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L'uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono, in quanto sono, di

quelle che non sono, in quanto non sono.

(Protagora, in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III sec.)

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Indice

Prefazione di Claudio Caramel 9

Introduzione di Olimpia Niglio 13

RICORDANDO

Ricordando Giuseppe Samonà ed Egle Renata Trincanato. Conversazione con Corrado Balistreri Trincanato 19 Note biografiche di Corrado Balistreri Trincanato 36

Ricordando Ignazio Gardella. Conversazione con Jacopo Gardella 37Note biografiche di Jacopo Gardella 45

Ricordando Franco Albini. Conversazione con Marco Albini 47Note biografiche di Marco Albini 58

Ricordando Daniele Calabi.Conversazione con Donatella Calabi 59Note biografiche di Donatella Calabi 68

Ricordando Achille Castiglioni.Conversazione con Giovanna Castiglioni 69Note biografiche di Giovanna Castiglioni 79

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CONVERSANDO Conversando con Tobia Scarpa 83 Note biografiche di Tobia Scarpa 94 Conversando con Michele De Lucchi 99 Note biografiche di Michele De Lucchi 107 Conversando con Matteo Thun 111 Note biografiche di Matteo Thun 119 Conversando con Claudio Caramel 123 Note biografiche di Claudio Caramel 136 Conversando con Paolo Ulian 139 Note biografiche di Paolo Ulian 148 Conversando con Alba Cappellieri 151 Note biografiche di Alba Cappellieri 158 Conversando con GianCarlo Montebello 159 Note biografiche di GianCarlo Montebello 166 RIFLETTENDO Riflettendo: dieci domande a Virginio Briatore 171 Note biografiche di Virginio Briatore 183 Riflettendo: dieci domande a Luigi Prestinenza Puglisi 185 Note biografiche di Luigi Prestinenza Puglisi 190 Riflettendo: dieci domande a Giorgio Tartaro 193 Note biografiche di Giorgio Tartaro 200 Riflettendo: dieci domande a Maria Rosaria Perdicaro 201 Note biografiche di Maria Rosaria Perdicaro 212

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Riflettendo: dieci domande a Luca De Padova 213 Note biografiche di Luca De Padova 223 Riflettendo: dieci domande a Carlo Forlivesi 225 Note biografiche di Carlo Forlivesi 237 Riflettendo: dieci domande a Olimpia Niglio 239 Note biografiche di Olimpia Niglio 250 Riflettendo: dieci domande a Vittoria Capresi 251 Note biografiche di Vittoria Capresi 261 L’ARCHITETTURA COME HUMUS DEL PENSIERO Percezioni persistenti di Emiliano Balistreri 265 Note biografiche di Emiliano Balistreri 268 Sull’architettura sacra di Alberto Samonà 269 Note biografiche di Alberto Samonà 273 La mia città di Mario Caramel 275 Note biografiche di Mario Caramel 278 Il castello delle donne di Ivana Riggi 279

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Prefazione

Claudio Caramel

Raccogliere in un volume la selezione di interviste realizzate da Ivana Riggi, e già pubblicate on-line dall’ottimo portale Archimagazine, è sicuramente una buona idea. Passione, perseveranza, molta pazienza, curiosità intellettuale, una buona dose di umiltà e allo stesso tempo di coraggio hanno sorretto l’autrice, nei tre anni necessari alla redazione e alla selezione di questo corposo insieme di dialoghi. Ivana Riggi è architetto, designer con la passione del gioiello, scenografa e scrittrice. Ha pubblicato un libro di racconti ed esposto i suoi gioielli in alcune mostre ed eventi importan-ti. È proprio la sua poliedrica cultura che ha sostenuto queste intervi-ste. Un accurato lavoro preliminare di approfondimento ha permesso di attivare spesso i giusti accordi con gli intervistati, così come a volte alcune domande più comuni o apparentemente banali hanno indotto risposte tangenziali. Da qui credo sia nato il titolo: Oltre il Progetto. Non è un lavoro critico su alcuni protagonisti della cultura architetto-nica e artistica, al contrario è più una scoperta sorprendente di pensie-ri, di ricordi, di atteggiamenti, di modi operandi capaci di regalare al lettore una nuova conoscenza, a volte trascurata. La lettura di queste interviste spesso emoziona, soprattutto nel capitolo Ricordando, sor-prende e incuriosisce. Il lettore attento ne trarrà sicuro giovamento in-tellettuale, noi tutti impareremo qualcosa dalle risposte ottenute, per-ché questo libro ci fa capire molte cose. Grazie ai potenti mezzi della connessione in rete ho avuto modo di se-guire gli sviluppi di questo lavoro, ho cercato di indicare qualche no-me, ho a volte insistito perché si potessero superare difficoltà di vario genere pur di riuscire a ricordare alcuni Maestri del Novecento, ho fa-vorito alcuni contatti ed ho consigliato di “parlare” con alcuni proget-

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tisti e con altri che magari non hanno avuto modo o voglia di accettare l’intervista. Tuttavia non ho mai suggerito una domanda o criticato un intervento, né tantomeno i contatti scelti dall’autrice, il mio è stato un lavoro di sostegno e di indirizzo generale, di connessione, niente di più. Il lavoro svolto, le scelte operate, il desiderio di intervistare anche protagonisti di altri settori, imprenditori, giornalisti, storici, artisti de-rivano da un’intuizione di Ivana Riggi, che in tal modo ha voluto son-dare anche campi non propriamente disciplinari. Coloro che hanno contribuito ad “aiutare” l’autrice e coloro che hanno accettato di dialogare con lei, immagino saranno stati colpiti dal suo entusiasmo e dalla sua caparbietà, perché, va detto, ci sono volute lun-ghe attese, percorse anche da delusioni, molte “pressanti” richieste, molti sforzi per ottenere quanto qui pubblicato. Per questo mi sento di dire che pochi, senza sostegni economici, provenienti da una regione meravigliosa ma forse un po’ defilata dalle “capitali” del design, a-vrebbero trovato la forza di proseguire in un impegno così difficile. Passione culturale e desiderio di conoscere sono stati il sostegno e il nutrimento necessario per giungere a tale risultato. Spero questo sia un inizio, una partenza per continuare ad approfondire e offrire ai lettori, agli appassionati, agli studenti materiale così denso, così importante. Credo davvero si tratti di un lavoro utile, utile per capire. Per questo ringrazio Ivana, che ha voluto inserire tra tanti e così importanti prota-gonisti anche una mia intervista-credo si tratti della prima da lei ese-guita per questo ciclo- e che mi ha chiesto, invero insistendo molto, di scrivere queste poche righe che hanno il solo scopo di suggerire un’attenta lettura di questo lavoro, un po’ diverso, diagonale, inusuale, interessante. Emozionerà la lettura dei ricordi tracciati dai quattro figli (Prof. Arch. Marco Albini, Prof. Arch. Donatella Calabi, Prof. Arch. Jacopo Gardella, Sig.ra Giovanna Castiglioni) e da un nipote (Prof. Arch. Corrado Balistreri Trincanato che ci ha raccontato Egle Trinca-nato e Giuseppe Samonà), di alcuni fra i più grandi Maestri del Nove-cento con cenni a tratti anche commoventi, ricordi ironici e leggeri, garbati e profondi, di persone che non ci sono più, ma che sono pre-senti grazie ai loro insegnamenti e soprattutto alle opere che ci hanno lasciato, persone che per molti di noi sono punti di riferimento impre-scindibili, che hanno realizzato opere di fondamentale importanza, ma che numerosi studenti di architettura oggi non conoscono più o magari

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solo superficialmente. Ho fatto una piccola indagine personale e su dieci studenti del secondo anno solo quattro avevano qualche cogni-zione di tutti i sei Maestri qui ricordati. Mi auguro che il contributo raccolto aiuti a rinnovare il desiderio di studiare il lavoro di Albini e Calabi e degli altri qui presenti, e di molti altri protagonisti che spe-riamo Ivana continui a proporci con il suo lavoro. Nel tracciare questi ritratti, attraverso i ricordi delle persone care, al di fuori dall’accademia, Ivana arricchisce l’apparato critico e storico. Capire i Maestri del passato per …”ottenere da quanto sarà, che soddi-sfaccia con tutto il vigore del nuovo alle esigenze ragionevoli di quan-to è stato” (Eupalino), per migliorarsi nella tensione progettuale a vol-te purtroppo superficiale e presuntuosa, in un epoca malata di prota-gonismo nell’immediatezza, per tentare di ritrovare un po’ di quel “pudore perduto”(Dal Co’, Casabella 734 2005) necessario in molti campi, non solo nell’architettura. Per chi opera oggi e ha dato il suo contributo le risposte sono invece più delle istantanee scattate al momento dell’intervista. Per la verità un discorso a parte andrebbe fatto per Tobia Scarpa, la cui grandezza traspare tutta dalle sue parole, dai suoi pensieri e dalla sua vicenda personale. Alcune delle sue opere più conosciute sono state progettate in periodi giovanili quando i Maestri sopra citati operavano e magari frequentavano casa Scarpa, insegnavano a Venezia con Carlo e fre-quentavano anche il giovane Tobia. Io stesso, per ragioni familiari, conservo alcuni ricordi nitidi di Carlo e del giovane Tobia Scarpa, dell’ammirazione suscitata tra gli architetti dai primi successi straor-dinari nel campo del disegno industriale ottenuti da Tobia mentre Car-lo magari progettava il negozio Olivetti, da un lavoro di Albini, da un opera di Castiglioni, dagli edifici di Calabi, e tutto ciò rivive tra le ri-ghe di questo libro, che al contempo ci mette in contatto con altri pro-gettisti e artisti contemporanei. Rivive nei ricordi un periodo eccellen-te e straordinario della cultura architettonica del nostro Paese, in que-gli anni assai concentrato intorno all’Istituto Universitario di Archi-tettura di Venezia. Rivive la storia del design nello Studio Museo A-chille Castiglioni e nelle parole della figlia Giovanna che lo dirige, co-sì come nella bella intervista a Luca De Padova, figlio della “Signora del design” Maddalena De Padova. Davvero bello scoprire il pensiero di Michele De Lucchi e di Matteo Thun capaci di eccellere a livello

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internazionale sia nel campo dell’architettura che in quello del disegno industriale, e del più giovane, geniale Paolo Ulian. Interessante e nuo-vo, almeno per me, scoprire il mondo del design del gioiello grazie al-le conversazioni con Alba Cappelleri e Giancarlo Montebello; incisivi gli interventi di Virginio Briatore, Luigi Prestinenza Puglisi, Giorgio Tartaro appartenenti al mondo della critica e del giornalismo; stimo-lante lo spaccato contemporaneo della Signora Maria Rosaria Perdica-ro che rappresenta il mondo dell’imprenditoria nel Sud del nostro Pae-se; significativa la testimonianza del Maestro Carlo Forlivesi che ci induce a riflettere “a cavallo di due mondi” quello della musica e quel-lo dell’architettura per, infine, sconfinare dall’Italia attraverso i pre-ziosi lavori di ricerca compiuti da Vittoria Capresi e da Olimpia Ni-glio rispettivamente il Libia e in Giappone e Columbia. Il volume si conclude con tre testimonianze, tre modi poetici e critici di vedere oltre e dentro di sé, che ci portano fuori dalla realtà, ma pa-radossalmente anche dentro di essa, grazie alle tre opere di Emiliano Balistreri, Alberto Samonà e Mario Caramel raccolte nel capitolo L’Architettura come humus del pensiero. Questa raccolta non ha certamente alcuna pretesa di essere esaustiva e completa, moltissimi altri dovrebbero essere qui presenti se si volesse tentare un percorso storico critico, alcuni penseranno magari “ perché l’autrice non ha intervistato anche questo o quello” o criticheranno al-cune scelte, ma, come già detto, questo è un punto di partenza, un primo racconto di un viaggio che spero potrà continuare. In conclusione, un grazie di cuore a Ivana Riggi e naturalmente a chi, editando questo lavoro, ne ha voluto cogliere il valore.

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Introduzione

Olimpia Niglio

Il genere letterario del dialogo come forma di conoscenza ha prece-denti molto illustri: dal metodo socratico dei dialoghi di Platone, a Martin Heidegger, alle esperienze estetiche di Paul Valery con Eupa-linos o l’architetto del 1921, al significato della «domanda e della ri-sposta» nel pensiero filosofico di Hans Georg Gadamer, che per spie-gare il concetto della struttura dialogica si riferisce alla tradizione. Quest’ultima sostiene Gadamer non costituisce l’insieme dei fatti del passato di ciascun individuo; diversamente la tradizione è prima di tut-to un linguaggio che si rivolge a noi come l'interlocutore in un dialo-go, e con la quale si può instaurare un rapporto vivente diventando co-sì consapevoli della nostra stessa storicità. Per conoscere la tradizione è necessario interrogarla, quindi aprire un dialogo. Condurre un dialogo significa però mettersi sotto la guida dell'argo-mento che gli interlocutori hanno di mira - afferma Gadamer -, ma all'inizio del dialogo c'è sempre una domanda, quindi un testo, che po-ne in relazione l’autore con il proprio interlocutore. Nasce quindi una conversazione che è tanto più autentica quanto meno è condizionata dalla guida dell’autore che alla fine più che guidarla è guidato da que-sta. Così il risultato di un dialogo non può mai essere conosciuto anti-cipatamente; infatti diviene espressione e contenuto di temi che non appartengono soltanto ai due interlocutori, e quindi all'autore del testo e a chi lo interpreta, ma diversamente si tratta di qualcosa di molto più profondo che alla fine unisce i due «attori» in un linguaggio che si di-spiega oltre i presupposti iniziali. Ecco che il linguaggio si manifesta come strumento di relazione e di conoscenza, in cui i due interlocutori si danno l’uno all’altro. Si tratta qui però di una "conoscenza comu-ne", direbbe Hobbes, ossia fondata sull'esperienza sensibile dove il

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linguaggio svolge una funzione importante che è quella della rivela-zione della realtà. Tutto questo dimostra che l'uomo non può fare esperienza del mondo se non attraverso il linguaggio ed attraverso di questo egli è interpella-to dalla tradizione e dal proprio passato. Tale passato però va analizza-to ed interrogato come qualcosa di vivo, che aiuta l’individuo ad inse-rirsi nel processo storico con il quale il presente è in continua sintonia. Questa distanza tra passato e presente, spesso denunciata, non è statica bensì in continuo movimento e la forma del dialogo con cui questo vo-lume è strutturato ci aiuta a ripercorrere fatti ed antefatti di ogni autore con modi semplici e a volte anche con un pizzico di ironia. Il volume Oltre il Progetto curato da Ivana Riggi intraprende questo impervio percorso e ricordando, conversando e riflettendo l’autrice scruta, cerca di conoscere ed interrogare la tradizione dei propri inter-locutori. Come nel metodo platonico i singoli dialoghi cercano di co-noscere le ragioni degli intervistati e di ricostruire, attraverso acuti ra-gionamenti, l’intima realtà di ognuno, attraverso successive scomposi-zioni e ricomposizioni di argomenti che alla fine ricostruiscono la sto-ria reale dell’intervistato. Ma il dialogo non è una partita doppia - afferma Gustavo Zagrebelsky - in cui i giocatori rischiano gettando a turno il proprio dado; diversa-mente il dialogo costituisce un metodo che ci guida verso il sapere. Questa forma di conoscenza, come evidente anche nella lettura di que-sto volume, ci consente di percorrere strade molto diversificate tra lo-ro ma che conducono ad approdi che, se pur diversi, sono accomunati dal desiderio di conoscenza e di verità. Il dialogo infatti, come nelle differenti esperienze illustrate nel libro, cerca di guidare il proprio in-terlocutore verso un risultato e ciò in quanto l’autore stima la capacità attiva e costruttiva del proprio intervistato. Lo guida accettando il gio-co ma anche il rischio della confutazione. In realtà non sarebbe possi-bile istaurare un dialogo senza lo scopo condiviso di ricercare ed e-sternare una possibile verità intrisa in noi. Ancora Zagrebelsky (Sulla lingua del tempo presente) afferma che nella forma letteraria del dia-logo chi chiede si attende sempre una risposta che alla fine possa ave-re anche un valore educativo e formativo. E su queste finalità il volume Oltre il Progetto ha intrapreso un inte-ressante percorso che apre nuovi scenari di tipo «intersoggettivo» ed

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in cui la forma del dialogo consente di condividere le interazioni reci-proche che sussistono tra storia, architettura, restauro, arte, musica, pittura, design, tutte accomunate da elementi comuni ma che inspie-gabilmente la realtà accademica spesso separa. E’ necessario invece recuperare quell’empatia relazionale tra le singole attività creative dell’uomo al fine di riflettere e di rielaborare lo stretto rapporto che le accomuna e che i dialoghi presenti in questo volume sottolineano a gran voce. Quindi una grande risorsa umana che merita di essere reinterpretata, valorizzata e riposizionata alla base della vita sociale e culturale di ogni individuo, affinché la tradizione possa costituire un solido riferi-mento per la formazione e la costruzione del futuro. Buona lettura!

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RICORDANDO

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Oltre il Progetto. Ricordando Giuseppe Samonà ed Egle Renata Trinacanato. Conversazione con Corrado Balistreri Trincanato

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Ricordando Giuseppe Samonà ed Egle Renata Trincanato.

Conversazione con Corrado Balistreri Trincanato

Nel periodo universitario, trascorso alla Facoltà di Architettura di Pa-lermo, un giorno, nel seguire l’esame di Composizione Architettonica antecedente al mio, mi colpì la risposta di un collega al nostro Profes-sore alla domanda “fuori campo”:<<Secondo lei chi siamo?>> rispo-se:<<Siamo l’esperienza degli altri!>>… L’esperienza comprende la conoscenza che “esiste” quando un’intelligenza è in grado di utilizzar-la; se ciò accade, a mio giudizio, i muri dei confini territoriali, spazia-li, temporali in cui si opera si rompono e il tutto acquista una forma di sapere particolare dotato di una sua utilità fruibile da tutti e per sem-pre. Considerando questa riflessione ritengo significativo parlare di due progettisti che con la didattica, l’attività compositiva e la ricerca teori-ca hanno segnato la storia dello IUAV, ovvero Egle Renata Trincanato e Giuseppe Samonà. Classe 1910, romana di nascita ma vissuta principalmente in Veneto, Egle Renata Trincanato fu la prima donna a laurearsi al Corso di Studi di Architettura Civile del Regio Istituto Superiore di Venezia nel 1938; allieva di Cirilli e quindi, suo tramite, della scuola compositiva di Sacconi e Carimini, nel 1939, dopo aver insegnato in diverse scuole veneziane, fu nominata, nello stesso Istituto in cui studiò, Assistente incaricata della Cattedra di Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti, poi nel 1941 diventò di ruolo e in seguito la carriera ac-cademica la portò a divenire ordinario, Direttore di Dipartimento e Vicerettore. Negli anni Quaranta titolare della disciplina appena men-zionata era il Professore Giuseppe Samonà, incontrato durante un vi-aggio studio organizzato dall’università in Libia nel 1937; tra i due

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Ricordando 20

nacque un proficuo sodalizio e la svolta dello stile e della concezione compositiva di Trincanato verso l’architettura razionalista e organica. Donna tenace e impavida dinanzi alle difficoltà che spesso ostavano le figure professionali femminili, la “Dottoressa” (amavano chiamarla così) Trincanato s’iscrisse a vari concorsi di architettura. Vinse il Ter-zo premio per l’Ampliamento dell’Ospedale al mare del Lido (1946) e il Primo e secondo premio ex aequo nel Concorso per una Serie di ca-se da costruirsi nell’Estuario Nord e Sud bandito dal Comune di Ve-nezia (1947). Nel 1948 pubblicò il volume Venezia minore, uno studio accurato del tessuto edilizio residenziale della città lagunare dal Tre-cento al Settecento. Contemporaneamente analizzò le nuove tipologie abitative volte a risolvere i problemi della città contemporanea. Espose alla settima edizione dei Congrès International d’Architecture Moderne (CIAM) di Bergamo in un gruppo coordinato da Giuseppe Samonà. Nel 1955 divenne Segretario del Consiglio dell’Istituto di Urbanistica della sezione veneta. Tra i suoi principali lavori di ricerca, progettazione e pianificazione urbanistica, si rammentano: l’esperienza in cantiere per l’esecuzione del Palazzo INA Casa di Tre-viso progettato da Giuseppe Samonà (1949-53); la realizzazione di Case per lavoratori a Sant’Agata sul Santerno, Ravenna (1952-56); le Case INCIS al Lido di Venezia (1954-57); la progettazione del terzo nucleo delle case del Quartiere INA casa a San Giuliano, Mestre (1956); il progetto per i Nuovi Uffici per l’Istituto Nazionale per gli infortuni sul lavoro (INAIL), compiuto con Samonà e conclusosi nel 1961; la partecipazione al Concorso per il Nuovo Piano Regolatore Generale di Venezia (1957) insieme a Giovanni Astengo e Mario Coppa (tema di cui si occupò, pur non avendo vinto il concorso, a se-guito della nomina nella sottocommissione per il Risanamento presie-duta da Samonà); la compartecipazione con Samonà e Costantino Dardi al Piano Regolatore Generale di Cavarzere (1962-66); la colla-borazione con il gruppo Samonà per il Progetto Novissime al Concor-so di idee per la Nuova sacca del Tronchetto (1964); la ricerca genera-le preliminare al Piano Regolatore di Ancona per il Risanamento del Centro Storico in qualità di capogruppo (1974-1988); inoltre sono de-gni di menzione la collaborazione con Carlo Scarpa al ripristino e al-lestimento di varie sedi espositive museali del patrimonio edilizio del

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Oltre il Progetto. Ricordando Giuseppe Samonà ed Egle Renata Trinacanato. Conversazione con Corrado Balistreri Trincanato

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Comune di Venezia nell’arco di tempo della sua direzione dell’Ufficio Tecnico-Artistico del Comune e la partecipazione attiva alla stesura della Carta di Gubbio nel 1960 essendo tra i fondatori dell’Associazione Nazionale per i centri storici. Tra le importanti cariche ricoperte e i ruoli di docenza si evidenziano: Capo Divisione Tecnico-Artistica e Direttore del Palazzo Ducale presso il Comune di Venezia (1954-1964); Professore Ordinario pres-so lo IUAV per la Cattedra di Urbanistica (1966) e per quella di Ele-menti di Architettura e Rilievo dei Monumenti (1967); Membro del Consiglio di Presidenza della Fondazione Querini Stampalia (1971) della quale tra il 1990 e il 1994 assumerà la Presidenza; Vice Direttore dello IUAV (1974); Direttore dell’Istituto di Rilievo e Restauro dello IUAV da lei fondato (1975). Tra i rilevanti studi e mostre organizzate si menzionano: Venezia viva al Centro Internazionale del Costume di Palazzo Grassi (1954); Errori problemi prospettive dell’urbanistica veneziana a Pa-lazzo Ducale (1962); Carpaccio a Palazzo Ducale (1963); Venezia ieri e oggi negli spazi di Palazzo Vendramin Calergi (1966); Ritratto di Venezia al Museo Correr (1973). Tra i riconoscimenti ricordiamo: il Premio Nazionale Olivetti di Architettura e di Urbanistica per i Me-riti Scientifici di “Venezia Minore” (1955); il Premio Pietro Torta per il Restauro di Venezia (1982); la Medaglia d’oro ai Benemeriti della Cultura dal Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Ita-liana (1987); l’Onorificenza ai Benemeriti della Scienza e della Cul-tura da parte del Presidente della Repubblica (1997). Tra i più importanti volumi pubblicati: Venezia minore (Ed. Il Milione, Milano 1948) cui fecero seguito una fitta serie di articoli e saggi sia su Venezia e la sua laguna che sulla storia dell’architettura e dell’urbanistica del territorio veneto; Venise au fil du temps: Atlas historique d’urbanisme et d’architecture (Ed. I tipi, Joel Cuenot, 1971), volume illustrato, pubblicato per l’Unesco con Umberto Franzoi, sull’urbanistica di Venezia. Egle Renata Trincanato è deceduta a Mestre il 5 marzo 1998. Classe 1898, nato a Palermo e vissuto tra Palermo, Napoli, Roma e Venezia, Giuseppe Samonà è stato architetto e ingegnere tra i più ri-

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conosciuti del Novecento. Noto urbanista, fu Rettore dello IUAV dagli inizi degli anni Quaranta alla fine degli anni Sessanta. A lui si deve la cosiddetta Scuola di Venezia che portò il paese in sinergia con la cul-tura internazionale. Lungimirante, chiamò all’insegnamento storici, architetti e urbanisti tra i più impegnati: Bruno Zevi, Giuseppe Mazza-riol, Franco Albini, Carlo Scarpa, Ignazio Gardella, Daniele Calabi, Giancarlo De Carlo, Ludovico Barbiano di Beljoioso, Giovanni A-stengo, Luigi Picconato e appunto Egle Trincanato; interpellò gli strutturisti Gilulio Pizzetti e Franco Levi e artisti del calibro di Mario De Luigi. Fu il periodo in cui contemporaneamente vennero portati avanti gli studi su Venezia da Egle Renata Trincanato, che lo affiancò con entusiasmo e produttivo impegno, e quelli su Michelangelo e Bia-gio Rossetti ad opera di Bruno Zevi. Il riconoscimento di quanto svol-to in quegli anni fu testimoniato dalle visite a Venezia, ufficiali o pri-vate, dei più noti architetti del panorama mondiale: Frank Lloyd Wright, Richard Neutra, Alvar Aalto, Le Corbusier, Louis Kahn, Wal-ter Gropius, Jacobus Johannes Oud e altri. Tra i suoi principali lavori di ricerca, progettazione e pianificazione urbanistica si ricordano: il progetto per il Concorso del Palazzo del Banco di Sicilia a Siracusa (1925) che vinse il terzo premio; il Concorso per la Sistemazione del-la Villa Bellini e sue adiacenze a Catania (1930), in collaborazione con l’architetto Autore e lo scultore Giarrizzo, che si aggiudicò il pri-mo premio; l’Ospedale Ortopedico-Traumatologico dell’INAIL a Bari (1947-1952); Villa Scimeni a Mondello, Palermo (1950); il Quartiere INA Casa a San Giuliano, Mestre (1951); le Unità Residenziali per i Lavoratori dell’INA Casa a Sciacca e a Palma di Montechiaro, Agri-gento (1951-1954); il progetto per il Palazzo degli Uffici della SGES (Società Generale Elettrica della Sicilia) a Palermo (1953); la Villa Samonà a Gibilmanna, Palermo (1954), edificio costruito su un terre-no delle proprietà Samonà che l’architetto amava tanto da far predi-sporre una serie di cartoline, con le fotografie della stessa, da spedire ai propri amici durante i suoi soggiorni estivi in Sicilia; il progetto pi-lota del Comitato della Produttività Edilizia del Ministero dei LL.PP. per Borgo Ulivia, Palermo (1958) in collaborazione con gli architetti Bonafede, Calandra, Caracciolo; il Concorso per il progetto del Pia-no Regolatore Generale del comune di Messina (1960), in collabora-

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zione con gli architetti Bonafede, Calandra, Alberto Samonà e gli in-gegneri Cutrufelli e De Cola, che ottenne il primo premio; la Consu-lenza Urbanistica alla Direzione del Piano Urbanistico Provinciale del Trentino (1961-1964); la Centrale Elettrica per conto della SGES a Trapani (1963); il Piano di Ricostruzione per Longarone, Erto e Casso (1964) in collaborazione con gli architetti C. Dardi, E. Mattio-ni, V. Pastor, G. Polesello, L. Semerani, M. Tessari e assistito ufficio-samente da Egle Trincanato; la Sede della Banca d’Italia a Padova (1968-74). Tra le importanti cariche ricoperte e i ruoli di docenza si evidenziano: Assistente Volontario alla Cattedra di Disegno d’Ornato e Architettu-ra Elementare nell’Università di Messina dal 1927 al 1930; Assistente alla Cattedra di Restauro dei Monumenti nella R. Scuola Superiore di Architettura di Napoli dal 1930 al 1933; Incaricato alla Cattedra di Elementi di Architettura nella R. Scuola Superiore di Architettura di Napoli dal 1931 al 1935; Incaricato alla Cattedra di Composizione Architettonica nella R. Scuola Superiore di Architettura di Napoli dal 1935 al 1936; Segretario dell’Archivio Storico per l’Italia Meridiona-le per il Riordino e la Raccolta di Elementi bibliografici e grafici sui Monumenti dell’Italia Meridionale, nomina ricevuta nel 1936; Profes-sore Straordinario nella Scuola Superiore di Architettura di Venezia per la Cattedra di Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti (1936); Incaricato alla Cattedra di Composizione Architettonica nella Facoltà di Ingegneria di Padova dal 1936 al 1943; Ordinario della Cattedra di Elementi di Rilievo di Architettura e Rilievo dei Monu-menti nell’Istituto di Architettura Universitario di Venezia nel 1940; Ordinario di Composizione Architettonica dal 1943 al 1971 e Diretto-re dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia dal 1945 al 1971; Membro Effettivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e Pre-sidente della Sezione Veneta (1948); Membro del Comitato per la Formazione del Piano Territoriale di Coordinamento presso il Prov-veditorato delle Opere Pubbliche di Venezia (1948); Membro Onora-rio Corrispondente del Royal Institute British Architects (R.I.B.A) (1949); Membro del Consiglio Ospedaliero del Ministero dei LL.PP. per la Ricostruzione in Francia (1949); Membro dei Comitati Interna-zionali d’Architettura Moderna (C.I.A.M.), Gruppo Italiano (1949); Capogruppo per l’Urbanistica dell’Opera di Valorizzazione della Sila

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(1950); Membro della Società Europea di Cultura (S.E.C.) (1950); In-carico dal Ministero dei LL.PP. nella Commissione di Studio per la Riforma della allora Vigente Legislazione Urbanistica (1961); Sena-tore della Repubblica (dal 1972 al 1976). Tra i rilevamenti, studi e mostre organizzate si menzionano: l’allestimento della Prima Mostra d’Architettura Siciliana (1927) in cui espose anche alcuni suoi disegni a forte chiaroscuro; la partecipa-zione alla Exposition International de l’Hurbanisme et de l’Habitation (1947) con uno Studio per Unità Nucleari a San Giuliano (Venezia) che si aggiudicò un Diplome de Grand Prix e che fu presente anche alla Mostra delle Griglie (1949) pianificata dai CIAM a Bergamo (oc-casione in cui conobbe Le Corbusier); la presenza alla Mostra di Ar-chitettura di Rabat, Marocco (1951) pianificata dal Congresso dell’UIA. Tra i riconoscimenti ricordiamo: l’Onorificenza di Grand’Ufficiale dell’Ordine “Al merito della Re-pubblica Italiana”. Ministero della Pubblica Istruzione (1957); il Premio Olivetti per l’Architettura e l’Urbanistica e per il Magistero (1958); il Diploma di Prima Classe ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, Medaglia d’oro (1959); il Premio In/Arch - per la Ricerca Scientifica, Tecnica, e Tecnologica - per la Formazione di un Codice di Urbani-stica (1961) e Premio In/Arch per la Sicilia - per la Centrale Termoe-lettrica di Augusta (1961) ricevuti dall’Istituto Nazionale di Urbanisti-ca. Tra i più importanti volumi pubblicati: Giuseppe Samonà scrisse parecchi articoli per importanti riviste (Ras-segna di Architettura, Architettura, Palladio, Accademia, Urbanistica, Casabella, Edilizia Popolare, La biennale, Critica d’Arte…), recen-sioni, alcune voci per l’Enciclopedia Treccani (si ricordi Famedio del 1932, vol.14, p.764), diversi gli atti pubblicati da conferenze da lui presidiate. Si citano alcuni libri di suo pugno: Elementi medioevali nell’architettura del sec. XVI in provincia di Messina (Napoli 1935), Monumenti medioevali nel retroterra di Cefalù (Napoli 1935), La ca-sa popolare (Ed. Politecnica, Napoli 1935), Schemi compositivi di pa-lazzi napoletani del ’500 (Ed. Ricciardi, Napoli 1935), Il Duomo di Cefalù, testo e disegni nella collezione I Monumenti Italiani a cura

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dell’Accademia d’Italia (Roma, 1939), L’Urbanistica e l’avvenire del-la città in Europa (Ed. Laterza, Bari 1959). Giuseppe Samonà è deceduto a Roma il 31 ottobre 1983. Dopo aver tracciato le note biografiche di entrambi ricorderò il profilo professionale e umano conversando con Corrado Balistreri Trincana-to, già Professore Associato all’Università IUAV di Venezia, Diparti-mento di Progettazione Architettonica, nipote dell’Architetto Trinca-nato. Professore Balistreri Trincanato, grazie per la sua presenza. Ini-zierei con un primo quesito abbastanza diretto: che cosa è per lei l’esperienza e che importanza ha nella società? Le rispondo in modo indiretto proprio in riferimento al tema della sua intervista; ho avuto la fortuna di conoscere il Professore Samonà sin da bambino e il primo vivido ricordo risale a quando avevo 6 anni (1948); stavo giocando nel giardino del palazzo Giustinian a Dorsodu-ro, dove allora aveva la sede lo IUAV, quando mi accorsi di un signo-re che stava disegnando seduto su una panchina, mi avvicinai e quan-do gli fui vicino mi fece cenno, con un gesto della mano, di guardare il disegno che stava acquerellando, quel gesto di coinvolgimento era frutto della sua esperienza nell’insegnamento e manifestava l’intento di rendere compartecipi coloro che lo attorniavano a lezione. Quanto alla società contemporanea ho l’impressione che spesso l’esperienza accumulata non abbia alcun peso. In cosa, a suo giudizio, consistette la “felicità” del connubio pro-fessionale Trincanato-Samonà? Crede che un buon contributo possa essere pervenuto anche dal confronto tra le differenti terre di appartenenza intrise di diversi connotati culturali? Se sì, in che modo e in cosa trasparirebbe? Posso affermare con certezza che il connubio felice tra la “Dottoressa” e il Professore era dato dal totale affiatamento culturale e progettuale tra i due; un legame di una tale solidità era dato dalla fermezza di Egle e dalla caparbietà di Giuseppe nel loro vivere quotidiano la professio-ne e la didattica. Ho trovato in loro qualcosa che esulava dal vincolo che lega due per-sone che convivono a lungo, infatti si sono conosciuti nel 1936 e sino al 1983 sono stati legati dalla passione per l’architettura, per la ricerca,

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per la progettazione, per la discussione mai interrotta, oltre che dallo scriversi assiduamente e dal condividere spesso lo stesso studio pro-fessionale, lo stesso studiolo universitario, le stesse aule, le medesime abitazioni. La loro comunanza era così forte che in moltissimi progetti di Samo-nà, pur non essendoci la firma di Egle, si evince la sua partecipazione dall’osservazione diretta della grafia del disegno, dello stile e del trat-to che sono così peculiari da risultare tali da connotare precisamente il suo apporto e da marcare la differenza con i progetti cui non ha effet-tivamente partecipato nella composizione. Rispetto alla loro terra d’origine mi limito a dire che, benché sia Egle sia Giuseppe fossero figli di due isole, Venezia e la Sicilia, il loro re-spiro culturale era così ampio che nulla sembrava limitarli. Il volume Venezia minore scritto dall’architetto Trincanato, pub-blicato a Milano nel 1948, ebbe subito un riscontro positivo a livel-lo nazionale e internazionale. Fu apprezzato da Giuseppe Fiocco, riconosciuto da Bruno Zevi sulla rivista Urbanistica, segnalato da Nikolas Pevsner su The Architectural Review come “an excellent new italian book”. Come vennero “riscritte” l’architettura e il vol-to della città? Che peso venne dato al restauro? Tutte le pubblicazioni di Egle sono pregevoli, e così quelle di Fiocco, Samonà, Zevi e altri, ma riescono a sensibilizzare una parte minorita-ria dell’Università, del mondo professionale, degli Enti Pubblici, della grande massa degli individui; Venezia Minore è considerato da molti un bel libro perché ci sono dei “bei disegnini”, ma pochi sono entrati nella vera essenza del libro scritto e disegnato da Egle che si pone come modello, paradigma di un metodo d’indagine. Se osserviamo lo sviluppo delle nostre città, le periferie, le frange ur-bane, dobbiamo amaramente costatare che ben pochi hanno tenuto conto degli scritti della Trincanato, di Samonà, di Zevi e di altri, e nel campo del restauro credo che Venezia sia il tragico esempio di come si siano attuati gli sventramenti non solo dei piani terra, ma di interi edifici per far posto ad alberghi, ristoranti, negozi, una mercificazione del patrimonio artistico veneziano protrattasi sino a tempi recenti con la discutibile volontà di gettare un nuovo ponte sul Canal Grande o, precedentemente, con l’errore del Tronchetto che ha strappato ulteriori spazi d’acqua alla laguna già così compressa dall’inopportuna localiz-

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zazione dell’insediamento industriale di Porto Margherita ai Botteni-ghi (illuminante il progetto di Samonà, Trincanato e altri che prevede-va il totale annullamento di molte aree, frutto di imbonimenti). Lei e suo figlio Emiliano avete curato una pubblicazione comme-morativa su Giuseppe Samonà, intitolata Disegni di Giuseppe Sa-monà (con il contributo dell’Ordine degli Architetti di Venezia, anno 1998), che ho avuto il piacere di leggere e osservare con at-tenzione. Le rappresentazioni grafiche, pagina dopo pagina, ci mostrano degli aspetti più intimi di questo personaggio, mi sem-brerebbe un “racconto per immagini”… Mi parlerebbe di questa vostra ricerca? Perché a un certo punto avete deciso di farla? Co-sa avete voluto trasmettere e cosa, a sua volta, vi ha trasmesso? Questo taccuino, che raccoglie 26 disegni tracciati dal Professore quando nel 1940 era stato richiamato alle armi sul fronte Jugoslavo, secondo me mostra la ricerca di una quiete interiore, infatti Samonà aveva già prestato servizio nella Prima Guerra Mondiale fin dall’ottobre del 1917 vivendo in prima persona il disastro della disfat-ta di Caporetto e quindi sapeva bene quanto nefasta potesse essere una guerra. Quel taccuino, altri sono andati perduti, era conservato tra le carte del-la “Dottoressa” e così in occasione del centenario della nascita del Professore abbiamo ritenuto di partecipare alle manifestazioni in suo onore con un piccolo spezzone sconosciuto della vita dello stesso; del resto Egle è mancata proprio nel 1998 e quindi abbiamo avuto la for-tuita occasione di “scoprire” il taccuino tra le sue carte mentre ne sta-vamo riordinando l’archivio personale. Devo aggiungere però che le riproduzioni presenti nella pubblicazione non rendono fedelmente il felice tratto degli originali. Nel 2007, con il patrocinio del Comune di Venezia, la Fondazione Querini Stampalia e l’Università IUAV di Venezia, uscì il volume Egle Renata Trincanato, Regesto delle Opere pubblicato da Emila-no Balistreri. È un testo che ci mostra altri delicati mondi interiori di Egle: ritratti, nature morte, vedute, gessi… Ho l’impressione, ma potrei sbagliarmi, che siano rimasti sommersi per anni… Co-me mai? In effetti sono tutte opere che Egle ha mantenuto in una sfera pretta-mente privata fin dal momento in cui ha smesso di dipingere e di mo-

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dellare; si tratta di opere che lei ha custodito quasi segretamente o che forse ha proprio dimenticato in una soffitta, come se tale sua attività figurativa e creativa per lei non avesse grande importanza e infatti non si riteneva in alcun modo artista; mio figlio invece, da quando negli anni Novanta ha visionato schizzi, disegni, acquerelli e tempere, ha ri-tenuto tali opere degne d’essere mostrate pubblicamente e frutto, spe-cie delle vedute di Venezia, di un modo molto peculiare di raffigurare con il segno e con i colori particolari atmosfere di una Venezia perdu-ta… Speriamo di poter presto esporre queste sofisticate vedute in una mostra monografica. Quanto alle sculture basti riportare un aneddoto: Adolfo Wildt (1868-1931), in visita presso i laboratori del Regio Li-ceo Artistico di Venezia, colpito dalla visione dei modellati di Egle, le propose di diventarne allieva nel suo studio milanese ritenendola par-ticolarmente dotata nell’arte del plasmare la forma ma Egle, allora a-veva solo 17 anni (1927), fu trattenuta dalla famiglia. Cos’è il pudore? Che legame ha con la bellezza? Credo siano i mondi interiori di ognuno di noi; Egle considerava la propria produzione artistica come un mondo che si era concluso; le sue ultime opere pittoriche risalgono agli anni Quaranta; oserei dire che scelte precise l’hanno portata a dedicarsi esclusivamente alla di-dattica, alla ricerca e alla progettazione. Giuseppe Samonà, durante la sua direzione all’Istituto di Venezia ebbe l’enorme capacità di chiamare e riunire le più eminenti figu-re professionali di quel periodo. In questo contesto ve ne fu qual-cuno in particolare con il quale l’architetto Trincanato ebbe mag-giore sintonia? Se sì, cosa svilupparono insieme? La natura stessa di Egle ha fatto sì che nell’ambito dei rapporti inter-personali all’interno dello IUAV tutti i docenti chiamati a costruire la “Scuola samonàniana” avessero nei suoi confronti una grande stima sia per le sue capacità nel campo della didattica, sia per quelle profes-sionali e di studiosa. Con estrema capacità spaziava dai temi della conservazione a quelli del restauro, dall’urbanistica alla salvaguardia del territorio; i suoi molteplici scritti lo attestano. Già da studentessa aveva ricevuto stima e incoraggiamento nei suoi studi dai professori Guido Cirilli, Brenno Del Giudice, Giulio Loren-

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zetti, Duilio e Giuseppe Torres e Carlo Scarpa allora assistente di Ci-rilli. Negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento Gino Damerini ed Eugenio Barbantini la coinvolsero in ricerche e studi; Guido Piovene nel 1954 nel Viaggio in Italia così la definì: “Egle Trincanato, questa donna ancor giovane è una Venezia incarnata” riferendosi alla sua profonda conoscenza di Venezia. Da Enrico Calandra a Bruno Zevi, da Mario De Luigi a Carlo Scarpa, tutti la consideravano la più attenta studiosa dell’architettura e dell’urbanistica veneziana. Per tornare però alla sua domanda credo che maggior sintonia l’abbia avuta con Elena Bassi, amica che a quel tempo stava sviluppando i propri studi sull’architettura veneziana e con cui scrisse a quattro mani una guida storico artistica di Palazzo Ducale; nello specifico tra i do-centi IUAV fu forte il legame con Astengo, De Luigi, Scarpa e Zevi: con Astengo partecipò al Concorso per il Piano regolatore del Comune di Venezia nel 1956, con Scarpa collaborò alla sistemazione delle sale del Museo Correr (1955-1964). Il mondo professionale del dopoguerra fu sicuramente duro e dif-ficile per l’inserimento di una donna. Sua zia gliene parlava? In che modo riuscì a imporsi ricoprendo i ruoli che ottenne? Era persona riservata e non ne parlava molto. Riteneva che ciò che aveva realizzato sia professionalmente sia come studiosa fosse l’esito dell’impegno quotidiano nel lavoro che andava dalla presenza attiva allo IUAV e all’Ufficio Tecnico - artistico del Comune di Venezia, fi-no alle molteplici conferenze e ai vari dibattiti in difesa del Beni Ar-chitettonici e Ambientali, tanto da vedersi conferiti alcuni prestigiosi riconoscimenti internazionali e premi nazionali. Questo suo modo d’essere fece sì che Richard J. Neutra (1948), Frank Lloyd Wright (1951), Le Corbusier (1953), presenti a Venezia, vollero conoscerla e da lei essere accompagnati durante le loro giornate vene-ziane; né ci si può scordare di Alvar Aalto e di Louis Kahn e di tutti gli architetti che frequentarono il CIAM veneziano o entrarono in con-tatto con lei attraverso gli scambi culturali dello IUAV con paesi eu-ropei e transoceanici, tra questi Walter Gropius e Jacobus Oud. Relativamente alle difficoltà da Lei incontrate mi limito a ricordare che dovette richiedere la modifica del bando per poter partecipare al

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Concorso per la Direzione dell’Ufficio Tecnico - artistico del Comune di Venezia che era precluso a eventuali partecipanti di genere femmi-nile. Secondo lei in architettura è dall'associazione di idee semplici che nascono la formulazione di idee complesse e di un giudizio? Cosa andrebbe ricordato, oggi più di ieri, del lavoro degli architetti Trincanato e Samonà? Ho sempre visto nel Professore Giuseppe Samonà una fortissima per-sonalità legata a una possente progettazione architettonica accompa-gnata da approfonditi studi filosofici; la sua solarità siciliana traeva però linfa dal continuo dibattere con la Trincanato. Quando li osservavo intenti nel disegnare, vedevo le linee progettuali uscire dalla punta della matita o del graphos, come se fossero contenu-te all’interno dell’asticciola lignea o nel serbatoio della china. Quando li ascoltavo discutere concetti e pensieri, le parole erano come il battere simultaneo di due remi che affondavano e uscivano dall’acqua, erano come due vogatori protesi all’unisono verso un tra-guardo, esso fosse una conferenza, una pubblicazione, un progetto o un piano regolatore. Solo conoscendoli profondamente si può distinguere in ogni loro ope-ra e la mano e il pensiero, poiché spesso compariva solo la firma del Professor Samonà. Essendo fortemente legato a queste due figure posso solo auspicare una riscoperta della loro progettazione e dei loro scritti, anche perché oggi la “Scuola samonàniana” è un’entità pressoché sconosciuta alle studentesse e agli studenti architetti. Per concludere: la forma e il potere di produrre diverse sensazioni in noi come dovrebbero coniugarsi? In architettura la forma non può prescindere dalla sostanza come pure dalla funzionalità. Salvo che in rari casi di eccelse creazioni di genio l’architettura non dovrebbe essere solo e meramente monumento di se stessa. Il senso dell’architettura odierna è antropizzare un luogo in modo ar-monico e funzionale con un segno rappresentativo distintivo razionale e tecnologico, parsimonioso di risorse e territorio. Del resto l’architettura d’oggi comprende sia la creazione di nuove forme e tipologie, sia la conservazione di patrimoni storici, sia il ripri-

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stino e la riqualificazione dell’accozzaglia indistinta delle costruzioni residenziali, commerciali e industriali del secolo scorso e presenti, sia, persino, la demolizione del pattume edilizio. L’architettura quale espressione artistica invece è altro ed è dote di pochi eletti, la valenza artistica non potendo essere materia d’insegnamento. Quest’architettura è manifestazione estetica di forme geometriche combinate a proporzioni e correlazioni numeriche, matematiche.

Figura 1. Palazzo Ducale, Egle Renata Trincanato, Venezia 1960

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Figura 2. Progetto di sistemazione dell’Ospedale al mare, Egle Renata Trincanato, disegno della prospettiva, Lido di Venezia 1946

Figura 3. Castello Corte Do Pozzi, Egle Renata Trincanato, disegno, Venezia anni Quaranta del Novecento

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Figura 4. Case al n. 76, Egle Renata Trincanato, schizzo, Venezia anni Qua-ranta del Novecento

Figura 5. Ritratto, Giuseppe Samonà, anni Sessanta. Ph. Ferruzzi

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Figura 6. Arco Trionfale, Giuseppe Samonà, disegno del particolare, progetto per la Tete Defanse, Parigi 1982

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Figura 7. Arco Trionfale, Giuseppe Samonà, disegno del particolare prospet-tico dell’intero complesso, progetto per la Tete Defanse, Parigi 1982

Figura 8. Arco Trionfale, Giuseppe Samonà, disegno della prospettiva aerea, progetto per la Tete Defanse, Parigi 1982

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Note biografiche di Corrado Balistreri Trincanato Corrado Balistreri Trincanato nasce a Venezia l’8 giugno 1942. Si lau-rea presso lo IUAV nel 1973. Dal 1987 al 2009 è Professore Associato presso lo IUAV: tiene i corsi di Rilievo dell’Architettura, Disegno dell’Architettura, Fondamenti e Applicazioni di Geometria Descritti-va; in seguito all’ultima riforma della didattica insegna Disegno dell’Architettura e Rilievo dell’Architettura presso il CLASA e Dise-gno e Rilievo dell’Architettura presso il CLAPE (Università IUAV). Portano la sua firma trentaquattro pubblicazioni a stampa a carattere didattico e di ricerca (monografie, miscellanee e curatele). Nell’ambito delle campagne di rilevamento di manufatti storico-artistici del territorio veneto, con l’appoggio di Pubbliche Ammini-strazioni, ha curato seminari e mostre esplicative sui risultati d’indagine e sugli studi con relative conferenze. Si occupa di ricerca sull’edilizia e l’urbanistica veneziane e di raccolta di materiali e di pubblicazioni sull’architettura dal XVI al XX secolo. Attualmente sta analizzando l’evoluzione urbanistica della città di Venezia confron-tando i dati storico-archeologici con le varie mappe e planimetrie con particolare riferimento alla Venetiae MD dallo stesso esaminata nel dettaglio insieme all’architetto Dario Zanverdiani nel volume Venezia città mirabile.