A mio padre - idroenergiaitalia.it · Maria, ha detto Giovanni Paolo II nell’enciclica...

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A mio padre

“Davide disse a Salomone suo figlio: “Sii forte,coraggio; mettiti al lavoro, non temere e nonabbatterti, perchè il Signore Dio, mio Dio, ècon te. Non ti lascerà e non ti abbandoneràfinchè tu non abbia terminato tutto il lavoroper il tempio.Ecco le classi dei sacerdoti e deileviti per ogni servizio nel tempio. Presso di te,per ogni lavoro, ci sono esperti in qualsiasiattività e ci sono capi e tutto il popolo, pronti a tutti i tuoi ordini”.”

( 1Cr 28, 20-21)

Dio nella mia vita

Prefazione

I n un tempo nel quale l’uomo guarda den-tro di sè ed intorno a sè con una mentali-

tà pragmatica o osannante la razionalità credendodi trovare in questa l’unica chiave di lettura delvissuto, il presente lavoro testimonia come l’uo-mo sia ragione, ma non solo. C’è, è vero, il lin-guaggio della ragione, della filosofia, della scien-za, della tecnica. Ma c’è anche il linguaggio dellafede, del sentimento, dell’arte.

L’autore vede ed interpreta la sua vita più conil linguaggio della fede. Non spiega la sua espe-rienza, ma la interpreta nella fede. Infatti nontutto ciò che tocca in profondità l’essere ed il vis-suto umano si può tradurre in formule o in sillo-gismi, in cifre o in idee chiare e distinte. Il lin-

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guaggio della intuizione nella fede, che appartie-ne al linguaggio simbolico dell’uomo, operacomunicazione, allarga gli spazi della comprensio-ne di sè e degli altri, offre opportunità impensate,apre alla speranza.

Ed è proprio questo valore, che per i cristianiè una delle virtù teologali, il filo conduttore delpresente lavoro.

“Rendete ragione della speranza che è in voi!”scrive San Pietro nella sua prima lettera. La soffe-renza vissuta nella fede e nella speranza fa eserci-tare quel sacerdozio dei fedeli o battesimale che ilSignore gradisce e usa per la costruzione dellaChiesa e la edificazione del Suo Regno. Ho vistonelle vicissitudini raccontate e nelle modalità diapproccio al problema, al fatto, un fratello chepur nella debolezza e coscienza dei propri limiti,miserie e peccati, ha esercitato il suo sacerdoziobattesimale. L’esperienza spirituale del camminonel Rinnovamento nello Spirito lo ha affinatonella fede al tal punto che mi è stato facile legge-re la sua storia alla luce del capitolo secondo dellaPrima Lettera di San Pietro Apostolo:“Stringendovi a Lui, pietra viva, rigettata dagli uomi-ni, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi veni-te impiegati come pietre vive per la costruzione di unedificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offriresacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù

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Dio nella mia vita

Cristo” (1 Pt 2, 4-5).Si può dire che nell’opera si respiri un profon-

do senso ecclesiale, e non solo o non tanto per ivari servizi alla Parola nella catechesi, nellaresponsabilità del “Pastorale”, resi dall’autore, maper la coscienza di essere stato mandato, median-te la sofferenza, ad edificare quella Chiesa che ilConc. Vat. II nella Lumen Gentium n. 6 chiama“edificio di Dio”.

Numerosi sono inoltre i fatti, le circostanzeche invitano a vedere la sua vita in sensoEucaristico. L’abbandono fiducioso alla volontà diDio, il rendimento di grazie che spesso dà lucealle pagine, la lettura della propria vita in funzio-ne della manifestazione della grandezza di Dioportano a concludere che la storia descritta è uningresso a volte cosciente, altre meno, nella dina-mica della Pasqua di Cristo, di cui l’Eucarestia è ilmemoriale. Essere nell’ubbidienza alla volontà diDio ci fa essere nel “Sì” di Gesù, che è sempre unsì “per voi e per tutti”.

La luce della fede riscoperta nella dimensionedella gioia, offerta all’autore dal Rinnovamento,lo ha fatto sentire “profondamente amato da Dio”e quindi in tensione verso un dono di vita che siè espresso nell’amore matrimoniale, nell’acco-glienza dei figli, nel servizio alla comunità.

E’ l’Eucarestia esistenziale, il “Pane” e il

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Prefazione

“Vino” della quotidianità che Arturo offre sull’al-tare della volontà di Dio, perchè tutto di sè edegli altri sia santificato. Ma una vita eucaristicanon può non essere anche Mariana, perchèMaria, ha detto Giovanni Paolo II nell’enciclica“Ecclesia de Eucaristia”, è donna eucaristica. Dalei l’autore del lavoro ha “imparato” Cristo. Diceil Papa: “Vivere nell’Eucarestia il memoriale diCristo... significa assumere l’impegno di confor-marci a Cristo, mettendoci alla scuola dellaMadre e lasciandoci accompagnare da Lei” (n.57). Così si esprime l’autore: “Gesù stesso... chie-se a Maria di essermi accanto nel cammino spiri-tuale, e in generale nella mia vita... io e miamoglie maturammo così la scelta di consacrare lenostre vite al Sacro Cuore di Gesù e al CuoreImmacolato di Maria...”.

Il lettore leggendo il presente lavoro potràsicuramente trovare conferme nella fede o aiutinel guardarsi dentro e intorno con fiducia e spe-ranza. Infatti si è sempre accompagnati da Cristo,illuminati dallo Spirito, riconfermati figli delPadre, protetti da Maria, condivisi dalla Chiesa.Questa è la beatitudine, fonte di gioia! Questa èvita!

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Dio nella mia vita

Mons. Pierino LiquoriVicario Episcopale

Introduzione

“R endo grazie a colui che mi ha dato la

forza, Cristo Gesù Signore nostro,

perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi

al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestem-

miatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata

usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lonta-

no dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha

sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in

Cristo Gesù.

Questa parola è sicura e degna di essere da tutti

accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare

i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto

per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù

Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la

sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero cre-

duto in lui per avere la vita eterna.

Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico

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Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.” (I

Tm. 1,12-17).

Come all’Apostolo Paolo, così anche me,

nonostante i miei peccati, Dio ha donato la gra-

zia della Sua misericordia. Mi chiamo Arturo e

mi accingo per la prima volta a compiere un’espe-

rienza di notevole impegno come questa di scri-

vere un’autobiografia, perché sento forte la chia-

mata ad aprire il mio cuore per manifestare la

grandezza di Dio così come si è manifestata nella

mia vita, evitando di considerare la mia storia un

bene prezioso da custodire nel mio cuore o da

condividere con pochi intimi.

Questo desiderio risiede nel mio cuore già da

quando ero appena adolescente ed era in vita mio

padre, anche se il tempo era ancora prematuro e

la potenza dell’azione salvifica di Dio aveva sol-

tanto iniziato a rivelarsi. Ricordo con estremo

piacere quel tempo in cui la presenza di Dio si

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Dio nella mia vita

manifestava anche attraverso l’amore dei miei

genitori e soprattutto tramite l’amore di mio

padre nel silenzio del suo cuore; un amore, il suo,

che non faceva baccano, ma che era forte. Un

giorno dal fondo di un cassetto presi un quaderno:

non aveva un bell’aspetto e ricordo che era di

colore verde scuro; girai la copertina e vi scrissi a

caratteri cubitali: “Dio nella mia vita”. Questo era

nella mia immaginazione il titolo che avrebbe

dovuto avere quello scritto, e mio padre era colui

che mi avrebbe dovuto aiutare. Comunicai a lui,

con la freschezza e l’ingenuità del tempo, le mie

intenzioni, e ricordo il suo sorriso accennato: pur

non mettendo in dubbio la bontà dell’idea, reali-

sticamente sapeva che era difficilmente attuabile.

Trascorrono circa vent’anni e lo stesso deside-

rio di allora, in questo periodo della mia vita,

diviene più forte. Una calda mattina d’estate

avviene un incontro, tanto piacevole quanto ina-

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Introduzione

spettato e provvidenziale, con un caro amico,

nonché fratello in Cristo. In così tanto tempo

non avevo condiviso mai con nessuno quanto

albergava nel mio cuore. Quella mattina avverto,

al contrario, l’esigenza di doverlo fare e così gli

apro il mio cuore; egli mi invita alla preghiera ed

al discernimento. Porto questo desiderio in pre-

ghiera prima da solo e poi insieme a lui fino a ren-

dermi conto che il Signore mi spinge chiaramen-

te a manifestare la Sua gloria attraverso la testi-

monianza della Sua azione nella mia vita.

Così a partire da allora il semplice desiderio è

divenuto una scelta matura e consapevole, anche

se per certi aspetti dolorosa. Aprire il cuore e

mostrarmi con trasparenza vuol dire, infatti,

lasciare trapelare anche ciò che volutamente ho

accantonato negli angoli più bui della mia anima

e scoprire le cicatrici delle mie profonde ferite;

tuttavia è una gioia poter descrivere la potenza

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Dio nella mia vita

salvifica e guaritrice di Dio che le ha sanate.

Tutta la mia storia è intrisa di eventi lieti e, più

spesso, difficili, ma in ogni momento ho sentito la

presenza forte, rassicurante e consolante di Dio.

Come un padre stringe tra le sue braccia il suo

bambino, così io ho percepito la Sua mano nella

mia vita fin dalla più tenera età, quando ovvia-

mente non c’è una presa di coscienza di ciò che ci

circonda, eppure ogni cosa esiste ed è per noi

necessaria; Egli c’è sempre stato con la Sua pre-

senza amorevole, finché non è arrivato il giorno

in cui mi sono reso conto che era proprio lì accan-

to a me, pronto ad aprire le braccia e ad acco-

gliermi: mi sono avvicinato a Lui da “figlio prodi-

go” ed Egli ha ucciso il vitello grasso per farmi

festa; sono andato da Lui quando ero afflitto ed

Egli mi ha consolato, ha preso la mia testa avvici-

nandola al Suo petto e con le mani l’ha accarez-

zata lasciandomi avvertire il calore del Suo

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Introduzione

amore; la mia anima ha trovato presto conforto

quando Egli si è chinato su di me per risollevarmi

dalla polvere di un’esistenza misera. Oggi affido a

Lui ogni cosa perché faccia della mia vita quanto

desidera.

Vivere aspirando alla santità è l’arduo cammi-

no di ogni cristiano e sono cosciente che è la

prima cosa che Egli desidera per me. I martiri e

santi di un tempo ci lasciano pensare ad una san-

tità quasi irraggiungibile, ma in realtà è molto più

vicina a noi di quanto crediamo. Attraverso la

vita di tutti i giorni cerco, spesso mal riuscendo, di

compiere il mio dovere di figlio, marito, padre,

lavoratore, ed è qui che sono chiamato alla santi-

tà, proprio nei compiti che mi accingo ogni gior-

no ad espletare. Oggi posso affermare con assoluta

certezza e convinzione che non solo esisto grazie

alla Sua divina e grande bontà, ma che non ho

altro scopo nella vita che sforzarmi, con il Suo

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Dio nella mia vita

aiuto, di mettere in pratica la Sua volontà, in atte-

sa del grande giorno in cui Egli mi chiamerà a vita

migliore.

Ringrazio Dio per tutti i doni che mi ha volu-

to elargire nella Sua grazia. Lo ringrazio per tutte

le persone che mi ha messo accanto nella mia

vita: sia per quelle nominate in questo scritto, sia

per tutte quelle che per brevità di racconto non

sono state menzionate. Un grazie speciale a mio

padre e a mia madre che mi hanno donato la vita

e hanno sofferto per me, e a mia moglie Anna

Maria, che oggi gioisce con me per le meraviglie

che Dio sta compiendo nella nostra famiglia; in

particolare, la ringrazio per l’amorevole pazienza

che ha avuto verso di me per tutto il periodo in

cui mi sono dedicato a questo libro, sottraendo

tempo a lei e ai nostri figli.

Rendo grazie al Signore anche per avermi dato

la forza di portare a conclusione questo lavoro

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Introduzione

d’introspezione, attraverso il quale Egli ha opera-

to nel mio cuore profonde guarigioni. La mia gra-

titudine, infine, va a quanti mi hanno aiutato a

realizzare il desiderio di scrivere quest’opera; in

particolare sono grato a Luciano, che ha messo a

mia disposizione non solo le sue doti professiona-

li, ma soprattutto i doni spirituali che il Signore

gli ha concesso in abbondanza.

Questa autobiografia vuole avere un unico

scopo: testimoniare la grandezza delle opere di

Dio nella mia vita perché tu che la leggi Gli per-

metta di venire anche nella tua vita a sanare le

tue piaghe nel corpo e nel cuore. Egli si manife-

sterà nella tua esistenza in misura di quanto tu lo

voglia: la Sua presenza discreta e amorevole di

Padre buono rispetta la tua libertà, ma Egli è

pronto a camminare con te per le strade spesso

impervie della vita, e quando sarai stanco ti solle-

verà e ti prenderà tra le Sue braccia. Prego perché

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Dio nella mia vita

il Signore ti benedica potentemente tramite la

lettura di questo scritto.

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Introduzione

Gioie e dolori dell’infanzia

S ono nato a Bari il 30 luglio 1969, ulti-

mo di tre fratelli. I ricordi che riguarda-

no la mia infanzia sono veramente molto labili.

Ancora oggi, quando rifletto, mi chiedo quali

potrebbero essere le ragioni di ciò. Ovvio che del

mio battesimo non ricordi nulla, ma di certo rin-

grazio Dio per i padrini che ha posto sul mio cam-

mino. Entrambi, marito e moglie, sono persone

delle quali ho ammirato le qualità ed in partico-

lare la tranquillità e la serenità nella risoluzione

dei problemi, piccoli o grandi, che la vita ci pone

ogni giorno. L’affetto che provo per loro è parti-

colarmente intenso e sento forte il legame che ci

unisce. Malgrado dimorino nella mia città nativa

e la distanza non ci permetta incontri frequenti,

per me il loro modello é un riferimento.

Ero un bambino come tutti gli altri, desideroso

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di giocare, correre, saltare. Stranamente molte di

queste cose spesso mi erano proibite e non ne

capivo le ragioni, ma certamente sentivo il

disagio di un’infanzia, per alcuni versi, soffocata.

Ero molto vivace e ricordo la particolare premura

di mia madre, attenta ad evitare ogni possibile

occasione di farmi male, ma malgrado ciò spesso

mi mettevo in condizioni di pericolo. Un giorno,

giocando sul balcone della mia casa con il trici-

clo, andai a sbattere contro il vetro che ci divide-

va dai nostri vicini rompendolo con la testa: l’a-

morevole premura di mia madre non era suffi-

ciente a fermare l’esuberanza propria di un’età

come l’infanzia. Solo più tardi potei comprendere

quali fossero le ragioni che spingevano i miei cari

ad avere un tale opprimente senso di protezione

nei miei confronti. Certamente oggi mi chiedo,

cosciente che forse avrei assunto al posto loro

identici comportamenti, se non sarebbe stato più

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Dio nella mia vita

opportuno da parte dei miei genitori un atteggia-

mento meno protettivo, basato sull’affidamento

di ogni aspetto della mia vita, e quindi della mia

salute, nelle mani di Dio.

Avevo pochi mesi di vita quando un’ernia

inguinale mi costrinse al primo di una serie di

interventi chirurgici. E penso ai miei genitori che

sicuramente avevano difficoltà a comprendere

come potesse accadere che dopo il primo inter-

vento ne occorresse un secondo, sempre di ernia,

e poi un terzo e ancora un quarto; bizzarro era poi

che le ernie si alternassero, quasi ritmicamente,

dalla regione inguinale destra a quella sinistra e

viceversa. Penso allo stupore, al dispiacere, alle

preoccupazioni di cui sono stato causa. Ringrazio

Dio del dono dei miei genitori, la cui presenza e

costanza egli sosteneva in quegli anni.

Prima che si rendesse necessario il quarto inter-

vento, la mia famiglia aveva da poco lasciato la

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Gioie e dolori dell’infanzia

mia città nativa per trasferirsi definitivamente a

Lecce, città nella quale ancora oggi vivo.

Frequentavo la seconda classe elementare e nutri-

vo un certo interesse per la musica. Fu in questo

periodo che mi accostai a quest’arte meravigliosa,

e il pianoforte era lo strumento da me preferito.

Affiorava il gusto del bello e la voglia di vivere per

scoprire quanto la vita mi avrebbe dato. Nulla di

diverso da quanto desiderassero i miei coetanei di

allora e da quanto possa oggi desiderare un bambi-

no di quell’età. Quanto ancora mi sarebbe potuto

accadere non sfiorava la mia mente e quella dei

miei genitori. Malgrado fosse quello il periodo dei

perché, non ricordo che io abbia mai posto tale

interrogativo a riguardo dei miei problemi fisici.

Avevo come l’impressione che tutto ciò fosse nor-

male e facesse parte ormai della mia vita.

All’età di sette anni circa, un giorno mi trova-

vo con la mia famiglia quando incontrai il mio

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Dio nella mia vita

padrino; essendo un medico, notò da come osser-

vavo un bicchiere che qualcosa nella mia vista

non andava. Fece delle prove rudimentali facen-

domi osservare il suo dito e così trovò conferma ai

suoi dubbi. Da qui il suggerimento di consultare

uno specialista. Ero troppo piccolo per rendermi

conto della gravità di quelle parole e di quei fra-

terni consigli e per riuscire a leggere nel volto di

mio padre e di mia madre. Oggi posso solo imma-

ginarlo e ringraziare Dio per avermi dato il loro

amore, le loro attenzioni, le loro premure; così

come Lo ringrazio per aver dato loro la forza per

affrontare quanto sarebbe accaduto e per averli

mantenuti saldi nell’amore coniugale.

Da questo momento trovò inizio un vero e pro-

prio pellegrinaggio presso i più noti oculisti e cen-

tri specializzati nel ramo. Ognuno di costoro

aggiungeva un tassello di un puzzle il cui disegno

a noi ancora non era completamente chiaro.

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Gioie e dolori dell’infanzia

Certamente da queste indagini si comprese alme-

no che alla radice doveva esistere un problema

più importante di quanto si potesse pensare.

Vissi questi momenti, non certo tipici di quel-

la giovane età, probabilmente percependo solo a

livello istintivo la realtà profonda di cui ero invo-

lontario protagonista, tant’è che molti di quei

ricordi affiorano con difficoltà alla mia mente,

quasi li avessi volutamente dimenticati. Ricordo

solo alcune immagini, come delle fotografie che

la mia mente ha involontariamente scattato, a

sottolineare determinati momenti di questo tra-

vagliato periodo.

Mi sovviene l’immagine di mio padre, della sua

apparente tranquilla determinazione con la quale

affrontava tutte le difficoltà che emergevano,

senza far trapelare le sue emozioni, ma tenendole

ben chiuse nel suo cuore. Lui non voleva caricar-

mi anche delle sue sofferenze: ricordo quando

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Dio nella mia vita

venne a prendere me e mia madre alle mie dimis-

sioni da un ospedale di Siena; aveva comprato

una montagna di figurine e le aveva nascoste nel

cruscotto della macchina: era suo desiderio dar-

mene un poco per volta, credendo che io non

riuscissi a trovarle; me ne diede solo alcune, ren-

dendomi molto felice, ma ben presto io, rovistan-

do qua e là, trovai il tesoro. Lui dapprima fu un

poco contrariato, ma subito dopo si rallegrò nel

vedermi contento: desiderava solo riportarmi alla

mia condizione di bambino. Solo nell’intimità

coniugale lasciava trapelare alcune delle sue emo-

zioni; dai ricordi di mia madre ne cito una in par-

ticolare: “Non lo voglio vedere soffrire”.

Come di una pianta si ammirano le foglie, ma

non le radici, così in quel tempo i medici erano

intenti a comprendere come risolvere la mia lus-

sazione superiore del cristallino e non a studiare le

cause che l’avevano determinata. Questa lente, il

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Gioie e dolori dell’infanzia

cristallino, normalmente è posta al centro del-

l’occhio, ma nel mio caso venne riscontrata in

una posizione anomala: sorretta unicamente dai

nervetti superiori, oscillava rischiando di cadere,

non si sa bene dove e con quali conseguenze, e

non permetteva una corretta visuale. Scoprimmo

inoltre che i molti medici interpellati avevano

pareri discordanti: alcuni erano propensi all’a-

sportazione di questa lente, altri a conservare ciò

che la natura aveva voluto così. In realtà questo

non faceva altro che alimentare nei miei genitori

i dubbi e le incertezze, tanto da far loro desidera-

re sempre nuovi autorevoli pareri.

Il peso della responsabilità per la decisione che

avrebbero dovuto prendere era importante: fu

così che, nonostante le numerose difficoltà da

sostenere per il dispendio di tempo, di energie e di

danaro, decisero di ascoltare anche il parere di

luminari oltre confine. In questo modo le difficol-

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Dio nella mia vita

tà aumentavano: si doveva pensare ad un lungo

viaggio, ad un soggiorno all’estero, alla lingua

diversa, a quale dei miei genitori mi dovesse

seguire per non lasciare soli i miei due fratelli e

per consentire all’altro genitore di continuare a

lavorare.

La Provvidenza non cessava mai di essere pre-

sente nella mia famiglia, tanto che quando si pro-

spettò il viaggio a Zurigo, in Svizzera, avemmo la

possibilità di contare sull’appoggio morale e,

ancor più, pratico di certi nostri parenti che da

tempo vivevano in quella città. Ringrazio Dio

della loro esistenza e ricordo con estremo piacere

l’affetto e le premure che solo un cuore buono e

generoso sa donare. Lì arrivai con mia madre: era

privata del sostegno del suo compagno, e fu

importante per lei avere un riferimento al ritorno

da visite dai risultati spesso non incoraggianti.

La temperatura meteorologica era rigida, ma

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Gioie e dolori dell’infanzia

ancora più freddo era il cuore: io, pur bambino di

otto anni, ogni giorno che passava ero un poco

meno bambino. Crescevo velocemente, non solo

anagraficamente, perché ogni esperienza sottrae-

va il posto al mio gioco e al tempo che avrei

dovuto condividere con i miei coetanei.

Rientrammo in Italia con il cuore amaro, ma forse

un po’ più convinti a lasciare ogni cosa al suo

posto, così come aveva disposto la natura.

In realtà i dubbi non tardarono a ritornare nella

mente dei miei genitori. L’inevitabile (e a volte

cercato) consiglio di conoscenti stimolò queste

perplessità, per cui si prese in considerazione l’ipo-

tesi di un nuovo controllo in Spagna, a

Barcellona. Prontamente mio padre si mise all’o-

pera e insieme a mia madre organizzò l’ennesimo

“viaggio della speranza”; anche in questo caso fu

deciso che sarebbe stata mia mamma ad accompa-

gnarmi. Avevo nove anni e il viaggio, questa volta, era

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Dio nella mia vita

anche più lungo, così prendemmo l’aereo.

Per me era la prima volta, perciò la mia atten-

zione fu focalizzata sul tragitto. Tutto era molto

affascinante: arrivati in aeroporto a Barcellona,

assistemmo ad una manifestazione folcloristica

inscenata per l’arrivo di una qualche personalità.

Ma inevitabilmente ben presto la mia mente

venne ricondotta alle motivazioni del nostro

viaggio: “Vieni, Arturo, dobbiamo andare”, disse

mia madre.

Le difficoltà affrontate fino a quel momento

sembravano non essere sufficienti, dato che fuori

dall’aeroporto non riuscimmo a trovare un taxi

disponibile ad accompagnarci all’albergo in cui

dovevamo soggiornare. Eppure notammo di fron-

te a noi una fila nutrita di taxi, così ci avvici-

nammo a un gruppetto di tassisti lì vicino, i quali

ci motivarono la loro indisponibilità dicendoci

che c’era la “guerra”. Non conoscendo all’epoca

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Gioie e dolori dell’infanzia

la lingua spagnola, facile fu l’equivoco, che ci

lasciò stupiti e increduli, ma la presenza casuale di

un conoscitore della nostra lingua ci chiarì che in

realtà si trattava di un banale “sciopero”.

Armati di buona volontà, prendemmo le

nostre valige e ci dirigemmo verso la nostra meta,

pur sapendo ben poco di quella città e ancor

meno della lingua. Camminammo a lungo; erava-

mo ormai stanchi, ma forse nelle vicinanze del

luogo nel quale avremmo dovuto alloggiare,

quando mia madre, nell’intento di risparmiare le

mie forze, mi chiese di sostare qualche istante

all’angolo di una strada mentre lei verificava l’in-

dirizzo. Non posso dimenticare una passante la

quale, vedendomi lì seduto sulle valige con l’aria

stanca, mi porse degli spiccioli. Mi sentii ferito

profondamente nell’orgoglio e manifestai questi

sentimenti scoppiando a piangere. Finalmente

rintracciammo il nostro hotel, ma con sorpresa,

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Dio nella mia vita

malgrado avessimo preavvertito, non trovammo

disponibilità ad accoglierci e soltanto dopo lun-

ghe insistenze riuscimmo a trovare una soluzione,

anche se non ottimale, al problema.

Il giorno seguente, da prima dell’alba fin dopo

il tramonto, rimanemmo all’interno del centro

specializzato. Ricordo corridoi lunghi e stretti,

molte porte, molti medici, ognuno dei quali effet-

tuava i controlli che gli competevano. Usciti dal

centro, “il tramonto” era anche nel nostro cuore.

Trascorsero così alcuni giorni, al termine dei quali

il responso fu quello che non desideravamo:

necessitavo di una terapia chirurgica per l’aspor-

tazione del cristallino, e per eseguirla in quel cen-

tro servivano tanti, tanti soldi.

Anche se piccolo, questa volta non potei non

notare l’umore di mia madre. L’aver affrontato

tutte quelle contrarietà, nella speranza di poter

definitivamente dissipare quei dubbi che attana-

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Gioie e dolori dell’infanzia

gliavano il suo cuore, non aveva prodotto i risul-

tati desiderati. La preoccupazione di dover sotto-

porre un figlio ad un intervento così delicato e

dagli esiti incerti era troppo forte.

In realtà tutte queste cose ovviamente all’epo-

ca non le comprendevo: pensavo che fosse preoc-

cupata per l’aspetto economico, così le chiesi di

comprare un salvadanaio. Fui accontentato. La

sua forma era quella di un pupazzo, a cui diedi il

nome dello specialista spagnolo che mi aveva

visitato; tentai di rassicurare mia madre dicendo-

le che avrei potuto accantonare lì dentro il dena-

ro occorrente. Questo pensiero era il frutto della

mia ingenuità e della mia capacità di abbandono

alla Provvidenza, risorse naturali in un bambino.

Un bambino, infatti, non si preoccupa di cosa

mangerà domani o se mangerà domani, perché sa

per certo che qualcuno provvederà a questa sua

necessità. Con questo spirito mi rivolsi a mia

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Dio nella mia vita

madre quando vidi il suo volto triste e amareggia-

to, e certamente come primo effetto questa mia

affermazione suscitò in lei un sorriso: il buio della

sera che si rispecchiava sul suo volto lasciò il

posto ad uno spiraglio di luce.

Ero troppo piccolo per comprendere cosa

potesse impensierirla così tanto; in effetti credo

che fu proprio in occasione di questo day hospital

che ella ebbe la conferma che, oltre ai problemi

già conosciuti, alla radice vi era una malattia ben

più complessa: la sindrome di Marfan. Questa

malattia genetica si manifesta con i problemi visi-

vi già descritti e con una generale lassità del tes-

suto connettivo; trovava così, forse, spiegazione il

numero elevato di ernie inguinali patite.

In tutto questo periodo continuavo a svolgere,

per quanto possibile, la vita normale di un bam-

bino, anche se le assenze da scuola si moltiplica-

vano e l’impegno richiesto per il recupero era

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Gioie e dolori dell’infanzia

sempre maggiore. La normale vivacità dell’epoca

e le difficoltà visive per le numerose ore da tra-

scorrere sui libri non facilitavano il mio compito,

ma, così come avviene per ogni essere vivente

che in mancanza di uno dei sensi sviluppa mag-

giormente gli altri, vedevo crescere in me doti di

intuizione e di intelligenza; cercavo di arrivare a

comprendere subito per deduzione o per logica

ciò che magari avrei potuto capire solo più avan-

ti. Se per taluni versi ciò era positivo, per altri era

negativo: una particolare sensibilità mi apparte-

neva per natura, e forse ogni esperienza l’accen-

tuava, così un gesto, una parola detta in più o non

detta bastavano perché io comprendessi il pensie-

ro di chi avevo accanto, e questo a volte mi feri-

va.

Di quel tempo ricordo con piacere l’amore

spontaneo e sincero che io nutrivo per i miei

compagni ed essi nutrivano per me.

Dio nella mia vita

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Conservo ancora con gratitudine le lettere che

mi scrissero quando partii per uno di quei “viaggi

della speranza“, colme di pensieri caratteristici di

quella età, ingenua e assolutamente priva di mali-

zia. Ma ormai per me tale età stava per finire, e

con essa la mia, pur ridotta, beata incoscienza dei

miei problemi.

Gioie e dolori dell’infanzia

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Un’adolescenza poco spensierata

Avevo 12 anni e cresceva in me la

voglia di vivere e di sperimentare

nuove emozioni; iniziai così ad appassionarmi al

mondo delle due ruote: la bicicletta fu la mia

prima passione, mentre ammiravo, quasi come

fossero sogni irraggiungibili, le moto e le auto. Il

mio passatempo preferito era trascorrere pomerig-

gi interi con la bici correndo qua e là o intratte-

nendomi nel garage di casa mia per renderla più

bella, lucidandola e provando ad inventarmi rudi-

mentali ed inusuali accessori, come le frecce.

Adoravo poi sfogliare riviste specializzate e

collezionavo i depliant illustrativi delle nuove

auto, che con pazienza mi procuravo recandomi

puntualmente dai vari concessionari. In questo

periodo le mie amicizie, al di fuori della scuola,

erano invece poche e selezionate.

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Proprio in questi anni mia madre, che ha sem-

pre avuto intraprendenza e spirito imprenditoria-

le, propose a mio padre l’apertura di un’attività

commerciale. In effetti, in passato quest’argomen-

to era già stato tema di conversazione e di discus-

sione nell’ambito coniugale, ma questa volta,

oltre al desiderio di realizzazione in sé per sé, mia

madre in cuor suo si poneva l’interrogativo su

quale potesse essere il mio futuro alla luce di

quanto era emerso circa la mia salute; molte erano

le incertezze a mio riguardo, mentre i miei fratel-

li più grandi avevano un futuro grosso modo già

delineato. Avviando un esercizio commerciale

mia madre pensava di potermi garantire un lavoro

sicuro. Malgrado le sue ragioni, ella non trovò

l’appoggio di mio padre, il quale non desiderava

per la sua compagna un impegno così gravoso.

Tuttavia le motivazioni che la spingevano erano

per lei importanti e le sue doti caratteriali, tra le

44

Dio nella mia vita

quali la caparbietà, la spinsero ad intraprendere

comunque questa avventura senza il supporto

morale e finanziario del suo compagno.

Avevo circa 13 anni e mi trovavo molto più

spesso solo: mio padre era concentrato nel suo

studio per il suo lavoro di avvocato, mentre mia

madre era alle prese con la nuova iniziativa, che

inevitabilmente assorbiva buona parte del suo

tempo.

Un giorno, mentre studiavo, avvertii un dolore

intenso all’inguine e notai un gonfiore: si trattava

dell’ennesima ernia inguinale. Uscii da casa e con

molta fatica, camminando piegato per il dolore,

raggiunsi il negozio, dove le maestranze lavora-

vano per il suo allestimento; lì trovai immediata-

mente soccorso. Fui nuovamente operato. Il

momento per i miei era difficile e delicato di per

sé ed io così, involontariamente, creai loro ulte-

riori motivi di tensione e preoccupazione.

45

Un’adolescenza poco spensierata

La mia natura continuava ad essere quella di

un ragazzo appena adolescente, appassionato

della sua bicicletta e dei suoi sogni, perciò non

tardai a rimontare su quella sella e ad impegnarmi

a cadere rovinosamente molte volte. La caduta più

clamorosa avvenne quando, desideroso di pri-

meggiare, entrai in competizione con un compa-

gno; durante la gara ero intento a controllare l’av-

versario non pensando ad osservare la strada che

percorrevo; il mio entusiasmo era alle stelle per-

ché ero in vantaggio, ma ben presto la mia corsa

finì rovinosamente per terra: ero andato a sbattere

in una cunetta di terriccio senza accorgermene; mi

ridussi ad una maschera di sangue.

Avevo meno di 14 anni e per la legge non pote-

vo condurre motocicli, ma sapevo bene che nel

garage della mia casa era da tempo parcheggiata

la moto di uno dei miei fratelli, per cui mi recavo

spesso in quel luogo insieme ad un amico coeta-

46

Dio nella mia vita

neo. Ammiravamo quel mezzo e sognavamo di

poterlo utilizzare: così prendemmo l’incosciente

decisione di provare a governarlo. Con enormi

sacrifici e sforzi, in una serie di appuntamenti

pomeridiani quasi quotidiani, provammo in ogni

modo a metterlo in moto. L’impresa sarebbe stata

ardua anche per un esperto, perché quel veicolo

era inutilizzato da molto tempo, figurarsi per due

neofiti quali eravamo noi; io però ero caparbio per

dote di famiglia e il mio compagno non era da

meno, per cui giorno dopo giorno notavamo pic-

coli progressi che ci spingevano a proseguire

nello scellerato progetto. La soddisfazione fu

grande quando riuscimmo finalmente ad avviare

quel mezzo, e da quel giorno fu un continuo pro-

gredire.

Riuscii prima ad inserire la marcia, quindi a

percorrere alcuni metri, finché non acquisii la

piena padronanza della moto. Il rischio di farmi

47

Un’adolescenza poco spensierata

male non aveva mai sfiorato veramente la mia

mente e quindi non era mai stato calcolato, ma la

Provvidenza di Dio non permise che ciò avvenis-

se. Guidavo la motocicletta, e questa era per me

una grande conquista; ancora più grande lo sareb-

be stata se questa capacità fosse stata riconosciu-

ta ufficialmente.

Pochi mesi dopo aver compiuto i 14 anni mi

feci coraggio e chiesi a mia madre la possibilità di

utilizzare la moto. Scontata fu la risposta negativa

e da questo momento fu un succedersi di discus-

sioni finalizzate ad ottenere quel permesso. In

effetti, le preoccupazioni di mia madre per i rischi

connessi in sé all’uso di quel mezzo si amplifica-

vano per la presenza dei miei problemi di salute. I

timori erano legati alla mia vista, certo non otti-

male, ma soprattutto ad un possibile incidente,

pericoloso per eventuali conseguenze sul cristalli-

no. Il consiglio degli specialisti era stato appunto

48

Dio nella mia vita

quello di evitare rischi di questo tipo. Ma la mia

insistenza fu tale che portai mia madre allo stre-

nuo delle sue forze, tanto che rimandò la decisio-

ne a mio padre.

Lui era un uomo tanto esile nella corporatura

quanto forte nel carattere, così volle constatare

personalmente se io effettivamente sapevo con-

durre quel mezzo; la prova consisteva nel percor-

rere un tratto di strada insieme: lui andava avanti

con l’auto e io lo seguivo con la moto; al rientro

ero orgoglioso per aver dimostrato le mie capaci-

tà. Ebbi così il sospirato permesso grazie a mio

padre. In lui ho sempre visto l’uomo che chiude-

va nel silenzio del suo cuore molte delle sue

preoccupazioni e delle sue ansie affidando a Dio i

suoi limiti e le sue incapacità; non ricordo che

abbia mai manifestato apertamente questi senti-

menti, lasciandomi così la possibilità di vivere la

mia vita con maggiore serenità. Il suo stesso

49

Un’adolescenza poco spensierata

volto, anche se austero e parco di sorrisi, i suoi

movimenti e la sua gestualità già trasmettevano

questa serenità.

Una mattina di Novembre del 1984 inaspetta-

tamente egli fu colto da un improvviso malore. Io

ero lì nel suo studio, ma non capii con esattezza

cosa stesse accadendo; notai che mio padre era

riverso sulla sua scrivania e chiamai aiuto; lo met-

temmo a sedere; anche allora mantenne la sua abi-

tuale serenità e chiese che gli fosse data una siga-

retta; iniziammo così a notare che metà del suo

corpo era paralizzato. Lo portammo in ospedale e

i sanitari ne disposero il ricovero immediato.

Ho chiaro il ricordo di quel giorno: attendem-

mo che gli fosse assegnata una stanza, mentre lo

avevano sistemato su una sedia a rotelle; il suo

silenzio non poteva nascondere questa volta i suoi

pensieri: il suo volto parlava. Tornai a casa per

prendere quanto gli potesse occorrere; recandomi

50

Dio nella mia vita

poi nuovamente in ospedale avvertii il desiderio

di fermarmi prima ai piedi di nostro Signore.

Nella vicina chiesa dei Salesiani di Lecce piegai

le mie ginocchia davanti a Cristo e lo supplicai di

non portarmi via mio padre; fu una preghiera

spontanea, quasi avessi avuto un funesto presagio,

malgrado nulla di preciso si sapesse sulle sue con-

dizioni di salute. Ero triste: qualcosa dentro di me

si stava spezzando. Acquistai più quotidiani per-

ché egli li leggesse, come era sua abitudine; lo

raggiunsi al capezzale del suo letto e gli porsi i

giornali: lui con una mano li prese e li appoggiò

sul vicino comodino, poi mi lasciò il suo ultimo e

più espressivo sguardo nel quale io lessi chiara-

mente questo pensiero, che mai per la vita potrò

dimenticare: “Figlio mio, perché…? Io non potrò

più leggerli!”. Piansi tanto, così come piango ora

al ricordo. Il giorno dopo lui non era più con me.

Veniva così a mancarmi un sostegno molto

51

Un’adolescenza poco spensierata

importante, anche se probabilmente non avevo

mai compreso veramente fino a che punto lo

fosse. Il tempo non colmò mai questa lacuna, anzi

io e tutta la mia famiglia avvertimmo sempre di

più la sua mancanza. Mi rendo conto che l’amore

che egli nutriva per me era assai più profondo di

quanto potessi allora immaginare, e in molti pas-

saggi obbligati di questa vita la sua presenza mi

sarebbe stata sicuramente utile.

I miei cari cercavano di sopperire a quest’as-

senza, ma purtroppo senza riuscirci. I miei due

fratelli, Angelo e Vito, essendo più grandi di me

rispettivamente di 10 e 14 anni, avvertirono forse

inconsciamente l’esigenza di riempire loro questa

mancanza. In realtà quest’atteggiamento susci-

tò effetti diversi dalle loro intenzioni e creò un

distacco tra noi, sfalsando l’originario rappor-

to tra fratelli. Solo molto più tardi, quando essi

videro accanto a loro non più il bambino da

52

Dio nella mia vita

proteggere o al quale si ha sempre qualcosa da

dire o da insegnare, ma l’uomo ormai maturo e

che ha assunto le sue responsabilità nella vita,

recuperammo il nostro splendido rapporto frater-

no. L’affetto, l’amore e la stima sono sentimenti

che non sono mai venuti meno tra noi, ma sicura-

mente rimpiango, di quel periodo, la mancanza di

complicità; ricordo, infatti, che quando necessita-

vo di un consiglio o di fare una semplice confi-

denza preferivo rivolgermi ad un amico. Per certi

versi mi sentivo un po’ figlio unico e mi circon-

davo di molti amici, dividendo il mio tempo tra lo

studio e loro.

L’adolescenza è un periodo della vita delicato

di per sé e credo che per me lo sia stato un poco

di più. Lottavo per gli obiettivi comuni ai miei

coetanei, tra cui il riconoscimento delle capacità

individuali non condizionato dalle apparenze, ed

ero in conflitto con i miei per guadagnare quella

53

Un’adolescenza poco spensierata

libertà di agire che è dono di Dio per ogni indivi-

duo, ma che spesso mi veniva sottratta per i timo-

ri più volte accennati.

Prendevo coscienza altresì delle reali motiva-

zioni che mi spingevano a partecipare

all’Eucaristia domenicale e mi rendevo conto che

andavo in chiesa senza comprenderne l’esatto

significato: non era una mia esigenza, ma una tra-

dizione; mia madre andava in chiesa, mio padre

andava in chiesa e io andavo in chiesa: decisi per-

ciò di non andare più a Messa. Questa mia asti-

nenza dalla partecipazione all’Eucaristia durò

fino quando non trovai risposte accettabili ai miei

interrogativi e motivazioni ben più profonde.

Avevo 15 anni e in questo tempo aumentarono,

per me e per la mia famiglia, i problemi legati sia

all’assenza di mio padre che alle conseguenze

della mia malattia. Il primo problema da affronta-

re fu di carattere finanziario, poiché era venuto a

54

Dio nella mia vita

mancare il principale sostegno economico mentre

uno dei miei fratelli era ancora universitario ed io

ero ancora uno studente. Provvidenziale fu l’ini-

ziativa imprenditoriale intrapresa da mia madre,

per mezzo della quale la famiglia trovò degno

sostentamento per il presente e il modo di affron-

tare senza patemi il futuro.

Poi una mattina feci un’amara scoperta: dal-

l’occhio destro iniziavo a non vedere e il buio

s’impadroniva della luce, come in un teatro quan-

do cala il sipario; riuscivo solo a scorgere le

ombre di quanto mi circondava, e per di più tinte

di colore rosso, che credo fosse sangue. Erano i

primi mesi del 1986 e con sorpresa generale si era

verificato un distacco della retina. Si temeva da

tempo per la funzionalità del cristallino, ma mai si

sarebbe potuto immaginare un simile evento

negativo.

Notati questi disturbi, non esitai a chiamare lo

55

Un’adolescenza poco spensierata

oculista svizzero che era per me ormai un riferi-

mento sicuro. Gli descrissi questi sintomi e tanto

gli fu sufficiente per fare la sua diagnosi e per

consigliarmi di ricorrere alle tempestive cure chi-

rurgiche dello specialista più vicino alla mia città.

Ci consultammo velocemente in famiglia e quin-

di senza indugio ci dirigemmo verso una clinica

di Roma, dove sapevamo che lavorava un profes-

sore d’indiscussa fama; egli, appurata la gravità

del male e confermata la diagnosi, ritenne oppor-

tuno intervenire immediatamente.

Ormai sedicenne, iniziavo a comprendere chia-

ramente quanto accadeva e questo mi portava a

vivere una dualità di sentimenti: mentre da un lato

riuscivo a trovare in me la forza di affrontare e

combattere queste avversità, dall’altro crescevano

in me la vulnerabilità e, inconsciamente, un lieve

senso d’inferiorità.

Mai potrò dimenticare l’amore dimostrato da

56

Dio nella mia vita

mio fratello Angelo (di nome e di fatto), il quale

non mi lasciò neanche per un istante, fin dal

primo momento, malgrado le difficoltà legate

soprattutto all’assenza prolungata dalla clinica

presso cui all’epoca era aiuto-primario. La degen-

za fu lunga circa un mese e, mentre mio fratello

giorno e notte mi era accanto, dormendo su di un

divano scomodo e con la schiena spesso doloran-

te, mia madre il sabato sera, chiuso il negozio,

prendeva il primo treno e mi raggiungeva tra

mille disagi, per poi il lunedì essere nuovamente

al suo posto di lavoro; essa, con profondo ramma-

rico e lacerazione interiore, non poté assistermi in

un modo continuo; ormai sola e con il carico delle

responsabilità finanziarie, doveva continuare a

lavorare per poter sostenere quella degenza costo-

sissima in clinica privata, oltre alle spese della

vita ordinaria. Ringrazio Dio per averle donato la

grazia di sperimentare la Sua Provvidenza e per

57

Un’adolescenza poco spensierata

averle concesso la forza di superare ogni contra-

rietà, oltre al coraggio di sperare appoggiandosi a

Lui, Sommo Bene.

La potenza di Dio si manifestava in me attra-

verso il dono di una profonda serenità malgrado la

sofferenza; durante la degenza post-operatoria fu

anche necessario per me restare in posizione supi-

na, con la testa immobile, e così rimasi per ben 20

giorni, in cui dovetti anche sostenere controlli

medici fastidiosi e spesso dolorosi. Nonostante

tutto il Signore mi donava la forza di affrontare

ogni problema e di incoraggiare quanti, telefonan-

domi, si dimostravano preoccupati per la mia

salute, in particolare mia madre, che, malgrado

fosse a Lecce fisicamente, era con la mente e con

il cuore accanto a me a Roma.

Finalmente alle dimissioni mi venne restituita

la vista e potei ritornare a casa: mi ero lasciato

una nuova dolorosa esperienza alle spalle ed ero

58

Dio nella mia vita

desideroso di guardare avanti per continuare a

costruire la mia vita.

Frequentavo il terzo anno di scuola media

superiore ed avevo accumulato molte assenze

quasi in coincidenza con la fine dell’anno scola-

stico. Mi si poneva innanzi una nuova sfida che

avrei potuto vincere soltanto con un energico

sostegno: recuperare velocemente il programma

scolastico perduto. Malgrado le assenze fossero

ampiamente motivate, non trovai sulla mia strada

docenti che mi appoggiassero nel raggiungimento

di tale obiettivo, e così fu inevitabile quell’anno

l’essere rimandato in ben tre materie.

Fondamentale fu l’aiuto di persone a me care che

mi si affiancarono e mi sorressero per affrontare e

superare queste ulteriori prove.

L’afflizione più grande fu però quando mi resi

conto che le cause che avevano determinato tale

posticipo non erano unicamente riconducibili alla

59

Un’adolescenza poco spensierata

mia poco adeguata preparazione: la richiesta

esplicita di “favori” da parte di uno di quei pro-

fessori rese più chiare alcune motivazioni della

sua ostilità verso di me.

Per ovvie ragioni trascorsi un’estate poco pia-

cevole, durante la quale, quando avevo del tempo,

lo dedicavo con piacere a delle passeggiate in

vespa. Nel Settembre del 1986, proprio in occa-

sione di un giro in vespa, rimasi coinvolto in un

incidente stradale apparentemente privo di serie

conseguenze.

La scuola era appena iniziata e frequentavo il

quarto anno. Tutto appariva normale e trascorsero

molti giorni dall’incidente senza che avvertissi

alcun problema. Poi si presentarono alcuni distur-

bi visivi, simili a quelli ben conosciuti, ma questa

volta all’occhio sinistro. I sintomi si manifestaro-

no gradualmente: la retina si stava distaccando,

tanto da procurare una lacerazione della macula,

60

Dio nella mia vita

centro dell’occhio. In particolare erano gravi i

danni alla retina, dei quali patisco ancora oggi, in

parte, gli effetti. Era l’Ottobre del 1986: erano tra-

scorsi solo pochi mesi dall’intervento all’occhio

destro ed ora avevo bisogno di una nuova opera-

zione, questa volta a quello sinistro.

Mio fratello Angelo anche questa volta, per

essermi vicino, lasciò, con enormi sacrifici, il suo

posto di lavoro. All’arrivo in clinica la diagnosi fu

di rottura gigante della retina con foro maculare.

Le cause che avevano portato al distacco retinico

non era certo se fossero correlate alla patologia di

cui soffrivo o se fossero una diretta conseguenza

dell’incidente patito giorni prima. La terapia chi-

rurgica richiesta era complessa ed articolata; lo

specialista interpellato, per grazia di Dio, era uno

dei pochi, se non l’unico, al mondo ad aver ideato

un’operazione chirurgica per tentare il recupero di

un occhio in simili condizioni. Così affrontai un

61

Un’adolescenza poco spensierata

lungo e delicato intervento dai dubbi risultati, a cui

seguì ancora una volta una dura degenza caratte-

rizzata da assoluta immobilità per 20 giorni.

Lo specialista era talmente convinto della

bontà dell’operazione che ritenne opportuno esi-

birne gli esiti ad un congresso traumatologico. Ma

gli ostacoli anche questa volta non erano termina-

ti: durante il decorso post-operatorio, malgrado la

mia completa immobilità, spontaneamente la reti-

na si distaccò di nuovo, per cui i medici dovette-

ro ricorrere ancora alle cure chirurgiche; fui ripor-

tato in sala operatoria per essere sottoposto all’en-

nesimo intervento nella speranza di porre definiti-

vamente rimedio al problema. Seguì un nuovo

periodo di 20 giorni di assoluta immobilità, per un

totale di 40 giorni ininterrotti.

Fu veramente un grande sacrificio tanto per me

quanto per i miei familiari: mio fratello Angelo

rischiò la perdita del posto di lavoro, perché aveva

62

Dio nella mia vita

ormai esaurito ogni possibilità di permessi o ferie

e quindi aveva il dovere di rientrare al lavoro; mia

madre desiderava essere lì accanto a me, anche

per permettere a mio fratello di riprendere il lavo-

ro, ma non le era possibile poiché doveva conti-

nuare a lavorare, per cui mi poteva rivedere solo

nei fine settimana.

Ma alla fine il mio occhio, destinato a spegner-

si irrimediabilmente, poteva tornare ad ammirare,

anche se non perfettamente, la splendida luce del

sole e le meraviglie del creato. Ringrazio Dio per-

ché non smise di starmi vicino e di infondermi

serenità, pace e capacità di abbandono alla Sua

Provvidenza, doni che solo Lui poteva mettermi

nel cuore. Ricordo quando mi telefonava Vito,

l’altro mio fratello: lui, che è apparentemente

forte e a volte burbero, si rivelava al contrario dal

cuore grande e sensibile, e Dio mi donava la forza

di trasmettergli il mio coraggio di sperare.

63

Un’adolescenza poco spensierata

Rientrai a scuola dopo questa lunga assenza,

ma i professori non credevano più nelle mie facol-

tà di recupero; così mia madre volle prendere in

considerazione un rimedio drastico, ma al tempo

stesso efficace, al fine di non perdere un anno di

scuola che poteva essere importante per la mia

vita. Senza perdersi di coraggio, acquisì informa-

zioni su quale potesse essere una buona scuola

privata dove, con la presenza di docenti attenti e

sensibili, nonché coscienziosi, avrei potuto recu-

perare il tempo perduto, e, una volta trovatala, mi

iscrisse lì.

L’impatto fu positivo: trovai negli insegnanti

disponibilità anche solo a provare quel recupero.

Ancora una volta mi stette vicino una persona a

me cara, Cesarita, che mi seguì nello studio

pomeridiano e cercò di facilitarmi quel compito

altrimenti drammatico. Riconosco la mano poten-

te di Dio che operò su di me attraverso tante per-

64

Dio nella mia vita

sone e lo ringrazio, così come invoco la Sua bene-

dizione per loro.

In quel periodo tornai a frequentare la chiesa

dei Salesiani, in un primo momento per motivi

ludici: fui invitato da alcuni amici a giocare una

partita di pallacanestro. Iniziai così a praticare più

spesso quegli ambienti che avevo prima abbando-

nato e fu in questo tempo che cercai risposte alle

mie domande e alle mie perplessità in merito alla

Chiesa e alla fede in Dio; risolsi così molti di quei

quesiti apprezzando il valore e l’importanza del

Cristianesimo e comprendendo che la partecipa-

zione all’Eucaristia domenicale era la sorgente alla

quale io potevo attingere a piene mani la grazia di

Dio, nutrendomi della Sua Parola, anche con l’aiu-

to dell’omelia che la spiegava, e al tempo stesso

ricevendo il Corpo di Cristo, fonte della salvezza,

della speranza, della forza e della vera fede.

Tornai perciò ad essere assiduo nell’Eucaristia,

65

Un’adolescenza poco spensierata

e sentii forte la necessità di dovermi impegnare

perché altri comprendessero quei valori e godes-

sero degli stessi benefici. Così, su proposta del

parroco, Don Pasquale, mi avviai all’insegnamen-

to dei principi fondamentali della dottrina cattoli-

ca nei confronti dei bambini; all’esordio fui

affiancato da una catechista più esperta, per poter

apprendere da lei i metodi che mi avrebbero poi

consentito di essere in grado di trasmettere questi

valori ai fanciulli.

La mia presenza all’interno della Chiesa diven-

ne sempre più attiva e propositiva perché fioriva

in me il desiderio di migliorare quegli aspetti

della vita comunitaria che consideravo meno

coerenti. Non ebbi mai timore di esprimere criti-

che quando il fine era di offrire un contributo per

la crescita della Parrocchia, così come mi sforzai

di essere umile nell’ascolto quando fui io oggetto

di suggerimenti dettati dalle stesse finalità. In

66

Dio nella mia vita

questo periodo venni anche cooptato nel

Consiglio Pastorale parrocchiale in rappresentan-

za dei catechisti. Cercavo il confronto con gli altri

ritenendolo costruttivo, perché pensavo che il rac-

cogliere ogni minima riflessione potesse portarmi

a crescere e a migliorare.

Erano anche questi aspetti caratteriali che mi

portavano a raggiungere una maturità assai preco-

ce. Chi provava ad esprimersi sulla mia età ana-

grafica cadeva facilmente in errore, non tanto per

l’aspetto fisico, quanto per la postura e l’atteggia-

mento che involontariamente assumevo, nonché

per gli argomenti di conversazione che preferivo,

ben diversi da quelli dei miei coetanei.

Nulla era costruito, anzi tutto era naturale ,

frutto delle esperienze vissute che influivano sulla

mia personalità portandomi ad una crescita più

veloce della mia età, e per questa ragione vivevo

una dualità di sentimenti: se da una parte mi infa-

67

Un’adolescenza poco spensierata

stidiva essere considerato più grande, dall’altra

ero contento di conquistare sempre più la libertà

intellettuale, importante per raggiungere la totale

indipendenza. Nel mio desiderio di autonomia, il

modello da raggiungere era quello dei miei fratel-

li, anche per riconquistare quel rapporto naturale

con loro che era stato sfalsato dalla morte di mio

padre; sognavo quindi di finire presto gli studi per

poi lavorare, e di intrecciare un legame sentimen-

tale, come essi avevano già fatto.

Probabilmente tutto ciò che avevo patito mi

portava a sentirmi inferiore agli altri, o a pensare di

essere considerato tale, per cui desideravo brucia-

re le tappe per provare che, nelle sfide della vita, ce

la potevo fare alla pari degli altri e forse anche

meglio, e che la mia malattia non mi avrebbe impe-

dito di realizzare la costruzione della mia vita.

A Giugno del 1988 terminai il quarto anno di

scuola media superiore lasciandomi alle spalle

68

Dio nella mia vita

una parte della mia vita non certo facile. Avevo

risolto i miei problemi oculari, quanto meno quel-

li più seri, e superato le difficoltà scolastiche.

Dopo molto tempo potevo vivere un’estate nella

spensieratezza, e credo di poter affermare che sia

stato il più bel periodo della mia giovinezza.

Trascorsi, infatti, un lungo periodo al mare, ospi-

te nella casa di mio zio Romolo a Santa Caterina,

stazione balneare del leccese; ricordo con piacere

quei giorni, nei quali ebbi anche l’opportunità di

stringere nuove amicizie. Non ricordo un episodio

in particolare, ma nel cuore e nella mente mi è

rimasta una piacevole sensazione dei momenti

felici passati in quel luogo.

Ho sempre provato gioia, infatti, nell’essere a

contatto con la natura, e Santa Caterina offriva un

meraviglioso scenario naturale che si prestava alla

contemplazione. Ancora oggi spesso mi capita di

tornare in quei luoghi per ammirare le meraviglie

69

Un’adolescenza poco spensierata

che Dio ha creato. L’essere immerso nella natura,

quasi in un’osmosi, ha sempre provocato in me

sensazioni così piacevoli da stimolarmi alla rifles-

sione e alla preghiera. Il Signore in quei giorni mi

ripagava di tante sofferenze donandomi una pro-

fonda serenità interiore e la spensieratezza gioio-

sa che avrebbe dovuto caratterizzare ogni

momento di questo periodo della mia vita.

Benché non avessi ancora la patente, in quel

periodo mi avventurai spesso in imprudenze con

una macchina, mettendo così a repentaglio la mia

stessa vita e quella di altre persone. Era forte a

quel tempo la voglia di mettersi in mostra. Sorrido

quando nei documentari sugli animali si mostra

come il maschio cerca di esibire la sua forza: mi

rivedo com’ero in quel periodo, quando anch’io

volevo mostrare, a mio modo, quello che sapevo

fare. Avevo il desiderio di attrarre l’attenzione delle

mie amicizie, ed in particolare di quelle femminili.

70

Dio nella mia vita

Ero entrato ormai nel periodo degli innamora-

menti e così iniziavo a scoprire quell’insieme di

sensazioni ed emozioni caratteristiche di questa

fase di vita. L’amore è il sentimento che cresce

con la maturità dell’individuo attraverso la cono-

scenza e l’accettazione del compagno così come

egli è, con i suoi pregi e i suoi difetti. Quello inve-

ce era il periodo nel quale non si è coscienti della

profondità di questo sentimento e si è portati a

scambiare l’innamoramento per amore; è altresì

vero che tale periodo potrebbe considerarsi il

primo passo necessario per arrivare successiva-

mente alla maturità del sentimento.

All’epoca non mi davo queste spiegazioni, ma

certamente cresceva in me il desiderio di condivi-

dere i diversi aspetti della mia vita con una ragaz-

za e ricordo con piacere quella varietà di sensa-

zioni, fatta di attese, interrogativi, sguardi, batti-

cuore, nell’incertezza dell’essere corrisposto che

71

Un’adolescenza poco spensierata

è caratteristica dell’innamoramento o della sem-

plice attrazione. Vissi quelle esperienze come se

la parte triste e malinconica della mia esistenza

non fosse mai esistita.

Intanto mia madre, sapendo che quanto era

accaduto l’ultima volta al mio occhio poteva esse-

re strettamente legato all’incidente con la vespa,

mi propose un baratto: io le avrei dovuto conse-

gnare quel veicolo ed in cambio lei avrebbe

acquistato un’auto per me, ormai maggiorenne;

accettai ed ebbi la mia prima macchina, un’utili-

taria: potevo ora andare a passeggio con gli amici,

andare a scuola, essere utile alla mia famiglia, ma

soprattutto a mia mamma quando necessitava di

spostarsi.

Ben presto, però, diedi motivo di preoccupazio-

ne anche con la macchina: una sera, di ritorno da

un paese vicino a Lecce, mentre percorrevo una

strada in curva persi il controllo dell’auto e finii,

72

Dio nella mia vita

dopo un volo di qualche metro, in una scarpata. La

Provvidenza intervenne anche in questo caso e

fece sì che la macchina non si ribaltasse, ma pla-

nasse dolcemente su una delle pareti di quella

scarpata, arrestando la sua corsa contro un maci-

gno: ne uscii indenne, e fu un nuovo miracolo.

Dalla strada un passante si fermò e mi prestò i

primi soccorsi: mi portò in un bar offrendomi da

bere e mi permise di chiamare aiuto; avevo così

un’altra incredibile storia da raccontare. Arrivati i

soccorsi stradali, volli seguire le operazioni di

recupero della mia macchina cercando di rendermi

utile personalmente: mentre l’addetto agganciava

manualmente la macchina ad una gru che doveva

sollevarla, io dai comandi del suo camion lo aiuta-

vo muovendo le leve che azionavano la gru.

Per una serie di circostanze quella stessa sera

in quello stesso momento mia madre si trovava a

percorrere una strada vicina. Da lontano notò le

73

Un’adolescenza poco spensierata

luci d’emergenza poste su quel camion ed ebbe

quasi un presentimento; chiese a mio fratello

Angelo che l’accompagnava di cambiare la dire-

zione della macchina per recarsi sul posto dal

quale provenivano quelle luci e, raggiunto il

luogo, vide che proprio in quell’istante emergeva

dal fossato il muso della mia automobile. Mio fra-

tello corse a vedere l’accaduto; io raggiunsi allo-

ra mia madre e la trovai priva di sensi, come sve-

nuta; mi misi a gridare scuotendola: “Mamma,

mamma, sono io, mamma....... svegliati, tranquil-

la, sono qui, sto bene!”; non riuscivo a farla

riprendere e per alcuni interminabili minuti ebbi

veramente paura. Tuttavia ancora una volta Dio

stese il suo braccio e lentamente ridonò vita al

corpo di mia madre.

A Settembre del 1988 iniziai il mio quinto

anno di scuola superiore continuando a frequenta-

re l’istituto che mi aveva accolto ed aiutato quan-

74

Dio nella mia vita

do ero in difficoltà. Ringrazio Dio per la normali-

tà che vissi in quell’anno, che mi vide impegnato

sia nello studio sia nella quotidianità di un ragaz-

zo appena diciottenne. Era ormai la normalità che

io desideravo e nulla di più, e iniziai così ad

affrontare le gioie e le difficoltà comuni a tutti i

giovani della mia età. Fu l’anno delle soddisfazio-

ni scolastiche: dimostravo infatti particolare inte-

resse per le materie tecniche, nelle quali conse-

guivo i migliori risultati.

Intanto crescevano in me il desiderio di indi-

pendenza e la consapevolezza che il mondo del

lavoro non offriva molte opportunità. Naturale fu

la decisione di convogliare tutti i miei sforzi alla

ricerca di un’occupazione, nonostante non avessi

ancora finito gli studi. Dopo varie ricerche, trovai

la possibilità di un lavoro, sia pur precario, presso

uno studio commercialistico, dove presi servizio

nell’estate del 1989, appena ultimati gli esami di

75

Un’adolescenza poco spensierata

maturità per ragionieri.

Ero orgoglioso di me stesso: il progetto che mi

vedeva sempre più indipendente si stava gradual-

mente realizzando. Era forte il desiderio di lascia-

re completamente alle spalle le mie sofferenze,

quasi non le avessi mai patite, pensando a rag-

giungere quei traguardi che mi avrebbero potuto

consentire di ottenere la libertà tanto desiderata;

forte era pure il desiderio di dimostrare ancora di

più agli altri e a me stesso le capacità possedute.

Non considerai l’opportunità di assumere io la

gestione dell’attività intrapresa da mia madre poi-

ché desideravo realizzarmi per conto mio, così

come rifiutai anche la proposta di mio fratello

Vito di affiancarlo nella sua attività commerciale.

Ero determinato a cercare una strada che fosse il

più possibile frutto delle mie personali qualità.

Così, l’aver ottenuto questa possibilità di lavoro

mi portò ad acquisire maggiore autostima e sicu-

Dio nella mia vita

76

rezza, anche se mi allontanò dall’abbandono alla

Provvidenza portandomi a credere più nelle mie

capacità che nella potenza di Dio. Come i miei

fratelli avevano raggiunto autonomamente la loro

posizione economica ed un rapporto affettivo sta-

bile, così anch’io volevo conseguire gli stessi

obiettivi.

Imparai la preziosità del silenzio, poiché mio

desiderio era parlare con i fatti; e i fatti ci furono:

riuscii ben presto ad avere un lavoro migliore

presso un’industria salentina e l’indipendenza

economica a cui aspiravo, oltre ad una relazione

sentimentale; successivamente assunsi la respon-

sabilità dell’amministrazione della stessa azienda.

Crescevano perciò in me l’orgoglio dell’autorea-

lizzazione e la consapevolezza di poter contare

sulle mie forze, ma s’insinuava sempre più anche

la tentazione della superbia.

Un’adolescenza poco spensierata

77

Rimini: Dio, lavoro e malattia

V erso la fine del 1989 fui avvicinato da

un caro amico, Fulvio, il quale mi rac-

contò della sua partecipazione ad un movimento

spirituale per me nuovo: il Rinnovamento nello

Spirito Santo (RnS); mi descrisse in modo entu-

siastico la sua esperienza e m’invitò a condivider-

la con lui. In un primo momento non accettai

quest’invito, ma ogni occasione d’incontro con

Fulvio era per lui propizia per rinnovarmelo. Così

agli inizi del 1990 decisi di partecipare ad un

incontro di preghiera del gruppo frequentato da

Fulvio.

L’impatto non fu positivo: abituato a pregare

fino ad allora in modo tradizionale, ebbi difficol-

tà ad accettare la preghiera “carismatica” caratte-

ristica del Rinnovamento, preghiera non formu-

lare, ma spontanea, in quanto suscitata nel cuore

81

dalle mozioni dello Spirito Santo. All’epoca il

mio cuore era lontano da questa intimità e da

questo abbandono in Dio pieno ed esclusivo,

tanto da non essere nemmeno in grado di perce-

pire questi sentimenti; ritenni quindi opportuno

non frequentare questo gruppo.

Tuttavia in occasione dei preparativi per la

convocazione nazionale del movimento a Rimini

Fulvio mi chiese di partecipare, testimoniandomi

che il Signore in queste occasioni operava grandi

prodigi attraverso gli animatori. Mi informò,

però, del fatto che ormai tutti i posti disponibili

erano stati prenotati, ma mi esortò comunque a

mettermi in lista d’attesa; accettai nella certezza

che non vi avrei partecipato. Contro le mie aspet-

tative, appena pochissimi giorni prima della par-

tenza, a causa dell’improvvisa indisposizione di

una persona che si era prenotata, si venne a crea-

re la disponibilità di un posto e quindi per me

82

Dio nella mia vita

l’obbligo, per la parola data, di partecipare.

Così partii per Rimini: era l’Aprile del 1990.

Durante il viaggio conobbi Federico, con il quale

divisi gran parte del tempo e che divenne ben

presto un riferimento; ebbi modo così di confron-

tare con lui tutti i miei pensieri e le mie sensa-

zioni su quella convocazione. Conobbi anche una

ragazza che aveva problemi fisici tali da non con-

sentirle spostamenti rapidi in autonomia e quindi

aveva bisogno della sedia a rotelle per i trasferi-

menti. Ritenni doveroso rendermi disponibile per

aiutarla e così, arrivati a Rimini, mi misi al suo

servizio.

Mi ritrovai in un grande padiglione fieristico

gremito di gente (si stimarono in totale circa

40000 partecipanti), all’interno del quale erano

presenti zone riservate ai portatori di handicap e

ai loro accompagnatori. Prendemmo posto, e

notai che tutti i presenti godevano di una gioia

83

Rimini: Dio, lavoro e malattia

particolare, intima, ma al tempo stesso prorom-

pente in manifestazioni di esultanza a braccia

alzate, testimonianza di una presenza viva di Dio

nel loro cuore; mi resi conto che ciò mi dava di

riflesso una grande letizia e tanta pace. Rimasi

sorpreso per l’attiva partecipazione alla preghiera

da parte di tutti, ma anche per i momenti di reli-

gioso silenzio. Osservai di sfuggita sul volto della

ragazza che assistevo un’espressione di impassibi-

lità; pensai allora che non provasse le stesse mie

sensazioni.

Il secondo giorno, malgrado tutto fosse per me

nuovo, ascoltando le preghiere elevate da altri

iniziai a percepire la loro spontaneità e la loro

profondità tanto da sentirmi coinvolto fino a farle

mie. Il Signore prendeva possesso del mio cuore:

a porte chiuse Egli vi entrava portando la gioia

della Sua presenza. Cominciavo a desiderare

anch’io di manifestare esternamente quella gioia

84

Dio nella mia vita

che riempiva sempre più il mio cuore, ma notavo

l’atteggiamento freddo della persona che aiutavo,

e questo mi condizionava.

Alla fine della sessione mattutina del secondo

giorno, come di consueto, sulle note del canto

finale guidai la carrozzella verso l’uscita; avverti-

vo forte il desiderio di esprimere quella letizia che

ormai invadeva il mio cuore e mi chiedevo per-

ché non manifestare apertamente questi senti-

menti cantando ed esultando al pari degli altri:

era preghiera anche quella! D’istinto lasciai cam-

minare da sola la sedia a rotelle con tutta la ragaz-

za e iniziai a saltare e a cantare esternando così

anch’io la mia gioia in quella forma di preghiera!

Alla fine del canto piansi a lungo sentendomi

profondamente amato da Dio: Egli aveva così ini-

ziato in me un cammino di profonda conversione.

Mi trovai accanto una sorella, anch’essa toccata

nel cuore dal Signore, Maria Rosaria, e compresi

85

Rimini: Dio, lavoro e malattia

che la sua presenza in quel momento era provvi-

denziale e non casuale: resi così tangibili i senti-

menti d’amore che provavo nel cuore attraverso

un commovente abbraccio.

Ogni giorno percorrevamo con il pullman la

medesima strada, la parallela al lungomare di

Rimini, per recarci in Fiera: passavamo così

dinanzi ad un’agenzia di una banca presente su

quasi tutto il territorio nazionale e presso la quale

io, alla ricerca di un lavoro stabile e sicuro, avevo

presentato domanda di assunzione, così come

presso altri istituti di credito. Durante uno di que-

sti passaggi mi rivolsi a Fulvio e gli dissi: “Sai,

Fulvio, io ho fatto domanda in questa banca “. La

cosa finì lì.

Trascorse così anche l’ultimo giorno di quella

convocazione, che aveva segnato una svolta

importante nella mia vita; quel giorno ebbi anche

la gioia di veder sorgere il sorriso sulla mia assisti-

86

Dio nella mia vita

ta, anche lei finalmente sciolta dall’amore del

Signore. Durante il viaggio di ritorno sentii la

necessità di testimoniare quanto Dio in quei gior-

ni avevo operato in me.

Rientrato a Lecce, ricevetti una gradita quan-

to inaspettata telefonata da un funzionario della

banca che avevo indicato a Fulvio: mi invitava a

pochi giorni di distanza per un test di selezione.

Un evento inequivocabilmente provvidenziale:

numerose erano state le richieste di lavoro avan-

zate da me presso istituti di credito e aziende pri-

vate a carattere nazionale e venivo convocato

proprio da quella banca, quella stessa che avevo

notato durante il tragitto percorso ogni giorno a

Rimini!

Sostenni e superai tanto le prove scritte quan-

to le orali fino ad essere assunto, anche se a tempo

determinato; con sorpresa ancora più grande fui

assegnato proprio alla sede di Rimini! Mi fu chie-

87

Rimini: Dio, lavoro e malattia

sto quindi di presentarmi perché mi fosse indica-

to l’ufficio nel quale avrei lavorato. Per la prima

volta lasciavo la mia famiglia per andare a vivere

in un’altra città. Durante il viaggio mi sentivo

felice per quanto si stava realizzando a livello pro-

fessionale, anche se provavo malinconia per il

distacco dai miei.

Mi ero organizzato per trascorrere le prime

notti in albergo in attesa di reperire una diversa

sistemazione; arrivai a Rimini nel tardo pomerig-

gio di una domenica e, dopo essermi recato in

quell’hotel, decisi di avviarmi verso il luogo dove

mi sarei dovuto presentare l’indomani mattina, in

modo da poter essere puntuale. Nel cuore cresce-

va la sensazione di solitudine e quindi di malin-

conia, e tuttavia passeggiavo incuriosito da tutto

quanto mi circondava; arrivato sul posto, notai

una galleria; la percorsi e all’uscita spontanea-

mente alzai lo sguardo: scorsi un cartello con su

88

Dio nella mia vita

scritto: “Dio ti ama”. Trovare quel cartello esatta-

mente nel luogo dove mi dovevo presentare il

giorno dopo e leggerlo in quel momento in cui

sentivo necessità di affetto fu per me l’ennesima

prova dell’esistenza di un Dio che parla servendo-

si di qualunque cosa. Lo sentii in quel momento

presente accanto a me e percepii intensamente il

Suo amore e la Sua protezione.

Un’altra sorpresa la ebbi l’indomani mattina

quando mi fu assegnata la destinazione lavorativa:

era situata esattamente su quella strada che avevo

percorso ogni mattina per recarmi ai locali della

Fiera in occasione della convocazione del RnS, e

precisamente un isolato dopo la filiale che avevo

indicato a Fulvio! Era il 25 Giugno del 1990.

Ben presto trovai sistemazione in una stanza

concessami in locazione da una famiglia molto

accogliente e riuscii a far alloggiare in quella casa

anche un collega che aveva la mia stessa esigen-

89

Rimini: Dio, lavoro e malattia

za, Vincenzo. Lavoravo alacremente, ma cercavo

appena possibile di tornare a casa, anche solo per

un fine settimana, poiché, malgrado Rimini fosse

una città con elevata presenza di turisti e i resi-

denti fossero estremamente ospitali, mi sentivo

solo in mezzo a tanta gente.

Un venerdì, mentre attendevo in stazione l’o-

rario di partenza del mio treno, una ragazza,

notando che maneggiavo un computer destinato

alle informazioni ferroviarie, con fare gentile mi

chiese se potevo esserle d’aiuto in una sua analoga

ricerca. Mi misi a disposizione e feci del mio

meglio per reperire le informazioni che cercava.

Fu poi naturale, nell’attesa, il presentarsi e l’inizia-

re a conversare; il suo nome era Susy, ed era fidan-

zata con un ragazzo di nome Daniele. Nacque da

questa conoscenza casuale una bella amicizia.

Ebbi modo di recarmi a Savignano sul

Rubicone, dove vivevano, e lì conobbi tanti bra-

90

Dio nella mia vita

vissimi ragazzi che ricordo con molto affetto.

Rimasi favorevolmente colpito dal loro modo di

fare e dal rispetto reciproco che avevano.

Nessuna ragione era motivo di emarginazione: io

ero un cristiano, cattolico praticante, mentre loro

erano atei, ma questo non creava divisioni.

Soprattutto rimanevo colpito da come riuscivano

a coinvolgere persone che, a causa dei loro pro-

blemi, a volte notevoli, in altri ambiti avevo visto

discriminare.

Alcuni tra loro amavano ascoltare musica ed

anche suonare; spesso si incontravano per prova-

re alcuni brani con cui poi si sarebbero esibiti

nelle varie opportunità pubbliche che di tanto in

tanto avevano. Naturalmente la loro strumenta-

zione era di qualità, e immagino costosa; un gior-

no un ragazzo con problemi di alcolismo, che

spesso frequentava quegli amici, si trovò nel luogo

delle prove e espresse il desiderio di suonare;

91

Rimini: Dio, lavoro e malattia

notai con piacere come uno di loro gli cedette lo

strumento: iniziò così a suonare in modo confuso

quello strumento, ma gli altri componenti del

gruppo non lo derisero, al contrario cercarono di

stargli dietro nel ritmo fino a dargli la sensazione

di aver prodotto qualcosa di carino; andò via così

un po’ più soddisfatto di se stesso.

Presto si sarebbero dovuti esibire pubblica-

mente e mi chiesero se avrei voluto presentare io

il loro spettacolo. La cosa mi sarebbe anche pia-

ciuta, ma sicuramente non ne ero all’altezza e così

rifiutai, ma fui contento della richiesta. In realtà

a quel concerto non potei neanche assistere.

Il 17 Settembre 1990, un lunedì, arrivato alle

sei della mattina in treno da Lecce, come da un

po’ di tempo facevo, mi recai regolarmente in

ufficio, affrontando così una giornata molto diffi-

cile per la mole di lavoro e per la stanchezza fisi-

ca accumulata. Rientrai a casa spossato verso le

92

Dio nella mia vita

19,30; tanta era la fatica accumulata che decisi di

non cenare per andare subito a letto, e così feci.

Erano circa le 22,00 quando avvertii un dolore

abbastanza forte al petto.

Già in passato altre volte mi era capitato un

tale fenomeno, che avevo superato mantenendo-

mi tranquillo e magari mettendomi disteso. Decisi

di seguire la stessa prassi, ma essa non sortì nessun

giovamento, anzi avvertii un acuirsi del dolore,

tanto che respiravo con difficoltà. Dopo un po’

decisi che la cosa migliore era andare in ospedale

perché i sanitari mi dessero un aiuto, ma non ero

in condizione di farlo autonomamente; bussai

allora alla porta di Vincenzo, che nel vedermi in

quello stato si mise subito a disposizione, malgra-

do fosse già a letto; appena pronto, mi accompa-

gnò in ospedale: era chiaro che non stessi bene,

ma non ci si poteva certo immaginare che fossi in

fin di vita.

93

Rimini: Dio, lavoro e malattia

Una volta giunti, Vincenzo lasciò l’auto nel

parcheggio mentre io percorsi a piedi la salita fino

all’ingresso del Pronto Soccorso, dove arrivai stre-

mato. Fu una delle poche volte che non rispettai

la fila; mi visitarono immediatamente e mi som-

ministrarono dei farmaci che sul momento cal-

marono quei sintomi.

Pensavo che tutto era ormai passato e che

quindi potevo tornare a casa per riprendere il

giorno dopo il mio lavoro, a cui tenevo molto. Mi

sbagliavo: i medici, pur non dicendomi la verità,

mi chiesero di ricoverarmi per quella notte per

consentire loro di effettuare accertamenti più

approfonditi; mi opposi perché pensavo che l’in-

domani mattina non mi sarei potuto presentare al

lavoro; Vincenzo provò a rassicurarmi dicendomi

che avrebbe provveduto lui ad avvisare i respon-

sabili della banca, ma mi rifiutai ugualmente; tut-

tavia insistettero fino a convincermi.

94

Dio nella mia vita

Notai però che non mi permisero neppure di

slacciarmi le scarpe; fu un infermiere molto genti-

le a farlo per me, così come mi spogliò e mi portò

in una stanza dove mi collegò ad una serie di appa-

recchiature. Mi veniva da piangere: volevano

farmi degli accertamenti e intanto non mi con-

sentivano di muovermi, costringendomi a rima-

nere a letto anche per urinare. Vedevo quelle mac-

chine munite di video che tracciavano delle linee

per me incomprensibili ed emettevano strani

suoni, e mi chiedevo con sempre maggiore insi-

stenza cosa stesse accadendo che mi veniva inve-

ce nascosto. La notte trascorse mentre i sanitari

completavano gli accertamenti per confermare la

loro diagnosi, che a me era ancora sconosciuta.

Al mattino si presentò un’infermiera che

doveva effettuare la mia pulizia personale; rifiutai

categoricamente: tenevo al mio pudore, e poi cre-

devo ancora di poter tornare a casa, dove avrei

95

Rimini: Dio, lavoro e malattia

potuto provvedervi da me. Un medico mi chiese

di avvertire i familiari, ma anche di questo non

vedevo la ragione e quindi non acconsentii, chie-

dendo al contrario che mi fosse spiegato prima

che cosa stava accadendo; malgrado fossi insi-

stente, non ottenni alcuna spiegazione; mi fu

detto tuttavia che era stato disposto il mio trasfe-

rimento all’Ospedale S.Orsola di Bologna: mi

vidi così costretto a fare un nome e chiesi che

fosse informato mio fratello Angelo.

Mi accompagnò in barella all’ambulanza

un’infermiera che mi chiese se avessi mai fatto del

cateterismo, ma io ignoravo persino il significato

di questa parola. Mi sentivo solo: tutti sapevano

cosa stesse accadendo meno che io. Ringrazio Dio

perché Egli nella mia disperazione, tra le lacrime

discrete che, per la posizione assunta, scendevano

verso i capelli, mi donò la forza di dirgli con fede:

“Sia fatta la tua volontà”. Da quel momento prese

96

Dio nella mia vita

Lui le redini della mia vita.

Mio fratello mi raggiunse a Bologna poco dopo

il mio arrivo. Angelo mi conosceva bene e sape-

va che per me era importante sapere cosa stesse

accadendo: chiese così che mi fosse spiegata ogni

cosa. Strano a dirsi, trovai maggiore serenità

quando mi fu spiegato nel dettaglio quello che era

accaduto, malgrado fosse molto grave; in realtà

potevo così concentrarmi sul nemico contro cui

avrei dovuto combattere.

L’arteria principale che dal ventricolo sinistro

del cuore si dirama in tutte le parti del corpo

umano, l’aorta, si era dilatata nel primo tratto da

circa 3 cm a 8/10 cm, e iniziava a lacerarsi; tutto

ciò era riconducibile alla lassità del famoso tessu-

to connettivo, conseguenza della mia malattia

genetica. Il ventricolo sinistro si era anch’esso

dilatato, a causa del maggiore afflusso di sangue,

fino a comprimere i polmoni, causandomi così la

97

Rimini: Dio, lavoro e malattia

difficoltà respiratoria. La situazione era davvero

molto pericolosa.

Venni operato d’urgenza e in un delicatissimo

intervento mi furono sostituiti il tratto difettoso

dell’aorta e la relativa valvola con parti artificia-

li. Superai, grazie al buon Dio, anche questo osta-

colo. Gli altri organi lentamente si ridimensiona-

rono riacquistando, grosso modo, le dimensioni

naturali; io cercai di recuperare le mie forze

durante una lunga degenza.

Più volte mi sono confrontato su quell’opera-

zione con diversi cardiologi, i quali mi hanno

detto che all’epoca a Lecce non c’erano gli stru-

menti adeguati e l’esperienza necessaria per fron-

teggiare una simile emergenza. Provvidenziale fu

quindi lavorare in quelle zone del nord Italia, dove

potei trovare le giuste cure e avere salva la vita.

Spesso dico che “il mio Signore” mi ha dona-

to per ben due volte la vita: il giorno in cui fui

98

Dio nella mia vita

generato e in questa occasione. Il recupero non fu

semplice, ma ogni giorno sperimentavo la

Provvidenza notando nuovi miglioramenti.

Come sempre la famiglia fece scudo attorno a me

non facendomi mancare il suo affetto, importan-

te per me più d’ogni altra cosa in queste circo-

stanze. Anche questa volta i disagi furono tanti,

ma il buon Dio ci diede la forza di superarli

donandoci una grande fede e la capacità di spera-

re contro ogni speranza. Alla fine della degenza

ospedaliera feci ritorno a casa, sia perché mi

aspettava una lunga convalescenza sia perché il

contratto con la banca, che era a tempo determi-

nato, era ormai giunto a scadenza.

Ebbe termine proprio in quel periodo la rela-

zione sentimentale che conducevo da qualche

tempo con una ragazza di Lecce: malgrado fossi

convinto che non si trattava di un rapporto che

lasciasse pensare a risvolti positivi per il futuro,

99

Rimini: Dio, lavoro e malattia

mi addolorava che si fosse chiuso proprio in occa-

sione della mia malattia.

Il 22 Novembre 1990 ricevetti inoltre una

spiacevole lettera dell’istituto di credito, che tra

l’altro diceva: “… ben difficilmente questa Banca

avrà la possibilità di offrirle un nuovo contratto di

lavoro…”; era evidente il nesso tra la malattia e

tale comunicazione.

Mi rendevo conto di dover ricominciare da

capo nella costruzione della mia esistenza. Ma

sapevo di poter contare su Dio.

100

Dio nella mia vita

Momenti di passaggio

E ro cosciente di dover rendere grazie a Dio

perché era salva la mia vita, ma mi ritrova-

vo in una condizione difficile. Spesso ci riesce più

facile soffrire per quanto non abbiamo o per quan-

to ci è stato tolto che non gioire per quanto ci è

stato concesso di conservare. Mi rendo conto che

in quel periodo, malgrado la Provvidenza, ero tur-

bato da tante contrarietà nella mia vita. D’un trat-

to quanto avevo nel tempo pazientemente costrui-

to era andato distrutto. Il vuoto attorno a me sem-

brava crescere ogni giorno di più. Anche gli amici

di Lecce, in un primo momento, non li vidi accan-

to a me, e mi sentii come emarginato da parte loro

a causa del loro improvviso silenzio, senza capire

quale potesse esserne la ragione. La mia solitudine

era colmata unicamente dalla presenza viva di

Dio.

103

Ero a Lecce, ma il mio pensiero correva soven-

te a Rimini, a quei ragazzi da poco conosciuti e

così affettuosi nei miei confronti. Li ricordavo nel

loro modo di fare e di essere, per come erano veri;

ricordavo quando, malgrado la distanza, erano

venuti in ospedale a trovarmi e mi avevano porta-

to la musicassetta con incise le canzoni cantate

durante quel concerto a cui non avevo potuto par-

tecipare: in quel giorno io ero stato nel loro cuore,

e questo era stato per me il regalo più bello, che mi

commuove ancora al solo ripensarci. Il mio cuore

era rimasto legato a quella terra e a quella gente,

che mi aveva accolto in modo autentico, per nes-

suna altra ragione se non per quello che ero.

L’affetto e il desiderio di rifarmi una vita mi

spinsero, anche se non ero ancora nel pieno delle

mie forze, a prendere la macchina e a tornare in

quei luoghi. Il futuro nella mia vita lo vedevo lì e

non altrove. Arrivato a Rimini, l’accoglienza fu

104

Dio nella mia vita

quella che si potrebbe riservare ad un re. La gioia

che mi fu manifestata nel rivedermi mi toccò pro-

fondamente il cuore.

Daniele, che tutti chiamavamo Lele, mi ospitò

nella sua villetta al mare, distante giusto qualche

chilometro da Savignano sul Rubicone, dove abi-

tava lui con la sua famiglia. Una sera Daniele ed

io arrivammo a casa sua; la madre, ancora in

piedi, aveva lasciato, come in ogni famiglia, qual-

cosa di pronto per il figlio: mi accolse con calore

come un membro della famiglia, in quel momen-

to davvero un po’ mia, e m’invitò a condividere

con Daniele la semplicità di quel pasto. Sapere di

essere amati è fondamentale, soprattutto nei

momenti difficili.

Mi trovavo di nuovo, come desideravo, tra le

persone che mi avevano dimostrato più affetto, e

che continuavano manifestarlo: i miei amici atei.

Durante il mio soggiorno feci un tentativo

105

Momenti di passaggio

disperato: mi recai dal capo del personale della

banca, la stessa persona che mi aveva assegnato la

prima destinazione lì a Rimini, e provai a docu-

mentargli che mi ero ristabilito ed ero ancora in

grado di svolgere il mio lavoro. Egli non poté

darmi alcuna rassicurazione, ma mi garantì un suo

interessamento. Non avendo ottenuto una certez-

za, iniziai a guardarmi attorno per trovare possibi-

li alternative lavorative che mi consentissero di

stabilirmi definitivamente in quei luoghi.

Tornai a Lecce. Soffrii molto, moralmente, in

quel periodo: sapevo dagli amici più fedeli che

della mia malattia si parlava parecchio negli

ambienti dove ero cresciuto, e magari anche a

sproposito. E’ scontato infatti che, presi dieci

individui, se si racconta al primo una storia e gli

si chiede successivamente di fare altrettanto col

secondo e poi a costui a sua volta col terzo e così

via, il decimo riferirà un’altra storia che ha poco

106

Dio nella mia vita

in comune con quella originale. Questo è l’em-

blema di quanto accadeva, mio malgrado, a

riguardo della mia storia, facendomi soffrire.

La malattia era già stata difficile da accettare

di per se stessa, ancora più difficile era sapere che

di essa erano a conoscenza altri, ma era insoppor-

tabile rendermi conto che nella mente di molte

persone che mi conoscevano ero ormai conside-

rato un malato terminale afflitto da mali inimma-

ginabili. Ecco perché nasceva in me il desiderio di

rivalsa nei confronti di questa gente, verso la

quale volevo usare il modo più evidente per con-

trastare la loro opinione: dimostrare, nel silenzio

del mio agire, che il buon Dio mi aveva donato la

salute, nonché tante altre doti tali da permetter-

mi una vita simile alla loro, se non migliore.

Nei primi mesi del 1991 mi venne nuovamen-

te proposto di partecipare al Convegno nazionale

del RnS a Rimini, e questa volta vi partecipai con

107

Momenti di passaggio

più entusiasmo. Affidai alla preghiera ogni mio

dolore e la risposta divina non tardò ad arrivare.

Nel Rinnovamento la Sacra Scrittura, per

un’intima ispirazione profetica dello Spirito

Santo, viene aperta e ne viene letto il passo che

gli occhi e soprattutto il cuore sentono come

rivolto da Dio personalmente a noi. Nella sessio-

ne mattutina del secondo giorno, durante la litur-

gia penitenziale, mi fu fatto dono da Dio di que-

sta parola profetica:

“Dice il Signore:“Trattieni la voce dal pianto, i

tuoi occhi dal versare lacrime, perché c’è un compen-

so per le tue pene.”” (Ger .31, 16) .

Scoppiai in un pianto a dirotto: Dio mi aveva

parlato attraverso quella Parola portando confor-

to al mio cuore e imprimendo in me la certezza

del Suo diretto intervento nella mia vita.

In un altro momento della convocazione mi

lasciò anche un insegnamento:

108

Dio nella mia vita

“Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi

di quello che mangerete o berrete, e neanche per il

vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse

non vale più del cibo e il corpo più del vestito?

Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mie-

tono, né ammassano nei granai; eppure il Padre

vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di

loro?” (Mt. 6, 25-27) .

Era chiaro l’invito a vivere ancor più all’inse-

gna dell’abbandono incondizionato alla

Provvidenza e a confidare nel suo aiuto in ogni

momento della mia vita ed in ogni suo aspetto,

tanto spirituale quanto materiale.

E, in effetti, la Provvidenza non tardò ad arri-

vare: al ritorno da quella convocazione ricevetti

la telefonata, ben gradita, ma ancora una volta

inaspettata, di un funzionario della stessa banca

presso cui avevo prestato servizio, che mi chiede-

va di presentarmi per un nuovo incarico a tempo.

109

Momenti di passaggio

Questa volta fui destinato a Villamarina di

Cesenatico, un paese vicino a Rimini e soprattut-

to vicino al luogo dove risiedevano i miei amici,

Savignano sul Rubicone: Dio, ancora una volta,

si prendeva cura di me ed esaudiva i miei deside-

ri. Presi servizio il 13 Maggio del 1991.

La scoperta nel 1990 del Rinnovamento nello

Spirito aveva permesso che, malgrado le circo-

stanze dolorose della mia vita, non perdessi la

fede; anzi, proprio in questo periodo continuai a

rafforzare questo dono, non interrompendo mai il

cammino. Nonostante, infatti, frequenti sposta-

menti dovuti al lavoro, non smisi di frequentare

un gruppo del Rinnovamento, scegliendone uno

per ogni città in cui mi venivo a trovare. Sebbene

la mia vita non fosse del tutto coerente con l’inse-

gnamento cristiano, mi sentivo amato da Dio per

quello che ero, nel corpo, nella psiche e nello spi-

rito, ed Egli mi donava quella pace intima che

110

Dio nella mia vita

altrove non potevo trovare. Il cammino di cresci-

ta spirituale da compiere era tuttavia ancora

lungo.

Il tempo trascorse molto rapidamente: ben

presto giunse a scadenza anche il nuovo contrat-

to di lavoro e dovetti così, a malincuore, ritorna-

re a casa. Nei miei desideri volevo che la mia vita

continuasse lì, tra quella gente, in quei luoghi.

Ogni occasione era propizia per partire e tornare

là alla ricerca di un lavoro stabile o anche solo per

trascorrere poche ore.

Una Domenica mattina, a Lecce, era pronto

per recarmi in Chiesa, dove avrei partecipato

all’Eucarestia, quando mi venne a trovare un cugi-

no che poco più tardi sarebbe dovuto partire per la

Germania. Senza riflettere gli chiesi se mi avrebbe

potuto dare un passaggio per Rimini, che non mi

rifiutò. Con rapidità infilai in una borsa l’indi-

spensabile e partii capovolgendo ogni programma

111

Momenti di passaggio

fatto per quel giorno. Susy, nel vedermi, sponta-

neamente mi disse: “Arturo, per te l’Italia è

corta!”.

Nei diversi soggiorni effettuati presso Rimini

da Novembre 1991 a Marzo 1992 riuscii ad otte-

nere più colloqui presso istituti di Credito del

luogo e aziende private, e a sondare anche con-

crete opportunità di lavoro. Stavo valutando

inoltre, insieme a Lele, la possibilità di intrapren-

dere un’attività autonoma quando, alla fine di

Marzo del 1992, la banca che mi aveva dato lavo-

ro negli anni precedenti mi comunicò che era

stata deliberata la mia assunzione definitiva pres-

so la sede di Lecce con contratto di formazione.

La mia vita, grazie all’aiuto puntuale di Dio, ini-

ziava a trovare degli equilibri su cui costruire nuo-

vamente, ma con uno spirito diverso.

Quasi involontariamente, cercando di dimenti-

care quanto era accaduto fino a quel momento,

112

Dio nella mia vita

ripresi a frequentare quegli ambienti della mia

città nei quali ero cresciuto, tornando però ben

presto a urtarmi con quelle persone che avevano

reso pubblica e avevano distorta la mia sofferenza.

Conobbi intanto una ragazza con la quale ini-

ziai a frequentarmi: nacque così una simpatia reci-

proca, prontamente smorzata proprio da quanti,

spinti da un senso di paterna responsabilità verso

di lei, avevano con solerzia proferito ogni sorta di

diceria sulla mia salute. Un noto cantautore scri-

ve infatti in una sua canzone: “… la gente dà

buoni consigli sentendosi un po’ come Gesù nel

tempio …”. La mia unica forza era in quella

Parola di Dio concessami a Rimini nel 1991: “…

c’è un compenso per le tue pene”.

In occasione delle festività Pasquali del 1993,

in accordo con alcuni dei miei amici di Rimini,

decidemmo di incontrarci per effettuare insieme

un viaggio a Strasburgo, dove avremmo trovato

113

Momenti di passaggio

un nostro amico che era già lì per ragioni di stu-

dio. Fu un’esperienza meravigliosa: trascorremmo

delle giornate indimenticabili nella spensieratez-

za e nella gioia dello stare insieme. Tra noi vi era

un ragazzo del Canada, il quale conosceva solo

l’inglese e il francese: era divertente vederci

comunicare; io non conosco il francese, e di

inglese ho unicamente una preparazione scolasti-

ca di base, per cui conversai con lui alternando la

gestualità a parole italiane e inglesi: avrei fatto

impallidire i miei professori! Il fatto ci divertì

tanto che con i miei amici lo ricordiamo ancora

quando ci rivediamo. Nella semplicità dei gesti e

delle parole trovavo quell’affetto che desideravo.

114

Dio nella mia vita

Il dono della famiglia e del servizio

P asqua del 1993 segnò veramente la

resurrezione nella mia vita. Tornato da

Strasburgo, nel cuore avevo molta serenità e

gioia, perciò le prime sere a Lecce decisi di tra-

scorrerle nella tranquillità della mia casa, quasi

desiderassi così conservare più a lungo questo

stato d’animo. Alcuni dei miei amici che fre-

quentavo più di sovente mi vennero però a trova-

re per invitarmi ad uscire. Stefano, in particolare,

tenne ad informarmi circa una nuova presenza

femminile tra loro. Il fatto che egli mi evidenzias-

se questa novità m’induceva chiaramente a riflet-

tere: immaginavo che nei suoi pensieri stesse con-

siderando un possibile mio interessamento a lei, il

che mi poneva in imbarazzo.

Non aveva però torto. Alla prima occasione

d’incontro con Anna Maria fui colpito dalla sua

117

bellezza; non volli tuttavia avvicinarmi a lei per

approfondirne la conoscenza unicamente perché

avrei avvertito lo sguardo indiscreto dei miei

amici. Più avanti nuove occasioni d’incontro mi

diedero questa possibilità, lasciandomi scoprire la

sua dolcezza e la sua semplicità. Nacque così l’esi-

genza reciproca di frequentarci maggiormente,

per cui non ci furono più sufficienti gli incontri

serali in compagnia degli amici: ogni giorno che

trascorreva cercavamo insieme l’opportunità per

stare insieme perché cresceva in entrambi il desi-

derio spontaneo di rivelarsi, di conoscersi e quin-

di di innamorarsi sempre più. Stava iniziando

quella che per me sarebbe stata la grande storia

d’amore della mia vita.

Complice dei nostri incontri era sempre più

spesso il mare: amavo la natura e quanto era in

essa e, mentre restavo a guardare le meraviglie del

creato insieme con Anna Maria, meraviglia tra le

118

Dio nella mia vita

meraviglie, il tempo trascorreva troppo in fretta,

senza che nemmeno me ne rendessi conto. La sua

bellezza aveva colpito il mio sguardo, la sua sem-

plicità mi stava conquistando, la sua dolcezza mi

stava legando. Nel mio cuore, però, cresceva

naturalmente il dubbio se anche lei provasse simi-

li emozioni. Ancora più forte era la paura di sof-

frire per un suo rifiuto, magari causato dalla cono-

scenza delle mie condizioni di salute.

Così, tra i tanti interrogativi che si ponevano

nella mia mente, il 16 maggio 1993, nella splendi-

da cornice della costa adriatica salentina, in una

mattina assolata, le manifestai i miei sentimenti

iniziando timidamente ad offrirle il mio affetto,

desideroso di donare e ricevere amore. La sua rispo-

sta fu quella che il mio cuore sperava. Le barriere

delle incertezze pian pianino erano state abbattute,

e mi sentivo sempre più libero di amarla.

La barriera più alta da superare era però la

119

Il dono della famiglia e del servizio

paura di metterla a conoscenza dei miei problemi

di salute. Era quindi importante che io lo facessi

prima che altri si prendessero tale impegno, maga-

ri alterando la realtà. Spesso mi recavo a

Sannicola, paese in provincia di Lecce nel quale

lei viveva con la famiglia, per trascorrere alcune

ore in sua compagnia. Uscivamo alla ricerca di

luoghi che potevano accoglierci, preferendo il

mare vicino, lo Ionio, e precisamente Santa

Caterina. Questa località, a me cara fin dall’adole-

scenza, fu testimone di un altro splendido momen-

to, il più importante, della mia vita: proprio su una

scogliera di questo splendido tratto di costa trovai

il coraggio di parlarle della mia sofferenza.

Io per primo non avevo mai accettato la mia

malattia, tentando sempre di dimenticare che esi-

stesse, per cui era estremamente difficile, in quel

momento, dirlo alla persona della quale ero inna-

morato e la cui reazione mi avrebbe potuto pro-

120

Dio nella mia vita

fondamente ferire. Non esistono parole giuste per

dire certe cose. Sicuramente utilizzai le meno

opportune: tra l’altro le rivelai che, accogliendo-

mi nella sua vita, come compagno col quale for-

mare una famiglia, avrebbe dovuto accettare

anche il rischio di generare figli affetti dalla mia

stessa malattia. Mi rispose lasciandomi sorpreso:

“E’ una mia scelta”, e poi aggiunse: “Ero già infor-

mata …”. Mi diede una lezione d’Amore, quello

che non conosce barriere ed è autentico e pro-

fondo sentimento.

Appresi solo più tardi che suo padre, da cara-

biniere quale era, aveva chiesto notizie al mio

Parroco circa la mia rettitudine; il sacerdote

aveva ritenuto opportuno metterlo a conoscenza

sia della mia presunta buona moralità sia delle

mie non ottimali condizioni di salute.

Mi rammaricai nell’apprendere questo retro-

scena, perché ancora una volta la mia salute era

121

Il dono della famiglia e del servizio

stata oggetto di conversazioni. In seguito, riflet-

tendo, apprezzai il comportamento di chi poi

sarebbe diventato mio suocero. Egli, benché desi-

derasse il meglio per la figlia, non si oppose alla

sua scelta lasciandola libera di vivere il proprio

sentimento. Vivemmo così splendidi giorni tene-

ramente innamorati e decidemmo di ufficializzare

il nostro rapporto. Conobbi la sua famiglia e lei la

mia. Nessuno poteva sostituire il mio padre natu-

rale, però mio suocero riuscì a donarmi quell’af-

fetto che mi mancava e che desideravo.

Anna Maria, che condivideva la mia esperien-

za di fede, conobbe il RnS tramite me. Fu poi una

sua scelta autonoma quella di proseguire insieme

con me questo cammino. Per questa ragione, seb-

bene io frequentassi abitualmente un gruppo

nella mia città, scelsi di frequentarne uno che si

riuniva per gli incontri settimanali a Casarano,

un paese più vicino a Sannicola. Piacevole è il

122

Dio nella mia vita

ricordo che conservo di quegli incontri, ricchi di

fede e di entusiasmo.

Decisi quindi di prepararmi a ricevere una pre-

ghiera per una nuova effusione dello Spirito

Santo tramite la partecipazione ad un seminario

di “vita nuova nello Spirito”: si tratta di un corso

spirituale che è alla base del Rinnovamento, in

cui si riprendono i temi fondamentali della fede

allo scopo di scegliere Cristo Gesù come unico

Signore della vita e di chiederGli di rinnovare in

noi il sacramento del Battesimo e il dono dello

Spirito Santo. Fummo in molti a frequentarlo, e

la partecipazione fu molto intensa. I responsabili

del gruppo organizzarono per il giorno di

Pentecoste del 1993, in un palazzetto dello sport

molto grande, la preghiera per una nuova effusio-

ne dello Spirito Santo per tutti noi (detti effusio-

nandi).

Una volta giunti, ci accomodammo sulle sedie

123

Il dono della famiglia e del servizio

sistemate al centro del terreno di gioco. Sugli

spalti vi erano invece i fratelli che già negli anni

precedenti avevano ricevuto questo prezioso

dono di preghiera (detti effusionati); vi erano poi

anche coloro che aspiravano a riceverlo in futuro,

come Anna Maria, e quelli che per la prima volta

si avvicinavano al movimento. Certamente erano

tutti uniti nella preghiera d’intercessione al Padre

perché effondesse nuovamente con generosità il

suo Santo Spirito, rinnovando i suoi santi doni

per quanti glielo stavano chiedendo:

“Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace,

pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza,

dominio di sé” (Gal. 5, 22).

Dei fratelli, “anziani” nel cammino nel movimento,

avevano il compito di pregare in modo particolare per

ognuno di noi effusionandi, anche imponendoci le mani

in segno di fraternità, perciò essi cominciarono a dispor-

si alle nostre spalle, uno per ciascuno.

124

Dio nella mia vita

Più volte avevo avuto il dono di scambiare

idee ed opinioni con una sorella anziana non

vedente, Michela, nei confronti della quale nutri-

vo grande stima. Ero anche convinto che la sua

condizione fisica le permettesse di avere una

“vista” particolare, quella del cuore, per cui nella

mia mente era radicata la convinzione che lei

avesse una spiritualità speciale. Vedendola in quel

momento accostarsi ad un altro fratello pensai tra

me: “Beato lui, poiché avrà come intercessore

presso Dio un’anima così nobile”. Al termine di

questo mio pensiero, per ragioni organizzative ci

chiesero di alzarci dalle sedie per poi ridisporci,

perciò coloro che avevano il compito di pregare

per noi si allontanarono. Una volta ridisposti,

notai che ogni fratello effusionando aveva accan-

to chi avrebbe pregato per lui, mentre accanto a

me non si era ancora avvicinato nessuno. Mi vol-

tai indietro quasi cercando chi avrebbe avuto

125

Il dono della famiglia e del servizio

desiderio nella carità di pregare per me. Tra la

gente vidi così spuntare Michela, che si dirigeva

decisamente verso di me.

Non ricordo con esattezza ciò che mi disse, ma

di certo manifestò l’intenzione di pregare per me.

Per me fu già questo un segno della presenza ope-

rante di Dio, che aveva letto nel profondo del

mio cuore. Egli avrebbe potuto effondere il Suo

Spirito e rinnovare i Suoi santi doni attraverso la

preghiera di qualunque fratello, ma volle accon-

tentarmi anche in questo donandomi lei e la sua

invocazione semplice e pura.

Lo Spirito Santo riaccese così in me la fiamma

della Sua presenza, che, con la mia tiepidezza spi-

rituale, avevo lasciato spegnere nel mio cuore.

Alla conclusione di questo momento toccante

non potei trattenere le lacrime: la mia fede stava

trovando una dimensione più autentica.

Nell’apertura profetica della Parola il Signore

126

Dio nella mia vita

m’invitava alla testimonianza di quanto egli aveva

operato in me; all’epoca non compresi il significa-

to profondo di quella profezia: solo oggi, nello scri-

vere simili ricordi, mi rendo conto che attraverso

quest’autobiografia sto compiendo la Sua volontà

annunciata da quella Parola. L’effusione costituì

una svolta nel mio cammino di fede: da quel

momento proclamo Gesù Signore della mia vita;

confidenzialmente lo chiamo “il mio Signore”.

La condivisione con Anna Maria di questo

momento fondamentale del cammino spirituale

da me intrapreso contribuì a rendere questo un

tempo di grazia piena. Ci conoscevamo da poco

tempo e già avevamo condiviso un aspetto fonda-

mentale della vita d’ogni individuo: la spiritualità.

Partecipando all’esperienza del Rinnovamento,

avevamo dichiarato implicitamente la nostra

volontà di svolgere un cammino di fede in conti-

nua conversione per aspirare al modello d’Amore

127

Il dono della famiglia e del servizio

per eccellenza, quello che ci aveva lasciato Cristo

Gesù. Non eravamo, come non siamo oggi, giova-

ni diversi dagli altri, ma sentivamo nel cuore che

la via da seguire per la felicità vera era questa. Pur

nella diversità di doni, concordavamo sui valori a

cui aspirare nella vita; inoltre ormai desideravamo

entrambi la benedizione di Dio sulla nostra unio-

ne per mezzo del Sacramento del Matrimonio, ed

eravamo disposti ad accettare il dono dei figli, se

Egli ce lo avesse concesso.

Un mare di difficoltà ci attendeva per arrivare al

Matrimonio, e per questa “traversata” decidemmo che il

timone della nostra nave sarebbe stato nelle mani di Dio.

Proseguimmo così il cammino nel RnS, e la preghiera

carismatica cattolica fu lo strumento per mezzo del quale

noi parlavamo con Dio nel modo più semplice, attraver-

so un cuore aperto alla lode e al ringraziamento, ed Egli

a Sua volta c’illuminava per mezzo della Sua Parola, ispi-

rata dallo Spirito Santo.

128

Dio nella mia vita

Una Domenica, giorno del Signore e festa del-

la famiglia, decidemmo di partecipare all’Euca-

ristia in una chiesa di Gallipoli. Apprezzammo la

profondità delle parole pronunziate dal parroco,

Don Raffaele, durante l’omelia e rimanemmo col-

piti dalla sua affabilità e dall’attenzione che egli

dedicava alle famiglie ed ai bambini. Proprio circa

quest’ultimo aspetto mi è rimasto impresso il

momento in cui, durante l’omelia, chiese ad una

madre, che stava lasciando la chiesa preoccupata

del fastidio che il suo bambino stava causando, di

rimanere al proprio posto.

Immagino non sia facile predicare con un

bambino che disturba; egli comprendeva però

che, perché quella donna partecipasse alla Santa

Messa, l’unico modo fosse accettare la presenza di

suo figlio. Io sono convinto, d’altra parte, che i

bambini percepiscono a livello istintivo ciò che

accade attorno a loro, e quindi anche il messaggio

129

Il dono della famiglia e del servizio

della festa che con la famiglia si sta celebrando

nell’Eucaristia.

Da quel momento Don Raffaele divenne il

punto di riferimento e la guida spirituale del

nostro cammino di coppia. Decidemmo quindi di

frequentare presso la sua chiesa il corso prematri-

moniale, malgrado non fosse quella la nostra par-

rocchia. Don Raffaele, con i suoi doni spirituali,

aveva attratto le nostre vite facendoci innamora-

re sempre più di Cristo, e di conseguenza sempre

più l’uno dell’altro.

Giungemmo al Matrimonio, dopo appena

quattordici mesi di fidanzamento, desiderosi

com’eravamo di intraprendere la vita a due.

Avevamo superato ogni ostacolo grazie alla

Provvidenza, che si era manifestata anche attra-

verso l’aiuto delle nostre famiglie.

“Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua

madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola

130

Dio nella mia vita

carne. (Gen 2,24).

Due vite diventavano una sola, ma per ogni

coppia arrivare ad una perfetta simbiosi è frutto di

un cammino, e questo cammino volevamo per-

correrlo anche noi. Le diversità caratteriali emer-

gevano sempre più, ma con l’aiuto di Dio le supe-

ravamo. Anelavamo a quell’Amore perfetto che

Cristo ci aveva insegnato. A volte ci scoprivamo

non solo diversi, ma anche opposti, tuttavia cer-

cavamo d’amarci nonostante tutto, sacrificando

ciascuno il proprio io. Questo cammino senza fine

richiedeva impegno e preghiera in qualsiasi

momento, ma rinsaldava il nostro sentimento

facendoci riscoprire ogni giorno più innamorati.

Fino ad allora avveniva spontaneamente che

la mia preghiera fosse rivolta ad una delle tre

Persone della Santissima Trinità. Raramente

rivolgevo il mio pensiero a Maria, la madre di

nostro Signore Gesù Cristo. Avvertivo nel mio

131

Il dono della famiglia e del servizio

cuore la mancanza di questo riferimento, e iniziai

così a pregare Gesù, suo figlio, perché mi condu-

cesse ad una scoperta profonda del mistero della

Sua incarnazione nel grembo di Maria.

Una sera mi accinsi a raggiungere il luogo dove

mi sarei dovuto incontrare con i miei fratelli del

RnS per pregare, e utilizzai una comune busta per

la spesa per riporre la Bibbia e il libro dei canti.

Una volta arrivato, misi un’intenzione particola-

re nella preghiera, chiedendo appunto una più

forte devozione verso Maria. Tornato a casa, nello

svuotare il sacchetto di plastica mi accorsi che

oltre alla Bibbia e al libro dei canti vi era una

madonnina in metallo, giunta lì per vie a me

ancora sconosciute. Quest’evento segnò per me

l’inizio di una profonda conversione a Maria.

Quella piccola statua, rinvenuta misteriosamente,

significò l’ascolto della mia richiesta da parte di

Gesù: Egli stesso da quel giorno chiese a Maria di

132

Dio nella mia vita

essermi accanto nel cammino spirituale e, in

generale, nella mia vita, e da quel momento la

benedizione di Maria fu presente su me e sulla mia

famiglia. Io e mia moglie maturammo cosi la scel-

ta di consacrare le nostre vite al Sacro Cuore di

Gesù e al Cuore Immacolato di Maria, cosa che

avvenne, attraverso la preghiera e la guida di don

Raffaele, il 20 Novembre 1994.

Già da qualche tempo un lieto evento allieta-

va la nostra unione: l’attesa di un bambino. Mi

sentivo impreparato per tale responsabilità, così

com’ero impensierito dalla possibilità di lasciare

la pesante eredità della mia malattia a questa

creatura, ma la fede che il Signore aveva infuso

nel mio cuore e in quello di Anna Maria ci dona-

va la certezza di confidare in un Dio a cui nulla é

impossibile. Scegliemmo cosi di non fare alcu-

n’indagine diagnostica al fine di evitare di venire

a conoscenza dell’eventuale presenza di malattie,

133

Il dono della famiglia e del servizio

rifiutando oltretutto l’ipotesi di un aborto. Il

Signore ci aveva donato la serenità nel cuore e

noi eravamo pronti ad accettare la Sua volontà.

Molti ci giudicarono per questo irresponsabili. La

grazia di Dio, però, si manifestò nella Sua onni-

potenza il 23 Dicembre 1994, giorno nel quale

nacque Domenico, un bambino splendido e sano.

Quel giorno c’eravamo recati in ospedale per

un tracciato di routine, senza prevedere che i

medici avrebbero suggerito il ricovero ad Anna

Maria per l’imminente nascita. Avvertii imme-

diatamente le famiglie affinché ci raggiungessero.

Traspariva dal mio volto la tensione, e le ostetri-

che, che notarono il mio stato d’animo, consi-

gliarono ad Annamaria, malgrado fosse prossimo

il parto, di venire da me a tranquillizzarmi. Poco

dopo nacque Domenico; non riuscii a manifesta-

re la mia felicità se non scoppiando in un pianto

a dirotto. Mi recai prontamente nella vicina cap-

134

Dio nella mia vita

pella, così come avevo fatto in precedenza, per

piegare le ginocchia di fronte a quel Dio che non

aveva smesso mai di benedire me e la mia fami-

glia. Le nostre famiglie ci raggiunsero poco dopo

e dividemmo con esse questa gioia.

Anna Maria volle decidere lei il nome del

bambino e scelse quello di mio padre, lasciando-

mi lusingato. Ancora più grande fu la gioia di sco-

prire l’etimologia del nome Domenico, che signi-

fica “appartenente al Signore”. Desideravamo che

egli ricevesse subito il dono del Battesimo, ma

volevamo porre l’accento sull’importanza di tale

sacramento, così decidemmo di attendere la

Pasqua per celebrare il rito nella notte della luce

e della Resurrezione.

Avevamo intanto deciso di vivere a Lecce, e lì

iniziammo a frequentare un gruppo del RnS.

L’organo pastorale preposto alla guida di questo

gruppo, da poco nato, fece discernimento al fine

135

Il dono della famiglia e del servizio

di conoscere i doni (detti “carismi”) dispensati

dallo Spirito Santo ad ogni battezzato per la cre-

scita del movimento e quindi della Chiesa.

“Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo

Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il

Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è

Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una

manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità

comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguag-

gio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello

stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per

mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far gua-

rigioni per mezzo dell’unico Spirito; a uno il potere dei

miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il

dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle

lingue; a un altro infine l’interpretazione delle lingue.

Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che

le opera, distribuendole a ciascuno come vuole”.

(1Cor 12, 4-11)

136

Dio nella mia vita

Dopo questo discernimento partecipai, su invi-

to del Pastorale, ad un percorso finalizzato a for-

mare gli effusionati che per i loro carismi erano

chiamati ad animare la preghiera nel gruppo. Era

il mese di Febbraio del 1995: iniziavo a sperimen-

tare un altro grande dono della bontà misericor-

diosa di Cristo: il servizio. Vinsi l’imbarazzo ini-

ziale e trovai stupendo che la mia preghiera per-

sonale potesse aiutare gli altri ad entrare alla pre-

senza di Cristo, vivo come duemila anni fa: la mia

preghiera sosteneva e guidava quella degli altri.

Mi rendevo conto che quanto offrivo ai fratelli

non era frutto di doni naturali, ma di un carisma

concessomi da Dio, per mezzo dello Spirito Santo,

a beneficio del gruppo.

Una tentazione, tuttavia, talvolta mi allonta-

nava dal servizio: temevo che la volontà di prega-

re non scaturisse da un puro desiderio di servire,

ma piuttosto dalla brama di apparire. Mi resi

137

Il dono della famiglia e del servizio

conto solo in seguito, maturando nella fede e nel

servizio, che questa era appunto una tentazione

del maligno, che voleva così porre un ostacolo

alla preghiera comunitaria.

Anna Maria ed io, pur essendo genitori solo da

poco, desideravamo continuare ad essere aperti

alla vita secondo la volontà del Signore e dopo

appena sei mesi dalla nascita di Domenico sco-

primmo che Egli avrebbe benedetto ancora la

nostra casa con la presenza di un altro bimbo.

Anna Maria, da poco tempo mamma, doveva

affrontare i suoi doveri nella condizione di gestan-

te ed io sentivo il peso di questa nuova responsa-

bilità. Ben presto, inoltre, ci trovammo a scon-

trarci con la mentalità del mondo, che ci spingeva

ad essere preoccupati tanto per i possibili problemi

di salute quanto per quelli economici. Secondo

questa mentalità la famiglia è tenuta ad assicurare

ai figli, per il loro futuro, un improbabile ed ingiu-

138

Dio nella mia vita

stificato benessere, garante, secondo me, solo del

superfluo. L’amore che Dio nutriva, ed ancora

nutre, per la mia famiglia costituiva l’unica certez-

za che ci permetteva di superare ogni difficoltà.

Il primo Aprile 1996, per la delizia dei nostri

cuori, nasceva Sara. Vissi più serenamente que-

st’evento, appoggiato dalla presenza dei familiari

e forte dell’esperienza maturata con la nascita del

primo figlio. Scelsi io il nome di questa bimba,

ispirandomi alla mitezza, alla pazienza e alla per-

severanza della moglie d’Abramo. Sara fin da

quella tenerissima età dimostrava le doti auspica-

te profeticamente nel suo nome, guadagnandosi

l’affetto di quanti la stringevano tra le braccia;

ricordo che mio suocero mi sollecitò un’attenzio-

ne particolare nei suoi confronti.

Proprio lui, tuttavia, si ammalò ben presto di

cancro e in rapida progressione giunse in fin di

vita. Questo fu un periodo abbastanza doloroso

139

Il dono della famiglia e del servizio

per Anna Maria, ma anche per me che la vedevo

soffrire, come soffrivo pure io, per mio suocero.

Anna Maria non riusciva ad essere accanto a suo

padre nella sua malattia a causa degli impegni

familiari, e si addolorava sia per questo che per il

tumore, che ogni giorno di più sembrava essere

inguaribile. In questa circostanza ci sentivamo

impotenti e l’unica arma in nostro possesso era la

preghiera. Non volevamo accettare l’idea che egli

ci avrebbe dovuto lasciare.

I sanitari che lo avevano in cura un giorno ci

chiamarono d’urgenza, poiché la sua salute si era

particolarmente aggravata. Raggiungemmo l’o-

spedale e lì venimmo a conoscenza da parte loro

delle sue condizioni, ormai terminali. Non volevo

credere a quanto mi dicevano: non desideravo

perdere quell’affetto di un padre ritrovato.

Conoscevo il desiderio di mio suocero: tornare

nella sua casa. Mi trovai così in una condizione

140

Dio nella mia vita

veramente difficile, non sapendo cosa convenisse

fare. Telefonai ai miei cognati, che vivevano in

Italia settentrionale, per informarli circa le spia-

cevoli novità, ma anche per trovare un appoggio

morale in merito alle decisioni da prendere; tut-

tavia, ovviamente, non poterono darmi consigli

concreti, poiché non vivevano in quel momento

ciò che io stavo attraversando.

Mi affidai nelle mani di Dio chiedendogli la

forza di prendere quella decisione che altri non

potevano prendere. Mi recai così da mio suocero e

gli comunicai che le cure che stava ricevendo le

avrebbe potute continuare in casa. In un primo

momento non aderì alla proposta; poi mi guardò

fisso negli occhi, quasi volesse leggervi ciò che io

volutamente non gli avessi detto, e alle mie insi-

stenze si lasciò convincere. Organizzai cosi il tra-

sporto sanitario. Con piacere notai che mio suoce-

ro, alla vista della sua casa, trovò quella pace che

141

Il dono della famiglia e del servizio

fino a poco tempo prima non aveva. Nella calma

della sua casa e del suo letto si spense poche ore

dopo.

Col passare del tempo, i responsabili del mio

gruppo notarono in me la presenza di altri cari-

smi, e cominciarono ad esortarmi ad un maggiore

impegno nel servizio. Nella loro visione profetica

intravedevano un possibile mio inserimento nel-

l’organo preposto alla guida spirituale e pratica

del gruppo, il “Pastorale”. Non mi sentivo capace

di svolgere un servizio così importante, anche se

mi sentivo gratificato moralmente da quell’invi-

to; esso comunque si trasformò in una reale can-

didatura, cui seguì l’elezione da parte del gruppo

nel Gennaio del 1997.

Ero consapevole di avere accettato un incarico

gravoso, del quale poco conoscevo; di certo da

parte mia c’era il desiderio e la volontà di profon-

dervi ogni energia. Con umiltà, mi posi alla scuo-

142

Dio nella mia vita

la di quei fratelli che prima di me avevano svolto

tale ruolo, cercando di portare modestamente il

mio contributo. Iniziò così un periodo nel quale il

Signore mi chiedeva di donare parte di ciò che

Egli aveva dato a me. L’impegno di tempo e d’e-

nergie non immaginavo fosse così pesante, ma,

nonostante tutto, Egli mi donava una grazia par-

ticolare che mi consentiva di affrontare ogni osta-

colo e avversità. Con il Suo aiuto cercai di pre-

servare il difficile equilibrio che mi ero proposto

di raggiungere nella mia vita tra famiglia, profes-

sione e spiritualità.

Le prime difficoltà arrivarono proprio dalla

famiglia, che vide diminuire la mia presenza in

casa, e, in seguito, dall’aumento degli impegni di

lavoro, che rendeva più arduo il raggiungimento

di tale equilibrio. Tuttavia sperimentavo la gioia

del donare, e le mie fatiche erano ampiamente

ricompensate; sperimentavo anche una profonda

143

Il dono della famiglia e del servizio

comunione con gli altri membri del Pastorale.

Per me e per la mia famiglia iniziava un cam-

mino di profonda conversione: come ad ogni cri-

stiano, così anche a noi il Signore chiedeva di

non vivere nella tiepidezza spirituale, ma di sce-

glierlo con fermezza e con zelo; infatti, attraverso

il servizio (scelta individuale, ma che coinvolge-

va inevitabilmente anche la mia famiglia), erava-

mo chiamati a vivere in spirito di amore e di

donazione verso gli altri. Anna Maria in questo

periodo frequentò il seminario di “vita nuova” e

ricevette anche lei la preghiera per una nuova

effusione dello Spirito Santo.

Dedicarmi al servizio equivalse a ricevere una

grazia particolare, dono della presenza viva ed

operante di Dio. Per il ministero che svolgevo

dovevo offrire molto del mio tempo, lavoro mate-

riale e soprattutto tanta preghiera. Ero chiamato

a donare, ma mi rendevo conto di ricevere in pro-

144

Dio nella mia vita

porzioni maggiori.

Prima della mia conversione, avvenuta per

mezzo del cammino nel RnS, mi potevo annove-

rare tra i “clienti di Dio”, vale a dire tra coloro

che si rivolgono a Lui solo quando hanno neces-

sità del Suo intervento, e per di più per bisogni

materiali più che spirituali. Attraverso quest’im-

pegno, iniziai a pregare per una decisa crescita

spirituale mia e altrui: compresi ed apprezzai i

frutti della preghiera elevata in favore degli altri,

imparando così a sviluppare gradualmente, grazie

all’opera dello Spirito Santo dentro di me, un

cuore compassionevole, capace di far sue le soffe-

renze altrui per portarle a Cristo attraverso l’umi-

le intercessione. Offrivo a Dio, per questa ragio-

ne, la mia vita e le mie sofferenze.

Nel cammino della vita, tra le gioie e le soffe-

renze, Anna Maria ed io cercavamo di trovare

quegli equilibri necessari per la comunione reci-

145

Il dono della famiglia e del servizio

proca. La nostra vita era sempre più dedicata al

servizio nella famiglia e nel gruppo, e sempre

meno al divertimento. Il dono dei figli portava

“colore” alla nostra esistenza, dandoci sempre

forti motivazioni alla dedizione e ai sacrifici per

loro, e desideravamo continuare ad essere, con

generosità, disponibili a ricevere da Dio altri figli.

A due anni circa dalla nascita di Sara, il

Signore benedisse la nostra famiglia con il conce-

pimento di un terzo figlio. Eravamo grati a Dio

per quanto Egli aveva fatto e stava facendo per

noi. Eravamo anche consapevoli del maggior

impegno che avremmo dovuto profondere. Per

questa ragione, e non solo, ci furono anche

momenti di tensione tra noi: la nostra fragilità ci

portava a vivere i doveri quotidiani avvertendone

la fatica; si univano a ciò le voci del mondo

accennate prima, che favorivano l’insorgere di

momenti di contrasto tra me ed Anna Maria.

146

Dio nella mia vita

Auspicavo per la mia famiglia una costante

pace nel cammino della vita, realizzato attraverso

l’adempimento silenzioso dei propri impegni.

Notavo però l’insorgere di questi ostacoli, così

che un giorno, pensando al fatto che ogni cristia-

no deve “prendere la sua croce”, mi rivolsi con

rabbia a Dio dicendogli: “Io non voglio la tua

croce!”.

In quel periodo portavo al collo un crocifisso,

dono di mia cugina Lucia, oggi non più in vita, e

suo prezioso ricordo. Quella stessa mattina ci

recammo a mare, io e la famiglia. Non ero in

comunione con Dio per gli eventi accaduti. Mi

misi a giocare con i miei figli malgrado fossi privo

di serenità. Tenevo Domenico tra le braccia men-

tre facevamo il bagno: egli, stringendo le sue pic-

cole braccia intorno al mio collo, si aggrappò alla

mia collana rompendola. Vidi chiaramente il cro-

cifisso cadere in acqua ancora unito alla collana.

147

Il dono della famiglia e del servizio

Mi affrettai nel tentativo di recuperarli. Con sor-

presa mi ritrovai tra le mani unicamente la colla-

na: il crocifisso, malgrado numerosi tentativi miei

e di molte altre persone accorse nel frattempo,

non riuscii più a trovarlo.

Fu un momento molto duro poiché avvertivo

la presenza di un significato più profondo in quel-

la perdita: avevo rifiutato la Croce di Gesù, e

Gesù si allontanava da me. Mi rammaricai e tro-

vai sfogo in un pianto silenzioso. Domenico tentò

di rassicurarmi assicurandomi che potevamo

acquistarne un altro: non poteva immaginare il

momento di profonda conversione che il Signore

stava permettendo che io vivessi.

Quest’esperienza mi aiutò a comprendere più

pienamente il significato dell’Amore vissuto sul

modello di Cristo, Amore che passa attraverso la

Croce e quindi attraverso il sacrificio di se stessi.

L’11 Gennaio 1999, al mio rientro dal lavoro,

148

Dio nella mia vita

trovai Anna Maria, che era alla fine della sua terza

gravidanza, in preda a dolori inequivocabili.

Decisi di accompagnarla in tutta fretta in ospeda-

le, pensando che si trattasse delle doglie del parto.

Nel tragitto trovai conferma al mio pensiero:

Anna Maria rischiò di partorire in auto. In ospe-

dale mi diedero l’opportunità di assistere al parto:

accettai volentieri, godendo il privilegio di condi-

videre con la donna che amavo l’evento straordi-

nario di una vita che iniziava. Ringraziamo tutto-

ra Dio di averci donato la possibilità di vivere

insieme anche quest’aspetto della nostra esistenza.

Nacque una bimba, e Anna Maria anche in

questo caso desiderò che fossi io a deciderne il

nome: scelsi Sofia, auspicando per mia figlia il

dono della saggezza e della sapienza, significato

proprio di tale nome. Anche per Sofia, essendo

prossima alla sua nascita la Pasqua, ritenemmo

opportuno far celebrare il battesimo in occasione

149

Il dono della famiglia e del servizio

della veglia notturna di Resurrezione.

Una nuova svolta, d’altro canto, si stava pre-

parando per la mia vita: nell’Aprile del 2001

giunse a scadenza il mandato per il servizio che

svolgevo nel pastorale del mio gruppo. Ero con-

vinto che potessi e dovessi continuare a servire

anche senza un pubblico riconoscimento; malgra-

do ciò fu umanamente difficile accettare il fatto di

non essere rieletto. Pregai molto perché il Signore

m’indicasse quale fosse il Suo progetto per me e

come io lo potessi ancora servire per l’edificazio-

ne del Suo regno: compresi così che Egli mi chia-

mava ad essere segno della Sua presenza da un

lato attraverso la testimonianza sia di vita che di

parola, dall’altro tramite la preghiera d’interces-

sione. Il Signore permise in questo modo una

nuova conversione in me e, ne sono certo, anche

in altri. Sono felice che Lui si sia servito e conti-

nui a servirsi di me per toccare il cuore di tanti

150

Dio nella mia vita

fratelli.

Si manifestava così, attraverso il dono della

famiglia e del servizio, la gloria di Dio nella mia

vita.

151

Il dono della famiglia e del servizio

Dio guarisce

R ingrazio Dio per tutto quanto Egli ha

operato per me anche in questi ultimi

anni: ha ricostruito tutta la mia vita con un pro-

cesso di guarigione interiore e fisica. In questo

percorso Egli ha posto sul mio cammino le perso-

ne giuste nel momento propizio.

Da tempo uno specialista oculistico di Roma

mi aveva suggerito, come rimedio per la lussazione

del cristallino, di sostituire questa lente naturale

con una artificiale. Il succedersi d’impegni più o

meno lieti nella mia vita mi aveva portato a tra-

scurare questo consiglio, ma un esperto oculista

della mia città, Totò, di cui il Signore mi aveva

donato l’amicizia, conosciuta la mia storia clinica,

mi spronò a seguire quel suggerimento. In me è

sempre stata radicata la convinzione che la pre-

senza di un problema richieda una tempestiva

155

ricerca della sua soluzione. Così, forte delle mie

convinzioni e rassicurato dall’amico Totò, agli

inizi del 2001 mi recai dallo specialista romano per

chiedergli di essere sottoposto a quell’intervento.

Egli m’informò su quelli che sarebbero stati i

rischi connessi all’operazione, in considerazione

soprattutto di quanto avevo subito negli anni pre-

cedenti. Lo specialista, infatti, temeva un possibi-

le nuovo distacco della retina nel momento in cui

avrebbe asportato il cristallino. Ero convinto, tut-

tavia, che il Signore volesse risolvere questo pro-

blema che mi assillava fin dall’infanzia.

Programmai con lo specialista la data, insieme

con alcuni accertamenti sanitari che avrebbero

permesso di comprendere se, nonostante i proble-

mi cardiaci, avrei potuto sostenere quell’interven-

to, che, vista la delicatezza, si sarebbe svolto in

anestesia generale.

Fui sottoposto ad un’ecografia cardiaca il cui

156

Dio nella mia vita

risultato fu inaspettato: quell’accertamento, infat-

ti, evidenziò l’aumento delle dimensioni dell’aor-

ta ascendente rispetto ai precedenti controlli.

Questo risultato era in ogni modo da confermare,

poiché gli esami precedenti erano stati eseguiti

con una strumentazione differente.

Ripercorrevo nella mia mente il passato, e la

notizia non mi lasciava sereno: pensavo che avrei

dovuto ripercorrere quell’arduo cammino in sali-

ta già affrontato anni prima. Speravo, con tutte le

forze, che quella differenza riscontrata fosse frutto

unicamente di un errore strumentale. Pensavo,

però, che, se gli specialisti l’avessero confermata,

non avrei fatto nulla per porvi rimedio. Ritenevo

questa la via più facilmente percorribile, essendo

stanco di lottare per sopravvivere, ed ero pronto

quindi all’attesa della fine.

Mi adoperai prontamente per fare gli accerta-

menti necessari, i quali confermarono la prima

157

Dio guarisce

diagnosi. Era il 21 maggio del 2001, e l’arduo

compito di comunicarmi questo risultato toccò al

cardiologo che mi aveva in cura a Bologna, nello

stesso ospedale dove mi ero sottoposto d’urgenza

al primo intervento all’arco aortico.

La prima reazione che ebbi fu quella di scop-

piare a piangere alla presenza dello specialista.

Egli permise questo mio sfogo, poi mi suggerì un

attento monitoraggio nel tempo delle dimensioni

dell’aorta ascendente; riteneva però indispensabi-

le ed inevitabile, in futuro, un nuovo e delicato

intervento al cuore. Esternai la volontà di non

sottopormi ad alcun intervento, accettando cosi

l’inevitabilità di una morte prematura al raggiun-

gimento dei livelli limite dell’aorta. Provò a rassi-

curarmi affermando che, malgrado si trattasse di

un’operazione non meno delicata di quella patita

dieci anni prima, avremmo avuto il vantaggio di

poterla programmare. Rilevò inoltre che, per la

158

Dio nella mia vita

struttura clinica in cui lavorava, questo poteva

ritenersi un intervento di routine.

Trovai così quel minimo di serenità che mi

consentì di aprire gli occhi del cuore.

Contemplavo quanto Dio mi aveva elargito e

pensavo quindi di avere una motivazione forte

per la quale vivere: Anna Maria aveva donato la

sua vita a me e i miei figli avevano bisogno di me,

perciò avevo il dovere di lottare per loro nono-

stante le difficoltà che avrei dovuto superare.

Le condizioni generali di salute mi consentiro-

no, in ogni modo, di sottopormi all’intervento al

cristallino. Affidai a Dio attraverso le mani di

Maria tutte le mie preoccupazioni. La presenza di

Maria l’avvertii, in modo particolare, il giorno del

mio ricovero: il 27 Maggio 2001, entrato nella

stanza a me riservata nella clinica oculistica,

alzando lo sguardo notai la Sua effige sul muro; fu

questo per me il segno di una presenza viva e vera.

159

Dio guarisce

Non riesco più a contare le volte che sono

stato sottoposto ad anestesia generale. Il passaggio

da uno stato di coscienza ad uno d’incoscienza era

stato sempre per me motivo d’angoscia, ma dove-

vo nuovamente rassegnarmi a percorrerlo nella

consapevolezza che non sarebbe stata neanche

l’ultima volta. Pensavo che avrei potuto non far-

cela, che una volta addormentato avrei potuto

non riaprire più gli occhi , e avevo difficoltà ad

accettare di provare ancora quelle sgradevoli sen-

sazioni. Sapevo però che dovevo affrontare e

superare quegli ostacoli: consegnai quindi ogni

pensiero ed ogni ansia a Maria Santissima e

affrontai l’anestesia invocando il Suo nome e pre-

gandola di guidare le mani del chirurgo.

Vissi questo momento in modo soave e legge-

ro come mai mi era capitato prima. Superai bril-

lantemente quest’ennesimo intervento, e il temu-

to distacco di retina non si manifestò. Per la glo-

160

Dio nella mia vita

ria di Dio, dopo le cure, il riposo e l’esercizio

necessari, recuperai la mia vista: quanto riuscivo

a vedere aveva un aspetto più chiaro e nitido, e

ne ero piacevolmente sorpreso.

Nel mese di Settembre presi la decisione di

cominciare a scrivere la storia della mia vita: fu

l’inizio di un nuovo cammino spirituale in cui,

accompagnato dalla preghiera di un caro fratello,

portai al Signore i mali interiori e fisici di tutta la

mia esistenza, man mano che la ripercorrevo, per

ricevere da Lui consolazione e guarigione. I frutti

non si fecero attendere.

L’operazione a cui mi ero sottoposto a Roma

era stata eseguita sull’occhio più provato: il sini-

stro; esso, infatti, per le vicende passate, era quel-

lo con un visus più limitato. Il motivo di questa

scelta era stato dovuto al fine di sperimentare su

di esso la validità della tecnica chirurgica per poi,

a esito positivo confermato, operare anche l’oc-

161

Dio guarisce

chio “buono”. Recuperata la funzionalità dell’oc-

chio sinistro, trovai il coraggio di iniziare a pen-

sare al successivo intervento.

La posta in gioco era davvero alta: l’operazione

avrebbe interessato l’occhio per mezzo del quale

potevo vivere una vita indipendente. L’errore

umano, o il verificarsi di un possibile distacco

retinico, non solo avrebbe potuto generare un

nuovo problema di salute, ma per di più avrebbe

influenzato tutta la mia esistenza. Tuttavia il

Signore mi donava molta serenità e pace: il mio

cuore sembrava conoscere già l’esito positivo di

quel nuovo trattamento chirurgico. Con Luciano,

amico e fratello in Cristo, affidammo nella pre-

ghiera al Signore, ancora una volta, la mia salute

e le mani di quello specialista.

Giunsi a Roma l’8 Gennaio 2002 con Maria

nel cuore. Dal momento della mia conversione

alla Madre di Gesù ne avevo sempre avvertito

162

Dio nella mia vita

una presenza particolare, ma in questo periodo

della mia vita Ella mi era proprio accanto: cam-

minava con me, gioiva con me, sperava con me.

Mi ricoverai e, per caso o per grazia, mi assegna-

rono una stanza nella quale era affissa al muro,

ancora una volta, l’effige di Maria. Appurai in

seguito che non in tutte le stanze vi era tale

immagine, ma in alcune era affissa la croce e in

altre non c’era nessun simbolo religioso.

Affrontai con serenità e fiducia questo momen-

to come in occasione dell’intervento precedente.

Superai di nuovo il passaggio dalla coscienza

all’incoscienza con un’Ave Maria nel cuore: Maria

Santissima prese tra le Sue braccia la mia vita e la

mia salute in quelle ore. Anche questa volta tutto

si svolse nel migliore dei modi e mi trovai al risve-

glio con un grosso problema in meno.

Dopo la convalescenza tutto il mondo che mi

circondava aveva colori più intensi e tutto brilla-

163

Dio guarisce

va. Il Signore aveva ascoltato la preghiera d’in-

tercessione fatta da Maria per me donandomi la

grazia di poter vedere chiaramente tutto il creato:

mi dava la gioia di vedere la pioggia cadere dal

cielo e osservavo le singole gocce d’acqua precipi-

tare fino al suolo; vedevo chiaramente anche i

dettagli più minuscoli degli animali più piccoli e

sfuggevoli, come le api e le lucertole. Lo ringrazio

anche per la grazia di avermi donato la capacità di

stupirmi d’ogni cosa che Egli mi ha fatto vedere.

Alcuni dei miei problemi di salute hanno così

trovato una risoluzione, ma la disfunzione cardia-

ca continua a sussistere. Il Signore mi ha donato

però la capacità di affidare anche questo proble-

ma a Lui nella preghiera e di affrontare ogni diffi-

coltà della vita con un atteggiamento di speranza.

Mi riesce così naturale affrontare le avversità

senza mostrare la fatica e il dolore.

Questi aspetti caratteriali e di fede possono far

164

Dio nella mia vita

supporre a quanti m’incontrano che la mia vita

sia priva di problemi. Ciò è stata per molti una

testimonianza, anche se, a volte, ha rappresenta-

to un ostacolo, come, ad esempio, quando mi

sono assentato dal lavoro per ragioni sanitarie.

Nessuno ha mai apertamente manifestato dubbi

circa la mia salute, ma leggevo nel volto delle per-

sone una velata incredulità poiché il tutto appari-

va inverosimile. Al dolore fisico si aggiungeva il

cruccio morale. Ho utilizzato per questo motivo

anche periodi destinati normalmente al riposo e

alla vacanza, come le ferie, per curare la mia salu-

te senza doverne rendere conto sul posto di lavo-

ro. Non posso, tuttavia, non ringraziare il Signore

per la forza che mi ha sempre donato per affron-

tare anche questo tipo di sofferenza.

Soprattutto, però, Gli rendo grazie perché si è

rivelato nella mia vita come un Dio che guarisce.

165

Dio guarisce

Presente e futuro

S pesso mi fermo a riguardare tutta la

mia vita e rifletto su ciò che mi è acca-

duto. Mi rendo conto che è stata un’esistenza tra-

vagliata, ma la ritengo un dono prezioso di Dio al

quale, nonostante tutto, sono attaccato. Qualche

volta funesti pensieri hanno attraversato la mia

mente, ma prontamente Egli mi ha donato la gra-

zia di abbandonarli, per mozione diretta dello

Spirito Santo o attraverso coloro che mi ha messo

accanto.

Tuttavia il pensiero di dover lasciare prematu-

ramente questa vita spesso ritorna nella mia

mente, sicuramente a causa dei tanti problemi

affrontati. Provo tensione interiore pensando al

futuro difficile che potrebbe vivere la mia famiglia.

Mi scopro debole, pensando che la fede dovrebbe

lasciarmi sereno anche su quest’aspetto, e prego il

169

Signore di guarire anche questo lato del mio cuore.

Mi rendo conto, però, che questa paura mi

porta a vivere pienamente ogni giorno che il

Signore mi dona, sforzandomi di essere coerente

con i Suoi insegnamenti. Sono convinto, inoltre,

che, se dovrò attraversare altre difficoltà, Egli mi

donerà una nuova forza per mezzo della quale le

affronterò in atteggiamento di abbandono alla Sua

Volontà. D’altra parte ogni giorno, nell’Eucaristia

e nella preghiera personale e comunitaria, chiedo

che Egli mi conceda una fede maggiore che mi

renda capace di quest’abbandono totale ed incon-

dizionato.

La preghiera carismatica cattolica è stata il

mezzo attraverso il quale il Signore mi ha condot-

to ad una profonda conversione del cuore. E’

stata, però, fondamentale anche per imparare un

modo unico e straordinario di relazionarmi con

Dio, tramite la lode, l’invocazione dello Spirito

170

Dio nella mia vita

Santo, l’ascolto della Sua Parola, la supplica, il

ringraziamento. La preghiera per me oggi è un

dialogo aperto e incessante con Dio, e di questo

dono gli sono profondamente grato.

Nella mia preghiera chiedo sempre che Egli

elargisca, a me e alle persone che porto nel cuore,

soprattutto alla mia famiglia, un’effusione poten-

te del Suo Santo Spirito con tutti i Suoi santi

doni, in particolare la forza per resistere alle ten-

tazioni del male e, ancor di più, la sapienza; infat-

ti, chi possiede questa virtù opera le scelte della

vita in piena armonia con Dio, se stesso e gli altri.

Ogni giorno siamo chiamati, in effetti, a prende-

re delle decisioni per la vita spirituale, per la fami-

glia e per il lavoro, ed è facile che una nostra scel-

ta possa rompere l’equilibrio tra questi aspetti

della nostra esistenza. Allo stesso tempo le nostre

scelte possono anche influenzare nel bene o nel

male la vita di chi ci circonda.

171

Presente e futuro

Chiedo così incessantemente al Signore, attra-

verso il dono della sapienza, che cosa Egli vuole

suggerirmi per la mia vita di ogni singolo giorno.

Lo prego di concedermi la luce per comprendere

la Sua Parola, l’umiltà per poter ascoltare le per-

sone che Egli mi mette accanto affinché per loro

tramite mi possa giungere il Suo messaggio, e la

capacità di poter intendere la Sua volontà anche

attraverso la lettura degli eventi della vita.

Domando infine di poter comprendere il cuore

degli altri, anche attraverso ciò che non viene

espresso. Noi essere umani ci esprimiamo normalmen-

te tramite le parole, ma a volte è come se queste non

bastassero per esplicitare fino in fondo quello che abbia-

mo nel nostro cuore. Ciò che non viene detto con

le parole lo diciamo attraverso il corpo: la nostra

gestualità o la mimica facciale completano il mes-

saggio che vogliamo fare arrivare. Solo la sensibi-

lità del nostro interlocutore potrà cogliere, allora,

172

Dio nella mia vita

quello che noi vogliamo realmente dire.

Chiedo così al Signore la sensibilità per capire anche

ciò che non viene posto in chiara evidenza, nella volon-

tà di realizzare un pieno ascolto e di donare un’acco-

glienza piena d’amore; infatti il desiderio di mettere a

frutto la mia esperienza del dolore, vissuta nella speranza

e nella fede, è per me una forte motivazione all’apertura

del cuore nei confronti degli altri.

Sono convinto che il cammino di conversione intra-

preso non troverà mai fine, così come spero che non

cessi mai in me l’anelito di una crescita spirituale finaliz-

zata a realizzare la vocazione di ogni cristiano: la santità.

Caro fratello che hai letto queste umili pagine, anche

a te auguro di aspirare alla santità con l’aiuto di Dio; al

Signore domando che compia meraviglie pure in te e ti

elargisca copiosamente ogni benedizione. Coltiva la fede

e chiedi a Lui lo Spirito Santo perché si accrescano in te

la Sua presenza e la Sua grazia. Alleluia!

173

Presente e futuro

INDICE

Prefazione ........................................................ 5

Introduzione ................................................... 9

Gioie e dolori dell’infanzia ............................ 21

Un’adolescenza poco spensierata ................ 41

Rimini: Dio, lavoro e malattia ...................... 79

Momenti di passaggio ................................. 101

Il dono della famiglia e del servizio ............ 115

Dio guarisce ................................................. 153

Presente e futuro ......................................... 167

174

Dio nella mia vita