressioni dovute a: • ricadute delle emissioni dell’impianto in termini di composti acidificanti (NOx, SO2); • apporti in termini di metalli pesanti, in particolare di quelli connessi alla ricaduta delle polveri atmosferiche

derivanti dai processi di combustione del processo industriale. 7.2.1. L’acidificazione L’acidificazione dei suoli è un processo spontaneo correlato alla reazione dei protoni in soluzione con i componenti attivi nello scambio dei cationi. I protoni derivanti dalla dissoluzione degli acidi che entrano nel sistema suolo possono non reagire, causando una diretta diminuzione del pH, oppure scambiarsi con i cationi trattenuti dai colloidi organici o minerali che, passando in soluzione, possono essere dilavati, o ancora possono reagire con i minerali primari o gli idrossidi, determinando ancora il rilascio di cationi a fronte della formazione di acidi, quali quello carbonico, silicico, oppure acqua. La complessità del processo è resa dal fatto che le reazioni di scambio possono essere reversibili e pertanto non può essere misurato da un singolo parametro. Il pH, misura dell’equilibrio acido – base che si istaura tra matrice e soluzione del suolo, è un parametro che si è rivelato controllare l’intensità dell’alterazione dei minerali e la lisciviazione dei cationi e dei nutrienti, ma non sempre riesce a descrivere adeguatamente il processo di acidificazione, perché si verificano casi di apporti acidi al suolo senza modifica del pH, soprattutto in relazione all’effetto tampone esercitato da taluni composti. Tra questi i carbonati (provenienti dalla dissoluzione delle rocce calcaree) sono tra i composti più diffusi ed efficaci nella neutralizzare l’apporto acido per la facilità con cui rilasciano il catione (in genere calcio) legato al radicale carbonico. In loro assenza, il progressivo input di acidi (provenienti dalla sostanza organica, dai processi biologici o dell’alterazione minerale) o composti che reagendo nel suolo si comportano come tali (NOx, SO2, NHy, Cl- di apporto atmosferico), determina una diminuzione dei cationi legati al complesso di scambio, che vengono sostituiti con ioni acidi (H, Al) secondo l’equilibrio che si istaura con la soluzione circolante nel suolo. Il procedere del processo con la progressiva diminuzione dei cationi e la conseguente maggior saturazione del complesso di scambio con ioni acidificanti può arrivare a determinare nella soluzione circolante nel suolo livelli biologicamente tossici di questi ultimi. Il tasso di saturazione (dato dal rapporto tra il contenuto di cationi scambiabili e la capacità di scambio cationica) è per tanto un indice della elasticità del suolo a reagire all’apporto acido. Lo stato di acidificazione di un suolo può pertanto essere giudicato considerando i parametri citati di pH, saturazione in basi e il contenuto di carbonati. Inoltre il processo di acidificazione dipende anche dalla rapidità con cui i cationi sono rimossi dal suolo in relazione sia alla quantità di acqua che ne fluisce attraverso, che alla capacità chimica di trattenere i cationi. Una stima di quest’ultima è data dalla misura della capacità di scambio cationico (CSC) mentre la prima dipende sostanzialmente dalle caratteristiche idrologiche interne e dal drenaggio dei suoli. Nell’area considerata, i suoli sono ampiamente caratterizzati da condizioni chimiche favorevoli alla riduzione

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dei possibili eventi acidificanti: le reazioni che caratterizzano la grande maggioranza dei tipi pedologici descritti è neutra o sub alcalina supportata frequentemente dalla presenza di carbonati nel profilo che se assenti in superficie sono presenti negli orizzonti sottosuperficiali in forme talora di accumulo ad indicare una costante ed importante presenza nel suolo negli ambiti costieri e collinari. Possibile debole riduzione alla capacità di resilienza dai processi di acidificazione può riscontrarsi nei casi limitati di suoli con scarsa capacità di scambio cationico, quelli cioè molto sottili e con tessiture moderatamente grossolane o grossolane: gli Haplic Phaeozems degli ambienti litoranei (unità 4.1), i Fluvisols scheletrici dei fondovalle (unità 4.3) e, in forme poco più critiche, sui terrazzi pleistocenici in presenza di suoli molto evoluti (Cutanic Luvisols) non calcarei con un tasso di saturazione in basi non uniformemente alto in tutto lo spessore di suolo (v. Capitolo 4 e figure alle pagine 53-54 e descrizioni delle unità fornite nello stesso capitolo). 7.2.2. Gli elementi in traccia La problematica connessa alla presenza dei cosiddetti metalli pesanti (meglio denominati elementi in traccia ET) nei suoli e alla eventuale tossicità, ha come fondamento il fatto che i suoli nella loro evoluzione dal substrato litologico presentano comunque un loro certo quantitativo che il più delle volte non è tossico per le componenti biologiche che si sviluppano in esso (vegetazione, pedofauna e flora, batteri e funghi) ma si rivela essere, in taluni casi, fondamentale per un loro equilibrato sviluppo. Proprio la variabilità geografica dei materiali parentali pedogenetici rende difficile la determinazione di un valore medio unico dei vari elementi contenuti nei suoli di uno specifico territorio che rappresenti il valore di riferimento cui ricondurre l’eventuale valutazione dell’apporto dovuto all’attività antropica; sebbene si ritrovino in letteratura valori medi della quantità di questi elementi, la loro effettiva validità in ambiti territoriali circoscritti è messa in forse proprio dall’ampiezza del campo di variazione cui sono associati (v. Tabella alla pagina successiva). D’altra parte, come indicato in numerosi studi (v. “Centrali a carbone – Suolo e agricoltura” Nomisma – Libri per l’economia, AGRA Editrice, 2008) la presenza in natura di gran parte degli elementi è indispensabile per il nutrimento delle piante e delle colture; se questi elementi sono sotto una certa soglia, si può determinare scarsità di apporto nutrizionale per le piante. Pertanto la determinazione puntuale del contenuto di elementi in traccia non costituisce di per sé un valore di riferimento per ambiti territoriali più ampi del sito di prelievo e soprattutto in contesti ambientali più diffusamente e da più lungo tempo sottoposti a interferenze antropiche, non consente una precisa definizione dell’eventuale grado di contaminazione del suolo. Sebbene il contenuto totale di ciascuno elemento possa fornire un indicazione del carico specifico nel suolo, in genere il dato fornisce scarse informazioni circa il rischio di tossicità – o carenza - per le piante: la disponibilità per le piante dipende dalla specie di pianta e dalla forma del metallo, ma anche, in egual misura dalla mobilità potenziale di quest’ultimo nel suolo da cui dipende il trasferimento nel “sistema idrologico” (acque superficiali, interne al suolo e di falda); i fattori che controllano la mobilità del metallo agiscono egualmente sulla sua biodisponibilità.

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Tabella 23 - Contenuto totale di alcuni elementi in traccia presenti nel suolo (C.Colombo, in

“I metalli di origine agricola nei suoli e nelle acque sotterranee” E. Capri, M. Trevisan)

Elemento Contenuto medio* Intervallo di variazione** Elemento Contenuto medio* Intervallo di variazione** mg kg-1 di suolo

Ag 0.1 0.01-5 Mo 2 0.2-5 As 6 0.1-40 Mn 500 200-2000 B 10 2-100 Ni 40 10-1000 Be 6 0.1-40 Pb 10 2-200 Cd 0.6 0.01-2 Se 0.2 0.01-2 Co 8 1-40 Sn 10 2-200 Cr 100 5-3000 Zn 100 50-500 Cu 20 2-100 Zr 100 2-300 Hg 0.03 0.01-0.3 V 100 2-200 Li 30 7-200 Ti 200 80-1100

* valori medi di suoli di tipologie ed origine molto diverse; ** l’intervallo di variazione si riferisce ai valori più frequenti che si riscontrano in suoli di tipologie ed

origine molto diverse; 7.2.3. Comportamento dei metalli nel suolo I metalli nel suolo possono trovarsi come ioni in soluzione, composti puri (solidificati in seguito a fenomeni di precipitazione), legati nei siti di scambio di costituenti organici e inorganici, adsorbiti in modo specifico dalle varie componenti, chelati dalla sostanza organica, e nei reticoli cristallini dei minerali primari e secondari I metalli si trovano in soluzione sotto forma di ioni, complessi e chelati solubili. I chelanti solubili più frequenti sono i gruppi carbossilici, fenolici ed amminici delle sostanze umiche solubili (soprattutto acidi fulvici, aminoacidi e molecole aromatiche di basso peso molecolare), insieme ad ossidi e idrossidi di ferro ed alluminio, solfati, fosfati ed altri (Mc Lean, Bledsoe, 1992). I metalli in soluzione sono quelli che presentano problematiche più importanti, in quanto possono essere trasportati dalle acque fino alla falda o fino ai corsi d’acqua superficiali, e possono essere assorbiti dalle radici dei vegetali, entrando così nella catena alimentare. La fase in soluzione e la fase solida sono in equilibrio dinamico: al variare delle condizioni fisico-chimiche dei suoli i metalli disciolti possono precipitare sotto forma di composti puri o adsorbiti nei siti di scambio di numerose sostanze insolubili; la precipitazione, la coprecipitazione con altri metalli e l’adsorbimento sui siti di scambio delle varie componenti insolubili del suolo sono gli unici meccanismi in grado di ridurre la tossicità dei metalli nel suolo, a differenza dei composti inquinanti organici che possono essere degradati dall’attività microbica. La precipitazione e la co-precipitazione sono influenzate dalla concentrazione dei vari metalli e dal pH (ad esempio, al crescere del pH normalmente diminuisce la solubilità dei metalli). L’adsorbimento consiste nell’accumulo di ioni sulla superficie di colloidi organici o inorganici nel suolo, grazie alla presenza di cariche libere sulla loro superficie. Le particelle argillose del suolo spesso presentano una carica negativa permanente, grazie alla sostituzione isomorfa di Si4+ da parte di Al3+ nei foglietti tetraedrici, e di Al3+ da parte di Mg2+ e Fe2+ nei foglietti ottaedrici. Altre cariche negative dipendono dalla dissociazione pH-dipendente dei protoni dei gruppi funzionali organici. Al diminuire della concentrazione di ioni idrogeno (in pratica con l’aumento del pH) aumenta la carica negativa che attrae gli ioni metallici presenti in soluzione. Il metallo può essere legato stabilmente alla superficie della particelle (adsorbimento specifico) o debolmente (scambio cationico) (McLean, Bledsoe, 1992).

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Nell’adsorbimento specifico il legame forte è dovuto alle interazioni covalenti e ioniche che si formano tra il metallo e la superficie delle particelle. Questo legame è irreversibile, o reversibile con difficoltà, e dipende anche dal pH: è favorito da valori alti, mentre a bassi pH accade il contrario. Nell’adsorbimento aspecifico (scambio cationico) entrano in gioco solamente forze attrattive di tipo coulombiane più deboli. Anch’esso risentire solo in parte delle variazioni della reazione del suolo: la componente pH-dipendente è connessa principalmente alla formazione di cariche negative causata dalla dissociazione dei gruppi fenolici e carbossilici nell’humus e di gruppi OH e O negli idrossidi, mentre la quota parte indipendente è dovuta alla formazione di cariche negative create dalle sostituzioni isomorfe nei reticoli cristallini delle argille. Generalmente, a basse concentrazioni di metalli nel suolo si ha adsorbimento specifico; diversamente, con la saturazione dei siti di legame entrano in gioco i meccanismi dello scambio cationico: ne consegue che i suoli che presentano naturalmente una concentrazione di metalli elevata sono più vulnerabili all’inquinamento antropico, in quanto è probabile che i siti di adsorbimento specifico siano già occupati e quindi non resti che il meccanismo dello scambio cationico, più sensibile a variazioni ambientali. La sostanza organica possiede un’elevata capacità di scambio cationico, ed è anche in grado di complessare e chelare i metalli. Questo processo può avere un duplice effetto sulla biodisponibilità dell’elemento: se il complesso organo-metallico è solubile in fase liquida, l’aliquota biodisponibile del metallo sarà maggiore, mentre se il complesso è insolubile si determinare persino una carenza di metallo inglobato nella fase solida del suolo. 7.2.4. La mobilità dei metalli nei suoli Il pH, il potenziale redox e la competizione cationica sono i fattori principali che regolano la mobilità, e la conseguente biodisponibilità, dei metalli nel suolo. • pH: al diminuire del pH, come già detto, il numero dei siti carichi negativamente diminuisce, quindi cresce

la mobilità dei cationi. In condizioni alcaline accade l’inverso: in condizioni acide generalmente si ha una mobilizzazione della maggior parte dei metalli in forma cationica (una eccezione è il Cr (VI) di norma in forma anionica e quindi più mobile a pH basico), con una conseguente elevata tossicità ecologica ed una possibile intensificazione della contaminazione delle acque di falda. Gli ossidi, idrossidi, fosfati e carbonati dei metalli in traccia precipitano all’aumentare del pH.

• Potenziale redox (Eh, pE): molti degli elementi in traccia variano il loro stato di ossidazione in funzione delle condizioni redox del suolo. Generalmente si ritiene che i metalli presentino elevata mobilità a bassi valori di potenziale cioè in suoli idromorfi con condizioni riducenti o con scarsa disponibilità d’ossigeno diversamente da ambienti ossidanti (suoli ben drenati) ove possono presentare una minore mobilità.

• Competizione ed interazione tra cationi: quando i siti di adsorbimento specifico non sono saturi, i metalli sono adsorbiti in modo stabile, senza poter essere rimossi dagli elementi maggiori; quando viene raggiunta la saturazione, le reazioni di scambio dominano, e la competizione tra elementi maggiori ed elementi in traccia assume maggiore importanza (McLean, Bledsoe, 1992), con un conseguente aumento della mobilità a parità degli altri parametri. Ad esempio, nichel, cobalto, cadmio e rame sono in competizione con il calcio, e tendono a mobilizzarsi con l’aggiunta di calcio al suolo. Così pure si sono riportati relazioni possibili tra la mobilità dei metalli pesanti – e conseguente trasferimento negli organismi vegetali - e il rapporto Ca/Mg nel suolo i cui alti valori tendono a limitare l’assorbimento e la tossicità per le piante (ad es. del nichel)

• Sostanza organica: alti tenori in sostanza organica in condizioni ossidanti e da poco acide ad alcaline tendono a limitare la solubilizzazione dei metalli; in condizioni acide la tendenziale prevalere di acidi fulvici molto solubili aumenta la mobilità dei metalli in forma complessata.

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Altri fattori possono indirettamente influire sulla loro mobilità: • suoli sabbiosi tendono ad avere basse capacità di adsorbimento; diversamente suoli con tessiture argillose

presentando di norma maggior C.S.C. possono adsorbire e trattenere maggiori quantità di metalli; • ossidi di ferro e manganese costituiscono importanti agenti di coprecipitazione dei metalli a pH elevati

(McLean, Bledsoe, 1992); • infine i carbonati tendono a creare nel suolo un ambiente sub alcalino o alcalino e a conferire al suolo

maggiore capacità di reazione agli eventuali fenomeni di acidificazione;

Normalmente la mobilità dei cationi metallici nella soluzione acquosa dei suoli decresce in questo modo: Mg2+ = Ca2+ >Ag+ > Hg2+ >Mn2+ > Cd2+ > Ni2+ = Co2+ = Pb2+ >Be2+ > Zn2+ = Cu2+ > Cr3+ > Bi3+ > Sn4+ > Fe3+ >Zr4+ > Sb3+ (Kabata-Pendias e Pendias, 1984).

Tabella 24 - Mobilità di alcuni metalli nei suoli Mobilità relativa Condizioni ambientali

Ossidative Acide Neutre o alcaline Riduttive Molto alta Mo,V,U

Alta Mo,V,U,Zn Mo,V,U,Zn,Cu,Co,Ni,Hg Media Cu,Co,Ni,Hg,Cd Cd Cd Bassa Pb Pb,Fe,Mn Pb,Fe,Mn Fe, Mn

Molto bassa Fe,Mn,Pt Pt,Cr Pt,Cr,Zn,Cu,

Co,Ni,Hg Cr,Mo,V,U,Zn,Cu, Co,Ni,Hg,Cd,Pb

In definitiva i principali parametri che tendono ad influenzare il comportamento dei metalli nel suolo sono riconducibili • al pH che ne regola la solubilità facilitandola a valori bassi e indirettamente influenzando gli equilibri di

adsorbimento; • dal contenuto di sostanza organica che direttamente può interagire con i metalli (ad es. il piombo) e

favorirne l’assorbimento da parte delle piante in forme di complessi organici; • alla capacità di scambio cationico (CSC) principale filtro per i metalli, il cui valore dipende dal quantitativo

e dalla tipologia dei colloidi minerali e organici; • allo condizioni generali di ossido-riduzione (stimate in base alla permeabilità del suolo e al tipo di

drenaggio) che in relazione al diverso stato di ossidazione in cui il singolo elemento può presentarsi determinano uno differente specifico comportamento nel suolo. Molti ET sono relativamente più mobili in condizioni ossidative e sono trattenuti più intensamente in condizioni riducenti.

Comunque la concentrazione dei singoli elementi nell’orizzonte superficiale costituisce un parametro fondamentale nella valutazione del rischio di contaminazione. Nell’area considerata, si sono anzitutto stimati i parametri descritti (tab. 25) in funzione delle tipologie di suolo: stante la genericità dei dati disponibili e degli intenti valutativi si sono utilizzate delle classi qualitative, riportate nella stessa tabella, con uno scopo solo descrittivo delle condizioni prevalenti non riconducibili ad una classazione attitudinale analoga a quelle già descritte. Infatti dalla lettura dei dati si riscontra una grande prevalenza di reazioni sub alcaline o neutre raramente alcaline o molto alcaline generalmente sfavorevoli alla mobilità degli ET. Eccezione fanno i suoli dei rilievi appenninici interni sviluppatisi su substrati metamorfici caratterizzati da reazioni acide. La capacità di scambio cationica (CSC) presenta frequentemente valori medio alti soprattutto nell’orizzonte

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superficiale ad indicare pertanto una buona capacità di filtro nei confronti dei metalli: i valori più bassi sono connessi ai suoli più scheletrici, alle condizioni di minor contenuto di sostanza organica in relazione alle condizioni di maggiore erosione. La sostanza organica negli orizzonti superficiali rispecchia parzialmente la distribuzione della capacità di scambio, di cui è la componente più attiva, sebbene le condizioni climatiche non siano particolarmente favorevoli alla sua umificazione quanto piuttosto alla completa ossidazione. Infine le caratteristiche di redox sono state parametrizzate solo in relazione alle condizioni del drenaggio, considerando le classi buone e rapide favorenti ambiti ossidativi e quelle di maggior impedimento allo sgrondo delle acque di condizioni più riducenti.

Tabella 25 – Classi dei parametri delle tipologie di suolo relativi alla mobilità degli ET

Unità cartografica Tipo di suolo Classe di

Reazione C.S.C. Drenaggio Sost.Org. 4.1 Haplic Eutric Cambisols SA-N A B S

Calcari Fluvic Cambisols SA (A) A R M Haplic Phaeozem N A R A Cutanic Luvisols (Dystric&Chromic) SA (A) A B-L M

4.3 Calcari Fluvic Cambisols SA A B M Skeleti Calcaric Fluvisols SA-A B R S

6.2 Eutri-Arenic Regosols N M R S-M Haplic Calcisols A M B S-M

6.4 Hapli- Eutric Cambisols N B B S Roccia nuda

6.5 Hapli-Vertic Calcisols SA MA M A-S Hapli-Calcaric Cambisols A A M/B A-S

6.6 Calcari-Hyposodic Regosols A-MA A L A 6.9 Hapli Eutric Leptosols SA (N) B R S-M 9.7 Hapli Calcaric Leptosols SA-A B B M-A

Hapli Eutric Cambisols SA (A) M B M 9.10 Hapli Calcaric Leptosols SA-A B B M-A 13.6 Areni Leptic Umbrisols Ac A R A

Hapli Dystric Cambisols Ac A B M-A Reazione: A= alcalino; SA= sub alcalino; N=neutro; Ac=acido in parentesi possibili presenze di altre classi.

CSC: A= alta; M= media; B= bassa.

Drenaggio: B= buono; R= rapido; M= mediocre; L= lento; M/B da mediocre a buono; B/L buono o lento.

Sostanza Organica: S= scarsa; M= media; A= alta; le combinazioni S-M, A-S, M-A indicano il range possibile (da – a) In sintesi quindi, con riferimento alla necessità di definire l’eventuale rischio reale di un effettivo instaurarsi di condizioni ritenute dannose per i suoli, l’indagine ha consentito di circoscrivere ambiti territoriali a differente vocazione alla coltura degli agrumi e di caratterizzarli qualitativamente per il loro potenziale comportamento nei confronti delle principali pressioni dovute al possibile effetto delle deposizioni dovute alle emissioni in atmosfera da parte della centrale; considerando l’odierna conoscenza degli stessi suoli, della loro interazione con l’ambiente e dei livelli attuali dei singoli elementi, la valutazione, seppur qualitativa e preliminare, ha evidenziato che anche nella zona di maggior attitudine all’agrumicoltura i parametri relativi alla valutazione dei processi di acidificazione presentano condizioni in genere favorevoli, cioè tali da scongiurare verosimilmente il rischio di un potenziale danneggiamento dei suoli a fronte di una intensificazione di possibili apporti acidificanti; ulteriori dettagli in merito a ciò sono già stati forniti nel paragrafo 1.2.3.

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7.3. INQUINANTI DELL’ARIA E FISIOLOGIA DELLE PIANTE Gli inquinanti sono “sostanze che immesse direttamente o indirettamente nell’aria e nell’ambiente, possono avere effetti nocivi sulla salute umana o sull’ambiente nel suo complesso” (definizione dell’Agenzia Europea per l’Ambiente). Molte di queste sostanze possono essere già presenti in natura a basse concentrazioni con origine da processi naturali, altre possono essere di sola origine antropica. Gli effetti nocivi contro la salute animale e vegetale non vengono generati da profonde trasformazioni della composizione dell'aria poiché non riguardano i principali gas, quali ossigeno ed azoto, le cui percentuali rimangono pressoché costanti, ma sono il risultato dell’alterazione della quantità di quelle sostanze presenti naturalmente in quantità minori, nonché dall’immissione di sostanze estranee alla normale composizione dell’aria. Gli agenti inquinanti che interagiscono con le piante possono essere di origine antropica o di origine naturale, come la polvere sollevata dal vento, i fumi dovuti ad incendi naturali, le polveri derivanti da attività vulcaniche o i metalli pesanti nel suolo dovuti alla pedogenesi. Le sostanze inquinanti sono generalmente classificate in primarie e secondarie. Gli inquinanti primari sono quelli emessi direttamente da attività umane o da fattori ambientali, mentre i secondari sono quelli derivanti dalla trasformazione chimica in atmosfera di quelli primari. Generalmente, gli effetti negativi osservabili sugli organismi sono maggiormente imputabili agli inquinanti secondari. Gli effetti negativi di una sostanza inquinante sulle piante si manifestano solo se si verificano contemporaneamente le condizioni di sensibilità/suscettibilità (in termini di fattori genetici ed ontogenetici) ed i fattori ambientali sono favorevoli alla manifestazione del danno. Per quanto riguarda i fattori genetici non tutti gli individui rispondono allo stesso modo agli inquinanti: esiste una notevole variabilità nei riguardi della capacità di reagire agli agenti tossici anche nell’ambito della stessa specie. Questa diversità può essere distinta fra: • sensibilità: attitudine congenita a subire gli effetti nocivi di inquinanti; • suscettibilità: condizione fisiologica (anche temporanea) che determina la comparsa del danno in una

pianta sensibile; • resistenza: capacità di prevenire o minimizzare l’azione nociva. I fattori ontogenetici fanno sì che i diversi organi (in particolare le foglie) manifestano differenti livelli di suscettibilità ai singoli inquinanti nel corso del loro sviluppo. Anche l’età degli individui è un fattore determinante nel condizionare l’esito della risposta ad una sostanza inquinante. Lo stato sanitario influisce notevolmente sulla risposta all’inquinante; è stato dimostrato che piante malate (funghi, batteri, virus) variano nella risposta a certi inquinanti rispetto a soggetti sani. La maggior parte dei casi studiati indica una riduzione della suscettibilità, ciò è probabilmente connesso al fatto che la pianta presenta il metabolismo rallentato ed abbia già attivato delle forme di difesa biochimica. I fattori ambientali principali che condizionano gli effetti degli inquinanti sulla vegetazione sono: • La temperatura che modula l’attività metabolica e favorisce gli scambi gassosi. C’è una correlazione

positiva entro certi limiti tra severità dei sintomi e temperatura a cui le piante sono esposte. • L’umidità relativa poiché favorisce l’apertura degli stomi. • La luce in quanto stimola l’apertura stomatica. • Il vento e il movimento dell’aria che può esplicarsi interferendo con il boundary layer (in genere

assottigliandolo), e provocando un costante abbassamento dell’umidità dell’aria attorno alla pianta, con conseguente riduzione dei processi traspiratori (minore apertura stomatica).

• L’umidità del suolo che agisce sui livelli di traspirazione. Questo fattore influisce direttamente sull’apertura stomatica.

• Il grado di fertilità del suolo poiché in linea generale condizioni di scarsa fertilità sembrano aumentare la suscettibilità. Vi sono comunque esempi in cui un elemento presente nell’inquinante ha anche funzioni

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nutritive (ad esempio SO2 e NO2). Ciascuna sostanza ha caratteristiche fitotossiche in relazione alle sue proprietà fisiche e chimiche, ma difficilmente un recettore è sottoposto in natura all’azione di un singolo agente tossico poiché emissioni di fonti diverse danno luogo a interazioni tra sostanze in miscela; l’effetto della presenza di più inquinanti può essere: • additivo se l’effetto biologico finale è la semplice somma delle risposte ai singoli componenti della miscela; • sinergico se gli effetti della miscela sono superiori alla somma di quelli dei suoi singoli componenti; • antagonistico quando gli effetti sono minori della somma di quelli dei singoli componenti della miscela. Ciascun inquinante atmosferico può provocare un’ampia varietà di risposte macroscopiche sulle specie vegetali. Si possono distinguere tre principali categorie di sintomi: 1. Variazioni di sviluppo Generalmente si riscontra una riduzione (in certi casi una soppressione) che può essere più o meno asimmetrica. Queste variazioni sono però di difficile identificazione e derivano da variazioni dei processi a carico della fotosintesi a seguito di riduzione dell’area fotosintetizzante o per intercettazione fisica della radiazione solare (azioni schermanti) oppure per riduzione della fotosintesi a seguito di distruzione di clorofilla e cloroplasti, inibizione della chiusura degli stomi o di squilibri funzionali a carico dei fotosistemi. 2. Clorosi E’ l’alterazione della colorazione di aree fogliari, che passa dal caratteristico colore verde a varie tonalità verde-giallastro o al giallo. La sua distribuzione sulle foglie e le sue dimensioni sono molto variabili (margini e apici delle foglie, spazi internervali) e determina disturbi a carico dell’equilibrio dinamico che regola la concentrazione di clorofilla che risulta diminuire. Le principali conseguenze sono una riduzione dell’efficienza fotosintetica, l’evidenziazione di altri pigmenti presenti nella foglia che normalmente sono mascherati dalla clorofilla (le foglie interessate perciò possono assumere diverse colorazioni per lo più rossastre o brunastre) e la formazione di pigmenti ex-novo anormali come conseguenza della distruzione delle membrane con esposizione dei fenoli agli enzimi ossidativi, o come ossidazione diretta dei fenoli ad opera degli inquinanti. 3. Necrosi È la morte delle cellule del mesofillo. Si ha la comparsa di aree fogliari di varia colorazione, dal bianco-avorio al bruno-nerastro. Le dimensioni e la distribuzione di questo sintomo sono molto variabili e possono interessare entrambe le lamine fogliari. La morte delle cellule subepidermiche porta alla comparsa di riflessi tipicamente metallici su una o entrambe le lamine fogliari, causati dallo strato d’aria che si viene a creare in seguito alla separazione dell’epidermide dal mesofillo. Tale colorazione è detta “bronzatura” o “argentatura”.

Argentatura

Clorosi

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Si possono riscontrare, in base al tempo di esposizione, effetti differenti, in particolare: 1. Effetti acuti Sono molto “spettacolari” per la rapidità di comparsa (entro 24 ore dall’esposizione) e per l’intensità. Per questo tipo di effetti c’è un forte nesso di causalità e quindi la diagnosi è agevolata. Il danno più comune è la necrosi con caratteristiche cromatiche che dipendono dal binomio “inquinante-pianta”. Talvolta le lesioni necrotiche sono accompagnate da vari livelli di clorosi che costituiscono zone di transizione tra il tessuto morto e quello sano. La defogliazione segue spesso la comparsa di danni acuti, ma può verificarsi anche in loro assenza. Alte concentrazioni di NO2, Cl2 o HCl, possono causare estese defogliazioni senza comparsa di necrosi o clorosi. 2. Effetti cronici Il sintomo più comune è la clorosi. Possono verificarsi anche riduzione delle funzioni riproduttive e riduzioni di sviluppo valutabili attraverso numerosi parametri, quali lo sviluppo radicale, l’altezza, l’area fogliare, il numero e il peso dei frutti. Sono sintomi non caratteristici delle singole sostanze e molti fattori di stress diversi causano quadri simili (ad esempio stress idrici e termici da patogeni). Per questo motivo sono poco utili ai fini diagnostici, ma sono i danni più pericolosi per la vegetazione insieme a quelli invisibili.

3. Effetti invisibili Costituiscono l’insieme delle alterazioni biochimiche e fisiologiche che portano alla riduzione della produttività quali-quantitativa della pianta in assenza di effetti manifesti. La possibile definizione di danno invisibile deve comprendere una diminuita produttività (conseguenza di una riduzione della capacità fotosintetica), la riduzione del potenziale riproduttivo (con effetti sull’ecosistema) e l’induzione di senescenza precoce.

È molto importante la continuità o meno dell’esposizione: in condizioni naturali, specialmente in prossimità di sorgenti puntiformi, si possono alternare periodi con concentrazioni elevate ed altri con livelli bassi, o addirittura con assenza di contaminanti. Questo fenomeno è inevitabilmente legato ai fattori meteorologici, ma può essere di grande importanza sotto il profilo biologico, in quanto le piante possono attuare meccanismi di recupero e riparazione tra una esposizione e l’altra. Il processo patologico causato da un agente inquinante ai danni di un vegetale si articola in due diverse fasi: 1. Perturbazione: l'agente inquinante assorbito dalla pianta va ad interferire con il metabolismo

cellulare. 2. Risposta della pianta: può essere a sua volta di due tipi:

• risanamento: prevede la pronta riparazione dei danni subiti e la compensazione con modifica dei processi metabolici, senza che si verifichino danni evidenti

• sviluppo delle lesioni: la pianta non riesce a reagire alle perturbazioni causate dall'agente inquinante, per cui manifesta delle alterazioni di tipo patologico, come depigmentazione dei tessuti fogliari, filloptosi anticipata, scarsa allegagione, sviluppo di zone necrotiche nei vari organi. A questi sintomi può seguire un tentativo di riparazione delle zone lesionate con formazione di callosità ed ipertrofie.

In relazione alla suscettibilità che le piante possono dimostrare verso gli agenti inquinanti, si può affermare che le piante erbacee sono meno suscettibili rispetto ad arbusti ed alberi, in virtù della minore superficie fogliare esposta. Tra gli alberi e gli arbusti le specie sempreverdi sono più sensibili di quelle caducifoglie, a causa della maggiore esposizione temporale delle foglie all'agente inquinante. Le conifere, disponendo di una minore quantità di tessuti di riserva, mostrano una suscettibilità maggiore rispetto alle latifoglie. Tra queste ultime sono più sensibili le piante più giovani o quelle con foglie più giovani, nelle quali è maggiore la dimensione delle aperture stomatiche. Le principali modalità attraverso le quali gli agenti inquinanti sviluppano danni nei vegetali sono: 1. Diminuzione dello spessore della cuticola, con maggiore esposizione del vegetale ad attacchi

parassitari, maggior traspirazione ed alterazioni dell'equilibrio idrico. 2. Aumento della permeabilità delle membrane cellulari, con azione che può portare anche alla loro

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disgregazione, con conseguente appassimento e morte della pianta. 3. Interazione con i processi biochimici della pianta come la fotosintesi o le reazioni enzimatiche,

causando alterazioni fisiologiche e deficit metabolici. 4. Deficit energetico causato dall’assorbimento di energia richiesto dai processi rigenerativi dei tessuti

lesionati. 5. Turbative in fase riproduttiva con danneggiamento degli organi riproduttivi e del polline. 6. Alterazioni all'ecosistema con mutamento delle componenti protettive per il vegetale,

dall’entomofauna utile (insetti pronubi, come ad esempio le api) ai predatori. Il riferimento normativo per quanto riguarda gli effetti degli inquinanti atmosferici sulla vegetazione è attualmente basato sul concetto di “livello critico” definito come la concentrazione di inquinante nell’atmosfera sopra la quale si possono verificare effetti negativi sui recettori, quali piante, ecosistemi, materiali, in accordo con le presenti conoscenze scientifiche. Viene considerato come livello critico la concentrazione più bassa che non procura effetti visibili, ma causa diminuzione di produttività nelle colture agricole e diminuzione di crescita nelle specie forestali.

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7.4. GLI INQUINANTI PIÙ IMPORTANTI E LORO EFFETTO SULLE PIANTE 7.4.1. Effetti dell’Anidride Solforosa (SO2) Il biossido di zolfo (SO2), detto anche anidride solforosa, è un inquinante primario ed ha origine dalla combustione di sostanze contenenti zolfo. La produzione di SO2 è essenzialmente funzione della percentuale di tale elemento contenuto nel combustibile che reagisce con l’aria al momento della combustione. Le principali fonti di produzione in ambiente urbano sono gli impianti di riscaldamento e gli impianti industriali che fanno uso di gasolio, carbone e olio combustibile; i veicoli a motore diesel emettono biossido di zolfo, pur se in misura minore. Importanti sorgenti di biossido di zolfo sono altresì rappresentate dai processi di estrazione di alcuni metalli (rame, zinco, piombo), dalla produzione di acido solforico e dai processi di produzione della carta. Nell’atmosfera il biossido di zolfo può andare incontro ad una serie di trasformazioni che hanno come risultato ultimo la formazione di anidride solforica (SO3). Il destino ultimo degli ossidi di zolfo in atmosfera è comunque la rideposizione al suolo prevalentemente sotto forma di acido solforico (H2SO4), andando a costituire la più significativa sorgente di acidità delle deposizioni (piogge acide) con gli ormai noti danni agli ecosistemi naturali.

SO2 + 2H2O → 2H2SO4 L’assorbimento del gas avviene per via stomatica, sebbene a elevate concentrazioni può agire anche direttamente come caustico della cuticola. I primi sintomi sono rappresentati dalla comparsa di zone allessate diffuse, internervali e di colore verde scuro, che rapidamente evolvono in necrosi bifacciali. Nel volgere di poco tempo si ha la maturazione delle lesioni e il loro disseccamento con coalescenza delle aree vicine. L’aspetto più frequente è la distribuzione delle regioni residuali sane “a lisca di pesce”. Le foglie colpite possono subire anche deformazioni e distorsioni a seguito dell’arresto della crescita delle porzioni lesionate. L’inquinante provoca danni a entrambi i tessuti a palizzata e lacunoso provocando plasmosi delle cellule e rigonfiamento dei cloroplasti; l’intero mesofillo arriva a collassare portando le epidermidi a trovarsi addirittura a contatto. A seguito della scomparsa della clorofilla, le aree necrotiche assumono colorazioni dal bianco avorio, al marrone rossastro fino al nero con margini irregolari e occasionalmente pigmentati. La clorosi costituisce il tipico risultato dell’esposizione a concentrazioni basse di anidride solforosa, che possono interessare però l’intero ciclo di crescita o, persino, la vita della pianta. Il sintomo non è però specifico e il suo significato diagnostico è pertanto irrilevante. Inoltre, il fenomeno è considerato reversibile, in quanto le foglie possono recuperare e rigenerare i pigmenti. Sono stati osservati rallentamenti di sviluppo, diminuzione della superficie totale e quindi effetti negativi sulla produttività. L’anidride solforosa riduce preferenzialmente l’accrescimento delle radici poiché determina una alterazioni della quantità e della qualità dei fotosintati che raggiungono le porzioni ipogee.

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Necrosi da biossido di zolfo Nella normativa vigente non vi è un riferimento di “livello critico” per il biossido di zolfo ma si ritrova un valore di riferimento più ampio per la protezione degli ecosistemi. Biossido di Zolfo

Valore Limite (µg/m3) Periodo di mediazione Legislazione Valore limite protezione ecosistemi 20 Anno civile e inverno

(1 ott – 31 mar) D.M. n.60 del 02/04/02

7.4.2. Effetti degli Ossidi di Azoto (NOx) Gli ossidi di azoto (NOx), che comprendono l’ossido di azoto (NO) e il biossido di azoto (NO2), sono prodotti sia da fonti naturali, quali fulmini e processi biologici, sia da fonti antropogeniche. La principale fonte antropica è data dai processi di combustione di combustibili fossili ad alta temperatura. A temperature molto alte, infatti, avviene la reazione tra una molecola di azoto atmosferico (N2) ed una di ossigeno atmosferico (O2); tale reazione, di seguito riportata, porta alla formazione di due molecole di ossido di azoto (NO):

N2 + O2 → 2 NO In ambiente urbano le principali fonti di emissione sono rappresentate dagli impianti di riscaldamento, dagli impianti industriali e dagli autoveicoli che emettono le maggiori quantità di monossido di azoto quando il motore funziona ad alti giri (fase di accelerazione) oppure ad alte velocità. Quando vengono emessi in atmosfera, gli ossidi di azoto si trovano per la maggior parte nella forma di monossido di azoto (NO) che reagisce successivamente con l’ossigeno atmosferico (O2) a formare due molecole di biossido di azoto (NO2), secondo la seguente reazione chimica:

2 NO + O2 → 2 NO2

In virtù di questa reazione si è soliti classificare il monossido di azoto come inquinante primario e il biossido di azoto come inquinante secondario. E’ difficile determinare quali siano gli effetti causati direttamente dagli ossidi di azoto e quali, invece, dagli inquinanti secondari prodotti dal ciclo fotosintetico nel biossido di azoto. Tra tutti gli ossidi di azoto il più fitotossico è il biossido di azoto in relazione alla sua maggiore solubilità in acqua e quindi al suo maggior

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assorbimento da parte delle piante rispetto al monossido di azoto. La comparsa di sintomi sulle piante è rara poiché sono necessarie concentrazioni dell’ordine di almeno 1 ppm. Le aree tendenzialmente più interessate dalle lesioni sono le nervature principali che assumono contorno irregolare e necrotizzano. Ritardi di sviluppo, riduzioni di biomassa e modeste clorosi sono gli indizi più evidenti. È difficile generalizzare gli effetti di esposizioni prolungate a basse concentrazioni di NOx; in termini di peso secco, lo sviluppo delle piante può aumentare, diminuire o non subire variazioni rispetto al controlli; ciò dipende anche dalla differenza tra le specie, dallo stato nutrizionale e da fattori ambientali; gli effetti risultano meno severi in piante allevate in substrati azoto-carenti; la normativa vigente prevede un valore limite di riferimento per la protezione della vegetazione per quanto riguarda le concentrazioni di ossidi di azoto. Ossidi di Azoto

Valore Limite (µg /m3) Periodo di mediazione Legislazione Valore limite protezione vegetazione 30 Anno civile D.M. n.60 del

02/04/02 7.4.3. Effetti delle piogge acide Le piogge acide sono originate dagli ossidi di zolfo e di azoto che si combinano con l'acqua presente nelle nubi, nelle nebbie e nell'aria dando origine ad acidi quali l'acido solforico e l'acido nitrico. La ricaduta, con le piogge, di tali composti chimici può verificarsi anche a notevole distanza dai luoghi dove sono avvenuti i processi di combustione. Gli acidi disciolti nell'acqua atmosferica possono intaccare direttamente la cuticola delle piante con le conseguenze di una maggior suscettibilità agli attacchi dei parassiti, alterazioni dei processi metabolici, diminuzione dell'attività fotosintetica, prematuro invecchiamento dei tessuti fogliari e diminuzione della germinabilità del polline. L'intaccamento della cuticola provoca anche effetti secondari, come la perdita di elementi nutritivi dalla superficie fogliare, una maggiore traspirazione dei tessuti e quindi una maggior sofferenza durante i periodi di siccità. L'abbassamento del pH del suolo dovuto alle piogge acide determina la solubilizzazione dell'alluminio (normalmente è racchiuso nel reticolo cristallino dei silicati del terreno), che provoca gravi intossicazioni (e conseguenti perdite economiche) delle produzioni erbacee e legnose. 7.4.4. Effetti delle Polveri sottili Le polveri sono costituite da microscopiche particelle solide sospese nell'aria che possono venir classificate in base alle loro dimensioni medie in: PM10 : hanno un diametro medio di 10 µ PM2,5: hanno un diametro medio di 2,5 µ PM0,1: sono le cosiddette “nanopolveri” ed hanno un diametro medio di 0,1 µ. Le conoscenze sugli effetti biologici delle polveri sono scarse, anche in relazione dell’inevitabile eterogenicità delle diverse forme di contaminazione. Il diametro delle particelle può oscillare da frazioni di micrometro ad alcune centinaia di micrometri. L’inquinamento da polveri è di tipo cronico e i diversi organi epigei spesso finiscono per essere coperti di croste più o meno compatte. Le interferenze che ne derivano a livello metabolico per le foglie possono essere paragonate a quelle causate dalla presenza di fumaggini di natura crittogamica. Grandi quantitativi di polveri, anche se inerti, comportano l’ostruzione, almeno parziale, delle aperture stomatiche con conseguenti riduzioni negli scambi gassosi tra foglia e ambiente. Questo disturbo, insieme alla schermatura della radiazione solare, costituisce la principale causa delle alterazioni metaboliche che portano a riduzioni quali-quantitative di produttività. La temperatura delle foglie coperte di incrostazioni aumenta sensibilmente. Notevole è pure l’impatto chimico: quando le particelle sono solubili, sono possibili anche effetti caustici a carico della cuticola e dell’epidermide, oppure la penetrazione per via stomatica di soluzioni tossiche.

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7.4.5. Effetti dei metalli (mercurio, arsenico, cromo e cadmio) Il loro impatto biologico dipende dalla capacità di avere diversi stati di ossidazione, di saper catalizzare numerose reazioni, di dare origine a complessi e di avere affinità con i gruppi –SH degli aminoacidi. I metalli possono quindi avere una azione tossica come veleni enzimatici e possono essere responsabili di interferenze nell’assimilazione e nel metabolismo di cationi essenziali per la nutrizione vegetale. Le piante acquisiscono questi metalli attraverso le radici e in modo assai meno facilmente, per assorbimento fogliare. La frazione assimilabile può variare soprattutto in funzione del pH della soluzione del suolo e del suo contenuto si sostanza organica. La vegetazione può sopportare livelli significativi di molecole ritenute non essenziali, senza che da ciò ne derivi alcun effetto negativo; in alcuni casi basse concentrazioni possono addirittura favorirne la crescita o, comunque determinare effetti desiderabili, in relazione ai complicati rapporti che intercorrono nella nutrizione minerale. Per quelli indispensabili la finestra di essenzialità può essere caratterizzata da valori ottimali che non sono molto distanti da quelli ritenuti nocivi. I sintomi che accompagnano la tossicità dei metalli non sono mai specifici trattandosi per lo più del risultato di complesse interferenze tra le attività metaboliche di composti diversi. La presenza di metalli, quindi, dà luogo nei tessuti delle piante a fenomeni di accumulo che sono pericolosi per le piante stesse solo quando le concentrazioni diventano estremamente elevate. La vera pericolosità è data dal fatto che tramite le piante queste sostanze tossiche entrano nella catena alimentare, inquinando interi ecosistemi. 7.4.6. Effetti dell’Ozono (O3) L’ozono è un inquinante gassoso secondario, generato negli strati bassi dell’atmosfera (troposfera) in seguito a trasformazione fotochimica degli inquinanti primari (i cosiddetti 'precursori', cioè ossidi di azoto, idrocarburi e composti organici volatili) in concomitanza all’intensità dell’irraggiamento solare e della temperatura. L’ozono si forma attraverso la combinazione tra ossigeno molecolare (O2) e ossigeno atomico (O) altamente instabile, in presenza di una qualsiasi molecola (M) che stabilizza la molecola di ozono, secondo la reazione:

O2 + O + M → O3 + M (1) Dal momento che l’ossigeno molecolare è largamente presente in atmosfera, risulta importante individuare i meccanismi che mettono a disposizione l’ossigeno atomico. Essi risultano essenzialmente legati a due processi: la dissociazione fotochimica dell’ossigeno molecolare (2) e la dissociazione fotochimica del biossido d’azoto (3):

O2 + hν (λ∗< 242 nm) → O + O (2)

NO2 + hν (λ∗ < 400 nm) → NO + O (3) Sia le molecole di ossigeno sia quelle di biossido di azoto (NO2) presenti nella troposfera vengono facilmente scisse per fotolisi dai raggi solari (hν) producendo atomi di ossigeno (O) e monossido di azoto (NO). Nella stratosfera prevale la reazione (2), mentre nella troposfera si realizza principalmente la reazione (3). L’ozono formato secondo la reazione (1) può nuovamente reagire con il monossido d’azoto (NO), prodotto dalla reazione (3), per formare di nuovo NO2 (4). NO + O3 → NO2+ O2 (4) In teoria, il gas dovrebbe quindi essere contemporaneamente prodotto e distrutto poiché in questo processo la concentrazione di ozono è funzione sia dell’intensità della radiazione solare, sia del rapporto di concentrazioni del biossido e dell’ossido di azoto; in realtà questo equilibrio oggi è spostato verso la formazione di ozono a causa della presenza degli idrocarburi che catturano con maggiore facilità gli ossidi di azoto, reagendo con ∗ λ= lunghezza d’onda della radiazione solare

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questi ultimi al posto dell’ozono. L’ozono può, quindi, permanere in atmosfera anche per una settimana.Le concentrazioni di ozono registrate in una determinata località possono essere state generate da contaminanti emessi a diversi chilometri di distanza, trasportati a grande distanza dalle masse d’aria che lo contengono: per questo motivo le concentrazioni massime si possono misurare sottovento rispetto alle aree sorgenti di inquinanti precursori. La concentrazione di ozono nelle aree urbane è leggermente inferiore rispetto a quella riscontrabile nelle aree rurali e naturali. In queste ultime, essendoci un minore inquinamento da ossidi di azoto (a causa del minore traffico veicolare), l’ozono tende ad accumularsi poiché non si instaura il suo normale ciclo di distruzione e formazione, tipico delle aree urbane inquinate (3) e (4). Le caratteristiche chimiche dell’ozono (forte ossidante) lo rendono un inquinante particolarmente tossico soprattutto nei confronti della vegetazione. Gli effetti fitotossici dipendono sia dalle sue concentrazioni in aria, che dalle caratteristiche strutturali delle foglie stesse. La principale via di ingresso dell’ozono verso i tessuti fogliari sono le aperture stomatiche; una volta penetrato nelle foglie, l’ozono agisce a livello dei complessi enzimatici delle cellule e dei cloroplasti (organuli cellulari nei quali avviene la fotosintesi), causando necrosi fogliare ed accorciamento del ciclo vegetativo. Danni a livello molecolare, biochimico e fisiologico possono essere, inoltre, determinanti anche in assenza di sintomi visibili: questi effetti risultano essere una delle cause maggiori della riduzione dei meccanismi di assimilazione delle piante. In generale gli effetti dannosi sono di seguito riassunti: • distruzione di cellule con fuoriuscita di soluti e nutrienti (allessamenti); • clorosi internervali (distruzione della clorofilla) sulla pagina superiore della foglia; • decolorazioni e colorazioni varie (ossidazione dei fenoli, emergenza tannini e antociani): punteggiature,

bronzature; • necrosi internervali sulla pagina superiore della foglia che possono progredire anche sulla pagina inferiore; • deformazioni (arricciamenti); • senescenza precoce e abscissione.

Decolorazioni dovute ad ozono

La normativa vigente prevede un valore bersaglio per la protezione della vegetazione per quanto riguarda il valore di AOT40 utilizzato per il calcolo della concentrazione di ozono.

OZONO

Valore Limite (µg/m3) Periodo di mediazione

Legislazione

Valore bersaglio per la protezione della vegetazione

18.000 AOT40 (mag-lug) su 5 anni

D.L.vo 183 del 21/05/04

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8. VALUTAZIONE DI IMPATTO SUL TARGET CONSIDERATO

8.1. POTENZIALI EFFETTI QUALITATIVI SUI SUOLI Dall’insieme dei dati raccolti circa le tipologie di suolo prevalenti nel contesto ambientale ampio in cui si collocherà l’impianto, si possono trarre le seguenti conclusioni in merito ai potenziali effetti e mutamenti prevedibili sui suoli e la loro risposta. Il quadro delineato, tra costa, rilievi collinari più esterni e quelli appenninici più interni, ha potuto poggiarsi sulle conoscenze pedologiche della carta dei suoli regionale in scala 1:250.000. Il dettaglio raggiungibile tramite la lettura e l’interpretazione di questo documento è scarso riguardo soprattutto la distribuzione e la variabilità dei suoli e la definizione delle loro caratteristiche: fornisce quindi un quadro utile ad indicare solamente tendenze generali che si sono utilizzate da un lato per caratterizzare le propensioni all’attività agricola dell’area e nello specifico per la valutazione dell’attitudine alla coltura degli agrumi. Tale approccio ha consentito di circostanziare ambiti territoriali entro cui non solo si riscontrano attualmente le colture agrumicole, ma anche di evidenziare territori potenzialmente interessati (a differente grado di attitudine, cioè di facilità alla coltivazione) alla produzione di agrumi. I criteri adottati per questa stima sono quelli proposti dall’Osservatorio Nazionale Pedologico (MPAAF,2006) che considera alcuni parametri pedologici fisici (tessiture), chimici (reazione e contenuto di carbonati), idrologici (drenaggio e permeabilità) e territoriali (quota e pendenza) quali indicatori della propensione dei territori alla potenziale produzione agrumicola intesa come presenza di limitazioni che rendono progressivamente meno favorevole un territorio alla specifica coltura. I parametri sono stati inferiti dalla descrizione dai caratteri diagnostici e dalle tipologie pedologiche e pertanto la valutazione è esclusivamente qualitativa e poggiata su attribuzioni generiche a classi definite non da valori, ma da qualità. L’indagine, entro detti limiti, ha comunque mostrato come il contesto territoriale interessato dall’eventuale impatto del progetto si estenda sostanzialmente lungo la costa e nelle piane alluvionali più ampie delle fiumare e marginalmente possa arrivare a includere la porzione collinare prospiciente la costa più occidentale attorno a Saline Joniche e i rilievi più esterni ad oriente di Melito S.S. Le condizioni di migliore attitudine (classe S1) sono contraddistinte da suoli (Hapli Eutric Cambisols) caratterizzati da tessiture medie, da franco sabbiose a franco argilloso sabbiosa, povere di scheletro, da una buona strutturazione negli orizzonti sottosuperficiali che garantisce una equilibrata disponibilità di ossigeno e di capacità di ritenzione idrica sino a circa 100 cm di profondità, cioè entro lo spessore di maggiore sviluppo radicale per gli agrumi. Detti suoli chimicamente si caratterizzano per una reazione da subacida a neutra connessa all’assenza di carbonati dilavati dall’intero profilo e da una salinità molto bassa: scarsi di sostanza organica, solo in minor parte umificata, il più rapidamente ossidata, presentano comunque un adeguato e attivo complesso di scambio di norma fortemente saturato da cationi degli elementi nutritivi. Si localizzano tipicamente nelle aree più distali dalla costa e stabili rispetto alle dinamiche evolutive dell’unità geomorfologica, così da potere evolvere la loro pedogenesi per tempi più lunghi. Infatti negli ambienti sedimentari di più alta energia, in concomitanza con depositi più grossolani ed una relativamente più frequente attività alluvionale nelle fiumare maggiori o nelle parti più distali dei fondovalle più piccoli, tendono a prevalere suoli (Calcari Fluvic Cambisols) limitati a circa 70-80 cm da abbondante scheletro cioè in quantità tale da limitare fortemente lo sviluppo radicale: tale caratteristica, oltre a limitare fortemente lo sviluppo delle radici, conferisce al suolo anche un drenaggio eccessivamente rapido delle acque, che si associa ad una minor capacità di ritenzione idrica. Questa, rispetto alla tipologia descritta, è ridotta anche dal prevalere di tessiture medio grossolane (da franco a franco-sabbiose) negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali. Questi suoli, che nelle piane più ampie sono spesso strettamente associati con quelli precedenti, sono chimicamente caratterizzati da una reazione sub alcalina che localmente si segnala passare ad alcalina variabile con il contenuto di carbonati totali da moderato a molto e in taluni casi tale da cumularsi nell’orizzonte sottosuperficiale. Nelle aree più prossime, se non interne, al letto dei corsi d’acqua, i suoli presentano le maggiori limitazioni

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(classe S3) dovute principalmente allo scarso volume di suolo esplorabile dalle radici, alla tessitura grossolana spesso molto scheletrica, caratteri cui si associano un drenaggio eccessivamente rapido, una scarsa capacità di ritenzione idrica, una bassa capacità di scambio cationico e reazioni sub alcaline con moderati alti contenuti di carbonati. Non riportato dalla cartografia regionale, per lo scarso dettaglio della rappresentazione, si è evidenziato entro questa unità territoriale il terrazzo pleistocenico di S. Leonardo caratterizzato da suoli molto profondi ed evoluti (Cutanic Luvisols), talora con orizzonti sottosuperficiali molto addensati e poco permeabili al punto da compromettere la capacità di un rapido sgombro dell’acqua determinando un drenaggio mediocre o lento molto poco adatto alle colture agrumicole. Sono questi suoli con tessitura medio fini al di sotto dell’orizzonte lavorato con ottima capacità di ritenzione idrica non sempre bilanciata da una buona aerazione, una elevata capacità di scambio cationico ma una reazione che da subacida passa ad acida. Questi caratteri costituiscono limitazioni importanti sia per l’agrumicoltura (classe S2-S3) che per l’attitudine ad altri impieghi agricoli (classe di Capacità d’Uso IIIs). Nell’ambito collinare immediatamente a ridosso della costa, dove i suoli sviluppatisi su litotipi sabbioso arenacei si caratterizzano per un minor spessore e per le tessiture grossolane che favoriscono le migliori condizioni idrologiche di drenaggio, ma spesso una scarsa capacità di ritenzione idrica, le limitazioni all’agrumicoltura (classe S2-S3) sono principalmente connesse alla pendenza più accentuata delle superfici (<20%), che non solo tende a limitare viepiù le operazioni colturali e la meccanizzazione ma che costituisce l’elemento favorente l’accelerazione dei processi di erosione idrica superficiale di suoli fortemente erodibili. Nel contesto così delimitato si sono evidenziati alcuni caratteri degli orizzonti più superficiali interessati nei processi di tamponamento dell’acidificazione e di traslocazione e accumulo dei cosiddetti metalli pesanti di possibile origine atmosferica. Se per quanto riguarda l’acidificazione la reazione, il contenuto di carbonati e l’elevata capacità di scambio cationico degli orizzonti superficiali sono stati i principali parametri considerati, per i metalli si è tenuto in ulteriore conto il contenuto di sostanza organica, le caratteristiche di trasmissività delle soluzioni nel suolo (tessiture e permeabilità) e del drenaggio interno ed esterno come indice delle condizioni ossido-riduttive, che determinando la speciazione dei singoli elementi, regola i processi di adsorbimento-inertizzazione-scambio e quindi della biodisponibilità dei metalli. Nella zona di maggior attitudine all’agrumicoltura i parametri relativi alla valutazione dei processi di acidificazione presentano condizioni in genere favorevoli, cioè tali da scongiurare verosimilmente il rischio di un potenziale danneggiamento dei suoli a fronte di una intensificazione di possibili apporti acidificanti: reazioni sub alcaline o neutre, spesso associate alla presenza anche solo moderata di carbonati (se non in superficie nell’orizzonte immediatamente sottostante), sono caratteri ampiamente diffusi indicanti un alto potere tampone dei suoli ed una loro elevata eventuale resilienza. Si possono verificare comunque situazioni sub ottimali in concomitanza di suoli in genere sottili, a granulometria grossolana con scarsa capacità di scambio cationico diffusi nella parte più litoranea delle piane costiere e nelle aree alluvionali più prossime ai corsi d’acqua (Phaeozems, Fluvisols) di norma però caratterizzate da un’intensa dinamica distributiva dei carbonati. Le prime presentano tuttavia e comunque importanti limitazioni all’uso agricolo e modesta attitudine alla agrumicoltura, diversamente dalle piane delle fiumare, che hanno una discreta attitudine alla coltivazione degli agrumi in cui però il rischio di acidificazione è fortemente ridotto dalla presenza di suoli con accumulo di carbonati negli orizzonti profondi tali da lasciare ipotizzare un importante trasporto, sia interno al suolo, che dagli ambiti circostanti. Differente è la condizione sul terrazzo pleistocenico di S. Leonardo, nel caso in cui nei suoli illuviali (Luvisols) che ne caratterizzano la copertura pedologica prevalgano i caratteri “districi”, cioè di scarsa saturazione in basi e di reazioni acide soprattutto negli orizzonti più superficiali, che, stanti le tessiture moderatamente grossolane di cui si riporta la maggior frequenza e lo scarso contenuto in sostanza organica, possono presentare simultaneamente anche valori di capacità di scambio bassi. Considerazioni assai simili si possono condurre per quanto concerne le dinamiche possibili degli elementi in

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traccia (metalli pesanti) e della loro mobilità/biodisponibilità. Negli ambiti di migliore attitudine da un punto di vista chimico si trovano condizioni non sempre favorevoli all’immobilizzazione di molti degli elementi in traccia, in relazione soprattutto alla diffusione di reazioni subacide con assenza di carbonati (Eutric Cambisols), che se da un lato sono da considerarsi favorenti l’attitudine alla coltura agrumicola dall’altra tendono a favorire la mobilità e la biodisponibilità dei metalli. A fronte di questi caratteri si contrappone spesso una buona capacità di scambio cationico e un elevato tasso di saturazione che lascia comunque supporre un’ottimale capacità filtrante di questi suoli. Altri suoli anche quelli sottili con scarsa sostanza organica e spesso con un drenaggio troppo rapido conseguente alle granulometrie grossolane che li caratterizza, per la reazione sub alcalina e il contenuto di carbonati (se non in superficie, negli orizzonti subito sotto) presentano condizioni favorevoli all’immobilizzazione dei metalli o comunque alla loro rapida perdita verso altri comparti ambientali rendendoli così poco disponibili all’assorbimento da parte delle radici. Si tenga comunque conto che le caratteristiche tessiturali e granulometriche grossolane soprattutto se connesse a condizioni di alta trasmissività idrologica e di drenaggio rapido se da un punto di vista attitudinale rappresentano una scarsa limitazione sono invece molto favorenti la mobilità e la biodisponibilità dei metalli pesanti soprattutto se, come spesso succede, sono associate a bassi valori di capacità di scambio e a basse dotazioni di sostanza organica. Con riferimento alla possibilità di definire il rischio reale di un effettivo instaurarsi di condizioni ritenute dannose per l’attività biologica dei suoli a seguito degli eventuali apporti atmosferici delle polveri sottili, considerando l’odierna conoscenza dei suoli, della loro interazione con l’ambiente e dei livelli attuali dei singoli elementi metallici, in definitiva l’indagine sull’area circostante la localizzazione del possibile impianto ha consentito di circoscrivere gli ambiti territoriali di migliore vocazione alla coltura degli agrumi e di caratterizzarli qualitativamente per il loro potenziale comportamento nei confronti delle principali pressioni dovute al possibile incremento delle emissioni atmosferiche. Complessivamente infatti si è cercato di circoscrivere ambiti territoriali di migliore vocazione alla coltura degli agrumi e di caratterizzarli, con le conoscenze disponibili su suolo e territorio, in vista dei possibili impatti dovuti alle emissioni in atmosfera della centrale termoelettrica. La valutazione, seppur qualitativa e preliminare, pur non identificando criticità in atto ha evidenziato potenziali pressioni dovute principalmente all’apporto esogeno di metalli pesanti e, in misura minore, ai composti acidificanti (es.: condizioni attorno al centro di S. Leonardo). Quanto sopra va comunque valutato anche alla luce degli esiti di studi (v. il già citato “Centrali a carbone – Suolo e agricoltura” Nomisma – Libri per l’economia, AGRA Editrice, 2008) dai quali si evince che: • le emissioni delle centrali elettriche a carbone si disperdono in atmosfera senza incidere sensibilmente sul

contenuto di metalli e solo per il 3% sulle polveri sottili presenti in atmosfera originate dall’uomo; • la presenza in natura di gran parte degli elementi è indispensabile per il nutrimento delle piante e delle

colture; se questi elementi sono sotto una certa soglia, si può determinare scarsità di apporto nutrizionale per le piante; i metalli, tra cui Cr, Ni, As, sono tra gli elementi più comuni in natura e si trovano comunque nei terreni con ampia variabilità in base allo loro origine geologica;

• il settore delle centrali elettriche è l’unico in Italia che ha drasticamente ridotto le emissioni di polveri sottili (PM) negli ultimi 20 anni di oltre un ordine di grandezza;

• le province dove sono presenti centrali elettriche a carbone hanno livelli di concentrazione delle polveri relativamente bassi e comunque sotto la media nazionale;

• l’attività agricola di molte aree italiane convive da sempre con vicine attività industriali e tutte le province che ospitano che ospitano grandi centrali a carbone hanno comunque una fiorente produzione di prodotti agricoli certificati DPC, DOCP, DOP, IGP;

• per modificare il livello di qualità dei suoli oltre i limiti previsti dalla normativa sarebbe necessario il funzionamento delle centrali a carbone per decine di migliaia d’anni.

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8.2. VALUTAZIONE DELL’IMPATTO DEL PROGETTO SULLA FISIOLOGIA

DELLE PIANTE COLTIVATE Per consentire un più dettagliata analisi del potenziale impatto del progetto, è stata condotta una ricerca bibliografica di dettaglio rivolta alla ricerca degli effetti dell’inquinamento sulla vegetazione in generale, ed in particolare sulle coltivazioni agricole e forestali e di dati specifici relativi alle emissioni delle sostanze previste dal progetto. Gli inquinanti considerati e maggiormente importanti per questo tipo di impianto sono SO2 NOx,O3 e polveri sottili. Lo studio di impatto ambientale della centrale ha approfondito l’argomento della qualità dell’aria e delle ricadute al suolo degli inquinanti dovuti all’attività. In sintesi, l’impatto sulla qualità dell’aria dei macroinquinanti utili ai fini del presente studio, (NOx, polveri, SO2, CO e NH3) riassunti nel prospetto che segue: Concentrazione all’emissione Valori riferiti ad un camino D. Lgs 152/2006 Limiti di

emissione Fumi secchi 6% O2 (mg/ Nm3)

Valori garantiti dal progetto Fumi secchi 6%

O2 (mg/ Nm3)

Emissione massima garantita (g/s)

Nox 200 100 50,7 SOx 200 100 50,7 PTS 30 15 7,6

risultano notevolmente inferiori ai limiti fissati dalla legge. Dallo Studio di Impatto Ambientale emerge quanto segue. “I risultati del confronto con i valori limiti mostrano l’assenza di situazioni di superamento dei limiti di qualità dell’aria in tutta l’area e per tutti gli inquinanti esaminati. In particolare, nel caso dell’SO2 i valori massimi stimati per la media annuale (1,8 μg m-3), per la media giornaliera (44 μg m-3) e per il percentile 99,7° delle concentrazioni medie orarie (125 μg m-3) sono sensibilmente inferiori a corrispondenti valori limite. Per quanto riguarda gli ossidi di azoto, anche nell’ipotesi cautelativa di totale conversione di NOx a NO2, i valori massimi stimati risultano inferiori ai limiti di qualità dell’aria, con un margine estremamente ampio per la media annuale (1,8 μg m-3 rispetto a 40 μg m-3) e più contenuto per il 99,8° percentile delle concentrazioni medie orarie (132 μg m-3 rispetto a 200 μg m-3). Con più realistiche ipotesi di parziale conversione di NOx a NO2, dell’ordine del 75%, i margini si allargano ulteriormente ed in particolare per il limite sulle concentrazioni orarie diventa dell’ordine di circa 100 μg m-3 (100 μg m-3 rispetto a 200 μg m-3). Analoghe considerazioni valgono per il PM10, con il contributo dell’impianto in termini medi annui di oltre due ordini di grandezza inferiore rispetto al limite (0,25 μg m-3 rispetto a 40 μg m-3) ed un margine più contenuto, ma ugualmente significativo per le concentrazioni medie giornaliere (5,9 μg m- 3 rispetto a 50 μg m-3). Per quanto riguarda il CO, i massimi valori orari di concentrazione stimati sono dell’ordine di 0,5 mg m-3 che si confrontano con un valore limite, relativo alla massima concentrazione media di 8 ore, di 10 mg m-3: si può pertanto affermare che il contributo dell’impianto è sempre largamente inferiore al limite di legge. Il confronto tra il contributo atteso dell’impianto ed i livelli attuali delle concentrazioni dei principali inquinanti (NO2, SO2 e polveri) può essere effettuato unicamente in termini di concentrazioni medie annue in quanto i dati disponibili a tale scopo sono relativi a periodi limitati e soprattutto si rifericono a tempi di integrazione tali da non consentirne l’utilizzo ai fini della valutazione del rispetto dei limiti di qualità dell’aria di breve periodo. Come illustrato in dettaglio al capitolo relativo alle campagne di qualità dell’aria, per NOx e SO2 sono

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disponibili, per tutti i punti recettori di campionamento, i dati medi settimanali per 4 + 4 settimane (prima campagna: 18/07/07-16/08/07; seconda campagna: 11/10/07-11/11/07), mentre per le polveri (PM10 e PM2,5) sono disponibili, nel punto di campionamento 0 (interno all’area industriale), i dati medi giornalieri misurati durante due campagne di misura da 2 settimane ciascuna (prima campagna: 25/07/07-07/08/07; seconda campagna: 25/10/07-07/11/07). Per NO2 e SO2, una stima della concentrazione media annua di fondo dell’area in ogni punto di campionamento è stata ottenuta dalla media aritmetica dei valori di concentrazione rilevati durante le campagne di misura. Tali valori sono stati confrontati con le corrispondenti concentrazioni medie annue stimate come contributo dell’impianto dalla simulazione modellistica, anche se tale confronto risulta comunque parziale, in quanto il dato misurato, riferito ad un periodo di solo 2 mesi, potrebbe non descrivere l’effettivo valore della concentrazione media annuale di fondo. Per quanto riguarda l’NO2, nei punti di campionamento il contributo delle emissioni della centrale di progetto risulta mediamente pari al 6% delle concentrazioni di fondo misurate, con valori compresi tra l’1% e il 22%. Con più realistiche ipotesi di parziale conversione di NOX a NO2, dell’ordine del 75%,il contributo dell’impianto costituisce una percentuale pari al 5% come dato medio su tutti i punti di campionamento, con valori che variano tra l’1% e il 17%. Sommando i valori attesi come contributo delle emissioni della centrale ai valori misurati nei punti di campionamento, si ottiene una stima dei livelli di concentrazione media annua da attendersi dopo la realizzazione dell’impianto: tali livelli si attestano mediamente sui 13,4 μg m-3, variando tra 5,5 μg m-3 e 26,1 μg m-3 e rappresentano mediamente percentuali del limite di legge (40 μg m-3) pari a 34% (massimo 65%, minimo 14%). Anche considerando una conversione di NOx a NO2 pari al 75%, i valori e le percentuali sopraindicati non presentano variazioni, dal momento che i livelli attesi come contributo dell’impianto sono in ogni caso decisamente più contenuti rispetto a quanto misurato. Per l’SO2, il contributo delle emissioni della centrale di progetto nei punti di campionamento risulta mediamente pari al 34% delle concentrazioni di fondo misurate, con valori compresi tra il 4% fino al 200%. Tali contributi sono più elevati rispetto a quanto emerso per gli NO2 solo per il fatto che i livelli di fondo di SO2 misurati risultano decisamente contenuti (valore medio dei punti di campionamento 2,5 μg m-3, con un massimo di 4,9 μg m-3 e un minimo di 0,7 μg m-3). Sommando i valori attesi come contributo delle emissioni della centrale ai valori misurati nei punti di campionamento, si ottengono livelli totali di SO2 dopo la realizzazione della centrale che si attestano mediamente sui 3,1 μg m-3, variando tra 1,6 μg m-3 e 5,6 μg m-3 e che rappresentano mediamente percentuali del limite di legge (20 μg m-3) pari al 16% (massimo 28%, minimo 8%). Per quanto riguarda le polveri, i dati misurati disponibili si riferiscono ad un solo punto di campionamento, situato all’interno dell’area di futuro insediamento dell’impianto. Le due campagne effettuate hanno fornito complessivamente 28 dati di concentrazione media giornaliera di PM10 e PM2,5 da cui è possibile stimare le corrispondenti concentrazioni medie annue, pari a 54,5 μg m-3 per il PM10 e a 16,8 μg m-3 per il PM2.5. Tali stime risentono tuttavia in forte misura di alcuni valori estremi di concentrazione rilevati durante alcuni giorni della seconda campagna caratterizzati da fenomeni di trasporto a lunga distanza di polveri, che hanno una frequenza di accadimento piuttosto limitata nell’arco dell’anno. Escludendo questi valori si ottengono stime più realistiche delle concentrazioni medie annue di PM10 e PM2,5, rispettivamente pari a 26,0 μg m-3 e a 11,2 μg m-3. Il contributo dell’impianto dovuto alle emissioni dei due camini principali calcolato per il punto di campionamento (0,07 μg m-3), così come la massima concentrazione media annua calcolata nei punti griglia del dominio di calcolo (0,25 μg m-3) rappresentano frazioni del tutto trascurabili rispetto ai valori misurati, tali da non alterare gli attuali livelli di concentrazione. Il ruolo delle sorgenti minori, la cui influenza è in ogni caso limitata all’intorno dell’impianto, con stime ampiamente cautelative dei valori massimi di concentrazione media annua dell’ordine di 1,3 μg m-3 per il PM10 e di 0,8 μg m-3 per il PM2,5, non risulta tale da modificare in maniera apprezzabile gli attuali livelli medi di polvere. Il contributo aggiuntivo associato all’esercizio dell’impianto per il complesso delle emissioni di polveri non appare pertanto in grado di dar luogo al superamento del limite annuo di concentrazione”. Ai fini della valutazione degli impatti derivanti da un impianto non ancora esistente la ricerca bibliografica si è rivolta anche alla ricerca della possibili modelli in grado di stimare le concentrazioni degli inquinanti che ci

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interessano nei punti dove sono presenti culture agrarie o forestali di interesse. Il paragrafo seguente riassume alcuni elementi che possono essere utili per l’integrazione della valutazione degli effetti sulla vegetazione. 8.2.1. Concentrazioni di inquinanti in corrispondenza dei target considerati La qualità dell'aria attesa in seguito alla realizzazione della centrale in progetto è descritta al capitolo 4.5 del SIA, nel quale si presentano i risultati derivanti dall'applicazione del modello di simulazione CALPUFF. Si tratta in particolare di un modello tridimensionale non stazionario basato su un approccio a “puff”, ovvero le emissioni di inquinante vengono considerate suddivise in “pacchetti” discreti di inquinante la cui forma e dinamica dipendono dalle condizioni di rilascio e dalle condizioni meteorologiche locali. L'applicazione di questo tipo di modellazione risulta adatta a situazioni di orografia complessa e ambito costiero come il caso analizzato. L'applicazione del modello e la conoscenza dell'inquinamento di base presente (i dati sono stati raccolti nel corso della campagna 2007) hanno consentito di stimare, per gli inquinanti di riferimento in questo tipo di attività, le concentrazioni massime orarie, le concentrazioni giornaliere e le concentrazioni medie annue. Nella tabella sottostante si riportano le concentrazioni massime medie annue (µg/m3) stimate nell'area di studio per lo scenario di progetto. Le concentrazioni medie annue consentono di avere dei parametri iniziali per valutare l'analogia con situazioni reperibili in bibliografia relativamente all'argomento di studio, ovvero il possibile impatto sulla coltura di bergamotto.

Tabella 26 - Concentrazioni massime medie annue (µg/m3) stimate nell'area di studio per lo scenario di progetto COMPOSTO Concentrazione massima MEDIA ANNUA (µg/m3)

SO2 1,8

NOx 1,80

NO2 1,40

CO 2,80

PM10 0,25

Pb 0,0045

Cd 0,0002

As 0,0009

Ni 0,0020

PM2,5 0,1500

NH3 0,0700

Hg 0,0001

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8.2.2. Impatto degli inquinanti sulla vegetazione Al caso specifico della valutazione degli effetti degli inquinanti sulle colture agricole ed in particolare le coltivazioni di bergamotto, è possibile applicare il già citato metodo DPSIR (Driving forces, Pressures, States, Impacts, Responses), che consente di valutare l'impatto sulla vegetazione delle pressioni (inquinanti) in considerazione dello stato attuale (livelli di inquinamento indicati dal SIA). Al fine di valutare in modo corretto gli impatti derivanti dalle pressioni esistenti è stata fatta una ricerca bibliografica finalizzata a verificare l’impatto di SO2 NOx O3 e polveri sottili sulla vegetazione in generale, sulle colture arboree in particolare, sulle colture agrumicole e infine, in base ai dati racolti, sul bergamotto. Gli studi riscontrati possono essere distinti in due grandi categorie. Da un lato le ricerche che osservano i danni in campo o in laboratorio che si correlano alla presenza di inquinanti atmosferici, e che osservano le condizioni fisiologiche delle piante lungo un gradiente di concentrazione degli inquinanti. Questi studi consentono di avere una ampia casistica di danni sulla vegetazione e sulle colture agrarie, ma non sempre è possibile correlare gli effetti a concentrazioni di inquinanti perché le condizioni ambientali e metaboliche della pianta possono essere molto variabili e non facilmente inquadrabili in schemi di correlazione. Dall’altro lato vi sono ricerche sperimentali che consentono di osservare i danni diretti derivanti da concentrazioni note di inquinanti a condizioni note. Questi studi invece consentono di dedurre correlazioni certe tra il danno osservato e l’inquinante, ma spesso descrivono danni acuti e non danni cronici, ovvero danni derivanti da concentrazioni elevate. (Emberson, et al. 2001). L’obiettivo ultimo della ricerca bibliografica è la definizione di una relazione esposizione-risposta e definire limiti massimi di emissione al di sopra dei quali si prevede un effetto negativo sulle colture agrarie considerate come target. Una importante fase di studio tra gli anni ‘80 e ‘90 in Europa e Nord - America ha studiato l’impatto dell’inquinamento atmosferico su foreste ed agricoltura. Dopo gli anni ‘90 anche altri stati del mondo, in rapida crescita industriale, Cina, India, Pakistan, Egitto, Sud Africa, Messico, Brasile, Taiwan, hanno raccolto importanti dati su questo tema. In generale si osserva che l’inquinamento dell’aria può causare impatti sulla colture agrarie, soprattutto su piante sensibili. Si osserva che anche in zone rurali non così prossime a zone industriali ci possono essere elevate concentrazioni di inquinanti in particolare di ozono (inquinante secondario che viene trasportato anche ad elevate distanze dalla fonte inquinante) (Wahid et al, 1995;Krupa et al, 1995; Agrawal et al 2003) 8.2.3. Studi in condizioni ambientali non controllate In condizioni di inquinamento atmosferico elevato si osservano effetti diretti della contaminazione su specie arboree forestali, ornamentali e anche agrarie. Lo studio di tali effetti a livello accademico e di studi di ricerca ha avuto un ampio interesse in Germania a partire dagli anni 70, in seguito al verificarsi di fenomeni di deperimento e moria diffusa delle foreste. Uno dei termini per descrivere questi fenomeni è Waldsterben (moria dei boschi). Si tratta di casi di deperimento complessivi di superfici forestali localizzate in condizioni di clima e di suolo diverse, costituite da specie diverse di conifere e latifoglie, che risultavano però presentare numerose analogie di sintomi e di decorso. Questi studi, pur non giungendo a conclusioni certe e univoche circa l’eziologia della malattia, arrivavano a definire un elenco di concause concorrenti al manifestarsi delle problematiche. Una delle cause approfondite nel corso di questi studi è cominciata però ad essere l'inquinamento atmosferico e l'effetto acidificante sul suolo

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delle piogge acide. Questo argomento inoltre ha cominciato ad introdurre il concetto di impatto degli inquinanti a scala più ampia:, l'effetto negativo degli inquinanti si poteva osservare non solo nei centri cittadini industriali, ma anche in zone agricole o rurali e in zone naturali anche ben distanti dalle fonti di emissione. In questi casi lo studio degli effetti degli inquinanti si basa sull'osservazione dei sintomi e su analisi della concentrazione degli inquinanti in aria e nelle precipitazioni, nonché in casi più rari sulle analisi di suolo. Le condizioni di intorno, climatiche, edafiche e di emissioni, non sono tutte controllate e non si può fare una valutazione temporale della presenza delle pressioni sulle piante, perché in molti casi gli studi sono limitati nel tempo. Vi sono altri studi in situazioni non controllate che si concentrano maggiormente su colture agricole coltivate in zone particolarmente inquinate. Anche in questo caso si possono ottenere interessanti conferme sull'effetto degli inquinanti sulle singole specie vegetali, ma non si può con certezza descrivere una correlazione causa – effetto (dose-risposta) tra inquinante e sintomo/effetto sulla crescita o produttività della pianta. Gli studi relativi all’effetto di inquinanti atmosferici in condizioni naturali (non di laboratorio) riportano gli effetti negativi che si osservano sulle piante senza però potere correlare tali effetti con concentrazioni di inquinanti e tempi di esposizione. Pertanto questi studi non consentono di ottenere una correlazione dose-risposta. In ogni caso si riportano qui di seguito gli esempi più interessanti al fine del presente studio. In aree metropolitane particolarmente inquinate o in vicinanza di impianti industriali (produzione di fertilizzanti) si è osservati fenomeni di clorosi, alterazioni della struttura delle foglie, alterazioni della struttura dei cloroplasti e dei mitocondri. Uno studio greco (Psaras G.K. et al, 1987) descrive l’effetto a lungo termine di inquinanti atmosferici in condizioni naturali sulla struttura delle foglie di Citrus aurantium L. utilizzato come albero ornamentale nella città di Atene. Sezioni di foglie di Arancio ornamentale cresciute nella metropoli greca e foglie della stessa specie cresciute in aree non inquinate sono state osservate al microscopio elettronico a scansione e al microscopio elettronico a trasmissione. Si è potuto osservare che le foglie di piante cresciute in ambiente fortemente inquinato hanno la superficie delle foglie meno liscia. Il mesofillo non mostra alterazioni della struttura cellulare o dei tessuti, ma si può osservare un’alterazione del numero di cloroplasti sia nel tessuto a palizzata sia nel tessuto lacunoso (i due strati del mesofillo). La forma dei plastidi inoltre risulta sferica e il contenuto dei tilacoidi (sede della fotosintesi) risulta particolarmente ridotto e la loro forma e distribuzione nello stroma risulta alterata rispetto alle condizioni normali. Questi risultati non sono assolutamente correlati a concentrazioni di inquinanti, si può solo affermare che questi effetti si osservano in condizioni di inquinamento molto elevato. Altre osservazioni sono state effettuate sulla struttura del cambio vascolare di Citrus reticolata L var. tangelos in India (Khan M.A. et al, 2007). Si sono osservati al microscopio elettronico sezioni del fusto (con meristema vascolare) cresciuti in presenza di radiazioni da centrale nucleare di Narora (Uttar Pradesh, India) e di inquinamento da centrale a carbone in Kasimpur (Uttar Pradesh, India). I risultati dimostrano un ritardo sulla crescita radiale (di diametro) delle piante sotto l’influenza delle radiazioni. Mentre in vicinanza alla centrale a carbone la stessa specie non ha mostrato effetti significativi sul cambio vascolare e sulla crescita radiale. Studi in Cina riportano danni su agrumi e altri alberi da frutto, il cui effetto consiste in minore fioritura, caduta anticipata delle foglie e abscissone anticipata dei frutti (Zheng e Chen, 1991). I livelli di inquinanti medi: 340 µg /m3 per SO2, 320 µg /m3 per polveri e 67 µg /m3 per NOX: si tratta comunque di livelli di inquinamento molto elevati. È del 2004 uno studio che valuta gli effetti positivi della riduzione di ozono sulla crescita di Pinus ponderosa in California, vicino a Los Angeles. (Tingey D.T. et al, 2004).

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8.2.4. Studi in condizioni ambientali controllate Per studi in condizioni controllate si intendono studi di laboratorio o studi in serre a cielo aperto. Indagini di laboratorio sull’effetto degli inquinanti su agrumi si sono effettuati negli anni 70 in Florida, dove la coltivazione di specie di Citrus era molto diffusa. In particolare uno studio di MacLean et al, 1968, studia in laboratorio gli effetti acuti di esposizioni a HF e NO2 su Limoni e Aranci sia produttivi sia ornamentali. Nel caso del biossido di azoto si parla di livelli di esposizione molto elevati, da 25 a 250 ppm per periodi di esposizione da 10 min a 8 ore. Gli effetti sono molto evidenti: danni ai tessuti, necrosi e defogliazioni. Un altro studio (Thomson C.R. et al, 1969) osservava in serra l’effetto di “smog fotochimico”, con NO2, O3, HF, su varietà coltivate di limone e di arancia nella zona di Los Angeles. In seguito all’aggiunta nell’atmosfera (già inquinata) delle serre di ossidi di azoto si osservava una depressione dell’assorbimento radicale di acqua. Il limite di queste indagini è nel fatto che si tratta di livelli di contaminazione assolutamente non confrontabili con quelli attesi in seguito alla realizzazione del progetto. Uno studio completo è stato svolto dall’Università di Varanadasi – India in collaborazione con un istituto di ricerca di Londra. In questo caso si è comparata la crescita di Dacus carota in presenza di atmosfera ambientale di una zona molto inquinata della periferia di Varanadasi e la stessa aria filtrata con filtri a carboni attivi in grado di abbattere la gran parte degli inquinanti. Lo studio è stato condotto all’interno di serre a cielo aperto (Open Top Chambers o OTCs) ovvero camere di 1,80 m di altezza e 1.50 m di diametro con struttura in alluminio e pareti in polietilene con cambio di aria tre volte al minuto. Si sono allestite tre delle sei camere con aria filtrata con filtro a carboni attivi, ognuna delle sei camere era dotata di filtro di rimozione polveri. La prova ha funzionato da dicembre 2002 a marzo 2003. Lo studio ha riguardato diverse caratteristiche morfologiche, fisiologiche e biochimiche delle piante stesse in differenti stadi di crescita. Gli inquinanti presenti ad elevate concentrazioni erano SO2 NO2 e O3 come indicato dalla tabella seguente, che riporta le concentrazioni misurate nei quattro mesi di prova nelle camere con e senza sistema di filtraggio a carboni attivi. L’abbattimento con filtri a carbone attivo è notevole e comporta riduzione dell’88, 83,8 e 89,5 % rispettivamente degli inquinanti. L’andamento degli inquinanti è variabile nei mesi di sperimentazione, con una maggiore concentrazione di SO2 e NOx nella prima fase e di Ozono nella fase di fioritura.

Tabella 27 - Concentrazione media mensile (ppb) dei diversi contaminanti presenti nel sito sperimentale nelle camere con aria filtrata (FCs) e non filtrata (NFCs) (Tiwari S. et al. , 2006)

SO2 NOx O3

MESE NFCs FCs NFCs FCs NFCs FCs Dicembre 40,33 ±1,29 4,58 ±0,48 39,58 ±0,90 5,58 ±0,55 35,33 ±1,16 3,83 ±0,36Gennaio 39,32 ±0,71 4,68 ±0,23 41,48 ±0,70 7,48 ±0,39 35,48 ±0,76 3,26 ±0,18Febbraio 36,57 ±0,54 4,79 ±0,21 38,14 ±0,63 6,96 ±0,41 38,96 ±1,15 3,75 ±0,22Marzo 33,61 ±0,48 3,87 ±0,20 35,71 ±0,41 5,06 ±0,21 43,74 ±0,56 5,16 ±0,24

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Il confronto fra i risultati ha evidenziato differenze di crescita tra le due condizioni. Piante cresciute alle condizioni ambientali (con aria non filtrata) hanno mostrato minore efficienza fotosintetica, minore fluorescenza della clorofilla minore conduttanza stomatica, minore efficienza di uso dell’acqua e minore accumulo di acqua. La crescita in generale dei fusto e delle fogli e delle radici è risultata aumentare in seguito alla filtrazione dell’aria, così come il contenuto di P, Mg, Ca, K, che si è dimostrato più elevato nelle prove con aria filtrata. Al contrario le prove in presenza di aria non filtrata mostrano un maggiore contenuto in acido ascorbico, una maggiore per ossidazione dei grassi e una maggiore attività della perossidasi. Si riportano di seguito, a titolo esemplificativo, i risultati della determinazione del contenuto in clorofilla e carotenoidi delle piante trattate con aria ambientale e aria filtrata. Quello che si osserva è una depressione del contenuto di pigmenti osservabile sul dato medio, ma statisticamente non significativa, mentre per il parametro della crescita del fusto e della radice si osserva una depressione dello sviluppo dei tessuti statisticamente significativa. A conclusione si sottolinea che l’effetto di depressione sulla crescita e sul metabolismo delle piantine è legato alla combinazione di tutti gli inquinanti presenti che determinano un sinergico effetto deprimente.

Contenuto totale di clorofilla e di carotenoidi di piante cresciute in camere con aria filtrata e non filtrata (Tiwari S. et al. , 2006)

Uno studio particolarmente interessante (Eissenstat D.M. et al, 1991) ha valutato in serre a cielo aperto l’interazione tra le piogge acide e l’ozono sul metabolismo di Avocado (Persea americana Mill.), pompelmo (Citrus paradisi L.), limone Volkamer (Citrus volkameriana Ten&Pasq) e arancio amaro (Citrus aurantium L.). Lo studio è durato per un periodo di 8 mesi. Le piante hanno subito concentrazioni diverse di O3: un terzo della concentrazione ambientale (0,3 X), concentrazione ambientale (1X), due volte la concentrazione ambientale

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(2X) e tre volte la concentrazione ambientale (3X). La concentrazione ambientale di O3 era di 39,1 nl litro -1 medio sul periodo. I trattamenti di piogge acide avevano pH di 3.3, 4.3, 5.3 e sono state applicate per simulare periodi lunghi di esposizione. Infine le piante sono state irrigate regolarmente e il terreno concimato con fertilizzanti minerali. Inoltre sono stati fatti trattamenti insetticidi e fungicidi.

Contenuto totale di Mg, Ca e Fe e K di fusto e radice e di piante cresciute in camere con aria filtrata e non filtrata (Tiwari S. et al. , 2006)

Si sono effettuate osservazioni sui seguenti parametri: resistenza al gelo, crescita e assorbimento minerale. In generale non si sono osservati effetti significativi su questi parametri. Le piogge acide a pH 3.3 mostrano effetti molto leggeri e statisticamente non significativi sullo sviluppo fogliare e del germogli. L’articolo conclude che il pericolo derivante da piogge acide in Florida su coltivazioni di Citrus e di Avocado è molto basso (considerato anche che piogge di pH 3.3 si sono osservate molto raramente) e che si potrebbero presentare problematiche in presenza di livelli molto elevati di Ozono. Inoltre l’articolo evidenzia che la corretta gestione colturale delle piante e il fatto che le stesse non si trovavano sotto stress dal punto di vista dell’apporto idrico e di nutrienti può avere ulteriormente limitato i danni, rendendo le piante maggiormente resistenti agli inquinanti atmosferici. 8.2.5. Conclusione relativa al target “colture” Come indicato con ulteriore dettaglio nel paragrafo 1.2.3., relativamente al target “colture”, si sono effettuate valutazioni basate su indagini e studi di diverso tipo che valutano gli effetti degli inquinanti atmosferici in condizioni naturali, con osservazioni istologiche e fisiologiche di piante (anche del genere Citrus) cresciute in zone ad inquinamento più elevato di quello che si riscontra nell’area di Saline Ioniche. Questo tipo di studi non sempre consente di ottenere una correlazione dose-risposta, in quanto gli effetti

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osservati derivano da una combinazione di condizioni non “controllate”, cioè non completamente note, e che inoltre non tengono conto dell’andamento degli inquinanti negli anni precedenti all’indagine. Altri studi invece sono svolti in condizioni di laboratorio o di serra, quindi “controllate” per ciò che concerne le concentrazioni di inquinanti, le riferibilità a concentrazioni crescenti degli stessi inquinanti, nonché altri parametri (es.: apporto idrico, temperatura, tipo di suolo, concimazioni, ecc.); molti degli studi di questo tipo dimostrano l’effetto dei contaminanti, sia singolarmente, sia sinergicamente, e consentono di costruire dei modelli dose–risposta e di stabilire dei valori limite oltre i quali l’effetto negativo si può osservare. Ai nostri fini, gli effetti negativi dovuti a concentrazioni di inquinanti paragonabili a quelle previste dal progetto della centrale oggetto della presente relazione non sono in genere nemmeno descritti o comunque non forniscono risultati statisticamente significativi; i dati scientifici esistenti illustrano infatti gli effetti negativi degli inquinanti atmosferici sul metabolismo e sulle funzioni fisiologiche in generale delle piante coltivate e sul genere Citrus, in generale; tuttavia, effetti diretti ed evidenti sono correlati a concentrazioni degli inquinanti considerati molto superiori a quelle previste nel SIA e/o comunque a condizioni non direttamente confrontabili. In sintesi quindi, i risultati dello studio sulle colture evidenziano che ai livelli di emissione e di deposizione indicati dal SIA non sono emerse problematiche di fito-tossicità;

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GEORISORSE • AMBIENTE • TERRITORIO ECOTER CPA S.r.l. Via Selvagreca, 14H – 26900 Lodi tel.: 0371/427203 (r.a.) – fax: 0371/50281 e-mail: [email protected] – web: www.ecotercpa.it

ECOTER CPA S.r.l. Partita I.V.A. 11710640159 – Capitale Sociale Euro 25.000,00 i.v.

Registrazione C.C.I.A.A. di Lodi 1442050 – Registrazione Tribunale di Lodi 10652/290/10712

Progetto:

PROGETTAZIONE DEFINITIVA DELLA NUOVA CENTRALE TERMO-ELETTRICA A CARBONE (2X660 We)

A SALINE JONICHE (RC) Attività:

STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE: ANALISI DEGLI EFFETTI DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA SULLE COLTURE

LOCALI DI BERGAMOTTO Committente:

SEI S.p.A. Contenuti:

RELAZIONE FINALE APPENDICE 1

Rif. e data:

SEI/488/11 – MARZO 2012

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CONTENUTI

IL QUADRO CONOSCITIVO: SINTESI DELLO S.I.A. 1. QUADRO PROGRAMMATICO

1.1. Quadro di riferimento della pianificazione territoriale regionale 1.2. Pianificazione territoriale provinciale 1.3. Pianificazione urbanistica comunale 1.4. Pianificazione di settore: aria 1.5. Aspetti Socio Economici e Territoriali

2. QUADRO PROGETTUALE

2.1. L’impiego del carbone come combustibile 2.2. La possibilità di impiego di biomasse in co-combustione 2.3. Predisposizione impiantistica al sequestro dell’anidride carbonica 2.4. Alternative tecnologiche per la combustione del carbone 2.5. Criteri di selezione adottati e conclusioni della valutazione comparativa 2.6. Configurazione della centrale termoelettrica 2.7. Capacità delle Unità funzionali della Centrale 2.8. Principali sistemi ed unità operative 2.9. Approvvigionamento e stoccaggio di carbone, calcare e biomassa 2.10. Movimentazione Materiali Solidi da Stoccaggio a Caldaie con eventuali

lavorazioni intermedie 2.11. Ciclo termico caldaia-turbina-condensatore 2.12. Sistema di rimozione ceneri 2.13. Linea fumi

3. QUADRO AMBIENTALE

3.1. Alternativa “zero” 3.2. Inquadramento socio-economico 3.3. Produzione nazionale di energia elettrica 3.4. Previsioni di evoluzione del sistema elettrico nazionale 3.5. Produzione Regionale di energia elettrica 3.6. Previsioni di sviluppo della produzione regionale di energia elettrica 3.7. Co-combustione a biomasse: valutazioni preliminari sulle potenzialità di

filiere locali di approvvigionamento 3.8. Qualità dell’aria ambiente

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IL QUADRO CONOSCITIVO: SINTESI DELLO S.I.A.

1. DESCRIZIONE SINTETICA DEL QUADRO PROGRAMMATICO Lo Studio di Impatto Ambientale (S.I.A.) esistente, con riferimento alla normativa sulla Valutazione di Impatto Ambientale (di seguito VIA), considera e riporta, in forma sintetica, i contenuti della normativa e degli atti di pianificazione o programmazione di rilevanza in relazione al territorio interessato ed alla tipologia dell’intervento previsto. In particolare sono presi in considerazione: • gli strumenti di pianificazione e programmazione, vigenti e previsti, con i quali l’opera proposta

interagisce; • le convenzioni, accordi, norme internazionali, nazionali e locali di rilievo per l’opera proposta; • gli elementi di interazione e di coerenza dell’opera con il quadro programmatico delineato. A supporto della descrizione degli strumenti di pianificazione e di programmazione di seguito analizzati, quando necessario per una migliore comprensione, sono redatti elaborati cartografici che restituiscono gli elementi sottoposti alle misure normative specifiche, come identificati e delimitati nelle tavole incluse nei medesimi atti di pianificazione e/o programmazione; tali elaborati cartografici sono presentati in forma di estratto dall’originale o come ricostruzione di sintesi delle tavole originali. In considerazione della fase di transizione determinata dall’approvazione della L.R. 16.4.2002, n. 19, “Norme per la tutela, governo ed uso del territorio - Legge Urbanistica della Calabria”, che ha ridefinito i contenuti degli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica, e di un quadro caratterizzato, a livello regionale e provinciale, dall’assenza di piani vigenti e con quelli previsti ancora in fase di redazione, si è ritenuto utile riportare i contenuti della normativa e richiamare gli obiettivi generali ed i primi indirizzi e prescrizioni dei documenti elaborati dalla Regione Calabria. 1.1. Quadro di riferimento della pianificazione territoriale regionale Normativa regionale e strumenti di pianificazione La Regione Calabria, con la L.R. 16.4.2002, n. 191, “Norme per la tutela, governo ed uso del territorio – Legge Urbanistica della Calabria”, ha definito la disciplina della pianificazione, tutela e recupero del territorio regionale e l’esercizio delle competenze e delle funzioni amministrative attinenti. In tale legge, sono innanzitutto riportati alcuni punti di principio generali associati al ruolo della Regione Calabria (art.1) e tra questi: • assicurare un efficace ed efficiente sistema di programmazione e pianificazione territoriale orientato allo

sviluppo sostenibile del territorio regionale, da perseguire con un’azione congiunta di tutti i settori interessati, che garantisca l’integrità fisica e culturale del territorio regionale, nonché il miglioramento della qualità della vita dei cittadini, dei connotati di civiltà degli insediamenti urbani, delle connessioni fisiche e immateriali dirette allo sviluppo produttivo ed all’esercizio delle libertà dei membri della collettività calabrese;

• promuovere un uso appropriato delle risorse ambientali, naturali, territoriali e storico-culturali anche tramite le linee di pianificazione paesaggistica.

In secondo luogo la legge elenca gli obiettivi generali a cui si informa la pianificazione territoriale (art.3): • promuovere un ordinato sviluppo del territorio, dei tessuti urbani e del sistema produttivo; • assicurare che i processi di trasformazione preservino da alterazioni irreversibili i connotati materiali

essenziali del territorio e delle sue singole componenti e ne mantengano i connotati culturali conferiti alle vicende naturali e storiche;

• migliorare la qualità della vita e la salubrità degli insediamenti urbani; • ridurre e mitigare l’impatto degli insediamenti sui sistemi naturali e ambientali;

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• promuovere la salvaguardia, la valorizzazione ed il miglioramento delle qualità ambientali, architettoniche, culturali e sociali del territorio urbano, attraverso interventi di riqualificazione del tessuto esistente, finalizzati anche ad eliminare le situazioni di svantaggio territoriale;

• prevedere l’utilizzazione di nuovo territorio solo quando non sussistano alternative derivanti dalla sostituzione dei tessuti insediativi esistenti, ovvero dalla loro riorganizzazione e riqualificazione.

Gli oggetti della pianificazione territoriale ed urbanistica sono i sistemi naturalistico - ambientali, insediativo e relazionale (art.5) e la definizioni di questi è compito specifico e prioritario della Regione che vi provvede attraverso il Quadro Territoriale Regionale (QTR). La pianificazione si attua secondo modalità di intervento articolate in azioni tipologiche, ovvero la conservazione, trasformazione, nuovo impianto, ed in modalità d’uso ovvero quella insediativa, produttiva, culturale, infrastrutturale, agricola-forestale, di uso misto (art.6). Gli ambiti della pianificazione (art.7) sono il territorio regionale, provinciale, comunale, dei parchi e riserve naturali nazionali e regionali, dei bacini regionali e interregionali, della pianificazione paesaggistica come definiti dal QTR ai sensi degli articoli 135, 143 e 146 del D. Lgs. 42/2004, dei consorzi di bonifica. Gli strumenti della pianificazione, come definiti dalla legge con riferimento ai diversi livelli territoriali ed amministrativi, sono i seguenti: • Quadro Territoriale Regionale – QTR • Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - PTCP; • Piano Strutturale Comunale - PSC; • Regolamento Edilizio ed Urbanistico - REU (di livello comunale); • Piano Operativo Temporale - POT (di livello comunale); • Piani Attuativi Unitari - PAU (di livello comunale); • Programma integrato d’intervento - PINT (di livello comunale); • Programma di recupero urbano - PRU (di livello comunale); • Programmi di riqualificazione urbana - RIURB (di livello comunale); • Programmi di recupero degli insediamenti abusivi - PRA (di livello comunale); • Programmi d’Area (di competenza regionale). Per quanto riguarda la politica del paesaggio si evidenzia (art. 8bis) che la Regione recepisce la Convenzione Europea del Paesaggio, ratificata con L. 14/2006, ed attua i contenuti della “Carta Calabrese del Paesaggio”, sottoscritta il 22.6.2006; in quest’ultimo caso è prevista la redazione, da parte della Regione, del Documento relativo alla “Politica del Paesaggio per la Calabria”. La legge regionale stabilisce, inoltre, che per l’assetto agricolo e forestale gli strumenti urbanistici (art. 50), nell’individuazione delle zone agricole, disciplinano la tutela e l’uso del territorio agro-forestale secondo un elenco di finalità individuate. Tra queste finalità sono comprese quelle di: • salvaguardare il valore naturale, ambientale e paesaggistico garantendo lo sviluppo di attività agricole

sostenibili; • promuovere la difesa del suolo e degli assetti idrogeologici, geologici e idraulici e salvaguardare la

sicurezza del territorio; • favorire il recupero del patrimonio edilizio rurale esistente in funzione delle attività agricole od integrate; • valorizzare la funzione di spazio rurale di riequilibrio ambientale e di mitigazione degli impatti negativi

degli aggregati urbani. Nelle zone a destinazione agricola (art. 51) sono inoltre vietati alcuni interventi specificatamente individuati: attività comportanti trasformazioni d’uso del suolo che lo rendono incompatibile con la produzione vegetale e l’allevamento; frazionamento del terreno a scopo edificatorio, realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria del suolo in difformità alla sua destinazione. Riferimenti normativi In base alla L.R. 19/2002, gli strumenti della pianificazione territoriale di competenza regionale, sono quelli di seguito richiamati. Il Quadro Territoriale Regionale (QTR) è lo strumento cardine della pianificazione di livello regionale che assume un ruolo di indirizzo e stabilisce gli obiettivi generali della politica territoriale, definisce gli

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orientamenti per l’identificazione dei sistemi territoriali, indirizza la programmazione e pianificazione degli enti locali (art. 17). Il QTR ha valore di piano urbanistico-territoriale ed ha valenza paesistica riassumendo le finalità di salvaguardia dei valori paesistici ed ambientali di cui all’articolo 143 e seguenti del D.lgs. 42/2004; tale valenza si esplicita direttamente tramite normativa di indirizzo e prescrizioni ed in dettaglio attraverso successivi Piani Paesaggistici d’Ambito (PPd’A), come definiti dallo stesso QTR. Tale Quadro contiene, come parte integrante dello stesso, la Carta Regionale dei Luoghi ed anche il documento “Politica del Paesaggio per la Calabria”. Il QTR, una volta adottato, determina l’applicazione delle misure di salvaguardia, di cui alla L. 1902/1952, che decadono con l’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali, a seguito dell’approvazione del PSC, alle prescrizioni del QTR o comunque decorsi 5 anni dall’entrata in vigore delle stesse. Le prescrizioni del QTR, in caso di mancato adeguamento del PTCP oltre il termine stabilito dal QTR, acquistano l’efficacia del PTCP ovvero prevalgono su questo, anche agli effetti dei termini di adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle previsioni del PTCP. Il QTR, tra i diversi aspetti, in particolare: definisce il quadro generale della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale e le azioni fondamentali di salvaguardia dell’ambiente; individua le azioni e norme d’uso per la difesa del suolo, la prevenzione dal rischio sismico ed idrogeologico, dalle calamità naturali e dagli inquinamenti; perimetra i sistemi naturalistico-ambientale, insediativo e relazionale; perimetra le terre ad uso civico e di proprietà collettiva, a destinazione agro-silvopastorale; definisce le possibilità di trasformazione territoriali con perimetrazione e individuazione delle modalità di intervento;individua gli ambiti della pianificazione paesaggistica ai sensi dell’art. 143 del D.lgs 4272004. Le Linee Guida della Pianificazione Regionale che sono elaborate dalla Giunta Regionale a seguito della indizione di apposita Conferenza di pianificazione diretta alla formulazione di un Protocollo d’intesa ; le Linee Guida, dalla data della loro approvazione, assumono il valore e l’efficacia del QTR fino all’approvazione dello stesso, anche con funzione di indirizzo per tutto il processo di pianificazione ai diversi livelli. La Carta Regionale dei Luoghi che è lo strumento con cui si definisce: la perimetrazione dei sistemi; i gradi di trasformabilità con la conseguente nomenclatura dei vincoli ricognitivi e morfologici derivanti dalla disciplina statale e regionale sulla tutela e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali; le modalità di uso ed intervento dei suoli derivati dalla normativa statale per la difesa del suolo e dal Piano di Assetto Idrogeologico. La legge prevede che la Giunta Regionale elabori preliminarmente uno Schema base della Carta, a seguito della indizione di apposita Conferenza di pianificazione diretta alla formulazione di un Protocollo d’intesa. Il Documento relativo alla “Politica del Paesaggio per la Calabria”, che costituisce parte integrante del QTR e deve essere elaborato in sintonia con le Linee Guida della Pianificazione Regionale, è finalizzato a definire principi generali, strategie ed orientamenti che consentono l’adozione, da parte degli enti competenti, di misure specifiche finalizzate a salvaguardare, gestire e/o progettare il paesaggio in tutto il territorio regionale. I Piani Paesaggistici d’Ambito (P. P .d’A) che sono strumenti di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale del territorio, ai sensi dell’art. 143 del D. Lgs 42/2004, operativi su ambiti di area vasta indicati dal QTR ed assunti dai PTCP, e che hanno funzione normativa, prescrittiva e propositiva a seconda dei livelli di qualità del paesaggio nei vari ambiti individuati dai citati piani territoriali regionale e provinciali. I P. P. d’A hanno quindi valore di piani paesaggistici e definiscono le strategie di tutela, conservazione e valorizzazione del paesaggio, codificate da apposito apparato normativo. I Programmi d’Area che sono strumenti promossi dalla Regione al fine di accrescere l’integrazione tra gli enti locali, il coordinamento di iniziative, l’impegno integrato delle risorse finanziarie e costituiscono una ulteriore modalità della pianificazione intercomunale negoziata, coerente con le previsioni contenute in strumenti regionali e provinciali di programmazione economico - territoriale. Il Programma d’Area indica gli interventi finalizzati alla valorizzazione di aree territoriali o di aree urbane per le quali risulta necessaria l’azione coordinata ed integrata di più soggetti pubblici e privati.

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Strumenti di pianificazione della Regione Calabria La Regione Calabria, degli strumenti di pianificazione previsti dalla L.R. 19/2002, ha al momento approvato, con D.C.R. 10.11.2006, n. 106, le Linee Guida della Pianificazione Regionale e lo Schema base della Carta Regionale dei Luoghi. Per quanto riguarda il QTR, dopo la sottoscrizione in data 23.9.2005 del Protocollo d’Intesa denominato “Un Patto per il governo del territorio” è stata avviata, con D.G.R. del 22.11.2005, n. 995, la procedura di elaborazione del citato strumento di pianificazione regionale ed attualmente sono ancora in corso le attività di stesura del documento preliminare. Linee Guida della Pianificazione Regionale Le Linee Guida si articolano in due parti, la prima riguardante i “Riferimenti per la pianificazione regionale” e la seconda i “Tematismi ed approfondimenti”, a loro volta suddivise in capitoli che trattano diversi aspetti. Nella prima parte i temi considerati sono: • principi e riferimenti: richiami al principio della sostenibilità e sussidiarietà, alle forme della concertazione

e partecipazione, al territorio come integrità fisica, valenze ambientali e paesaggistiche, identità culturale e storica;

• linee generali di assetto del territorio regionale: richiami allo scenario regionale, ai progetti per i territori, alle aree e progetti pilota (Gioia Tauro e lo Stretto, Ambiti costieri e marini di particolare pregio);

• pianificazione regionale: richiami al ruolo delle Linee Guida ed al QTR (finalità, contenuti, valenza paesaggistica), alla Carta Regionale dei Luoghi ed ai Piani Paesaggistici di Ambito nonché richiamo ai tre sistemi oggetto della pianificazione (naturalistico-ambientale, insediativo, relazionale); richiamo agli aspetti tematici della difesa del suolo e del territorio regionale; identificazione delle proposte per il QTR di obiettivi e profili per direttive e prescrizioni;

• pianificazione provinciale: richiami al PTCP (finalità, contenuti, struttura, rapporti con altri strumenti di pianificazione) ed alla perequazione; identificazione delle proposte per il PTCP di obiettivi e profili della componente geologica per direttive e prescrizioni;

• pianificazione comunale: richiami ai principi di sostenibilità, sussidiarietà e partecipazione ed agli strumenti della pianificazione comunale con approfondimenti inerenti il PSC (contenuti, finalità, modalità della verifica di compatibilità, procedure di redazione); richiamo alla perequazione; indicazioni inerenti al quadro di pericolosità, al rischio idrogeologico e risorse geoambientali ed ai criteri di salvaguardia a scala comunale da assumere nel PSC, identificazione di obiettivi, strategie ed indirizzi per i diversi ambiti territoriali alla scala comunale da considerare nel PSC; identificazione di obiettivi e strategie riferite al territorio agricolo e forestale da considerare in sede di PSC;

• schema base della carta regionale dei luoghi; definizione degli obiettivi, della struttura e dei contenuti; • indirizzi per la pianificazione in attesa del QTR: definizione del perimetro di suolo urbanizzato, indicazione

delle misure di salvaguardia ambientale, precisazioni sulla vigenza dei piani e sulle misure di salvaguardia.

Nella seconda parte i temi considerati sono: • difesa del suolo - rischi geologici e georisorse: presupposti di base per gli indirizzi della pianificazione,

considerazioni sulle pericolosità geologiche, richiami ai rischi e programmi di previsione e prevenzione, richiami alle georisorse e pianificazione (con le schede tecniche sulla difesa del suolo);

• pianificazione del paesaggio e aree di pregio naturalistico: richiami alle politiche e normative, alle competenze ed agli aspetti della nuova disciplina con riferimento ai diversi strumenti di pianificazione, riferimenti ai parchi ed altre aree di pregio naturalistico;

• pianificazione del territorio agro-forestale: richiami ai principi e finalità della pianificazione associata alle aree agricole e forestali, definizione di specifici obiettivi e profili di direttive e prescrizioni, approfondimenti relativi ai principi, finalità e linee guida per il livello comunale;

• valutazione ambientale e di sostenibilità; richiami alle applicazioni, contenuti e struttura, riferimenti alla valutazioni di sostenibilità ed alla VIA;

• dinamiche territoriali e strategie di riassetto; note sulle trasformazioni ed usi del territorio, sugli scenari

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demografici ed economico sociali, sui problemi connessi alla polverizzazione data dalla dimensione comunale, sul recupero e riqualificazione urbana e territoriale;

• pianificazione operativa strategica; considerazioni su tale strumento e definizione delle fasi di elaborazione dello strumento, richiamo al concetto di visioni territoriali;

• sistema cartografico di riferimento, formato dei dati e standard metadati; premesse metodologiche ed indicazioni sugli standard di riferimento.

In questa sede, dei diversi capitoli delle Linee Guida, si considerano quelli che contengono obiettivi generali di riferimento od obiettivi, direttive e prescrizioni da assumere nella redazione del QTR, dei PTCP e dei PSC, che hanno analogo valore ed efficacia del QTR fino alla sua approvazione. Per quanto riguarda i principi e riferimenti, le Linee Guida evidenziano innanzitutto che “la sostenibilità ambientale, sociale, economica e territoriale è assunta quale paradigma fondamentale delle politiche e della pianificazione del territorio calabrese” e che tale concetto “richiama la conservazione della natura, la tutela ma anche l’affermazione dei valori del patrimonio culturale ed ambientale della Calabria, finalizzate alla promozione di processi di riorganizzazione territoriale e dell’assetto”. Il documento sottolinea che “la pianificazione territoriale viene intesa come un complesso di operazioni mirate a determinare un adeguamento spaziale e temporale dello sviluppo della regione, comprensivo degli aspetti ambientali, socio-economici, tecnici e culturali, con lo scopo di migliorare le condizioni di vita della popolazione nel suo insieme ed in equilibrio con le risorse disponibili”. Nella definizione delle linee generali di assetto del territorio il documento ribadisce la necessità di considerare le indicazioni emanate dalla U.E. con lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (1999) e di invertire le tendenze del passato riportando la pianificazione ad “uno sviluppo che parta dalla compatibilità delle forme dei nuovi insediamenti con i tessuti storici, dalla rinnovata attenzione al paesaggio ed ai valori della natura e ambientali, che superi gli squilibri delle politiche degli anni precedenti, in particolare dell’intervento straordinario, e tenda ad un disegno strategico complessivo”. Nel caso del tema della pianificazione regionale, si evidenzia che sono elencati alcuni obiettivi principali di breve periodo, da perseguire in sede di redazione del QTR, tra i quali: • la riqualificazione ambientale e il conseguente governo delle emergenze; • la valorizzazione e la ricomposizione dei differenti ambiti di paesaggio; • l’evoluzione dei sistemi insediativi verso forme di policentrismo e aggregazione e forme di costruzione di

reti interurbane di centri e città, con la riduzione del degrado urbano, dello spontaneismo edilizio, la ricomposizione in quadri coerenti dei tessuti urbani di recente edificazione, con la conseguente propensione a costruire un ambiente urbano di qualità;

• la definizione ed integrazione, in un quadro di coerenze territoriali, del sistema infrastrutturale. In tale capitolo si descrivono quindi i tre sistemi della pianificazione, sottolineando i diversi aspetti positivi e negativi e rimandando ad indicazioni di nuove modalità di approccio e di obiettivi di riferimento. Nel caso del sistema naturalistico, prima si osservano gli aspetti paesaggistici e naturalistico-percettivi dei diversi ambienti regionali, poi si evidenziano gli elementi che formano la Rete Ecologica Regionale (RER) ed il sistema delle aree agricole e forestali ed infine si avanzano alcune linee direttive e prescrittive (tutela dei paesaggi, connessioni ambientali e rete ecologica). Analoga impostazione riguarda il sistema insediativo ed il sistema relazionale, di cui si fornisce una descrizione dei processi e degli elementi di maggiore rilevanza ed indicazioni su politiche territoriali (riqualificazione senza ulteriore consumo di suolo, definizione di articolati sistemi di spazi pubblici e collettivi, coerenza tra previsioni infrastrutturali e caratteri ambientali e paesistici ed integrazione e complementarietà tra le reti di trasporto e le diverse modalità di spostamento). Per il tema della difesa del suolo, trattato in modo specifico, si fornisce anche in tale caso una descrizione della situazione attuale. Tale capitolo si chiude con l’individuazione di obiettivi e di direttive e prescrizioni per il QTR, riferite a quattro aspetti: la difesa del suolo e delle risorse idriche; il paesaggio, i parchi e gli ambiti naturali; le infrastrutture e la trasportistica; le reti tecnologiche.

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Per l’aspetto difesa del suolo e delle risorse idriche, con riferimento al rischio idro-geomorfologico e delle risorse geo-ambientali, è indicato, quale obiettivo, quello di concorrere alla riduzione e prevenzione del rischio idrogeologico, in particolare da frane, alluvioni ed erosione costiera, attraverso l’analisi di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione. Il documento precisa che il QTR deve ribadire la prescrizione che le condizioni di pericolosità e rischio connesse ai citati fenomeni idrogeologici, ma anche ad altri fenomeni connessi ai processi geomorfologici significativi del territorio, siano analizzate in tutti gli strumenti di pianificazione ai fini della mitigazione dei rischi ed anche ai fini della valutazione di sostenibilità degli interventi di trasformazione. Nel caso della prevenzione del rischio sismico la direttiva è che il QTR identifichi, come aree di rischio, tutti gli ambiti sede di elementi a rischio esistenti, appartenenti tanto al sistema insediativo quanto a quello relazionale ed in alcuni casi particolari al sistema naturalistico ambientale. In riferimento alla prevenzione e difesa dai rischi di inquinamento delle risorse idriche si identifica, come direttiva, quella di adozione ed attuazione di strategie all’interno degli strumenti di pianificazione, e come prescrizione l’adozione della misura minima di tutela consistente nelle aree di salvaguardia dei punti di captazione e derivazione delle acque. Per i geo-siti si definisce, come direttiva, quella che il QTR ed i PTCP definiranno indirizzi per la loro identificazione e classificazione. Per l’aspetto paesaggio, parchi e ambiti naturali si definisce come direttiva l’assunzione, nel QTR, dell’individuazione e apposizione del vincolo dei beni paesaggistici (quelli individuati ai sensi art. 134 D. Lgs 42/2004 e gli elementi individuati dal Progetto Integrato Strategico RER del POR 2000/06 approvato con DGR 1000 del 4.11.2002), la precisazione delle azioni di valorizzazione, ripristino e trasformazione delle aree vincolate, l’individuazione degli ambiti di pianificazione paesaggistica. La prescrizione consiste, da una parte, nell’obbligo di rendere conforme la strumentazione urbanistica alle previsioni del QTR con valenza paesistica e, dall’altra, nel caso del PTCP, di delimitare in dettaglio le aree identificate dal QTR ed eventualmente di integrarle, e nel caso dei P. P. d’A., di predisporre per ciascun ambito la disciplina specifica. Le Linee Guida, per tale aspetto, definiscono obiettivi aggiuntivi rispetto a quelli della normativa, associati a componenti da rappresentare nella Carta dei Luoghi e da sottoporre a direttiva tramite il QTR, che sono di seguito elencati: • miglioramento del sistema naturalistico ambientale; • mantenimento e valorizzazione del patrimonio boschivo e forestale regionale, con miglioramento della

qualità ecologica; • tutela delle aree protette, aree naturalistiche di pregio, aree di interesse ambientale comprese in SIC e

ZPS; • tutela e miglioramento dei suoli in cui insistono aree di interesse paesaggistico, silvi-colturale ed ecologico

per la difesa del suolo; • tutela e miglioramento dei suoli ad alta capacità produttiva; • contrasto al fenomeno della marginalità e dell’abbandono delle aree rurali; • valorizzazione delle aree forestali o vegetali ed agricole intercluse alle maglie urbane; • tutela della fascia costiera con tendenziale blocco dell’edificazione anche in funzione di salvaguardia dei

fenomeni di erosione; • ricostruzione degli apparati paesistici fluviali. Per l’aspetto infrastrutture e trasporti le linee di indirizzo da assumere come direttive riguardano: l’assunzione della sostenibilità ambientale e la compatibilità e integrazione con il paesaggio in sede di previsione e progettazione e la preservazione dell’integrità e consistenza del patrimonio storico artistico ed archeologico; la creazione di un sistema infrastrutturale fortemente interconnesso, strutturato come rete di corridoi plurimodali-intermodali; l’organizzazione del disegno della rete stradale in modo da aumentare l’efficienza intrinseca. Nel caso della pianificazione locale le indicazioni riguardano: la conferma delle fasce di rispetto stradale; l’opzione di rendere funzionali o razionalizzare gli assi esistenti prima di realizzarne di nuovi; la progettazione coerente di nuovi assi stradali e relative aree di sosta e parcheggio; la priorità alla realizzazione di piste ciclabili, percorsi pedonali e aree riservate ed isolate dal traffico veicolare; la progettazione di nuove infrastrutture coerente con il contesto paesaggistico e tale da non alterare le condizioni di equilibrio ambientale, non aumentare l’inquinamento dell’aria, contenere il rumore. Per l’aspetto reti tecnologiche, si rimanda al rispetto di alcune indicazioni da assumere come direttive: limitare il taglio degli alberi e riportare i luoghi allo stato originario antecedente all’intervento e nel caso delle reti

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energetiche evitare il passaggio in aree di pregio naturalistico e zone a rischio sismico e pericolo di frana e ove non applicabili alternative procedere al loro interramento; interrare totalmente i nuovi tracciati di distribuzione dell’energia elettrica; ricondurre la localizzazione e realizzazione di impianti eolici alla attenzione verso il paesaggio ed al rispetto delle condizioni ambientali ed auspicare, in generale, la diffusione di sistemi energetici alternativi. Nel caso del tema della pianificazione provinciale l’attenzione delle Linee Guida è rivolta alla componente geologica ed in tale caso, oltre ad evidenziare la competenza del PTCP ad identificare gli areali di rischio idrogeologico, utilizzando il PAI ed integrandolo, si indicano obiettivi e si delineano direttive e prescrizioni. Il documento contiene: prescrizioni alla localizzazione delle aree di espansione e delle infrastrutture, come fattori escludenti e limitanti; direttive e prescrizioni per le azioni connesse all’attività estrattiva; indicazioni sulle modalità di considerazione del rischio sismico e relative prescrizioni per le aree di espansione e le infrastrutture sempre come fattori escludenti o limitanti. Nel caso del tema della pianificazione comunale le Linee Guida forniscono innanzitutto criteri riferiti agli aspetti idrogeologici ed alle risorse geo-ambientali, da considerare in sede di redazione del PSC. In particolare, il documento riporta le prescrizioni relative alle localizzazioni delle aree di espansione e delle infrastrutture, come fattori escludenti o limitanti associati sia al rischio idrogeologico sia al rischio sismico. Nel caso dei geo-siti si precisa che il PSC deve procedere alla congrua valutazione e valorizzazione assumendoli eventualmente come possibili elementi ordinatori e dialettici dei processi di trasformazione territoriale locale. Per quanto attiene agli ambiti territoriali le Linee Guida evidenziano, quale obiettivo fondamentale, anche per il PSC, quello della riqualificazione del territorio che deve ispirare le strategie di intervento relative ai tre sistemi della pianificazione e per quello insediativo (articolato in sottosistemi) e agricolo-forestale sono riportati ulteriori obiettivi specifici. Schema base della Carta Regionale dei Luoghi Nelle Linee Guida si richiama il ruolo della Carta Regionale dei Luoghi, che è parte integrante del QTR, e si precisa che lo Schema base assume il valore e l’efficacia del QTR fino alla sua approvazione. Lo Schema base, contenuto nelle stesse Linee Guida, fornisce indicazioni di metodo e di contenuto per la redazione della Carta e definisce linee di indirizzo per la costruzione dei quadri conoscitivi. Tale documento rimanda alle norme vigenti per le aree già sottoposte a regime di tutela e propone misure di salvaguardia per le aree che esprimono particolari valori sotto il profilo ambientale. Per il regime di tutela vigente si registra quanto prescritto per le aree protette (Parchi, Riserve e Oasi) e si precisa che, in attesa dei relativi Piani, valgono le norme di salvaguardia contenute nei decreti istitutivi e nella normativa di tutela di cui alla L.R. 23/1990. Per i Siti di Interesse Comunitario - SIC si distingue il caso di quelli ricadenti, anche parzialmente, in aree protette, per i quali si applicano le misure di salvaguardia e tutela previste per le zone di minore grado di antropizzazione, e di quelli in aree esterne, per i quali si applicano le misure di salvaguardia di cui all’articolo 7 della L.R. 23/1990. Per le Zone di Protezione Speciale – ZPS, dato che tutte ricadono in aree naturali protette si applicano le misure di salvaguardia e conservazione previste per le singole aree protette. Per i siti marini si applicano le misure di salvaguardia e tutela previste dal D.M. 19.2.2002. Per le aree paesaggistiche ex art. 136 del D. Lgs 42/200,4 ovvero quelle per le quali non sono consentiti interventi di trasformazione della morfologia dei terreni e di ogni altro elemento che concorra significativamente alla definizione del paesaggio, le nuove costruzioni sono assoggettate al regime autorizzativi dell’art. 146 del D. Lgs 42/2004 e dell’art. 7 della L.R. 23/1990. Per le aree montane sopra i 1.000 metri (L.R. 23/1990), per i fiumi, torrenti corsi d’acqua e laghi con aree contermini tutelati dall’art. 142 del D. Lgs 4272004 e dalla L.R. 23/1990, per gli ambiti boschivi di cui all’art. 2 D. Lgs 227/2001, all’art. 142 D. Lgs 42/2002 ed alla L.R. 23/1990, per gli ambiti costieri nella fascia compresa tra la linea di battigia e la linea alla quota di 150 metri s.l.m. e comunque di larghezza non inferiore a 300 metri e non superiore a 700 metri (L.R. 23/1990), per tutti gli altri beni paesaggistici tutelati ai sensi dell’art. 142 del D. Lgs 42/2004 e art. 6 della L.R. 23/1990, si applicano le misure di salvaguardia previste dall’art. 7 della L.R. 23/1990 e nel solo caso degli ambiti costieri inclusi nel perimetro dei suoli urbanizzati, per interventi

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diversi dalla manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, la trasformazione è subordinata al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del D. Lgs 42/2002. Quadro inerente l’area dell’impianto Gli atti di pianificazione regionale attualmente redatti, le Linee Guida e lo Schema base per la Carta regionale dei Luoghi, non consentono di identificare una relazione diretta con l’area dell’insediamento della centrale ma forniscono indicazioni generali su obiettivi, direttive ed in alcuni casi prescrizioni. 1.2. Pianificazione territoriale provinciale Riferimenti normativi La L.R. 16.4.2002, n. 19, “Norme per la tutela, governo ed uso del territorio – Legge Urbanistica della Calabria”, identifica, quale strumento della pianificazione territoriale di competenza delle Province il Piano Territoriale di Coordinamento. Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (art. 18) è lo strumento attraverso il quale la Provincia esercita un ruolo di coordinamento programmatico e di raccordo tra le politiche territoriali della Regione e la pianificazione urbanistica dei Comuni ed inoltre è il documento che si raccorda ed approfondisce i contenuti del QTR per la parte riguardante i valori paesistico ambientali di cui al D.lgs 42/2004. Il PTCP, inoltre, assume come riferimento le linee di azione della programmazione regionale e le prescrizioni del QTR, specificandone analisi e contenuti. Il PTCP, tra i diversi compiti, ha quello di: definire i principi sull’uso e la tutela delle risorse del territorio; individuare ipotesi di sviluppo del territorio provinciale indicando e coordinando gli obiettivi da perseguire e le conseguenti azioni di trasformazione e di tutela; stabilire puntuali criteri per la localizzazione sul territorio degli interventi di competenza provinciale e nel caso di quelli di competenza regionale; individuare, per la predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, le aree da sottoporre a speciale misura di conservazione; stabilire criteri e parametri per le valutazioni di compatibilità tra le varie forme e modalità di utilizzazione delle risorse del territorio. Il PTCP costituisce, dalla sua approvazione, riferimento per gli strumenti di pianificazione e per l’attività amministrativa attuativa ed in particolare dettaglia il quadro conoscitivo del QTR e indirizza strategie e scelte tenendo conto della valenza paesaggistica del QTR e dei PPd’A. Le prescrizioni del PTCP costituiscono riferimento esclusivo per la formazione degli strumenti urbanistici comunali, fatte salve le misure di salvaguardia. Il PTCP, dalla data di adozione e fino all’adeguamento dei piani urbanistici comunali, determina l’applicazione delle misure di salvaguardia di cui al DPR 380/2001, art. 12, commi 3 e 4. I PTCP vigenti alla data di entrata in vigore della legge regionale conservano validità fino all’approvazione delle Linee Guida e le previsioni vanno adeguate, se in contrasto con le citate Linee Guida, entro i termini indicati dal provvedimento di emanazione dalle stesse. I PTCP adottati prima della legge regionale hanno l’obbligo di recepire, in sede di approvazione dello strumento, le Linee Guida. I PTCP vigenti o adottati all’entrata in vigore della legge regionale devono essere adeguati entro 12 mesi dall’entrata in vigore del QTR.

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Strumenti di pianificazione della Provincia di Reggio Calabria La Provincia di Reggio Calabria non ha ancora adottato il proprio PTCP ma risulta in corso la predisposizione del relativo documento preliminare. L’unico atto di riferimento, per quanto attiene agli aspetti della pianificazione territoriale, sono le Linee Guida approvate con D.C.P. del 29.7.2003, n. 40, quindi di tre anni antecedenti a quelle regionali precedentemente illustrate. 1.3. Pianificazione urbanistica comunale Riferimenti normativi La L.R. 16.4.2002, n. 19, “Norme per la tutela, governo ed uso del territorio – Legge Urbanistica della Calabria”, per quanto riguarda il livello comunale identifica il Piano Strutturale Comunale (PSC) quale principale strumento di pianificazione urbanistica e lo associa agli strumenti esecutivi denominati POT (Piano Operativo Temporale) e PAU (Piano Attuativo Unitario), ai quali si aggiungono i diversi strumenti della pianificazione negoziata. Il Piano Strutturale Comunale (art. 20) che è lo strumento di definizione delle strategie per il governo del territorio comunale, deve essere coerente con gli obiettivi e gli indirizzi della Regione e con il QTR, il PTCP ed il Piano di Assetto Idrogeologico (PAI). Il PSC, dalla data di adozione e fino alla sua approvazione e comunque non oltre 5 anni dalla stessa, determina la sospensione di ogni determinazione su domande in contrasto con l’atto di pianificazione comunale e con le misure di salvaguardia del QTR e del PTCP. Il PSC, tra i diversi compiti, ha quello di: classificare il territorio in urbanizzato, urbanizzabile, agricolo e forestale; determinare le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni pianificabili; definire i limiti dello sviluppo del territorio comunale in funzione delle sue caratteristiche geomorfologiche, idrogeologiche, podologiche, idraulico-forestali ed ambientali; disciplinare l’uso del territorio anche in relazione al rischio idrogeologico ed alla pericolosità sismica locale come definiti dal PAI e strumenti equivalenti; individuare le aree da sottoporre a studi e indagini specifiche ai fini della riduzione del rischio ambientale; individuare gli ambiti produttivi destinati all’insediamento di impianti di cui al D.lgs 333/1999; delimitare e disciplinare gli ambiti di tutela e conservazione delle porzioni storiche di territorio e gli ambiti a valenza paesaggistica ed ambientale ad integrazione del Piano d’Ambito oppure in sostituzione se non esistente; individuare e classificare i nuclei di edificazione abusiva, ai fini del loro recupero urbanistico; individuare per la predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, le aree da sottoporre a speciale misura di conservazione. Nei Comuni ancora dotati di Programma di Fabbricazione la destinazione a zona agricola si intende estesa a tutti i suoli ricadenti al di fuori dei centri urbani, salvo quanto disposto dai piani sovraordinati. I Comuni sprovvisti di piano urbanistico o con strumento urbanistico decaduto, entro 12 mesi dall’entrata in vigore delle Linee Guida, devono avviare le procedure di approvazione del PSC. I PRG vigenti all’entrata in vigore della legge regionale conservano validità per 12 mesi dall’entrata in vigore delle Linee Guida e dopo tale termine decadono tutte le previsioni di tali strumenti riguardanti le aree esterne al perimetro dei suoli urbanizzati definiti come perimetro delle Zone A e B e delle Zone C per le quali siano stati approvati piani di lottizzazione. Nel caso in cui le previsioni del PRG non sono in contrasto con le Linee Guida, la cui verifica deve essere effettuata sulla base dei criteri indicati nelle Linee Guida, le stesse restano in vigore quali previsioni strutturali la cui attuazione è comunque subordinata alla definizione di piani operativi e/o piani attuativi, secondo le modalità dettate dalle Linee Guida. I PRG che risultano in contrasto con le Linee Guida devono essere sostituiti dai PSC entro 12 mesi dall’approvazione delle Linee Guida e fino all’approvazione di questi sono consentite variazioni derivanti dall’approvazione di progetti di opere pubbliche o di interesse pubblico, da interventi previsti da strumenti di programmazione negoziata individuati dal POR Calabria. Nel caso di Comuni dotati solo di Piano di Fabbricazione, scaduto il termine di 60 giorni dall’entrata in vigore delle Linee Guida, a tutti i suoli ricadenti al di fuori dei centri abitati è estesa la destinazione a zona agricola e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 50 della stessa legge regionale. I Piani attuativi e gli atti di

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programmazione negoziata vigenti conservano efficacia fino alla scadenza convenzionale e non sono soggetti ad adeguamento. Le Linee Guida approvate con D.C.R. 10.11.2006, n. 106, in merito alla citata verifica di non contrasto dei PRG, definiscono i seguenti criteri di riferimento: • rispetto della tutela e della vincolistica esistente per legge in materia di tutela dei beni paesaggistici e

culturali; • compatibilità ambientale ovvero rispetto, per le azioni previste, della normativa vigente in materia di tutela

ambientale; • sicurezza idrogeologica e protezione civile, ovvero rispetto dei criteri di trattamento del quadro idro-

geomorfologico e di protezione civile e di difesa del suolo, secondo le leggi vigenti, i contenuti delle Linee Guida e la strumentazione sovraordinata;

• rispetto degli standard di cui al D.M. 1444/1968 nella misura prevista superiore al minimo di 18 mq/ab. La dichiarazione di non contrasto con le Linee Guida deve essere deliberata dal Consiglio Comunale. Strumenti urbanistici del Comune di Montebello Jonico Il Comune di Montebello Ionico non è ancora dotato di un PSC, come previsto dalla L.R. 19/2002, ma risulta vigente un Piano Regolatore Generale (PRG), approvato con Decreto del Presidente della Regione n. 1635 del 30.11.1994 e soggetto a successiva Variante approvata con Decreto n. 418 del 4.7.97. In relazione all’assenza del nuovo strumento di pianificazione comunale introdotto dalla normativa regionale, si evidenzia che il Comune di Montebello Jonico, con D.C.C n. 1 del 27.1.2007, ha deliberato di addivenire alla formazione del PSC e di tutti gli strumenti necessari alla sua funzionalità. In tale atto si riconosce “la necessità di dotare l’Ente di uno strumento di pianificazione territoriale ed urbanistica in grado di governare la crescita del territorio, attualmente resa impossibile da un PRG concepito in maniera funzionale ad un’idea di sviluppo industriale completamente disattesa nel corso degli anni” e si evidenzia “che l’idea di sviluppo industriale ha determinato il blocco decennale di intere aree del territorio, le quali, destinate ad insediamenti industriali non hanno potuto ed ancora oggi non possono procedere verso la loro naturale evoluzione fatta di iniziative sostenibili e condivise” ed infine si afferma che “le carenze dell’attuale PRG, drammaticamente evidenti, comunque non sono esclusivamente legate al fallimento totale dello sviluppo industriale” rimandando ai processi di urbanizzazione incontrollati. Nella delibera sono indicati già alcuni obiettivi od orientamenti e tra questi si richiama il passaggio relativo alla “particolare attenzione (che) sarà posta al miglioramento del sistema naturalistico ambientale andando a tutelare sia i suoli dove insistono insediamenti abitativi, che quelli che rivestono particolare importanza come i SIC del Pantano di Saline e di Monte Torrione” e quello in cui si afferma che “si interverrà sulle testimonianze storiche ed archeologiche, particolarmente numerose, andando a valorizzare le località interessate dal punto di vista della tutela e da quello della fruibilità”. Nel caso dell’Area di Sviluppo Industriale (ASI) di Saline Joniche, si deve tenere conto anche dello specifico strumento di pianificazione denominato Piano Regolatore Territoriale (PRT) delle aree di sviluppo industriale, la cui redazione è attualmente di competenza del Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Reggio Calabria (ASIREG). Per quanto riguarda il PRT dell’ASI di Saline Joniche, lo strumento adottato con Delibera n. 270 del 2.5.1978, che identificava il perimetro della zona industriale e la suddivisione interna secondo diverse categorie d’uso (tutta l’area interessata dalla centrale è classificata come zona “Lotti Industriali” con rimando alle prescrizioni di zona delle “Aree per l’industria” di cui agli articoli da 11 a 14 delle NTA), come confermato dall’ASIREG, per effetto dei recenti provvedimenti regionali è decaduto e si rimanda, quindi, agli strumenti urbanistici comunali. Il PRT assumeva validità ai sensi dell’art. 5 della Legge 17.8.1942, n. 1150 e delle Leggi 634/1957 e 555/1959 comportando l’adeguamento dei PRG o dei Piani di Fabbricazione dei Comuni territorialmente interessati. A titolo indicativo, le prescrizioni relative alla Zona A - Aree per l’industria: stabilivano una destinazione esclusiva all’insediamento di impianti industriali associati a processi di trasformazione reali; prevedevano la possibilità di costruire edifici ad uso industriale e locali di abitazione, per i custodi ed il

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personale tecnico, strettamente indispensabili alla permanenza continua nello stabilimento; contemplavano la realizzazione di attrezzature per il deposito delle merci e dei prodotti per la conservazione delle stesse; indicavano gli indici di superficie e di volumetria e l’incidenza delle aree a parcheggio e verde; indicavano le distanze da osservare per i fabbricati, dalle strade e dagli altri lotti, e le distanze dai confini nel caso di edifici a lavorazioni speciali, di ciminiere, di canali, di ponti mobili e di altre installazioni; dettavano criteri di realizzazione delle recinzioni e di sistemazione delle superfici non coperte da fabbricati e di quelle perimetrali libere. La redazione della variante o del nuovo PRT dell’ASI di Saline Joniche, da parte dell’ASIREG, è attualmente in corso di definizione. Per quanto attiene al citato PRG vigente, adottato dal Consiglio Comunale di Montebello Jonico con atto n. 20 del 6.9.1986 e successivamente approvato dalla Regione Calabria tenendo conto del parere favorevole del Genio Civile di Reggio Calabria n. 12105 del 24.7.1985, la redazione si basa sui contenuti della L. 1150/1942. Il PRG si applica a tutto il territorio comunale e l’edificazione, come stabilito dall’articolo 1 delle NTA del PRG, è soggetta anche alle disposizioni del Regolamento Edilizio e di Igiene. Il PRG è costituito dalla Relazione Generale, dalle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) e dagli Elaborati Grafici. Il PRG suddivide il territorio comunale in zone, indicate nelle planimetrie di zonizzazione, distinte nelle seguenti classi principali, a loro volta articolate in sottoclassi: Zone pubbliche e di interesse generale; Zone residenziali; Zone produttive; Zone per insediamenti turistici; Zone di vincolo. Per quanto riguarda l’area direttamente interessata dall’insediamento della centrale e quella immediatamente circostante si riconoscono le seguenti zone: Zona pubbliche – zone destinate alla viabilità, corrispondenti alla viabilità di progetto dello svincolo della S.S. n. 106 ed al tratto per l’accesso alla zona portuale; Zone residenziali – zone parzialmente edificate di completamento B, corrispondenti all’edificato della frazione Sant’Elia; Zone di vincolo – zone a vincolo idrogeologico, corrispondente ad un’area che dalla costa (tratto ad ovest del porto) si estende verso l’interno scavalcando la ferrovia ed arrivando fino alla strada statale; Zone di vincolo - confini ASI, corrispondente all’area localizzata tra il confine comunale (ad est), la strada statale (a nord) e la costa (a sud). Le NTA del PRG contengono inoltre alcuni articoli da considerare in sede di progettazione: art. 8 relativo alla definizione degli indici urbanistici; art. 10 riguardante le zone destinate alla viabilità; art. 22 inerente le zone di rispetto della viabilità; art. 23 associato alle zone a vincolo geologico; articoli 24/28 inerenti le prescrizioni di carattere geomorfologico. Quadro inerente l’area dell’impianto L’area direttamente interessata all’insediamento della centrale ricade interamente all’interno del perimetro della “Zona di vincolo – confini ASI” e per una porzione limitata (lato ovest dell’area stoccaggio carbone) anche in una Zona di vincolo idrogeologico. Per quanto riguarda l’identificazione della zona dell’ASI non si riscontra un rimando diretto alle NTA del PRG ma si evidenzia che: l’articolo 2 precisa che il PRG si attua attraverso Programmi Pluriennali di Attuazione (PPA); l’articolo 3 contempla i Piani delle aree destinate agli insediamenti produttivi (art. 27 della L. 865 del 1971) come strumenti di attuazione che prevedono interventi urbanistici preventivi con progettazione urbanistica di dettaglio intermedia tra PRG e progetto edilizio; l’articolo 4 stabilisce che l’attuazione del PRG nelle zone destinate ad insediamenti produttivi (zona D) potrà essere consentita solo dopo la formazione dei piani previsti dall’art. 27 della Legge 865 del 1971; l’articolo 16 associato alle Zone D per attività artigianale e piccolo-industriale, individuate nella Tavola di Piano, riguarda le zone destinate all’insediamento di attività artigianali e industriali che non possono insediarsi nell’agglomerato industriale ai sensi dell’art. 4 delle norme del piano regolatore di detto agglomerato. Per quanto attiene alla Zona a vincolo idrogeologico, l’articolo 20 delle NTA, precisa che tale vincolo consiste nell’osservanza delle norme stabilite dal R.D. 30.12.1923, n. 3267 e dal R.D. 16.5.1926, n. 1126.

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1.4. Pianificazione di settore: aria La pianificazione di settore considerata è quella che si relaziona al tipo di impianto proposto, con riferimento al settore produttivo della centrale, alle componenti ambientali direttamente o indirettamente interessate ed al contesto territoriale in cui si inserisce la centrale. Riferimenti generali e normativa nazionale Con l’approvazione del Decreto Legislativo n. 351 del 4 Agosto 1999, che recepisce la Direttiva Europea 96/62/CE del 27 settembre 1996 sulla valutazione e gestione della qualità dell’aria, è stato ridefinito il quadro normativo italiano in materia di limitazione e controllo dell’inquinamento atmosferico. La direttiva ed i suoi provvedimenti attuativi nazionali individuano gli inquinanti atmosferici da monitorare e controllare in base a metodi di analisi e valutazione comuni a livello europeo, e definiscono le linee alle quali gli stati membri devono attenersi per l’attivazione di piani di risanamento nelle aree in cui la qualità dell’aria non risulti conforme ai valori limite. Regioni e Province autonome, oltre ad effettuare la valutazione della qualità dell’aria (inclusa la valutazione preliminare), devono dunque provvedere alla predisposizione ed adozione di piani di risanamento (nel caso di zone dove "i livelli di uno o più inquinanti eccedono il valore limite aumentato del margine di tolleranza o i livelli di uno o più inquinanti siano compresi tra il valore limite ed il valore limite aumentato del margine di tolleranza") e/o mantenimento della qualità dell'aria (viceversa nel caso "in cui i livelli degli inquinanti sono inferiori ai valori limite e tali da non comportare il rischio di superamento degli stessi"). Successivamente con l’approvazione del Decreto Ministeriale (Ambiente e della Tutela del Territorio) n. 60 del 2 aprile 2002, che recepisce le Direttive 99/30/CE e 2000/69/CE, sono stati recepiti in Italia i valori limite per la protezione della salute pubblica e degli ecosistemi relativi alle concentrazioni ambientali di biossido di zolfo (SO2), biossido di azoto (NO2), particelle (PM10), piombo (Pb), monossido di carbonio (CO) e benzene. Oltre a definire i valori limiti, le soglie di valutazione inferiore e superiore ed i livelli di allarme, le direttive recepite nel 2002 contengono precise ed articolate indicazioni circa la data entro la quale detti valori dovranno essere raggiunti, ammettendo margini di tolleranza percentuali che, a partire dai primi anni di applicazione della normativa devono progressivamente ridursi fino ad annullarsi. Infine, il D. Lgs 183/2004 ha recepito nel ordinamento italiano la Direttiva 2002/3/CE relativa all’Ozono nell’aria. Con il D. Lgs 152/2007 è stata recepita a livello nazionale la Direttiva 2004/107/CE del 15 Dicembre 2004 concernente l’arsenico (As), il cadmio (Cd), il mercurio (Hg), il nickel (Ni) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA, utilizzando come marker il benzo(a)pirene) nell’aria ambiente, che individua per tali inquinanti dei valori obiettivo di concentrazione nell’aria ambiente da raggiungere a partire dal 31 dicembre 2012, nonché definisce i metodi ed i criteri per la valutazione delle relative concentrazioni. Riferimenti generali, normativa e pianificazione regionale – Regione Calabria In attuazione di quanto previsto dal D. Lgs. 351/1999 la Regione ha reso noti i primi i risultati della valutazione preliminare della qualità dell’aria. Questa valutazione, basata sui dati disponibili a livello regionale relativamente al biossido di zolfo (SO2), biossido di azoto (NO2) ed al materiale particolato (PM10), ha portato ad una suddivisione preliminare del territorio regionale in zone, in funzione della classificazione della qualità dell’aria. Come previsto dall’art. 7, la Regione ha provveduto, infine, ad indicare, per ciascuna zona, i metodi più idonei di rilevamento e monitoraggio della qualità dell'aria (riportati nella tabella che segue). I risultati, che verranno resi disponibili a seguito di una valutazione della qualità dell'aria realizzata in accordo con le indicazioni della zonizzazione preliminare, oltre a servire alla necessaria validazione della stessa zonizzazione preliminare, dovrebbero servire alla predisposizione ed adozione di piani/programmi atti a fare rientrare entro i valori limiti i livelli di concentrazione degli inquinanti. Con Decreto n. 1727 del 17/2/05, la Regione ha approvato il Quadro esecutivo dell’Azione Progettuale per la predisposizione del Piano Regionale di Tutela della Qualità dell’Aria e realizzazione della struttura tecnico-scientifica per la gestione dello stesso.

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1.5. Aspetti Socio Economici e Territoriali Regione Calabria – Documento Strategico per la politica di coesione 2007-2013 Il Documento Strategico Regionale (DSR) si colloca nel processo finalizzato alla definizione del Quadro Strategico Nazionale (QSN) e come passaggio propedeutico alla costruzione dei Programmi Operativi regionali (POR), per il periodo di programmazione 2007-2013. Il DSR per la politica di coesione 2007-2013 (proposta condivisa dai tavoli tematici) del luglio 2006, raccoglie le principali indicazioni provenienti dalla regione e dal partenariato istituzionale, economico e sociale sulle strategie per il nuovo periodo di programmazione. Tale documento di tipo strategico anticipa una prima definizione degli obiettivi generali e specifici in cui si articola la strategia generale della programmazione regionale. Il DSR si suddivide in sei capitoli: Principali elementi strategici e nuova programmazione; Sistema regione; Analisi di scenario; Gli obiettivi e le priorità della strategia regionale per la programmazione 2007-13; Integrazione finanziaria e coerenza programmatica; Governance e partenariato. All’interno di tale documento si individuano alcuni passaggi di particolare interesse, in relazione all’intervento previsto ed alle condizioni territoriali di contorno, che sono richiamati in forma sintetica. Nel capitolo 2, relativo al “Sistema regione”, al punto inerente “le scelte specifiche e le criticità per ambiti”, con riferimento all’ambiente ed alle risorse naturali, nel caso del settore energetico si richiama il Piano Energetico Ambientale Regionale (PEAR), che individua una serie di obiettivi indirizzati al risparmio energetico, all’aumento del peso delle energie rinnovabili nella produzione e consumo di energia, nonché iniziative relative alla riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti. Nella associata tavola SWOT si indica, quale punto di forza, le ampie risorse naturali costiere ed interne ed in particolare la disponibilità di potenzialità energetiche sostanziali (energie rinnovabili), e viceversa, come punto di debolezza, l’offerta energetica debole, in particolare per quanto riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili. Nel capitolo 4, relativo agli obiettivi e priorità, al punto inerente le “finalità generali e priorità del DSR Calabria”, si individuano le tre finalità strategiche della regione, sulle quali concentrare, in aggiunta ed in coerenza con le risorse ordinarie, le risorse aggiuntive disponibili attraverso la programmazione 2007-13. Le finalità individuate sono: A - Aumento qualità del contesto del sistema regione; B - Aumento della competitività e consapevolezza del sistema territoriale regionale come risorsa; C - Aumento attrattività ed apertura internazionale del sistema regione. L’individuazione di tali priorità di intervento costituisce la base per la definizione degli obiettivi generali e specifici delle politiche regionali di medio lungo periodo da cofinanziare con i Fondi strutturali della UE, oltre che con le risorse complementari del FAS e della programmazione ordinaria. Per ogni Finalità, il DSR fornisce ulteriori precisazioni e soprattutto identifica differenti Priorità, per un numero complessivo di dieci, a loro volta associate ad Obiettivi generali e ad ulteriori Obiettivi specifici. In relazione all’intervento proposto, elementi di interesse in chiave programmatica si individuano nella Finalità B, in associazione sia alla Priorità 4, “Tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio”, che alla Priorità 6, “Rafforzamento della competitività dei sistemi produttivi”; nel caso della prima Priorità citata si considerano tre dei quattro Obiettivi generali individuati (4.1/4.3) mentre nel secondo caso, dei tre Obiettivi generali identificati, si considera solo il 6.1. L’Obiettivo generale 4.1 riguarda la “Tutela e sostenibilità del sistema ambientale regionale, rafforzamento della difesa del suolo e della prevenzione dei rischi naturali”. La tutela e valorizzazione sostenibile del territorio-paesaggio, come indicato nel DSR, è uno degli obiettivi primari della politica regionale di governo del territorio; “tale tutela, attuata anche attraverso la valorizzazione della rete ecologica, la tutela della biodiversità ed il contenimento dei livelli di rischio ambientale, riveste un rilievo strategico nell’ambito delle politiche di sviluppo e coesione, non solo riguardo agli obblighi normativi orientati alla conservazione del patrimonio naturalistico, ma anche alla valenza che questo ha in termini di valorizzazione turistica e di sviluppo imprenditoriale”. Il documento, con riferimento al tema dei cambiamenti climatici, afferma che è indispensabile “l’individuazione di strategie a adeguate al fine di assicurare un coordinamento con le politiche nazionali settoriali per contribuire in maniera più efficace al rispetto degli impegni assunti nell’ambito del Protocollo di Kyoto”.

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L’attuazione di tale obiettivo è correlata alla realizzazione di 15 differenti obiettivi specifici tra cui quello del “miglioramento della qualità dell’aria” (4.1.12), che è associato alla “particolare attenzione alla riduzione delle emissioni di gas serra ed all’aumento dell’assorbimento del carbonio”. L’Obiettivo generale 4.2 riguarda “Il Sistema Territorio-Città”. In tale caso il documento considera il territorio “come risorsa base, come sistema insediativo e come luogo di investimenti socio-economici” e per questo sottolinea l’importanza delle analisi ed organizzazione delle conoscenze dello stato di fatto funzionali alla previsione delle linee tendenziali di sviluppo ed in tale senso sono elencati alcuni punti da osservare tra cui quello di “assicurare la tutela della salute pubblica ed il miglioramento della qualità della vita nei siti urbani (e nei siti produttivi), attraverso il rispetto dei limiti alla concentrazione di inquinanti nell’aria da perseguire attraverso interventi coordinati a carattere pianificatorio ed innovativo su attività produttive, energia ed usi civili ed industriali, trasporti e logistica”. L’Obiettivo generale 4.3 riguarda il “Potenziamento della disponibilità ed efficientamento dei sistemi di gestione delle risorse necessarie al benessere dei cittadini ed allo sviluppo economico”. Il DSR, in tale caso, tocca il tema dell’energia precisando che la politica regionale è orientata a garantire la quantità e la qualità dell’energia necessaria per usi civili ed industriali. In tale paragrafo si afferma che “relativamente alle risorse energetiche, in considerazione delle previsioni circa il progressivo esaurimento delle fonti fossili (..) la politica regionale cofinanziata dai fondi strutturali dovrebbe contribuire a ridurre la dipendenza energetica da fonti tradizionali, attraverso la valorizzazione delle fonti alternative endogene, anche nell’ottica del protocollo di Kyoto, oltre a rendere più efficiente ed efficace il sistema di produzione, distribuzione e consumo di energia”. Le linee di intervento individuate si sottolinea che rispondono a tre criteri guida a carattere generale che riguardano: l’aumento di disponibilità e della qualità della risorsa energetica; l’efficientamento della gestione ed il risparmio energetico; le fonti di energia rinnovabili. In quest’ultimo caso si afferma che “la promozione delle fonti rinnovabili e della riduzione dell’intensità energetica, oltre a sortire effetti di riduzione della dipendenza da fonti fossili e del miglioramento della qualità ambientale complessiva, possono contribuire alla realizzazione della strategia di un ambiente per lo sviluppo attraverso l’attivazione di filiere produttive, la promozione della ricerca e dell’innovazione, il contributo al miglioramento della qualità della vita, all’attrazione di persone e capitali”. Il DSR indica che le opzioni principali dovranno essere orientate verso: • azioni per la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (biomassa, biogas,

rifiuti a base di biomassa, eolico, fotovoltaico e idroelettrico); • lo sviluppo della piccola cogenerazione e rigenerazione; • la promozione di piccoli impianti alimentati a fonti rinnovabili e degli interventi di efficienza energetica

integrati negli edifici. Sulla base dei citati riferimenti sono identificati 15 obiettivi specifici e tra questi si citano: • il 4.3.7 – Incremento del livello di integrazione tra la produzione di energia da fonte tradizionale e quella

da fonti rinnovabili; • il 4.3.10 – Miglioramento efficienza energetica nella produzione e nella mobilità di persone e merci sul

territorio; • il 4.3.11 – Incremento dell’energia prodotta da biomassa e biocombustibili; • il 4.3.13 – Potenziamento della ricerca, dell’innovazione tecnologica e dell’alta formazione nel settore

dell’energia, con particolare riferimento alle tecnologie alternative ed alla produzione di energia da fonti rinnovabili;

• il 4.3.14 – Rafforzamento dei sistemi di imprese operanti nel comparto della produzione di energia da fonti rinnovabili.

L’Obiettivo generale 6.1 riguarda il “Rafforzamento della competitività del sistema produttivo regionale”. Il DSR sostiene che è “necessario procedere al miglioramento delle infrastrutture produttive, con particolare riferimento a quelle logistiche (aree industriali, infrastrutture di trasporto, ecc.), energetiche e tecnologiche, attraverso la definizione di un Piano regionale delle infrastrutture produttive, che fisserà gli obiettivi e le

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priorità di intervento, con riferimento alle caratteristiche localizzative esistenti ed all’accessibilità interna ed esterna, alla efficienza dei servizi e delle utilities, e alla sostenibilità ambientale in termini di riduzione dei relativi costi complessivi interni ed esterni”. In una nota inserita nel documento, per quanto riguarda il potenziamento delle infrastrutture produttive, si precisa che si intende fare riferimento ad una serie di punti elencati tra i quali sono compresi: “investimenti per la razionalizzazione delle reti energetiche nei sistemi produttivi ai fini di un uso razionale, contenuto e pulito dell’energia, anche promovendo la cogenerazione e l’utilizzo di fonti rinnovabili e pulite”; sviluppo di servizi per la gestione del risparmio energetico”; “investimenti finalizzati alla certificazione ambientale per le aree industriali”. A tale obiettivo generale sono associati 11 obiettivi specifici tra i quali si conferma (6.1.4) quello relativo al “miglioramento delle infrastrutture produttive con particolare riferimento a quelle logistiche, energetiche e tecnologiche, attraverso la definizione di un Piano regionale per le infrastrutture produttive”. ASIREG Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Reggio Calabria - Programma di attività 2003-07 Il Consorzio ASIREG, che è un Ente Pubblico Economico istituito per la promozione e lo sviluppo imprenditoriale nelle aree attrezzate del comprensorio secondo gli indirizzi stabiliti dagli organi dello stesso Consorzio, ad oggi gestisce quattro aree industriali tra cui quella di Saline Joniche. Tra le competenze o finalità del Consorzio è inclusa quella di predisporre ed aggiornare i Piani regolatori delle aree di sviluppo industriale, in conformità con le indicazioni del Piano Regionale di Sviluppo. Nel caso dell’ASI di Saline Joniche risulta in corso di definizione la variante al Piano ma non sono ancora disponibili documenti. Per quanto riguarda la definizione delle linee strategiche e la programmazione degli interventi dell’ASIREG si deve fare riferimento a documenti prodotti in tre fasi successive di attività: nel 1999 è approvato il Documento programmatico relativo ai fondi strutturali per il periodo 2000-06 che prevede, tra le esigenze strategiche, l’individuazione di un percorso di sviluppo per la riqualificazione ed il rilancio competitivo anche dell’agglomerato industriale di Saline Joniche; nel 2002 è approvato il progetto territoriale integrato Alto Jonio e il Documento di programmazione triennale 2003-05 relativo ai lavori pubblici della ex Legge 109/94, quest’ultimo associato anche all’esigenza strategica di individuare una tipologia di opere che consentisse la riqualificazione ed il rilancio competitivo anche dell’agglomerato industriale di Saline Joniche; nel 2003 con la definizione del Programma di attività 2003-07 finalizzato a consolidare i risultati raggiunti ed a concentrare l’attività su cinque linee di lavoro. L’ultimo documento, il Programma di attività 2003-2007, che è redatto facendo riferimento alla L.R. 38/2001, è sinteticamente descritto, data la sua importanza come strumento di programmazione generale per le aree attrezzate industriali. In tale documento viene chiarito che le politiche infrastrutturali e di sviluppo costituiscono l’aspetto centrale della funzione del Consorzio e rappresentano la maggiore quota di attività ed interventi su tutto il territorio provinciale. In dettaglio si afferma che il Consorzio intende avviare un piano di investimenti associato a tre finalità ed una di queste consiste nella riqualificazione e specializzazione degli agglomerati industriali di Reggio Calabria-San Gregorio e di Saline Joniche orientando il primo verso l’innovazione ed il secondo verso la vocazione d’area in sinergia con la struttura portuale. Si precisa inoltre che l’intenzione del Consorzio è di intervenire in modo consistente sulle infrastrutture logistiche per ridurre le distanze delle imprese dai mercati, ottimizzare i flussi ed aumentare la competitività del sistema e delle imprese, e si identificano in tale senso 5 linee tra qui quella della realizzazione di un Polo specializzato nel settore della pesca nell’agglomerato di Saline Joniche. Le strategie del programma 2003-07, associate nel documento all’illustrazione delle ragioni che le sostengono, agli obiettivi da perseguire ed ai principi delle azioni, sono le seguenti: strategia infrastrutturale; strategia di sviluppo; strategia istituzionale; strategia ambientale. Le strategie infrastrutturali consistono nel passaggio da un’immagine del sistema consortile come “spazio delle infrastrutture” ad una del sistema consortile in cui le infrastrutture siano una delle componenti di un più ampio progetto territoriale ispirato a principi di sostenibilità, qualità e competitività. Tale strategia individua altresì, le infrastrutture materiali ed immateriali, come fattori dello sviluppo durevole e competitivo, ed in dettaglio ciò che intende perseguire il Piano è di

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elevare il valore aggiunto delle aree, favorendo una riqualificazione complessiva che connetta tra loro interventi rilevanti, di creare nuove centralità e trasformazioni diffuse anche di piccole dimensioni. In particolare, nel primo caso, tra le azioni contemplate, è prevista quella di riqualificare l’agglomerato industriale di Saline Joniche, mentre nel secondo caso, tra le azioni si prevede di realizzare il Polo specializzato nel settore della pesca nell’agglomerato di Saline Joniche. Le strategie di sviluppo consistono nell’interpretare e gestire il cambiamento valorizzando le culture della conoscenza e dell’impresa ed in tal senso si indica che le azioni, I progetti e le politiche devono articolare una strategia integrata, volta a promuovere le conoscenze tecnologiche e più complessivamente la capacità e le conoscenze delle imprese e dei lavoratori, ad accrescere l’efficacia dei percorsi formativi e d’impresa, a migliorare la qualità del lavoro ed a promuovere la nascita di nuove opportunità imprenditoriali. Tali assunti si traducono nella necessità di individuare nuove identità produttive. Le azioni identificate in tale caso non sono direttamente associate all’area industriale di Saline Joniche. Le strategie istituzionali consistono nel passare dagli accordi parziali alla cooperazione come forma di governo dello sviluppo e si indicano, in tale senso, sia la costruzione di una identità condivisa dello sviluppo del territorio provinciale che il coinvolgimento di tutti i soggetti che a diverso titolo compongono la rete locale di governo quale strumento per sperimentare pratiche innovative di azione amministrativa. Tra le azioni elencate, è compresa quella di definire ed attuare un programma di marketing territoriale per l’attrazione degli investimenti nell’agglomerato industriale di Saline Joniche. Le strategie ambientali sono ricondotte da una parte alla cura dell’ambiente come strategia di sviluppo, nel senso che il nuovo modello di sviluppo economico, sociale e territoriale da promuovere e perseguire è improntato al principio della sostenibilità, e dall’altra ad un nuovo paesaggio della qualità urbana, inteso come ricostruzione del paesaggio urbano degli agglomerati industriali quale fattore di identificazione e connessione con il complessivo territorio urbano e non. Nel primo caso sono definiti due obiettivi: migliorare la qualità dell’ambiente negli agglomerati urbani ed aree di prossimità; garantire l’eco-efficienza dei processi produttivi e delle trasformazioni urbane negli agglomerati. Le azioni associate comprendono la redazione di Rapporti sullo stato dell’Ambiente, di Piani d’Azione Ambientale delle aree consortili, la realizzazione di Progetti pilota di Agenda 21e la definizione e realizzazione di un sistema delle aree ecologicamente attrezzate. Nel secondo caso sono identificati due obiettivi e due azioni ed una attiene rispettivamente al rafforzamento della cintura verde delle aree consortili e connessione alla rete del verde ed all’avvio di un programma coordinato con AFOR per la realizzazione e completamento dei sistemi verdi negli agglomerati industriali tutelando le tipicità e specificità degli areali. In sintesi, con riferimento all’agglomerato di Saline Joniche, il documento identifica le azioni previste per tale ASI che corrispondono a quelle riportate (V.: ASIREG) nel Programma di attività 2003-07 -Matrice delle attività riguardanti l’area di Saline Joniche. Il Programma 2003-07, contiene una sezione dedicata specificatamente all’Agglomerato industriale di Saline Joniche dove è descritto, sotto diversi profili, l’intervento previsto ovvero il “Potenziamento ed ampliamento dotazione tecnologica ed infrastrutturale materiale ed immateriale dell’agglomerato industriale di Saline Joniche”. In tale caso l’Ente proponente e realizzatore è il Consorzio ed il PIT di competenza è quello dell’Area Grecanica mentre il territorio interessato è quello del Comune di Montebello Jonico. Gli obiettivi identificati ed associati alle azioni previste sono: • migliorare e specializzare le condizioni di offerta territoriale per insediamenti produttivi, mediante la

riqualificazione ed ampliamento dei siti industriali afferenti all’agglomerato con una previsione su un’area estesa per 90 ha;

• accrescere la dotazione tecnologica mediante la realizzazione di una infrastruttura di comunicazione a banda larga;

• sostenere il processo di sviluppo di nuove imprenditorialità nel settore della pesca consentendo l’utilizzazione dell’infrastruttura portuale e realizzando un circuito infrastrutturale e strutturale per specializzare l’area nel comparto ittico;

• contribuire allo sviluppo del territorio, nel rispetto della salvaguardia dell’ambiente naturale, mediante la predisposizione di interventi mirati alla ottimizzazione delle strutture connesse al ciclo dell’acqua, al miglioramento delle attività produttive sia sotto il profilo dell’efficienza ambientale dei processi produttivi,

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sia sotto il profilo dell’implementazione di sistemi di monitoraggio e controllo del sito produttivo e di gestione ambientale delle unità locali in un quadro di area ecologicamente attrezzata, ed infine, sotto il profilo dell’efficienza energetica anche attraverso la realizzazione di una rete di produzione e distribuzione di energia da fonte eolica.

Gli obiettivi strategici del progetto sono riassunti nel: • consentire il completamento delle infrastrutture di base e terziaria ed il suo potenziamento attraverso

l’offerta di servizi reali, materiali ed immateriali, e di supporto allo sviluppo imprenditoriale locale; • specializzare l’area industriale favorendo gli insediamenti del comparto dei servizi e della distribuzione

commerciale e logistica del comparto ittico in un’ottica di integrazione e proto-distrettualizzazione. In tale documento specifico sono inoltre indicati i punti di coerenza dell’intervento previsto con la Misura POR Calabria, con gli obiettivi specifici del PSM definiti dalla Delibera CIE 14.5.99, con il PIT Area Grecanica e sono indicate le relazioni funzionali con le iniziative produttive private (necessità di rendere le aree utili per insediamenti compatibili e sostenibili con le vocazioni espresse dall’area e attrezzando delle aree per le specializzazioni orientate al settore ittico per sfruttare la struttura portuale) e la coerenza con la priorità delle Pari opportunità, prevista dal QCS. Nel documento sono inoltre riportate ulteriori tabelle inerenti la quantificazione degli obiettivi, la fattibilità dell’intervento, la sua sostenibilità ambientale, il contributo all’adozione al principio di pari opportunità, l’impatto del progetto (effetti attesi) e la sostenibilità finanziaria. Progetto Integrato Territoriale n. 23 “Area Grecanica” I Progetti Integrati Territoriali (PIT) sono individuati quali strumenti per sostenere la realizzazione, crescita ed implementazione dei sistemi locali di sviluppo all’interno del Programma Operativo Regionale Calabria 2000/2006 (POR), approvato con Decisione della Commissione Europea del 8.8.2000, n. 2000/2345 e modificato con Decisione 2004/5187 del 15.12.2004. I singoli PIT sono associati alle relative aree territoriali che sono state individuate con la D.G.R. 27.4.2001, n. 354 e tra queste la n. 23, denominata “Area Grecanica”, interessa il Comune di Montebello Ionico ed anche il confinante Comune di Melito di Porto Salvo. Il PIT n. 23 è stato assunto con Accordo di Programma, in data 2.3.2005, tra la Regione Calabria, la Provincia di Reggio Calabria, i Comuni territorialmente interessati, la Comunità Montana Versante Jonico Meridionale – Capo Sud. Il citato Accordo di Programma è finalizzato all’attuazione delle infrastrutture materiali e immateriali, degli interventi del FSE e delle operazioni in regime di aiuto, come individuati nelle schede inserite negli Allegati n. 3, 4 e 5 dello stesso Accordo e come previsti dal PIT. La durata dell’accordo è stabilita fino al 30.6.2009. L’Accordo è integrato da sette Allegati ovvero, il Quadro Generale, il Quadro riepilogativo degli interventi, le tre Schede degli interventi (per le infrastrutture, per il regime di aiuto e per il FSE), lo Schema di convenzione per l’attuazione del PIT ed infine le Indicazioni per la sostenibilità ambientale. Il Quadro Generale si articola in Schede, la prima di “Analisi del contesto socio economico”, la seconda di “Analisi SWOT”, la terza della “Idea strategica”, la quarta degli “Obiettivi specifici”, la quinta degli “Indicatori” ed infine la sesta del “Partenariato pubblico e privato”. La lettura di tale documento consente di evidenziare alcuni aspetti di maggiore rilevanza ed in particolare le strategie e gli obiettivi del PIT. Nel Quadro Generale, nella parte relativa all’Analisi del contesto (Scheda 1) ed in dettaglio al punto delle dotazioni infrastrutturali, viene sottolineata, tra i diversi aspetti, la limitatezza delle infrastrutture di trasporto marittimo (strutture portuali non funzionali, con riferimento a Saline Joniche), ed ancora, al punto delle dotazioni di beni culturali, si evidenzia la caratterizzazione per la presenza dell’isola grecanica e dei centri di origine bizantina (VI-XI sec.) o di epoca anteriore, ed al punto della situazione ambientale la presenza di SIC e di “Parchi antropici” promossi dalla Provincia e dai tre PIS regionali. Nella parte inerente l’analisi SWOT (Scheda 2), si indica, come punto di forza, la “presenza di aree industriali dimesse, di PIP negli strumenti urbanistici comunali e dell’infrastruttura portuale di Saline Joniche che possono costituire importanti fattori localizzativi di nuovi impianti produttivi”, e viceversa, come punto di debolezza, “il degrado ambientale di alcune aree oggetto di investimenti industriali ed infrastrutturali falliti con conseguente presenza di forti impatti negativi (per es. erosione di molte spiagge del litorale)”. L’idea strategica del PIT (Scheda 3) è quella di “riqualificare il patrimonio storico culturale ed ambientale dell’Area in un’ottica di sviluppo sostenibile, potenziando i valori e le risorse caratteristiche dell’identità grecanica”. Gli indirizzi strategici sono ricondotti, riconsiderando le strategie derivanti dall’idea forza, a:

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• tutelare e valorizzare l’ingente patrimonio culturale ed ambientale caratteristico dell’Area Grecanica, sia come risorsa fondamentale per il potenziamento del sistema di offerta turistica, che come pre-condizione per il recupero dell’identità delle popolazioni locali, potenziando e mettendo in rete le varie risorse ed aumentandone la visibilità e modalità di fruizione;

• segnare la discontinuità ed invertire definitivamente la rotta nelle politiche del territorio per una crescita sociale ed economica dell’area, operando in una logica di processo, a partire dalla rete di esperienze avviate, con l’obiettivo di potenziare i nodi esistenti e di crearne altri di valenza strategica nei settori e nei territori sprovvisti.

La strategia di sviluppo del territorio del PIT Area Gracanica parte da una riflessione e dai dati di contesto che mettono in evidenza le scelte errate ed i disastrosi fallimenti del periodo anni ’70 e metà anni ’90, con riferimento alla Liquichimica Biosintesi ed alle Officine Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato che hanno avuto il solo effetto di distruggere parte del patrimonio ambientale ed agricolo più importante dell’Area. Allo stesso modo si cita, come aspetto negativo, “la realizzazione di opere infrastrutturali inadeguate (Porto di Saline) che hanno provocato l’erosione di alcune tra le spiagge più belle dell’intero litorale costiero dell’Area (alcune di queste spiagge devastate dall’erosione sono riconosciute come SIC)”. Il PIT, con riferimento alle scelte strategiche assunte, definisce quale obiettivo generale quello di “aumentare il grado di indipendenza economica tramite la localizzazione di nuove imprese di produzione e servizi e il potenziamento di quelle esistenti facilitando la fruizione del patrimonio culturale ed ambientale, la partecipazione della popolazione al mercato del lavoro regolare e le condizioni di legalità e coesione sociale”. Gli obiettivi specifici del PIT (Scheda 4) sono i seguenti: • sostenere il recupero, la riqualificazione e la valorizzazione dei borghi e dei centri interni che presentano

maggiori rischi di abbandono; • sostenere la qualificazione degli insediamenti di costa attraverso la riorganizzazione funzionale degli spazi

e dei servizi alle persone ed alle attività economiche (in una logica di rete), il miglioramento della qualità ambientale, la tutela delle coste, la valorizzazione del patrimonio pubblico esistente inutilizzato;

• salvaguardare e valorizzare il patrimonio culturale ed ambientale dell’Area Grecanica potenziando ed accrescendo la qualità della vita e le possibilità localizzative di imprese ecoturistiche;

• promuovere la coesione sociale; • sostenere lo sviluppo integrato delle micro-attività economiche presenti sul territorio in una logica di

filiera territoriale.

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2. DESCRIZIONE SINTETICA DEL QUADRO PROGETTUALE Nell’ambito dello Studio di Impatto Ambientale il Quadro progettuale permette di evidenziare gli elementi impiantistici e le modalità produttive e gestionali del progetto con particolare riferimento ai potenziali fattori di impatto sulle diverse componenti ambientali interessate. Scopo di questo documento è, dunque, la descrizione dei profili progettuali desunti dal progetto elaborato dalla Società FWI S.p.A. per conto della Proponente “SEI – Saline Energie Joniche” S.p.A. relativamente ad una centrale termoelettrica a carbone di potenza pari a 1.320 MWe lordi, costituita da due linee gemelle da 660 MWe ciascuna, ed alle relative opere connesse (opere portuali, sistema di trasporto per il carbone, sottoprodotti di processo ed altri materiali solidi, presa acqua mare, scarico acque di raffreddamento), che la Società proponente Saline Energie Ioniche S.p.A. (SEI S.p.A.), intende realizzare nell’area industrializzata ex-Enichem di Saline Joniche del Comune di Montebello Jonico (RC). La Centrale Termoelettrica, per le caratteristiche tecniche e per la taglia dei gruppi, è progettata per un funzionamento continuo base load di 8.000 ore/anno al Carico Nominale Continuo (CNC) utilizzando carbone come combustibile oppure carbone in co-combustione con biomasse (fino ad un massimo del 5% sulla potenza termica). Parte dell’energia termica ed elettrica prodotta potrà essere resa disponibile alle aziende dell’area industrializzata di Saline Joniche. L’impiego di personale all’interno della Centrale è stimato essere pari a circa 140 unità lavorative. Il presente Studio di Impatto Ambientale ha per oggetto la Centrale Termoelettrica le opere direttamente connesse con la realizzazione della stessa, con l’esclusione dell’elettrodotto che è oggetto di uno Studio di Impatto Ambientale separato. 2.1. L’impiego del carbone come combustibile La scelta progettuale che più significativamente caratterizza il progetto della centrale termoelettrica di Saline Joniche è senza dubbio riconducibile all’impiego del carbone come combustibile; tale scelta è motivata dal Proponente prevalentemente in base a considerazioni inerenti la competitività economica del combustibile e l’opportunità, sotto il profilo strategico, di aumentare la diversificazione delle fonti primarie di approvvigionamento energetico del nostro paese. Nonostante la criticità in termini di emissioni unitarie di CO2, infatti, il carbone è oggi considerato dal mercato dei produttori una importante fonte per la produzione di energia elettrica, dato il basso costo per unità termica e le grandi riserve accertate in tutto il mondo. In Italia la quota di energia elettrica prodotta mediante combustione di carbone è inferiore a quella degli altri paesi industrializzati, con la sola eccezione della Francia che però, come noto, produce una rilevante quota di energia elettrica da nucleare. Fra gli elementi che concorrono a giustificare la scelta del carbone come fonte primaria di energia (quanto meno in termini economici e commerciali) si considerino in particolare i seguenti: • grandi riserve accertate in più di 100 Paesi al mondo; • possibilità di approvvigionamento da paesi politicamente stabili (Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Australia,

Polonia, ecc.); • basso costo di generazione per unità termica prodotta rispetto all’olio combustibile e al gas naturale; • facilità di trasporto via mare in siti costieri; • esclusione del carbone fossile dall’elenco delle sostanze pericolose per il trasporto via mare. Sotto il profilo progettuale e tecnologico gli impianti più avanzati sono attualmente quelli di tipo super critico e ultrasupercritico a polverino di carbone; impianti di questo tipo sono operativi da una quindicina di anni in Germania, Danimarca e Italia (Brindisi sud), e si tratta della tecnologia adottata anche da ENEL per le centrali di Torrevaldaliga Nord (Civitavecchia) e Porto Tolle, e indicata, da Tirreno Power, come scelta progettuale per

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il potenziamento della Centrale di Vado Ligure. Le caldaie ultrasupercritiche garantiscono al tempo stesso un elevato controllo delle emissioni inquinanti, elevati rendimenti termodinamici ed un notevole risparmio di combustibile. Il ciclo termico sarà caratterizzato da alti valori di pressione (300 bar) e di temperatura (600 °C) del vapore principale e del vapore risurriscaldato (620°C e 62 bar) in ingresso alla turbina rispettivamente di alta e media pressione e da avanzati sistemi di preriscaldamento dell’acqua di alimento prima dell’ingresso in caldaia. Inoltre le tecniche di controllo della combustione e di trattamento dei fumi consentono l’emissione di ridottissime quantità di inquinanti per unità di energia generata; questo fa sì che la tecnologia delle centrali a ciclo ultrasupercritico a polverino possa essere considerata, attualmente, una fra le tecnologie più affidabili e meno inquinanti per lo sfruttamento energetico del carbone. 2.2. La possibilità di impiego di biomasse in co-combustione Un aspetto particolare del progetto oggetto del presente studio è costituito dalla predisposizione impiantistica all’utilizzazione di biomasse in co-combustione fino al 5% dell’energia termica in ingresso e compatibilmente con le disponibilità di mercato (come valore indicativo medio, sulla base del quale è stata dimensionata la domanda di trasporto, si è assunto il 2%). La filiera biomasse (caratteristiche, approvvigionamento, impiantistica, valutazioni costi-benefici) è trattata nel capitolo Quadro di riferimento ambientale dello Studio di Impatto Ambientale (Capitolo 3). Le caratteristiche generali dell’eventuale impiego di biomasse sono comunque le seguenti: • tipo di biomassa: cippato di legno e di oleaginose a ciclo annuale • peso specifico = 250 kg/m3 • p.c.i. medio = 2.200 kcal / kg • trasporto: almeno 70.000 t/a via nave e circa 100.000 t/a via strada 2.3. Predisposizione impiantistica al sequestro dell’anidride carbonica Come noto, a parità di energia generata, il carbone emette più anidride carbonica (CO2) di ogni altro combustibile fossile, con ciò determinando anche un incremento nei costi di produzione come conseguenza dell’introduzione di una “tassa” specifica sulle emissioni di detto gas. Il progetto della Centrale di Saline Joniche adotta le opzioni necessarie a definire l’impianto “CO2 capture ready”, come peraltro previsto dalle recenti determinazioni europee in materia di contenimento delle emissioni climalteranti3. Anche se, quanto meno nella fase iniziale, non è prevista la cattura e la compressione della CO2, la Centrale sarà comunque progettata prevedendo la predisposizione per la eventuale futura cattura fino all’85% della CO2 presente nei fumi prodotti dalle due caldaie. 2.4. Alternative tecnologiche per la combustione del carbone Preliminarmente allo sviluppo del progetto definitivo della Centrale Termoelettrica di Saline Joniche il proponente ha preso in considerazione tutte le principali alternative tecniche considerate Migliori Tecnologie Disponibili (Best Available Techniques, BAT) nella generazione di energia elettrica da combustione di carbone. Tali alternative possono essere ricondotte alle tre seguenti tipologie principali: 1. ciclo a vapore ultrasupercritico basato su caldaia a polverino di carbone, con turbina a vapore; 2. ciclo a vapore supercritico - caldaia a letto fluido circolante, tipo compatto con turbina a vapore; 3. impianto di gassificazione del carbone integrato con un ciclo combinato (IGCC) consistente in una sezione

di gassificazione e trattamento del gas di sintesi, seguita da una sezione di produzione di energia elettrica composta da turbina a gas, caldaia a recupero e turbina a vapore.

Considerata la rilevanza delle tematiche connesse con le emissioni di gas a effetto serra (CO2), evidenziata anche dalla Commissione Europea con particolare riferimento ai grandi impianti di produzione di energia elettrica, in sede di valutazione preliminare delle alternative tecnologiche sono stati considerati solamente impianti predisposti per la futura cattura della CO2 (CO2 capture ready); si è inoltre considerata l’opzione della effettiva implementazione dei sistemi necessari alla cattura della CO2 (CO2 capture). Le tabelle di sintesi

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riportate a conclusione del presente paragrafo riassumono le prestazioni energetiche ed ambientali delle diverse tecnologie considerate. La conclusione delle valutazioni effettuate in via preliminare, tenuto conto delle condizioni al contorno riferite all’impianto di Saline Joniche ed alle normative vigenti in materia di qualità del carbone importato, è che la prima delle tecnologie considerate, ovvero il ciclo a vapore ultrasupercritico basato su caldaia a polverino di carbone risulta essere attualmente quella che meglio soddisfa contemporaneamente a diversi criteri di carattere sia economico, che logistico ed ambientale. 2.5. Criteri di selezione adottati e conclusioni della valutazione comparativa La selezione della tecnologia di combustione del carbone da adottare per la centrale di Saline Joniche si basa su diversi criteri di carattere sia economico che ambientale. Sotto il profilo economico, la valutazione ha preso in considerazione i costi di investimento ed i costi operativi associati alle differenti opzioni, le taglie disponibili per le diverse tecnologie considerate, le performance conseguibili in termini di producibilità ed efficienza dell’impianto. Per quanto concerne in particolare le prestazioni ambientali delle differenti opzioni, si rinvia alle Tabelle 5 e 6 riportate a conclusione del presente capitolo (il differenziale di emissioni di CO2 delle differenti tecnologie di combustione del carbone rispetto ad un ciclo combinato a gas può essere stimato sulla base di un parametro medio, relativo a questa ultima tecnologia, stimabile in circa 360 kg di CO2/MWhe immesso in rete). Dal confronto effettuato sulla base dei parametri tecnico-economici sinteticamente descritti, il proponente ed il progettista dell’impianto hanno concluso per un significativo vantaggio delle tecnologie convenzionali – sia con caldaia a polverino che a letto fluido - rispetto alla gassificazione. Per quanto riguarda in particolare la gassificazione, la limitata esperienza operativa di impianti IGCC a carbone evidenzia in ogni caso la difficoltà che si incontrerebbe, specialmente nei primi anni di attività, nel raggiungere livelli di disponibilità dell’impianto compatibili con una gestione commerciale dell’iniziativa. Per quanto concerne le tecnologie a letto fluido, le prescrizioni normative vigenti nel nostro paese in materia di importazione di carbone (con un contenuto massimo di zolfo ammesso pari all’1%) non consentono il pieno sfruttamento dei vantaggi associati a tale opzione. Con riferimento infine alle due opzioni disponibili per la tecnologia a polverino (due unità da 660 MW o una da 1000 MWe) si è ritenuta preferibile la prima (due unità da 660 MWe) sulla base delle seguenti considerazioni: • maggiore flessibilità operativa; • possibilità di realizzare in fasi l’investimento; • taglia delle unità consolidata e per certi versi ormai “standard” per impianti a carbone in Italia; • possibilità di implementare un impianto dimostrativo di cattura della CO2 di dimensioni più ridotte. Riconoscendo la grande criticità legata alla maggiore emissione di anidride carbonica intrinsecamente connessa alla combustione del carbone, le due linee da 660 MWe vengono, come si è detto, progettate in modo da essere predisposte alla futura installazione di un sistema per la cattura e la compressione di una quota massima pari all’85% della CO2 presente nei fumi prodotti dalle due caldaie. L’eventuale installazione dei sistemi di cattura della CO2 potrà essere effettuata in fasi successive, prevedendo una prima fase dimostrativa e successive implementazioni. 2.6. Configurazione della centrale termoelettrica La Centrale Termoelettrica è costituita da due unità gemelle da 660 MWe lordi e dalle unità ausiliarie necessarie per il loro funzionamento. Le principali apparecchiature ed unità della Centrale sono le seguenti: a) sistema di scarico, stoccaggio e movimentazione del carbone e della biomassa; b) due caldaie ultrasupercritiche a polverino di carbone, ciascuna con relativo sistema di denitrificazione

catalitica (De-NOx), depolverazione dei fumi (filtri a maniche); c) due unità di desolforazione (De-SOx) dei fumi ad umido, una per caldaia; d) sistema di scarico, stoccaggio e movimentazione dei reagenti del sistema di trattamento fumi (urea,

calcare); e) 2 camini affiancati, (altezza pari a 180 m e diametro alla bocca di 6,4 m), uno per caldaia, di evacuazione

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fumi in atmosfera, collegati da una unica intelaiatura di irrigidimento e di contenimento dell’ascensore di servizio;

f) sistema di stoccaggio, movimentazione e carico dei sottoprodotti solidi derivanti dalla combustione e dal trattamento fumi (ceneri e gesso);

g) due turbine a vapore a condensazione con risurriscaldamento, ciascuna costituita da una sezione di alta, media e bassa pressione;

h) due condensatori del vapore scaricato dalle turbine, raffreddati ad acqua di mare in circuito aperto; i) una presa acqua mare, in grado di fornire acqua ai condensatori delle turbine ed al sistema di

raffreddamento macchine in circuito chiuso; il sistema include una turbina idraulica per il recupero dell’energia dell'acqua, prima della restituzione a mare della potenza pari a circa 3 MW;

j) un sistema di acqua raffreddamento macchine, costituito da acqua dolce in circuito chiuso, raffreddata ad acqua di mare;

k) un impianto dissalazione e demineralizzazione acqua di mare a osmosi inversa e resine a scambio ionico; l) un generatore ausiliario alimentato a gasolio; m) l’impianto di raccolta e trattamento delle acque reflue; n) l’impianto antincendio; o) due generatori elettrici, con relativo interruttore di macchina e trasformatori elevatori; p) una stazione AT, costituita da due montanti trasformatore, due montanti linea ed un sistema di sbarre con

congiuntore per il collegamento alla Rete di Trasmissione Nazionale; q) il sistema elettrico di distribuzione ausiliaria; r) un sistema di moduli fotovoltaici localizzati sul versante Sud del tetto del carbonile di potenza di picco

installata pari a 1 MW; s) tutti i servizi ausiliari necessari per la corretta operatività dell’impianto. 2.7. Capacità delle Unità funzionali della Centrale La Centrale Termoelettrica è stata funzionalmente articolata in alcune Unità principali, di seguito elencate con le relative capacità di progetto: Unità principali di processo Approvvigionamento carbone: • scarico navi e trasporto a stoccaggio: 3.000 t/h, comune ai due gruppi; • edificio stoccaggio: 300.000 t, comune ai due gruppi; • movimentazione e macinatura da stoccaggio a caldaie:2 x 1.500 t/h, comune ai due gruppi (due linee, di

cui una di riserva). Approvvigionamento biomassa: • scarico navi e trasporto a stoccaggio: 500 t/h, comune ai due gruppi; • edificio stoccaggio: 19.000 t, comune ai due gruppi; • movimentazione e macinatura da stoccaggio a caldaie: 200 t/h, comune ai due gruppi. Caldaie: • input termico:1.383 MWt, per caldaia. Turbina a vapore: • potenza lorda generata: 660 MWe, per turbina. Approvvigionamento Calcare: • scarico navi e trasporto a stoccaggio: 500 t/h, comune ai due gruppi • sili stoccaggio 15.000 t totale, comune ai due gruppi; • movimentazione e macinatura da stoccaggio a De-SOx: 250 t/h, comune ai due gruppi (due linee, di cui

una di riserva). Movimentazione gesso: • movimentazione da De-SOx a stoccaggio: 250 t/h, comune ai due gruppi (due linee, di cui una di riserva);

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• edificio stoccaggio: 15.000 t, comune ai due gruppi; • trasporto da stoccaggio e carico navi: 500 t/h, comune ai due gruppi. Movimentazione ceneri: • movimentazione da caldaie a stoccaggio: 250 t/h, comune ai due gruppi (due linee, di cui una di riserva); • sili stoccaggio: 30.000 t totale, comune ai due gruppi; • trasporto da stoccaggio e carico navi: 500 t/h, comune ai due gruppi; Unità ausiliarie (comuni ai due gruppi) • Presa acqua mare (opere civili): 210.000 m3/h, dimensionata per la eventuale futura cattura della CO2; • Presa acqua mare (stazione pompe): 160.000 m3/h, in assetto “CO2 capture ready”; • Produzione acqua servizi: 300 m3/h; • Produzione acqua demineralizzata: 50 m3/h; • Produzione aria impianti / strumenti: 1.600 Nm3/h. 2.8. Principali sistemi ed unità operative La centrale utilizza carbone come fonte energetica primaria, con un possibile contributo da biomassa vegetale fino ad un massimo del 5% in termini di energia termica in ingresso alla caldaia. La linea di produzione è costituita da due gruppi a vapore a ciclo Rankine UltraSuperCritico, con condensatore raffreddato ad acqua di mare a ciclo aperto, ed è predisposta per la eventuale successiva realizzazione di impianti per la cattura della CO2 contenuta nei fumi. Tutta l’acqua necessaria al funzionamento del ciclo (acqua di raffreddamento, produzione dell’acqua demineralizzata per il ciclo vapore, acqua impiegata per i sistemi di trattamento dei fumi e per gli altri servizi) viene prelevata dal mare e subisce in loco tutti i trattamenti necessari ai vari utilizzi. La descrizione dell’impianto sotto il profilo operativo fa riferimento a 12 aree (o sistemi) principali, ciascuna costituita da una o più Unità, (indicate tra parentesi per agevolare la lettura del Progetto per un approfondimento degli argomenti): 1. Sistema di approvvigionamento e stoccaggio del carbone, della biomassa e del calcare (Unità 1-3100, 1-

3200 e 1-3300); 2. Sistema di Movimentazione Materiali Solidi da Stoccaggio a Caldaie (Unità 1-100) con eventuali

lavorazioni intermedie; 3. Isola Caldaie (Unità 1-200 e 2-200); 4. Ciclo termico (Unità 1-300 e 2-300); 5. Sistema di rimozione ceneri e piriti (Unità 1-400, 2-400), stoccaggio e terminale di carico ceneri (Unità 1-

3400); 6. Terminale di stoccaggio gesso (Unità 1-3500); 7. Impianti desolforazione fumi (Unità 1-500, 2-500); 8. Sistema elettrico (Unità 1-900); 9. Sistema acqua mare di raffreddamento ciclo termico (Unità 1-1100, 1-2100); 10. Produzione e distribuzione aria impianti/strumenti (Unità 1-1200); 11. Produzione e distribuzione acqua servizi e demineralizzata (Unità 1-1400); 12. Sistema di raccolta e trattamento acque di scarico (Unità 1-4100); 13. Opere civili (Unità 1-5000). Inoltre la centrale è dotata di: • sistemi di supervisione e controllo; • impianto di stoccaggio ed alimentazione gasolio per gli avviamenti dei gruppi (Unità 1-1300); • impianto antincendio.

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2.9. Approvvigionamento e stoccaggio di carbone, calcare e biomassa Approvvigionamento e stoccaggio carbone Il carbone sarà scaricato dalle navi con scaricatori di tipo continuo, verrà trasferito nell’area di impianto attraverso un sistema di nastri trasportatori dotati di sistemi di separatori magnetici, e stoccato al chiuso in un edificio dedicato. Dagli scaricatori, il carbone sarà trasferito sul primo nastro dell’impianto di movimentazione, lungo banchina, per l’invio all’edificio di stoccaggio. La capacità del carbonile è tale da consentire lo scarico di una nave della massima capacità prevista, garantendo allo stesso tempo lo spazio per una riserva di carbone in caso di possibile inagibilità dell'attracco (down time) o per ritardi dell'arrivo delle navi. L'intero stoccaggio garantisce la produzione della centrale alla massima capacità per almeno 30 giorni. Nella progettazione dei sistemi di carico e scarico e i nastri di trasferimento vengono adottate le migliori tecnologie disponibili per impedire la diffusione di polveri nell’ambiente. In particolare i criteri progettuali adottati prevedono: • il disegno delle apparecchiature e dei componenti (ad esempio la geometria delle tramogge) funzionale ad

evitare la dispersione delle polveri nell’ambiente circostante; • l’utilizzo di nastri trasportatori chiusi in appositi tunnel tenuti in leggera depressione per evitare fughe

incontrollate di polveri; • l’utilizzo di impianti di nebulizzazione ad acqua, oppure sbarramenti ad aria forzata, nelle tramogge e nei

punti di caricamento e/o smistamento dei nastri; • l’ottimizzazione della gestione delle modalità operative. Al fine di prevenire fenomeni di autocombustione del carbone è stato previsto innnanzitutto lo stoccaggio del combustibile in ambiente confinato (carbonile); si provvederà in ogni caso alla limitazione dei tempi di stoccaggio e la limitazione dell’ingresso dell’aria all’interno del cumulo di carbone tramite una compattazione. Il sistema di movimentazione del carbone (nastri e torri) sarà protetto con un sistema di rilevazione incendi (a bulbi di quarzo o a termocoppie sensibili) e con un impianto antincendio ad acqua frazionata in corrispondenza delle torri. Sistemi di ventilazione assicureranno inoltre il ricambio d’aria per prevenire la formazione di miscele esplosive di gas e aria. Tutte le operazioni di scarico, messa a parco, ripresa e movimentazione del carbone saranno, per quanto possibile, automatizzate e controllate tramite un adeguato sistema di controllo. Approvvigionamento e stoccaggio del calcare Il calcare viene approvvigionato prevalentemente tramite navi o bulk carriers fino a 15.000 DWT, che possono attraccare all’interno del porto e che utilizzeranno per lo scarico una serie di nastri dedicati. È comunque previsto anche l’approvvigionamento e lo scarico “protetto” mediante camion. Il calcare in pezzatura grossolana e polvere verrà immagazzinato in 10 sili a sviluppo verticale, caricati dall’alto e posizionati a fianco dell’impianto di macinazione. La capacità di stoccaggio è dimensionata in modo da consentire lo scarico di una nave della massima capacità prevista. L'intero stoccaggio consente di alimentare la centrale alla massima capacità per almeno 40 giorni (nel caso peggiore di utilizzo di carbone con il massimo contenuto di zolfo possibile).

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Approvvigionamento della biomassa Il trasporto della biomassa presso il sito della Centrale è previsto possa avvenire sia via mare che su strada. Nel primo caso, le navi (che avranno dimensioni nominali massime pari a 20.000 DWT, corrispondenti ad una massima capacità di carico di biomassa di 6.500 t) utilizzeranno la banchina interna del porto, da cui la biomassa verrà trasferita, mediante il sistema di nastri trasportatori, al locale ricevimento/stoccaggio. Nel caso la biomassa sia trasportata su strada, gli autocarri scaricheranno direttamente all’interno di un edificio appositamente attrezzato, da dove la biomassa viene trasferita al magazzino chiuso dedicato. Indicativamente si considera un impiego medio pari al 2% in energia di biomassa. A tale ipotesi corrisponde un traffico stimato in 10 navi/anno e 10.000 autocarri/anno. 2.10. Movimentazione Materiali Solidi da Stoccaggio a Caldaie con eventuali

lavorazioni intermedie Questa Unità, comune ai due Gruppi, è costituita dai sistemi che provvedono alla ripresa dei materiali solidi (Carbone, Calcare ed eventuale Biomassa) dai rispettivi stoccaggi ed al loro invio alle caldaie. Movimentazione Carbone da Stoccaggio a Caldaie Il carbone, ripreso dall'edificio di stoccaggio16, viene trasportato, per mezzo di un sistema di nastri trasportatori e torri di trasferimento, all'edificio di macinazione, dove viene prima vagliato e poi macinato fino alla pezzatura accettata dai polverizzatori di caldaia. Un sistema di separatori magnetici provvede a scartare gli elementi metallici eventualmente presenti nella massa carboniosa e che potrebbero danneggiare i macchinari successivi. Il sistema di trasporto dal carbonile ai sili giornalieri ed il sistema di macinazione sono comuni ad entrambe le caldaie, e prevedono due linee da 1.500 t/h ciascuna, con funzioni di riserva l’una nei confronti dell’altra. Tutti i nastri, le torri di trasferimento e il sistema di macinazione sono installati in gallerie o edifici chiusi e mantenuti in leggera depressione per prevenire la dispersione di polveri in atmosfera; nei punti di maggior produzione di polvere (torri di trasferimento e edificio macinazione) saranno installati sistemi di filtrazione locale per depolverare l'aria di ventilazione aspirata dalle gallerie e dagli edifici e recuperare il polverino. Alimentazione delle caldaie Dall'edificio di macinatura il carbone viene inviato alle caldaie per mezzo di un sistema di nastri trasportatori e di torri di trasferimento, (che arrivano ad un’altezza di circa 60 m in prossimità delle caldaie). Qui il carbone viene distribuito in una serie di sili giornalieri (sono previsti 6 sili della capacità di 800 t ciascuno per ogni caldaia), mediante un sistema a nastro tripper o equivalente; dai sili il carbone viene dosato e distribuito ai mulini polverizzatori di macchina del carbone di ogni caldaia. Il polverino così ottenuto viene miscelato con una parte dell'aria di combustione proveniente dai ventilatori e quindi inviato ai bruciatori della caldaia per la combustione. Ulteriore aria comburente viene inviata direttamente ai bruciatori e nella camera di combustione per ottimizzare il processo di combustione e minimizzare la produzione di NOx. Sistema di rimozione degli scarti dei polverizzatori (piriti) Alcuni elementi contenuti nel carbone (piriti e metalli) non possono essere ridotti a polvere dai mulini polverizzatori, e quindi devono essere espulsi da ogni mulino attraverso una condotta dedicata; successivamente tali materiali vengono scaricati su un sistema di nastri trasportatori (comune a tutti i mulini di una caldaia), e convogliati ad un silo di stoccaggio dotato di un sistema di scarico in cassoni per il trasporto del materiale con autocarri fino a un centro di recupero materiali ferrosi.

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Movimentazione Calcare da stoccaggio a desolforazione Il calcare ripreso dai sili di stoccaggio viene trasportato, per mezzo di un sistema di nastri trasportatori e di torri di trasferimento, all'edificio di macinazione. Qui, dopo una prima frantumazione, viene trasferito ai sili di stoccaggio temporaneo da cui viene ripreso, pesato ed ulteriormente macinato e miscelato con l’acqua proveniente dal sistema di disidratazione della sospensione di gesso. La sospensione viene quindi inviata – mediante pompe – ai serbatoi di stoccaggio e di qui pompata negli assorbitori; il sistema prevede che parte della sospensione venga ricircolata al serbatoio per avere una portata nelle linee sufficiente a mantenere i solidi in sospensione. Il sistema di macinazione e il serbatoio di preparazione della sospensione di calcare sono comuni alle due linee di desolforazione e prevedono due linee, una di riserva, della capacità di 250 t/h. Tutti i nastri, le torri di trasferimento e il sistema di macinazione sono installati in gallerie o edifici chiusi per prevenire la dispersione di polveri in atmosfera; nei punti di maggior produzione di polvere (torri di trasferimento e edificio mulini) saranno installati sistemi di filtrazione locale per depolverare l'aria di ventilazione aspirata dalle gallerie e dagli edifici. Movimentazione della biomassa Dal locale stoccaggio la biomassa verrà trasferita all’edifico macinazione e miscelazione carbone/biomassa e da qui alle caldaie mediante nastri trasportatori. La capacità di stoccaggio dedicato alla biomassa consente di alimentare la centrale alla massima capacità per circa 15 giorni (assumendo che la biomassa bruciata in co-combustione con il carbone sia pari al massimo al 5% dell’energia termica introdotta in caldaia). Tutti i nastri, le torri di trasferimento e il sistema di macinazione sono installati in gallerie o edifici chiusi per prevenire la dispersione di polveri in atmosfera; nei punti di maggior produzione di polvere (torri di trasferimento e edificio mulini) saranno installati sistemi di filtrazione locale per depolverare l'aria di ventilazione aspirata dalle gallerie e dagli edifici. Per prevenire i rischi di incendio per autocombustione delle biomasse vegetali legnose potranno essere adottate specifiche misure di prevenzione (asportazione del legname più vecchio dalla base dei cumuli, limitazione del tempo di stoccaggio, umidificazione dei cumuli). 2.11. Ciclo termico caldaia-turbina-condensatore L’impianto è costituito da due caldaie ultrasupercritiche a polverino di carbone. Il consumo di carbone al Carico Nominale Continuo (CNC) è previsto essere pari a di 200 t/h per ogni gruppo. La potenza termica immessa con il combustibile20 sarà pari a 1.382,6 MWt per ogni caldaia. La potenza elettrica esportata, al netto degli autoconsumi, sarà pari a 627,7 MWe; l’efficienza netta attesa è pertanto pari al 45,40 %. Considerando anche il contributo della turbina idraulica che sfrutta l’energia residua delle acque di raffreddamento del condensatore (3 MWe) si raggiunge un rendimento netto di impianto del 45,5% circa con una potenza netta esportata di 1.258,4 MWe. Le caratteristiche del fluido supercritico, generato da ogni caldaia, sono le seguenti: • vapore surriscaldato: Pressione 300 bar, Temperatura 600 °C, Portata alta pressione 1.690 t/h; • vapore risurriscaldato: Pressione 62 bar, Temperatura 620°C, Portata vapore al surriscaldatore 1.488 t/h. Per quanto riguarda il vapore scaricato dalla sezione di bassa pressione della turbina la portata è pari a 961 t/h, con una pressione di condensazione pari a 0,042 mbar ed una temperatura di condensazione di 30°C. L’isola caldaie è costituita da due “treni” paralleli di combustione del carbone per la generazione di vapore surriscaldato e di vapore risurriscaldato. Ciascun treno è composto dai seguenti sistemi: a) Generatore di vapore ultrasupercritico a polverino di carbone; b) Sistema aria comburente; c) Sistema di alimentazione del combustibile e bruciatori con tecnologia Low NOx;

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d) Bruciatori ausiliari alimentati a gasolio; e) Soffiatori di fuliggine; f) Preriscaldatore d’aria di tipo rigenerativo; g) Trattamento fumi; h) Camini. Generatore di vapore ultrasupercritico a polverino di carbone La descrizione seguente si riferisce ad uno dei due generatori di vapore. Il generatore di vapore ultrasupercritico a polverino di carbone è a circolazione forzata d'acqua, a singolo passaggio (once-through). La camera di combustione è del tipo “bilanciato”; ciò significa che la pressione al suo interno è negativa (in depressione), non essendovi dunque possibilità di fuoriuscita di polveri. L’acqua in ingresso alla caldaia viene preriscaldata recuperando calore dai fumi di combustione in uscita dal generatore, e quindi immessa nei tubi che costituiscono le pareti della camera di combustione, dove grazie al calore generato viene trasformata in vapore in condizioni supercritiche. A differenza delle caldaie convenzionali, nel generatore a singolo attraversamento (once-through) non è prevista la ricircolazione dell’acqua quando il generatore al di sopra del carico minimo, e non è quindi necessario installare un corpo cilindrico per la separazione del vapore. Il vapore generato nella camera di combustione passa quindi nei surriscaldatori primari e secondari della sezione convettiva e radiante, e successivamente è inviato alla turbina; il vapore scaricato dalla sezione di alta pressione della turbina ritorna poi al generatore, dove viene risurriscaldato e nuovamente inviato alle sezioni di media pressione della turbina. Sia i surriscaldatori che i risurriscaldatori sono costituiti da più sezioni con sistemi di attemperamento intermedi. Il distanziamento tra i tubi è sufficientemente ampio da consentire una efficace pulizia e per permettere lo scarico delle ceneri nelle rispettive tramogge (hoppers) poste sotto gli economizzatori. I fumi prodotti dalla combustione del polverino di carbone escono dalla camera di combustione e sono ulteriormente raffreddati nella sezione di recupero termico convettivo costituita da banchi di surriscaldatori, risurriscaldatori ed economizzatore, disposti in controflusso rispetto al flusso di vapore. I fumi vengono quindi inviati in sequenza: • alla sezione di denitrificazione catalitica (SCR De-NOx) per l'abbattimento degli NOx; un sistema di by-

pass preclude l'attraversamento dell'economizzatore quando il generatore opera a carico ridotto (avviamento) e la temperatura dei fumi non è sufficientemente elevata per il funzionamento del SCR;

• a due scambiatori rigenerativi, posti in parallelo, che provvedono a preriscaldare l'aria comburente mediante il calore ceduto dai fumi;

• al filtro a maniche per l'abbattimento del contenuto di polveri; • alla unità di desolforazione a umido. Come si è visto, il generatore di vapore è a tiraggio “bilanciato”; in ogni unità di desolforazione sono quindi installati due ventilatori indotti (progettati per il 60% del carico), controllati mediante azionamento della serranda sull’aspirazione, in modo da mantenere il punto di bilanciamento alla sommità della camera di combustione. Lungo il sistema vengono monitorate temperature e perdite di carico dei fumi al fine di indicare la condizione di funzionamento del generatore e la necessità di rendere operativi i soffiatori di fuliggine. Sistema aria comburente L’aria comburente viene aspirata dall’ambiente esterno mediante due ventilatori centrifughi forzati (progettati per il 60% del carico massimo continuo); viene quindi preriscaldata dai fumi di scarico (passando attraverso i due scambiatori rigenerativi) ed inviata alle casse d'aria dei bruciatori di polverino di carbone (aria secondaria). Una porzione dell'aria di combustione (aria primaria) è soffiata per mezzo di due ventilatori centrifughi (progettati per il 60% del carico massimo continuo); di questa, una parte è preriscaldata dai fumi di scarico passando attraverso i due scambiatori rigenerativi; la restante parte (aria primaria di attemperamento) non passa negli scambiatori rigenerativi; l'aria primaria preriscaldata e quella di attemperamento vengono quindi inviate ai polverizzatori di carbone per ottenere la miscela di aria / carbone alla temperatura desiderata.

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La portata di aria comburente, che viene misurata tramite un venturimetro disposto nel condotto di presa dell’aria di ogni ventilatore, può essere modulata agendo sulla serranda in aspirazione al ventilatore. Sistema di alimentazione del combustibile e bruciatori Il carbone che alimenta le caldaie viene caricato nei sili giornalieri delle caldaie per mezzo dei sistemi di movimentazione precedentemente descritti. Ciascuno dei sili giornalieri è dotato di un proprio sistema di estrazione e di un alimentatore che, in funzione del carico della caldaia, dosa il carbone verso i mulini polverizzatori, dove è macinato per ottenere la finezza desiderata. La corrente di aria primaria temperata proveniente dai ventilatori del sistema aria comburente (cfr. precedente paragrafo) provvede ad asportare il polverino prodotto, ad essiccarlo e a trasportarlo ai bruciatori per mezzo di tubazioni dedicate. I bruciatori sono di tipo a bassa emissione di NOx e sono disposti sulle pareti della camera di combustione o sugli angoli della stessa. Il controllo della combustione è determinante ai fini del contenimento delle emissioni particellari, ed assume notevole rilievo anche ai fini di un esercizio economico. Particolari cure vengono quindi dedicate alla realizzazione delle condizioni migliori per la combustione, con speciale controllo della distribuzione dell'aria comburente ai singoli bruciatori. Al fine di minimizzare la formazione degli ossidi di azoto nelle caldaie durante la combustione è stato realizzato un sistema di combustione a bassa emissione di NOx, basato sulla tecnica della combustione a stadi. Questa tecnica, attraverso il controllo dell’apporto e della miscelazione dell’aria e del combustibile, consente di ridurre notevolmente la produzione di NOx. Bruciatori ausiliari Per l’avviamento del generatore di vapore è previsto un sistema di bruciatori ausiliari a gasolio disposti sulla parete della camera di combustione. L’utilizzo di questi bruciatori è limitato alle fasi di avviamento a freddo e di preriscaldo del corpo caldaia e della linea fumi. Comunque, dal momento che la Centrale è progettata per funzionare come generatore base (base load) il numero di avviamenti a freddo sarà molto contenuto e si stima un consumo di gasolio non superiore a 3.100 m3/anno per gruppo. Soffiatori di fuliggine Il generatore di vapore è equipaggiato con soffiatori di fuliggine che mantengono pulite le superfici di scambio termico. Le ceneri rimosse dal soffiaggio sono trascinate via dai fumi di combustione e finiscono col cadere nelle tramogge di raccolta o sono separate dai fumi nei filtri a manica descritti in seguito. Preriscaldatore rigenerativo dell’aria L’aria primaria e secondaria è preriscaldata con un preriscaldatore rigenerativo rotativo (Ljungström). L’accumulo del calore è ottenuto per mezzo di fasci di elementi riscaldanti posizionati nell’ampia sezione del rotore che è fatto ruotare facendo passare in controcorrente fumi e aria di combustione. I fumi si raffreddano passando attraverso gli elementi che vengono riscaldati, mentre l’aria di combustione inizialmente fredda viene preriscaldata attraversando gli elementi resi caldi dal precedente passaggio dei fumi.

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Avviamenti e regolazione dei gruppi La caldaia viene avviata utilizzando esclusivamente gasolio fino ad un carico massimo del 20%, soglia oltre la quale si inizia l’alimentazione anche con carbone; intorno al 40% del carico il passaggio a carbone sarà completato. I tempi di avviamento tipici di una Centrale a carbone sono i seguenti: • avviamento da caldo (entro 10 ore dalla fermata della Centrale) ca. 120 minuti • avviamento da tiepido (tra 10 e 100 ore dalla fermata impianto): ca. 250 minuti • avviamento da freddo (a oltre 100 ore dalla fermata): ca. 450 minuti Tali dati sono comunque da considerarsi preliminari e devono essere verificati in una fase più avanzata del progetto essendo questi dipendenti dal grado finale di automazione previsto per l'impianto e dal tipo di apparecchiature installato. Ciascuna caldaia, e quindi ciascuna linea, può dunque operare a carbone dal carico minimo del 40% fino al carico massimo continuo del 100%; al disotto del 20% si deve operare con solo gasolio e tra il 20 ed il 40 % si passa gradualmente da tutto gasolio a tutto carbone. La massima variazione di carico della caldaia è del 5% al minuto. Ciclo termico del vapore Il ciclo termico comprenderà due treni paralleli, ciascuno costituito principalmente da una caldaia, una turbina a vapore con un condensatore ad acqua mare in circuito aperto e da una batteria di preriscaldatori dell’acqua alimento di AP e BP con degasatore. Gli ausiliari del ciclo saranno comuni ai due gruppi ed assicureranno il corretto funzionamento dell’impianto. Le condizioni di progetto per stabilire le prestazioni al CNC, i consumi e le emissioni sono: • Temperatura ambiente = 15°C • Umidità ambiente = 60 % • Temperatura acqua mare = 18°C Il vapore supercritico prodotto dalla caldaia viene inviato ad una turbina dove si espande producendo energia meccanica, che viene convertita in energia elettrica per mezzo dell'alternatore ad essa calettato. Le caratteristiche del vapore alimentato alla turbina saranno le seguenti: • Vapore surriscaldato: Pressione 293 bar a Temperatura = 595 °C • Vapore risurriscaldato: Pressione 60 bar a Temperatura = 616 °C Le condizioni di scarico delle turbine a vapore saranno le seguenti: • Pressione di condensazione 0,042 bar corrispondente ad una temperatura di condensazione di 30 °C,

compatibile con le condizioni medie dell’acqua di raffreddamento. In condizioni di esercizio normale le valvole di immissione alle varie sezioni di turbina sono completamente aperte e la turbina lavora in pressione variabile (sliding pressure). Il vapore scaricato dal corpo di alta pressione, al netto della portata utilizzata per l'ultimo riscaldatore dell’acqua di alimento caldaia, viene risurriscaldato in caldaia ed inviato al corpo di media pressione. Le sezioni di media e bassa pressione della turbina a vapore sono provviste di spillamenti che vengono utilizzati per soddisfare diverse esigenze di impianto. In particolare sono previsti: • due spillamenti dal corpo di media pressione; • tre spillamenti dal corpo di bassa pressione. Una frazione del vapore allo scarico del corpo di alta pressione e il vapore dei due spillamenti sui corpi di media pressione vengono utilizzati per i tre riscaldatori di alta pressione dell’acqua di alimento caldaia posti a valle delle pompe di alimento. La pompa principale di alimento è azionata da una turbina a vapore a condensazione, alimentata da una frazione del vapore scaricato dal corpo di media pressione; una seconda pompa, di riserva e per le fasi di avviamento, è azionata da un motore elettrico. Un'altra frazione del vapore scaricato dal corpo di media pressione fornisce il vapore al degasatore per l’estrazione e la separazione dei gas disciolti nel condensato proveniente dal condensatore. Il condensato separato nei tre riscaldatori di alta pressione viene miscelato con quello proveniente dal condensatore e quindi inviato al degasatore. I tre spillamenti dai corpi di bassa pressione forniscono il vapore ai tre riscaldatori di bassa pressione del condensato, posti a valle delle pompe di estrazione del condensato. Il condensato dell'ultimo riscaldatore prima del degasatore, viene pompato attraverso le pompe (una in esercizio ed una di riserva) e mescolato al

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condensato in ingresso al degasatore. Il vapore condensato nei primi due riscaldatori, viene invece inviato al condensatore. Il vapore per le tenute, una volta condensato in uno scambiatore con il flusso di condensato proveniente dal condensatore posto a monte dei tre riscaldatori di bassa pressione, viene anch’esso inviato al condensatore. Il flusso di vapore che non viene spillato dalla turbina, completa la sua espansione fino alle condizioni di vuoto presenti nel condensatore, raffreddato con acqua mare. La condensa viene raccolta nel pozzo caldo del condensatore da dove le pompe di estrazione del condensato (una in esercizio ed una di riserva) ne inviano una parte al sistema di polishing, dimensionato per trattare il 50% del condensato proveniente dal condensatore. Il sistema, del tipo a scambiatori ionici a letti misti, è completo del sistema di rigenerazione delle resine e di neutralizzazione degli eluati, che saranno poi scaricati nel bacino di disconnessione idraulica che raccoglie anche i ritorni dell’acqua di raffreddamento dai condensatori e dagli scambiatori macchine. Il condensato trattato uscente dal sistema di polishing, miscelato con la restante parte proveniente direttamente dalle pompe di estrazione condensato, viene inviato in sequenza: • al condensatore delle tenute, • ai tre preriscaldatori di bassa pressione ed infine • al degasatore. L’acqua di alimento caldaia, in uscita dal degasatore, viene inviata ai tre preriscaldatori di alta pressione ed quindi all’economizzatore del generatore di vapore mediante le pompe di alimento. E’ prevista l’iniezione di additivi chimici sull’aspirazione delle pompe di alimento caldaia ed all’ingresso della caldaia al fine di evitare incrostazioni e/o corrosioni nelle tubazioni della caldaia stessa. 2.12. Sistema di rimozione ceneri La descrizione che segue si riferisce indifferentemente ad uno dei due gruppi (treni). Sistema di rimozione delle ceneri pesanti La rimozione delle ceneri pesanti avviene attraverso tramogge disposte sul fondo della camera di combustione. Il sistema di estrazione è del tipo a secco e prevede il raffreddamento delle ceneri con aria, che viene poi immessa in camera di combustione della caldaia. Questo sistema consente, grazie all'utilizzo di materiali particolarmente resistenti alle alte temperature delle ceneri, di evitare l'utilizzo di acqua di raffreddamento e di limitare gli scarichi liquidi della centrale. Le ceneri cadono dalle tramogge su un nastro metallico, che provvede al raffreddamento tramite aria aspirata dall’esterno ed al trasporto fino al mulino; qui le ceneri pesanti vengono polverizzate e quindi, tramite un trasporto pneumatico, unite alle ceneri leggere e inviate ai sili di stoccaggio giornalieri. Una parte delle ceneri pesanti è fatta ricircolare in caldaia per abbassarne il contenuto di incombusti. Sistema di rimozione delle ceneri leggere e delle piriti Una parte relativamente ridotta delle ceneri leggere si separa dai fumi di combustione durante il loro passaggio attraverso la sezione convettiva del generatore di vapore e nella zona di denitrificazione e preriscaldo dell'aria comburente. Al di sotto di queste zone sono previsti sistemi di tramogge di raccolta per permettere l'accumulo e la rimozione delle polveri. Le tramogge sono realizzate in lamiera isolata internamente ed opportunamente inclinate in modo da favorire il deflusso delle ceneri. Le tramogge dei filtri a maniche, come quelle di caldaia, sono dotate di rotocelle che controllano lo scarico delle ceneri verso un sistema di trasporto pneumatico con cui le ceneri sono trasportate ai sili di stoccaggio giornalieri. Dai sili di stoccaggio giornalieri le ceneri (pesanti e leggere) sono inviate ai tre sili di stoccaggio con una capacità complessiva di 30.000 t corrispondenti a circa 20 giorni di produzione (nel caso peggiore, ovvero nel caso di utilizzo di carbone con massimo contenuto di ceneri possibile). Le ceneri saranno riprese con un sistema pneumatico dalle tramogge dei sili di stoccaggio e trasferite all’edificio di caricamento dove possono essere umidificate e quindi riprese su nastro per essere trasportate sulla nave, o in alternativa caricate su vagoni ferroviari; l’edificio di caricamento è tenuto in leggera depressione da un sistema di aspirazione e filtrazione. Il caricatore ed il sistema di nastri trasportatori

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verrà utilizzato anche per il trasporto via mare del gesso prodotto dall’impianto di desolforazione. Come per il carbone ed il calcare, tutte le linee di movimentazione e le stazioni di carico/scarico sono confinate e dotate di sistemi di cattura ed abbattimento delle polveri. Le destinazioni finali delle ceneri comprendono cementifici, produttori di manufatti in cemento (tipo blocchi da costruzione) o costruttori stradali localizzati in Europa ovvero oltre oceano. Gli elementi che non possono essere ridotti in polvere dai mulini (piriti e metalli) sono espulsi dai mulini ed avviati a sili di stoccaggio per mezzo di un sistema di nastri trasportatori comune a tutti i mulini di una caldaia; il silo di stoccaggio è dotato di un sistema di scarico in cassoni per il trasporto del materiale in autocarro. 2.13. Linea fumi La produzione di fumi al CNC è di 2.584 t/h per caldaia, con un contenuto totale di ceneri di 22,6 t/h per ciascuna linea. Per la depurazione spinta dei fumi sono previsti tre trattamenti separati, ma sinergici tra loro, che vengono di seguito descritti. Sistema di denitrificazione catalitica dei fumi (SCR De-NOx): per ciascuna delle due caldaie è innanzitutto prevista l'installazione di un sistema selettivo di denitrificazione catalitica (Selective Catalytic Reduction - SCR) dei fumi prodotti. Il funzionamento del sistema è basato sulla reazione chimica tra ossidi di azoto (NOx) e ammoniaca (NH3), che in presenza di ossigeno formano azoto molecolare (N2) e acqua. La temperatura alla quale la reazione avviene spontaneamente sarebbe molto elevata, ma viene contenuta fra i 320 ed i 400°C facendo passare i fumi attraverso i moduli di un catalizzatore. I gruppi di denitrificazione sono dunque composti da: • griglie per l'iniezione dell'ammoniaca nel condotto dei fumi, poste a monte dei moduli catalizzatori; • una serie di moduli di catalizzatori per ciascuna caldaia, installati a valle della sezione convettiva, prima

del preriscaldatore rigenerativo, attraverso cui vengono fatti passare i fumi che sono stati preventivamente miscelati con l'ammoniaca.

L’ammoniaca necessaria alla reazione, miscelata con aria, è iniettata in equicorrente ai fumi nel condotto di adduzione al reattore De-NOx. L’esigenza della completa e omogenea miscelazione fra fumi e corrente ammoniacale richiede lo sviluppo di modelli fluidodinamici per disegnare le griglie di iniezione dell’ammoniaca e le guide direzionali del flusso dei fumi nel reattore; per migliorare l’efficienza del De-NOx e ridurre al minimo lo slip di ammoniaca. Le tecniche De-NOx hanno, infatti, lo svantaggio di produrre un’emissione di ammoniaca (ammonia slip) dovuta alla fuga (slip) dell’ammoniaca in eccesso utilizzata come reagente nel denitrificatore catalitico. La fuga di ammoniaca prevista a progetto a valle del reattore catalitico è inferiore a 1 ppm entro il primo anno di funzionamento e comunque inferiore a 5 ppm26. Le emissioni di ammoniaca al camino saranno dunque molto basse, anche in considerazione del fatto che il desolforatore, posto a valle dei filtri a manica, assorbe praticamente tutta la fuga prevista. Il dosaggio dell'ammoniaca è controllato attraverso misure in continuo della concentrazione di NOx e NH3 nei fumi in uscita dal De-NOx. In sintesi, un sistema De-NOx efficiente deve assicurare: • elevata efficienza di conversione degli NOx; • bassi valori di “slip di ammoniaca” e di conversione di SO2 in SO3; • minimizzazione del volume di catalizzatore utilizzato; • basse perdite di carico dovute all’attraversamento del reattore da parte dei fumi. Tecniche non catalitiche (SNCR) avrebbero causato slip di NH3 maggiori e minori rendimenti di abbattimento degli NOx. Il catalizzatore: il catalizzatore è essenzialmente costituito da una struttura di biossido di titanio su cui viene depositato l'elemento drogante (pentossido di vanadio); sono inoltre presenti fibre ed altri elementi che provvedono a fornire le opportune caratteristiche di resistenza alle alte temperature. Il catalizzatore è assemblato in moduli, e viene inserito nella parte terminale della caldaia, a valle dell'economizzatore ed a monte del preriscaldatore aria, dove si raggiunge la corretta temperatura per la massima efficienza del catalizzatore (320 ÷ 400°C). L'efficienza del catalizzatore diminuisce con l'esercizio a causa dell'avvelenamento dovuto al suo funzionamento in condizioni high dust, cioè a monte dei filtri a manica e

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quindi in diretto contatto con i fumi ad elevato contenuto di polveri. La sua durata dipende dalle condizioni di esercizio della caldaia, ma indicativamente si può considerare normale la sua sostituzione dopo circa 20.000 ore di funzionamento. I moduli sono inseriti a strati (normalmente 2 o 3) all’interno del reattore. La composizione e la geometria dei catalizzatori sono ottimizzate per massimizzare la conversione di NOx e minimizzando, viceversa, l’indesiderata conversione dell’SO2 in SO3. L’efficienza attesa nell’abbattimento degli NOx è maggiore del 90%. Produzione e movimentazione dell’ammoniaca a partire da urea: l'ammoniaca richiesta dal sistema di denitrificazione sarà prodotta, mediante processo di idrolisi, nella Centrale stessa a partire da urea solida granulare proveniente da uno stabilimento chimico italiano; ciò permette di azzerare i rischi legati al trasporto e allo stoccaggio di soluzione di ammoniaca e di minimizzare la quantità di ammoniaca presente nella Centrale. Il processo di produzione di ammoniaca fa capo ad un impianto comune per le due caldaie, ove è previsto il conferimento dell’urea (che giunge all’impianto su autocarri) ed il suo stoccaggio in appositi sili; l'urea solida è quindi inviata al serbatoio di dissoluzione, e da qui alimentata all'idrolizzatore per la produzione di ammoniaca gassosa; questa, miscelata con aria, è inviata alle griglie di iniezione in caldaia. Al processo di idrolisi operante in più stadi per la purificazione dell’ammoniaca seguirà una filtrazione con recupero termico tramite economizzatore. Mediante un sistema ad eiezione e una miscelazione con aria si produce quindi ammoniaca gassosa nel quantitativo richiesto dall’impianto. La soluzione non reagita viene ricircolata. Come anticipato, il vantaggio principale di questo processo consiste nell’essere un processo continuo di produzione, modulabile in funzione della richiesta dell’impianto, e nella conseguenza eliminazione di tutti i rischi ed i potenziali impatti (nonché i costi economici) associati al trasporto, allo stoccaggio ed alla manipolazione di sostanze pericolose, tossiche ed esplosive quali sono l’ammoniaca anidra o la soluzione ammoniacale. Filtri a manica: per la depolverazione dei fumi prodotti negli impianti di combustione alimentati a carbone si considerano migliori tecnologie disponibili (BAT) sia i precipitatori elettrostatici (ESP) che i filtri a manica (Fabric Filter - FF); nondimeno, solamente questi ultimi sono in grado di mantenere le emissioni di polveri entro livelli inferiori a 15 mg/Nm3. Inoltre, con i sistemi integrati costituiti da filtri a manica e lavaggio a umido dei fumi si ottengono i migliori risultati nel controllo delle polveri fini (PM10 e PM2,5) minimizzando con ciò le emissioni di metalli pesanti legate alle stesse, e nel controllo del mercurio per la solubilizzazione di parte dei vapori. La presenza di metalli pesanti è una componente naturale dei combustibili fossili. I metalli presenti (As, Cd, Cr, Cu, Hg, Ni, Pb, Se, V, Zn) sono normalmente emessi come composti (es. ossidi e cloruri) in associazione con il materiale particolato (ceneri leggere). Perciò la tecnica per ridurre le emissioni di metalli pesanti consiste generalmente nell’applicazione di efficienti apparecchiature di depolverazione, quali per l’appunto i filtri a maniche con riduzione prevista > 99,95 %. Mercurio e Selenio sono parzialmente presenti nella fase di vapore. Per filtri a maniche che operano in combinazione con tecniche FGD (flue gas desulfurization), es. scrubber alimentati da sospensione di calcare, può essere ottenuta una rimozione di Hg del 75 % e fino al 90 % in presenza anche di un sistema SCR high dust, come quello previsto per le due linee di Saline Joniche. In particolare, per la Centrale di Saline Joniche i filtri a manica proposti, del tipo Pulse Jet Fabric Filter, saranno costituiti da due linee in parallelo per ogni caldaia, equipaggiate ciascuna con diversi comparti; ciò consentirà la sostituzione delle maniche deteriorate mantenendo in funzione il filtro. I fumi da filtrare entrano in ciascuna delle due linee e vengono distribuiti nei vari comparti, attraversando le maniche filtranti; le polveri si depositano sull’esterno delle maniche, mentre i fumi depurati passano all’interno delle maniche, da dove vengono raccolti in una camera posta sopra le maniche e quindi convogliati verso l'uscita del filtro. Con l’aumentare dello strato di deposito delle polveri, aumentano le perdite di carico dei fumi attraverso le maniche; raggiunto il valore limite, che si aggira generalmente attorno a 150 mm H2O, inizia l’operazione di pulizia delle maniche, che consiste nell’invio sequenziale di un getto d’aria in pressione, manica per manica, che stacca il deposito di polvere dalla manica stessa e lo raccoglie nella tramoggia di fondo. La pulizia viene effettuata in marcia compartimento per compartimento. Unità di desolforazione dei fumi: la desolforazione dei fumi di caldaie che utilizzano olio denso o carbone è diventata negli ultimi anni una prassi comune come risposta alle esigenze di tutela della qualità dell’aria, puntualmente tradotte in norme e limiti a livello europeo e nazionale. Le unità di desolforazione sono dimensionate per trattare tutti i fumi provenienti dai due generatori di vapore, quando questi sono alimentati con carbone con un contenuto massimo di zolfo del 1% in peso (è questa, peraltro, la percentuale massima

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ammessa dalla normativa attualmente vigente). Nel caso della Centrale di Saline Joniche si è optato per l’adozione del sistema “a umido”, che è quello maggiormente utilizzato nei principali impianti operanti in Italia (Vado Ligure, Brindisi sud, Torrevaldaliga, Porto Tolle, Monfalcone). Gli scrubber a umido consentono, oltre all’abbattimento della SO2, una elevata rimozione di HF e HCl (98 – 99 %); i valori di emissione associati sono 1 ÷ 5 mg/Nm3. Un altro vantaggio delle torri di lavaggio a umido consiste nella maggiore riduzione delle emissioni di polveri e di metalli pesanti (es. Hg). Le unità sono essenzialmente composte dai sistemi di convogliamento dei fumi (uno per caldaia), dai sistema di assorbimento (uno per ogni caldaia) e dal sistema di disidratazione e trattamento della sospensione di gesso (uno comune alle due caldaie). Sistema di convogliamento fumi: i fumi da trattare, provenienti dal filtro a maniche, passano nello scambiatore di calore dove si raffreddano cedendo calore ai fumi già trattati che escono dalla unità di desolforazione, e che vengono convogliati al camino. Sistema di assorbimento: i fumi da trattare che escono dallo scambiatore di calore entrano nella torre ad assorbimento dove fluiscono verso l'alto, controcorrente rispetto alla sospensione di calcare e gesso che viene nebulizzata attraverso vari stadi di spruzzatori. In questa zona i fumi reagiscono con la sospensione formando solfito di calcio, che ricade in una vasca di raccolta dove viene ossidato in solfato di calcio bi-idrato (gesso) grazie all’apporto di aria inviata alla vasca mediante soffianti dedicate. In vista di un utilizzo commerciale il prodotto deve essere completamente ossidato a solfato. Dalla vasca di raccolta, la sospensione di calcare e gesso viene ricircolata ai banchi di spruzzatura attraverso alcune pompe di ricircolo. Per mantenere le densità desiderata all'interno della vasca di raccolta, parte della sospensione è estratta mediante pompe dedicate ed inviata al serbatoio di raccolta della sospensione di gesso; la sospensione di calcare fresco, proveniente dalla unità di preparazione della sospensione di calcare, è dosata nella vasca di raccolta per controllare il valore di pH. Sistema di disidratazione e trattamento della sospensione di gesso: la sospensione di gesso proveniente dal serbatoio di raccolta viene quindi inviata alla filtrazione mediante pompe dedicate; qui il gesso viene estratto dalla sospensione per mezzo di idrocicloni, disidratato con filtri a nastro e inviato a stoccaggio. Lo sfioro degli idrocicloni e il filtrato proveniente dai filtri è ricircolato nella torre di assorbimento. Lo spurgo continuo dell'unità di desolforazione è trattato in un package di evaporazione e cristallizzazione il cui effluente liquido è completamente riciclato dalla unità di desolforazione; i sali cristallizzati sono invece inviati a stoccaggio e dovranno essere smaltiti. Camini: i camini, a seguito delle simulazioni effettuate dal Politecnico di Milano nell’ambito del presente Studio di Impatto Ambientale28, avranno un’altezza di 180 m, diametro alla bocca di uscita di 6,4 m e la velocità dei fumi sarà di circa 24 m/s. La temperatura dei fumi sarà la più bassa possibile in funzione del tenore residuo di ossidi di zolfo.

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3. DESCRIZIONE DEL QUADRO AMBIENTALE Quella che segue, all’interno del presente paragrafo, è una sintesi del quadro ambientale fornito nella corrispondente sezione del SIA. I riferimenti ad elaborati (tabelle, figure, grafici, tavole), se non esplicitato diversamente, devono essere intesi come riferimenti ai corrispondenti elaborati del SIA, che analizza le potenziali ricadute ambientali e sulla salute umana conseguenti la realizzazione della centrale termoelettrica a carbone di potenza pari a circa 1.320 MWe, costituita da due linee gemelle da 660 MWe ciascuna, e le relative opere connesse (opere portuali, sistema di trasporto fisso per il carbone ed altri materiali alla rinfusa, presa restituzione acqua mare, scarico acque di raffreddamento), riferendosi a due livelli: • un’area ristretta di indagine; • un’area vasta di indagine. 3.1. Alternativa “zero” Lo Studio di Impatto Ambientale analizza e valuta uno “scenario di progetto” che prevede la realizzazione, sull’area dismessa ex Liquichimica, di una centrale termoelettrica alimentata a carbone della potenza di 660+660 MWe. Ulteriori scenari alternativi possono ovviamente essere esplorati, con riferimento sia a differenti fonti primarie per la produzione termoelettrica, sia a differenti ipotesi di reinfrastrutturazione del sito, sia, infine, alla “alternativa zero”, ovvero al mantenimento del sito nello stato attuale. Quanto alla possibilità di utilizzare altre fonti primarie, si tratterebbe di considerare la possibilità di localizzare sul sito un impianto termoelettrico alimentato a gas (ciclo combinato); ma questa opzione risulta non opportuna in quanto numerose centrali a ciclo combinato a gas sono già presenti o autorizzate in Calabria e più generalmente nel sud Italia. Altre ipotesi di riutilizzo del sito industriale non sono, allo stato, concretamente esplorate; del resto, il fatto che il sito sia inutilizzato da diversi decenni (e che a poche centinaia di metri un altro sito di rilevanti dimensioni, quello delle officine grandi riparazioni delle ferrovie, abbia seguito il medesimo destino) testimonia, di per sé, la difficoltà di prefigurare concrete alternative all’attuale stato di abbandono. Si ritiene comunque che l’iniziativa in progetto possa essere complementare ad altre ipotesi di insediamento nei dintorni del sito. Resta, dunque, l’alternativa zero propriamente detta, che si traduce nel lasciare il sito nelle attuali condizioni: il sito industriale dimesso, e l’infrastruttura portuale ad esso asservita, entrambi oggetto di processi di progressivo degrado documentati e descritti nello SIA (in particolare si considerino le condizioni del porto, le cui strutture vengono progressivamente erose e scalzate dal mare, e si trovano già ora in condizioni quanto meno critiche). Quanto poi al ruolo “comparativo” dell’alternativa zero, questo mantiene rilevanza nell’ambito dello Studio di Impatto Ambientale, laddove tutti gli effetti sono stimati e valutati con riferimento allo scenario “in assenza di progetto”: le stime prodotte circa le variazioni nella qualità dell’aria, del clima sonoro e di altri parametri ambientali costituiscono, in questi termini, altrettante rappresentazioni del differenziale previsto fra scenario di progetto e alternativa zero. 3.2. Inquadramento socio-economico L’indagine demografica, effettuata allo scopo di individuare la popolazione interessata dai possibili impatti della costruzione della centrale, ha riguardato un arco temporale di 5 anni (2002-2006) per i comuni di Melito di Porto Salvo, Montebello Jonico, Motta San Giovanni, Roghudi e San Lorenzo ricadenti all’interno di un raggio di 10 km dall’impianto (area vasta). I dati utilizzati sono quelli forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica e si riferiscono alla popolazione residente nei comuni. A titolo di confronto e per fornire un quadro completo si sono analizzati anche i dati del comune di Reggio Calabria, solo marginalmente sfiorato dal buffer di 10 km e della Provincia. Per gli anni considerati (Grafici da 2.1 a 2.8) si rileva un trend della popolazione decisamente negativo nei comuni di Montebello Jonico e San Lorenzo. L’andamento è oscillante ma con un saldo negativo per i comuni di Motta San Giovanni e Roghudi; positivo invece nel comune di Melito di Porto Salvo.

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Di contro il comune di Reggio Calabria ha registrato negli ultimi anni una continua crescita demografica. Considerando la popolazione totale dei comuni interessati dall’impianto (ad esclusione del Comune di Reggio Calabria), per il periodo preso in esame, la variazione percentuale totale è praticamente nulla, anche se leggermente negativa (-0,4%). La stessa considerazione vale per i residenti dell’intera provincia (-0,3%). Si può quindi affermare che la popolazione sia relativamente costante all’interno dell’area considerata. La popolazione presente nella zona interessata, si concentra soprattutto nella zona costiera, a ridosso della Statale Jonica (SS 106), dove sono presenti i nuclei urbanizzati di Lazzaro, Saline Ioniche, Riaci Capo, il nuovo abitato di Roghudi, Melito di Porto Salvo e Marina di San Lorenzo. Gli altri centri abitati si trovano invece nell’entroterra e si sviluppano sostanzialmente lungo le strade che si addentrano tra le pendici dell’Aspromonte e che conducono a Motta San Giovanni, Fossato Jonico, Molaro, Montebello Jonico, Pentedattilo e Bagaladi, quasi tutti arroccati sulle principali alture dell’interno. Molte di queste strade che conducono verso l’interno, così come i centri abitati, si sono sviluppate lungo le valli e le gole scavate dai torrenti e dalle fiumare che dalle montagne scendono verso il mare (F.ra di Lazzaro, F.ra di Sant’Elia, F.ra di Montebello, F.ra di Annà, F.ra di Melito): lungo di esse sorgono anche alcune piccole frazioni con poche decine di abitanti. Ai fini dell’indagine demografica, si è ritenuto interessante anche capire come la popolazione sia realmente distribuita nei diversi nuclei abitati compresi all’interno di un raggio di 5 e 10 km3 dalla centrale. A tale scopo si sono utilizzati i dati forniti dalla Regione Calabria presenti all’interno informativo della banca dati DBPrior10k, relativo alle aree urbane: nel database geografico, è infatti associata la popolazione presente nei principali nuclei abitati. Da segnalare che i dati della Regione Calabria sono però riferiti al censimento della popolazione 1991 e che si sono riscontrati anche dei lievi scostamenti tra la somma totale dei residenti nei singoli centri abitati presenti in un comune e il dato ISTAT riferito al comune stesso (l’errore è stato ritenuto comunque poco significativo). Nell’ottica di ricostruire uno scenario il più possibile attuale e rispondente alla realtà, i dati del 1991 sono poi stati aggiornati al 2006: sulla base dei dati del censimento ’91 si sono calcolate le percentuali di popolazione presente in ogni nucleo abitato rispetto alla popolazione totale del comune. Presupponendo poi che tali percentuali non siano cambiate nel tempo, si sono calcolati gli abitanti per il 2006 utilizzando la popolazione residente per questo anno secondo l’ISTAT (Tabella 2.1). Secondo tali elaborazioni, la popolazione che ricade all’interno di un raggio di 5 km dalla centrale sarebbe di circa 16.700 abitanti, mentre quella all’interno dei 10 km ammonterebbe a circa 26.400 abitanti. Dagli stessi dati, se si escludono i più grossi centri con una popolazione superiore al migliaio di unità (Motta S. Giovanni, Melito di Porto Salvo, Fossato Jonico, Lazzaro e Roghudi Nuovo), le frazioni con un numero di abitanti abbastanza consistente (superiore a 500) risulterebbero essere: Caredia-Lacco; Marina di San Lorenzo; Masella; Chorio e Prunella. Allo stato attuale, secondo l’uso del suolo fornito dal CORINE Land Cover 2000, la superficie occupata dai comuni ricadenti entro circa 10 km dall’area della centrale (compresi quindi i di Comuni di Melito di Porto Salvo, Montebello Jonico, Motta San Giovanni, San Lorenzo e l’abitato di Roghudi Nuovo per una superficie complessiva pari a circa 203 km2) risulta occupata da ampie superfici coltivate e spazi naturali/seminaturali (Grafico 2.9)4: circa metà dell’area è destinata, infatti, ad uso agricolo (52%), caratterizzato da coltivazioni di vario genere (zone agricole definite eterogenee - ovvero colture temporaneamente associate a colture permanenti, sistemi colturali e particellari complessi, aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali importanti, aree agroforestali; colture permanenti e seminativi); l’altra metà circa dell’area risulta essere occupata quasi totalmente da aree naturali e seminaturali (46% di aree caratterizzate da vegetazione arborea e/o arbustiva, da boschi e da zone aperte con vegetazione rada o assente – queste ultime localizzate soprattutto lungo torrenti e fiumare) e solo in minima parte da zone urbanizzate ed industriali (2%). Delle coltivazioni permanenti, quella dell’ulivo risulta essere la più diffusa. Si segnala anche la presenza di un’area estrattiva (estrazione prevalentemente di pietra di Capo d’Armi e che occupa una superficie complessiva pari a 29 ha ), nel comune di Motta San Giovanni. Un’analisi dell’evoluzione temporale dell’uso del suolo, basata su un semplice raffronto con i dati forniti dal CORINE del 1990, mostra come la situazione sia sostanzialmente invariata negli anni. Considerando solo l’area compresa entro 10 km dall’impianto (149 km2), sempre secondo l’uso del suolo fornito dal CORINE, pur variando le percentuali tra le diverse occupazioni del suolo, sostanzialmente la

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ripartizione tra aree naturali/seminaturali (45%) e aree agricole rimane invariata (51%). Gli insediamenti urbanizzati ed industriali, essendo concentrati sopratutto lungo la fascia costiera, risultano essere in proporzione maggiore (4%) rispetto all’intera superficie dei comuni precedentemente considerata. Da un’analisi più specifica dell’attività agricola effettuata utilizzando i dati dell’ISTAT (Censimento dell’Agricoltura 2000), le colture più presenti risultano quelle permanenti, seguite da aree a prato e a pascolo, dai seminativi e dai boschi. Dai dati emerge come negli anni la superficie a bosco sia stata progressivamente convertita ad uso agricolo, a favore soprattutto delle colture permanenti (Grafici 2.11.e 2.12). Da precisare che, in questo caso, i dati utilizzati escludono la frazione di Roghudi Nuovo e si riferiscono solo a Motta S. Giovanni, Montebello Jonico, Melito di Porto Salvo e San Lorenzo. La coltura più presente nei 4 comuni è l’olivo (2.600 ha), utilizzato soprattutto per la produzione di olio da tavola, seguita da cereali, frumento e agrumi (produzione tipica di questa zona è il bergamotto). Sempre secondo l’ISTAT, al 2000 nell’area erano presenti 715 aziende con allevamenti: i capi più diffusi, subito dopo gli avicoli, risultano essere ovini e caprini. Le aziende agricole dell’area indagata sono per lo più di piccole dimensioni a conduzione familiare: il 75% delle quasi 3.000 aziende presenti ha una superficie inferiore o uguale a 2 ha e, da un punto di vista organizzativo, quasi 8.000 persone su 9.350 impiegate sono costituite dai conduttori e parenti dei conduttori. Con riferimento sempre ai 4 comuni oggetti di analisi (Melito di Porto Salvo, Montebello Jonico, Motta San Giovanni e San Lorenzo) sono presenti circa 1.370 unità locali, la maggior parte delle quali di piccole dimensioni (sotto i 10 addetti). Nell’area, al 2001, risultava presente una sola attività di grosse dimensioni (con più di 200 addetti), nel comune di Melito di Porto Salvo; quest’ultimo risulta essere anche il comune con la maggiore concentrazione di imprese e unità locali. Nello specifico il numero più elevato di attività si concentra nel settore del commercio e della riparazione di veicoli, mentre il numero più elevato di addetti è impiegato nell’istruzione e, a seguire, nel commercio e nel settore sanitario e dei servizi sociali. L’area ospita, inoltre, alcune strutture per la ricettività turistica: secondo il censimento dell’Industria e dei Servizi del 2001 nei comuni considerati sono presenti 95 unità locali registrate come alberghi e ristoranti (per un totale di 178 addetti). Più in dettaglio i dati ISTAT del 2003 evidenziano la presenza di 6 alberghi, 4 campeggi/villaggi turistici, 2 alloggi privati e 7 agriturismi (3 dei quali con alloggio). Rispetto agli anni precedenti, si regista una lieve crescita in questo settore, dovuto alla nascita di tutti gli agriturismi presenti nella zona e alla realizzazione di due nuovi alberghi. In relazione all’inquadramento generale dell’area interessata dalla realizzazione dell’impianto a carbone, è opportuno effettuare anche un’analisi delle principali risorse e strutture pubbliche disponibili nel territorio oggetto di studio. A tale scopo si sono utilizzati i dati reperiti dal Ministero della Salute e dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Reggio Calabria. Per quanto concerne le risorse sanitarie locali, i dati, forniti solo a livello provinciale, evidenziano la presenza di una struttura pubblica di ricovero nel territorio di Melito di Porto Salvo (Ospedale Tiberio Evoli), situato nel centro abitato nei pressi della stazione ferroviaria e distante poco meno di 4 Km dall’area d’impianto (Figura 2.2). Secondo i dati del 2004, l’ospedale offre circa un centinaio di posti letto, il personale totale ammonta a 372 unità (di cui 90 medici e 161 infermieri). I dati sulle strutture di pubblica istruzione relativi all’anno scolastico 2006/2007 mettono in evidenza la presenza sul territorio indagato (comuni di Melito di Porto Salvo, Montebello Jonico, Motta San Giovanni, Roghudi e San Lorenzo) di un discreto numero di istituti di vario livello (dalle scuole materne alle scuole medie superiori), dislocati nei principali centri, ma anche nelle diverse frazioni dei comuni. In particolare, nella frazione direttamente toccata dalla realizzazione della centrale (Saline Ioniche), risultano essere presenti una scuola materna, una elementare e una scuola media di primo grado. L’Ufficio Scolastico Provinciale di Reggio Calabria, fornisce anche un elenco delle strutture scolastiche non statali, dal quale si evidenzia la presenza di 4 scuole materne nel comune di Melito di P.to Salvo, 6 nel comune di Montebello Jonico (4 delle quali a Saline Ioniche) e 1 a San Lorenzo. Oltre a questi dati ufficiali, relativi alle strutture di carattere pubblico, nel territorio sono presenti anche alcuni servizi di tipo privato (per lo più scuole materne e case di cura per anziani), dei quali però non è possibile comporre un elenco completo ed esaustivo, né una precisa collocazione spaziale.

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3.3. Produzione nazionale di energia elettrica Quadro generale Nel 2006 in Italia risultano presenti circa 3.350 impianti di produzione di energia elettrica, funzionanti sia con fonti fossili che con fonti rinnovabili. La produzione lorda di energia elettrica nel medesimo anno è stata pari a 307.660 GWh, a fronte di una produzione di circa 216.900 GWh nel 1990 (per un incremento del 42% circa). La potenza elettrica installata complessiva risulta attualmente pari a 88.388 MW, il 51% in più rispetto al 1990 (58.596 MW). Nel corso del periodo considerato, la produzione nazionale di energia elettrica è sempre risultata deficitaria rispetto ai consumi. Nel 2006 il deficit registrato è stato di circa 44.985 GWh (-13,3%). L’apporto degli impianti a fonti rinnovabili alla potenza elettrica complessivamente installata in Italia nel 2006 è stato del 24,1% circa, per una produzione pari invece al 17%. Produzione di energia elettrica da fonti fossili La produzione elettrica da fonti fossili si è assestata nel 2006 sui 255.420 GWh circa, per una potenza complessivamente installata pari a poco meno di 64.800 MW e garantita da circa 740 impianti. La produzione conosce, rispetto al 1990, un incremento significativo e pari al 43,2% circa a fronte di un incremento invece della potenza installata dell’ordine del 65%. Nel corso del periodo in esame si assiste ad una significativa crescita della produzione di energia elettrica da gas naturale (+400% circa) che diviene quindi la fonte fossile più utilizzata a livello nazionale, con una quota parte superiore al 60% del totale, per un consumo corrispondente di 31.381 Mm3. Tale crescita avviene essenzialmente a scapito della produzione elettrica da prodotti petroliferi che diminuisce di quasi il 70% assestandosi, al 2006, su una quota parte del totale di solo il 13% (contro il 57% del 1990) corrispondente ad un consumo di 7,63 milioni di tonnellate. Per quanto riguarda i combustibili solidi (per la quasi totalità carbone di importazione) si registra, a partire dalla fine degli anni novanta, una significativa e costante ripresa della produzione che, nel 2006 raggiunge i 44.200 GWh per un incremento rispetto al 1990 di quasi il 40%. Tale produzione corrisponde ad un consumo di circa 16,6 milioni di tonnellate. Produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili La produzione da fonti rinnovabili in Italia si è assestata nel 2006 sui 52.240 GWh circa (+ 50% circa rispetto al 1990), per una potenza complessivamente installata pari a 23.655 MW (era di circa 19.500 MW nel 1990). Fra le diverse fonti rinnovabili, quella idroelettrica continua ad essere la prevalente con, nel 2006, il 71% della produzione nazionale complessiva (era oltre il 90% nel 1990). Nell’ultimo quinquennio si registra un significativo incremento della produzione elettrica da biomasse, biogas e rifiuti e da fonte eolica. La prima passa dallo 0,5% della produzione da fonti rinnovabili nel 1990 a ben il 13% del 2006; la seconda invece raggiunge nel medesimo anno ben il 5,7% della produzione totale da fonti rinnovabili contro poco più dello 0% dei primi anni ’90. Sempre trascurabile risulta il contributo della fonte fotovoltaica e sostanzialmente invariato quello della fonte geotermica che rimane sempre compreso, nel corso del periodo considerato, tra l’8% ed il 10%.

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3.4. Previsioni di evoluzione del sistema elettrico nazionale Previsioni di sviluppo della domanda di energia elettrica Le previsioni effettuate da TERNA stimano una crescita della domanda di energia elettrica in Italia secondo la quale la domanda di energia elettrica al 2016 raggiungerebbe i 420 TWh, per un incremento di ben il 92% rispetto al 1990 e del 32% circa rispetto al 2006. Rispetto alla media nazionale, la crescita della domanda delle quattro macroaree geografiche nei prossimi anni (2005-2016), si manifesterà leggermente più sostenuta al Centro (con un tasso medio annuo del +2,3 %), mentre le aree del Nord Italia, del Sud e delle Regioni insulari si collocheranno pressoché in media, con valori compresi tra +2,1% e +2,2%. Sviluppo del parco produttivo nazionale Nel corso degli ultimi anni, si è assistito a un graduale rinnovamento del parco produttivo termoelettrico italiano caratterizzato principalmente dalla trasformazione in ciclo combinato di impianti esistenti e dalla realizzazione di nuovi impianti. Complessivamente sono stati autorizzati, con le procedure previste dalla legge 55/02 (o dal precedente DPCM del 27 dicembre 1988), circa 45 impianti di produzione termoelettrica, con potenza termica maggiore di 300 MW che renderanno disponibili oltre 23˙000 MW elettrici. Circa il 45 % degli impianti entrati in servizio è localizzato nell’area nord-ovest del Paese, mentre circa il 65 % degli impianti autorizzati (in costruzione o con i cantieri non ancora avviati) è concentrato nel Meridione, principalmente in Campania, Puglia e Calabria. Questa distribuzione di nuova potenza potrebbe determinare nel breve-medio periodo un aggravio delle congestioni del sistema di trasmissione, soprattutto sulla sezione Nord – Centro Nord. Nel lungo periodo, con l’equilibrarsi della nuova capacità produttiva e soprattutto in seguito all’entrata in servizio dei rinforzi di rete programmati, tale fenomeno dovrebbe attenuarsi, ma non si può escludere il rischio inverso che possano manifestarsi nuovi vincoli di esercizio sulle sezioni di rete interessate dal trasporto delle produzioni meridionali verso le aree di carico del Centro-Nord Rispetto alla situazione registrata a dicembre 2005, è da segnalare la variazione dello stato di realizzazione delle centrali autorizzate nell’area meridionale del Paese, con l’ingresso in esercizio di oltre 1˙000 MW e un incremento complessivo degli impianti in realizzazione di circa 2.000 MW Con riferimento alle informazioni comunicate a Terna dalle società titolari dei decreti autorizzativi è stato possibile stimare un incremento di circa 3˙000 MW di nuova potenza sicuramente disponibile al 2008. 3.5. Produzione Regionale di energia elettrica Quadro generale Nel 2006 in Calabria risultano presenti 52 impianti di produzione di energia elettrica, funzionanti sia con fonti fossili che con fonti rinnovabili (Tabella 3.2). La produzione lorda di energia elettrica nel medesimo anno è stata pari a poco più di 9.000 GWh, a fronte di una produzione di circa 9.380 GWh nel 1990 (riduzione del 3,8%). La potenza elettrica installata complessiva risulta attualmente pari a 3.416 MW, il 63% in più rispetto al 1990 (2.100 MW). L’attuale produzione elettrica regionale rappresenta il 3% di quella nazionale; la potenza installata, invece, il 3,9%. Nel corso del periodo considerato, la produzione di energia elettrica regionale ha sempre ecceduto i consumi . Nel 2006 l’esubero registrato è stato di oltre 2.000 GWh (31% circa). L’apporto degli impianti a fonti rinnovabili alla potenza elettrica complessiva installata nel 2006 è stato del 24,5% circa, per una produzione pari invece a poco più del 21%. Il contributo della produzione elettrica da fonti rinnovabili è cresciuto sensibilmente in Regione nel corso del periodo considerato; nel 1990 rappresentava infatti solo il 3,2% del totale.

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Produzione di energia elettrica da fonti fossili La produzione elettrica da fonti fossili si è assestata nel 2006 su 7.097 GWh ed una potenza complessivamente installata pari a 2.579 MW garantita da 8 impianti. La produzione conosce, rispetto al 1990, un decremento significativo e pari al 22% circa, a fronte di un incremento invece della potenza installata di ben il 75,6%. Attualmente la produzione elettrica regionale da fonti fossili rappresenta il 2,7% di quella nazionale. Il gas naturale continua ad essere il combustibile più utilizzato, che nel 2004 ha garantito circa il 90% della produzione termoelettrica complessiva a fronte di un consumo di poco meno di 1.380 ktep (corrispondenti a 1.665 Mm3). Per quanto riguarda i prodotti petroliferi, la produzione risulta caratterizzata da un andamento piuttosto altalenante nel corso degli ultimi 15 anni; dopo aver raggiunto percentuali dell’ordine del 30% nei primi anni ’90, ha conosciuto una costante e marcata decrescita negli anni successivi arrivando a rappresentare pochi punti percentuali della produzione regionale complessiva; negli ultimi anni pare però registrarsi una inversione di tendenza di questa dinamica: nel 2004 infatti la produzione da prodotti petroliferi ha raggiunto una percentuale di oltre il 10% del totale a fronte di un consumo di 152 ktep (150-155 kt). Produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili La produzione da fonti rinnovabili in Calabria si è assestata nel 2006 sui 1.927 GWh (contro i soli 300 GWh del 1990), per una potenza complessivamente installata pari a 837 MW (era di circa 150 MW nel 1990). Attualmente la produzione elettrica regionale da rinnovabili rappresenta il 3,7% di quella nazionale. La fonte idroelettrica continua ad essere quella prevalente con, nel 2006, l’85,6% della potenza installata e il 56,6% della produzione. Nell’ultimo quinquennio si registra un significativo incremento della produzione elettrica da biomasse, biogas e rifiuti che passa dal 4,1% del 2000 al 14,3% del 2006 in termini di potenza installata, e da solo lo 0,7% del 2000 a ben il 43,4% del 2006 in termini di produzione. Sempre trascurabile risulta invece il contributo della fonte eolica e di quella fotovoltaica. 3.6. Previsioni di sviluppo della produzione regionale di energia elettrica Nel breve termine, si prevede un significativo incremento della produzione di energia elettrica regionale. Per quanto riguarda la produzione termoelettrica, secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico risultano infatti attualmente già autorizzati e in fase di realizzazione 4 impianti, per una potenza elettrica complessiva di 3.200 MWe. L’entrata in funzione di questi impianti porterà la potenza termoelettrica installata in regione a circa 5.780 MWe, e cioè a più del doppio di quella attuale pari a 2.580 MWe. Va rilevato, inoltre, che al momento risultano in corso di valutazione altri 4 impianti termoelettrici, con le caratteristiche riportate nella tabella seguente. Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, secondo i dati del GSE aggiornati al 30 giugno 2006 e relativi agli impianti qualificati IAFR, in Calabria risultano in progetto 17 impianti per una potenza complessiva di oltre 548 MWe ed una producibilità prevista di circa 1.337 GWh/anno. L’entrata in funzione di questi impianti porterà la produzione da fonti rinnovabili in regione a 3.264 GWh/anno per una potenza installata di circa 1.386 MWe, facendo registrare così un incremento, rispetto al 2006, del 69% e 65% rispettivamente. Considerando gli impianti attualmente in fase di realizzazione o in progetto, la potenza elettrica complessivamente installata in Calabria si prevede potrà raggiungere nei prossimi anni i 7.165 MW per un incremento percentuale, rispetto all’anno 2006, di quasi il 110%. 3.7. Co-combustione a biomasse: valutazioni preliminari sulle potenzialità di

filiere locali di approvvigionamento. Nei paragrafi a seguire vengono presentati i risultati di una analisi preliminare circa la disponibilità di biomasse in ambito regionale ed inter-regionale, al fine di valutare la possibilità di implementare un sistema di approvvigionamento per l’impianto di co-combustione basato prevalentemente se non esclusivamente su filiere locali. Va evidenziato, a tal proposito, che nel progetto definitivo si è previsto che potenzialmente l’impianto

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utilizzi biomasse per al massimo il 2% in potenza termica (pur venendo dimensionato per bruciarne fino al 5%), corrispondente ad un consumo medio annuo stimabile in circa 170.000 tonnellate, Le ordinarie modalità di gestione/conduzione delle aree agricole e forestali, l’attivazione o ripresa di specifici interventi volti al miglioramento e alla conservazione dei soprassuoli, la definizione di metodologie alternative di gestione dei residui agro-industriali o l’ottimizzazione di quelle attualmente in atto, l’introduzione di colture dedicate in aree marginali o ritirate dalla produzione possono garantire, nel tempo, la disponibilità di materiale rinnovabile da avviare all’uso energetico. La possibilità effettiva di disporre ed utilizzare a fini energetici biomassa, può però spesso risultare fortemente influenzata dalle condizioni territoriali, ambientali e socio-economiche locali e confliggere con diversi fattori che devono necessariamente essere presi in considerazione ogni qualvolta si intendano pianificare e realizzare interventi in questo ambito. Lungo l’intera filiera biomassa - energia i punti di maggior criticità sono individuabili, in particolare, a monte e riguardano essenzialmente la scelta della tipologia di materia prima, l’organizzazione e la gestione dell’approvvigionamento della stessa (produzione, raccolta, trasporto, stoccaggio) che devono essere in grado di garantire continuità di approvvigionamento e sostenibilità economica in un’ottica di impatto ambientale positivo. Viceversa, le tecnologie di impiego della biomassa oggi disponibili sono ormai ben consolidate, garantendo elevati standard di efficienza e una relativa semplificazione gestionale. Ipotesi preliminari di scenari di approvvigionamento a scala locale di biomasse agro-forestali Biomasse agro-forestali: i residui colturali E’ ormai noto che l’evoluzione delle tecniche colturali agricole e dell’assetto socio-economico del settore primario hanno rotto il ciclo chiuso della produzione agricola tradizionale a favore di forme di conduzione più aperte e simili ai processi di produzione secondari. Ovviamente questo ha reso tendenzialmente obsoleto l’uso di gran parte dei residui colturali più poveri che, a parte le paglie di cereali, vengono sempre più considerati dei veri e propri rifiuti da utilizzare al massimo come ammendanti organici. Ad oggi gli agricoltori considerano la gestione dei residui spesso come un problema di smaltimento, piuttosto che un’operazione potenzialmente produttiva. I residui colturali rappresentano invece una cospicua fonte di biomassa, che non necessita di costi di coltivazione e/o produzione e può quindi risultare particolarmente conveniente dal punto di vista economico. Diverse sono le colture che per caratteristiche proprie risultano interessanti, circa la possibilità di fornire sotto forma di residui materiale che potrà eventualmente essere destinato a scopi energetici. Di particolare interesse risultano i sottoprodotti colturali cosiddetti “secchi”, cioè con umidità compresa fra il 10% ed il 50% e che provengono dalle coltivazioni cerealicole (in particolare paglie di frumento) e dalle coltivazioni arboree quali vite, olivo e fruttiferi. Per la quantificazione della disponibilità di residui potenzialmente recuperabili dalle coltivazioni agricole regionali si sono considerati i dati del Censimento ISTAT 2000 e si è fatto riferimento a dati di bibliografia riferiti a valori medi di resa per ettaro. Per quanto riguarda le colture cerealicole, il valore di disponibilità unitaria potenziale delle paglie è mediamente pari a circa 4 ton/ha*a, il contenuto di umidità piuttosto basso (circa il 15%) ed il contenuto energetico (p.c.i.) di circa 4.000 kcal per kg di sostanza tal quale. Tale valore è stato ottenuto considerando un indice di raccolto del sottoprodotto pari all’80%, che tiene conto anche della necessità di procedere ad un parziale interramento delle stoppie al fine di garantire una sufficiente dotazione del terreno in sostanza organica, una periodicità di raccolta ovviamente annuale ed una efficienza di raccolta delle paglie pari al 60%. Con riferimento ai residui colturali delle coltivazioni arboree, si possono considerare sostanzialmente due differenti tipologie di sottoprodotti: i residui derivanti dalle operazioni periodiche di potatura, a frequenza rigorosamente annuale, a cui si possono aggiungere i residui delle operazioni saltuarie di potatura di ringiovanimento o di completa estirpatura degli impianti, ormai giunti a fine produzione o non più redditizi; la

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periodicità stimata di tali operazioni è però assai più prolungata rispetto al caso precedente e variabile a seconda della specie arborea in considerazione. Per quanto riguarda la vite in media si possono ottenere all’anno 2,5 ton/ha*a di residui di potatura cui possono aggiungersi 0,5 ton/ha*a circa di residui provenienti dalle saltuarie operazioni di estrirpazione dei vecchi impianti. Il tasso di umidità di tali residui al taglio è dell’ordine del 40% e 50% rispettivamente per un contenuto energetico medio di 4.300 kcal per kg di sostanza secca. Per l’olivo si ottengono in media 2 ton/ha*a di residui legnosi. L’umidità di tali residui risulta compresa tra il 40% ed il 45% ed il contenuto energetico fra le 4.200 e le 4.300 kcal per kg di sostanza secca. Le coltivazione legnose da frutta, infine, in media sono in grado di garantire una disponibilità annua di residui compresa tra 2,5 e 3 ton/ha con una umidità tra il 40% ed il 50% ed un contenuto energetico di 4.300-4.400 kcal per kg di sostanza secca. In termini generali, la disponibilità teorica di residui agricoli in Calabria risulterebbe significativa e pari a poco meno di 885.000 tonnellate/anno di sostanza tal quale. Nella tabella a seguire vengono riassunti, con dettaglio provinciale, i risultati delle stime quantitative effettuate. Come si può notare, nelle Province di Cosenza e Crotone, e cioè le due province con la maggior vocazione agricola di tutta la regione, si concentrerebbe poco meno del 60% dei residui totali (il 37% nella sola provincia di Cosenza). Nell’ipotesi di una filiera di approvvigionamento di biomasse che non debba fare ricorso all’importazione ma che si possa realizzare su scala locale, si potrà ragionevolmente considerare anche il territorio della vicina regione Sicilia che presenta, in generale e come ben noto, una elevata vocazione agricola. Nella tabella a seguire vengono pertanto riassunte le disponibilità teoriche di residui agricoli in tale regione, potenzialmente avviabili ad una valorizzazione energetica. Biomasse agro-forestali: colture dedicate da energia Le potenzialità energetiche connesse all’impiego del materiale agricolo residuale, come evidenziato nel paragrafo precedente, costituiscono un fattore di estremo interesse che andrebbe opportunamente valorizzato. Particolarmente rilevante, a questo proposito, oltre alla disponibilità energetica che si renderebbe fruibile è la promozione di una “logica” ed un “sistema” di recupero di materiali che, altrimenti, seguirebbero un percorso di smaltimento poco razionale sotto il profilo ambientale. Ma vi è un altro fronte interessante che oggi si candida per rifornimento di biomasse a scopo energetico: quello della produzione non alimentare (non-food), con particolare enfasi all’ottenimento di biomasse vegetali dedicate. Le coltivazioni dedicate risultano di grande interesse per la molteplicità di aspetti energetici, ambientali e di diversificazione delle produzioni agricole che comportano. Esse possono essere finalizzate alla produzione di combustibili solidi e/o liquidi per produzione termica e/o elettrica o come carburanti per autotrazione. Le colture dedicate per la produzione di energia termica e/o elettrica possono essere inquadrate in due grandi classi: 1. coltivazioni erbacee annuali o poliennali per la produzione di combustibile solido; 2. coltivazioni poliennali legnose a ciclo breve per la produzione di una vasta gamma di biocombustibili solidi

di interesse di diverse utenze. Tra le specie erbacee annuali e poliennali più promettenti figurano i sorghi da fibra (di costituzione ibrida), la canna comune, il cardo, il miscanto, il kenaf e il panico. A questo elenco, negli ultimi anni, si è aggiunto quello delle specie forestali a ciclo breve di ceduazione (SRF: Short Rotation Forestry); tra le specie arboree coltivabili come ceduo a turno breve è possibile considerare i pioppi, la robinia, nonché salici ed eucalipti. Specie arboree idonee sono, ancora: ailanto e paulonia. La riforma della PAC, con l’introduzione del meccanismo del disaccoppiamento che consentirà agli agricoltori di svincolarsi dalle scelte produttive, e della condizionalità obbligatoria, fornisce un quadro programmatico

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sicuramente favorevole all’implementazione e diffusione delle colture dedicate da energia. Con la riforma della PAC, per le colture energetiche da biomassa essa prospetta tre principali opportunità (art. 55, 56 e 88 Reg. 1782/2003, art. 33 Reg. 2237/2003): • coltivazioni su terreni normali, privilegiando quelle colture che presentano una eccedenza della

produzione; • coltivazioni su aree rese disponibili dal “set aside” e cioè aree oggetto di riconversione produttiva; • coltivazioni su aree marginali e superfici che per motivi di ordine economico, ambientale e sociale sono

state oggetto di abbandono produttivo delle colture originarie. Come noto il principio della condizionalità pone come requisito fondamentale per i pagamenti l’obbligo di mantenere la terra in buone condizioni non più solo agronomiche ma anche e soprattutto ambientali. Nel decreto ministeriale 5406/2004 di recepimento del meccanismo della “condizionalità” è definita una specifica norma (la n°4.2) relativa proprio alla “gestione delle superfici ritirate dalla produzione”, costituite sia da quelle soggette all’obbligo di ritiro per percepire i pagamenti, sia da tutte le altre superfici ritirate dalla produzione, anche se ammissibili dell’aiuto diretto. Poiché l’Italia ha optato per il disaccoppiamento totale degli aiuti dalla produzione, tale norma potrà quindi interessare oltre alle superfici di set-aside obbligatorio, anche le superfici che potrebbero non essere più coltivate, pur percependo l’aiuto, e per le quali con il disaccoppiamento si paventa il rischio di degrado o di abbandono. La messa a punto di pratiche adeguate per il mantenimento in buone condizioni agronomiche ed ambientali di queste superfici, assumerà quindi nei prossimi anni una importanza sempre più rilevante. L’introduzione di coltivazioni dedicate potrà rappresentare un utile mezzo per contribuire al recupero e alla difesa di terreni incolti, garantendo allo stesso tempo all’agricoltore un reddito aggiuntivo a quello derivante dalle colture tradizionali. Secondo i dati del censimento ISTAT 2000, le superfici agricole non utilizzate in Calabria e Sicilia (nel seguito indicate con la sigla SANU) rappresentano in estensione rispettivamente poco più del 7% e 5% della SAU complessiva (circa 42.103 ha e 64.105 ha). A titolo puramente indicativo si riportano, nelle tabelle seguenti, le potenzialità per differenti tipologie colturali, che potrebbero in linea teorica derivare da una conversione produttiva di tali aree nelle due regioni in esame. Conclusioni Quelle riportate nei paragrafi precedenti sono valutazioni di massima che si riferiscono a disponibilità teoriche di biomassa; come tali, possono assumere quindi un carattere puramente indicativo. I quantitativi di biomassa stimati allo stato attuale delle coltivazioni agricole e delle aree agricole non utilizzate, sono infatti da considerarsi un potenziale teoricamente disponibile prescindendo da una serie di fattori e vincoli, di diversa natura, che possono interferire, come vedremo, in modo rilevante sulle possibilità operative e limitare di conseguenza anche drasticamente la possibilità di disporre di materiale rinnovabile da avviare ad un uso energetico. 1. I residui agricoli possono, ad esempio, avere già degli usi alternativi che si porrebbero, quindi, sostanzialmente in competizione con quello energetico. Inoltre gli agricoltori si dimostrano spesso contrari ad un prelievo dal terreno di una parte consistente di essi in quanto potrebbe comportarne un eccessivo impoverimento di sostanza organica. Una parte delle paglie di cereali trova attualmente sicuramente sbocco nel settore zootecnico; nelle aree a scarsa vocazione zootecnica prevale invece la loro bruciatura diretta in campo come metodo di smaltimento diretto. Per quanto riguarda gran parte delle legnose agrarie, il materiale derivante dalle operazioni di potatura, in particolare quello più sottile, non ha fondamentalmente sbocchi commerciali e viene smaltito generalmente in due modi: triturazione ed interramento (soprattutto per quanto riguarda i sarmenti di vite), o bruciatura fuori campo. Nel primo caso, l’agricoltore durante le ordinarie operazioni di fresatura del terreno, passa negli interfilari con un trinciasarmenti, triturando i residui lasciati in andata e incorporandoli nel terreno. Il recupero di tali residui per usi energetici non rappresenterebbe quindi, in tali condizioni, un effettivo costo di smaltimento evitato per gli operatori agricoli richiedendo altresì una modifica sostanziale delle tradizionali modalità di conduzione e gestione dei terreni agricoli.

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2. Per quanto attiene le colture dedicate da energia, la tipologia più idonea per l’avvio di una filiera bioenergetica in una determinata area è legata primariamente alle sue caratteristiche agropedoclimatiche; da esse dipendono, infatti, le caratteristiche botaniche e vegetazionali, le tecniche di impianto, conduzione e raccolta e la tipologia di prodotto ottenibile (in termini di resa unitaria in sostanza secca e di contenuto energetico) e quindi il costo medio di produzione della biomassa. Particolare rilievo, nella scelta delle specie più idonee, assume la considerazione dello spettro di adattamento alle condizioni climatiche dell’area di coltivazione. Negli ambienti meridionali come quello calabrese, evidentemente, il vincolo più influente in grado di limitare l’accrescimento delle specie da biomassa, soprattutto se legnosa, è dato dalla in genere limitata disponibilità idrica soprattutto nel periodo estivo, nel corso del quale avviene il più sostenuto accrescimento delle piante. Risultando difficilmente proponibile il ricorso ad una sistematica irrigazione, i cui costi non sarebbero assolutamente giustificabili in rapporto al valore unitario della produzione, occorre valutare con estrema attenzione il limite di compatibilità fra esigenze idriche della specie ed effettive disponibilità idriche locali. Con riferimento ai caratteri più squisitamente agronomici, la scelta fra le colture energetiche più promettenti va operata, inoltre, considerando una serie di altri fattori, di seguito schematicamente indicati: • prestazioni produttive in termini di biomassa, • esigenze nutrizionali ed apporti fertilizzanti richiesti, • altre necessità colturali e possibilità di meccanizzazione degli interventi, con particolare riferimento al

cantiere di raccolta delle piante ed al primo condizionamento della biomassa, • i riflessi di natura agro-ambientali (propietà antierosive, incremento della fertilità dei suoli, sequestro del

carbonio, ecc.). A livello di comparto agricolo risultano inoltre inevitabilmente preminenti anche considerazioni relative al bilancio economico della conversione produttiva verso tali colture e alla sua redditività anche eventualmente rispetto alle colture tradizionali; ciò presuppone necessariamente la considerazione di aspetti quali: • le reali prospettive di mercato • i costi di produzione, dall’impianto alla raccolta • il prezzo di vendita/acquisto del materiale prodotto • la possibilità di definire contratti di ritiro del materiale a prezzi prefissati e di medio-lungo termine • l’entità del sostegno concesso alle colture energetiche • l’andamento nel tempo dei contributi In tal senso va sottolineato che tali colture in Italia sono ancora sostanzialmente solo in fase di sperimentazione, con risultati ecologici ed economici quindi ancora tutti da verificare il che limita inevitabilmente il loro effettivo potenziale di diffusione. 3. Al di là dei diversi aspetti analizzati fino ad ora, vanno comunque anche considerati gli aspetti legati alla dispersione sul territorio della biomassa eventualmente disponibile, dipendenti anche e soprattutto dalle caratteristiche strutturali del comparto agricolo locale (in termini di numero di aziende, dimensioni delle aziende e loro distribuzione sul territorio) e, quindi, alle problematiche di raccolta, trasporto e stoccaggio (intermedio e finale). Una dimensione media aziendale elevata, una significativa densità territoriale rappresentano condizioni potenzialmente favorevoli. La concentrazione dei potenziali centri di produzione della biomassa, infatti, agevola in genere le operazioni di raccolta sia dal punto di vista logistico che economico potendo favorire anche eventuali forme organizzative da parte di terzi. In generale, la disponibilità di residui agricoli in Calabria ed in Sicilia risulterebbe piuttosto dispersa sul territorio data la prevalenza, soprattutto per quanto riguarda le legnose agrarie, di aziende di piccole-medie dimensioni e quindi una notevole parcellizzazione delle aree potenzialmente produttive. A ciò si aggiunge una in media rilevante dispersione di tali aree sul territorio. Anche la superficie agricola attualmente non produttiva e potenzialmente utilizzabile per l’implementazione di colture dedicate da energia, risulta nel complesso fortemente parcellizzata sui due territori in esame. Alla luce di quanto esposto ed analizzato sino ad ora, appare evidente come la biomassa effettivamente utilizzabile per fini energetici possa risultare, nella realtà, di molto inferiore a quella potenzialmente disponibile. Per la costruzione di possibili scenari di approvvigionamento del futuro impianto di co-combustione di Saline Joniche, si ritiene del tutto ragionevole pertanto partire dall’ipotesi che i quantitativi di biomassa disponibili su scala inter-regionale siano non superiori al 50% di quelli stimati come potenziali. L’entità, in termini quantitativi, di un approvvigionamento a scala provinciale e regionale risulterebbe, in questa ipotesi, quella riportata nelle tabelle seguenti.

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Per quanto riguarda le colture dedicate da energia, sono state considerate solo le piante da taglio a rapido accrescimento (SRF). Si ritiene opportuno sottolineare nuovamente il fatto che le caratteristiche agropedoclimatiche del territorio regionale e le effettive disponibilità idriche durante il corso dell’anno, potrebbero non risultare particolarmente idonee a questo tipo di produzioni. In condizioni normali di mercato, per impianti di produzione elettrica di media-grossa taglia, risulta in media economicamente conveniente reperire la biomassa da coltivazioni locali entro raggi non superiori a 100 km; per distanze superiori i costi di trasporto risulta infatti incidere significativamente sui costi di approvvigionamento. Va rilevato a questo proposito che sono stati recentemente approvati da parlamento i nuovi “certificati verdi di tipo agricolo”, previsti nella conversione di legge 222/2007 con modificazioni del dlgs 159/2007, meglio conosciuto come “Collegato alla Finanziaria”. Si tratta di una forma di incentivo previsto per la produzione di energia elettrica mediante impianti alimentati a biomasse e biogas che presenta caratteristiche innovative e molto interessanti sotto il profilo economico, in particolare per il settore agricolo. Per impianti di potenza superiore a 1 MW, la forma del beneficio economico viene calcolata attraverso il riconoscimento di certificati verdi (uno per ogni MWh prodotto) in numero pari all’energia elettrica prodotta nell’anno precedente, moltiplicata per il coefficiente 1,8. Per gli impianti di potenza non superiore a 1 MW la riforma prevede la possibilità di scegliere tra il regime di certifi cati verdi e una tariff a omnicomprensiva (incentivo più energia prodotta) pari a 0,30 euro per ogni kWh elettrico. In entrambi i casi la durata al diritto agli incentivi è di 15 anni. Questa forma di sostegno può essere riconosciuta solo però a precise condizioni: • che le biomasse e il biogas derivino da prodotti agricoli, inclusi i sottoprodotti come ad esempio i residui

delle colture, ramaglie e potature derivanti dall’attività agricola e selvicolturale; • che questi prodotti siano ottenuti:

o nell’ambito di contratti di filiera o contratti quadro (così come disciplinati dagli art. 9 e 10 del D. Lgs. 102/2005);

o da filiere corte, cioè quelle in cui i prodotti sono ricavati entro un raggio di 70 km dall’impianto che li utilizza per produrre energia elettrica.

Alla luce di quanto esposto, appare ragionevole considerare, per i possibili bacini di approvvigionamento dell’impianto di Saline Joniche, raggi non superiori ai 100 km. Per quanto riguarda la Regione Calabria, un raggio di approvvigionamento di 100 km arriverebbe approssimativamente a comprendere il territorio delle province di Reggio Calabria e Vibo Valentia. La disponibilità di biomassa si assesterebbe a valori compresi fra le 165.000 e le 210.000 tonnellate/anno circa, come riportato nel dettaglio nella tabella seguente. Per quanto riguarda la regione Sicilia, sarebbero invece interessati i territori delle province di Messina, Catania, Siracusa ed Enna in porzioni più o meno rilevanti. Sulla base di valutazioni del tutto preliminari, si può stimare una disponibilità complessiva di biomassa entro questo raggio compresa fra le 245.000 e le 315.000 tonnellate/anno. Le disponibilità stimate risultano, sia per quanto riguarda la regione Calabria che la regione Sicilia, superiori al consumo annuo di biomasse ipotizzato per l’impianto di co-combustione e pari a 170.000 tonnellate (al massimo circa il 2% della potenza termica della centrale oggetto di progettazione). I residui agricoli considerati comprendono, come già esposto nei precedenti paragrafi, gli scarti di potatura delle coltivazioni legnose e le paglie di cereali. Per quanto riguarda queste ultime, va rilevato innanzitutto che esse possono presentare criticità di carattere tecnologico legate alla loro combustione diretta. L’elevato contenuto in ceneri delle sostanze erbacee come le paglie, caratterizzate anche da una bassa temperatura di fusione, può causare infatti problemi se queste vengono utilizzate in caldaie non appositamente realizzate, di cui in particolare il rischio di fusione delle ceneri e quello di incrostazioni sui tubi degli scambiatori, potendo, entrambi questi problemi, rendere inutilizzabile l’impianto. In aggiunta, il contenuto di cloro della paglia, richiede necessariamente dei pretrattamenti per la sua riduzione prima dell'utilizzo (sostanzialmente si tratta di lasciare la stessa esposta alla pioggia per dilavare tale elemento). Aspetto ancora più rilevante da considerare, nell’ipotesi di una loro valorizzazione per scopi energetici, risulta la bassissima densità che caratterizza tali residui, che implica necessariamente il dover trattare sempre e comunque volumi significativi se non ingenti di materiale e di conseguenza operazioni di trasporto e stoccaggio molto difficoltose e costose. Si ritiene, pertanto,

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opportuno considerare, lo scenario che esclude l’utilizzo di paglie di cereali; la quantificazione di tale scenario è riportata nelle tabelle a seguire. Le valutazioni relative alle possibilità di avvio di una filiera di approvvigionamento locale per l’impianto di Saline, dovranno infine tenere conto del fatto che in Calabria sono attualmente già presenti 7 impianti a biomasse per la produzione di energia elettrica, per una potenza complessiva di 128,5 MWe ed un consumo annuo di combustibile stimabile in oltre 1.200.000 tonnellate/anno. Tali impianti attualmente utilizzano biomassa di importazione per percentuali comprese fra il 70% e l’80% del loro fabbisogno; l’approvvigionamento con biomassa di origine regionale risulta quindi al momento molto limitato ad evidenza, probabilmente, delle oggettive difficoltà di avvio di filiere a carattere locale. Va evidenziato altresì, che l’entrata in vigore dei nuovi certificati verdi di tipo agricolo che vincolano l’approvvigionamento degli impianti ad accordi di filiera con il mondo agricolo o a raggi non superiori ai 70 km, potrebbe portare ad una forte concorrenza tra gli impianti già esistenti per l’acquisizione di biomassa in ambito regionale e limitare di conseguenza significativamente le possibilità di approvvigionamento per i nuovi impianti. Biomasse residuali dell’industria agro-alimentare A fianco del settore agro-forestale va anche considerato quello ad esso strettamente collegato dell’industria agro-alimentare. Esso produce una vasta gamma di residui molti dei quali di origine vegetale. Nel caso dell’industria agro–alimentare, i residui vegetali possono rappresentare anche il 20% del prodotto in ingresso (10% in media). Gli aspetti che differenziano maggiormente l’industria dal settore agro - forestale sono i seguenti: la raccolta dei residui al fine di un loro utilizzo come combustibile alternativo avverrebbe direttamente presso l’industria stessa, quindi con una notevole concentrazione spaziale; la relativa produzione è in alcuni casi distribuita nel corso dell’anno invece che essere stagionale. Particolarmente interessanti, in tale ambito e soprattutto per la regione Calabria risultano i residui dell’industria olearia. La Calabria, dopo la Puglia, è infatti la regione con la maggior produzione olivicola d’Italia. Secondo i dati annuali ISTAT sulle produzioni agrarie, nel 2006 in Calabria la superficie ad olivo ammontava a circa 183.400 ha per una produzione di olive da olio pari a poco meno di 10.200.000 quintali; nel medesimo anno in Sicilia la superficie ad olivo corrispondeva invece a circa 159.000 ha per una produzione di 2.321.000 quintali. Attualmente in Calabria risultano presenti circa 1.100 frantoi (concentrati principalmente nelle province di Reggio Calabria e Cosenza), in Sicilia 700. I sottoprodotti dell’industria olearia sono costituiti da acqua di vegetazione, sansa vergine, sansa esausta e nocciolino. Tali sottoprodotti si rendono disponibili, in genere, in un lasso di tempo compreso tra la metà di ottobre e la fine di febbraio. Il principale residuo è la sansa, che ha caratteristiche ed umidità differenti a seconda del processo di spremitura adottato nei frantoi. In particolare, i tradizionali sistemi di estrazione con presse sono stati ormai del tutto sostituiti da sistemi a ciclo continuo a due o tre fasi, più rapidi ed economici. Il grado di umidità delle sanse vergini è molto variabile in quanto dipende dai sistemi di estrazione dell’olio. Quelle provenienti da frantoi tradizionali hanno un contenuto di acqua variabile tra il 25% e il 30%, quelle derivanti da impianti continui il tra il 50% e il 55%. In media si può ritenere che la sansa vergine ammonti al 45-50% della quantità di olive lavorate. Per tale residuo si presenta la necessità di smaltimento essendo esso altamente inquinante a causa dell’elevato contenuto organico e di sostanza grassa. E’ proprio di fronte alle problematiche di smaltimento, che si inserisce allettante la trasformazione di tale residuo in una forma utilizzabile energeticamente. Per la sansa vergine, in particolare, la valorizzazione energetico-economica segue due direttrici: • l’ impiego come combustibile attraverso l’essiccazione; • la trasformazione in sansa esausta con ulteriore estrazione di circa un 10% di olio.

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Va evidenziato che essa può essere anche proficuamente destinata al compostaggio, che si pone quindicome uso alternativo e concorrenziale a quello energetico. La trasformazione della sansa vergine in sansa esausta avviene nei sansifici. Le sanse vergini, vengono sottoposte ad una lavorazione che permette di estrarre l’olio in esse ancora contenuto. Il processo produttivo prevede una fase di essiccazione e disoleazione da cui si ottiene sansa esausta (50-55% circa del materiale di partenza) con umidità media del 12,5% e olio di sansa (5% circa del materiale di partenza). La sansa esausta è un prodotto granulare con caratteristiche molto buone per la combustione diretta in caldaia. La normativa vigente considera la sansa esausta combustibile, con un potere calorifico inferiore compreso tra 3.500 e 4.500 kcal/kg. Occorre considerare che il processo per ottenere sansa esausta a partire da quella vergine, richiede in media energia pari al 20% dell’energia contenuta nella sansa esausta. In oltre l’80% dei casi, i sansifici presentano un impianto termico asservito al ciclo produttivo ed alimentato con le stesse sanse esauste prodotte (per circa il 30% della produzione totale). Il mercato della sansa esausta è molto sviluppato; le principali richieste arrivano da serre e utenze agricole in generale, da centrali elettriche. Essa ha anche qualche applicazione marginale per la fabbricazione dei laterizi, produzione di furfolo ed ebanisteria. Il nocciolino, costituito dalla frazione a più alto contenuto in lignina della sansa, ha un grande utilizzo come combustibile in caldaie agricole, domestiche e forni di panificazione. Va evidenziato che il mancato utilizzo della sansa esausta può costituire un grosso problema legato all’alto tenore inquinante soprattutto per le falde idriche se disperso sul terreno. I principali parametri tecnico-economici medi relativi alle sanse vergini ed esauste sono riassunti nella tabella seguente. I residui dell’industria olearia nelle due regioni potrebbero quindi costituire una interessante e consistente risorsa rinnovabile da avviare ad un uso energetico. Anche in questo caso i quantitativi stimati precedentemente sono, però, da considerarsi un potenziale teoricamente disponibile a prescindere da una serie di fattori e vincoli, di diversa natura, che possono limitare in maniera anche consistente la possibilità di disporne effettivamente. I valori calcolati sono riferiti alla campagna olearia 2006, ma va considerato che la quantità annua di olive molite, e quindi, la quantità di sansa disponibile, possono subire variazioni annue più o meno sensibili. Ciò in considerazione della variabilità sia delle superfici investite ad olivo che delle produzioni annue. La frammentazione dell’offerta di olive da parte delle aziende agricole e la difficoltà di trasportare il prodotto facilmente deperibile per lunghi tragitti, ha determinato la nascita di un elevato numero di frantoi localizzati in prossimità delle aree di produzione olivicola. La presenza di un numero piuttosto elevato di frantoi in entrambe le regioni determina dunque una notevole frammentazione della produzione di olio e di conseguenza della sansa vergine disponibile. A differenza della produzione di sanse vergini, la produzione di sansa esausta è invece concentrata presso i sansifici. Tale particolarità renderebbe economicamente valida l’ipotesi di utilizzo come fonte energetica, elevando in tal modo, il reddito del comparto agricolo. Va rilevato però che, a causa di una sempre più scarsa remuneratività della produzione dell’olio di sansa, la struttura di questo segmento della filiera sta subendo un consistente processo di ristrutturazione con una conseguente riduzione del numero di impianti attivi piuttosto significativa. Dato che, come già evidenziato, a livello nazionale la richiesta di sanse esauste è ad oggi particolarmente significativa, è ipotizzabile che una quota consistente della produzione regionale sia già destinata all’esportazione fuori dai confini regionali e che quindi non si abbia una effettiva disponibilità per un eventuale utilizzo locale. In generale il trend registrato per quanto riguarda il mercato locale delle sanse esauste per usi energetici, sembra pertanto quello di una elevata domanda a fronte di una offerta che sta diventando piuttosto limitata. La crescente crisi dei sancifici, riducendo la quantità di sansa vergine ritirata, rappresenta attualmente un rilevante problema per il corretto smaltimento dei residui oleari vergini. La valorizzazione a fini energetici di tali residui, potrebbe quindi potenzialmente rappresentare un’alternativa estremamente valida sia dal punto di vista ambientale che economico (dato che lo smaltimento è un’operazione in genere piuttosto onerosa). Va evidenziato però che l’elevato frazionamento della produzione di sanse vergini dovuta al gran numero di frantoi annualmente operativi, accanto alla necessità di essiccare opportunamente un prodotto a basso contenuto energetico ed alle problematiche legate allo stoccaggio ed alla stagionalità, rappresenta un ostacolo piuttosto rilevante, sia in termini di logistica che di sostenibilità economica, all’utilizzo diretto a in impianti di produzione energetica dedicati. Si consideri a questo proposito

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che una piccola centrale da 500 kWe, richiederebbe una quantità di sansa vergine di circa 6.300 t/anno, a fronte di una produzione media dei frantoi calabresi e siciliani che risulta in media di circa 420 e 150 t/anno rispettivamente. Altre forme di recupero (come il compostaggio) potrebbero risultare più convenienti e rappresentare quindi una alternativa concorrenziale alla valorizzazione energetica. Alla luce di quanto esposto, ed in particolare in considerazione dei consistenti problemi legati al loro smaltimento, i residui dell’industria olearia nelle due regioni possono rappresentare una interessante risorsa locale rinnovabile utilizzabile per l’alimentazione dell’impianto di co-combustione oggetto del presente studio ed al contempo una interessante opportunità di integrazione al reddito per il comparto agricolo regionale. I quantitativi di residui stimati precedentemente sono ovviamente da considerarsi un potenziale teoricamente disponibile a prescindere dai diversi di fattori e vincoli, di diversa natura, analizzati precedentemente e che possono limitare la possibilità di disporne effettivamente. Ne segue necessariamente che la quantità effettiva di residui utilizzabili per scopi energetici e le modalità organizzative e gestionali della filiera di approvvigionamento, potranno essere definite solo a valle di una attenta e dettagliata indagine sul territorio. 3.8. Qualità dell’aria ambiente Le campagne di misura degli inquinanti atmosferici si sono sviluppate in 20 punti di misura posti in un’area semicircolare avente il sito industriale di Saline Joniche quale centro e una distanza massima da questo di 10 km. La distribuzione dei punti di misura inizialmente pianificata era basata su più raggi posti ad intervalli regolari. Nel corso della fase operativa è risultato evidente che, stante la complessità orografica della zona e la carenza di un’adeguata rete stradale, fossero necessari aggiustamenti all’iniziale programma. La posizione di più punti di misura è stata quindi modificata in modo tale che ogni postazione di misura fosse accessibile con un veicolo o che comunque il percorso a piedi per raggiungerlo fosse sufficientemente breve. In questo modo le misure condotte possono essere considerate temporalmente parallele. Le misure di qualità dell’aria si articolano su due campagne della durata di un mese, la prima estiva a cavallo tra luglio e agosto, la seconda autunnale tra ottobre e novembre. Le campagne di misura non hanno previsto l’effettuazione di misure meteorologiche ad hoc. I bollettini del Centro Nazionale di Meteorologia e Climatologia Aeronautica non indicano tuttavia per il periodo estivo evidenti anomalie rispetto alla media climatica o, al massimo, modesti scostamenti di carattere negativo per le temperature. Per quanto attiene le precipitazioni la Calabria ha fatto registrare nei mesi di Luglio ed Agosto un modesto deficit rispetto ai valori di lungo periodo. I campionatori passivi (o dosimetri a diffusione) impiegati nella campagna di monitoraggio della qualità dell’aria sono stati sviluppati presso l’Istituto Federale Svizzero per la Tecnologia (Swiss Federal Institute for Technology) di Zurigo e vengono commercializzati dalla società Passam di Mannedorf (CH). I campionatori passivi basano il loro funzionamento sul fenomeno della diffusione per il quale una sostanza aerodispersa tende a diffondere da un ambiente a maggiore concentrazione ad uno con minore concentrazione. Il principio fisico alla base del campionamento diffusivo è dato dalla 1a legge di Fick (Brown e Wright, 1994) che descrive, appunto, il processo di diffusione di un gas in una colonna statica d’aria verso un mezzo absorbente. Detto processo di diffusione è funzione delle caratteristiche geometriche del percorso di diffusione (lunghezza e sezione), del tasso di campionamento, della durata del periodo di esposizione, delle caratteristiche del gas. Fattori che influiscono sul campionamento passivo sono le turbolenze alla bocca del campionatore (ad esempio in condizioni di vento oltre 1,5-2 m/s) e la temperatura dell’aria. Per questo motivo i campionatori vengono utilizzati esponendoli all’aria mediante un apposito dispositivo che li protegge dai moti turbolenti e grazie al continuo ricambio d’aria mantiene la temperatura dell’aria prossima a quella ambiente. I campionatori passivi Passam rispondono alle specifiche CEN (European Committee for standardization) e in particolare ai requisiti previsti da: • Ambient Air Quality. Diffusive samplers for the determination of concentrations of gases and vapours –

requirements and test methods. Part 1. General requirements. CEN 13528-1.4; • Ambient Air Quality. Diffusive samplers for the determination of concetrations of gases and vapours –

requirements and test methods. Guide to selection, use and maintenance. CEN 13528-3 draft. I campionatori passivi possono essere utilizzati per misure preliminari di qualità dell’aria come previsto dai

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seguenti Decreti: • DM 1 ottobre 2002, n. 261 Regolamento recante le direttive tecniche per la valutazione preliminare della

qualita' dell'aria ambiente, i criteri per l'elaborazione del piano e dei programmi di cui agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351;

• DM 21 aprile 1999, n.163 Regolamento recante norme per l'individuazione dei criteri ambientali e sanitari in base ai quali i sindaci adottano le misure di limitazione della circolazione.

L’impiego dei campionatori passivi è inoltre previsto, in determinate condizioni, dalle seguenti Direttive europee: • Direttiva 1999/30/CE del 22 aprile 1999 concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il

biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo; • Direttiva 2002/3/CE del 12 febbraio 2002 relativa all'ozono nell'aria (misure indicative) e dai relativi

Decreti Ministeriali di recepimento; • European Commitee for Standardization (CEN), 2000a. Ambient Air Quality – Diffusive samplers for the

determination of concentrations of gases and vapours – Requirements and test methods. Part 1: General requirements (prEN 13528-1.4). Brussels, pp. 13;

• European Commitee for Standardization (CEN), 2000b. Ambient Air Quality – Diffusive samplers for the determination of concentrations of gases and vapours – Requirements and test methods. Part 2: Specific requirements (prEN 13528-2.4). Brussels, pp. 31;

• European Commitee for Standardization (CEN), 2001. Ambient Air Quality – Diffusive samplers for the determination of concentrations of gases and vapours – Requirements and test methods. Part 3: Guide to selection, use and maintenance (prEN 13528-3). Brussels, pp. 32.

I campionatori passivi adottati durante la campagna di monitoraggio per le misure di ozono sono costituiti da una fiala in polipropilene di 4,9 cm di lunghezza e 9,5 mm di diametro. Ad un’estremità è posto un filtro in fibra di vetro imbevuto di una soluzione di acido acetico e di 1,2–di(4piridil)-etilene (DPE). Al fine di proteggere i campionatori dai principali agenti meteorici e ridurre le eventuali turbolenze, essi vengono inseriti in uno speciale espositore. All’apertura del campionatore, con l’inizio del periodo di esposizione, l’ozono che diffonde all’interno della fiala va a reagire con il DPE. A seguito della reazione si crea una differenza di concentrazione tra l’aria all’interno del campionatore e l’aria ambiente e viene quindi a crearsi un flusso di ozono di tipo diffusivo dall’esterno verso l’interno del campionatore stesso. Poiché non è noto il coefficiente di diffusione dell’ozono e la reazione del DPE all’ozono non è stechiometrica, per risolvere l’equazione di Fick viene introdotto un coefficiente empirico, individuato mediante misure in parallelo tra campionatori passivi e analizzatori in continuo (M. Hangartner et al., 1990). I campionatori passivi forniscono un valore di concentrazione mediato sul periodo di esposizione che può variare da poche ore ad un mese e non dispongono quindi della risoluzione temporale degli analizzatori in continuo (oraria o semioraria). I valori di incertezza estesa sono conformi ai requisiti previsti dalle norme CEN (2000, 2001). Per il calcolo dell’incertezza estesa si fa riferimento a GUM - Guide to the expression of uncertainty in measurement (ISO1995). Le determinazioni analitiche sono effettuate mediante spettroscopia. L’aldeide che viene a formarsi quale prodotto della reazione tra ozono e dipiridiletilene può essere determinata in modo quantitativo mediante spettrofotometria con il metodo MBTH (3-metil-2-benzotiazolinone cloridrato). Ozono - Dati tecnici dei campionatori passivi impiegati Durata dell’esposizione 1 settimana Range di misura 3 – 240 μg/m3

Limite di rilevabilità 2,6 μg/m3

Tasso di campionamento PS (mabs) = 0.0255 μg/m3 h Possibili interferenze Altri ossidanti I campionatori passivi per la misura del biossido di azoto sono costituiti da fiale in polipropilene della lunghezza di 74 mm e diametro di 9 mm, ad un estremità la fiala è chiusa ermeticamente, dall'altra è presente un tappo che viene allontanato all'inizio del periodo di esposizione Il reagente impiegato è la trietanolammina (TEA). Il prodotto della reazione con il biossido di azoto può essere determinato per via spettrofotometrica (Hangartner, 1996). Al fine di proteggere gli strumenti dalla pioggia i campionatori passivi vengono impiegati inserendoli nello stesso espositore utilizzato per le misure di ozono. Le determinazioni analitiche sono effettuate mediante estrazione del prodotto della razione del biossido di azoto con la trietianolammina. La determinazione avviene in spettroscopia mediante misura del picco a 540 nm.

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Biossido di azoto - Dati tecnici dei campionatori passivi impiegati Tasso di campionamento 11,9 ml/min a 20°C Range di misura 1 — 240 μg/m3

Durata esposizione 2— 4 settimane Limite rilevabilità 0,3 μg/m3 per campionamenti di due settimane I campionatori utilizzati per la misura del biossido di zolfo sono costituiti da piccoli contenitori (badge) di 2 cm di diametro all’interno del quale si trova il composto sensibile all’inquinante, in questo caso una miscela carbonato di potassio e glicolo. Una membrana in teflon fissata da una reticella in acciaio inox riduce eventuali effetti della turbolenza dell’aria. Da un punto di vista fisico questo tipo di campionatore non differisce da quelli usati per la misura degli altri inquinanti. I campionatori passivi vengono fissati all’interno dell’espositore mediante due mollette in acciaio inox. Gli espositori hanno il compito di proteggere i campionatori dalla pioggia e ridurre la turbolenza dell'aria. Le determinazioni analitiche sono effettuate mediante estrazione del prodotto della razione del biossido di zolfo e bicarbonato di potassio. La determinazione del biossido di zolfo nell’aria ambiente avviene mediante cromatografia ionica sull’estratto. Biossido di zolfo - Dati tecnici dei campionatori passivi impiegati Tasso di campionamento 11,9 ml/min a 20o C Range di misura 1 — 240 μg/m3

Durata esposizione 2— 4 settimane Limite rilevabilità 0.3 μg/m3 per campionamenti di due settimane I campionatori passivi per la misura del benzene sono costituiti da un cilindro in vetro aperto su due estremità. Il mezzo adsorbente è costituito da carbone attivo. Il materiale è tenuto in posto mediante acetato di cellulosa. Le determinazioni analitiche sono effettuate mediante gascromatografia. L’estrazione avviene mediante disolfuro di carbonio. La strumentazione analitica consiste in gas cromatografo (es. HP5890) e colonna. Sono determinati i seguenti composti: benzene, toluene, xilene, etilbenzene. I tassi di campionamento utilizzati sono • Benzene: 6,44 ml/min a 20oC. • Toluene: 5,72 ml/min a 20oC. • Etilbenzene: 5,20 ml/min a 20oC. • m, p, xilene: 5.03 ml/min a 20oC. • o-xilene: 5,45 ml/min a 20oC. Benzene - Dati tecnici dei campionatori passivi impiegati Tasso di campionamento 6,44 ml/min at 20oC Range di misura 0,5 — 50 μg/m3

Durata esposizione 2 — 4 weeks Limite rilevabilità 0,4 μg/m3 for a sampling time of 14 days

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Ozono Le concentrazioni di ozono rilevate nel corso della campagna di monitoraggio evidenziano per tutti i siti considerati due periodi ben distinti di circa due settimane di durata. Il primo è caratterizzato da livelli di concentrazione decisamente contenuti per il periodo in esame, il secondo da concentrazioni invece sostanzialmente tipiche per il periodo estivo nelle aree rurali. In assenza di dati meteorologici di dettaglio è naturalmente difficile fornire una spiegazione per questo andamento, peraltro sostanzialmente omogeneo in larga parte della zona considerata. I bollettini del Centro Nazionale di Meteorologia e Climatologia Aeronautica non forniscono per il periodo in esame spiegazioni essendo le condizioni registrate caratterizzate da complessiva stabilità e temperature solo di poco inferiori a quelle medie del periodo (CliNo 1961-’90). Nel corso del periodo autunnale si è mantenuta tra le attività di monitoraggio anche la misura dell’ozono nonostante che tale periodo non sia considerato dalla normativa. E’ tuttavia ragionevole ritenere che nelle regioni meridionali il periodo dell’anno con elevati valori di ozono sia più ampio di quello indicato dalle norme. Le misure confermano questa ipotesi fornendo indicazioni di valori di concentrazione di ozono di una certa consistenza anche nei mesi di ottobre e novembre. I valori più elevati si riscontrano nelle porzioni interne dell’area di indagine dove i meccanismi di deplezioni legati alle emissioni di ossidi di azoto sono meno marcati26. Un ulteriore motivo di interesse circa l’ozono in ambiente mediterraneo è legato ai potenziali effetti sulla vegetazione che qui è composta per larga parte da specie sempreverdi che mantengono una loro attività anche nella stagione fredda. In sintesi i meccanismi che regolano la presenza dell’ozono in quest’area appaiono più complessi di quelli già indagati in aree costiere. In particolare, si può ritenere che nell’area di indagine vi sia una produzione di ozono locale modesta (le concentrazioni di biossido di azoto lungo la statale sono contenute) ma che prevalgano i meccanismi i trasporto, meccanismi che si mantengono attivi anche nel corso della stagione fredda. Ciò spiegherebbe anche le concentrazioni assai modeste riscontrate nella prima parte della campagna estiva. Il superamento della soglia per l’informazione al pubblico (180 μg/m3 ) quale media oraria nel corso delle due settimane di Agosto nelle quali sono state condotte misure di questo inquinante non può essere escluso. Biossido di azoto Il biossido di azoto deriva da combustioni o fiamme in presenza d’aria. L’origine del biossido di azoto rilevato è da far risalire, ragionevolmente a due sorgenti principali: il traffico veicolare e gli incendi. Il fondo naturale si ritiene convenzionalmente compreso tra 0,4 e 10 _g/m3. Pur in presenza di un’importante via di comunicazione – la strada statale 106 – le concentrazioni rilevate nel corso della campagna di misura estiva collocano l’area tra quelle ad inquinamento contenuto con un solo sito che supera i 20 μg/m3 quale valore medio dell’intera campagna estiva. L’area indagata non evidenzia per la qualità dell’aria le caratteristiche di quelle urbane: non si riscontra infatti la tipica correlazione inversa con l’ozono, segno che quest’ultimo è legato prevalentemente a fenomeni di trasporto. I superamenti delle soglie di riferimento orarie (200 μg/m3

come valore massimo orario da non superare più di 18 volte all’anno e 400 μg/m3 misurato su tre ore consecutive) sono improbabili. Nel corso del periodo autunnale le concentrazioni di biossido di azoto si mantengono su valori complessivamente contenuti pur se più elevati di quelli estivi. I siti più interessati da questo inquinante sono quelli costieri a ridosso della Statale 106 dove si riscontrano valori medi compresi tra 25 e 30 μg/m3. All’interno i valori di concentrazione sono in genere quelli caratteristici di aree prive di fonti locali significative, talvolta addirittura confrontabili con quelli di siti remoti (valori settimanali < 5 μg/m3 ). Ossidi di azoto La presenza di un’arteria veicolare di notevole importanza come la Strada Statale 106, la principale via di collegamento tra Taranto e Calabria, ha indotto a condurre un approfondimento circa le emissioni di ossidi di azoto derivanti dal traffico, la principale fonte di questi composti. Merita ricordare che la parte preponderante degli ossidi di azoto è emessa, durante i processi di combustione, a seguito dell’ossidazione ad alta temperatura dell’azoto atmosferico in presenza di ossigeno. La loro rilevanza ambientale è legata agli effetti sulla salute umana e sulla vegetazione. Le emissioni veicolari, la principale fonte di ossidi di azoto, sono principalmente

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sotto forma di monossido di azoto essendo il biossido non più del 2-6% del totale. Le emissioni dirette del biossido di azoto da parte dei veicoli sono modeste. Il monossido viene tuttavia rapidamente ossidato a biossido. Essendo la reazione di ossidazione da NO a NO2 piuttosto rapida, via via che che ci si allontana dalla fonte di emissione, il rapporto NO/NO2 si sposta verso quest’ultimo. Tale rapporto rappresenta quindi un indice della distanza dalla fonte di emissione ma soprattutto un’informazione circa il “carattere” dell’area (urbana, rurale, remota, ecc.). L’emissione di NO determina la riduzione dell’ozono eventualmente presente a ossigeno e formazione di NO2. Per meglio evidenziare i rapporti tra i due ossidi di azoto – monossido e diossido – si riportano i dati rilevati a Catania presso tre postazioni di misura in continuo situate in aree differenti della città: • sito di misura di V.le Vittorio Veneto, lungo un’arteria trafficata in centro città; • sito di misura di Piazza Europa, nei pressi della costa, • sito di misura di Librino, situata in un’area verde. I dati, forniti dal Comune, si riferiscono al 2006. Le condizioni climatiche di Catania possono in prima approssimazione ritenersi confrontabili con quelle della costa ionica calabrese. Come atteso le concentrazioni di ossidi di azoto (NOx) raggiungono i valori più elevati nella stagione autunnale ed invernale; durante la stagione primaverile – estiva, sia per le minori emissioni che per la presenza di una maggiore turbolenza dell’aria, i valori risultano più contenuti . Le differenze tra i siti di misura sono evidenti: all’interno dell’area verde le concentrazioni di NOx appaiono decisamente inferiori rispetto a quelle registrate nelle altre due zone, con valori pari ad un terzo rispetto al sito sulla costa e ad un quinto rispetto al centro città. Il rapporto tra NO2

e NOx presenta i valori più bassi presso il sito più tipicamente urbano (alte concentrazioni di NO). I valori più elevati si osservano presso il sito di misura collocato nell’area verde presso (basse concentrazioni di NO). Il sito costiero si colloca in posizione intermedia, con un rapporto NO2/NOX su base annua pari a 0,78. A fronte di questi dati medi l’equilibrio tra NO e NOx varia a livello orario con grande rapidità in relazione alle emissioni, alla radiazione solare, al movimento dell’aria. Le misure di ossidi di azoto (NOx) effettuate nel corso delle campagne estive nell’area di Saline Joniche si basano su campionatori passivi recentemente sviluppati e che, stante il loro carattere sperimentale, sono stati collocati solo in alcuni dei siti di misura già individuati per le misure degli altri inquinanti atmosferici. I siti considerati per queste misure sono collocati sia sulla costa che nell’entroterra. I risultati delle misure estive ed autunnali sono riportati nelle Tabelle che seguono. I siti considerati mostrano, in generale, valori in linea con quelli di aree urbane con traffico moderato. Siti prossimi alla strada statale 106, come il punto n. 6, evidenziano un rapporto NO2/NOx modesto (0,6-0,7 circa) che denota una non trascurabile componente di NO. Questo rapporto è sostanzialmente confermato dalle misure autunnali. Nel caso del sito n. 41 il rapporto appare ancor più sbilanciato verso l’NO ma va tenuto conto che si tratta di valori di concentrazione molto scarsi. Presso altri siti, anch’essi prossimi alla costa i valori non forniscono un quadro del tutto lineare. Biossido di zolfo I valori di concentrazione di biossido di zolfo rilevati nel corso della campagna di misura sono tutti molto contenuti ed inferiori a 5 μg/m3. Ciò evidenzia quindi la scarsa rilevanza delle fonti locali di biossido di zolfo. I livelli evidenziati dalle misure condotte mediante campionatori passivi possono essere fatti risalire alle emissioni di mezzi pesanti (motori diesel) sulle arterie stradali principali e, eventualmente, agli incendi particolarmente numerosi e frequenti nel corso della stagione estiva. Il fondo naturale di questo inquinante è convenzionalmente ritenuto di 1 μg/m3. Pur evidenziando marcate differenze i valori registrati si mantengono comunque assai distintati dai valori di soglia di lungo periodo fissati per la protezione della vegetazione previsti dalla normativa vigente (20 μg/m3 come media annuale e invernale). Il mancato rispetto delle soglie di breve periodo (125 μg/m3 come media giornaliera da non superare più di 3 volte all’anno, 350 μg/m3 come media oraria da non superare più di 24 volte all’anno e 500 μg/m3 media oraria misurata su tre ore consecutive) finalizzate alla protezione della salute umana è da escludere. Nel periodo autunnale le concentrazioni di biossido di zolfo mostrano un certo incremento pur collocandosi sua valori comunque molto contenuti. Motivi per questo incremento possono risiedere nel riscaldamento a legna o nella maggiore stabilità

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dell’aria a causa del ridotto irraggiamento. Benzene Il benzene è un costituente della benzina che, assieme ad altri idrocarburi aromatici (toluene, etilbenzene, xileni, ecc.), ne incrementa il potere antidetonante. In Italia la legge n. 413/1997 ha stabilito che il contenuto di benzene nelle benzine non deve superare l'1% in volume. Il traffico veicolare rappresenta ragionevolmente la principale fonte di emissione nell’area in esame. I valori riscontrati nel corso della campagna di misura si attestano su livelli contenuti tipici di aree a traffico moderato. Le postazioni di misura nella fascia costiera non sono posizionate nelle immediate vicinanze della SS 106 e quindi non risentono o risentono moderatamente del traffico di passaggio. I valori di picco riscontrati in due siti di misura possono essere legati ad eventi occasionali (cantieri, movimentazione di carburanti, ecc.). È da ritenere che il valore di soglia fissato dalla normativa come media annuale (5 μg/m3) per questo inquinante sia rispetto. Le misure nella stagione fredda forniscono a tale proposito elementi di conferma. Le concentrazioni di altri composti organici sono tutte piuttosto contenute. I valori più elevati di toluene si registrano in concomitanza con quelli più alti di benzene e fanno quindi ritenere che le concentrazioni osservate possano essere fatte risalire ad un’unica fonte di emissione. Particolato sottile La banca dati BRACE, gestita dall’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici (APAT), che contiene i dati ufficiali di concentrazione degli inquinanti atmosferici in ambito nazionale, non riporta nessun dato relativo alla concentrazione di materia particolata atmosferica sottile (PM10) per l’intera regione Calabria. Gli unici dati rilevati sono stati raccolti presso l’unica stazione urbana di Reggio Calabria nel secondo semestre 2005 e nel primo semestre 2006 (Bertuccio et al., 2006). Nel primo periodo sono stati registrati presso questa stazione 24 superamenti del limite previsto dalla normativa vigente (50 μg/m3 sulle 24 ore da non superare più di 35 volte per anno civile, secondo il D.M. n. 60 del 02/04/02), su una disponibilità di dati pari al 70%. La concentrazione media semestrale rilevata è pari a 34 μg/m3, inferiore quindi al limite normativo di 40 μg/m3 annui per la protezione della salute umana (D. M. 02/04/02 n. 60). Si rileva la tendenza all’aumento nel primo semestre 2006, soprattutto alla luce del limite di legge da raggiungere entro il 2010 che è pari, secondo il decreto citato, a 20 μg/m3 come media annuale. Infatti, il livello medio registrato è pari a 37 μg/m3, per un totale di 30 giorni di superamento. Nell’ambito dell’indagine per la definizione delle possibili conseguenze ambientali, riconducibili alla costruzione di una centrale termoelettrica, sono state pertanto condotte due campagne di misura del particolato atmosferico all’interno dell’ASI28, destinata alla realizzazione dell’impianto suddetto. La prima campagna (prima fase) ha avuto luogo dal 25/07/2007 fino al 08/08/2007, per un totale di 28 campioni giornalieri distinti nelle due frazioni granulometriche previste dalla normativa tecnica europea EN 1234.1. Per ogni giorno di campionamento sono state pertanto raccolte contemporaneamente le particelle di diametro aerodinamico inferiori a 10 μm (PM10) e a 2,5 μm (PM2,5) tramite un sistema di campionamento automatico e sequenziale, dotato di due linee indipendenti operanti in parallelo (Hydra Dual Sampler, FAI instruments). Le principali caratteristiche ambientali e lo schema della campagna di campionamento estiva sono riportate nella tabella che segue. Per la realizzazione di questa campagna sono stati utilizzati filtri in fibra di quarzo, che risultano essere i più idonei per una eventuale e successiva determinazione della composizione chimica del particolato raccolto. La determinazione quantitativa del materiale campionato è stata condotta mediante analisi gravimetrica, ovverosia tramite pesate pre e post campionamento dei filtri utilizzati, successivamente al loro condizionamento a temperatura e umidità costante e in assenza di polveri, come descritto nell’appendice tecnica del D.M. 60/2002.

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I risultati ottenuti nel corso della prima campagna e di seguito riportati in Tabella, mostrano che l’unico superamento, ovverosia una concentrazione al di sopra del valore limite definito dalla normativa vigente (D.M. 60, 02/04/02), è il dato di PM10 del primo giorno di campionamento, che risulta essere la misura massima registrata durante questa campagna. I valori meno elevati si rilevano invece nel corso dei due fine-settimana, specialmente durante il secondo del periodo di campionamento. L’andamento della frazione fine è invece più costante (Grafico 4.21), anche nei fine settimana. Di conseguenza il rapporto percentuale della deviazione standard sulla media (coefficiente di variazione, C.V.) delle concentrazioni di PM10 è più del doppio di quello delle misure di PM2,5. Il rapporto tra frazioni PM2,5/PM10 varia intorno al 46%. È interessante notare che questo rapporto è decisamente inferiore al dato medio nei primi due giorni di campionamento, a causa delle concentrazioni relativamente elevate delle particelle di diametro aerodinamico compreso tra 2,5 e 10 μm. Nei giorni successivi il livello di questo rapporto si stabilizza per poi aumentare in modo più marcato durante il secondo fine settimana. Tale valore è conseguente più ai livelli relativamente bassi di PM10, che alle concentrazioni di PM2,5 che sono piuttosto stabili nel corso di tutto il periodo di campionamento. Per cercare di comprendere le cause che determinano i picchi rilevati di polveri atmosferiche, è stata condotta una parziale speciazione chimica su alcuni campioni raccolti nel corso della prima campagna di campionamento (luglio/agosto), presso i laboratori per l’analisi chimica del particolato atmosferico del Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea di Ispra (VA). Dai risultati ottenuti (Grafico 4.22) si rileva che la sabbia (“dust”) risulta essere il componente principale di questo particolato, in particolare nei campioni più concentrati. La frazione organica (OM) è il secondo componente in termini di apporto alla massa, seguita dai sali di ammonio (NH4NO3 e ((NH4)2SO4). La componente marina non è facilmente determinabile poiché i rapporti degli ioni analizzati sullo ione Sodio (Na+) sono tutti lontani da quello teorico marino, a conferma di un’altra importante sorgente per tutti questi componenti minerali (probabilmente dovuta alla competente sabbiosa). La seconda campagna di misura di qualità dell’aria, nella zona candidata alla edificazione della centrale termoelettrica, è stata svolta dal 11/10/2007 al 08/11/2007. Il particolato sottile è stato misurato dal 25/11 fino al 08/11/2207 all’interno dell’area industriale ex-Liquichimica, con frequenza giornaliera e in modo distinto nelle due principali frazioni granulometriche. Sono stati pertanto prodotti 28 campioni più alcuni bianchi di campo, successivamente analizzati con il metodo gravimetrico per la definizione della massa raccolta. Sia il campionamento come la gravimetria sono stati condotti secondo le indicazioni della normativa vigente (direttiva EN 1234.1 e D.M. n.° 60, 02/04/02). Il campionamento del PM10 e PM2,5 (particelle di diametro aerodinamico inferiori a 10 e 2,5 μm, rispettivamente) è stato condotto su filtri in fibra di quarzo mediante lo strumento Hydra Dual Sampler (FAI Instruments), in grado di raccogliere in modo indipendente e sequenziale le due frazioni dimensionali. Questi supporti sono stati pesati prima e dopo il campionamento mediante una bilancia analitica (6 digits dopo il grammo) posizionata in un ambiente ad atmosfera controllata per la temperatura, l’umidità e le polveri. Le principali caratteristiche del campionamento sono riportate nella Tabella che segue. Sui campioni della campagna attuale non è stata effettuata nessun tipo di analisi chimica, anche se all’atto della gravimetria la componente sabbiosa è risultata evidente a causa del particolare colore assunto dai campioni raccolti nel corso della prima settimana. In generale gli andamenti rilevati nel corso delle due campagne sono relativamente simili: la frazione più grossolana mostra maggiore variabilità, mentre quella più fine ha un andamento più costante, sia a luglio/agosto come ad ottobre/novembre. Infatti le medie dei periodi di campionamento sono decisamente simili per il PM2,5 (15 e 19 μg/m3) in estate e autunno rispettivamente) ma mostrano differenze superiori al 100% per il PM10. Queste differenze sembrano riguardare principalmente l’entità dei picchi di tale sostanza che durante la campagna d’autunno sono decisamente più elevati rispetto a quelli misurati in estate. L’analisi dei dati meteorologici relativi ai periodi in cui sono state effettuate le due campagne indica che sia la velocità come la direzione del vento abbiano una notevole influenza sulla concentrazione atmosferica delle polveri sottili. Nei successivi Grafici 4.24 e 4.25 vengono riportati gli andamenti della velocità e direzione del vento con risoluzione oraria misurati durante la campagna estiva ed autunnale. Si osserva che in estate la velocità del vento, è piuttosto variabile nel corso della giornata e in alcuni giorni è piuttosto sostenuta. Le concentrazioni di particolato più elevate si riscontrano in occasione di vento piuttosto sostenuto, mentre i livelli

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più bassi sono presenti durante giornate in cui la velocità del vento non è particolarmente elevata. Tuttavia sono presenti giornate in cui la velocità del vento è piuttosto limitata e il particolato subisce un leggero innalzamento (1-2-3 Agosto). Dal grafico della direzione del vento si rileva però che in queste giornate la direzione prevalente è quella da N-NE, mentre quando il particolato è meno concentrato il vento tira da SO-O. Nel corso della campagna autunnale la velocità del vento è in generale inferiore (si rileva una media di 4,06 contro i 6,12 m/s estivi) con alcuni picchi decisamente elevati. Nel corso di uno di questi si osserva la massima concentrazione di particolato atmosferico (26-27/10/07) che però non si ripresenta in occasione di altri picchi di velocità del vento (Grafico 4.26). La direzione del vento ha, nel corso di questa campagna, un andamento meno definito poiché è molto più variabile rispetto alla situazione estiva. La causa dei picchi di particolato va pertanto ricercata più nella storia della massa d’aria, antecedente il momento del campionamento, che alle specifiche condizioni meteorologiche locali. Lo studio della provenienza delle masse d’aria è stato condotto mediante la ricostruzione delle retrotraiettorie, le quali permettono l’identificazione del percorso seguito alle varie quote dalle masse d’aria prima di raggiungere il sito di campionamento, per il quale sono state calcolate. Esse sono il risultato dell’utilizzo del modello di trasporto HYSLPIT sviluppato dalla NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration)29

che si basa su informazioni fornite dalle stazioni meteorologiche. I risultati delle simulazioni condotte durante le campagne di misura sono riportati nelle Figure 4.2, 4.3, 4.4 e 4.5. Per quel che concerne la campagna estiva si può osservare che nel corso della prima settimana di campionamento le masse d’aria sembrano provenire da Nord Ovest e raggiungere il sito di campionamento dopo aver sorvolato a bassa quota il bacino tirrenico per poi incanalarsi nello stretto di Messina. L’aria campionata il primo giorno di campionamento, quando è stato rilevato l’unico superamento del limite normativo nel corso di questa campagna, si differenzia per la quota raggiunta nel suo percorso. Considerando anche la parziale speciazione chimica condotta su questo campione (vedi sopra) si può ipotizzare che tale massa d’aria si sia arricchita di sabbia desertica in altitudine dove era stata presumibilmente trasportata nei giorni precedenti. Durante la seconda settimana di campionamento le masse d’aria sembrano per lo più provenire da Nord e viaggiare sempre a quote piuttosto modeste. In tutto il periodo di campionamento l’aria sorvola poco l’entroterra, da cui si può dedurre che l’influenza degli incendi boschivi sul particolato sia secondaria, come d’altronde coerente con la parziale speciazione chimica dei campioni raccolti in queste due settimane di campionamento (vedi sopra), durante il quale sia l’apporto di massa organica come di potassio (K), indicatori della combustione di biomasse, è piuttosto limitato. Per quanto riguarda la campagna autunnale si può osservare una situazione piuttosto differente: nei primi giorni di campionamento, durante i quali sono state osservate concentrazioni di PM10 molto elevate, l’aria ha origine per lo più nord-africana dove ha avuto possibilità di arricchirsi di polvere desertica pur viaggiando a basse quote. Successivamente, la provenienza delle masse d’aria sembra essere prevalentemente da Est in un primo tempo e poi da Nord negli ultimi giorni di campionamento. La concentrazione di PM10 crolla in seguito alla variazione della traiettoria all’indietro della massa d’aria da quasi 150 a 85 μg/m3 nel giro di 24 ore. Considerazioni conclusive I risultati delle indagini relative alla qualità dell’aria possono essere sintetizzati in alcune considerazioni generali che traggono diretto spunto dalle campagne di misura condotte. Le rilevazioni effettuate mediante campionatori passivi forniscono un quadro parziale, stante la durata delle campagne, ma sicuramente indicativo del quadro generale della qualità dell’aria. L’area ha evidenziato, nei periodi nei quali sono state effettuate le misure, condizioni di qualità dell’aria sicuramente positive. I valori rilevati per i diversi inquinanti possono essere classificati come contenuti e il territorio esaminato, sia per quanto riguarda la fascia di costa che l’entroterra, evidenzia una modesta presenza di inquinanti dell’aria. Ciò vale sia per i composti per i quali possono essere individuate fonti locali come il biossido di azoto, sia per quelli per i quali può essere ipotizzata la presenza di una componente di trasporto come l’ozono. Queste considerazioni possono essere ragionevolmente estese all’interno anno per quanto l’approccio adottato precluda una valutazione delle concentrazioni di picco. D’altro canto lo stesso approccio ha consentito un esame esteso su un ampio territorio,

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elemento che per gli obiettivi del lavoro e per le stesso quadro emissivo attuale della zona, è apparso sicuramente prioritario. Più in dettaglio si può rilevare come le fonti principali di biossido di azoto – traffico veicolare, incendi, riscaldamento domestico e le limitate attività produttive non sembrano incidere in modo significativo sulle concentrazioni di questo inquinante. I superamenti delle soglie di riferimento orarie (200 μg/m3 come valore massimo orario da non superare più di 18 volte all’anno e 400 μg/m3 misurato su tre ore consecutive) possono considerarsi assai improbabili. I valori più elevati sono stati misurati a ridosso dell’arteria di traffico principale (statale 106). Nell’entroterra i valori di concentrazione, sostanzialmente più contenuti, sono conseguenti all’assenza di fonti locali significative. I livelli rilevati durante la campagna autunnale sono modesti anche se più elevati di quelli estivi con un incremento, nei diversi siti di misura, compreso tra il 30 e il 50%. Per quanto riguarda l’ozono le concentrazioni misurate sono anch’esse decisamente contenute, fatto peraltro inatteso tenuto conto del forte irraggiamento solare e della possibilità che si verifichino eventi di trasporto da agglomerati urbani anche distanti. Inoltre, l’ozono troposferico misurato non evidenzia un andamento inversamente correlato con il biossido di azoto com’è spesso il caso in ambiente urbano. Le differenze piuttosto marcate rilevate nelle diverse settimane possono essere attribuite alle condizioni meteorologiche locali; queste sono risultate, nei diversi casi, più o meno, favorevoli allo sviluppo di processi fotochimici di formazione dell’ozono. Il superamento della soglia di 180 μg/m3 come media oraria, riportata nella normativa vigente come quale valore di riferimento per l’informazione del pubblico, è tuttavia da ritenersi possibile. Nel corso della campagna autunnale si sono osservate concentrazioni ancora relativamente elevate di ozono, specialmente nelle zone distanti dalla principale arteria di traffico, dove invece gli ossidi di azoto prodotti dagli scarichi degli automezzi possono avere contribuitore alla rimozione dell’ozono. Tali livelli potrebbero essere riconducibili ai meccanismi di trasporto sopraccitati. L’interesse per le concentrazioni autunnali è legato ai possibili effetti sulla vegetazione locale che, essendo prevalentemente sempreverde, si mantiene in attività nel corso di tutto l’anno. Il biossido di zolfo mostra concentrazioni di poco superiori al fondo naturale stimato convenzionalmente in 1 μg/m3. In prossimità delle strade principali si osservano alcuni valori più elevati, conseguenti alle emissioni dei motori diesel. In estate anche gli incendi hanno ragionevolmente contribuito all’incremento di questo inquinante che comunque si mantiene ben al di sotto dei valori soglia fissati dalla normativa vigente sia per la protezione della vegetazione (media annuale-invernale di 20 μg/m3) che della salute pubblica (media giornaliera di 125 μg/m3 non più di 3 volte all’anno, media oraria di 350 μg/m3 non più di 24 volte all’anno e 500 μg/m3 di media oraria su tre ore consecutive). In autunno i livelli di SO2 sono lievemente più elevati, anche se abbondantemente al di sotto dei limiti di legge, forse a causa di una maggiore emissione in relazione all’accensione di alcuni riscaldamenti impianti di riscaldamento domestico, o in conseguenza della maggiore stabilità atmosferica che facilita l’accumulo degli inquinanti prodotti anche dai sistemi di riscaldamento. Il superamento delle soglie previste dalla normativa vigente è comunque da escludersi. I livelli rilevati dei composti aromatici considerati sono coerenti con il livello di traffico relativamente limitato presente nell’area in esame, che rappresenta la fonte principale di questi inquinanti. Alcuni valori di concentrazione più elevati, occasionalmente misurati in due siti su venti, sono riconducibili ad eventi locali che quindi di poco influenzano il valore medio annuale, che rispetta pienamente la soglia fissata dalla normativa di riferimento (5 μg/m3). Anche le misure condotte nel corso della campagna autunnale confermano il quadro complessivo emerso; le differenze di concentrazioni tra i valori medi rilevati nei diversi siti di misura in estate e in inverno sono minime. La presenza di toluene è da associare al suo contenuto nelle benzine, sensibilmente cresciuto nell’ultimo decennio per contenere le emissioni di benzene. Nel complesso l’area si caratterizza per livelli di emissione dei principali inquinanti gassosi assai limitati. Le rilevazioni condotte mediante campionatori passivi confermano questo quadro e non evidenziano fenomeni di trasporto significativi.

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SEI S.p.A. - Progettazione definitiva della nuova centrale termo-elettrica a carbone da 2x660 MWe a Saline Joniche (RC) Studio di Impatto Ambientale: analisi degli effetti delle emissioni in atmosfera sulle colture locali di bergamotto

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Le misure effettuate, pur con le limitazioni riportate in introduzione, inducono ad un giudizio positivo sulla qualità dell’aria locale. Tale considerazione è valida per tutto il territorio esaminato. Per quanto concerne le polveri sottili atmosferiche si osserva che in entrambe le stagioni in cui sono stati condotti i campionamenti il livello della frazione toracica (PM10) è piuttosto variabile e presenta anche picchi considerevoli specialmente in autunno, mentre la frazione respirabile (PM2.5) mostra meno variazioni sia durante i campionamenti che confrontando i risultati medi delle due campagne. In occasione di questi picchi la concentrazione di PM10

supera anche in modo notevole il limite previsto dalla normativa vigente, pari a 50 μg/m3 in 24 h da non superarsi più di 35 volte l’anno. La spiegazione di tale risultato sembrerebbe essere ricondotta all’origine di queste polveri: si potrebbe trattare di particolato primario proveniente da sorgenti naturali piuttosto che essere il prodotto di reazioni chimiche tra composti gassosi derivanti da processi combustivi. Il particolato sottile è prevalentemente prodotto indirettamente dalle emissioni conseguenti al trasporto e alle attività produttive che in questa area non sembrano avere un forte impatto sulla qualità dell’aria. Un sostegno a questa ipotesi proviene dalla speciazione chimica su alcuni dei campioni raccolti, da cui si rivela che il principale contributo alle polveri atmosferiche, nei giorni in cui il livello è molto elevato, è determinato da sabbia. D’altronde anche la colorazione stessa della polvere raccolta, specialmente in autunno nei campioni più concentrati, suggerisce che la maggior parte della polvere atmosferica presente in questa zona, specialmente quando molto concentrata, possa essere attribuita al risollevamento della sabbia, magari non solo di origine locale. Infatti, l’indagine sulla storia delle traiettorie, percorse dalle masse d’aria campionate, suggerisce che i picchi di concentrazione di PM10 siano stati rilevati quando tali masse avevano sorvolato il Nord-Africa. Nel caso in cui il percorso effettuato riguardi per lo più le aree continentali e le altitudini raggiunte non siano particolarmente elevate, le concentrazioni misurate sono nettamente inferiori. Va considerato infatti che le polveri sahariane possono essere trasportate a livello stratosferico anche a migliaia di chilometri di distanza e subire fenomeni di intrusione in alta troposfera. Questi fenomeni possono arricchire le masse d’aria che nel loro percorso raggiungono quote piuttosto elevate.

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GEORISORSE • AMBIENTE • TERRITORIO ECOTER CPA S.r.l. Via Selvagreca, 14H – 26900 Lodi tel.: 0371/427203 (r.a.) – fax: 0371/50281 e-mail: [email protected] – web: www.ecotercpa.it

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Progetto:

PROGETTAZIONE DEFINITIVA DELLA NUOVA CENTRALE TERMO-ELETTRICA A CARBONE (2X660 We)

A SALINE JONICHE (RC) Attività:

STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE: ANALISI DEGLI EFFETTI DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA SULLE COLTURE

LOCALI DI BERGAMOTTO Committente:

SEI S.p.A. Contenuti:

RELAZIONE FINALE APPENDICE 2

Rif. e data:

SEI/488/11 – MARZO 2012