a cura di STUDIUM IURIS

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ISSN 1722-8387 Studium Generale Collana di periodici per la didattica universitaria e postuniversitaria a cura di Giorgio Cian e Diega Orlando STUDIUM IURIS rivista per la formazione nelle professioni giuridiche COORDINATORE E DIRETTORE RESPONSABILE Alessio Zaccaria COMITATO DI DIREZIONE RESPONSABILE DELLA REDAZIONE Paolo Veronesi Vittorio Angiolini Sergio Bartole Giorgio Cian Sebastiano Ciccarello Giorgio Conetti Guido Corso Luigi Costato Giovannangelo De Francesco Maria Vita De Giorgi Sabino Fortunato Giovanni Gabrielli Fausto Giunta Giorgio Marasà Antonio Masi Pietro Masi Oronzo Mazzotta Francesco Palazzo Andrea Pugiotto Antonio Serra Giorgio Spangher Ferruccio Tommaseo Enzo Vullo Alessio Zaccaria 2006 9 L’inappellabilità e la ricorribilità per cassazione delle sentenze di proscioglimento (l. n. 46/2006) Le nuove norme sulla legittima difesa (l. n. 59/2006) Servizi pubblici locali e promozione della concorrenza La delegazione per testamento Il pignoramento

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ISSN 1722-8387

Studium GeneraleCollana di periodici per la didattica universitaria e postuniversitaria

a cura di Giorgio Cian e Diega Orlando

STUDIUM IURISrivista per la formazione nelle professioni giuridiche

COORDINATORE E DIRETTORE RESPONSABILE

Alessio Zaccaria

COMITATO DI DIREZIONE

RESPONSABILE DELLA REDAZIONEPaolo Veronesi

Vittorio AngioliniSergio BartoleGiorgio CianSebastiano CiccarelloGiorgio ConettiGuido CorsoLuigi CostatoGiovannangelo De FrancescoMaria Vita De GiorgiSabino FortunatoGiovanni Gabrielli

Fausto GiuntaGiorgio MarasàAntonio MasiPietro MasiOronzo MazzottaFrancesco PalazzoAndrea PugiottoAntonio SerraGiorgio SpangherFerruccio TommaseoEnzo VulloAlessio Zaccaria

2006

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L’inappellabilità e la ricorribilità per cassazionedelle sentenze di proscioglimento (l. n. 46/2006)

Le nuove norme sulla legittima difesa (l. n. 59/2006)

Servizi pubblici locali e promozione dellaconcorrenza

La delegazione per testamento

Il pignoramento

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DIREZIONE

Vittorio ANGIOLINI - Ord. dell’Università di MilanoSergio BARTOLE - Ord. dell’Università di TriesteGiorgio CIAN - Ord. dell’Università di PadovaSebastiano CICCARELLO - Ord. dell’Università di CatanzaroGiorgio CONETTI - Ord. dell’Università di Varese-Como « dell’Insubria »Guido CORSO - Ord. dell’Università di Roma TreLuigi COSTATO - Ord. dell’Università di FerraraGiovannangelo DE FRANCESCO - Ord. dell’Università di PisaMaria Vita DE GIORGI - Ord. dell’Università di FerraraSabino FORTUNATO - Ord. dell’Università di Roma TreGiovanni GABRIELLI - Ord. dell’Università di TriesteFausto GIUNTA - Ord. dell’Università di FirenzeGiorgio MARASÀ - Ord. dell’Università di Roma « Tor Vergata »Antonio MASI - Ord. dell’Università di Roma « La Sapienza »Pietro MASI - Ord. dell’Università di Roma « Tor Vergata »Oronzo MAZZOTTA - Ord. dell’Università di FirenzeFrancesco C. PALAZZO - Ord. dell’Università di FirenzeAndrea PUGIOTTO - Ord. dell’Università di FerraraAntonio SERRA - Ord. dell’Università di SassariGiorgio SPANGHER - Ord. dell’Università di Roma « La Sapienza »Ferruccio TOMMASEO - Ord. dell’Università di TriesteEnzo VULLO - Straord. dell’Università di SassariAlessio ZACCARIA - Ord. dell’Università di Verona

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI a cura di Maurizio DE PAOLIS (Direttore Servizio Mas-simario e Ruolo Generale del Consiglio di Stato), Pietro DUBOLINO (Applicato d’appel-lo presso la Corte di cassazione), Raffaele FRASCA (Assistente di studio presso la Cortecostituzionale)

REDAZIONE

Simona DROGHETTI, Paolo VERONESI (redattore capo), Raffaele VIGLIONE e RiccardoVILLANI

HANNO INOLTRE COLLABORATO A QUESTO NUMERO:

Silvia Bolognini - Silvia Borelli - Chiara Burini - Daria Bresciani - Valentina Caccamo - Lau-ra Calafà (Ass. Univ. Verona) - Silvia Callegari - Giulio Carpaneto - Jacopo Costola - Nico-la Di Mauro - Guerino Fares - Alessandro Fede - Alberto Gargani (Ass. Univ. Pisa) - Ro-berto Guerrini (Ass. Univ. Siena) - Cristiano Iurilli (Ric. Univ. Roma “Tor Vergata”) - Va-lentina Magnini - Antonella Marandola (Ass. Univ. Trieste) - Paolo Moscarini (Ord. Univ.Siena) - Alessandra Palma - Riccardo Rotigliano - Chiara Spaccapelo - Francesca Taddei -Francesco Tedioli - Valeria Valignani - Alessandro Vianello - Laura Villani - Sara Zaramel-la (Avv. in Ferrara)

La corrispondenza, inviata alla direzione o alla redazione del periodico, va indirizzata aSTUDIUM IURIS, Corso Ercole I d’Este n. 37, 44100 FERRARAFax 0532/248245 - E-mail: [email protected]

Per l’amministrazione rivolgersi alla CEDAM S.p.A., Via Jappelli n. 5/6, 35121 PADOVATel. 049/8239111 - Fax 049/8752900 - c.c. post. 205351 uff. conti di Venezia.Internet: http://www.cedam.com E-mail: [email protected]

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COMITATO DI DIREZIONE

VITTORIO ANGIOLINISERGIO BARTOLEGIORGIO CIANSEBASTIANO CICCARELLOGIORGIO CONETTIGUIDO CORSOLUIGI COSTATOGIOVANNANGELO DE FRANCESCOMARIA VITA DE GIORGISABINO FORTUNATOGIOVANNI GABRIELLIFAUSTO GIUNTA

coordinatore e direttore responsabileAlessio Zaccaria

redazionePaolo Veronesi

Simona Droghetti Raffaele Viglione Riccardo Villani

GIORGIO MARASÀANTONIO MASIPIETRO MASIORONZO MAZZOTTAFRANCESCO PALAZZOANDREA PUGIOTTOANTONIO SERRAGIORGIO SPANGHERFERRUCCIO TOMMASEOENZO VULLOALESSIO ZACCARIA

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

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INDICE

V

ATTUALITÀ E SAGGI

Antonella Marandola, Legge Pecorella: l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento 947

Paolo Moscarini, Il sindacato della Cassazione penale sulla motivazione dei provvedimen-ti giurisdizionali dopo la legge n. 46 del 2006 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 952

Alberto Gargani, Il diritto di autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n.59) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 960

Guerino Fares, Servizi pubblici e promozione della concorrenza fra Stato e Regioni . . . . . 976

Cristiano Iurilli, Taluni aspetti della nuova legge italiana sul risparmio: il conflitto di in-teresse. La mancata introduzione della “class action” e la nuova legge tedesca sull’azionedi classe in materia di tutela del risparmio: “Gesetz zur Einführung von Kapitalanle-germusterverfahren” del 16 agosto 2005 (Seconda parte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 983

LEZIONI

Nicola Di Mauro, La delegazione per testamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 991

TEMI

Concorso per uditore giudiziario - Prova scritta di diritto amministrativo (di Riccardo Ro-tigliano) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 998

Esame per l’iscrizione agli albi degli avvocati - Parere motivato su quesito proposto in mate-ria di diritto penale (di Daria Bresciani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1003

Concorso per notaio - Prova teorico-pratica riguardante un atto di ultima volontà (di Fran-cesca Taddei) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1013

I Temi del prossimo numero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1027

QUESTIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1029

RASSEGNE

Francesco Tedioli, Il pignoramento in generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1037

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI a cura di Maurizio De Paolis, Pietro Dubolino,Raffaele Frasca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1049

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VI

Indice del nono fascicolo

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE a cura di Paolo Veronesi . . . . . . . . . . . . . 1064

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA a cura di Giulio Carpaneto . . . . . . . . . . . . . . 1065

NOVITÀ LEGISLATIVE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1071

INFORMAZIONI BIBLIOGRAFICHE a cura di Leopoldo Coen, Marcello Farneti,Roberto Guerrini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1074

NOTIZIARIO E VARIE

Laura Villani, Sulla legittimità costituzionale della disciplina del cognome dei figli legitti-mi: una nuova (seppur conservatrice) pronuncia della Corte costituzionale . . . . . . . . . 1075

Laura Calafà, La chiusura della XIV legislatura: ultimi atti legislativi di interesse lavori-stico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1077

INDICI DELLE QUESTIONI E DELLE NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI . . . . . . . . . . . 1079

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Attualità e saggi

LEGGE PECORELLA: L’INAPPELLABILITÀ DELLE SENTENZE DI PROSCIOGLIMENTO

di Antonella Marandola

comma 3, c.p.p. Parimenti, l’attuale normativainibisce il rito dell’appello per le sentenze emes-se all’esito del rito speciale strutturato all’art. 448cpv. c.p.p., fatta eccezione per l’eventualità in cuiil pubblico ministero abbia dissentito sulla ri-chiesta dell’imputato ovvero per il caso in cui lariduzione premiale venga accordata al terminedel dibattimento.

Le deroghe, rimaste costantemente presentinel testo per tutto l’iter che ha portato alla rifor-ma, anche quando, cioè, nulla veniva previsto inmerito alle sentenze di assoluzione, rispondonoalla logica negoziale sottesa ai riti alternativi. Lascelte operate dal legislatore del 2006, nel ri-spetto del principio della cd. durata ragionevoledel processo (art. 111, comma 2, Cost.), comple-tano, infatti, la soluzione sistematica operata inmateria con il varo del nuovo rito penale: nonavrebbe senso alcuno articolare il processo neisuccessivi gradi di giudizio, a fronte dell’opzionedeflattiva – oggetto di libera scelta – compiutanella fase anteriore.

Non appare, invece, altrettanto agevole rinve-nire la ratio sottesa alle eccezioni di cui agli artt.579 e 680 c.p.p., stabilite all’esordio dell’art.593, comma 1, c.p.p.: posta in relazione alla sen-tenza di condanna, la deroga non sembrerebbeaggiungere nulla al sistema, se non quello diconfermare l’appellabilità della condanna e l’i-nappellabilità del proscioglimento, fatta salva lasituazione eccezionale di cui al novellato cpv.dell’art. 593 c.p.p. L’indicazione normativa par-rebbe implicare, semplicemente, una ricognizio-ne di “competenza” fondata sull’oggetto delprovvedimento impugnato: nel caso in cui laparte legittimata impugni il capo relativo alla mi-sura di sicurezza unitamente ad altra parte dellasentenza – purché questa non riguardi esclusiva-mente gli interessi civili – di condanna o di pro-scioglimento, ove ammesso (art. 593 cpv. c.p.p.),

1. La riforma del regime d’appellabilità: lesentenze di condanna e le eccezioni

Con la legge n. 46 il legislatore del 2006 ridi-segna i casi nei quali è consentito il giudiziod’appello (art. 593 c.p.p.).

In breve, l’art. 1 della novella modella, in sen-so positivo, l’appellabilità delle sentenze di con-danna, salve le eccezioni di cui agli artt. 593comma 3, 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e680 c.p.p.; in senso negativo, l’appellabilità dellesentenze di proscioglimento, salvo la deroga sta-bilita all’art. 593, comma 2, ult. parte, c.p.p. e fer-mo restando, in caso di diniego del giudiziod’appello, il potere di proporre ricorso per cassa-zione avverso l’ordinanza, unitamente alla sen-tenza di primo grado.

Dunque, rimasto immutato il potere di pro-porre il giudizio di seconda istanza avverso lasentenza che ha accolto le richieste dell’accusa,con il solo limite – oggi come nel passato – chenon si tratti di decisioni che applicano la penadell’ammenda (art. 593, comma 3, c.p.p.), nuovelimitazioni sono, in realtà, introdotte sulla sferade qua ogniqualvolta la decisione di condannasia stata pronunciata in seguito al rito abbreviatoed al patteggiamento.

Segnatamente, per quanto riguarda l’appella-bilità delle decisioni adottate a seguito dell’istan-za avanzata ai sensi dell’art. 438 c.p.p., v’è dasottolineare che, dopo aver escluso il giudizio diseconde cure allorché il soggetto venga condan-nato, l’art. 2 della nuova legge elimina la possibi-lità, consentita ex art. 443, comma 1, c.p.p., diappellare le decisioni di proscioglimento « quan-do l’appello tende ad ottenere una diversa for-mula »: ne discende che avverso la sentenzaemessa all’epilogo del rito abbreviato, sia essa diassoluzione o di condanna, non sarà proponibileappello, fatto salvo quanto disposto dall’art. 443,

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Legge Pecorella: l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento

sa in sede di atti preliminari al dibattimento, ri-mane fermo il regime stabilito all’art. 469 c.p.p.

Prima di valutare i casi eccezionali che am-mettono l’infrangimento dello sbarramento pro-clamato dall’incipit dell’art. 593, comma 2, c.p.p.,va segnalato, tuttavia, che, in prima battuta, lanuova legge, superando la vecchia sistematica,consente di proporre appello qualunque sia statal’imputazione per la quale la decisione è stataemessa (nel passaggio tra le varie stesure è ve-nuto meno il limite delle contravvenzioni punitecon la sola pena dell’ammenda o con pena alter-nativa), la regola di giudizio applicata e la formu-la di proscioglimento contenuta nella sentenza diprimo grado. Sotto quest’aspetto – al di là del li-mite dell’interesse all’impugnazione – si nota, invia generale, come la nuova disposizione con-sente, per l’imputato, l’appellabilità delle senten-ze di proscioglimento perché il fatto non sussistee perché l’imputato non l’ha commesso. Nellemedesime evenienze l’imputato potrà proporrericorso per cassazione; queste stesse decisioni ri-sultano, al contrario, sia inappellabili – nel con-testo della generale inappellabilità della sentenzadi non luogo – sia insuscettibili di ricorso percassazione se pronunciate ai sensi dell’art. 428c.p.p. (art. 4, legge n. 46 del 2006).

Dunque, secondo la nuova previsione, la sen-tenza di proscioglimento -normalmente non ap-pellabile – diviene suscettibile di valutazione insede di seconde cure ogniqualvolta l’atto d’ap-pello sia corredato dalla produzione di una pro-va « nuova », a mente dell’art. 603, comma 2c.p.p., e « decisiva ».

Orbene, sotto il primo profilo, il richiamoespresso alla previsione che regola i casi di rin-novazione dell’istruzione dibattimentale, rectius,di assunzione dibattimentale, chiarisce come l’i-stanza deve avere ad oggetto una prova soprav-venuta o scoperta dopo il giudizio di primo gra-do.

La locuzione già nota al lessico codicistico[artt. 434 e 630, lett. c), c.p.p. ], come precisatodalla giurisprudenza di legittimità e dagli inter-preti, si sostanzia in quelle prove di cui le partisono venute a conoscenza dopo il giudizio diprimo grado, vale a dire dopo la « pronuncia del-la sentenza di primo grado », sia che esse so-pravvengano autonomamente, quanto a seguitodi un’opera di ricerca, ma anche in quelle nonacquisite nell’anteriore giudizio ovvero acquisitema non valutate, neanche implicitamente. Nel ri-spetto della natura straordinaria ed eccezionaledel rito d’appello, parrebbe, invece, preclusa la de-

la titolarità a decidere spetterà, per l’intero ogget-to devoluto, alla corte d’appello o alla corte d’as-sise d’appello; allorché la devoluzione abbia adoggetto unicamente il capo relativo alla misuradi sicurezza – in conformità all’art. 680 c.p.p. –la competenza a decidere andrà, invece, indivi-duata in capo al tribunale di sorveglianza.

Certamente non s’ignora che la posizione ap-pena prospettata suscita alcune tensioni di natu-ra costituzionale nella parte in cui – a fronte del-l’irrogazione di una cripto-pena, qual è la misu-ra di sicurezza – si giunge a limitare il controllosulla decisione di proscioglimento alla sussisten-za delle condizioni stabilite dall’ultima parte delcpv dell’art. 593 c.p.p., vale a dire, come si ve-drà, alla ricorrenza di un onere probatorio parti-colarmente serrato qual è quello di fornire unaprova nuova o sopravvenuta, da un lato, e deci-siva, d’altro. Non s’ignora, peraltro, la prospetta-zione di una diversa posizione volta a consenti-re la riforma della sentenza di proscioglimentocontenente la misura de qua in virtù della com-promissione della libertà che essa determina aldestinatario del provvedimento. Tuttavia, l’as-senza di una chiara indicazione di segno contra-rio nella previsione da ultima citata ed il richia-mo, al contrario, dell’eccezione nell’incipit del-l’art. 593, comma 1, c.p.p. – deputato a regolarei casi d’appellabilità della sentenza di condanna– rende difficile – per quanto apprezzabile – unaesegesi di segno diverso, rectius una interpreta-zione volta a consentire l’accesso senza limiti alrito d’appello per le decisioni che irrogano lamisura di sicurezza. Ad ogni modo, il destinata-rio della misura potrà – nei casi consentiti dallalegge – proporre ricorso innanzi al giudice di le-gittimità.

2. L’inappellabilità delle sentenze di proscio-glimento. L’eccezione: la deduzione dellaprova nuova e decisiva

Al di là di questi minimali interventi, la modi-fica legislativa del 2006 tocca, in via prevalente,l’intero àmbito delle decisioni di proscioglimen-to: regola (inappellabilità) ed eccezione (appella-bilità in presenza di un novum decisivo) non su-biscono deroghe. In via principale, tanto l’accusaquanto l’imputato non potranno proporre appel-lo avverso le decisioni emesse a norma degli artt.529, 530 e 531 c.p.p. In conformità, l’art. 4 dellalegge in commento statuisce la generale inappel-labilità della sentenza di non luogo a procedere,mentre, per la sentenza di proscioglimento emes-

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Attualità e saggi

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duzione di prove che, pur conosciute, non sonostate assunte dal decidente di primo grado inquanto irrilevanti o inammissibili; appare piùdifficile inibire, invece, la produzione di prove giàassunte, ma che si rivelino contenutisticamentedifferenti o diversamente articolate rispetto allaproduzione operata nel giudizio di primo grado:spetterà, in ogni caso, alla prassi delimitare e de-finire il reale significato da assegnare – sotto l’a-spetto contenutistico – alla qualità “nuova” dellaprova.

Ad ogni modo, a mente dell’art. 598 c.p.p. laprova dedotta deve possedere tutti i requisiti le-gali imposti dagli artt. 190 e 190-bis c.p.p. : inpiena sintonia con la finalità della nuova legge –in quanto trattasi di prove mai assunte – il giudi-ce d’appello sarà chiamato a compiere un ap-prezzamento sostanzialmente coincidente conquello affidato al giudice di primo grado.

Per poter superare il vaglio di cui all’art. 593,comma 2, c.p.p. la prova deve, sotto il secondoaspetto, essere connotata, altresì, dalla “decisi-vità”. Una disamina dottrinale e giurisprudenzia-le lascia trasparire come al concetto de quo [art.606, lett. d), c.p.p. ], siano stati assegnati valoridifferenti: così, la prova decisiva è stata identifi-cata in quella in grado “da sola” di fondare unadecisione diversa; in quella in grado, nella com-parizione con gli altri elementi acquisiti al pro-cesso, di originare un nuovo giudizio che tengaconto anche dei fatti dimostrati dalla prova ad-dotta; ancora, la prova decisiva è stata intesaquale prova rilevante e non superflua ovvero at-tendibile o concludente. Sicuramente il riferi-mento legislativo alla decisività parrebbe impli-care la necessità che la prova de qua – omologa-ta, in via generale, ai criteri della rilevanza e nonsuperfluità/non ridondanza – possieda un’ido-neità, rectius, un’efficacia diversa ed ulteriore peraprire il varco ad un diverso grado di giudizio. Inaltri termini – in linea con la ratio sottesa al ritodi seconde cure – la decisività si sostanzia, a no-stro sommesso avviso, in un quid pluris che laprova deve possedere affinché il giudice possaritenere suscettibile di controllo il vaglio statuitonella sentenza di primo grado. Operando, purcon le cautele del caso, un qualche parallelismocon la regola valevole in tema di revisione, si puòsostenere che al giudice spetta il compito di va-lutare la ricorrenza di tale qualità operando ungiudizio che tenga conto della mutata strutturadel rito d’appello, da un lato, e della riforma cheha investito i canoni di valutazione sottesi al ra-gionamento decisorio di proscioglimento, dall’al-

tro: ne deriva che la prova sottoposta all’atten-zione giudiziale deve avere l’idoneità di superareil ragionevole dubbio sull’assenza di responsabi-lità dell’imputato, qualora la richiesta vengaavanzata dall’accusa (v. art. 533, comma 1, c.p.p.come modificato dall’art. 5, legge n. 46 del2006), ovvero di consentire al giudice di pro-nunciare una statuizione ancor più favorevole,quando l’appello è proposto dal prosciolto.

3. Gli aspetti processuali

Sulla scorta delle considerazioni formulate, sicomprende come, sotto il profilo strettamenteprocessuale, l’art. 593, comma 2, c.p.p. strutturiun nuovo “caso d’appello” che si pone al limitetra condizione di ammissibilità del rito e presup-posto che dà luogo, per la prima volta, all’acqui-sizione probatoria: non pare, dunque, azzardatoaffermare che la prova « nuova e decisiva » debbaessere presentata a mente dell’art. 581 c.p.p. conl’atto d’appello.

In altri termini, il carattere del requisito nonsembra lasciare spazio alla possibilità per unaproduzione postuma rispetto alla presentazionedi una “generica” istanza d’appello: se la funzio-ne della novella del 2006 è quella di ammettereche il giudizio innanzi alla corte d’appello o allacorte d’assise d’appello venga ristretto al solo ca-so in questione, non pare, in altri termini, esservialcuno spazio – sul piano interpretativo – perconsentire alla parte istante di dedurre la prova amente dell’art. 585, comma 5, c.p.p. anche per-ché, escluso il caso che ci occupa, appare diffici-le ravvisare altri “casi di appello” in presenza deiquali possa darsi luogo – in caso di decisione diproscioglimento – al rito di cui agli artt. 593 ss.c.p.p.

Con i motivi nuovi il presupposto, già pro-spettato alla Corte d’appello o Corte d’assised’appello, potrebbe, dunque, essere soltanto in-tegrato, se l’appello sarà già di per sé ammissibi-le. Come si comprende, il limitato periodo tem-porale entro il quale avanzare l’istanza (pari, almassimo – ove concesso – a 45 giorni, così co-me nel caso indicato dall’art. 544, comma 3,c.p.p.) rende alquanto difficoltosa la ricerca e lasopravvenienza della prova de qua, né un piùampio spazio temporale pare discendere abbrac-ciando una posizione diversa da quella appenaprospettata.

Orbene, al di là di tale rilievo cronologico, inmancanza di una diversa previsione, sicuramen-te l’appellante potrà impugnare con l’atto d’ap-

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pello anche altri punti della decisione di proscio-glimento ed illustrare i relativi motivi.

Parimenti, ferma restando la natura “prelimi-nare” della condizione che ci occupa, l’assenza diuna specifica indicazione lascia trasparire comeil nuovo presupposto concorra con quelli deli-neati all’art. 591 c.p.p.: in verità – come premes-so – il nuovo criterio costituisce una condizioned’ammissibilità originaria e speciale, nella partein cui il provvedimento che ne delibera l’insussi-stenza è impugnabile unitamente alla sentenza.

Il nuovo tenore dell’art. 593, comma 2, c.p.p.prescrive, infatti, che il decidente è tenuto a con-sacrare sempre in una ordinanza motivata la va-lutazione operata: attesa la natura ed il caratteredella valutazione, per la prevalente la dottrina, èpreferibile che il decidente non si esprima sulpunto de plano, ma a conclusione di un’udienzacamerale fissata ad hoc.

Come premesso, l’ordinanza che nega il giudi-zio sarà suscettibile di ricorso per cassazione: al-la Suprema Corte spetterà, dunque, operare unaverifica che attiene in larga parte al merito, àmbi-to finora estraneo alla cognizione del giudice dilegittimità (v., tuttavia, l’art. 8, legge n. 46 del2006).

4. L’impugnazione innanzi alla Cassazione delprovvedimento che nega il rito e dellasentenza

Ai sensi dell’art. 593 cpv. c.p.p. il provvedi-mento che accerta la causa d’inammissibilità –originaria, con le conseguenze che ciò determinasui poteri officiosi del giudice – è impugnabileentro 45 giorni dalla data della notificazione in-nanzi all’organo di legittimità.

Le parti, contestualmente, possono adire laCorte anche contro la sentenza di primo grado.In deroga a quanto stabilito dall’art. 586 c.p.p.,infatti, l’impugnazione proposta avverso il prov-vedimento che nega l’accesso al rito d’appelloimplicherà, ove la parte lo ritenga opportuno, lapossibile impugnazione della sentenza di primogrado. La disposizione costituisce un unicum inseno all’ordinamento processuale: di qui il carat-tere speciale della condizione.

Gli orizzonti che si apriranno al termine dellavalutazione da parte del Supremo Collegio sonofacilmente individuabili: al rigetto del ricorso edalla conferma dell’ordinanza, potrebbe far segui-to l’arresto del rito, con conseguente irrevocabi-lità del proscioglimento; diversamente, a frontedell’ammissibilità del ricorso, la Cassazione sarà

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Legge Pecorella: l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento

chiamata a pronunciarsi sull’intero oggetto devo-luto alla sua cognizione, dunque, anche sulla de-cisione di merito, quando impugnata. Così, l’ac-coglimento dell’istanza ex art. 593, comma 2,c.p.p., potrà comportare l’annullamento dell’or-dinanza e il rinvio degli atti allo stesso giudiced’appello che provvederà uniformandosi allasentenza di annullamento [art. 623, lett a),c.p.p. ]: in tal caso, il ricorso avverso la sentenzasi darà per non proposto. Ad ogni modo, talepercorso processuale non va confuso, per diver-sità di congegno, con il ricorso immediato ex art.569 c.p.p., che non vede l’interpello del giudicedi seconde cure. Se con il ricorso sono stati pro-dotti motivi non dedotti in appello, questi po-tranno essere presi in considerazione dalla Cas-sazione.

L’esistenza di un “doppio regime” di impugna-zioni nei confronti della sentenza di prosciogli-mento apre alcuni scenari nuovi nella disciplinadei gravami.

In primo luogo, andranno considerate le rica-dute sull’appello incidentale. Sarà necessariochiarire se a fronte di un appello principale (ba-sato sul novum) il soggetto non impugnante (invia principale) possa impugnare ex art. 595c.p.p., in considerazione della – astratta – appel-labilità della sentenza di primo grado, e biso-gnerà precisare il contenuto del suo gravame tar-divo. Andrà, altresì, considerata la possibile com-presenza di un ricorso convertito ex art. 580c.p.p.

In secondo luogo, se la tendenziale inappella-bilità delle sentenze di proscioglimento dovrebberidurre i casi di conversione in appello dei ricor-si contro le sentenze di condanna, la conservataappellabilità delle sentenze di condanna potràdeterminare non poche conversioni in appellodei ricorsi contro le sentenze di proscioglimento.Anche per questa ragione, pur ribadendo l’esi-genza di assicurare il simultaneus processus, il legi-slatore – attraverso una modifica dell’art. 580c.p.p. – ha cercato di ridurre – nei limiti del pos-sibile – i casi di conversione che potrebbero fru-strare la ratio della riforma (art. 7, legge n. 46 del2006).

In via di prima approssimazione, è logico pre-conizzare che i tempi serrati e le peculiari qualitàche devono connotare la prova capace d’innesta-re il giudizio di secondo grado, renderanno mini-mi i casi d’appello e che, sulla scorta della ridu-zione dell’accesso al rito de quo, si evidenzieran-no incisive ripercussioni sul giudizio di cassazio-ne. Deve, invece, ritenersi unicamente “potenzia-

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le” – nella prospettiva dell’inappellabilità delledecisioni di proscioglimento – il rischio di un re-stringimento delle regole valutative di cui all’art.530 cpv. c.p.p. da parte del giudice di primo gra-do, attesa, peraltro, la modifica che ha investito,invece, l’art. 533 c.p.p. (art. 5, legge n. 46 del2006).

Dal punto di vista più strettamente normati-vo, la disamina ha messo in luce alcune zoned’ombra della nuova disciplina. Il richiamo vaalla vacuità del concetto di novità e decisivitàdella prova.

Su di un versante più elevato, devono, invece,ritenersi superate le censure relative al possibileconflitto della normativa in oggetto con gli artt.3, 24 e 112 Cost., mentre, sullo sfondo, riman-gono irrisolti altri profili dei giudizi d’impugna-zione ai quali, data l’economia del presente lavo-ro, si può solo accennare: il riferimento, va, fra glialtri, alla possibilità che vengano stabiliti specifi-ci motivi di ricorso nel caso di conferma in se-condo grado della condanna pronunciata in pri-ma istanza; dovrebbero essere assicurate piùampie garanzie e tutele in capo alla persona dan-neggiata dal reato.

Sotto quest’ultima prospettiva, non pochi ri-lievi problematici paiono prospettabili in relazio-ne agli ambiti nei quali vengono confinati gli in-teressi della parte civile per la quale l’unico rime-dio esperibile è il ricorso per Cassazione.

In definitiva, una volta “metabolizzata” lariforma de qua, sarà inevitabilmente necessariooperare una rivisitazione sistematica dei giudizidi gravame.

[Nota bibliografica] Per una disamina dei primi commenti allalegge n. 46 del 2006 v.: Aa.Vv., Processo penale: diventa la regolal’inappellabilità dei proscioglimenti, in Guida al dir. 2006, n. 10, p.41; nonché, Bargis, Impugnazioni, in Aa.Vv., Compendio di procedu-ra penale, a cura di G. Conso -V. Grevi, 3° ed., Padova 2006, p.820 ss.; Ferrua, Il “giusto processo”, Bologna 2005, p. 207; Id.,Inappellabilità: squilibri e disfunzioni – No dal Colle per salvare la Cas-sazione, in D&G 2006, n. 5, p. 88; Id., Riforma disorganica; era me-glio rinviare, ivi, n. 9, p. 78; Spangher, Ma la legge è necessaria: eccoperché. Servono più garanzie ai diritti di difesa, ivi, n. 5, p. 92; Id., Leg-ge Pecorella: ora l’appello si sdoppia, ivi, n. 9, p. 68.

Per una panoramica di ordine più generale v.: Serges, Il princi-pio del doppio grado di giurisdizione nel sistema costituzionale italiano,Milano 1993; Spangher, voce Impugnazioni penali, in Dig. disc.pen., VI, Torino 1992, p. 218 ss.; Verrina, Doppio grado di giuri-sdizione, convenzioni internazionali e Costituzione, in Aa.Vv., Le im-pugnazioni penali, a cura di Gaito, I, Torino 1998, p. 143 ss.;quanto al giudizio d’appello cfr., oltre a Spangher, voce Appellonel diritto processuale penale, in Dig. disc. pen., I, Torino 1987, p.197 ss.; Id., voce Appello (dir. proc. pen.), in Enc. giur., II, Roma1991, p. 1 ss., e, soprattutto, Menna, Il giudizio d’appello, Napoli1996, e, più di recente, Nuzzo, L’appello nel processo penale, Mila-no 2005. In ordine al tema della rinnovazione dell’istruzione di-battimentale si rinvia, per tutti, a Mazzarra, La rinnovazione deldibattimento in appello, Padova 1995, e Peroni, L’istruzione dibatti-mentale nel giudizio d’appello, Padova 1995; sul carattere della pro-

va “nuova” cfr., amplius, Fiorio, Il regime della « prova nuova » nelsistema delle impugnazioni, Perugia 2003.

Per le riflessioni che – subito dopo l’entrata in vigore del nuo-vo sistema processuale – hanno fecondato, progressivamente, lanuova disciplina, cfr., fra gli altri: Grevi, Presunzione di non colpe-volezza, garanzie dell’imputato ed efficienza del processo nel sistemacostituzionale, in Alla ricerca di un processo penale « giusto ». Itinerarie prospettive, Milano 2000, p. 99 ss.; Fassone, L’appello: un’ambi-guità da sciogliere, in Quest. giust. 1991, p. 623 ss.; Nappi, Il nuovoprocesso penale: un’ipotesi di aggiornamento del giudizio di appello, inC. pen. 1990, I, p. 974 ss.; Spangher, Per una redifinizione dei pote-ri del giudice d’appello, in Aa.Vv., Il giudizio di cassazione nel sistemadelle impugnazioni, a cura di Mannuzzu e Sestini, Roma 1992, p.129 ss.; Id., Rito accusatorio: per una nuova riforma del sistema delleimpugnazioni penali, ivi, p. 235 ss.; Id., Il doppio grado di giurisdizio-ne, in Aa.Vv., Presunzione di non colpevolezza e disciplina delle impu-gnazioni, Atti del convegno (Foggia-Mattinata 25-27 settembre1998), Milano 2000, p. 105 ss.

Quanto alle osservazioni formulate in ordine alla compatibilitàdel giudizio d’appello con le regole costituzionali introdotte dalla l.cost. n. 2 del 1999, si rinvia, senza alcuna pretesa di completezza,a: Amodio, Dal rito inquisitorio al “giusto processo”, in Il giusto proces-so 2002, n. 4, p. 97 ss.; Chiavario, voce Giusto processo, in Enc.giur., XV, Roma 2001, p. 1 ss.; Ferrua, Garanzie del giusto processo eriforma costituzionale, in Critica del d. 1998, p. 164 ss.; Id., La ristrut-turazione del processo penale in cerca di autore, in Quest. giust. 2005, p.771 ss.; Illuminati, Appello e processo accusatorio. Uno sguardo ai si-stemi di common low, in Aa.Vv., Principio accusatorio, impugnazioni,ragionevole durata del processo, in Suppl. D&G 2004, n. 29, a cura diNunziata, p. 99 ss.; Marzaduri, L. cost. 23/11/1999, n. 2 – Inseri-mento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione.Commento all’art. 1, in Legisl. pen. 2000, p. 755 ss.; Nappi, La rifor-ma delle impugnazioni: habent sua siderea leges, in C. pen. 2004, p.1904 ss.; Orlandi, Sono davvero troppi tre gradi di giurisdizione pena-le ?, in Aa.Vv., Principio accusatorio, impugnazioni, ragionevole duratadel processo, in Suppl. D&G 2004, n. 29, p. 129 ss.; Peroni, Giustoprocesso e doppio grado di giurisdizione nel merito, in R. d. proc. 2001,p. 710 ss.; Spangher, Sistema delle impugnazioni penali e durata ra-gionevole del processo, in Corr. giur. 2002, p. 1261 ss.

In merito alla possibilità dell’ufficio d’accusa di proporre il giu-dizio di seconde cure avverso la sentenza di proscioglimentoemessa in primo grado v. autorevolmente: Coppi, No all’appellodel p.m. dopo la sentenza di assoluzione, in Il giusto processo 2003, n.5, p. 27 ss.; Ferrua, Impugnazioni del Pm e divieto di novum inCassazione, in D&G 2003, n. 46, p. 8 ss.; Frigo, Il “giusto proces-so” penale: bilanci e prospettive, in Il giusto processo 2002, n. 3, p. 17ss.; Lozzi, Reformatio in peius del giudice di appello e cognitio fac-ti ex actis della Corte di cassazione, in R. it. d. proc. pen. 2004, p.631 ss.; Nannucci, Sono gli appelli del pubblico ministero che inqui-nano il giusto processo?, in C. pen. 2004, p. 4342 ss.; Nuzzo, Deprofundis per l’appello del pubblico ministero contro le sentenze di as-soluzione, ivi, p. 3910 ss.; Padovani, Il doppio grado di giurisdizione.Appello dell’imputato, appello del p.m., principio del contraddittorio, ivi2003, p. 4023 ss.; Stella, Sul divieto per il pubblico ministero diproporre appello contro le sentenze di assoluzione, ivi 2004, p. 756ss.; in giurisprudenza, v. Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2003,Andreotti, ivi, p. 811 con nota di Carcano, Brevi note sulle regoleche governano il processo penale.

In ordine ai rilievi d’incostituzionalità della disciplina v. C.App. Milano, sez. II, 9 marzo 2006, Guareschi, n. R.G.3655/2005, in Guida al dir. 2006, n. 13, p. 87 che confermal’impostazione secondo la quale la parità tra accusa e difesa noncomporta identità dei poteri processuali; adde, Frigo, Ignorati iprofili di illegittimità ereditati dalla vecchia disciplina, ivi, n. 13, p. 94;per una difforme lettura cfr. C. App. Firenze, sez. III, 9 marzo2006, H. S., in www.dirittoegiustizia.it., 10 marzo 2006; App. Bre-scia, sez. II, 10 marzo 2006, n. R. G. 655/2005, in Guida al dir.2006, n. 13, p. 91.

Per altre e più specifiche questioni, v. Cass. pen., sez. VI, 13-22 marzo 2006, Foresta, in D&G 2006, n. 16, p. 46, con com-mento di Ferrua, Legge Pecorella e regime transitorio. Gli ermelliniscelgono la linea dura, e Cass. pen., sez. VI, 15-29 marzo 2006,Casula, ivi, p. 40, con commento di Spangher, La parte civile nel-la legge Pecorella. Potrà ricorrere, ma non appellare.

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ge è intrinsecamente “buona” perché è espressio-ne della volontà generale), ma ben si adatta adun regime “totalitario” (tale era la dittatura fasci-sta), come pure a concezioni “populiste” dellademocrazia, in cui gli spazi di discrezionalitàaperti al giudice dalla possibilità d’interpretare leleggi sono malvisti, in quanto possibili veicolid’elusione relativi ad atti “sovrani”.

A parte ciò, la concezione del giudice-bouchede la loi postula un duplice errore: a) che ogni di-sposizione di legge sia sempre suscettibile soltan-to d’una interpretazione; b) che il giudizio sul fat-to sia sempre “neutro”, scevro, cioè, da ogni“contaminazione” con i giudizi di valore postula-ti dalla norma giuridica.

Da tali inesatte premesse si fece discendereche la Cassazione, Suprema Corte regolatrice,non può in alcun caso « diventare giudice del fat-to », sovrapponendone la sua ricostruzione stori-ca a quella operata dall’autore del provvedimen-to impugnato; più specificamente, ch’essa nonpossa ri-valutare le prove da quest’ultimo già ap-prezzate.

2. Però, una concezione parzialmente diversasembra risultare dalla Costituzione della Repub-blica italiana, entrata in vigore nel 1948: secondola nuova Carta fondamentale, la Corte di cassa-zione (considerata nella parte II, sull’Ordinamentodella Repubblica) diviene garante di situazioni giu-ridiche soggettive che sono direttamente tutelatenella parte I, sui Diritti e doveri dei cittadini.

In particolare: a) tutti i provvedimenti giudi-ziari restrittivi della libertà personale, consentitisolo nei « casi » e nei « modi » previsti dalla legge,devono essere motivati (art. 13, comma 2); b) lastessa garanzia è richiamata in tema di libertàdomiciliare (art. 14, comma 2); c) la motivazionedeve connotare « tutti i provvedimenti giurisdi-zionali » (art. 111, comma 1 [ora 6]).

IL SINDACATO DELLA CASSAZIONE PENALE SULLA MOTIVAZIONE DEI PROVVEDIMENTI GIURISDIZIONALI DOPO LA LEGGE N. 46 DEL 2006

di Paolo Moscarini

1. L’annosa problematica riguardante i poteridi sindacato della Cassazione penale sulla moti-vazione dei provvedimenti giurisdizionali ha, al-la sua base, un equivoco di fondo, determinatodalla contraddittorietà della normativa tendentea definire la collocazione istituzionale e gli obiet-tivi di tale organo.

Difatti, secondo l’art. 65 ord. giudiz. 1941(tuttora in vigore), « la Corte Suprema di cassa-zione, quale organo supremo della giustizia, assi-cura l’esatta osservanza e l’uniforme interpreta-zione della legge », nonché « l’uniformità del di-ritto oggettivo nazionale ».

Questa proposizione postula – evidentemente– quella concezione giu-ridico-politica, scaturitadall’Illuminismo e dallaRivoluzione francese ebasata sul principio diseparazione dei poteri,per cui il giudice devesolo applicare la legge (essere, cioè, come si sole-va dire, la bouche de la loi), non anche interpretar-la, poiché, se addivenisse ad un’esegesi, si sosti-tuirebbe al legislatore, unico deputato ad espri-mere la volonté générale, usurpando così un’attri-buzione non spettategli.

Alla luce di questa “ideologia”, nella Franciarivoluzionaria del 1790 viene istituito un organosupremo (originariamente chiamato Tribunal decassation) con la esclusiva funzione di verificare sei giudici du fond (del merito) abbiano o no appli-cato esattamente la legge; in caso negativo, il Tribu-nal annulla con rinvio; se l’errore giuridico si ri-pete più volte per l’equivocità del dato normati-vo, lo stesso organo investe della questione l’As-semblea legislativa, ai fini di un’ “interpretazioneautentica”.

Questo “inquadramento” sottintende – origi-nariamente – una concezione democratica (la leg-

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Il giudice bouche de la loi

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Attualità e saggi

ner conto di un fatto, risultante dagli atti, per sestesso idoneo a determinarne un’altra, di segnoopposto).

Entrambe le due specie d’errore sono – evi-dentemente – esiziali per l’esito della causa, etanto più deprecabili laddove ridondino ai dannid’un imputato innocente. Per esempio, si pensial caso in cui questi sia condannato sulla basedella deposizione d’un “supertestimone” de visuche, in realtà, non è mai stato sentito (e, forse,non è mai esistito; qui, poi s’entra nell’orbita delfalso ideologico), oppure senza tener conto d’u-na prova d’alibi o d’una causa di giustificazione,pur acquisita agli atti.

Un’ulteriore categoria di vizio rilevante ai finidel giudizio di cassazione è stata poi ravvisatanel c.d. “travisamento delle risultanze”: nella fat-tispecie, il dato probatorio esiste ed è valutato,ma viene “frainteso”, cioè, interpretato attribuen-dogli un significato diverso da quello ch’esso hasecondo l’uso comune (per esempio: l’afferma-zione dell’essere avvenuto un certo fatto vieneintesa come negazione ch’esso sia mai accaduto,o viceversa).

Peraltro, la possibilità o non, per SupremaCorte, di censurare tutte tali specie di “travisa-menti” dipende da una condizione: bisognach’essa abbia facoltà di riesaminare il fascicolo pro-cessuale, al fine di riscontrare la corrispondenzadelle asserzioni fattuali presupposte dal « discor-so giustificativo della decisione ». Insomma, lagiurisdizione di legittimità diviene, attraverso il“cavallo di Troia” del sindacato sulle diverse for-me di tali errores, una cognitio facti, non e gestis(per es., basata sulle parole dette a viva voce daun teste), bensì ex actis (sempre restando all’e-sempio, sul verbale che documenta la deposizio-ne di quello stesso testimone).

4. Paradossalmente, la riforma del processopenale, con l’avvento di un codice “garantista”,quale quello “Vassalli”, ha comportato una dra-stica limitazione del potere di controllo dellaCorte di cassazione sulla motivazione dei prov-vedimenti, sebbene il sindacato esteso alle varieforme di “travisamento” fosse ormai invalso, neisuoi indirizzi giurisprudenziali, fino a costituireun “istituto” pressoché consolidato.

A ciò devono aver portato diverse considera-zioni.

In primo luogo, la convinzione che l’introdu-zione d’un sistema accusatorio, basato sull’accer-tamento del “fatto” nel contraddittorio tra le par-ti, davanti al giudice, fosse « il miglior modo per

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È alla luce di tali norme, allora, che va lettol’art. 111, comma 2 [ora 7], per cui tutte le sen-tenze e tutti i provvedimenti giurisdizionali sullalibertà personale (e, quindi, anche quelli sulla li-bertà domiciliare) sono sempre ricorribili in cas-sazione per violazione di legge.

Di conseguenza: a) la regola sulla motivazionedei provvedimenti suddetti è funzionale al ri-spettivo controllo da parte della Suprema Corte;b) se còmpito di quest’ultima è verificare l’appli-cazione della legge, primo oggetto di tale verificadev’essere l’osservanza dell’obbligo di motiva-zione, anche e soprattutto quanto ai suddettiprovvedimenti de libertate.

Dunque, una volta deputata la Cassazione – alivello primario nella gerarchia delle fonti – persvolgere un simile ruolo, la sua funzione nonpuò più essere considerata come meramente“nomofilattica”, ma occorre comporti anche lapossibilità d’un controllo riguardante l’attuazionedella “giustizia sostanziale” nel caso concreto, asalvaguardia dei preindicati diritti fondamentali.Né questo sindacato può attuarsi altrimenti che– anzitutto – sulla base della motivazione diquei provvedimenti i quali restringono le suddet-te libertà.

3. Era quindi inevitabile che, nel corso deglianni successivi, la Suprema Corte ampliassesempre più il suo àmbito d’intervento: dalla me-ra “nomofilachia”, essa passava – attraverso ilcontrollo sulla motivazione – al sindacato nonsolo sulla congruenza “interna” del provvedi-mento impugnato (cioè,sulla non contradditto-rietà fra le sue varie par-ti) ma anche – talora –sulla adeguatezza dellemassime d’esperienzaadottate dal giudice aquo nel sillogismo probatorio, nonché – soprat-tutto – sulla “congruenza esterna” dell’atto, cioè,sulla sua conformità alle risultanze processualiacquisite nelle precedenti fasi e negli anteriorigradi “di merito”.

In particolare, venne enucleata – quale catego-ria autonoma di vizio censurabile in sede di cas-sazione – il “travisamento del fatto”. Nella rispet-tiva area si fa – ancor oggi – rientrare sia il c.d.“travisamento per eccesso” (che s’ha quando ilgiudice a quo decide sulla base d’un fatto inesi-stente, perché non dimostrato da alcuna provaagli atti) sia il c.d. “travisamento per difetto” (ve-rificantesi nel caso di decisione emessa senza te-

Le varie formedi “travisamento”

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scoprire la verità », ha finito per far passare in se-condo piano la questione delle impugnazioni pe-nali. Di conseguenza, il “riesame del fascicolo”,già consentito in grado d’appello e perfino nelgiudizio di cassazione, dev’essere sembrato un’i-nutile (e perfino pregiudizievole) ripetizione, subase cartolare, d’acquisizioni istruttorie e valuta-zioni già ben più attendibilmente espletate nelprocesso di prime cure.

Più specificamente, poi, la medesima opera-zione, ove compiuta da parte della SupremaCorte, è apparsa come uno “snaturamento” delsuo ruolo istituzionale d’organo chiamato a sin-dacare la mera legittimità dell’atto.

Infine, la notoria lunghezza dei processi pena-li italiani, insieme con la previsione d’un proba-bile loro ulteriore prolungamento a causa dell’in-troduzione d’istituti come l’udienza preliminare ela cross-examination dibattimentale, potrebbe avercondotto a non voler “aggravare” ulteriormentela situazione mediante la conservazione d’una“terza istanza”, sostanzialmente estesa anche almerito.

Il risultato è stato quella formulazione dell’art.606, lett. e), c.p.p. – drasticamente limitativaquanto al potere della Cassazione penale di sin-dacare i merita causae – che consentiva alla me-desima di verificare la mancanza o la manifestaillogicità della motivazione solo se tale vizio fosserisultato dal testo del provvedimento impugnato.

Peraltro, una volta vietato alla Corte il riesamedel fascicolo, si perveniva anche ad impedirle larilevazione di “sbagli” metodologici nella rico-struzione storica degli accadimenti controversi –quali il travisamento del fatto o quello delle risul-tanze – tali da determinare cruciali errores in iudi-cando, come l’assoluzione del colpevole o – peg-gio – la condanna dell’innocente.

5. In particolare, per quanto specificamente ri-guarda l’imputato, la questione è apparsa parti-colarmente delicata con riferimento ai casi digiudizio espresso con sentenza oggettivamenteinappellabile: tali erano quella pronunciata ingrado d’appello, quella emessa in esito a giudizioabbreviato (laddove si fosse trattato d’ottenereun proscioglimento con formula più favorevole),quella pronunciata a séguito di “patteggiamentosulla pena”, quella di proscioglimento anticipatonel predibattimento a causa d’improcedibilità oestinzione del reato.

In relazione a taluna delle suddette fattispecie(come quella della condanna pronunciata per laprima volta in sede d’appello) – per di più – ta-

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Il sindacato della Cassazione penale sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali

luno ritenne porsi, addirittura, un problema dicompatibilità tra la disposizione italiana de quaed il diritto internazionale pattizio recepito dalnostro ordinamento interno.

Difatti, va ricordato che, ai sensi dell’art. 14, §5, Patto int. dir. civ. e pol., « ogni individuo con-dannato per un reato ha diritto a che l’accerta-mento della sua colpevolezza e la condanna sia-no riesaminati da un tribunale di seconda istan-za in conformità alla legge »; e che omologa di-sposizione (sotto la rubrica Diritto ad un doppiogrado di giurisdizione in materia penale) trovasisancita all’art. 2, § 1, Protocollo n. 7 alla Conv.eur. dir. um.

È pur vero, tuttavia, che tale diritto, per il § 2di quest’ultimo articolo, soggiace a diverse ecce-zioni; in particolare, esso può venir derogato nelcaso di persona « dichiarata colpevole e condan-nata a seguito di un ricorso avverso il suo pro-scioglimento » (incidentalmente, va osservatoche questa disposizione finisce per portare ac-qua alla soluzione – oggi recepita dal legislatoreitaliano – la quale vieta l’appello contro le deci-sioni, emesse in primo grado, comunque libera-torie nei confronti del prevenuto).

Per parte sua, la Cassazione penale, a frontedel dato codicistico risultante dalla riforma pro-cesssuale del 1988, ha via via adottato, nei varicasi, soluzioni diverse. Ad esempio: talora, haapplicato il divieto con fermezza, pur accompa-gnandolo al monito (pedagogico), rivolto ai giu-dici del merito, di dar adeguatamente conto, nel-la parte motiva, in ordine a tutte le risultanzeprocessuali; talaltra, l’omessa valutazione d’unaprova decisiva è stata considerata come una cau-sa di nullità ex art. 125, comma 3, c.p.p., deduci-bile in cassazione ai sensi dell’art. 606, lett. c);talaltra ancora, il medesimo vizio è stato ritenutocensurabile nella sede de qua se, intervenuto nel-la sentenza di primo grado, fosse stato già de-nunciato con i motivi d’appello (e non “rimedia-to” in seconde cure).

Due asserti, peraltro, nonostante il nuovo, piùcircoscritto, “tipo” di sindacato consentito allaCassazione penale, sono sembrati sicuramentesostenibili: a) la permanente censurabilità del“travisamento per eccesso” [vizio che, presuppo-nendo l’“invenzione” d’una prova inesistente ne-gli atti, è stato ritenuto equiparabile all’impiegoin motivazione d’una prova inutilizzabile e, quin-di, causa d’annullamento ai sensi dell’art. 606,lett. c)]; b) la non illegittimità dell’art. 606, lett. e),con riferimento agli artt. 3 e 24, comma 2, Cost.,posto che la stessa Carta fondamentale, nel se-

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Attualità e saggi

re il proscioglimento con formula più favorevoleè stato, più volte, sancito dalla Corte costituzio-nale.

Va sùbito detto che la prima innovazione po-trebbe apparire superflua: la « contraddittorietà »

della motivazione – vizioche, secondo una massi-ma consolidata, si verifi-ca quando il giudice per-viene a conclusioni incontrasto con le premes-

se o a conclusioni differenti nei confronti d’im-putati diversi riguardo ai quali ha posto ugualipremesse – non è che una forma d’« illogicità ri-sultante dal testo del provvedimento impugna-to ». Di conseguenza – si potrebbe argomentare– ne sarebbe stata sostenibile la sindacabilità nelgiudizio cassazione anche prima della recentenovella. La quale, dunque, per tale punto, sem-brerebbe meramente esplicativa.

Peraltro, detta « contraddittorietà » acquista unsenso autonomo se rapportata all’ulteriore, nuo-va, norma che permette alla Suprema Corte un(limitato) controllo basato sul raffronto tra moti-vazione dell’atto impugnato e risultanze proces-suali: l’aporìa qui considerata appare essere – al-lora – non già quella “interna” al provvedimento,bensì quella rilevabile ab estrinseco, attraverso ilsuo confronto con gli atti processuali indicatidalla parte nel ricorso.

Quanto, poi, alla seconda regola, questa, inquanto consente alla Suprema Corte il riesamedel fascicolo solo limitatamente agli atti indicatidalla parte istante, non costituisce un puro e sem-plice ritorno al passato, ma un revival che – inrealtà – tende a realizzare un compromesso tra leesigenze della nomofilachìa e quelle della giusti-zia sostanziale.

7. Ad immediata lettura, le prime pronuncedella Suprema Corte applicatrici della norma in

oggetto (v. sez. VI, 24marzo 2006, Strazzanti;Id., sez. VI, 29 marzo2006, Casula) rivelano,complessivamente, unabitus mentale evidente-

mente conservatore e rigoristico.Anzitutto, il Collegio si è preoccupato di de-

finire esattamente i limiti dei suoi nuovi poteri,a tal fine stabilendo di poter controllare il “di-scorso giustificativo” del provvedimento impu-gnato soltanto per verificare che tale iter motiva-zionale:

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condo (ora settimo) comma dell’art. 111, circo-scrive la ricorribilità per cassazione dei provvedi-menti giurisdizionali alla sola ipotesi della « vio-lazione di legge ».

6. L’aver “riveduto” la disposizione de qua, fontedi ormai annose discussioni, è certo un meritodella “legge Pecorella”. Come, del resto, le vaascritto quello, ulteriore, d’aver sostituito anchela lett. d ) del citato art. 606, permettendo che la« mancata assunzione d’una prova decisiva » siamotivo di ricorso non solo quando la parte neabbia fatto richiesta in limine iudicii, ma anche sela relativa istanza sia intervenuta nel corso dell’i-struzione dibattimentale. Va incidentalmente ri-levato – a quest’ultimo proposito – che tale for-mula appare ben più adeguata di quella prece-dente, dati il principio costituzionale per cui l’im-putato ha diritto ad ogni prova per lui favorevole(art. 111, comma 3) ed il carattere “fluido” che laricostruzione storica acquisisce nel giudizio ac-cusatorio, con conseguente maggior possibilitàche l’emergervi di diversi o nuovi dati rispetto alfatto dedotto nell’accusa determini un ulteriorediritto delle parti all’assunzione dei rispettivi ele-menti a carico o a discarico.

Nel tornare al discorso sul vizio di motivazio-ne, va evidenziato preliminarmente come la leg-ge de qua – tra l’altro – abbia sostituito altresì lalett. e) dello stesso art. 606, stabilendo che:

a) costituisce un “caso” di ricorso anche lacontraddittorietà della parte motiva;

b) comunque, tale error in procedendo può ri-sultare non, più, solo, dal testo del provve-dimento de quo, ma anche « da altri atti delprocesso specificamente indicati nei motividi gravame ».

A tale soluzione hanno portato due conside-razioni:

a) l’inappellabilità delle sentenze di prosciogli-mento – stabilita dalla stessa nuova legge –pone un limite al potere del pubblico mini-stero d’impugnare le condanne il quale de-ve trovare un “contrappeso” nella sua fa-coltà di giovarsi, in maggior misura che inpassato, del ricorso per cassazione;

in vari casi, la suddetta non appellabilità puòriuscire pregiudizievole anche nei riguardi del-l’imputato (si pensi al caso dell’innocente absolu-tus ab onere iudicii per estinzione del reato).

Circa quest’ultimo profilo, va ricordato che –salvi i casi d’assoluzione per insussistenza delfatto o per non averlo commesso – il diritto del-l’imputato di proporre impugnazione per ottene-

La contradditorietà

della motivazione

Prime applicazioni

giurisprudenziali

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a) sia effettivo e non apparente, cioè, realmen-te idoneo a rappresentare le ragioni a basedella decisione;

b) non sia « manifestamente illogico », vale adire, sia sorretto, nei suoi punti essenziali, daargomentazioni non evidentemente viziate dalpunto di vista razionale;

c) non sia intrinsecamente contraddittorio (idest: inficiato da taluna delle incongruenzedel tipo di cui s’è già detto);

d) non sia logicamente incompatibile con altriatti del processo.

In realtà, è in queste due ultime affermazioniche sta il vero elemento di novità.

Più specificamente – quanto a tale, importan-tissimo, profilo – la Cassazione penale ha stabili-to alcuni precisi criteri:

a) non è sufficiente che gli atti indicati dal ri-corrente siano solo contrastanti con particola-ri accertamenti e valutazioni del giudice aquo o con la sua ricostruzione complessivae finale dei fatti e delle responsabilità;

b) neppure basta che gli atti indicati sianoastrattamente idonei a fornire una ricostru-zione più persuasiva di quella fornita dalsuddetto giudice;

occorre – invece – che i medesimi documentisiano autonomamente dotati d’una forza esplica-tiva o dimostrativa tale che la loro rappresenta-zione disarticoli l’intero ragionamento dell’organoa quo e determini al suo interno radicali incom-patibilità, così da rendere manifestamente incon-grua o contraddittoria la motivazione.

Il pendant di tali condizioni – secondo il Colle-gio – è integrato da certuni peculiari oneri nellafattispecie incombenti sul ricorrente. In partico-lare questi:

a) non si può limitare ad addurre l’esistenza diatti del processo non tenuti esplicitamentein conto nella motivazione o non corretta-mente o adeguatamente intesi nel loro signi-ficato;

deve, invece: ba) identificare l’atto processuale cui fa riferi-

mento;bb) individuare l’elemento fattuale o il dato

probatorio emergente da tale atto ed in-compatibile con la ricostruzione effettuatain motivazione;

bc) dare la prova della verità dell’elemento fattua-le o del dato probatorio invocato nonché del-l’atto processuale su cui tale prova si fonda;

bd) indicare le ragioni per cui l’atto inficia ocompromette, in modo decisivo, la tenuta

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Il sindacato della Cassazione penale sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali

logica e l’interna coerenza della motiva-zione, introducendo nella medesima profi-li di radicale incompatibilità.

Inoltre, la Cassazione penale ha avuto anchecura di evidenziare come – conseguentemente atali nuovi oneri del ricorrente – emerga una pre-visione normativa ulteriore, quanto alle forme del-l’impugnazione, rispetto ai requisiti già stabilitidall’art. 581, quando si tratti di ricorrere alla Su-prema Corte per vizio motivazionale: l’impu-gnante è tenuto non solo a designare, nella suadoglianza, tutti gli elementi considerati nell’arti-colo ora citato, ma altresì ad individuare inequivo-cabilmente e rappresentare specificamente gli attiprocessuali che intende far valere, nelle forme divolta in volta più adeguate alla natura dei mede-simi atti (integrale esposizione e riproduzionenel testo del ricorso, allegazione in copia, precisaidentificazione della collocazione dell’atto nel fa-scicolo del giudice o altro adempimento omolo-go).

Da ultimo, in una prospettiva di sintesi, il Colle-gio ha definito i caratteri del suo potere di con-trollo sulla motivazione: questo è destinato a tra-dursi in una valutazione, con carattere necessaria-mente unitario e globale, sulla reale esistenza dellamotivazione e sulla permanente resistenza logicadel ragionamento giudiziale. Invece, resta tuttorapreclusa alla Corte un’analisi orientata ad esami-nare, in modo separato ed atomistico, i singoliatti su cui s’impernia il discorso del giudice aquo, perché tale modo di procedere si risolverebbein un’impropria riedizione del giudizio di merito,contraria alla sua funzione essenziale nel con-trollo sulla motivazione.

Difatti, – secondo la Cassazione penale –nemmeno dopo la legge n. 46 del 2006 il suogiudizio di legittimità può consistere in una “rilet-tura” concernente gli elementi di fatto posti afondamento della decisione, e neppure nell’auto-noma adozione di nuovi e diversi parametri nellaricostruzione e valutazione degli accadimenticontroversi, perché siffatte operazioni la trasfor-merebbero in un ennesimo giudice del fatto e leimpedirebbero di svolgere la sua funzione tipica:quella di controllare l’esistenza d’uno standardd’intrinseca razionalità e di capacità rappresenta-tiva ed esplicativa nell’iter logico seguito dal giu-dice a quo per giungere alla decisione.

8. A prima lettura, le citate sentenze della su-prema Corte offrono più spunti di riflessione.

Anzitutto, in base alle medesime, risultano –in parte – ben chiare le condizioni perché il “fat-

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Attualità e saggi

“travisamento delle risultanze” (sempre, ovvia-mente, che tale errore risulti essere stato anch’es-so determinante nel senso sopraindicato). Adesempio, non si potrebbe non assimilare al “tra-visamento del fatto”, di cui s’è detto, il caso incui dal confronto tra la motivazione dell’atto gra-vato e gli atti indicati dalla parte risultasse che ilgiudice a quo ha frainteso la dichiarazione d’unteste de visu, interpretandone l’affermazione d’uncerto fatto come negazione del medesimo, o vice-versa.

Peraltro, su quest’ultima conclusione può ri-manere qualche dubbio, alla luce delle recentisentenze suindicate. Difatti, la Suprema Corte viribadisce la permanenza di taluni limiti al suosindacato, pur essendo anche quest’ultimi ogget-to d’un annoso dibattito.

Più specificamente: essa nega d’aver la facoltàdi esaminare in modo separato ed atomistico i sin-goli atti denunciati ai fini d’una “rilettura” direttaa stabilire premesse fattuali differenti da quelledel giudice a quo. Di conseguenza, la rilevanzadel “travisamento” concernente il valore seman-tico di una o più delle risultanze processualisembrerebbe poter divenire una questione dagiocare, pro casu, sul filo del rasoio.

Invece, la Cassazione penale è stata inequivo-ca laddove ha escluso di poter autonomamenteadottare criteri di ricostruzione dei fatti nuovi e di-versi rispetto a quelli scelti dal giudice a quo. Ilche null’altro sta a rappresentare se non la riaf-fermazione del tradizionale, rigoristico, orienta-mento – accolto anche da una autorevole partedella dottrina – il quale nega la facoltà della Cor-te di sindacare le c.d. “massime d’esperienza”.

Nello stesso senso, del resto, la stessa Corte èstata ancor più esplicita anche in altra, recente,sentenza (sez. V, 10 aprile 2006, Cugliari),quando, – andando, certo, oltre il segno – ha af-fermato che, anche dopo la recente riforma dell’art.606, lett. e), non le è consentita una diversa lettu-ra di dati processuali né una diversa interpretazionedelle prove, essendo estraneo al giudizio di legitti-mità il controllo sulla correttezza della motivazione inrapporto ai dati processuali.

Sul punto, bisogna intendersi.In linea di principio, effettivamente, la ri-valu-

tazione degli atti di causa secondo regole empiri-che divergenti da quelle postulate dai giudici dimerito significa, appunto, rifare il giudizio di me-rito. Tale soluzione sarebbe – senza dubbio – incontrasto con la funzione esclusivamente nomofi-lattica assegnata alla Cassazione dall’ordinamen-to giudiziario.

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to”, risultante dagli atti indicati nel ricorso, inte-gri effettivamente un “caso” rilevante ai sensi del“nuovo” art. 606, comma 1, lett. e): non bastache tale elemento evidenzi un contrasto fra moti-vazione e risultanze riguardante solo un puntomarginale, oppure una difformità di carattere mera-mente parziale, tra tali stessi atti; invece, occorreche il fatto de quo dimostri ab externo un’incon-gruenza tra le argomentazioni del giudice di meri-to ed uno o più dati probatori acquisiti così influen-te da “scardinare” logicamente l’intera struttura del-l’iter ricostruttivo, relativo agli accadimenti con-troversi, su cui si basa il provvedimento impu-gnato.

Ed allora, è indubbio che la novella n. 46 del2006 abbia finito peraprire uno spiraglio alsindacato della Cassa-zione penale sul “travi-samento del fatto perdifetto”; cioè, – si ripete– sulla mancata consi-derazione d’un fatto tale da determinare un esitodella causa di segno opposto rispetto quello sta-bilito dal provvedimento impugnato, conseguen-temente all’omessa valutazione d’una prova (odi più prove) dal contenuto decisivo.

Tale, per esempio, sarebbe – appunto – il ca-so in cui il giudice a quo avesse condannato l’im-putato senza tener conto d’una testimonianzad’alibi o d’una causa di giustificazione (pur pro-cessualmente acquisita e documentata dagli atti).

Del resto, l’esattezza di questa conclusione èdimostrata dal raffronto tra i due “nuovi” rispet-tivi testi delle lett. d) ed e) di cui all’art. 606. Di-fatti, oggi, la prima disposizione – come riformu-lata dalla stessa legge n. 46 del 2006 – consentedi ricorrere – in misura più ampia che non inpassato – per la mancata assunzione d’una con-tro-prova (cioè d’una prova chiesta dalla difesaal fine di negare o “neutralizzare” « i fatti oggettodelle prove a carico », oppure dall’accusa a scopoomologo quanto ai « fatti oggetto delle prove adiscarico »: v art. 495, comma 2), Pertanto, sa-rebbe illogico che la seconda formula legislativanon consentisse di far valere come vizio motiva-zionale l’ipotesi in cui una prova eiusdem generis,pur essendo stata assunta, non fosse stata, però,valutata.

Ma v’è di più. La nuo-va “versione” della citatalett. e) sembra autorizza-re il sindacato della Cas-sazione penale anche sul

Il sindacato sul “travisamento

del fatto per difetto”

Il sindacato sul“travisamento

delle risultanze”

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Il sindacato della Cassazione penale sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali

Certamente, a questo riguardo, è plausibile l’o-biezione (Ferrua) secondo cui, ora che il vizio dimotivazione può risultare anche dagli atti delprocesso – purché essi siano indicati dal ricor-rente – quest’ultimo ben potrebbe prospettare,sulla base di tale materiale, diversi e più ragione-voli parametri di valutazione dei dati, che la Cas-sazione potrebbe – anzi, sarebbe tenuta – ad esa-minare, in quanto non si tratterebbe dell’adozionedi criteri suoi propri ma – appunto – della verificarelativa alla fondatezza inerente ai motivi dedottidal ricorrente.

Peraltro, – sembra opportuno osservare – ciòsarebbe ancora possibile – alla luce dei nuovi li-miti che la Suprema Corte s’è imposta – solo setale ri-considerazione dei dati probatori denun-ciati fosse invocata allegando un “travisamentodelle risultanze” tale da « disarticolare l’intero ra-gionamento svolto dal giudicante », evidenzian-do ab estrinseco una radicale incompatibilità delmedesimo con il chiaro ed evidente senso di talistessi elementi.

Ma la questione di fondo resta un’altra: è di-scutibile se la Costituzione, a sua volta, implichio no un limite ai poteri del Collegio del genere dicui s’è detto.

Difatti, la Carta fondamentale, laddove preve-de il ricorso in cassazione « per violazione di leg-ge », non dice – anche – solo « per violazione dilegge ». Pertanto, de iure condendo, nulla vietereb-be al legislatore ordinario di attribuire alla Supre-ma Corte – in via generale o limitatamente a ta-lune ipotesi – una cognizione estesa anche al fatto.Del resto, ciò è accaduto, in passato, quando ild.l. 20 aprile 1974, n. 104, convertito nella l. 18giugno 1974, n. 226, sostituendo il terzo commadell’art. 538 c.p.p. 1930, consentì alla Cassazio-ne di decidere « il caso nel merito, senza pronun-ciare annullamento », qualora si fosse trattatod’« applicare disposizioni di legge più favorevoliall’imputato » e non fosse stato « necessario as-sumere nuove prove diverse dall’esibizione didocumenti ». Ed è ciò che avviene, tuttora, allor-ché lo stesso Collegio deve provvedere in mate-ria di conflitti (artt. 28 ss. c.p.p.) oppure di ri-messione (artt. 45 ss. c.p.p.).

Insomma, si tratta d’un problema di opportu-nità, la cui soluzione è rimessa – appunto – alladiscrezionalità del legislatore ordinario. Ma se,poi, la preoccupazione fosse quella di non “ap-pesantire” eccessivamente, con ulteriori penden-ze, il carico di lavoro sulla Corte, nulla impedi-rebbe d’istituire un sistema di controllo in terzaistanza basato su “attacchi collaterali” (per esem-

pio: da Corte d’appello a Corte d’appello), se-condo il modello statunitense.

La problematica si porrebbe, invece, in una lu-ce differente quando il giudice del merito avesseassunto come premessa maggiore del “sillogi-smo probatorio” una massima d’esperienzaaberrante, contraria al senso comune o a legginaturali scientificamente verificate (per esempio:“i gravi cadono dal basso verso l’alto”; oppure:“uno stesso DNA può caratterizzare un’indefini-bile molteplicità di persone”). Difatti, in casi delgenere, ad esser censurabile sarebbe la stessa lo-gicità della motivazione, avesse o no tale viziocarattere “manifesto”.

Infine, la problematica dei “criteri di valutazio-ne” va prospettata in un’ottica ben diversa conriferimento a quei casi in cui il giudice del meritoabbia valutato una o più prove violando regole(eccezionalmente) impostegli dalla legge nell’e-spletamento della relativa sua funzione (peresempio, disattendendo quanto stabilito in meri-to allo stato di famiglia o di cittadinanza in unasentenza civile irrevocabile, oppure decidendosulla base di un solo, equivoco, indizio, o di unachiamata di correo “non riscontrata”, o, ancora allastregua di fatti “fissati” in un giudicato extrape-nale non confermati da ulteriori elementi in pun-to d’attendibilità).

Per siffatte eventualità, il discorso diviene ve-ramente delicato: ad esser violata non sarebbepiù una “massima d’esperienza” ma un criterio le-gale di valutazione; onde resterebbe da vedere se,nelle medesime fattispecie, non si configurasseanche la trasgressione d’un divieto probatorio,censurabile nel giudizio di cassazione ai sensidegli artt. 191, comma 2, e 606, comma 1, lett.c), c.p.p. Quindi: anche ex officio, indipendente-mente dal limite della sua rilevabilità sulla base delprovvedimento impugnato o degli atti denunciati.

Infine, tra le recenti affermazioni della Supre-ma Corte, ve n’è una – soprattutto – che suscitaperplessità: la precisazione per cui, nella fattispe-cie di ricorso ex art. 606, lett. e), il ricorrente de-ve, tra l’altro, « dare la prova della verità dell’ele-mento fattuale e del dato probatorio invocatononché della effettiva esistenza dell’atto proces-suale su cui tal prova si fonda ».

Ora, l’onere di provare l’esistenza dell’atto nonpare poter porre particolari difficoltà ai futuri ri-correnti: basterà loro indicare nell’impugnazionetale documento, seguendo una di quelle moda-lità che la stessa Cassazione ha stabilito.

Ma come realizzare anche l’ulteriore condizio-ne relativa alla prova della verità del fatto allegato

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Attualità e saggi

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e documentato dall’attodesignato?

Davvero, per questoaspetto, sul ricorrente pa-re incombere l’onere d’u-na vera e propria probatio diabolica.

Ad esempio, se Tizio impugnasse la sentenzache ha pretermesso la testimonianza, per lui fa-vorevole, di Caio, egli ben potrà dimostrare – in-dividuando nei modi stabiliti il relativo verbale –che quella deposizione è stata resa e qual n’è statol’autentico contenuto; ma non anche – invece –che Caio ha detto il vero.

Difatti, un giudizio del genere comporta un ap-

prezzamento – con implicazioni perfino irrazionali(la c.d. “fede” attribuita al testimone) – che non èseriamente concepibile se non in un contesto nelquale quel narrante sia effettivamente ed immediata-mente sentito, “a viva voce”, dal giudice. Ma tale ri-audizione è – per definizione – impossibile da par-te della Cassazione: questa – in conformità alla no-stra tradizione giuridica e alla stregua della normati-va oggi vigente in Italia –, anche quando – eccezio-nalmente – è chiamata ad un giudizio di merito,deve limitarsi ad un riesame puramente cartolar e.

Insomma, sembra che, per tale ultimo punto,dalla Suprema Corte ci si debba attendere, in fu-turo, qualche ulteriore chiarimento.

La prova della verità del fatto

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che il più delle volte non terrebbe conto dellareale situazione psicologica di chi, dovendosi di-fendere da un’aggressione, difficilmente è in gra-do di valutare il reale pericolo e gli effetti dellapropria reazione2. Alla base della novella legisla-tiva, c’è, dunque, il dichiarato intento di porre ri-medio all’insufficiente considerazione giurispru-denziale sia di particolari situazioni emotive (co-me quella che può coinvolgere, ad es., chi, aven-do già subito in passato molteplici rapine, subi-sca un’ulteriore aggressione), sia dell’intrinsecadifficoltà – per chi reagisce – di percepire gli ef-fettivi limiti della proporzione e di individuare,secondo un grado di precisione matematica (ilcui rispetto è ritenuto inesigibile, in considera-zione dell’intensità compulsiva), il “punto ideale”in cui dovrebbe essere colpito l’assalitore (inquesta direzione, si è fatto suggestivamente no-tare che, in base alla formulazione dell’art. 52/1c.p. e ai suoi esiti applicativi, un cittadino aggre-dito di notte nel proprio domicilio, prima di rea-gire, dovrebbe chiedere allo sconosciuto assalito-re quali siano le sue reali intenzioni criminose ese sia, per caso armato, per poi modulare, se an-

1 Sul piano dei corsi e ricorsi storici, va registrato il ciclicotentativo di attirare il consenso sociale ed elettorale, median-te l’approvazione di provvedimenti volti a rafforzare il sensodi sicurezza collettiva: così come al termine della precedentelegislatura era stata introdotta – con l’art. 2/2, legge n. 128del 2001 (c.d. pacchetto sicurezza) – la fattispecie di cui all’art.624-bis c.p. (Furto in abitazione e furto con strappo), anche nel2006, nell’imminenza delle consultazioni elettorali, il legisla-tore è tornato nuovamente ad incidere sulla tutela della sicu-rezza domiciliare.

2 Sulla problematicità del’accertamento giudiziale del nes-so di proporzione, v. F. Mantovani, Diritto penale – parte ge-nerale, 4a. ed., Padova 2002, p. 275; sui rapporti tra sicurez-za domiciliare e reazione emotiva, v. Pisa, La legittima difesatra Far West e Europa, in D. pen. proc. 2004, p. 797 s.; sul fat-to che l’aggredito non habet stateram in manu, v. già Farina-cius, Consiliorum criminalium, cons. XXXV, n. 33.

IL DIRITTO DI AUTOTUTELA IN UN PRIVATO DOMICILIO (L. 13 FEBBRAIO 2006, N. 59)

di Alberto Gargani

1. La ratio della riforma alla luce dei lavoripreparatori

L’intervento di riforma attuato con la l. 13 feb-braio 2006, n. 59 (“Modifica dell’articolo 52 delcodice penale in materia di diritto all’autotutela in unprivato domicilio”) riflette una concezione indivi-dualistica del ricorso all’uso delle armi, fondatasull’autodifesa e destinata a trovare attuazionenei casi in cui lo Stato, per ragioni obbiettive,non sia in condizione di garantire e tutelare la si-curezza dei cittadini. Se la difesa legittima espri-me la forma più intensa di autotutela, l’amplia-mento delle possibilità di reazione da parte dichi sia aggredito intra moenia, si iscrive, dunque,in una logica di privatizzazione della sicurezza:preso atto della debolezza (o impotenza) delloStato, viene riconosciuto un diritto di autodifesa,che trova nella ‘sacralità’ del domicilio (e dei luo-ghi ad esso assimilati) il proprio pregnante pernoideologico1.

Uno sguardo ai lavori preparatori consente diindividuare piuttosto agevolmente le ragioni ad-dotte a sostegno della riforma dell’art. 52 c.p.

Da un lato, sull’onda emotiva di alcuni gravifatti di cronaca, un fronte di opinioni ha ritenutoche la disciplina prevista in materia di legittimadifesa sia inidonea ad assicurare ragionevolimargini di liceità di reazioni difensive armate av-verso aggressioni nel proprio domicilio; in quan-to espressione della visione dello Stato qualeunico titolare dell’uso legittimo delle armi, chenon concede ai cittadini il diritto di difendersi, senon in casi assolutamente eccezionali, l’art. 52c.p. recherebbe in sé una matrice ‘autoritaria’ estatualista, ritenuta anacronistica e, soprattutto,inadeguata a fronteggiare le esigenze di sicurezzaemergenti sul piano sociale.

Dall’altro lato, volgendo lo sguardo alla prassiapplicativa, sono stati criticati gli esiti della valu-tazione giudiziale del rapporto di proporzione,

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cora utile e possibile, la reazione)3. Partendo dalpresupposto che nessuno, al momento dell’ag-gressione domiciliare, può sapere con esattezzase l’esito sarà uno schiaffo, una coltellata, una pi-stolettata o una tortura, si è venuta manifestandouna vera e propria sfiducia nei confronti dell’ap-proccio “restrittivo” della giurisprudenza, ritenu-ta “responsabile” di un eccesso di discrezionalitàin punto di proporzione (con conseguente pre-carietà del discrimine tra lecito ed illecito, in con-trasto con la certezza del diritto), che, sfociando,talora, in un vero e proprio favor per l’aggressore,finirebbe con il restituire l’immagine di una giu-stizia “cieca” e intransigente verso chi ha difesol’incolumità propria o altrui, o i propri beni. Aiplurimi casi di aggressioni impunite farebbero,infatti, da beffardo “contraltare” le reazioni difen-sive punite per eccesso di legittima difesa, in cuia passare dalla parte del “torto” è, in realtà, la vit-tima. L’obbiettivo è quello di sottrarre al giudice,in alcune ipotesi legislativamente predetermina-te, la valutazione della proporzione, evitando acoloro che hanno reagito in un determinato con-testo spaziale e con particolari mezzi, i lunghiprocessi penali necessari per accertare i tempi ele modalità del fatto. Anche questo intervento diriforma, così come altri coevi provvedimenti le-gislativi (in primis, la legge n. 251 del 2005, c.d.“ex Cirielli”), mira, insomma, a ridurre gli spazidi discrezionalità giudiziale: la peculiarità dellalegge n. 59 del 2006 sta nel fatto che, questavolta, il ridimensionamento della sfera di valuta-zione giudiziale è teleologicamente orientato adassicurare margini di non punibilità.

La tecnica strumentale al conseguimento ditale obbiettivo viene individuata nella valorizza-zione del contesto spaziale e della situazione psi-cologica in cui avviene la reazione, sul presup-posto che, a talune condizioni, nella sfera domi-ciliare, la protezione di beni personali e patrimo-niali debba assumere ex lege un valore priorita-rio. Mediante il riconoscimento del “diritto natu-rale” all’autodifesa, incentrato sulla sovranità delcittadino “almeno” nel proprio domicilio (elevato

3 Sulla necessità, emergente nella coscienza sociale, di unamaggiore comprensione e indulgenza nei confronti dell’ag-gredito e della sua reazione, v. Cadoppi, La legittima difesa do-miciliare (c.d. “sproporzionata” o “allargata”): molto fumo e pocoarrosto, in D. pen. proc. 2006, p. 435, p. 440 s., secondo ilquale « ben più opportuno sarebbe stato l’inserimento di unaclausola di inesigibilità, che desse rilievo “scusante” a reazio-ni eccessive determinate da terrore, panico, e simili, sul mo-dello del codice tedesco ».

Attualità e saggi

ad una sorta di “seconda pelle”), si vuole assicura-re il conseguimento di una serie di obbiettivi, adalta valenza simbolica, legati dalla comune esi-genza di evitare all’aggredito l’esposizione e ilconfronto con il processo penale, in conseguen-za del mancato rispetto del limite della propor-zione della reazione difensiva. Nell’ottica del-l’ampliamento delle possibilità di reazione dellavittima, l’introduzione del diritto di autotutelamediante l’uso di armi è strumentale alla giusti-ficazione, a priori, della difesa della propria (o al-trui) incolumità o dei beni patrimoniali propri(o altrui), a prescindere dal rapporto di propor-zione.

Rinviando al prosieguo della trattazione l’ana-lisi della disciplina introdotta e la verifica della ri-spondenza e congruità della formulazione nor-mativa rispetto agli obbiettivi perseguiti (o, co-munque, dichiarati), appare persino superfluo ri-cordare come, fin dalle prime avvisaglie, la rifor-ma in esame sia stata aspramente avversata daun ampio e trasversale fronte di opinioni, estesodal settore politico a quello giudiziario, sino acoinvolgere lo stesso mondo accademico. L’ele-mento comune alle molteplici reazioni critiche èstata la pressoché incondizionata difesa dell’art.52 c.p. nella sua originaria formulazione: assun-ta a vero e proprio “monumento” di sapienzagiuridica, la norma in materia di legittima difesaè stata ritenuta “intoccabile”, pena l’inevitabileregresso della civiltà giuridica, sul piano inclinatodella barbarie. Adombrando il rischio di un nefa-sto ritorno ai primordi del diritto penale e paven-tando un’autentica crisi dello Stato di diritto, si èritenuto che le problematiche situazioni profila-tesi nell’esperienza applicativa possano e debba-no essere risolte “caso per caso”, affidando al-l’apprezzamento giudiziale la ricerca della solu-zione in concreto più congrua; d’altro canto, nelprevedere le fattispecie della legittima difesa rea-le e putativa, dell’eccesso colposo e della provo-cazione, la disciplina vigente consentirebbe giàun’ampia ed esaustiva graduazione di soluzioni.Nella convinzione che l’aumento della crimina-lità e il senso collettivo di insicurezza possanoessere fronteggiati mediante l’espansione “indul-genziale” della portata applicativa della scrimi-nante di cui all’art. 52 c.p., è stato letteralmentebersagliato di critiche il meccanismo di presun-zione assoluta di proporzionalità della reazionedifensiva che la legge n. 59 del 2006 avrebbe in-trodotto, in violazione sia di norme convenzio-nali sottoscritte dallo Stato italiano [art. 2/2, lett.a), Conv. europea dei diritti dell’uomo], sia di fonda-

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particolare, dalla disciplina del 1889), il codiceRocco ha previsto un’unica forma di difesa legit-tima, che, rimuovendo ogni ricordo delle formetipiche di conflitto originario, ‘sepolte’ sotto unanorma generale e astratta, risolve in modo unita-rio le possibili situazioni di conflitto di interessi,senza distinguere a seconda del contesto in cuiinsorge lo stato di pericolo10. In realtà, alla basedella scriminante della difesa legittima si pongo-no situazioni differenziate, in dipendenza delluogo ove l’offesa è minacciata: si tratta di para-digmi conflittuali eterogenei, identificabili nelcampo aperto, ricco di vie di fuga (esemplificatodal duello cavalleresco), nello spazio chiuso incui aggressore e aggredito coabitano e nel domi-cilio altrui, nel quale lo sconosciuto furtivamentesi introduce. Soffermandoci su quest’ultima si-tuazione, va ricordato come il problema della cri-minalità predatoria a carattere violento sia statoda sempre al centro dell’attenzione dei legislato-ri: la “sacertà” della domus rappresenta la costan-te di un’evoluzione giuridica millenaria, volta a

4 V., ad es., Dolcini, La riforma della legittima difesa: leggi“sacrosante” e sacro valore della vita umana, in D. pen. proc.2006, p. 432, secondo il quale, nella misura in cui posponela vita umana ai beni patrimoniali, la predetta presunzione sirisolverebbe in una vera e propria “licenza di uccidere”, diper sé incompatibile con l’art. 2 Cost. Secondo l’autore, allabase della legge sulla legittima difesa può scorgersi l’idea se-condo cui « la vita umana finisce nel momento in cui l’uomocommette una violenza di domicilio; in quel momento nonc’è più una persona, bensì una cosa » (Dolcini, op. ult. cit., p.434).

5 V., ad es., Dolcini, op. ult. cit., p. 432 s., il quale non con-divide la tendenza di alcuni commentatori a ridimensionarela portata delle innovazioni introdotte dal legislatore.

6 Pulitanò, Diritto penale, Torino 2005, p. 308.7 La formula è tratta dall’appello sottoscritto da autorevoli

docenti di diritto penale e di diritto processuale penale; sulpunto, v. Dolcini, La riforma, cit., p. 433; in dottrina, si os-serva che, nella misura in cui innesca un maggiore tasso diviolenza preventiva nell’esecuzione dei delitti, la nuova disci-plina si rivela pericolosa, soprattutto, per le vittime di aggres-sioni: v. Pulitanò, Diritto penale, cit., p. 308.

8 In tema, v. Baratta, Diritto alla sicurezza o sicurezza dei di-ritti?, in Aa.Vv., La bilancia e la misura. Giustizia, sicurezza,riforme, a cura di S. Anastasia e M. Palma, Milano 2000, p. 19ss.

9 Nel senso che « la nuova legge dice molto meno di quan-to le si vorrebbe far dire », v. Cadoppi, La legittima difesa, cit.,p. 440.

10 V. Szegö, Ai confini della legittima difesa. Un’analisi compa-rata, Padova 2003, p. 11 ss., la quale osserva che con il va-riare della situazione prototipica di conflitto, su cui si basa ladifesa legittima, muta anche il metodo di accertamento deirequisiti, nel senso che a seconda della forma assunta dalconflitto, i requisiti della scriminante della difesa legittima (e,in particolare, il rapporto di proporzione) tendono ad assu-mere una diversa configurazione sul piano applicativo.

mentali norme costituzionali4. Ponendo sullostesso piano la difesa di beni personali e quelladi beni patrimoniali, soltanto perché si tratta diinteressi posti in pericolo nella sfera domiciliare,la nuova disciplina si porrebbe, infatti, in contra-sto sia con il parametro di ragionevolezza (art. 3Cost.), sia con la vincolante gerarchia dei benisottesa all’art. 2 Cost. Ritenuto che « solo un fer-mo aggancio al limite etico-sociale della propor-zione può salvaguardare la dignità della legitti-mità difesa come diritto e non come violenzaconsentita ai buoni contro i cattivi »6, si è osser-vato che anche a casa propria, si possa reagire adun’altrui interferenza, ora in modo appropriato,ora invece in modo eccessivo; ammettere l’usoindiscriminato di armi per tutelare un qualunquebene materiale significherebbe legittimare a priorireazioni sproporzionate, come tali destinate adinnescare ulteriori spirali di violenza, giacché laprobabile corsa al possesso di armi non potreb-be che innalzare il livello di pericolosità della de-linquenza, « consapevole della accresciuta ag-gressività delle potenziali vittime »7.

Come è possibile costatare, le implicazionidella novella legislativa sono molteplici e riguar-dano una materia complessa e delicata, qualequella dell’autodifesa, che si riverbera sugli as-setti e sugli equilibri della convivenza civile, aconferma della problematicità di ogni tentativodi bilanciare il diritto alla sicurezza con la sicurezzadei diritti8. Nella consapevolezza della sensibilerilevanza politico-ideologica della materia in esa-me, alcuni ritengono che l’intervento di riformatrasmetta un messaggio culturale di matrice de-magogica e (quel che è peggio) mistificatoria,giacché la disciplina, manterrebbe, in realtà, mol-to meno di quello che promette9; altri, invece,sottolineano indignati la « licenza di uccidere »impunemente, che l’art. 52/2 c.p. riconoscereb-be ai cittadini in relazione alla difesa di beni ma-teriali.

2. Una nuova fattispecie per un’antica esigen-za politico-criminale

A ben vedere, all’intervento legislativo in esa-me è connaturata un’esigenza – quella di raffor-zare ed estendere i margini di autodifesa in àm-bito domiciliare- che affonda le proprie radici inun’elaborazione giuridica plurisecolare, contras-segnata da peculiari costanti empirico-crimino-logiche, indispensabili per cogliere il significatodella riforma dell’art. 52 c.p.

Distaccandosi dalla tradizione legislativa (e, in

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fronteggiare il pericolo prototipico rappresentatodal fur nocturnus ovvero da chi, col favore delletenebre, si introduce nella casa altrui, intenziona-to ad aggredire beni o persone11. La minacciosapresenza di un intruso nel “sacro recinto” dell’a-bitazione pone da sempre al dominus la difficoltàdi mettere a fuoco l’effettiva entità della situazio-ne di pericolo, ossia le intenzioni reali dell’ag-gressore (nel diritto antico, ad es., l’imprevedibi-lità della portata delle conseguenze dell’aggres-sione, potenzialmente lesive di tutti i beni patri-moniali e personali degli abitanti della casa, in-duceva a presumere nel ladro una volontà crimi-nale, trascendente il piano dell’offesa patrimonia-le). L’archetipo dell’improvvisa aggressione not-turna nell’altrui abitazione riflette la specificitàdel contesto domiciliare, ovvero di un luogochiuso in cui le possibilità di difesa diminuisco-no sensibilmente, per la mancanza (o la penuria)di vie di fuga, tenuto conto – oltre che delle pos-sibili aggressioni nei confronti dei familiari pre-senti hic et nunc – anche della ‘congenita’ esposi-zione delle cose al pericolo di furto12. Il paradig-ma del fur nocturnus che irrompe dall’esternonella sfera giuridica della vittima, senza alcunrapporto speciale con la medesima, pone, dun-que, l’esigenza di una maggiore elasticità di disci-plina, volta ora ad ampliare, ora ad anticipare lareazione legittima nelle mura domestiche: comeè stato rilevato in dottrina, il peculiare livello diintensità e probabilità del rischio legittima la

11 V. Szegö, Ai confini della legittima difesa, cit., p. 16 ss.; sulpunto, v., altresì, Cadoppi, La legittima difesa, cit., p. 434.

12 Sulle potenzialità della progressione criminosa, che pos-sono spaziare dal patrimonio alla vita degli abitanti, v. Szegö,Ai confini della legittima difesa, cit., p. 17 s.

13 V. Szegö, Ai confini della legittima difesa, cit., p. 18, p. 26ss.

14 V. Szegö, Ai confini della legittima difesa, cit., p. 116, p.292; secondo l’autrice, mentre la proporzione attiene al quo-modo, l’attualità all’an, al suo essere o meno una reazione di-fensiva: è il limite invalicabile, il custode dell’essenza dellascriminante (Szegö, ult. op. cit, p. 370).

15 Nel senso che « il nostro sistema era uno dei pochi –prima dell’attuale riforma – a non prevedere eccezioni più omeno ampie, e di vario genere, alla punibilità di chi eccedenella difesa in particolari situazioni oggettive o soggettive », v.Cadoppi, La legittima difesa, cit., p. 435.

16 Sulla necessità che la sproporzione della reazione difen-siva venga, per così dire, compensata o scusata dalla consi-derazione della reazione emotiva e del particolare contesto incui avviene l’aggressione e sull’opportunità dell’introduzionedi una nuova fattispecie di difesa scusata, sul modello del §33 StGB, v. Cadoppi, La legittima difesa, cit., p. 436.

17 Padovani, Un modello di equilibrio normativo minato da am-biguità e incertezze, in Guida al dir. 2006, n. 13, p. 52, p. 54 ss.

Attualità e saggi

possibilità di una reazione smodata, ossia piùampia e distruttiva di quanto avverrebbe in con-dizioni ordinarie13. Sul piano storico, l’idea che,in caso di aggressione intra moenia, la reazioneletale sia congrua ed adeguata, rispecchia la ten-denza della proporzione ad assumere contenutiinstabili e variabili, condizionati nell’interpreta-zione da elaborazioni che altro non sono che latrascrizione nel linguaggio formale e giuridicodell’immagine di un certo tipo di conflitto e dellasua soluzione14. Facendo leva su queste risalentimatrici politico-criminali e su una percezione delfenomeno assai diffusa a livello sociale, il recenteintervento di riforma mira ad allargare i marginidi liceità dell’autodifesa, superando il metodo ‘li-vellante’ adottato dal legislatore del 1930 che, inun’ottica statualistica e giuspositivistica, avevaintrodotto una disciplina uniforme e generaliz-zante (art. 52 c.p.), prospetticamente “distante”dalle peculiarità empirico-criminologiche sotteseall’autotutela in un privato domicilio15. Ritenutoscarsamente efficace il correttivo ermeneutico-applicativo, rappresentato dalla modulazione adhoc da parte della giurisprudenza dei requisitistrutturali della legittima difesa in rapporto alluogo dell’aggressione, si è stabilito di “formaliz-zare” la rilevanza e la specificità del contesto do-miciliare, introducendo una nuova causa di giu-stificazione, funzionalmente destinata a sopperi-re all’eccessiva genericità e rigidità della discipli-na di cui all’art. 52 c.p.16.

3. Un’ipotesi speciale di legittima difesa?

Il testo legislativo presenta molteplici aspettidi oscurità e cripticità: si tratta, di una disposi-zione “malferma” e per molti aspetti ambigua,che, come osservato in dottrina, ha « una voca-zione genetica ad una lettura ortopedica da partedel legislatore e dell’interprete, cui non forniscetutti gli elementi necessari, nel senso che la nor-ma da sola non fornisce strumenti sufficienti perla propria applicazione »17.

Dai primi commenti, emergono due diversiinquadramenti della fattispecie. Mentre un primoorientamento ritiene che l’art. 52/2-3 c.p. debbaessere considerato un’ipotesi speciale di difesalegittima, giustificata e caratterizzata dalla parti-colarità del luogo in cui avviene l’aggressione,secondo un’altra opinione, saremmo di fronte aduna nuova ed autonoma causa di giustificazione,solo apparentemente collegata alla difesa legitti-ma, in quanto, in realtà, eterogenea e irriducibilerispetto alla disciplina di quest’ultima.

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plinato nell’ipotesi generale di cui all’art. 52/1c.p.23. Secondo l’impostazione in esame, la pre-detta presunzione assumerebbe una dupliceportata, a seconda della tipologia di beni da di-fendere: mentre, nell’ipotesi di cui all’art. 52/2,lett. a) c.p., essendo in gioco interessi equipol-lenti e omogenei, la sproporzione potrebbe ri-guardare l’intensità delle offese rispettive, nell’i-potesi seguente la portata della presunzioneviene fatta dipendere dalla locuzione «pericolo diaggressione». Se quest’ultima viene riferita ai be-ni patrimoniali, si apre la porta anche alla dife-sa legittima tra beni sproporzionati, ma se la siintende in senso aggiuntivo rispetto all’aggres-sione al patrimonio (essendo l’aggressione pa-trimoniale già insita nella necessità difensiva),dovrebbe essere riferito alla incolumità delle vit-time e, in tal caso, si tornerebbe alla propor-zione tra beni in gioco (incolumità), anche senon tra le offese24.

Nell’ottica della difesa legittima speciale (o al-largata) rispetto a quella dell’art. 52/1 c.p., il no-vum sarebbe, insomma, circoscritto al peculiarerapporto di proporzione, dalla cui valutazione ilgiudice sarebbe sollevato, in considerazione de-gli ampi margini di discrezionalità e di incertezzagiuridica ad essa inevitabilmente sottesi. Dero-gandosi esclusivamente alla disciplina del rap-porto di proporzione, per beneficiare della causadi giustificazione in esame sarebbe, comunque,necessaria la sussistenza degli ulteriori requisitiprevisti al comma 1, che non sarebbero “intacca-ti” dalla riforma25. Se per quel che concerne lanecessità della difesa (secondo cui chi si difendedeve attuare una reazione che sia la meno lesivaper l’offensore), si dovrebbe, comunque, valutarel’inevitabilità della reazione armata in rapportoalle risorse effettive, verificando che l’uso dell’ar-ma, a parità di idoneità, produca il minimo dan-no all’offensore, in ordine alla costrizione a difen-dersi, si tratterebbe pur sempre di accertare che

18 V. Palazzo, Corso di diritto penale, 2a ed., Torino 2006, p.407.

19 Secondo Palazzo, si tratta di un principio generale di tut-to l’ordinamento costituzionale, ricavabile dal principio di ra-gionevolezza e dal principio personalistico (Palazzo, Corso didiritto penale, cit., p. 404).

20 Sul significato del principio di proporzione, v. Palazzo,Corso di diritto penale, cit., p. 404 ss.

21 Palazzo, Corso di diritto penale, cit., p. 407.22 Palazzo, Corso di diritto penale, cit., p. 407.23 Cfr. Cadoppi, La legittima difesa, cit., p. 436.24 Palazzo, Corso di diritto penale, cit., p. 408.25 V. Cadoppi, La legittima difesa, cit., p. 440.

Ad avviso della prima, autorevole, ricostru-zione, l’art. 52/2-3 c.p. configurerebbe, dunque,un’ipotesi derogatoria rispetto alla figura gene-rale di cui al comma precedente18. Questa tesivalorizza la significativa connessione operatadal legislatore tra il comma 2 e la fattispeciescriminante avente carattere generale («. . . sussi-ste il rapporto di proporzione di cui al primocomma del presente articolo . . . »): il pregnanteaggancio viene considerato la riprova della spe-cialità della nuova disciplina, all’interno della lo-gica della difesa legittima. Sul presupposto,consequenziale, della dipendenza strutturale efunzionale dell’art. 52/2-3 c.p. rispetto all’ipo-tesi generale, l’elemento differenziale viene indi-viduato nella peculiare disciplina di quello cheindiscutibilmente rappresenta il ‘cuore pulsante’della scriminante della difesa legittima, ossia ilrapporto di proporzione19. Nella misura in cuiesclude che l’aggressore sia destinato a subiretutte le possibili conseguenze del suo fatto in-giusto, per il solo motivo di essersi posto con-tro l’ordinamento, il requisito della proporzioneesprime – secondo Francesco Palazzo – una« scelta di campo » del legislatore, assurgendo afattore di equilibrio e di misura, che non soloevita reazioni difensive complessivamente inperdita per il sistema giuridico (in senso utili-taristico), bensì « ne mantiene anche – dal pun-to di vista etico-sociale – un orientamento per-sonalistico, evitando che l’aggressore sia postoalla mercè dell’aggredito e quasi fuori di ognitutela »20. Se il peculiare presupposto sotteso al-la norma scriminante (ossia la violazione di do-micilio) funge da ratio giustificatrice della dero-ga al primo comma, ulteriori elementi di spe-cialità vengono ravvisati, sia nell’elemento sog-gettivo (fine di difendere), sia, per l’appunto, nel-la presunzione assoluta di proporzione tra pe-ricolo di offesa e reazione difensiva, avente « loscopo di evitare che chi abbia reagito all’ag-gressione perpetrata nel suo domicilio possaessere eventualmente chiamato a rispondere dieccesso colposo o addirittura di un fatto dolo-so, per aver cagionato all’aggressore (per un er-rore di valutazione della situazione intenzional-mente) un danno superiore al pericolo subi-to »21. In considerazione dell’indecifrabilità dellasituazione di pericolo, acuita dallo stato di ten-sione emotiva creato dall’intrusione domiciliare(« e di cui non è certo pensabile attendere glisviluppi prima di reagire »)22, il legislatoreavrebbe stabilito che, alle condizioni date, sus-sista sempre il rapporto di proporzione disci-

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chi ha fatto uso dell’arma non avesse altro modoper sottrarsi al pericolo (ad es., la fuga da unaporta di servizio)26.

La considerazione della nuova fattispecie qua-le ipotesi di legittima difesa “allargata” o “spro-porzionata”27, coincidente, quanto ai restanti re-quisiti e limiti, con la corrispondente figura gene-rale, ha il merito di privilegiare, tra le varie inter-pretazioni possibili, quella che più si avvicina aiprincipi costituzionali28. Si tratta di una chiave dilettura “contenitiva” (o, per così dire, “morigera-ta” e rassicurante), volta a “sterilizzare” in par-tenza le virtualità espansive di una norma altri-menti esposta – per la propria “incompiutezza” e“indeterminatezza” strutturale – ad ambigue epluridirezionali letture ermeneutiche.

È proprio la struttura sui generis della fattispe-cie, nonché la previsione di alcuni significativirequisiti di liceità speciale, a indurre a ritenereche il riferimento normativo al nesso di propor-zione assuma, forse, un significato diverso. Se-condo quanto emerge dall’elaborazione dottri-nale, il predetto nesso non si pone sullo stessopiano dei restanti requisiti previsti all’art. 52/1c.p., nel senso che, per certi versi, l’elementodella proporzione li comprende e li trascende, inuna visione di insieme della reazione difensivache ne esprime la complessiva congruità sostan-ziale. Tenendo rigidamente separate le valuta-zioni della necessità e della costrizione, da unlato, e il giudizio sulla proporzione, dall’altro,quasi si trattasse di ambiti non comunicanti enon, invece, di giudizi strettamente correlati einterferenti, si rischia di sminuire oltre misura laportata innovativa dell’art. 52/2 c.p. È noto, in-fatti, che la valutazione della proporzione nonpuò essere circoscritta alla comparazione né deimezzi usati, né dei beni in conflitto, bensì corri-sponde ad un confronto valutativo, ad un giudi-zio (non solo quantitativo ma anche) qualitativoe relativistico, che tiene conto di tutta la com-plessività della vicenda aggressiva e difensiva

26 Palazzo sottolinea che se non occorresse la necessità didifendersi, sarebbe giustificato il fatto di chi percependo lapresenza di un ladro « e potendo uscire da porta posterioreper chiamare vicini o polizia, iniziasse a fare fuoco sul ladro »(Palazzo, Corso di diritto penale, cit., p. 407).

27 Cfr. Cadoppi, La legittima difesa, cit., p. 434 ss.28 Cfr. ad es. Cadoppi, La legittima difesa, cit., p. 440.29 Cfr. Padovani, Un modello di equilibrio normativo, cit., p.

56 ss.30 V. Szegö, Ai confini della legittima difesa, cit., p. 370, se-

condo la quale il nesso di proporzione è un elemento “spu-rio” rispetto al nucleo fondamentale della legittima difesa.

Attualità e saggi

(intensità del pericolo, tipo soggettivo di offesa,natura del conflitto, consistenza della necessità,ecc.)29. Nella misura in cui, oltre ai beni in con-flitto, comprende in sé l’intera serie degli ele-menti dell’aggressione e della difesa, il requisitoin esame è un limite esterno all’applicazionedella scriminante, che attiene al quomodo dellareazione e che esprime, in sintesi, l’equilibrio ela misura, in ultima istanza, la tollerabilità dellareazione30. Ammesso che il legislatore abbia vo-luto incidere esclusivamente sulla disciplina del-la proporzione, nel polarizzare l’interpretazionesulla presunzione di sussistenza di tale requisi-to, non pare potersi escludere in partenza chesiffatta presunzione finisca – complessivamente– per sanare e colmare l’eventuale deficit degliulteriori requisiti strutturali della reazione difen-siva, imponendo, nell’insieme, la valutazione diliceità del fatto.

Più che la logica della specialità, è l’ottica delladiscontinuità rispetto alla disciplina della difesa le-gittima quella che appare in grado di spiegare lapeculiarità della formulazione normativa delnuovo secondo comma dell’art. 52 c.p. L’inter-vento di riforma appare, infatti, dettato dalla ne-cessità di una disciplina ad hoc della reazione di-fensiva, che si distacchi dall’ottica “livellante”dell’art. 52/1 c.p. in considerazione del peculiarecontesto spaziale (abitazione e luoghi di lavoro),che come tale giustifica l’estensione dei limiti diliceità della reazione difensiva. La preoccupazio-ne del legislatore appare quella di evitare di pre-tendere la fuga in caso di attacchi congiunti apersone e beni: nei luoghi predetti, sono presen-ti tanti e tali beni potenzialmente aggredibili, cheil proprietario (o il possessore) non può esseretenuto a fuggire, lasciando che il suo domiciliosia saccheggiato. Come vedremo, purchè l’intru-so non si conformi all’invito a desistere e sussi-sta la possibilità di un’aggressione personale, eglipuò, invece, trattenersi, e, quel che più conta, di-fendere, con le armi, i beni patrimoniali in peri-colo.

4. L’apparente connessione con la disciplinadella difesa legittima

Come è stato autorevolmente dimostrato, lanuova fattispecie solo apparentemente si lega al-la legittima difesa, la quale non è altro che loschermo dietro al quale si cela, in effetti, unanuova e autonoma causa di giustificazione, che si“aggancia” a quella dell’art. 52/1 c.p. per acquisi-re quella stabilità e quella legittimazione, che da

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non impedisce, infatti, di beneficiare della legitti-ma difesa o, quanto meno, dell’eccesso di legitti-ma difesa)35.

L’eterogeneità e l’irriducibilità della nuova scri-minante rispetto alla difesa legittima, sono atte-state sia dal tenore della rubrica dell’art. 1, leggen. 59 del 2006, incentrata espressamente sul di-ritto all’autotutela in un privato domicilio, sia dal si-gnificativo “antecedente” che può, facilmente, es-sere individuato nella fattispecie dell’uso legitti-mo delle armi da parte del privato, prevista al-l’art. 31/3 del Progetto di riforma del codice penaleelaborato dalla Commissione presieduta dal Dr.Nordio (secondo cui « è scriminato il fatto di chifa uso di armi perché è costretto dalla necessitàdi difendere l’inviolabilità del domicilio controun’intromissione ingiusta, violenta o clandestinae tale da destare ragionevolmente timore per l’in-columità o la libertà delle persone presenti neldomicilio »)36. Al fine di legittimare l’uso delle ar-mi – a prescindere dalla proporzione e dai mez-zi a disposizione dell’aggredito – la fattispecieprevista nel progetto di riforma era stata inclusanel più ampio quadro dell’uso legittimo delle ar-mi o di altri mezzi di coazione fisica, cosicché lasituazione del privato era stata radicata, per analo-gia, su quella del pubblico ufficiale, quale espres-sione di autotutela rafforzata. Al contrario, il legi-slatore non se l’è sentita di emancipare la nuovascriminante dalla legittima difesa e bensí ha pre-

31 V. Padovani, Un modello di equilibrio normativo, cit., p. 52,secondo il quale nella nuova disposizione si delineano « exnovo, i termini di liceità di una reazione difensiva attuata me-diante un mezzo particolare, in un luogo definito, da parte diun soggetto qualificato ».

32 V. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 52 s.33 Nel senso che l’attenzione del legislatore « non si soffer-

ma tanto sull’entità della “difesa” posta in essere dal difenso-re, ma piuttosto sul mezzo da questi utilizzabile », v. Cadoppi,La legittima difesa, cit., p. 436.

34 V. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 52; sul pianocomparatistico, la detenzione anche illegale di un’arma nonimpedisce, nella maggior parte dei casi, di beneficiare dellalegittima difesa o dell’eccesso di legittima difesa (sul punto,per quel che concerne, ad es., l’ordinamento olandese, v. DeHullu-Veldt Foglia, in Aa.Vv. Casi di diritto penale compara-to, a cura di A. Cadoppi e J. Pradel, Padova 2005, p. 69).

35 Padovani, Un modello di equilibrio normativo, cit., p. 52.36 Tale scriminante risponde all’esigenza di tutelare l’invio-

labilità del domicilio e facultizza l’uso delle armi per difende-re i beni fondamentali della persona; per alcuni rilievi critici,v. Padovani, Un’introduzione al progetto di parte generale dellaCommissione Nordio, in C. pen. 2005, p. 2852, secondo cui sitratta di « difesa legittima generosamente putativa, in sostan-za anticipata e, per giunta, svincolata da qualsiasi requisito diproporzione »; sul punto, v., altresì, Pagliaro, Il reato nel pro-getto della Commissione Nordio, ivi, p. 14.

sola non è in grado di conseguire31. Il legislatoretenta, insomma, di nobilitare e di legittimare lanorma scriminante mediante un vero e propriocollegamento “parassitario”, diretto a “suggere”dalla legittima difesa una parvenza di ratio essen-di. Mediante quella che è stata indicata come una“truffa delle etichette”, visibile nella formula che sirichiama al baricentro ‘nobile’ della legittima di-fesa, il legislatore fa credere che si mutino (“sol-tanto”) i caratteri della proporzione (secondoun’apparente assimilazione), mentre, in realtà, lavalutazione di tale requisito è tout court espuntadalla nuova causa di giustificazione. La “sedicen-te” ipotesi speciale di legittima difesa nulla ha ache vedere con la proporzione, la quale è privadi rilevanza nell’economia applicativa dell’art.52/2-3 c.p., essendo stata “risolta” a priori dal le-gislatore, il quale ha svolto normativamente talegiudizio, stabilendo, una volta per tutte, la preva-lenza di uno tra gli interessi in conflitto32. In altritermini, la scriminante in esame si affianca allealtre ipotesi in cui il legislatore ha ritenuto la po-ziorità di un interesse rispetto ad un altro, cristal-lizzando nella norma il rapporto di proporzione(art. 51 c.p.). Si pensi, ad es., alla facoltà del pro-prietario, riconosciuta dall’art. 855 c.c., di taglia-re i rami che si protendono sul proprio fondo:ebbene, egli può, per i suoi scopi, tagliare quan-do vuole i predetti rami, a prescindere dal valoreo dalla rarità dell’albero, in quanto il legislatoreha stabilito il primato del suo diritto. Analoga-mente, l’art. 52/2-3 c.p. delinea i connotati di li-ceità di comportamenti difensivi attuati median-te l’uso di un’arma, in relazione ad alcune condi-zioni normativamente prescritte (violazione didomicilio, contesto spaziale, soggetto e mezziqualificati), che rendono lecite le conseguenze le-sive, qualunque esse siano in concreto33. La li-ceità o meno del fatto tipico è, cioè, svincolata intoto dalla proporzione e dipende esclusivamentedalla sussistenza dei requisiti tipizzati: si tratta disituazioni di liceità qualificata (necessità che ilsoggetto sia legittimamente presente nel luogodell’aggressione e che l’arma utilizzata sia legitti-mamente detenuta), le quali rispecchiano la di-scontinuità (e, dunque, l’autonomia) della scri-minante in esame rispetto alla fattispecie giustifi-catrice di cui al primo comma34. Se traslati nelquadro dell’art. 52/1 c.p., i predetti requisiti di li-ceità speciale perdono, infatti, qualunque signifi-cato (estensivo o limitativo), giacché in tale àm-bito non rileva in alcun modo la previa liceità delcomportamento di chi si difende o dei mezzi im-piegati (la detenzione, anche illegale, di un’arma

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ferito inserirla “all’ombra” di un modello di equi-librio normativo, quale è l’art. 52/1 c.p., “mime-tizzando” la norma sull’uso legittimo delle armiin un privato domicilio sotto le “subdole” sem-bianze di un’ipotesi speciale di difesa legittima,che, pur “appoggiandosi” esteriormente alla di-sciplina di tale scriminante, ampliandone in ap-parenza i confini, assume, invero, una sostanzia-le autonomia.

5. L’uso legittimo delle armi nel privato do-micilio

A differenza del comma precedente, l’art.52/2 c.p. delinea una scriminante doppiamentepropria (in rapporto alla presenza nel domicilio ealla detenzione dell’arma utilizzata), di cui si puòbeneficiare se si è agito con determinate finalitàdifensive. La restrizione subbiettiva si giustificain rapporto a ciò che viene giustificato e al con-tenuto della causa di giustificazione, nel sensoche l’attenzione è rivolta alla condotta, che vieneconsiderata lecita, a prescindere dalle conse-guenze da essa derivanti; purché sia la conse-guenza di una condotta conforme ai requisiti de-scritti all’art. 52/2 c.p., qualunque fatto tipico (le-sioni personali, omicidio, ecc.) realizzato me-diante l’uso dell’arma, è considerato in sé leci-to37. Dalla formulazione normativa si evince lasignificativa irrilevanza dell’esito lesivo (non spe-cificato, né definito in alcun modo): analoga-mente a quanto avviene nel caso dell’art. 53c.p.38, non conta tanto il risultato (su cui, non acaso, si tace), quanto la condotta e precisamentel’uso dell’arma nelle condizioni normativamenteprescritte (con l’ulteriore conseguenza che l’ag-gressore originario non può, a sua volta, difen-dersi in stato di legittima difesa).

Le affinità strutturali e teleologiche rispetto al-la fattispecie dell’uso legittimo delle armi (naturapropria, irrilevanza della proporzione, peculiare

37 V. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 53, il qualeosserva che mentre nell’art. 52/1 c.p. la reazione difensiva siesprime nella realizzazione di un fatto tipico, nell’art. 52/2c.p. si guarda invece alla condotta che diviene tipica solo inrapporto all’evento, che deriva dall’uso dell’arma e che nel-l’art. 52/2 c.p. non è la premessa da cui risalire a ritroso perricostruire i termini della reazione difensiva.

38 Anche qui si giustifica la condotta del pubblico ufficiale,in presenza di certe condizioni obbiettive e di una peculiaredirezione finalistica, a prescindere dalle conseguenze.

39 Sull’impronta autoritaria sottesa all’art. 53 c.p., v. F.Mantovani, Diritto penale, cit., p. 285.

40 V. Palazzo, Corso di diritto penale, cit., p. 358 s.

Attualità e saggi

finalità) trovano “conferma” nella considerazionedelle ragioni alla base dell’introduzione dell’art.53 c.p.: così come, sul presupposto della preva-lenza a priori dell’interesse pubblico, all’attualeformulazione normativa si pervenne per porrefine alle incertezze giurisprudenziali su come edentro che limiti giustificare l’uso delle armi con-tro le ribellioni dell’autorità39, parimenti, alla ba-se dell’art. 52/2 c.p. vi è l’intento di svincolare, inalcune ipotesi predeterminate, la valutazionegiudiziale della liceità della reazione difensiva daqualunque limite concernente il quomodo.

Con la previsione della scriminante dell’usolegittimo delle armi nel privato domicilio, viene,insomma, riconosciuta una facoltà legittima chespetta a priori al soggetto, presente in determina-ti luoghi e detentore dell’arma, sempre che si ve-rifichino le condizioni normativamente date. Daquesto punto di vista, si profila un’ulteriore, si-gnificativa differenza rispetto all’art. 52/1 c.p.:mentre, infatti, la legittima difesa si iscrive nelquadro delle cd. scriminanti aperte, ossia di quellenorme giustificatrici “in bianco”, che non defini-scono direttamente i comportamenti giustificati,bensì si avvalgono di clausole generali per indi-viduare i fatti autorizzati (la proporzione comecriterio di individuazione degli interessi in con-flitto, per l’art. 52 c.p.; la disponibilità dell’inte-resse, per l’art. 50 c.p., ecc.), la norma in esamesi colloca, invece, al pari degli artt. 51 e 53 c.p.,nell’àmbito delle cd. scriminanti chiuse, ovvero diquelle cause di giustificazione che autorizzanospecifici comportamenti e nelle quali il conflitto diinteressi è totalmente riassorbito e risolto una voltaper tutte nella singola previsione del diritto o del do-vere40. La formulazione normativa (strutturalmenteanaloga a quella prevista per l’uso legittimo delle ar-mi), coglie il predetto diritto di autotutela nel suoaspetto dinamico, disciplinandone i presupposti e ilimiti, anche teleologici.

Si stabilisce la legittimità di un diritto che è da-to esclusivamente ad alcuni soggetti (quale “am-mennicolo” del domicilio) e il cui esercizio è su-bordinato alla legittimità della detenzione dell’ar-ma usata. Sotto questo profilo, la legittimità delmezzo è intrinseca al conferimento del diritto diautotutela, il quale deve essere esercitato in mo-do legittimo e, cioè, con modalità che non risulti-no anomale. La restrizione subbiettiva e modaleoperata dal legislatore “scolpisce” le condizioni ei presupposti cui è subordinata l’irrilevanza delquomodo della reazione difensiva. Nel complesso,la norma si sostanzia nella descrizione dei requi-siti che legittimano una reazione difensiva arma-

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esame ai casi in cui il fatto sia avvenuto « all’in-terno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’at-tività commerciale, professionale o imprenditoria-le », gli ambiti spaziali all’interno dei quali puòessere esercitato il diritto di autotutela median-te l’uso di armi, vengono dilatati in modo assaisensibile (desta, peraltro, perplessità la costata-zione che, nella prassi applicativa, molti deiluoghi riconducibili alla previsione del terzocomma come, ad es., gli stabilimenti industria-li, erano da tempo ricondotti nel concetto diprivata dimora di cui all’art. 614 c.p., con il con-seguente effetto di un’inutile duplicazione)41.La formula lata utilizzata dal legislatore inducea ritenere che il diritto di autodifesa possa es-sere, dunque, legittimamente esercitato all’in-terno, ad es., dell’abitacolo di un taxi o diun’autovettura utilizzata per ragioni di lavoro,all’interno di un’edicola di giornali, così comedi una discoteca (tra i luoghi ricompresi nellaformula legislativa sembrano, altresì, rientrare,ad es., gli studi legali, le banche, le oreficerie, ilocali di artigiano, le tabaccherie, le stanze dialbergo, ecc.; la necessità della violazione didomicilio appare, peraltro, particolarmente proble-matica in riferimento agli esercizi commercialidurante l’orario di apertura al pubblico: la rea-zione difensiva posta in essere al loro internoper neutralizzare aggressioni a persone o a co-se non risulta, in effetti, facilmente sussumibilenella nuova fattispecie scriminante).

Nell’insieme, rileva, dunque, qualsiasi am-biente adibito in tutto o in parte all’esplicazionedi vita privata o di attività lavorativa; in pratica,soltanto i luoghi pubblici e quelli in cui non èconfigurabile lo ius excludendi, rimangono al difuori del campo di applicazione della disposi-zione.

L’intrusione nell’altrui domicilio è condizionein sé necessaria, ma non sufficiente a legittimarela condotta di autotutela privata (si pensi allamera presenza di un intruso nell’altrui abitazio-ne), dovendo (come vedremo meglio nel prosie-guo dell’indagine) essere integrata dalla verificadell’esistenza di una situazione di pericolo attua-le incombente su uno dei referenti di valore ri-chiamati nella fattispecie (incolumità o beni), dallaquale dipende l’an dell’applicabilità della scrimi-nante.

41 Cfr. Pisa, La legittima difesa, cit., p. 798 (in questo senso,la norma presenta un campo di applicazione più vasto ri-spetto a quello sotteso all’omologa figura prevista nel proget-to Nordio).

ta, a prescindere dall’entità degli esiti offensivi edalle alternative potenzialmente esperibili (fuga,uso di mezzo meno lesivo, orientamento del col-po verso parti non vitali, ecc.). Così come (tor-nando all’esempio precedente) chi, per tagliare irami dell’albero che si protendono nel proprio fon-do, utilizzasse, ad es., esplosivi (ossia un mezzo in-trinsecamente illegittimo e inidoneo), non po-trebbe beneficiare della scriminante di cui all’art.855 c.c., allo stesso modo, chi si trovasse illegit-timamente all’interno dei luoghi individuati dal-l’art. 52/2-3 c.p. oppure facesse uso di un’armanon legittimamente detenuta, non potrebbe, diriflesso, avvalersi della causa di giustificazione inesame (residuando, se del caso, la fattispecie co-mune, di cui all’art. 52/1 c.p.).

6. L’analisi della formulazione normativa

6.1. Il presupposto obbiettivo

La ricostruzione ermeneutica deve prendere lemosse dalla considerazione che si è di fronte aduna scriminante a spazio circoscritto e a soggettoqualificato, la cui disciplina è diversamente con-figurata a seconda che l’uso dell’arma sia finaliz-zato alla difesa di beni personali o, al contrario,di beni patrimoniali. L’applicabilità della normadipende, in primo luogo, dalla sussistenza deldato oggettivo indicato nell’incipit della disposi-zione in esame (« nei casi previsti dall’articolo 614,primo e secondo comma ») ossia la violazione didomicilio. L’intrusione o permanenza, invito do-mino, in uno dei luoghi indicati nella predetta di-sposizione di parte speciale, funge da presuppo-sto per l’applicabilità dell’art. 52/2 c.p. Si vuoleevitare che, essendo già stato commesso o perfe-zionato un reato (si versa, dunque, in re illicita),possa verificarsi, come spesso avviene, la pro-gressione offensiva del comportamento dell’intru-so verso conseguenze ulteriori o estreme.

Il presupposto della violazione di domiciliovale, al contempo, a contrassegnare i limiti spa-ziali entro i quali si può legittimamente fare usodi armi (o di altro mezzo idoneo): per essere giu-stificata, la condotta deve, infatti, essere stata te-nuta « in uno dei luoghi » indicati nell’art. 614 c.p.Ad assumere rilievo, oltre all’abitazione, è ogni al-tro luogo di privata dimora (bungalow, camper,roulotte, baracche, ecc.), nonché le rispettive ap-partenenze (androni, pianerottoli, giardini, sogliedi casa, cortili, scale comuni, ecc.). Per effettodella clausola estensiva di cui all’art. 52/3 c.p.,che consente l’applicazione della disciplina in

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6.2. Le condizioni di liceità speciale

Come già anticipato, la nuova scriminante as-sume natura doppiamente propria, essendo ne-cessario sia che il soggetto che si difende sia le-gittimamente presente all’interno del luoghi dicui all’art. 614 c.p. (o di quelli ad essi assimilati,ex art. 52/3 c.p.), sia che l’arma utilizzata a finidifensivi sia legittimamente detenuta.

Per quel che concerne il primo requisito, sideve ritenere che, mediante il termine « taluno »,il legislatore non faccia riferimento soltanto alproprietario o, più in generale, al titolare delloius excludendi (colui che, abitualmente e legitti-mamente abita, dimora o opera nei luoghi de-scritti dalla norma). Può, infatti, esercitare il di-ritto di autotutela chiunque si trovi in uno deiluoghi indicati, senza avervi fatto ingresso con-tro la volontà espressa o tacita di chi aveva il di-ritto di escluderlo oppure senza essersi ivi trat-tenuto contro l’espressa volontà di quest’ultimo,oppure clandestinamente o con inganno, cosic-ché il concetto di « presenza legittima » deve in-tendersi come presenza non preceduta o noncaratterizzata dalle modalità descritte dall’art.614 c.p. Nell’ampio novero dei soggetti benefi-ciari rientrano, ad es., gli amici occasionalmenteospitati, le lavoratrici domestiche, gli addetti adun’impresa di pulizie, il cliente di un eserciziocommerciale, ecc. Una tipologia di soggetti dinorma presenti legittimamente all’interno deiluoghi indicati, nell’espletamento delle loro fun-zioni, è rappresentata dagli addetti alla sicurezzae dai soggetti appartenenti a servizi di poliziaprivata (vigilantes, guardie giurate, ecc.), ovveroda tutti quei soggetti, che pur essendo conside-rati, quando sono in servizio, pubblici ufficiali,non sono legittimati a fare uso delle armi ai sen-si e per gli effetti di cui all’art. 53 c.p. In effetti,secondo l’opinione assolutamente dominante,abilitati in tal senso non sono tutti i pubblici uf-ficiali, ma soltanto quelli, tra i cui doveri istitu-

42 Ad essi, così come ai privati cittadini, sarà eventualmen-te applicabile la disciplina dell’art. 53/2 c.p.: v. Marinucci -Dolcini, Manuale di diritto penale – parte generale, Milano2004, p. 167; Del Corso, sub art. 53 c.p., in Codice penale, acura di T. Padovani, Milano 2005, p. 330.

43 Cfr. Guerrini, v. Armi, sub art. 2, l. 895/1967, in Palaz-zo-Paliero, Commentario breve alle leggi penali complementari,Padova 2003, p. 169.

44 Va precisato che i privati non possono mai legittima-mente detenere armi di guerra: come è noto, l’art. 10, legge n.110 del 1975, proibisce, infatti, il rilascio di licenze per la de-tenzione e la raccolta di tali armi.

Attualità e saggi

zionali rientra l’uso della coercizione fisica, eche abbiano in dotazione diretta armi o altrimezzi di coazione fisica. Nel linguaggio del no-stro ordinamento, per designare questa catego-ria di pubblici ufficiali, si parla di forza pubblica:come è noto, essa comprende, fra gli altri, gli uf-ficiali e gli agenti della Polizia di Stato, dell’Armadei Carabinieri, della Guardia di finanza, e non,invece, gli agenti della polizia municipale (art. 7,d.m. n. 145 del 1987), né, per l’appunto, leguardie giurate in servizio di vigilanza e di inve-stigazione privata (art. 139 Tulps)42.

Passando al secondo profilo di liceità speciale(ossia alla necessaria legittimità della detenzionedel mezzo impiegato a fini di autotutela), occor-re anzitutto precisare che siffatto requisito valesolo per l’arma e non per ogni altro mezzo idoneo,richiamato dalla disposizione in esame, cosicchépuò avvalersi della scriminante anche chi, ad es.,uccide l’aggressore utilizzando un martello pre-cedentemente rubato. Con l’espressione arma le-gittimamente detenuta, il legislatore introduce unrequisito restrittivo, che ruota intorno alla previaautorizzazione quale condizione di legittimitàdel possesso dello strumento di offesa e che va-le per tutte le tipologie di armi per la cui deten-zione (concetto esangue, non univocamenteprecisabile), sia richiesto un apposito titolo au-torizzatorio. Sulla base della disciplina previstaall’art. 2, legge n. 895 del 1967, deve ritenersiche l’espressione « legittimamente » presupponga,insomma, un’eterointegrazione da parte di nor-me ulteriori che prescrivono un’autorizzazionecome condizione di legittimità della detenzionestessa43. Qualunque strumento o mezzo di au-todifesa, sottoposto a disciplina autorizzatoria,purchè legittimamente detenuto, può essere usa-to ai sensi e per gli effetti dell’art. 52/2 c.p.: il ri-ferimento vale, soprattutto, per le armi comunida sparo44. Dal tenore della norma non pare, pe-raltro, necessario che l’arma sia legittimamentedetenuta da chi la utilizza, essendo sufficienteche la presenza in loco di tale mezzo di autodife-sa risulti autorizzata (come nel caso del clientedi un’oreficeria che fa fuoco sul rapinatore, uti-lizzando il revolver legittimamente detenuto dalgioielliere).

Il diritto di autotutela può, inoltre, essere eser-citato, mediante l’uso di un mezzo idoneo, di-verso da un’arma legittimamente detenuta. Si èdi fronte ad una nozione di carattere residuale,che ricomprende qualunque mezzo, strumento ocosa suscettibile di essere utilizzato hic et nunc afini difensivi e per la cui detenzione non sia pre-

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viduale e precisamente ai beni della vita e dellaintegrità fisica di singoli e determinati individui(Libro II, Titolo XII, Capo I, c.p.). Se inteso (co-me da tradizione) nel predetto significato restrit-tivo, il concetto di incolumità sembra, dunque,non comprendere gli altri beni giuridici persona-li, come le libertà (di e da) in tutte le loro forme(libertà personale, libertà morale, libertà sessua-le, ecc.).

La nozione di incolumità, peraltro, si rivela,problematica e precaria. Essa riversa la propriaintrinseca incertezza sull’interpretazione della lo-cuzione normativa « beni propri o altrui » di cuialla lettera successiva, poiché a seconda del si-gnificato dato al termine incolumità, mutano, diriflesso, i limiti di applicazione della fattispecieincentrata sulla difesa dei beni. Se, da un lato, ècerto che la lett. b) includa i beni patrimoniali,dall’altro non è chiaro se essa sia suscettibile omeno di incorporare i beni personali diversi dal-la vita e dall’integrità fisica (come le libertà). Inteoria, i predetti referenti di valore potrebberoessere ritenuti inclusi nell’ampia e capiente no-zione di cui alla lettera successiva e cioè tra i be-ni propri o altrui per difendere i quali risulta legit-timo fare uso delle armi. Il fatto però che in talcaso l’effetto scriminante sia subordinato allanon desistenza e al pericolo di aggressione, ren-de vano il tentativo di ricomprendere i predettibeni personali nella nozione di beni, giacché nonsi comprenderebbe come mai per difendere, ades., la libertà personale di un famigliare da unpossibile sequestro, si dovrebbe attendere il veri-ficarsi di una situazione di pericolo di aggressio-ne, mentre per evitare di subire lesioni lievi sipotrebbe tout court fare uso dell’arma, cagionan-do la morte dell’intruso. In tal modo, si verrebbea creare un’irragionevole disparità di trattamentotra autodifesa dell’incolumità fisica e autodifesadella libertà personale, nonostante la sostanzialeparità di valore tra i due beni (non potendosiescludere che per la gravità in concreto della re-lativa offesa, possa assumere maggiore rilevanzala seconda forma di autotutela).

45 Cfr. Lo Monte, Osservazioni sulle annunciate modifiche intema di legittima difesa e uso legittimo delle armi: ebbene sì “giù lemani dal codice Rocco”, in Critica del d. 2005, p. 21.

46 Sulla possibilità o meno che « il difensore possa usareun’arma da sparo anche quando ha a disposizione altro mez-zo altrettanto idoneo a respingere l’attacco, ma meno lesivodell’arma da fuoco », v. Cadoppi, La legittima difesa, cit., p.438, secondo il quale dovrebbe essere anche in questo casorispettato il limite della necessità.

visto un apposito regime autorizzatorio (affinchéla prima, restrittiva, parte della norma mantengaun senso logico, si deve, peraltro, escludere cheun’arma non legittimamente detenuta possa es-sere considerata quale ulteriore mezzo idoneo,legittimamente utilizzabile a fini difensivi). Oltreall’insieme delle cd. armi improprie (da punta eda taglio), rientra in questa ampia categoria ognialtro strumento atto a offendere (quale, ad es., unmartello, una bottiglia, l’acido muriatico, il fuoco,il cane da guardia, ecc.), compresa la reazione amani nude (percosse, strangolamento, soffoca-mento, ecc.).

La norma svincola l’azione del soggetto daqualunque limite in ordine ai mezzi utilizzati45,cosicché anche in questo caso si ripropone laquestione – già sorta in riferimento all’art. 53c.p. – della necessità o meno di modulazionedella reazione46. La lettera della norma induce aritenere che l’aggredito possa utilizzare l’arma oun altro mezzo a prescindere dal limite della mi-nima difesa necessaria e, cioè, dalla eventuale so-stituibilità con altro strumento meno micidiale:in presenza dei requisiti indicati, la scelta delmezzo difensivo è indiscriminata, nel senso che,pur potendo servire allo scopo un mezzo menolesivo, l’arma può essere utilizzata ad libitum, se-condo un (inquietante) regime di indifferente al-ternatività.

6.3. Gli oggetti di tutela

Affinché sia considerata lecita, la condotta de-scritta all’art. 52/2 c.p. deve essere posta in esse-re al fine di difendere la propria o altrui incolumità[art. 52/2, lett. a), c.p.] ovvero al fine di protegge-re i beni propri o altrui: in quest’ultimo caso siprevede, peraltro, un duplice requisito aggiunti-vo, ossia che non vi sia desistenza e vi sia peri-colo di aggressione [art. 52/2, lett. b), c.p. ]. In talmodo, viene previsto un doppio regime, ossiauna variante interna di disciplina, gravida di con-seguenze e di difficoltà sul piano interpretativo:la natura del bene che si intende difendere deci-de, infatti, del grado di restrittività delle condizio-ni di applicabilità della scriminante.

Una prima incertezza di carattere ermeneuticodiscende dall’ambiguità del termine incolumitàpropria o altrui. Dovendo scartare l’eventualitàche quest’ultima espressione possa essere intesacome incolumità pubblica (che essendo colletti-va, non può essere di titolarità di un singolo sog-getto), non rimane altra soluzione che quella diconsiderare tale nozione riferita all’àmbito indi-

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Se la ricostruzione restrittiva del concetto diincolumità finisce per far valere il patrimonio piùdelle libertà personali e appurato che la lettera b)concerne i beni materiali47, non rimane altra viache quella di verificare se i referenti di valore di-versi da vita e integrità fisica siano, suscettibili dirientrare nella nozione di incolumità. Medianteun’interpretazione di carattere estensivo, fondatasulla ratio legis (e, cioè, sulla tutela della personanel domicilio), si potrebbe, in effetti, ritenere chetali beni siano ricompresi nel concetto di incolu-mità. Una volta imboccata la via della correzioneestensiva, risulterebbe, peraltro, assai difficile fis-sare a priori il limite di applicabilità della scrimi-nante e, cioè, delimitare i beni personali suscetti-bili di autodifesa armata (si pensi, ad es., all’ipo-tesi in cui sia in gioco l’onore o la riservatezzadel padrone di casa). Nonostante l’impressioneche il legislatore abbia omesso di considerare be-ni personali diversi dalla vita e dall’integrità fisicae abbia adottato un’ottica selettiva ad hoc, il rime-dio dell’interpretazione estensiva si rivela, co-munque, come il “male minore”, rispetto alle im-praticabili alternative ermeneutiche sopra accen-nate.

6.4. I requisiti limitativi di cui all’art. 52/2,lett. b) c.p.: la non desistenza

Si tratta, a questo punto, di accertare quale siail significato dei requisiti limitativi – non desi-stenza e pericolo di aggressione – previsti dal le-gislatore affinché la difesa di beni (propri o al-trui), mediante l’uso di uno dei mezzi indicati,possa essere scriminata. L’enunciato normativopotrebbe, a contrario, far ritenere che sia lecito di-fendere l’incolumità propria o altrui, a prescinderedall’altrui desistenza e dalla sussistenza di unasituazione di pericolo (in quanto tali requisitinon sono richiamati nella lett. a), bensì soltanto

47 Cfr. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 54.48 V. Palazzo, Corso di diritto penale, cit., p. 407. 49 V. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 55 ss.50 Sul punto, v. Szegö, Ai confini della legittima difesa, cit., p.

372.51 L’art. 2/2, lett. a), della Convenzione, sottoscritta dall’Ita-

lia (v. legge n. 848 del 955 di ratifica ed esecuzione) e vin-colante a livello internazionale, stabilisce che la liceità dell’o-micidio non può che essere sancita in presenza di una situa-zione aggressiva oggettiva che ponga la privazione della vitacome condizione necessaria per difendersi.

52 Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 56: sul punto,v., altresì, Cadoppi, La legittima difesa, cit., p. 435.

53 V. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 56.

Attualità e saggi

in quella successiva), in modo tale da rendere le-cito il fatto, ad es., di ferire o uccidere il delin-quente che, dopo aver invano cercato di ferire ilproprietario, si dia alla fuga, abbandonando ildomicilio nel quale si era clandestinamente in-trodotto. Il dubbio che l’art. 52/2 c.p. legittimiuna sorta di immediata vendetta o ritorsione pri-vata, viene meno se si considera che, ai fini dellaconfigurabilità della scriminante in esame, è co-munque necessaria una situazione obbiettiva dipericolo attuale.

Pur partendo da posizioni diverse, tutti i piùavvertiti commentatori giungono alla conclu-sione, secondo cui la rilevanza del pericolo at-tuale è un dato ricavabile in via interpretativa.Se chi considera la norma in esame quale ipo-tesi speciale di legittima difesa, non ha difficoltàa dimostrare che, trattandosi di ipotesi speciale,essa deve contenere tutti gli elementi di quellagenerale, salvo quelli oggetto di un’espressa di-versa previsione48, anche chi, propugna la tesidell’eterogeneità tra le due cause di giustifica-zione ritiene che la reazione espressa con l’usodegli strumenti indicati sia lecita soltanto sesussiste una situazione obbiettiva di pericoloattuale, relativo alla propria o altrui incolumitào ai beni propri o altrui49. A quest’ultima con-clusione si approda sulla base di plurime argo-mentazioni: se, sul piano degli argomenti diprincipio, si fa notare che l’ipotesi prevista all’art.52/2 c.p. costituisce pur sempre una forma diautodifesa, sussidiaria alla tutela pubblica, eche, come tale, risulta ammissibile solo quandoricorra una situazione di pericolo tale da rende-re impossibile il ricorso tempestivo ed efficacealla pubblica autorità50, sul versante sistematico,preso atto che la scriminante in esame legittimaqualunque conseguenza (compresa la morte),ci si richiama all’art. 2/2, lett. a), Conv. eur. deidiritti dell’uomo51, il quale, nell’imporre la prote-zione del diritto alla vita, afferma la liceità del-l’uccisione di un uomo a condizione che la pri-vazione della vita altrui sia necessaria per assi-curare la difesa di una qualsiasi persona da unaviolenza illecita52. Se, sul piano logico, appareinevitabile che il pericolo attuale si riferisca aibeni di cui si difende l’integrità, viene, infine,fatto osservare che la necessità di predetto re-quisito discende dalla struttura stessa della nor-ma in esame e, in particolare, dalla diversità dilimiti scriminanti previsti rispettivamente per leipotesi di cui alle lett. a) e b) dell’art. 52/2c.p.53.

Se l’uso dell’arma deve essere strumentale ri-

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dita nel proprio domicilio può uccidere diretta-mente l’intruso che tenta di percuoterla)59. Chela disciplina, più complessa e articolata, di cuialla lettera b), sia calibrata esclusivamente suibeni patrimoniali (e non ricomprenda, ad es., lelibertà), è confermato dal fatto che altrimenti sifinirebbe per limitare i confini della reazione inmodo davvero eccessivo: chi dovesse subire ilpericolo attuale di un’aggressione alla propria li-bertà personale, avrebbe, in effetti, l’onere di di-chiarare preventivamente il proprio intento. L’u-so dell’arma è, dunque, giustificato in sé dal pe-ricolo attuale di un’aggressione all’ « incolu-mità », senza che sia necessario accertare la sus-sistenza di altre condizioni; da questo punto divista, non si può negare che la distanza dalla di-sciplina dell’art. 52/1 c.p. sia assai meno sensibi-le rispetto a quanto si verifica sul versante del-l’autodifesa dei beni patrimoniali. Nelle ipotesidi pericolo (attuale) incombente su beni perso-nali, il dato maggiormente innovativo è rappre-sentato dall’irrilevanza della comparazione tra ti-po e grado dell’offesa minacciata e tipo e grado

54 Nel senso che la distinzione tra lett a) e la lett. b) nonavrebbe più senso, se il pericolo fosse solo nella mente delsoggetto, v. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 56, chein chiave restrittiva, ritiene che la rilevanza del pericolo deveessere percepita dall’agente e non possa essere meramenteobbiettiva.

55 Sulle difficoltà di delimitazione dei confini del pericoloincombente e di quello perdurante, nell’esperienza applicati-va della difesa legittima e, in particolare, in materia di furto, v.Szegö, Ai confini della legittima difesa, cit., p. 377 ss.; sul pun-to, v., altresì, Schiaffo, Le situazioni “quasi scriminanti” nella si-stematica teleologica del reato. Contributo ad uno studio sulla de-finizione di struttura e limiti della giustificazione, Napoli 1998, p.235 ss., p. 282.

56 V. Szegö, Ai confini della legittima difesa, cit., p. 372 ss.57 V. il testo originario del ddl 1899-S, il quale così dise-

gnava la lett. b): «. . . vedendo minacciati i propri o altrui benie constatata l’inefficacia di ogni invito a desistere dalla azionecriminosa, per bloccarla usa qualsiasi mezzo idoneo o un’ar-ma legittimamente detenuta, mirando alle parti non vitali dichi persiste nella minaccia »; sul punto, v. Pezzella, Autotute-la (armata) del cittadino, la cronaca fa oscillare il confine, inD&G 2004, n. 32, IV (54).

58 Secondo Palazzo, si tratta di una specie di onere di inti-mazione a carico dell’aggredito, il quale « per fruire della piùvantaggiosa disciplina del secondo comma », ha l’onere « diintimare all’aggressore di andarsene e solo se il delinquentenon desiste sarebbe possibile invocare la legittima difesaspeciale. Altrimenti, in mancanza di intimidazione sarebbeapplicabile la disciplina generale » (Palazzo, Corso di dirittopenale, cit., p. 408).

59 V. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 56.60 Nel senso che, per quel che concerne l’ipotesi di cui al-

la lett. a), le innovazioni apportate dalla riforma sarebberominime, v. Cadoppi, La legittima difesa, cit., p. 439.

spetto al fine di difendere l’incolumità o i beni dauna situazione di pericolo obbiettivamente esi-stente54, quest’ultimo requisito accomuna, allora,la causa di giustificazione in esame alla legittimadifesa55, nell’àmbito della sfera di autotutela che èconcessa al privato nei casi in cui lo Stato non èin grado di intervenire: il requisito della non at-tualità del pericolo riflette, infatti, la presunzionelegale che ci si possa ancora rivolgere all’auto-rità56.

Appurato che, in caso di desistenza, vienemeno il presupposto della situazione aggressivae della finalità difensiva, ossia il pericolo attua-le, con la conseguente inapplicabilità della cau-sa di giustificazione in esame, rimane, peraltro,da chiarire la ragione per la quale il requisito (avalenza restrittiva) della “non desistenza” siastato richiamato esclusivamente nella lett. b).Evidentemente, questo requisito negativo è de-stinato a incidere solo sulla difesa dei beni (pa-trimoniali) e non sulla disciplina della salva-guardia dell’incolumità. Dai lavori preparatori sievince che con tale locuzione negativa ci si rife-risce all’inefficacia di ogni invito a desistere dal-l’azione criminosa e, cioè, alla persistenza dellaminaccia, nonostante il tentativo dell’agente diprovocare la desistenza, prima di usare l’ar-ma57. Tale requisito è richiamato solo a propo-sito della difesa dei beni, perché soltanto inquesto caso il provocare la desistenza costitui-sce un onere implicito per l’aggredito nei con-fronti dell’aggressore, il quale deve poter perce-pire la potenzialità di una reazione difensiva58.La necessità della “non desistenza” equivale, in-somma, al “fermi tutti polizia” che gli agenti soli-tamente pronunciano prima di sparare: un one-re analogo è posto a carico anche del privato, ilquale è giustificato per aver fatto uso dell’armasolo se, nonostante l’avviso dell’imminente usodell’arma, l’intruso non ha desistito e, cioè, nonha posto fine all’aggressione ai beni patrimo-niali (il legislatore vuole che la situazione siachiara ed esplicita per ambo le parti, senza fata-li e tragici fraintendimenti).

Mentre, dunque, la desistenza, quale causa dicessazione del pericolo attuale, assume in ognicaso rilevanza preclusiva dell’effetto scriminante,l’onere dell’aggredito di provocare la desistenzavale soltanto per la difesa dei beni patrimoniali enon, invece, per la difesa dei beni richiamati sublett. a): qualora l’aggressione si riferisca diretta-mente all’incolumità, la reazione difensiva puòessere immediata (e non deve essere precedutadall’induzione alla desistenza: la persona aggre-

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Diritto di autotutela in un privato domicilio

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di offesa arrecata: la predetta valutazione è, in-fatti, legislativamente sottratta all’indagine giudi-ziale60.

6.5. Segue: il pericolo di aggressione

La condizione – aggiuntiva rispetto alla nondesistenza – prevista all’art. 52/2 lett. b) (ossia lasussistenza del pericolo di aggressione) è quellache pone i maggiori problemi sul piano della ri-costruzione ermeneutica della fattispecie. Occor-re, infatti, evitare di interpretare tale requisito co-me un inutile duplicato del già evidenziato re-quisito rappresentato dal pericolo attuale, giac-ché altrimenti si finirebbe con il patrocinare unavera e propria interpretatio abrogans dell’art. 52/2lett. b), c.p., che vedrebbe del tutto annullata lapropria portata ed autonomia (in quanto la ne-cessità del pericolo attuale vale anche per la for-ma di autotutela disciplinata alla lett. a)61. Pre-messo che (ragionevolmente) il legislatore utiliz-za la locuzione « pericolo di aggressione » in riferi-mento all’integrità fisica o alla vita altrui62, è ne-cessario, dunque, ritagliare al predetto requisitouno spazio di operatività che (non solo non sisovrapponga a quello del pericolo attuale, ma)sia circoscritto alla sola sfera di difesa dei benipatrimoniali. Sulla base dei lavori preparatori e diautorevoli spunti dottrinali, l’unica soluzioneplausibile è che, mediante tale requisito, il legi-slatore abbia inteso riferirsi a situazioni in cui –in presenza di uno stato di pericolo attuale di of-fesa a beni patrimoniali e di esito negativo del-l’invito a desistere – si manifesti un pericolo di

61 Se così fosse (se cioè esso denotasse la necessità di unpericolo attuale per l’incolumità), osserva Padovani, la situa-zione scriminante transiterebbe nell’orbita della lettera a),rendendo inutile la previsione della lettera b): v. Padovani,Un modello di equilibrio, cit., p. 56.

62 Cfr. Cadoppi, La legittima difesa, cit., p. 439; nel senso in-vece che il pericolo di cui alla lett. b) possa anche riferirsi alpatrimonio, v. Dolcini, La riforma della legittima difesa, cit., p.432, il quale ritiene che, in tal modo, la vita e l’integrità fisicasiano collocati sullo stesso piano della proprietà di una cosa.

63 V. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 56.64 V. il resoconto della seduta Camera dei deputati n. 712

del 28 novembre 2005, p. 11 ss.; per una più ampia disami-na dei lavori preparatori sul punto, v. Siciliano, Il pericolo diaggressione: la difesa legittima al Senato, in questa Rivista 2005,p. 1119; Intini, Legittima difesa, rischi di sproporzione. Quel ge-nerico “pericolo di aggressione”, in D&G. 2005, n. 34, p. 110 ss.

65 Cfr. Zaina, L’art. 52 c.p.: una modifica necessaria?, inwww.penale.it, p. 6.

66 V. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 56.67 V. Padovani, Un modello di equilibrio, cit., p. 56.

Attualità e saggi

aggressione alla persona, sebbene non attuale63,ossia un quid minoris rispetto al pericolo attualeche fonda la liceità della difesa dell’incolumitàpropria o altrui [art. 52/2, lett. a) c.p. ]. Di taleelemento sono state fornite interpretazioni diver-se. Nel corso dei lavori preparatori, si chiarisceche il pericolo di aggressione, significativamenteconsiderato « il punto qualificante della intera pro-posta di legge », identifica le situazioni in cui nonè esclusa la possibilità dell’aggressione, ossia icasi in cui quest’ultima rappresenta una minac-cia, non ancora in fase di attuazione, che è rite-nuto lecito neutralizzare mediante l’uso dell’ar-ma (prima che sia troppo tardi); allo scopo dipotenziare la tutela delle vittime, si giustifica, ades., la reazione del soggetto impaurito, che temeper la propria incolumità, a fronte della minacciadi aggressione, magari fatta solo intuire64. Rispet-to all’opinione volta a neutralizzare l’autonomiae il significato del requisito in esame, sul presup-posto che il pericolo di aggressione sarebbe unelemento solo apparente, in quanto in realtà con-naturato all’intrusione nell’altrui domicilio a sco-po predatorio (in re ipsa), solo che si consumi al-l’interno di un luogo chiuso65, appare preferibilel’autorevole tesi, secondo cui la formula normati-va dovrebbe essere intesa come probabilità dievoluzione aggressiva della situazione, ossia co-me probabilità di una situazione aggressiva nonancora giunta al livello di attualità, ma percepibi-le in base a circostanze concrete del fatto (moda-lità, numero dei soggetti, ecc.: si pensi ad es. aun individuo che, dopo l’invito a desistere, nonabbandoni la refurtiva, bensì, porti repentina-mente la mano alla tasca)66. Si tratta di uno sta-dio preventivo e remoto, che, precedendo la di-retta messa a repentaglio dell’incolumità fisica,ruota intorno alla mera possibilità di aggressio-ne, ossia ad un pericolo di pericolo attuale di undanno ingiusto, la cui vaga e tenue consistenzaoffensiva appare evidente. Nello scriminare il fe-rimento (o l’uccisione) dell’intruso realizzatomediante l’uso di arma da parte di chi difendeun diritto patrimoniale, qualora vi sia un perico-lo ancora non attuale di aggressione, l’art. 52/2c.p. diverge significativamente dalla disciplinadella difesa legittima. Nella misura in cui autoriz-za a provocare anche la morte per la tutela di be-ni patrimoniali, in condizioni molto anticipate ri-spetto al manifestarsi di una situazione di peri-colo attuale per l’incolumità fisica, l’uso legittimodelle armi nel privato domicilio si distacca, infat-ti, in modo pregnante dai parametri sottesi al-l’art. 52/1 c.p.67. È sufficiente considerare il caso

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to valutazione che, avendo ampi margini di di-screzionalità, inevitabilmente comporta rischi diincertezza giuridica, non si può certo dire che lariforma abbia contribuito ad alleggerire o razio-nalizzare il carico dell’accertamento giudiziale,giacché, al contrario, la disciplina introdotta po-ne, invero, rilevanti complicazioni in sede appli-cativa (soprattutto per le palesi difficoltà di ac-certamento probatorio della « non desistenza »).Nonostante l’obbiettivo dichiarato della semplifi-cazione probatoria, essendo, comunque, neces-saria una attenta valutazione delle circostanze edelle modalità dell’aggressione e della reazione,sarebbe, dunque, ingenuo e illusorio pensare chenon si debba aprire un’inchiesta giudiziaria voltaa verificare i presupposti della nuova scriminan-te; nelle ipotesi di autodifesa armata, il controllodi legalità sul comportamento di chi uccide unapersona sarà, anzi, ancora più accurato e gli ac-certamenti saranno maggiori e più complessi. Senon occorrerà più valutare la proporzione, sarà,pur sempre, necessario verificare la sussistenzadi tutta una serie di elementi, che oggi non deb-bono essere presi in considerazione (legittimitàora della presenza nel domicilio e nei luoghi as-similati, ora della detenzione dell’arma; non de-sistenza; pericolo di aggressione): valutazioninuove (e, talora complesse), che hanno ad og-getto nozioni da riempire da parte della giuri-sprudenza, i cui parametri di giudizio non sonocerto minori e più definiti di quelli sinora utiliz-zati nell’àmbito della legittima difesa, cosicchésorge il rischio che, paradossalmente, anziché di-minuire, la discrezionalità giudiziaria finisca conl’aumentare70.

Non minori perplessità discendono dalla evi-dente “distanza” che divide la disciplina in esa-me da alcuni principi fondamentali cui si ispira ilnostro sistema giuridico. L’intrinseca ambiguitàdella formulazione normativa, da un lato, e l’in-dubbia rilevanza del dato letterale, dall’altro, ren-dono, per molti versi, problematica l’interpreta-zione “sterilizzante” propugnata dall’orientamen-to dottrinale incline a confinare la nuova fattispe-

68 V., ad es., Cass. pen., sez. III, 24 maggio 1990, Colan-tonio, in C. pen. 1991, p. 1963; sul punto, v. Romano, Com-mentario sistematico al codice penale, I, 2a ed., Milano 2004,p. 561.

69 In tema, v., da ultimo, Consiglio, La prova delle esimenti,in Critica pen. 2005, p. 86 ss.

70 Sull’ineliminabilità di una certa discrezionalità del giudi-ce in materia di autotutela, v. Cadoppi, La legittima difesa, cit.,p. 440.

del ladro solitario e disarmato, sorpreso nell’attodi rubare, che, nonostante l’invito a desistere,non abbandoni il bottino e tenti di impadronirsidel primo oggetto contundente a disposizione:in una situazione del genere, l’art. 52/2, lett. b),c.p., autorizza ad uccidere.

Nell’àmbito dell’autotutela dei beni patrimo-niali, la sensibile deviazione dalla disciplina dellalegittima difesa risulta ancora più marcata ed ac-centuata, se solo si tiene conto del fatto che l’art.52/2, lett. b), c.p. è destinato a trovare più ampispazi di applicazione nelle ipotesi di putatività(ex art. 59/4 c.p.). L’interazione con la norma diparte generale in materia di errore sul fatto inmateria di cause di giustificazione, non può, ineffetti che ampliare ulteriormente i margini dioperatività della figura scriminante a livello dicolpevolezza, provocando un complessivo effet-to moltiplicatore (o a catena), difficilmente argi-nabile e controllabile. Pur tenendo conto delleprese di posizione giurisprudenziale circa la rile-vanza della dimensione putativa e, in particolare,della necessità che l’errore si radichi su qualcheragionevole aspetto della situazione di fatto68, lapeculiare e incerta struttura della norma fa sì chel’erronea percezione della possibilità di aggres-sione si risolva perlopiù nella non punibilità dichi ha reagito: ex art. 59 u.c. c.p., si potrà sempresostenere che il pericolo era insito nella presenzadi un estraneo nel domicilio e la valutazionesoggettiva dell’esistenza del pericolo non sareb-be mai contestabile (si pensi ad es., alla tragicauccisione del ragazzino, travestito da ladro, che,nel corso della notte di Halloween, per fare unoscherzo, si introduca nell’altrui giardino, bran-dendo un bastone).

7. Considerazioni conclusive

I riflessi che la disciplina comporta sul pianodegli incombenti processuali si rivelano, a dirpoco, problematici. Il fatto che sia comunqueposto a carico dell’aggredito l’onere di allegare ifatti – la violazione di domicilio e, nei casi dellalett. b), la non desistenza e il pericolo di aggres-sione – che possono costituire il thema proban-dum rispetto al quale l’accusa è tenuta a dimo-strare la mancanza degli elementi della scrimi-nante69, dà l’idea della gravosità dell’adempi-mento probatorio imposto dalla farraginosa eprecaria formulazione della fattispecie in esame.Per altro verso, se l’intenzione del legislatore eraquella di sollevare il giudice dal difficile compitodi verificare il rapporto di proporzione, in quan-

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Diritto di autotutela in un privato domicilio

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cie giustificatrice nella “rassicurante” cornice del-la legittima difesa, in termini di specialità. L’insi-diosità di una fattispecie come quella in esame sicoglie, soprattutto, nella struttura intenzional-mente “polivalente” e “polisensa”, che si presta afungere da volano per plurime soluzioni erme-neutiche, cangianti ed elastiche, tendenzialmenteplausibili sul piano letterale. Appare, allora, pre-feribile, senza infingimenti, riconoscere che i pre-detti profili di ambivalenza e indefinitezza mina-no alla radice la tenuta di alcuni principi fonda-mentali del sistema, che ruotano intorno allaispirazione “personalistica” della Carta costitu-zionale. Se, come è stato rilevato, l’esigenza diogni ordinamento evoluto è quella di assicurareun’efficace difesa dei diritti dell’aggredito con ilminimo danno per l’aggressore71, non c’è dubbioche l’art. 52/2-3 c.p. presenti più di un profilo diillegittimità costituzionale. Nella misura in cuiscrimina qualunque conseguenza offensiva e,dunque, anche la lesione di diritti inviolabili del-l’uomo, al di fuori di ogni criterio di proporzionee di necessità difensiva, solo che ricorrano lecondizioni normativamente date, l’art. 52/2 c.p.si pone in palese contrasto con l’art. 2 della Car-ta fondamentale, riflettendo una “modulazione”di valori sensibilmente distonica rispetto alla ge-rarchia costituzionale dei beni, e in particolare,rispetto al primato assegnato alla tutela della vi-ta. Per altro verso, considerando lecita qualun-que reazione difensiva, compresa l’uccisione diun essere umano, a fronte della mera possibilitàdi un’aggressione e del pericolo attuale di un’of-fesa al patrimonio, la scriminante in esame risul-ta estranea sia alla sfera della assoluta necessità,sia al concetto di violenza illegale, che l’art. 2

71 V. Viganò, sub art. 52, in Comm. Marinucci-Dolcini, Mila-no 1999, p. 479 ss.

72 Di « norma manifesto » parla, ad es., Cadoppi, La legitti-ma difesa, cit., p. 440.

Attualità e saggi

CEDU prevede quali condizioni per la liceitàdell’uccisione di un essere umano (il mancato ri-spetto del requisito derivante da una fonte di ob-blighi internazionali vincolanti il legislatore italia-no quale è la Convenzione dei diritti dell’uomo,determina, altresì, di riflesso la violazione delnuovo art. 117 Cost.).

In merito, infine, alla discussione intorno allareale misura dello “strappo” operato dal legisla-tore rispetto ai confini e alla logica della legittimadifesa, è opportuno precisare che l’art. 52/2-3c.p. non è solo una disposizione di facciata (ov-vero una c.d. norma bandiera, legata al contestopre-elettorale)72, bensì si rivela, invece, densa diimplicazioni negative sul piano giuridico e socio-culturale, trasmettendo un messaggio fonda-mentalmente regressivo, che segna una fase di“involuzione” del sistema. Se, come osservato daalcuni autorevoli esponenti del mondo accade-mico « non si sa dove inizi l’analfabetismo giuri-dico e dove la mala fede », non vi è dubbio che,in attesa dei primi riscontri giurisprudenziali, lesorti “applicative” della nuova causa di giustifica-zione siano legate alla valorizzazione o meno ditaluni, indiscutibili, profili di ambivalenza che lafattispecie “sviluppa” al suo interno. In effetti, la“criptica” formulazione normativa offre all’inter-prete gli strumenti necessari per la amplificazio-ne ed estensione applicativa o, per converso, perla “neutralizzazione” della fattispecie. La “distan-za” dagli esiti applicativi della disciplina della le-gittima difesa dipende, infatti, dal tipo di “torsio-ne” ermeneutica impressa al requisito crucialedel pericolo di aggressione, che, se riferito diretta-mente ai beni patrimoniali, tramite l’interpreta-zione abrogans della lett. b), comporta, di riflesso,l’abnorme ampliamento della sfera di applicabi-lità della scriminante; per converso, siffatte vir-tualità espansive possono, peraltro, essere facil-mente “disinnescate”, interpretando l’espressio-ne « pericolo di aggressione » come sinonimo dipericolo attuale per l’incolumità.

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guenti tratti caratteristici: separazione tra la pro-prietà di reti, impianti ed altre dotazioni patrimo-niali (riservata all’ente locale, che può al più tra-sferirla ad una s.p.a. a capitale interamente pub-blico) da un lato, e gestione della rete unita all’e-rogazione del servizio (a meno che ne sia previ-sta in via derogatoria la separazione dalle disci-

1 Solo per qualche spunto, cfr. C. Pinelli, Mercati, ammini-strazioni e autonomie territoriali, Torino 1999, p. 147 ss.

2 Di « tumultuosa e per certi versi caotica rivisitazione nor-mativa » parla R. Ursi, Le società per la gestione dei servizi pub-blici locali a rilevanza economica tra outsourcing e in house pro-viding, in D. amm. 2005, p. 179. In tema, v. diffusamente E.Piga, Privatizzazione formale, privatizzazione sostanziale e libera-lizzazione; antichi e nuovi schemi organizzativi nella evoluzionedella normativa, anche alla luce degli orientamenti giurispruden-ziali, afferente i servizi pubblici locali a rilevanza economica, inRass. g. en. el. 2005, p. 463 ss.; A. Graziano, La riforma e lacontroriforma dei servizi pubblici locali, in Urb. appalti 2005, p.1369 ss.; F. Casalotti, I servizi pubblici locali nella riforma delTitolo V della Costituzione, in A. Massera (a cura di), Il dirittoamministrativo dei servizi pubblici tra ordinamento nazionale e or-dinamento comunitario, Pisa 2004, p. 79 ss.; F. Dello Sbarba,I servizi pubblici locali: la disciplina della concorrenza nel mercatoe per il mercato, con particolare riferimento alla riforma ex art. 35legge finanziaria 2002 e successive modifiche, ivi, p. 113 ss.; L.R.Perfetti, I servizi pubblici locali. La riforma del settore operatadall’art. 35 della legge n. 448 del 2001 ed i possibili profili evolu-tivi, in D. amm. 2002, p. 575 ss.

3 Sui fattori ostativi alla definizione nell’ordinamento co-munitario di una disciplina concorrenziale sui servizi pubbli-ci locali (difesa strenua delle prerogative e dell’identità dellecomunità locali, influenza delle lobbies degli enti territoriali edelle forze imprenditoriali ad essi legate, interessi nazionalialla chiusura dei mercati sui servizi, ecc. . . .), si rinvia all’ana-lisi svolta da A. Travi, Servizi pubblici locali e tutela della con-correnza fra diritto comunitario e modelli nazionali, in G. Falcon(a cura di), Il diritto amministrativo dei paesi europei, Padova2005, p. 187 ss.

4 Le modifiche ed integrazioni sopravvenute alla formula-zione originaria dell’art. 113 si devono all’art. 35, comma 1, l.28 dicembre 2001, n. 448; all’art. 14, comma 1, d.l. 30 set-tembre 2003, n. 269, come modificato dalla relativa legge diconversione 24 novembre 2003, n. 326; e all’art. 4, comma234, l. 24 dicembre 2003, n. 350.

SERVIZI PUBBLICI LOCALI E PROMOZIONE DELLA CONCORRENZA FRA STATO E REGIONI

di Guerino Fares

1. L’evoluzione normativa e giurisprudenziale

Lo studio dei servizi pubblici locali ha ad og-getto un tema “caldo” nell’esperienza giuridica,costantemente al centro del dibattito dottrinale einvestito da una serie significativa e ponderosa dimodifiche legislative ed interventi giurispruden-ziali.

Note sono le ragioni dell’interesse per un ar-gomento dai delicati risvolti sul piano dell’orga-nizzazione amministrativa e dell’attività di rilievoeconomico-sociale che i pubblici poteri sonochiamati ad assicurare a beneficio della colletti-vità: le resistenze mostrate in sede legislativa al-l’apertura di tale specifico settore alle dinamicheconcorrenziali, concretamente tradottesi nellariottosità a favorire l’accesso nel mercato dei pri-vati1.

Questo stato di cose è, peraltro, in parte muta-to negli ultimi tempi per effetto di una serie diprovvedimenti legislativi ravvicinati, finalmentepostisi nella prospettiva di aprire alle regole e aiprincipi della concorrenza un campo ad essi te-nuto a lungo estraneo: si tratta, in particolare, diiniziative assunte dal legislatore nazionale2, stan-te l’incapacità di quello europeo di introdurreuna normativa comune3, volta a vincolare tuttigli Stati membri, contraddicendo e superando lesingole e specifiche tradizioni: in un tale conte-sto, particolarmente prezioso deve tuttavia consi-derarsi l’apporto, a valenza suppletiva, della Cor-te di giustizia, le cui principali decisioni sarannoperciò riportate – nella loro portata essenziale –nel prosieguo.

Partendo dal quadro legislativo, occorre riferirsiall’art. 113, T.U. enti locali (d. legisl. 18 agosto2000, n. 267, come successivamente modifica-to)4, che regola la gestione delle reti e l’erogazio-ne dei servizi pubblici locali di rilevanza econo-mica, delineando un sistema che presenta i se-

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pline di settore) dall’altro, erogazione che a suavolta deve avvenire nel rispetto della normativaeuropea e con conferimento della relativa titola-rità a tre tipologie di figure soggettive tassativa-mente indicate (comma 5: società di capitali in-dividuate tramite espletamento di gare ad evi-denza pubblica; società a capitale misto pubbli-co/privato, nelle quali il socio privato venga scel-to attraverso procedure concorsuali adeguatamen-te garantite; società totalmente in mano pubblica,a condizione che gli enti titolari del capitale so-ciale esercitino sulla società un controllo analogoa quello esercitato sui propri servizi e che la so-cietà realizzi la parte più importante della propriaattività con l’ente o gli enti pubblici che la con-trollano)5.

La terza delle ipotesi descritte costituisce unfrutto del contributo fornito dalla giurisprudenzacomunitaria, della quale si passa pertanto a trat-tare, prendendo atto del mutamento prospetticoda essa fatto di recente registrare.

5 Sui tratti peculiari dei tre modelli, Cons. St., sez. V, 13 di-cembre 2005, n. 7058.

6 In R. it. d. pubbl. comun. 2000, p. 1393 ss. Sul requisitodel controllo analogo, cfr. pure C. giust. CE, C-231/03, casoConame., in F. amm. – Cons. St. 2005, p. 2001 ss., con notadi F. Gaverini, Nuove precisazioni in tema di in house provi-ding e di « controllo » sulla partecipazione, non meramente simbo-lica, degli enti al capitale delle società che gestiscono pubblici servi-zi. Per la giurisprudenza nazionale: Cons. St., sez. V, 22 di-cembre 2005, n. 7345 (che lo identifica con il possesso del-la totalità del pacchetto azionario o di una percentuale supe-riore al 99%); T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, sez. Trieste, 12 di-cembre 2005, n. 986 (sulla insufficienza degli ordinari pote-ri di direzione e controllo propri dell’azionista di maggioran-za); T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 5 dicembre 2005, n.1250 (sulla illegittimità dell’affidamento diretto a società mi-sta con quota pubblica anche se di assoluta minoranza, ades. pari allo 0,97% del capitale); T.A.R. Friuli-Venezia Giulia15 luglio 2005, n. 634 (sul valore di mero indizio della con-sistenza del pacchetto azionario ai fini del riscontro di uncontrollo dell’ente pubblico sulla società), in F. amm. – Tar2005, p. 1934 ss., con nota di A. Lolli, Servizi pubblici locali esocietà in house: ovvero la collaborazione degli enti locali per larealizzazione di interessi omogenei.

7 In F. it. 2005, IV, c. 134 ss., con nota di R. Ursi, Una svol-ta nella gestione dei servizi pubblici locali: non c’è « casa » per lesocietà a capitale misto; in Urb. appalti 2005, p. 288 ss., connota di R. De Nictolis, La Corte CE si pronuncia in tema di tu-tela nella trattativa privata, negli affidamenti in house e a societàmiste; in Serv. pubbl. appalti 2005, p. 453 ss., con nota di F.Rossi, Gli affidamenti (quasi) in house: la partecipazione pubbli-ca totalitaria come elemento essenziale. Problemi e quesiti; inGiorn. d. amm. 2005, p. 271, con nota di C. Guccione, L’affi-damento diretto di servizi a società mista; in D. pubbl. comp. eur.2005, p. 834, con nota di G.F. Ferrari, Servizi pubblici localied interpretazione restrittiva delle deroghe alla disciplina dell’ag-giudicazione concorrenziale.

Attualità e saggi

In un primo tempo, la Corte di giustizia avevainvero mostrato di voler consentire un’applica-zione sensibilmente ampia delle deroghe alle re-gole di concorrenza, legittimando il ricorso al si-stema di affidamento dei servizi c.d. in house pro-viding: locuzione che identifica quella fattispeciein cui l’appalto viene affidato non in esito allosvolgimento obbligato di una procedura concor-suale di aggiudicazione, bensì direttamente daparte dell’amministrazione aggiudicatrice ad unsoggetto da essa sì giuridicamente distinto malegato da un rapporto tale che non lo si possaconsiderare rispetto alla stessa autonomo (inspecie, sul piano negoziale), venendo conse-guentemente meno un elemento basilare per laconfigurabilità del contratto di appalto da stipu-lare ai sensi del diritto europeo.

In questa prima fase, il giudice comunitarioesige, perché possa parlarsi di affidamento inhouse, che la P.A. aggiudicatrice eserciti sulla se-conda persona giuridica un controllo analogo aquello da essa esercitato sui propri servizi, e chequesta persona realizzi la parte più importantedella propria attività con l’ente o con gli enti lo-cali che la controllano (prescrizioni rifluite, comevisto, nella nostra legislazione): così C. giust. CE18 novembre 1999, C-107/98, caso Teckal6.

Con l’evidente intento di favorire un’interpreta-zione restrittiva del duplice criterio suindicato, inuna successiva occasione (C. giust. CE 11 gennaio2005, C-26/03, caso Stadt Halle)7, ha chiaritoche la società affidataria deve essere interamentein mano pubblica, escludendo così dall’àmbitoapplicativo le ipotesi di affidamenti diretti a societàmiste, anche se il socio privato sia stato scelto me-diante procedure ad evidenza pubblica.

La partecipazione sia pure minoritaria diun’impresa privata al capitale di una società allaquale partecipi anche l’amministrazione aggiudi-catrice – puntualizza la Corte – fa escludere inogni caso che quest’ultima possa esercitare sullaprima un controllo analogo a quello che esercitasui propri servizi: ricomprendendo, altrimenti,anche questa tipologia di figure societarie tra ibeneficiari dell’affidamento in house, sarebberopregiudicati, da un lato, l’esigenza di persegui-mento esclusivo dell’interesse pubblico, e dall’al-tro l’obiettivo di una concorrenza libera e nonfalsata ed il principio della parità di trattamentofra tutti i concorrenti privati.

In altri termini, la promiscuità degli interessicoltivati da un’impresa ad economia mista alterala fisionomia del rapporto fra l’autorità ammini-strativa e i propri servizi; qualsiasi immissione di

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me dimostrato dalla consapevolezza assunta inproposito dalla dottrina12, che le prerogative sta-tali non sarebbero state esigue né marginali, inconsiderazione del conferimento allo Stato di ti-toli competenziali a vocazione trasversale (c.d.materie scopo) – quali in particolare la tuteladella concorrenza [comma 2, lett. e)] e la deter-minazione dei livelli essenziali delle prestazioni(lett. m) – atti per loro natura ad intersecare di-versi altri àmbiti materiali13.

Con peculiare riguardo ai servizi pubblici lo-cali di carattere economico (o industriale, secon-do la locuzione primigenia), la loro attrazione al-la riferita competenza statale significa, sostan-zialmente, legittimare la legislazione nazionale

8 In Urb. appalti 2006, p. 157 ss., con nota di M. Giovan-nelli, Divieto di affidamento di servizi pubblici senza gara a so-cietà mista e ulteriore restrizione dell’in house providing.

9 In Giorn. d. amm. 2006, p. 133 ss., con nota di G. Pipe-rata, L’affidamento in house nella giurisprudenza del giudice co-munitario; in Urb. appalti 2006, p. 31 ss., con nota di P. Lotti,Concessioni di pubblici servizi, principi dell’in house providing esituazioni interne.

10 Evidenzia trattarsi di una svolta in una direzione massi-malista, C. Contessa, Servizi pubblici locali ed evoluzione giuri-sprudenziale: quale futuro per il modello societario?, in Corr. meri-to 2005, p. 1329 ss. In argomento, si rinvia all’ampia disami-na condotta da A. Graziano, Servizi pubblici locali: modalità digestione dopo le riforme di cui alla l. 24 novembre 2003, n. 326e alla l. 24 dicembre 2003, n. 350, e compatibilità con il modellodell’in house providing alla luce delle ultime pronunce della Cor-te di Giustizia (Sentenze Stadt Halle dell’11 gennaio 2005,Parking Brixen del 25 ottobre 2005 e Modling del 10 novembre2005), in www.giustizia-amministrativa.it.

11 In argomento, osserva singolarmente D. Caldirola, Inte-ressi sociali, concorrenza e pluralismo istituzionale nei servizi pub-blici locali, in Jus 2003, p. 573 s., quanto segue: « I servizipubblici locali non sono una materia e neppure forse unamateria trasversale che tocca ma non è esaurita dagli àmbitioggettivi elencati nell’art. 117, giacché la loro disciplina noninveste il solo profilo del riparto delle competenze legislativetra Stato e Regioni, ma piuttosto l’assetto di maggiore auto-nomia riconosciuto agli enti locali, il pluralismo istituzionaleed il principio di sussidiarietà nelle due accezioni di orizzon-tale e verticale. Il che induce a ricostruire la problematica del-la competenza dei servizi pubblici locali non partendo dal-l’alto ma dal basso, prendendo le mosse dall’autonomia orga-nizzativa e funzionale riconosciuta ai comuni alle provinceed alle città metropolitane ».

12 Si rinvia, ad es., all’analisi svolta da A. Zito, I riparti dicompetenze in materia di servizi pubblici locali dopo la riforma delTitolo V della Costituzione, in D. amm. 2003, p. 387 ss.

13 Le possibili intersezioni fra la competenza statale esclu-siva a tutela della concorrenza e le competenze regionalimette in evidenza M. D’Alberti, La tutela della concorrenza inun sistema a più livelli, in D. amm. 2004, p. 714, riferendosi, inparticolare, riguardo alle seconde « alle legislazioni e alle re-golazioni concernenti particolari settori economici, come ilcommercio, l’industria, l’agricoltura, alcuni servizi pubblici eprivati ».

capitale privato in una società determina unafunzionalizzazione delle sue attività anche allarealizzazione di fini di lucro, e attribuisce al socioprivato un indebito vantaggio rispetto ai suoiconcorrenti (secondo quanto ribadito nuova-mente da C. giust. CE 10 novembre 2005, C-29/04, caso Modling)8.

Ed è ancora l’organo di giustizia sovranazio-nale (C. giust. CE 13 ottobre 2005, C-458/03,caso Parking Brixen)9 a sottolineare che le duesummenzionate condizioni, se da una parte de-vono formare oggetto di un’interpretazione ri-duttiva (tanto che l’onere di dimostrare l’effettivasussistenza delle circostanze eccezionali che giu-stificano la deroga alle regole generali del dirittocomunitario grava su colui che intenda avvaler-sene), dall’altra non si verificano laddove desti-nataria dell’affidamento diretto sia una società(nella specie, sorta dalla trasformazione di un’a-zienda speciale del Comune) il cui oggetto socia-le è stato esteso a nuovi importanti settori, il cuicapitale è stato obbligatoriamente aperto all’ap-porto di altri partecipanti, il cui àmbito di attivitàè stato largamente ampliato sul piano territoriale(a tutto lo Stato e all’estero), e i cui organi gesto-ri detengono poteri amplissimi ed esercitabili inpiena autonomia rispetto all’amministrazione diriferimento.

Nello scenario che, in definitiva, viene a profi-larsi per effetto del giro di vite operato dalla giu-risprudenza comunitaria10, le società miste ven-gono a perdere sostanzialmente gran parte dellaloro ragion d’essere, e le stesse società a parteci-pazione pubblica totalitaria vedono ridursi al mi-nimo la propria autonomia (stante la dipendenzaeconomico-finanziaria, gestionale ed ammini-strativa dalla P.A. aggiudicatrice), sì da suscitareseri dubbi in ordine alla loro residua utilità e al-l’impiego in un futuro in cui potrebbe piuttostoesserci spazio – nel novero delle possibili formeorganizzative – per un ritorno massiccio all’auto-produzione del servizio pubblico.

Rivolgendo, ora, l’attenzione al profilo centraledella presente indagine, vale a dire il riparto dicompetenze fra i livelli di governo nell’assettocostituzionale ridefinito dalla riforma del 2001,deve ricordarsi preliminarmente come la discipli-na dei servizi pubblici locali, in quanto non ri-compresa negli elenchi di cui all’art. 117, commi2 e 3, debba considerarsi confluente nel terrenodella competenza regionale esclusiva, identifica-to dalla clausola di residualità contenuta nelcomma 4 della medesima disposizione11.

Ciononostante, era chiaro fin dal principio, co-

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che stabilisca i modelli di gestione, la scelta delletipologie di servizi da assoggettare alla concor-renza, l’individuazione delle regole per l’affida-mento dell’erogazione dei servizi stessi.

In questa cornice, era prevedibile che si giun-gesse presto alla richiesta di scrutinio di legitti-mità costituzionale all’indirizzo del precitato art.113, T.U. enti locali.

Su di esso si è, difatti, pronunciata una primavolta la Corte costituzionale con la sentenza 27luglio 2004, n. 27214, in cui – valorizzata l’acce-zione dinamica, accanto a quella statica, della tu-tela della concorrenza15 – è stata ritenuta legitti-ma la disciplina statale, se riferita ai soli serviziaventi rilevanza economica, e a condizione che sitratti di disciplina non dettagliata ed autoapplica-tiva, in grado di dar luogo ad una illegittimacompressione dell’autonomia regionale.

La Corte ha ricondotto alla potestà legislativaesclusiva dello Stato nella materia « tutela dellaconcorrenza » il suddetto art. 113, in quantocontenente disposizioni di principio, o di caratte-re generale, che disciplinano le modalità di ge-stione e l’affidamento dei servizi locali in un’otti-ca di salvaguardia della concorrenzialità del mer-cato, e in quanto tali sono inderogabili da partedi normative regionali.

Il criterio utilizzato dal giudice costituzionaleè, in definitiva, la verifica circa la conformità de-gli interventi legislativi statali ai principi di ade-guatezza e proporzionalità.

2. Due recenti pronunce della Corte costitu-zionale: la n. 29 del 2006

Si è accennato a quanto ampia sia l’estensionedella competenza dello Stato nella materia tra-sversale della tutela della concorrenza.

14 In G. it. 2005, p. 836 ss., con nota di E. Rolando, Servi-zi pubblici locali in continuo movimento e novità in tema di ripar-to di competenze fra Stato e Regioni nella « materia trasversale »della tutela della concorrenza.

15 Intesa in senso statico, la tutela della concorrenza garanti-sce interventi di regolazione e ripristino di equilibri perduti,mentre nell’accezione dinamica giustifica misure pubbliche vol-te a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficientesviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali.

16 Viene ipotizzata, in sostanza, un’incidenza dell’obiettivocomunitario di perseguimento della concorrenza non soltan-to in termini di maggiore pervasività dei principi fondamen-tali (come riconosciuto da C. cost. n. 336 del 2005) ma an-che di espansione e vincolatività della legislazione statale at-tuativa dell’art. 117, comma 2, lett. e): una linea di sviluppoulteriore, che avrebbe trovato di lì a poco adesione in C. cost.n. 80 del 2006 (su cui si rinvia al § 3).

Attualità e saggi

Un’ulteriore conferma si ricava dall’esame delrecente parere (6 febbraio 2006, n. 355), fornitodal Consiglio di Stato, sezione consultiva per gliatti normativi, avente ad oggetto lo schema didecreto legislativo recante il Codice dei contrattipubblici di lavori, servizi e forniture.

In esso viene, fra l’altro, valorizzata un’ulterio-re giurisprudenza costituzionale (sentenza 27 lu-glio 2005, n. 336), che ha riconosciuto l’attitudi-ne degli obiettivi posti dalle direttive comunita-rie, pur non incidenti sul sistema di riparto dellecompetenze, a conformare l’articolazione delrapporto fra norme di principio e norme di det-taglio nel senso di una maggiore espansione del-le prime: da tali premesse, la constatazione che ilvalore unificante della disciplina comunitaria,laddove si intreccia (ciò che avviene, come noto,di frequente) con la materia della tutela dellaconcorrenza, giustifichi anche una maggiore inci-sività di quest’ultima nelle interferenze con àm-biti rientranti fra le competenze ripartite o esclu-sive regionali16.

Soffermando, ora, l’attenzione su due recenti erilevanti pronunce del giudice delle leggi, in temadi riparto competenziale fra Stato e Regioni nelsettore dei servizi pubblici locali (e concorrenza),partiamo dalla prima di esse in ordine cronologi-co, la decisione 1° febbraio 2006, n. 29, resa suun ricorso in cui lo Stato impugna una legge re-gionale (l.r. Abruzzo n. 23 del 2004, recantenorme sui servizi pubblici locali a rilevanza eco-nomica), assumendo per l’appunto la lesionedella propria riserva in tema di tutela della con-correnza.

Ebbene, la Corte fa salva in larga parte la leggecon l’argomento che le norme contestate con-templano fattispecie non regolate dalla legisla-zione statale (in pratica, le disposizioni del T.U.enti locali vagliate nella precedente sentenza n.272 del 2004, cit.). Trattasi: a) del divieto per lesocietà a capitale interamente pubblico proprie-tarie della rete di partecipare alle gare per la scel-ta del gestore del servizio o del socio privato del-le società a capitale misto; b) del requisito, pre-scritto per le società miste affidatarie del servizio,di una partecipazione privata non inferiore al40% del capitale sociale.

Le disposizioni suddette superano indenni ilgiudizio di costituzionalità non soltanto in quan-to regolanti ipotesi che la legge statale non pren-de in considerazione, ma anche perché vengonogiudicate in armonia con l’obiettivo di aprire ilsettore alla concorrenza. Nel caso del divieto perla società pubblica proprietaria della rete di par-

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correnza della legge statale dal momento che an-ticipa l’entrata in vigore di un assetto concorren-ziale in deroga al regime transitorio (non concor-renziale) stabilito dalla legge dello Stato ».

In senso contrario « potrebbe agevolmenteobiettarsi che la disposizione transitoria conte-nuta nell’art. 113, comma 15-quater, T.U. enti lo-cali, che sposta di qualche anno l’entrata in vigo-re delle norme sulla concorrenza previste a regi-me, non è una disposizione a tutela della con-correnza. Sicché l’esercizio della competenza re-gionale non dovrebbe trovare in essa alcuna pre-clusione quando, come nel nostro caso, la Regio-ne recepisca la norma statale pro-concorrenza,senza spostarne in avanti nel tempo l’entrata invigore ».

Se il regime transitorio può valutarsi conformeal canone di ragionevolezza (nello stesso sensola sent. 26 luglio 2002, n. 41320, e, ad altro pro-posito, l’esempio del settore radiotelevisivo21), sipuò al contempo dubitare della plausibilità com-plessiva della soluzione seguita dalla Corte (nel-la sentenza in parola e, in precedenza, già nellan. 272, cit., cui la prima sembra aderire acritica-mente): è, infatti, proprio esatto ritenere che ladeterminazione di una ben precisa fase transito-ria costituisca un principio fondamentale rigidoed inderogabile per il legislatore regionale?

O forse – posta l’illegittimità di una radicalesoppressione del periodo transitorio – non sa-

17 In altre parole, viene a ridursi il campo applicativo dellanorma che consente la costituzione di società miste (nellaprospettiva dell’assegnazione del servizio), e al contempo sidisincentivano tentativi di elusione del divieto di affidamentodiretto a società interamente partecipate (l’altra modalità resi-dua, accanto a quella della procedura di gara) a condizionidiverse da quelle prescritte dalla legge. Fra gli sviluppi futuri,sarà interessante a questo punto attendere l’estensione allenorme dell’ordinamento interno (segnatamente, all’art. 113,T.U. enti locali) degli effetti della Corte di giustizia che ha giu-dicato illegittimo in radice il modello dell’affidamento a so-cietà miste.

18 L’art. 113, comma 6, esclude infatti la legittimazione apartecipare alle gare in capo alle « società che, in Italia o all’e-stero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali invirtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evi-denza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi », estendendotale divieto alle società controllate o collegate.

19 G. Corso, La tutela della concorrenza, in G. Corso -V. Lo-pilato, Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, Mi-lano 2006, vol. II, t. I, in corso di pubblicazione.

20 In G. cost. 2002, p. 2977 ss.21 L’ultima decisione in ordine di tempo è C. cost. 20 no-

vembre 2002, n. 466, in G. cost. 2002, p. 3861 ss., con notadi P. Costanzo, La libertà d’informazione non può più attendere:ma la Corte continua ad ammettere il transitorio pur censurandol’indefinito.

tecipare alle gare per la scelta del gestore del ser-vizio o del socio privato della società mista, lanorma si presenta – precisa la Corte – « coerentecon il principio d’ordine generale, pure se dero-gabile, che postula la separazione tra soggettiproprietari delle reti e soggetti erogatori del ser-vizio »: principio di chiara derivazione europeache costituisce una delle premesse della liberaliz-zazione dei servizi pubblici.

Con riguardo al vincolo posto a carico dellesocietà miste di gestione (ossia, la partecipazionedei privati in misura non inferiore al 40%), essa« al di là delle sue implicazioni sul piano dellaconcorrenza, risponde (. . .) all’esigenza di evitareche partecipazioni minime o addirittura simboli-che si possano risolvere in una elusione dellemodalità complessive di conferimento della ge-stione del servizio pubblico locale ».

Se la conclusione è condivisibile, nondimenola norma in oggetto, al di là delle apparenze, nonè aliena al piano della concorrenza, ma anzi laincentiva, riducendo il ricorso all’affidamento di-retto del servizio perché pone un requisito cherestringe l’area delle società miste abilitate all’affi-damento senza gara17.

Unica disposizione ritenuta lesiva della riser-va statale in punto di tutela della concorrenza è,d’altro canto, quella che, nel vietare alle societàa capitale interamente pubblico di parteciparealle gare per la scelta del gestore del servizio, intal modo riproducendo una norma racchiusanel testo di legge statale18, non riproduce, pari-menti, la correlata previsione di una fase transi-toria, per cui il divieto decorre dal 1° gennaio2007.

« Ciò comporta – sottolinea la Consulta – chela mancata previsione, nella legge regionale, diun analogo regime transitorio, che definisca lemodalità temporali di efficacia del divieto in esa-me, è idonea ad arrecare un vulnus all’indicatoparametro costituzionale »: statuizione nella qua-le forte si coglie l’eco di un passaggio della pluri-citata sentenza n. 272 del 2004, nella quale èdetto che « alle stesse finalità garantistiche dellaconcorrenza appare ispirata anche la disciplinatransitoria che, in modo non irragionevole, stabi-lisce i casi di cessazione delle concessioni già as-sentite in relazione all’effettuazione di proceduread evidenza pubblica e al tipo di società affidata-ria del servizio ».

In un commento a caldo19, ci si è chiesti se ladeclaratoria di illegittimità costituzionale sulpunto sia giustificata, se si considera che la leggeregionale « è certamente più favorevole alla con-

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Attualità e saggi

garantisce che si possa giungere davvero in ter-mini certi all’effettiva apertura alla concorrenzadi questo particolare settore, così dando attua-zione alla normativa europea in materia di libe-ralizzazione del mercato dei servizi di trasportolocale ».

Su tali premesse – ricondotto l’art. 18, comma3-bis, cit., al titolo competenziale della tutela del-la concorrenza, e ribadita la duplice accezione(statica e dinamica) che quest’ultima presenta,legittimando le più ampie iniziative del legislato-re statale, volto a proteggere quanto a promuo-vere l’assetto concorrenziale del mercato – laConsulta dichiara l’illegittimità delle disposizioniimpugnate, benché ai termini di proroga da esseintrodotti si fosse nel frattempo allineata la stes-sa normativa nazionale, per la ragione assorben-te che a rilevare « non è soltanto il rispetto di unmero termine temporale per le proroghe degli af-fidamenti preesistenti, ma la complessiva confor-mità della legislazione regionale ad una disposi-zione statale posta a tutela della concorrenza ».

L’insegnamento di maggior rilievo che si rica-va dalla lettura di questa nuova decisione con-cerne l’elevato grado di incidenza e vincolativitàche le materie trasversali ex art. 117, comma 2,Cost. esprimono rispetto alle competenze regio-nali, materie trasversali che, « nei limiti della lorospecificità e dei contenuti normativi che di essepossano ritenersi propri », penetrano la totalitàdegli àmbiti materiali entro i quali trovano appli-cazione.

Ne discende, in termini più generali, l’illimita-ta attitudine della legislazione in materie trasver-sali a conformare le competenze regionali esclu-sive e residuali ex art. 117, comma 4, Cost. (fracui, per l’appunto, rientra come già osservato ladisciplina del trasporto locale): è questo il terre-no nel quale la pronuncia costituzionale producele ricadute più delicate, capaci di travalicare laspecifica fisionomia della materia in esame, sucui la Corte pone peraltro l’accento.

Quel che risalta è, in sostanza, il rigore con cuil’organo di giustizia costituzionale ha voluto re-golare i rapporti fra Stato e Regioni nel caso incui di mezzo vi sia l’obiettivo (di matrice comu-nitaria) di favorire la reale affermazione di regiminormativi concorrenziali.

La sostanza dei fatti cambia ben poco, consi-derata la cennata coincidenza del termine indica-to dalle normative regionali con quello differitodalla l. finanziaria 2006.

Tuttavia, viene affermato il principio – desti-nato a condizionare anche gli assetti futuri – per

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rebbe stato più logico e conforme allo spiritodella Costituzione riformata lasciare alle Regionila facoltà di modularne diversamente la durata,evidentemente riducendola laddove ciò si tradu-ca in una misura maggiormente a favore dellaconcorrenza rispetto a quanto stabilito dal legi-slatore statale?

Non sarebbe stato, cioè, più opportuno acco-gliere la regola del caso per caso, tale da essereimpiegata anche per la soluzione di contenziosisimili anche in futuro?

3. La sentenza n. 80 del 2006

Con la successiva pronuncia 3 marzo 2006,n. 80, la Corte costituzionale rafforza decisa-mente l’argine per la competenza legislativa re-gionale, rappresentato dalla legislazione delloStato.

Vengono decisi, nella circostanza, svariati ri-corsi, presentati dal Presidente del Consiglio, ac-comunati da ciò che le censure con essi dedottesi indirizzano verso « disposizioni regionali chevariamente introducono proroghe degli affida-menti preesistenti (o di alcuni di essi) rispetto altermine ultimo, previsto dal legislatore statale,per l’entrata in vigore del nuovo regime di affida-mento di tutti i servizi di trasporto pubblico lo-cale mediante procedure ad evidenza pubblica »:tanto, sul presupposto che norme di siffatto te-nore contrastino con il regime comunitario di li-bero mercato delle prestazioni e dei servizi e conla riserva di competenza statale in materia di tu-tela della concorrenza.

La norma nazionale che specificamente rego-la la fattispecie – stante l’espressa inapplicabi-lità dell’art. 113, T.U. enti locali, al trasportopubblico locale, in cui per di più è previsto unperiodo di transizione (altro fattore che autoriz-za una disciplina peculiare rispetto a quella ge-nerale contenuta nel predetto T.U.) – è l’art. 18,comma 3-bis, d. legisl. 19 novembre 1997, n.422, che stabilisce il termine ultimo entro ilquale le Regioni possono mantenere gli affida-menti ai titolari delle concessioni in corso, de-corso il quale tutti i servizi devono essere ne-cessariamente affidati soltanto a mezzo di pro-cedure concorsuali.

La Corte rimarca che la fissazione di un termi-ne massimo (peraltro più volte prorogato, ora fi-no al 31 dicembre 2006), in cui deve concluder-si la fase transitoria e conseguentemente genera-lizzarsi l’affidamento mediante procedimenti digara, « assume un valore determinante, poiché

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nella specie, in grado di contraddire o rallentarel’obiettivo di fondo, attraverso disposizioni piùsfavorevoli o al più equivalenti rispetto al fine dideterminare un adeguato innesto di principi e re-gole a favore della concorrenza e del libero mer-cato24.

22 Se del caso, attraverso norme come quella in oggetto, lacui formulazione è « chiaramente inderogabile e che, per dipiù, prevede al suo interno un ruolo delimitato per lo stessolegislatore regionale ».

23 Sotto questo profilo, sembra evidente l’irrigidimentodella Corte a tutela delle prerogative statali, rispetto a quantoin precedenza da essa stessa affermato con le sentenze n. 29del 2006, cit., e, soprattutto, n. 272 del 2004, cit., che avevainteso riservare la disciplina di dettaglio alle Regioni, confor-memente al pensiero di parte della dottrina (M. Muti, L’evolu-zione normativa in tema di servizi pubblici locali: profili problema-tici alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione, in R.giur. sarda 2004, p. 611 ss.) che ritiene spettare allo Stato l’in-dividuazione degli obiettivi di interesse generale, e dunque lanormazione di principio con funzioni di coordinamento e ga-ranzia, pur nella consapevolezza che la normativa interna (inparticolare, la disciplina puntuale in materia di gara, le normesulle risorse idriche, l’art. 113-bis, che dispone in ordine aiservizi privi di rilevanza economica) presenti sovente un’ele-vata specificità dell’oggetto, che mal si concilia con lo schemapredetto.

24 Le perentorie statuizioni della Corte non sembrano, aben riflettere, poi così distanti dal pensiero della dottrina chetrae dalla norma costituzionale sulla tutela della concorrenzala legittimazione della legge statale a « dettare in via esclusivala disciplina antitrust e, in più, a fissare le soglie di garanziadella concorrenza nei diversi settori economici, ove la potestàlegislativa regionale può ampiamente esplicarsi ma è tenutaal rispetto degli standard stabiliti dallo Stato »: M. D’Alberti,op. cit., p. 716.

cui le decisioni circa tempi e modalità per libera-lizzare il settore del trasporto pubblico localespettano allo Stato, a meno che non sia essostesso (com’è proprio nella fattispecie esamina-ta) a delegare talune scelte a Regioni ed enti lo-cali, che possono pertanto intervenire nei soli li-miti degli spazi eventualmente accordati: di qui,viene esclusa radicalmente ogni possibilità di sa-natoria postuma delle norme regionali per effettodel sopravvenuto intervento del legislatore stata-le che prolunghi le scadenze temporali, sì da far-le coincidere con quelle previste dalle prime altempo della loro approvazione.

Assurge, in ultima analisi, a principio indero-gabile quello secondo cui è lo Stato l’unico sog-getto legittimato a regolare – modulandolo, an-che sul piano dell’individuazione e del rispettodei tempi – il sistema di ricorso alle concessioni,in deroga all’espletamento di procedure concor-suali: lo Stato, cioè, in vista della superiore edinelubibile finalità (rendere prossima l’aperturadei servizi pubblici locali alla concorrenza), hafacoltà di predisporre le più opportune misure emodalità attuative adatte allo scopo22, senza chealle Regioni residui il potere di integrare la disci-plina statale, nemmeno sotto forma di modifichesoltanto parziali di disposizioni come il comma3-bis in oggetto23: il coordinamento con la pre-cedente sentenza n. 29, cit., consentirebbe tutta-via di affermare, in conclusione, che il criteriopredetto valga allorquando la normativa regiona-le che interferisce con quella statale sia, come

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7. Azione inibitoria, legge n. 281 del 1998 enecessità di introduzione di “class action” atutela degli interessi dei consumatori-utenti

Con l’introduzione, nell’ordinamento giuridicoitaliano, della l. 30 luglio 1998, n. 281, recante laDisciplina dei diritti dei consumatori ed utenti, ema-nata in attuazione della Direttiva 98/27/CE del19 maggio 1998 (relativa ai provvedimenti inibi-tori a tutela degli interessi collettivi)5, oramaiconsiderata il c.d. “bill of right” dei consumatori,

gli interessi diffusi dei consumatori sono statiespressamente inclusi nella categoria dei dirittisoggettivi, e come tali meritevoli di più ampia tu-tela.

In particolare, l’art. 3 della citata legge offreuna tutela più ampia rispetto all’àmbito di appli-cazione di cui all’art. 1469-sexies c.c., preveden-do – a tutela degli interessi collettivi – il poteredelle associazioni dei consumatori maggiormen-te rappresentative in base al successivo art. 5, di« inibire gli atti ed i comportamenti lesivi degliinteressi dei consumatori e degli utenti ».

Sebbene il nuovo articolato abbia portato adun maggiore ed elevato standard di tutela per idiritti dei consumatori, dalla lett. b) dell’art. 3 sievince chiaramente come la scelta del nostro le-gislatore sia stata finalizzata ad offrire alla gene-ralità dei consumatori una tutela collettiva carat-terizzata da un intervento meramente preventi-vo, ove si prevede il potere del giudicante adito,« di adottare le misure idonee a correggere o eli-minare gli effetti dannosi delle violazioni accerta-te », lasciando alla titolarità “processuale” delsingolo il potere ed il diritto di adire la magistra-tura nei casi di effettivo pregiudizio subìto.

Dunque, attualmente, nell’ordinamento italia-no, vige un doppio sistema di tutela: general-preventivo di carattere inibitorio, mediante unalegittimazione ad agire riservata esclusivamentealle associazioni dei consumatori, e risarcitorio-successivo, mediante una legittimazione ad agireesclusiva del singolo consumatore effettivamente“leso” dal comportamento illegittimo.

A fronte del citato sistema di garanzie sostan-ziali e processuali, lo sviluppo delle c.d. “tutele

5 Sul tema, in dottrina cfr., G. Alpa, in I diritti dei consuma-tori e degli utenti – Un commento alle Leggi 30.07.1998 n. 281 e24.11.2000 n. 340 e al Decreto Legislativo 23.04.2001 n 224,a cura di Alpa G. e Levi V., Milano 2001, sub art. 1, p. 2001;G. Alpa, La nuova disciplina dei diritti dei consumatori, in questaRivista 1998, p. 1312; G. Ghidini -F. Cesarini, voce Consu-matore (tutela del), in Enc. dir., Aggiornamento, V, Roma 2001,p. 265; R. Colagrande, Disciplina dei diritti dei consumatori edegli utenti, in Nuove l. civ. comm. 1998, p. 728; B. Capponi, inAstreintes nel processo civile italiano, p. 157 s.; A. Maniaci, Tu-tela inibitoria e clausole abusive, in F. it. 1999, c. 21; G. De No-va, I contratti dei consumatori e la legge sulle associazioni, in F. it.1998, c. 546; G. Sapio, in Giust. civ. 2000, p. 265; A. Palmi-giano, Consumatori e modalità alternative di risoluzione dellecontroversie, in La tutela del consumatore, 2004, p. 93; M. Gra-nieri, Contratti dei consumatori, p. 920; D. Amadei, Tutela ese-cutiva dei consumatori e misure coercitive indirette, in R. esec. for-zata 2003, p. 15; G. Gaia, La disciplina dei servizi pubblici; L’or-ganizzazione dei servizi pubblici, in Diritto Amministrativo, Bolo-gna 1998, p. 901; R. Camero - S. Della Valle, La nuova di-sciplina dei diritti dei consumatore, Milano 1999, p. 240; Palmi-giano -Vecchio Verderame, La legge n. 281 del 1998. La cd.“carta dei diritti del consumatore” e la nuova tutela inibitoria, inManuale di diritto dei consumatori, coordinamento a cura di Iu-rilli, Torino 2005.

TALUNI ASPETTI DELLA NUOVA LEGGE ITALIANA SUL RISPARMIO:IL CONFLITTO DI INTERESSE. LA MANCATA INTRODUZIONEDELLA “CLASS ACTION” E LA NUOVA LEGGE TEDESCA SULL’AZIONE DI CLASSE IN MATERIA DI TUTELA DEL RISPARMIO:“GESETZ ZUR EINFÜHRUNG VON KAPITALANLEGERMUSTERVERFAHREN”DEL 16 AGOSTO 2005 (Seconda parte)

di Cristiano Iurilli

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ne di talune disposizioni di legge, al fine di omo-geneizzare il nostro ordinamento ad un sistema

6 L’Autorità garante della concorrenza e del mercato infatti,con provvedimento n. 8546 del 28 luglio 2000, confermatodal T.A.R. Lazio con sentenza n. 6139/2001 e dal Consigliodi Stato con pronuncia n. 129/2002, aveva comminato a 39delle maggiori compagnie assicurative, operanti sul territorionazionale, una sanzione di 700 miliardi di vecchie lire, accu-sandole di uno scambio di informazioni sulle caratteristicheintrinseche delle rispettive polizze RC auto, vietato dalla nor-mativa antitrust (art. 2, legge n. 287 del 1990) e finalizzato al-la creazione di un vero e proprio “cartello”, destinato ad eli-dere qualsivoglia meccanismo di competizione commerciale,con creazione di un oligopolio di fatto, il tutto a detrimento,contrattuale ed economico, del consumatore finale. Sul tema,in dottrina, cfr., D. Bonaccorsi Di Patti, Lo scambio di infor-mazioni nel mercato assicurativo e la legge antitrust: dal caso« Ania » al caso « Rc auto », in D. econ. ass. 2002, p. 483. Ingiurisprudenza, vedi altresì G. di p. S. Anastasia 12 settembre2003, in G. di p. 2004, p. 313, con nota Gaetani, secondo cui« la domanda di restituzione della parte di premio assicurati-vo che l’attore assume di aver indebitamente pagato in più aduna delle compagnie sanzionate dall’Autorità garante dellaconcorrenza e del mercato (c.d. Antitrust) con provvedimen-to 28 luglio 2000, n. 8546, per aver posto in essere un’inte-sa orizzontale vietata dalla l. 10 ottobre 1990, n. 287, non haad oggetto l’accertamento della violazione della normativaantitrust, ma la diversa violazione del diritto del consumatorealla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattua-li (l. 30 luglio 1998, n. 281), rispetto alla quale l’illecita intesaanticoncorrenziale tra la convenuta e le altre compagnie ade-renti al cartello si pone “a monte” solo come mero presuppo-sto di fatto, con la conseguenza che la domanda resta limitataalle sole assunte patologie che il singolo rapporto contrattua-le stipulato “a valle” avrebbe patito per effetto dell’accertataintesa di cartello e perciò stesso ricadente nella competenzadell’adìto giudice di pace e non del T.A.R. né della Corte d’ap-pello », nonché, più recentemente Cass. civ., sez. un., 29 apri-le 2005, n. 8882, in F. it. 2005, I, c. 2336, con nota di A.Palmieri, secondo cui « in materia antitrust, il giudice ammi-nistrativo può applicare in via diretta, purché non estensiva,le disposizioni contenute in un Regolamento comunitario diesenzione (nella specie, il Regolamento 3932/92/Cee, relati-vo alle intese nel campo dell’assicurazione) e la sua verifica inordine alla correttezza dell’accertamento negativo compiutodall’Autorità garante della concorrenza e del mercato circa lacompatibilità tra l’intesa contestata e le condizioni di esenzio-ne ivi previste, rientrando nei limiti interni della giurisdizione,è insindacabile in Cassazione ».

7 In dottrina, sul tema della class action, cfr., M. Dona, L’abu-so di posizione dominante dei gestori telefonici accentua l’opportu-nità della class action (Nota a Giudice di pace Cosenza, 21 aprile2004, V. M.), in Mer. 2004, fasc. 9, p. 15; A. Pellegrini Gri-nover, Dalla class action for damages all’azione di classe brasi-liana (i requisiti di ammissibilità), in R. d. proc. 2000, p. 1068; P.Rescigno, Sulla compatibilità tra il modello processuale della classaction ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italia-no, in G. it. 2000, c. 2224; G. Ponzanelli, Class action, tuteladei fumatori e circolazione dei modelli giuridici (Nota a FederalCourt U.S. for the district of Louisiana, 17 febbraio 1995, Castanoc. The American Tobacco co.), in F. it. 1995, IV, c. 305, ed ivi im-portanti riferimenti bibliografici; A. Giussani, Un libro sulla sto-ria della « class action », in R. crit. d. priv. 1989, p. 171.

speciali dei consumatori” ha fortemente amplifi-cato i ricorsi individuali finalizzati alla tutela de-gli interessi particolari dei singoli: esempio tipicodi questa “corsa” alla tutela giurisdizionale indi-viduale è stato di recente offerto dalla problema-tica relativa ai rimborsi “RC Auto”, la quale hatrovato il suo fondamento causale nella decisio-ne dell’Antitrust di infliggere una sanzione ad undeterminato numero di società di assicurazioni,il cui comportamento, illegittimo, avrebbe com-portato per i consumatori un illecito aumentopercentuale del relativo premio assicurativo6.

La citata pronuncia ha avuto, come principaleeffetto, quello di innescare una moltitudine di ri-corsi particolari ai giudici di pace aventi ad og-getto il riconoscimento ed il rimborso di unasomma percentuale relativa all’illegittimo au-mento del premio assicurativo, e l’emanazione dipronunce molto spesso difformi (a secondo del-la sede giudiziaria), rispetto ad una analoga senon identica questione di diritto. Dunque, dal-l’àmbito sociale, che attualmente risulta caratte-rizzato da un numero sempre più elevato di “rea-zioni” giudiziarie dei consumatori nei confrontidelle imprese contraenti ex art. 1342 c.c., sorge lacogente esigenza di limitare la moltitudine di ri-corsi individuali aventi ad oggetto il medesimofondamento causale, e di assicurare l’uniformitàe la certezza del diritto, mediante l’introduzione,nell’ordinamento italiano, di un’ “azione di clas-se” – nei termini processuali di cui all’art. 3, leg-ge n. 281 del 1998 – che non sia più relegata adun àmbito di tutela preventiva, bensì che possaoperare anche su un piano strettamente risarci-torio, con effetti che operino a favore di tutti iconsumatori che si trovino in quella determinatacondizione giuridica, oggetto dell’introducendoprocedimento.

Con l’introduzione di tale strumento, alle as-sociazioni dei consumatori di cui all’art. 5 dellalegge n. 281 del 1998, verrebbe riconosciuta laesclusiva legittimazione ad agire mediante un’a-zione collettiva anche al fine di chiedere che ilgiudice adito riconosca il diritto di una determi-nata categoria di consumatori ad ottenere un ri-sarcimento dei danni o un indennizzo, ovvero ache un determinato contratto o comportamentovenga interpretato in maniera unitaria ovveroeseguito mediante precisi comportamenti.

L’introduzione della c.d. “class action”7 comeprecedentemente illustrata, per omogeneità conlo spirito della già esistente normativa a tuteladegli interessi collettivi dei consumatori, com-porterebbe la necessaria modifica ed integrazio-

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di tutela fino ad oggi estraneo, e di derivazioneanglosassone, e tendente ad offrire uno strumen-to idoneo a combattere, in particolare, non solole numerose c.d. “micro truffe” contrattuali, sem-pre più attuali all’interno del nostro ordinamen-to, bensì anche a tutelare i consumatori-rispar-miatori, in ipotesi di comportamenti scorrettiposti in essere dagli intermediari finanziari, costi-tutivi fattispecie simili ai purtroppo noti casi Ci-rio, Parmalat, Argentina, Giacomelli ecc. …

La c.d. “class action” di derivazione anglosasso-ne8 affronta infatti l’attuale problematica relativaal tema della tutela di quelle situazioni soggettivedi vantaggio che siano vantate da ampie pluralitàdi persone e che siano caratterizzate dalla loroderivazione da un comune ed unico fatto costi-

8 L’azione di classe è infatti un procedimento di derivazio-ne anglosassone, nascente dall’esigenza di tutelare i diritti le-si delle masse, ed inteso come strumento della cosiddetta“Equity”, sistema che integra quello dei “Torts”, ossia gli illeci-ti civili tipicizzati, al fine di ovviare alle carenze di tutela ge-nerate dall’ordinamento. Il rimedio della class action, nato peraffrontare i c.d. mass torts (torti di massa), ha una caratteriz-zazione differente, a seconda degli ordinamenti in cui è statorecepito. Per quanto concerne, ad esempio, gli Stati Unitid’America, nel 1938 viene emanata negli USA la Rule 23 del-le Federal Rules, la quale introduce una disciplina maggior-mente articolata della Class Action – già esistente nel sistemagiudiziario statunitense – che solo dagli anni cinquanta co-mincia a far conoscere la sua forza nella tutela dei diritti civi-li in generale e dei consumatori in particolare (nel 1966 taledisciplina viene modificata, così da trasformare l’Equity in unsistema attributivo di diritti oltre che fornitore di rimedi); ilsistema della Class Action statunitense prevede che uno o piùsoggetti rappresentanti (adeguacy of representation) di una“classe” di individui lesi in uno stesso diritto possano pro-muovere eccezionalmente azione civile in rappresentanza ditutti i membri della medesima classe i quali si trovino in unaanaloga situazione (commonality), nei casi in cui la classe disoggetti legittimati ad agire è così numerosa da rendere im-possibile un unico procedimento con pluralità di parti (nu-merosity), ed i rappresentanti avanzino pretese considerate ti-piche e rappresentative della classe in favore della quale agi-scono (tipicality). Per poter agire attraverso una azione diclasse è necessaria l’autorizzazione della Corte federale diprima istanza competente, la quale si occupa di verificare checoesistano tutte le condizioni (la numerosity, la commonality, laadeguacy of representation) necessarie per l’espletamento delmezzo richiesto. L’appartenere ad una categoria comportal’automatica adesione come parte ad una ipotetica azione diclasse, salvo il diritto del singolo di non usufruire dell’even-tuale vittoria della causa in capo alla individuata collettività.Vige infatti il principio del giudicato secundum eventum litis, ilquale comporta che una volta passata in giudicato la senten-za, i suoi effetti possano dispiegarsi nei confronti di tutti isoggetti appartenenti alla classe giudicata meritevole della tu-tela riconosciuta in giudizio, anche se non hanno esplicita-mente aderito al procedimento. È precipua caratteristica del-la azione di classe statunitense il definire la controversia

Attualità e saggi

tutivo, ovvero da una serie di fatti identici, lesividi una determinata categoria di persone.

La sua principale finalità sarebbe quella di li-mitare al massimo gli effetti della possibile dispa-rità di risorse fra i singoli componenti di ungruppo nei confronti di una medesima contro-parte, onde evitare che la detta disparità si tradu-ca in una eliminazione, de facto, della garanziacostituzionale dell’accesso alla giustizia. In se-condo luogo, si vorrebbero ridurre al minimo lecontroversie giudiziarie “particolari” scaturentidal medesimo comportamento, eliminando innuce l’affollamento delle sedi giudiziarie, e garan-tendo un’uniformità di tutela.

Dunque, si dovrebbe prevedere un sistemache può così essere illustrato9: il giudice adito da

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sull’an debeatur, ma allo stesso tempo determinare anche ilquantum, e dunque pronunciarsi sulla possibilità risarcitoriada riconoscersi agli appartenenti alla categoria rappresentatain giudizio, pur rimanendo il risarcimento materiale legato erinviato ad un autonomo successivo giudizio da parte delsingolo. Al contrario, se non si vuole partecipare e dunquenon essere informati del giudizio in questione, si deve eserci-tare l’opzione di autoesclusione dall’azione, la c.d. opt out pro-vision. Il sistema statunitense delle class actions ha introdottodetto meccanismo della opt out, affinché il singolo non siavincolato dal giudicato, qualora negativo, e non gli venga ne-gato di agire individualmente. I soggetti appartenenti alla “ca-tegoria consumatori” dunque, a meno di non aver optato perl’autoesclusione dall’azione di classe, potranno valersi del re-lativo giudicato, mentre sembra d’altronde pacifico, per ladottrina statunitense, che i consumatori che abbiano esercita-to la opt out non possano avvalersi del giudicato favorevole.A fronte di detto sistema, nel Regno Unito le azioni di classevengono definite Group Actions, la cui struttura è definita dal-le Civil Procedure Rules: tali azioni presentano delle differenzesostanziali rispetto alle loro “parenti” americane, in particolarmodo con riferimento all’instaurazione del procedimento. Sipuò infatti promuovere una azione collettiva solo quando siastata già intentata una serie di analoghe cause individuali di-nanzi la stessa corte o corti diverse. Pertanto, non esiste unavera e propria azione di classe in cui un soggetto si pongaquale rappresentante della categoria. Si tratta più semplice-mente di più cause riunite aventi ad oggetto questioni di fat-to o di diritto comuni, spesso sponsorizzate dal Legal Aid Ser-vice, sorta di sistema che consente il gratuito patrocinio interra inglese. Una volta autorizzata la trattazione congiuntadei casi, viene nominata la Corte competente a gestire la pro-cedura (management court) ed in seguito un giudice che gesti-sca la fase preliminare ed istruttoria.

A volte si opta per la trattazione di alcuni casi pilota, al fi-ne di ottenere una decisione estensibile anche agli altri casi.Sovente viene nominato un trustee che deve vigilare sulla tu-tela di tutti i membri del gruppo rispetto ad abusi o conflittidi interessi con i difensori o sulla prevalenza di alcuni inte-ressi settoriali su altri diffusi ma meno forti.

9 Riportiamo di seguito la prima bozza di testo legislativo,presentata da circa due anni dal Centro giuridico nazionaledi Adiconsum (Associazione italiana tutela consumatori) in

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positivi dell’introduzione della “class action”, lacompetenza per i giudizi di accertamento e de-terminazione del quantum debeatur, potrebbe es-sere di competenza esclusiva dei giudici di pace,prevedendo altresì l’esenzione degli stessi daqualsiasi contributo ex lege previsto per l’instau-razione ed iscrizione di un procedimento giuri-sdizionale ordinario.

Il “luogo normativo” migliore per poter intro-durre la disciplina-base introduttiva della nuovaazione di classe, potrebbe essere individuato nel-la legge n. 281 del 1998, ed in particolare nel-l’art. 3 della medesima, mediante l’introduzionedi una lett. d) al comma 1, ove venga illustratal’intera procedura descritta.

La citata introduzione, comporterebbe altresìla modifica dell’art. 7 c.p.c., sulla competenza deigiudici di pace, e dell’art. 9 della l. 23 dicembre1999, n. 488, relative al contributo unificato diiscrizione a ruolo dei procedimenti giurisdizio-nali civili, penali e amministrativi.

Parlamento, ed attualmente ancora oggetto di dibattito: Art. 1All’art. 3, della l. 30 luglio 1998, n. 281, comma 1, è aggiun-to il seguente capoverso « d) di accertare e dichiarare il dirit-to di una determinata categoria di consumatori ad ottenereun’indennità ovvero un risarcimento dei danni subiti in con-seguenza di atti o fatti illeciti plurioffensivi o di atti o com-portamenti posti in essere nell’esecuzione o nell’adempimen-to di uno dei contratti di cui all’art. 1342 c.c., mediante l’e-manazione di un provvedimento di condanna, ovvero di unprovvedimento di omologazione di un accordo transattivoconcluso dalle parti in sede giudiziaria. L’efficacia dei provve-dimenti di cui al I cpv. è limitata alle posizioni individuali deisingoli consumatori, aventi ad oggetto una richiesta di risar-cimento danni o di indennità, che non superi il valore di eu-ro millecento. A seguito di pubblicazione del provvedimentodi condanna ovvero di omologazione dell’accordo giudizialetransattivo, il singolo consumatore – in mancanza di volon-tario adempimento del professionista al provvedimento dicui al I cpv., – può agire giudizialmente, in contraddittorio, alfine di chiedere l’accertamento in capo a se stesso dei requi-siti individuati giudizialmente in base alla procedura di cui alI cpv., e la determinazione precisa dell’ammontare del risarci-mento dei danni o dell’indennità così come riconosciuti dalmedesimo provvedimento, ove detti risarcimenti o indennitànon siano già stati identificati nei rispettivi valori e misure neiprovvedimenti di cui al I cpv. La pronuncia costituirà titoloesecutivo nei confronti del comune contraddittore. Sono fattisalvi i diritti dei singoli consumatori appartenenti alla classeindividuata nelle forme di cui al I cpv., di tutelare i propri di-ritti ed interessi in maniera autonoma e difforme da quantostabilito dal presente capo ». Art. 2. All’art. 7 c.p.c., è aggiun-to il seguente capoverso « per il giudizi di accertamento dicui all’art. 3, lettera d ), III cpv., della l. 30 luglio 1998, n.281». Art. 3. All’art. 9 della l. 23 dicembre 1999, n. 488, alpunto 8, dopo la parola « natura » vengono introdotte le se-guenti parole, « ed i procedimenti di cui all’art. 3, lettera d), IIIcpv., della l. 30 luglio 1998, n. 281».

parte di una o più associazioni di consumatoriex art. 5, legge n. 281 del 1998, al fine di far ri-conoscere uno dei diritti precedentemente illu-strati, potrà emettere un provvedimento, siaavente la veste di sentenza, sia avente la forma diaccordo giudiziale transattivo, e dallo stessoomologato, che permetta ad un componentedella “classe” lesa di poter richiedere alla contro-parte contrattuale e processuale, l’applicazioneparticolare del contenuto della citata pronuncia,adattata alla singola fattispecie di cui risulti esse-re titolare.

Detto provvedimento dunque, potrà essere in-vocato dal singolo, nei confronti del comune av-versario, in modo che le singole ed instaurandecontroversie giudiziarie, sarebbero praticamentea lui favorevoli, essendo unicamente limitate –nell’oggetto – alla quantificazione del singolodanno, ove il giudice competente a decidere sul-l’azione di classe non abbia già potuto individua-re con precisione i valori e le misure dei singolirisarcimenti o indennità vantati.

Volgendo i propri effetti processuali e sostan-ziali su un’ampia categoria di consociati, si do-vrebbe certamente prevedere la possibilità, delsingolo consumatore titolare di una “quota” diinteresse diffuso tutelato dalla pronuncia, chequesta possa essere disattesa dai singoli, ricono-scendo a questi ultimi il diritto di agire singolar-mente a tutela dei propri diritti, in manieradifforme da quanto stabilito dall’introducendocapo d) del comma 3, dell’art. 3, legge n. 281 del1998.

In relazione alla concreta attuazione “partico-lare” della pronuncia emessa nell’àmbito del pro-cedimento di “class action”, se è auspicabile unasua volontaria applicazione da parte del comuneresistente, a seguito di semplice richiesta del sin-golo consumatore, al fine di eliminare qualsiasivuoto legislativo e concedere affettiva e rapidatutela al singolo consumatore, è necessario pre-vedere una seconda – eventuale – fase di giudi-zio “di accertamento”, che il singolo potrà in-staurare nelle varie sedi giudiziarie, ed avente adoggetto il mero accertamento – in capo al con-sumatore – dei requisiti individuati dalla “classaction” e, in caso di azione volta al riconoscimen-to di un risarcimento di danni o di indennità, ladeterminazione del relativo ammontare, ove ciònon sia stato già determinato del giudice adito insede di azione di classe.

La pronuncia costituirebbe titolo esecutivo neiconfronti del comune contraddittore.

Chiaramente, al fine di non eliminare gli effetti

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Attualità e saggi

Ma proprio nel settore finanziario l’introduzionedella class action riteniamo potrà avere i maggiori ri-sultati.

I dissesti finanziari che nel recentissimo passatohanno fortemente colpito numerosi e blasonatigruppi bancari e finanziari italiani, e che attualmen-te comportano gravissimi ed ingenti danni econo-mici per azionisti, obbligazionisti e creditori-con-sumatori in genere, hanno posto in rilievo, ancorauna volta, la necessità di creare nel nostro ordina-mento una sorta di argine giuridico posto a tuteladell’investitore-consumatore rispetto a comporta-menti scorretti, scarsamente trasparenti e dolosi,posti in essere da taluni imprenditori, e spesso do-vuti alla necessità di porre rimedio ad errori nellagestione sociale (eccessivi investimenti, acquisizio-ni sociali a prezzi elevati e fuori mercato), i quali sisono manifestati ancor di più nella loro gravità an-che a fronte di crisi settoriali, in particolare dei mer-cati finanziari. La necessità di tutelare e regolamen-tare adeguatamente un settore in cui sono e saran-no coinvolti interessi di rango costituzionale, qualeappunto il risparmio in ogni sua forma gestito, hasottoposto all’attenzione di giuristi, istituzioni edanche organi di stampa, l’imperativo di ricercareforme tutela, anche giudiziaria, più veloci e che nonvadano a colpire ancora di più i risparmi dei consu-matori.

Con l’introduzione di un’azione di classe, le pro-cedure giudiziarie aventi ad oggetto la richiesta direstituzione dei capitali investiti nonché il risarci-mento dei danni subiti (attualmente oggetto di sin-gole fattispecie processuali) potrebbero essere“convogliate” in un’unica azione, con cui il giudiceaccerti, una volta sola, con sentenza valevole pertutti coloro i quali si trovino in una medesima situa-zione di danno, l’illegittimità del comportamentodell’istituto bancario, emanando dunque una sen-tenza che potrà essere poi utilizzata dai singoli al fi-ne di poter richiedere poi solo il risarcimento danni.

È chiara la valenza positiva di una tale azione: isingoli non dovranno più provare l’illegittimità delcomportamento dell’istituto bancario (illegittimitàche sarà dichiarata ed accertata una sola volta), madovranno solo agire per far quantificare il loro dan-no effettivamente subìto, e diverso a seconda deisingoli casi.

9. I contenuti della nuova legge tedesca sul-l’azione di classe in materia di tutela delrisparmio

A fronte della attuale mancata approvazionedi un testo legislativo definitivo che introduca

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Mediante la congiunta modifica ed integrazio-ne delle citate normative, viene introdotto un piùampio, effettivo ed organico sistema di tutela deidiritti “risarcitori” del consumatore.

8. Gli effetti “benefici” dell’introduzione diun’azione di classe

Chiara sarebbe l’importanza dello strumentogiudiziario processuale della class action ai fini di tu-tela degli interessi economici e patrimoniali deiconsumatori in molti settori dell’economia e delcommercio, in particolare nei settori assicurativo, fi-nanziario, e nel settore della telefonia e telecomuni-cazioni.

Ed infatti, come già rilevato, la necessità di far ap-provare, anche in Italia, la c.d. azione di classe, hatrovato la propria fonte (e necessità) nella “corsa”alla tutela giurisdizionale individuale iniziata da nu-merosissimi consumatori, relativamente ai rimbor-si “RC Auto”: la moltitudine di ricorsi presentati aigiudici di pace mediante singoli atti di citazione, acui è seguito l’instaurarsi di singoli e separati proce-dimenti giudiziari civili, ha trovato il proprio fonda-mento causale nella decisione dell’Antitrust di in-fliggere una sanzione ad un determinato numero disocietà di assicurazioni, il cui comportamento, ille-gittimo, avrebbe comportato per i consumatori unillecito aumento percentuale del relativo premio as-sicurativo. La citata pronuncia ha avuto, come prin-cipale effetto, appunto quello di innescare una mol-titudine di ricorsi particolari ai giudici di pace aven-ti ad oggetto il riconoscimento ed il rimborso diuna somma percentuale relativa all’illegittimo au-mento del premio assicurativo, e l’emanazione dipronunce molto spesso difformi (a secondo dellasede giudiziaria), rispetto ad una analoga se nonidentica questione di diritto.

L’effetto è stato quello di ottenere numerosissimepronunce da parte di giudici diversi tra loro, e sututto il territorio italiano, pronunce non solo diffe-renti tra loro per contenuti, indicazioni giurispru-denziali, percentuali di rimborso riconosciute, ben-sì anche differenti e diametralmente opposte circal’esito della procedura, in quanto talune pronuncesono risultate favorevoli ai consumatori, ma altret-tante decisioni hanno rigettato le domande al tem-po presentate dai singoli.

L’ulteriore conseguenza delle citate circostanze èstata l’affollamento delle sedi dei giudici di pace perle numerosissime richieste risarcitorie avanzate el’aumento delle spese legali a carico dei consuma-tori, anche se la richiesta di rimborso avesse ad og-getto piccole somme.

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anche nel nostro ordinamento lo strumento pro-cessuale dell’azione di classe, non presente neltesto legislativo sulla tutela del risparmio, ritenia-mo utile volgere lo sguardo al di la dei confininazionali, al fine di approfondire ed esplicare icontenuti della recente riforma, introdotta nel-l’ordinamento tedesco, sulla model case a tuteladei risparmiatori lesi nei propri diritti.

Come avremo modo di approfondire, pur es-sendo un testo di legge che, in molti aspetti, sidiscosta dai nostri classici schemi processuali,tuttavia potrebbe essere di ausilio nella redazio-ne di un adeguato progetto di legge sul tema.

Dal 1° novembre 2005 infatti, è entrata in vi-gore in Germania la legge sulle azioni collettivedi classe nelle dispute relative alle violazioni del-la legge sul mercato dei capitali – Capital MarketsModel Case Act – a tutela degli investitori privati.

Con questa legge, il legislatore tedesco ha in-teso fornire un modo per trattare le azioni dimassa sul mercato dei capitali e del risparmio,senza recepire nella legislazione tedesca i model-li già esistenti in Stati esteri (vedi la class actionstatunitense): ed infatti, la legge tenta di offrireun sistema alternativo basato sui principi pro-cessuali europei e tedeschi, al fine di migliorarele azioni di classe a tutela degli investitori su tito-li obbligazionari.

Il Capital Markets Model Case Act è stato istitui-to solo per le controversie relative alla tutela delrisparmio, non potendosi applicare ad altre azio-ni civili: la legge si applica in primo luogo allefattispecie in cui si lamenti la violazione ed il re-lativo risarcimento dei danni subiti da risparmia-tori a causa di false, ingannevoli ovvero omissiveinformazioni rese pubbliche sul mercato dei ca-pitali, nonché nelle ipotesi in cui si lamenti unaviolazione nell’esecuzione ed adempimento diun contratto di acquisto di titoli sul mercato fi-nanziario.

A seguito di domanda introduttiva di unacausa modello in un processo di primo gradogià pendente, in cui si asserisca di avere subìto idanni come già evidenziati in precedenza, si ri-chiede al giudicante di voler accertare l’esistenzadelle condizioni che giustifichino o escludano lalegittimazione a procedere in un’azione di mas-sa, e l’individuazione delle fattispecie di cui alladomanda, e che possano ritenersi pertinenti allatipologia di azione.

La domanda può essere proposta sia dall’atto-re che dal convenuto.

La legge, peraltro, definisce al primo articolo lanozione di public capital markets information, co-

me le informazioni dirette al pubblico degli inve-stitori, e relative a fatti, circostanze, statistiche edogni altro elemento o dato relativo alla societàemittente o ad altro offerente: in detta categoria,più in particolare, vengono incluse tutte le infor-mazioni contenute: a) nelle note informative, b)nei regolamenti del prestito, c) nelle comunica-zioni riservate, d) ovvero in ogni altra comunica-zione relativa allo status della compagine sociale(comprese le sua relazioni con le imprese asso-ciate), e) nei bilanci annuali, rendiconti finanziarisia della società sia eventualmente del gruppo,relazioni provvisorie dell’emittente, f) nei docu-menti d’offerta.

Detta domanda dovrà essere presentata in-nanzi al tribunale davanti al quale già pende ilgiudizio, e dovrà contenere l’espressa indicazio-ne dei motivi per i quali si ricorre, nonché l’indi-cazione della public capital markets information, etutte le circostanze, in fatto e diritto (l’oggetto delgiudizio) e l’indicazione dei mezzi di prova che ilrichiedente intenda utilizzare per avvalorare ov-vero confutare la lamentata violazione.

Il richiedente, altresì, dovrà dimostrare che ladecisione di presentare l’azione di classe è statagiustificata dal fatto che la decisione della con-troversia possa riguardare altri casi simili, oltre aquello meramente pertinente l’azione già pen-dente. Al convenuto è comunque data la possi-bilità di presentare memorie difensive sulla pre-sentazione della domanda di introduzione diazione di classe.

La domanda sarà ritenuta inammissibile neicasi in cui:

a. il processo principale sia già stato trattenu-to in decisione;

b. la domanda risulti palesemente infondata emeramente dilatoria;

c. i mezzi di prova risultino assolutamenteinammissibili e non pertinenti;

d. le questioni legali sollevate non necessitinodi alcuna chiarificazone.

Le domande con le evidenziate caratteristichesaranno dichiarate inammissibili dal tribunale in-nanzi al quale pende la causa principale.

Le domande dichiarate ammissibili sarannoinvece rese pubbliche dal tribunale, sulla FederalGazette a cui è garantito libero accesso al pubbli-co: la stessa Corte sarà competente a decideresull’istanza di pubblicazione, mediante provve-dimento non impugnabile.

Nei casi in cui pendano più domande relativealla stessa materia, la relativa lista di domandesarà ordinata cronologicamente in base alla data

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Attualità e saggi

Esse infatti sono da considerarsi non solo l’at-tore ed il convenuto, bensì anche ogni altra parteinteressata e ritualmente costituita in giudizio: siintenderà attore (di riferimento) la parte scelta adiscrezione della H.R.C. – con decisione inap-pellabile – in base al valore delle singole contro-versie pendenti innanzi ai tribunali e/o in basead accordi intervenuti tra i vari istanti.

Gli attori ed i convenuti nei vari singoli proce-dimenti saranno considerati automaticamenteparti processuali: l’ordinanza di sospensione deisingoli procedimenti pendenti sarà titolo legitti-mante la considerazione di un soggetto comeparte processuale nella model case. I singoli tribu-nali, a seguito dell’ordine di sospensione, infor-meranno le parti costituite che i costi della modelcase saranno in parte inclusi nelle spese proces-suali relative al singolo procedimento a quo.

Ogni parte interessata alla model case inter-verrà nel giudizio, nello stato e grado in cui essosi trovi, avendo diritto di avvalersi dei mezzi ditutela propri di quello stato, e di intraprendereogni iniziativa processuale che comunque nonrisulti contraria alla linea difensiva della propriaparte di riferimento (attore o convenuto che sia).

In attesa dell’udienza, il presidente ovvero unmembro della corte designato istruirà le parti in-teressate sulle modalità da seguire per integrarele richieste dell’attore (di riferimento) o del con-venuto, e determinerà un termine per la precisa-zione ed integrazione della domanda, che chia-ramente verranno rese note esclusivamente al-l’attore (di riferimento) ed al convenuto e non al-le altre parti costituite.

Le richieste dell’attore (di riferimento) e delconvenuto verranno rese note alle altre parti soloa seguito di esplicita richiesta.

Relativamente all’oggetto della model case, at-tori, convenuti ed altre parti interessate potrannorichiedere l’integrazione ed ampliamento dell’og-getto del giudizio ad altri aspetti, purché risultinopertinenti e rilevanti per la corte.

Il ritiro di una sola domanda per l’instaurazio-ne di una model case non inficerà né comporteràrinunce da parte dell’attore (di riferimento) e delconvenuto; se invece è l’attore (di riferimento) arinunciare, la Corte designerà un nuovo soggettoattore di riferimento: egualmente accadrà se siainiziata a suo carico una procedura di insolven-za, in caso di sua morte, in ipotesi di perdita del-la legittimazione processuale a stare in giudizio,di rinuncia da parte del legale etc.

A seguito dell’espletamento di ogni attivitàistruttoria e processuale, la H.R.C. emetterà una

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di pubblicazione, mentre nel caso in cui vi sia giàstato l’accoglimento di una domanda di introdu-zione di azione di classe, le ulteriori domandevertenti sulla stessa materia non dovranno esse-re soggette a pubblicazione.

I vari processi pendenti ed aventi ad oggettola medesima controversia di cui all’instauratamodel case, a seguito di pubblicazione della stes-sa in Gazette, verranno interrotti.

La corte innanzi a cui pende il singolo proces-so si rivolgerà alla più vicina H.R.C. (Corte Su-prema Regionale), al fine di instaurare la proce-dura di azione di classe, nel caso in cui:

a). la prima domanda (cronologicamente an-teriore ad altre presentate innanzi ad altri tribu-nali) introduttiva di class action sia stata innanzi alei istruita;

b). in almeno altri nove procedimenti sianostate fatte domande di model case, innanzi allastessa o ad altre corti, entro quattro mesi dallaprima pubblicazione.

L’istanza alla H.R.C. risulta inappellabile e vin-colante: altresì, detta richiesta dovrà contenerel’indicazione dell’oggetto della model case, i puntioggetto di controversia nonché la loro pertinenzaalla decisione, i mezzi di prova ivi contenuti, unasommaria individuazione dei diritti di cui sichiede tutela e dei mezzi processuali di cui ci siintenda avvalere al fine dell’accoglimento delladomanda.

Il processo di class action si svolge dunque in-nanzi alla H.R.C. che dovrà emettere la relativadecisione: una volta ricevuta la richiesta di in-staurazione di model case dal singolo tribunale, laH.R.G. pubblicherà in Gazette il nominativo del-l’attore e del proprio legale, il nominativo delconvenuto e del proprio legale, l’oggetto dellamodel case, il numero di ruolo assegnato pressola H.R.C., il contenuto della richiesta dalla corte aquo.

A seguito di pubblicazione di instaurazione dimodel case, la corte a quo sospenderà ex officiotutte le altre singole procedure giudiziali penden-ti, la cui decisione possa dipendere dalla decisio-ne dell’azione di classe. Le parti avranno il dirittodi essere ascoltate a meno di una loro rinuncia.

Il provvedimento di sospensione delle singoleprocedure è inappellabile.

La corte innanzi alla quale pendevano i singo-li processi informerà – senza ritardo – la H.R.C.dell’avvenuta sospensione delle procedure, indi-cando altresì il valore della causa.

Rilevanti peculiarità riguardano l’individuazio-ni delle parti processuali della model case.

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990

La nuova legge sul risparmio

sentenza di model case. Le parti costituite, ad ec-cezione delle parti di riferimento, non saranno no-minate nell’intestazione dell’atto, tuttavia informa-te dell’esito della controversia, seppur a mezzo diuna notifica informale: in luogo della detta notificaè ammessa una pubblicazione della sentenza conl’indicazione delle parti di riferimento.

La decisione sui costi della procedura sarà de-mandata alla competenza dei singoli tribunali aquo.

Non è ammissibile una transazione giudizialeche non sia sottoscritta ed accettata da tutte leparti interessate. Dunque vi sarà l’impossibilitàdi giungere ad un verbale transattivo accettatosolo da alcune delle parti costituite.

La sentenza sarà vincolante per tutti i tribuna-li a quo, vincolante per la materia oggetto di mo-

del case, e per e contro tutte le parti interessate aprescindere dalla circostanza che la parte interes-sata abbia attivamente partecipato alla contro-versia, ovvero abbia ritirato la propria domandadi instaurazione di model case. A seguito di emis-sione della sentenza, i singoli processi sarannoriassunti, e comunque vincolati, per la decisione,all’esito del giudizio di class action .

Infine, una notazione particolare riguarda lasezione 20 della citata legge, ove è espressamen-te contenuta una c.d. “sunset clause”, con cui il le-gislatore tedesco ha inteso porre un termine al-l’efficacia della legge, sino al 1° novembre 2010,a meno di un espresso provvedimento con cui illegislatore tedesco decida di prolungarne l’effica-cia, ovvero di estenderne l’applicazione ad altrematerie.

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1. Premessa

La dottrina che si è occupata dei rapporti travicende del rapporto obbligatorio e successionetestamentaria ha messo in evidenza come il te-

stamento possa essere fonte sia costitutiva1 chemodificativa ed estintiva di un rapporto obbliga-torio2.

In particolare, si è sostenuto3 che, in subiectamateria, sarebbe possibile enucleare una catego-ria generale, quella delle disposizioni testamen-tarie relative a rapporti obbligatori, che si suddi-vide in due sub categorie: quella delle disposizio-ni testamentarie relative a rapporti obbligatoricreati ex novo per testamento e quella delle di-sposizioni testamentarie relative ad un rapportoobbligatorio preesistente, le cui due species sareb-bero le disposizioni testamentarie modificativedel rapporto obbligatorio4 e le disposizioni testa-mentarie estintive del rapporto obbligatorio5.

Le due species sarebbero entrambe già desu-mibili dalla disciplina di cui agli artt. 658 e 659c.c., ma non così come sino ad oggi restrittiva-mente interpretati, bensì sulla base di una rilettu-ra estensiva delle locuzioni liberazione da un debi-to contenuta nella prima norma6 e per soddisfareil legatario (creditore) del suo credito contenuta nel-la seconda norma7.

Tra le disposizioni testamentarie modificativedel rapporto obbligatorio, assume sicuramenteun’indubbia rilevanza la delegazione per testa-mento, della quale, pertanto, ci occuperemo inquesta sede, anche per l’inesistenza di contributispecifici della dottrina sulla figura in questione.

2. La delegazione: profili generali

Si ha delegazione8 allorquando un soggetto(delegante) conferisce ad un altro soggetto (dele-gato) l’incarico di compiere una determinata atti-vità giuridica nei confronti di un terzo soggetto(delegatario) con effetto nel patrimonio del dele-gante: un’attività giuridica che può consistere onell’obbligarsi del delegato nei confronti del de-

1 Sui rapporti obbligatori che trovano la loro fonte nel te-stamento, G. Criscuoli, Le obbligazioni testamentarie, Milano1965.

2 Sulla modifica ed estinzione del rapporto obbligatorioper testamento, N. Di Mauro, Le disposizioni testamentariemodificative ed estintive del rapporto obbligatorio, Milano 2005.

3 N. Di Mauro, op. cit., p. 179 s.4 Come si è cercato di dimostrare possono essere oggetto

di una disposizione testamentaria: la delegazione passiva (N.Di Mauro, op. cit., p. 457 ss.) ed attiva (ivi, p. 513 ss.), l’e-spromissione (ivi, p. 477 ss.), l’accollo (ivi, p. 490 ss.), il tra-sferimento del credito (ivi, p. 495 ss.).

5 Anche in tal caso, si è provato a dimostrare come possaessere oggetto di una disposizione testamentaria: l’esattoadempimento (N. Di Mauro, op. cit., p. 309 ss.), la datio insolutum (ivi, p. 279 ss.), la cessione del credito in luogo del-l’adempimento (ivi, p. 300 ss.), la novazione (ivi, p. 303 ss.,371 ss.), la compensazione (ivi, p. 328 ss.), la confusione (ivi,p. 334 ss., p. 374 ss.), l’impossibilità sopravvenuta per causanon imputabile al debitore (ivi, p. 334 ss.), la remissione (ivi,p. 349 ss.), l’adempimento diretto e indiretto dell’obbligo al-trui (ivi, p. 401 ss., p. 408 ss.).

6 N. Di Mauro, op. cit., p. 9 ss., p. 230 ss., p. 354 ss.7 N. Di Mauro, op. cit., p. 9 ss., p. 232 ss. 8 Sulla delegazione: M. Andreoli, La delegazione, Padova

1937; C.M. Bianca, Diritto civile, 4, l’obbligazione, Milano1990, p. 629 ss.; W. Bigiavi, La delegazione, Padova 1940; U.Breccia, Le obbligazioni, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano 1991, p.809 ss.; Al. Donati, Causalità ed astrattezza nella delegazione,Padova 1975; G. Giacobbe-D. Giacobbe, Della delegazione,dell’espromissione e dell’accollo, in Comm. Scialoja-Branca, subartt. 1268-1276, Roma-Bologna 1992, p. 1 ss.; P. Greco, vo-ce Delegazione, in Nov. D., V, Torino 1960, p. 327 ss.; A. Ma-gazzù, voce Delegazione, in Dig. disc. priv. – sez. civ., V, Torino1989, p. 155 ss.; T. Mancini, La delegazione, in Tratt. Rescigno,9, Obbligazioni e contratti, t. 1, 2a ed., Torino 1999, p. 485 ss.;R. Nicolò, Il negozio delegatorio, Messina 1932; P. Rescigno,voce Delegazione (dir. civ.), in Enc. dir., XI, Milano 1962, p.929 ss.

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Lezioni

Diritto civile

LA DELEGAZIONE PER TESTAMENTO

di Nicola Di Mauro

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del delegatario in virtù del disposto dell’art.1268, comma 2, c.c., che prevede espressamenteun beneficium ordinis (e non excussionis) in favoredel delegante, dato l’onere della preventiva ri-chiesta dell’adempimento nei confronti del dele-gato.

Tuttavia, la delegatio promittendi (arg. dall’art.1268, comma 1, ult. parte, c.c.) può essere ancheliberatoria – privativa o novativa – e, nel primocaso, il delegato potrà opporre al delegatario lestesse eccezioni che poteva opporre il delegante,mentre nel secondo gli sarà preclusa tale possi-bilità.

Con riferimento al problema della struttura edella funzione della delegazione, le opinioni sidividono tra una concezione unitaria ed unaconcezione atomistica. La principale differenza ènel diverso modo di intendere i rapporti tra ilnegozio delegante-delegato e il negozio delega-to-delegatario, da considerarsi come autonomitra di loro (teoria atomistica) o meno (teoria uni-taria).

La concezione c.d. unitaria10 ritiene che la de-legazione sia un unico negozio trilaterale la cuicausa consisterebbe nel realizzare, con un unicoatto, due distinti rapporti obbligatori, ossia quel-lo intercorrente tra delegante e delegato e quellointercorrente tra il primo e il delegatario: l’inter-dipendenza delle tre dichiarazioni si manifeste-rebbe nella subordinazione dell’efficacia dell’unaall’efficacia dell’altra, in un rapporto unico contre soggetti e due rapporti sottostanti in cui vi è ilconcorso di tre dichiarazioni di volontà tra di lo-ro interdipendenti.

I sostenitori della concezione c.d. atomistica11

ritengono che la delegazione costituisca una fat-tispecie complessa, procedimentale nella qualesono presenti tre distinti negozi, ancorché tra diloro collegati, ciascuno dotato di una propriacausa autonoma, e, segnatamente: il primo, l’in-carico (iussum) delegatorio, consistente nell’ordi-ne impartito dal delegante al delegato, che, se-condo una corrente di pensiero, avrebbe struttu-ra unilaterale, e, per la precisione, sarebbe un au-

9 Sulla delegazione attiva e su quella attuata per testamen-to si v. N. Di Mauro, op. cit., rispettivamente p. 505 ss. e p.513 ss.

10 R. Nicolò, op. cit., p. 112; M. Andreoli, op. cit., p. 395;T. Mancini, op. cit., p. 486.

11 W. Bigiavi, op. cit., p. 377; P. Greco, op. cit., p. 336; P.Rescigno, op. cit., p. 960; C.M. Bianca, op. cit., p. 637; U.Breccia, op. cit., p. 813 s.; A. Magazzù, op. cit., p. 160; Al.Donati, op. cit., p. 77.

legatario ad eseguire la prestazione cui è tenuto ildelegante o nella diretta esecuzione, da parte deldelegato, della prestazione stessa.

La delegazione si suole distinguere in attiva epassiva: qui ci occuperemo precipuamente dellaseconda, rinviando per la prima alle considera-zioni altrove svolte9.

La delegazione passiva può realizzarsi in dueipotesi distinte tra di loro sulla base dell’oggettodell’attività che il delegato si obbliga a compiere,e denominate rispettivamente delegazione sudebito o delegatio promittendi e delegazione di pa-gamento o delegatio solvendi.

La prima, disciplinata dall’art. 1268 c.c., ricor-re quando il delegante, debitore del delegatariosulla base di un determinato rapporto obbligato-rio (c.d. rapporto di valuta), assegna al delegata-rio un nuovo debitore (delegato) o, idem est, al-lorquando il delegante incarichi un soggetto (de-legato), normalmente suo debitore sulla base dialtro rapporto obbligatorio (c.d. rapporto diprovvista), di assumere nei confronti del delega-tario, il debito che quest’ultimo vanta nei suoiconfronti (c.d. rapporto di valuta): nel momentoin cui il delegato decida di accettare l’incarico ri-cevuto dal delegante – non essendovi tenuto(arg. ex art. 1269, comma 2, e 1270 c.c.) -, la de-legazione si perfezionerà allorquando il delegata-rio accetti – non essendovi nemmeno costui te-nuto (arg. ex art. 1268, comma 2, c.c.) – l’assun-zione del debito da parte del delegato (c.d. rap-porto finale, o negozio di assunzione delegatoriadel debito altrui).

Le ragioni che inducono il delegato ad accetta-re di obbligarsi nei confronti del delegatario perconto del delegante risiedono nei rapporti inter-ni che costui ha con il delegante, il c.d. rapportodi provvista, il quale potrà rimanere relegato tra imotivi interni, nel qual caso si parlerà di delega-zione pura o astratta rispetto al rapporto diprovvista, o potrà assurgere a coelemento causa-le del negozio di assunzione delegatoria, qualorasia richiamato in quest’ultimo, nel qual caso siparlerà di delegazione titolata o causale rispettoal rapporto di provvista.

La delegazione di debito si presenta (arg. dal-l’art. 1268, comma 1, prima parte, c.c.) come cu-mulativa, giacché il delegato, assumendo il debi-to del delegante, diviene condebitore solidale deldelegante nei confronti del delegatario: la solida-rietà tra le obbligazioni del delegante e del dele-gato è caratterizzata dalla degradazione della ob-bligazione del primo a sussidiaria poiché nelsenso che il delegato diviene debitore principale

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La delegazione per testamento

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tonomo e tipico negozio giuridico unilaterale re-cettizio diverso dal mandato12, o per altri, ver-sandosi in una ipotesi vera e propria di mandato(o di cooperazione gestoria), dovrebbe averestruttura necessariamente bilaterale o contrattua-le13; il secondo, l’assegnazione (o iussum accipien-di) fatta dal delegante al delegatario del nuovodebitore, che, sebbene non da tutti ritenuta es-senziale, sarebbe, per alcuni autori, a strutturabilaterale, ossia un contratto di mandato a rice-vere14, o, per altri autori, un negozio unilaterale,costituito dall’autorizzazione dal delegante al de-legatario alla riscossione del credito ai fini delc.d. conteggio15; il terzo, la promessa di paga-mento del delegato al delegatario, che per alcuniavrebbe struttura bilaterale16, in quanto sarebbenecessariamente un contratto tra gli stessi, men-tre, per altri, la struttura sarebbe unilaterale17.

Quanto alla delegatio solvendi, essa ricorre al-lorquando il delegante incarichi il delegato dieseguire un pagamento (iussum solvendi), ossia diadempiere direttamente un’obbligazione già sca-duta del delegante nei confronti del delegatario:in tal caso, il delegato non è tenuto ad accettarel’incarico, ancorché sia debitore del delegante (exart. 1269, comma 2, c.c.), ma se decide di accet-tare l’incarico può o eseguire (adempiere) diret-tamente nei confronti del delegatario la presta-zione che era oggetto dell’obbligazione del dele-gante, o può, salvo che il delegante glielo abbiavietato, decidere di obbligarsi nei confronti deldelegatario per la stessa prestazione dovuta daldelegante, convertendo così la delegatio solvendiin una delegatio promittendi (ex art. 1269, comma1, c.c.).

La delegazione di pagamento, a differenza diquella di debito, riveste, pertanto, le caratteristi-che tipiche del negozio avente funzione solutoriadel debito altrui18, sussumibile, per certi versi, inun pagamento per mezzo del terzo19: ciò non to-glie, tuttavia, che le due figure di delegazionepossano ritenersi ragionevolmente, come appar-

12 A. Magazzù, op. cit., p. 162.13 C.M. Bianca, op. cit., p. 637, p. 639.14 C.M. Bianca, op. cit., p. 637.15 B. Grasso, Considerazioni sul c.d. iussum accipiendi nella

delegazione di debito, in Saggi di diritto civile, Napoli 1989, p.170 ss.

16 A. Magazzù, op. cit., p. 160, p. 163 s.; P. Rescigno, op.cit., p. 936.

17 C.M. Bianca, op. cit., p. 637, p. 643.18 C.M. Bianca, op. cit., p. 634.19 A. Zaccaria, in Aa.Vv., Comm. Cian-Trabucchi, a cura di

G. Cian, 6a ed., Padova 2002, sub art. 1269, p. 1228.

Lezioni

tenenti ad uno stesso genus, ancorché, specie indottrina, la si pensi, in alcuni casi, e ancora oggi,in modo alquanto diverso, di tal guisa che si puòsostenere che le norme dettate per la secondapossano essere applicate anche alla prima.

Orbene, ancorché siano, in linea generale, as-similabili tra di loro, le due figure di delegazione,tuttavia, non appaiono del tutto coincidenti, inquanto già sul piano della struttura, se è pur ve-ro che nella delegatio solvendi è dato di riscontra-re sicuramente l’esistenza sia di un rapporto tradelegante e delegato il cui atto d’impulso è il c.d.iussum solvendi impartito dal primo al secondo,sia un rapporto tra delegante e delegatario il cuiatto d’impulso è il c.d. iussum accipiendi impartitosempre dal primo al secondo – rapporti circa lacui natura giuridica e struttura, si ripropongononegli stessi termini, le disparità di vedute che ab-biamo visto, in precedenza, esistere in tema didelegatio promittendi –, è altresì vero che nella de-legazione di pagamento non è dato di rinvenirel’esistenza di quell’ulteriore rapporto obbligatoriotra delegato e delegatario, che, invece, abbiamovisto caratterizzare la delegatio promittendi, e ciò inquanto il delegato, nella delegatio solvendi, proce-de soltanto ad effettuare il pagamento, un’ attivitàcioè meramente esecutiva concretizzantesi in unatto dovuto, non negoziale. Tant’è che, per inse-gnamento consolidato, ritenendosi che anche quisi tratterebbe di uno schema negoziale trilaterale,in realtà, allorquando si deve qualificare, sul pia-no giuridico, l’adesione del delegatario, si finiscecon il dover ammettere che non si tratta di un’ac-cettazione in senso tecnico, bensì di un’adesioneo accettazione a servirsi della delegazione, percui più ragionevole dovrebbe essere il sostenerel’irrilevanza del ruolo del delegatario rispetto alloschema negoziale della delegatio solvendi: in altreparole, il delegatario non solo non deve aderire oaccettare, ma, addirittura, non potrebbe nemme-no rifiutare la prestazione che gli sia puntual-mente ed esattamente offerta dal delegato, argo-mentando ciò anche dall’art. 1180 c.c.

Non di meno, un’ulteriore differenza tra i duetipi di delegazione si può rinvenire nel fatto che,mentre la delegatio promittendi può essere sia cu-mulativa che liberatoria, la delegatio solvendi èsempre cumulativa, in quanto il delegato è inca-ricato di eseguire il pagamento dovuto dal dele-gante, la cui obbligazione non si estingue se nonquando il delegato esegue la prestazione. Infine,se vi è concordia nel ritenere che anche per ladelegazione di pagamento si possa mantenereferma la distinzione tra delegazione astratta (o

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torno all’incarico o iussum delegatorio impartitodal delegante al delegato, e lo stesso può rivesti-re, sul piano strutturale, carattere anche unilate-rale, spostando la disamina sulla piattaforma deldiritto testamentario, si potrebbe ragionevol-mente sostenere, in linea generale, che lo schemadelegatorio, o, quanto meno, l’atto d’impulsodello stesso, possa trovare la sua fonte (anche) inuna disposizione testamentaria in tal senso, spe-cie nell’ipotesi in cui il testatore sia titolare dellasituazione giuridica soggettiva passiva.

A ben vedere, il nostro codice, per entrambele ipotesi di delegazione passiva, sia essa promit-tendi che solvendi, sembrerebbe già prevedere, an-corché per implicito, l’eventualità che lo iussumdelegatorio possa essere contenuto anche in untestamento, o, rectius, in una disposizione testa-mentaria, e, quindi, formare oggetto di quest’ulti-ma.

Difatti, se si legge attentamente il disposto del-l’art. 1270 c.c., il quale, nel prevedere, da un lato,al comma 2, che il delegato possa assumere l’ob-bligazione o eseguire il pagamento a favore deldelegatario, anche dopo la morte del delegante, e,dall’altro, al comma 1, che il delegante possa re-vocare la delegazione fino a quando il delegatonon abbia assunto l’obbligazione nei confronti deldelegatario, o non abbia eseguito il pagamento afavore di questo, se ne ricava l’impressione chesembrerebbe essere consentito di potere desume-re da detta norma la disciplina (anche) di una ve-ra e propria ipotesi di disposizione testamentariatesa alla realizzazione di una delegazione.

Questo perché, per un verso, il carattere dellarevocabilità, che è connaturale ad ogni disposi-zione testamentaria, sarebbe certamente rispet-tato, giacché realizzantesi nella previsione dellarevocabilità dell’incarico delegatorio e, per altroverso, l’aver previsto espressamente il legislatoreche l’incarico delegatorio possa essere accettatoanche dopo la morte del delegante, legittimereb-be l’assunto secondo cui lo stesso possa esserecontenuto anche in un testamento: non è revo-cabile in dubbio che sarebbe un’interpretazionerestrittiva, e per di più, contra legem, quella chedovesse ritenere l’ipotesi prevista dal comma 2dell’art. 1270 c.c. come disciplinante solo il casodello iussum emesso in vita dal delegante, poi

20 A. Magazzù, op. cit., p. 158, p. 161 s., p. 171.21 W. Bigiavi, op. cit., p. 325.22 Le argomentazioni che seguono in questo paragrafo ri-

prendono quelle già prospettate in N. Di Mauro, op. cit., p.457 ss.

pura) e delegazione titolata, applicando, pertan-to, l’art. 1271 c.c., meno pacifica è la soluzioneche viene data, da un lato, al problema dell’ap-plicabilità, alla delegatio solvendi, dell’art. 1268,comma 2, c.c., e, dall’altro, al problema della dif-ferenziazione, di questa dall’indicazione di paga-mento disciplinata dall’art. 1188 c.c.

Quello che emerge chiaro da quanto fin quidetto è sicuramente la centralità che riveste, nel-l’operazione delegatoria, l’incarico (o iussum) de-legatorio, che è atto d’impulso da cui si dipartetutto il procedimento delegatorio20, ancorché dal-la lettura del dato normativo e, in particolare, dal-l’art. 1268, comma 1, c.c., sembrerebbe, al contra-rio, essere l’atto di assegnazione al creditore (dele-gatario) del nuovo debitore (delegato), l’epicentrodi tutta la fattispecie della delegazione.

In realtà, è proprio la successiva norma di cuiall’art. 1270 c.c. che invece ci dà conferma dellacentralità, nel meccanismo delegatorio, dell’attodi delega, in quanto, la sua revoca, effettuabile,tuttavia, solo fin quando il delegato non abbiaassunto l’obbligazione in confronto del delegata-rio, comporta l’estinzione della delegazione: per-tanto, il mandato tra delegante e delegato costi-tuisce il fondamento causale della delegazione21.

L’adesione alla teoria atomistica della delegazio-ne, e, in particolare, alla ricostruzione in questi ter-mini del profilo strutturale della stessa, consente dipoter ragionevolmente affermare: che relativamen-te al negozio intercorrente tra delegante e delegato,non si può escludere, a priori, che lo stesso possa,sul piano della struttura, essere a carattere unilate-rale; che anche per il negozio tra delegante e dele-gatario potrebbe legittimamente farsi ricorso aduna struttura negoziale di carattere unilaterale; eche, infine, anche il negozio tra delegato e delega-tario potrebbe avere una struttura unilaterale, an-corché, in tale ultimo caso, la detta ipotesi sembre-rebbe opportuno che venga circoscritta alla sola fi-gura della delegazione cumulativa, in quanto, lanatura pienamente favorevole dell’alterazione chel’eventuale negozio unilaterale d’assunzione dele-gatoria verrebbe a produrre nella sfera giuridicadel creditore (rafforzamento della sua posizionesoggettiva attiva), nonché, il necessario riconosci-mento, a questi, del potere di rifiuto, sembrano cir-costanze idoneee tesi a dimostrare che si possascongiurare, a pieno, il pericolo di attentato alprincipio della protezione dell’altrui sfera giuridica.

3. La delegazione passiva per testamento22

Orbene, se il fulcro della delegazione ruota at-

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La delegazione per testamento

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successivamente deceduto, nelle more, primadell’accettazione del delegato.

L’ulteriore conferma normativa della possibi-lità di una delegazione per testamento, ancorchéla stessa sembrerebbe essere attinente soltantoall’ipotesi della delegatio solvendi, la si potrebbedesumere ponendo a confronto il dettato dell’art.1269, c.c. con quello contenuto nell’art. 1315c.c.23: quest’ultima norma, difatti, sembrerebbedisciplinare proprio un’ipotesi di delegatio solven-di per testamento, o, idem est, una disposizionetestamentaria di delegatio solvendi, in quanto, se sipresta la debita attenzione al linguaggio giuridicoadoperato dal nostro codice in entrambe le nor-me citate, risalta con tutta evidenza la identitàdelle fattispecie regolate dall’una e dall’altra.

Infatti, se, da un lato, l’art. 1269, comma 1,c.c., parla di debitore che per eseguire il pagamentoha delegato un terzo, dall’altro, l’art. 1315 c.c. par-la, in modo analogo, di quello tra gli eredi del debi-tore, che è stato incaricato di eseguire la prestazione.Pertanto, appare non essere revocabile in dubbioche: a) sia le locuzioni, rispettivamente adopera-te, di esecuzione del pagamento e di esecuzione dellaprestazione, stanno a rappresentare un’ identicasituazione, ancorché il termine prestazione possaapparire più ampio del primo, ma proprio perquesto indubbiamente teso a ricomprenderlo; b)sia, ove quanto testé rilevato non dovesse sem-brare ancora sufficiente, i termini delegato (idemest = delega), di cui alla prima norma, e incarica-to (idem est = incarico), di cui alla seconda nor-ma, anch’essi stanno a rappresentare una stessafattispecie negoziale, ossia il c. d. iussum delega-torio. Per di più, è oramai un dato acquisito datempo dalla nostra dottrina, il fatto che l’incarico,al quale fa riferimento l’art. 1315 c.c., possa esse-re conferito espressamente anche con il testa-mento24, dovendosi distinguere, a tale proposito,solo a seconda che si tratti di un’obbligazione di-visibile ovvero indivisibile. Né argomento con-trario potrebbe rinvenirsi nel fatto che l’oneratonon sia normalmente già un debitore del dele-gante-testatore, perché, come si è visto in prece-denza, tale circostanza è solo eventuale, ben po-tendosi configurare la delegatio solvendi come de-legazione allo scoperto (argomentando a contra-

23 D. Rubino, Delle obbligazioni (obbligazioni alternative –obbligazioni in solido – obbligazioni divisibili e indivisibili), subartt. 1285-1320, in Comm. Scialoja-Branca, Libro IV, Delle ob-bligazioni, 2a ed., Bologna-Roma 1968, p. 338 ss.

24 D. Rubino, op. cit., p. 339, p. 341.25 Sul punto amplius N. Di Mauro, op. cit., p. 176 s.

Lezioni

rio dall’art. 1270, comma 2, c.c.).Dalle considerazioni fin qui svolte, si può trar-

re la convinzione che dal coacervo normativo ci-tato emergerebbe chiaro come, quanto meno perla delegatio solvendi – rimandando, da qui a poco,l’esame relativo alla ipotesi della delegatio promit-tendi –, sia possibile rinvenire, nel nostro ordina-mento giuridico, un’espressa disciplina dellastessa (anche) come possibile oggetto di una di-sposizione testamentaria.

Il problema si sposta sul piano della concretaqualificazione giuridica della disposizione testa-mentaria di delegatio solvendi, nonché sull’indivi-duazione della sua disciplina.

Si pone la vexata quaestio se si tratti di un attointer vivos con efficacia post mortem ovvero di unavera e propria disposizione testamentaria.

In realtà, a ben vedere, sembrerebbe potersiaffermare pacificamente che ci si trova dinanziad una vera e propria disposizione testamenta-ria, dato che in essa appare possibile riscontrareentrambe le caratteristiche richieste affinché pos-sa qualificarsi una certa disposizione come testa-mentaria, ossia l’essere un atto (o disposizione)di ultima volontà e rivestire il carattere della pa-trimonialità25.

Non v’è dubbio infatti che la disposizione dequa regoli un interesse patrimoniale del testatoreper il tempo successivo alla sua morte, il qualeconsiste segnatamente nel determinare la sorte, aseguito dell’apertura della successione, delle sueposizioni, qui al contempo creditorie e debitorie,ossia di quelle entità (attive e passive) facentiparte del proprio patrimonio, per le quali si vie-ne a stabilire, a regolamentare post mortem, in talcaso, la modifica e/o l’estinzione.

Ma se è pur vero che di disposizione testa-mentaria a tutti gli effetti si tratta, occorrerà porsil’ulteriore quesito se ci si trovi di fronte ad unadisposizione testamentaria autonoma, nuova, sitratti di una disposizione testamentaria che rien-tra nell’alveo di quelle già note, e, in particolare,di quelle di cui agli artt. 658 e 659 c.c.

In prima battuta, sembrerebbe possibile aderi-re alla prima soluzione, ma, così facendo, ponen-dosi l’accettazione del delegato al di fuori diqualsiasi schema previsto dalla disciplina del di-ritto testamentario, la stessa finirebbe per essereattratto nell’àmbito dei meri atti inter vivos con ef-ficacia post mortem risultando smentito de planoquanto diversamente qui finora sostenuto.

Pertanto, per adeguare la fattispecie in esamealla vigente disciplina testamentaria, è necessariopercorrere la seconda strada.

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Si potrebbe essere tentati, in virtù della piùvolte riaffermata natura solutoria della delegatiosolvendi, trattandosi di un’obbligazione scaduta,di ritenere una disposizione testamentaria, siffat-ta sussumibile nella disciplina dell’art. 659 c.c.,ricostruendo, in particolare, la fattispecie de quacome un legato satisfaciendi causa, a carattere ob-bligatorio, a favore del creditore, sottoposto allacondizione sospensiva risolutiva dell’accettazio-ne ovvero della mancata accettazione da partedell’onerato (erede o legatario, = sub-legato), da-to che, come s’è visto, il delegato, anche se fossedebitore del delegante, non è tenuto ad accettarel’incarico (argomentandosi dagli artt. 1269, com-ma 2, 1270, commi 1 e 2). Tuttavia, ancorché siaintervenuta l’accettazione da parte dell’onerato,l’insormontabile ostacolo normativo che si op-pone alla sussunzione della fattispecie in esamenell’art. 659 c.c., lo si ritrova nella fase successivaall’accettazione del delegato, in quanto, in taleperiodo, se quest’ultimo dovesse offrire al credi-tore la prestazione dovuta dal debitore originariopuntualmente ed esattamente, il creditore, pro-prio in virtù dell’operatività dei princìpi di cui al-l’art. 1180 c.c., non potrebbe rifiutare di riceverela prestazione, per cui, in subiecta materia, rive-stendo la condizione di legatario, non potrebberinunziare al legato in suo favore, di tal guisa cheavremmo creato una nuova ipotesi tipica, ossiaquella del legato irrinunciabile, il che è del tuttoinammissibile, salvo a voler ritenere, la disciplinadi cui all’art. 1180 c.c. derogabile, il che, anche,come s’è visto in precedenza, è da escludere as-solutamente.

Non resta che provare a spiegare la disposi-zione testamentaria di delegatio solvendi chiaman-do in causa l’art. 658 c.c. Difatti, certamente èpiù plausibile ritenere, anche in considerazionedell’operatività dei princìpi di cui agli artt. 752 e754 c.c., che la disposizione testamentaria in og-getto si possa configurare come un legato obbli-gatorio di liberazione dal debito in favore deglialtri eredi, subentrati pro quota nel debito scadu-to del de cuius. Si tratterà, in definitiva, di un le-gato in cui il testatore impone all’onerato-delega-to l’obbligo di tenere indenni dal peso del debitoereditario scaduto gli altri eredi, e non in via ge-nerica, bensì attraverso quella specifica attivitàesecutiva posta a base dell’incarico affidatogli,ossia quello delegatorio di procedere egli stessoal pagamento del debito scaduto in questione,così come, d’altronde, dispone il citato art. 1315c.c.; e, a fronte di questo obbligo, vi sarà il corri-spondente diritto di credito degli onorati, a che

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La delegazione per testamento

l’onerato adempia all’obbligo impostogli con lemodalità specifiche dedotte nella disposizionetestamentaria delegatoria.

La ricostruzione, sul piano della natura giuri-dica, della fattispecie in esame proposta, consen-te di conseguire l’ulteriore utile risultato di dove-re considerare spostata al settore degli atti intervivos la successiva fase intercorrente tra delegatoe delegatario, ossia non rendendosi in alcun mo-do necessaria la partecipazione di quest’ultimo,anche perché non si saprebbe in che modo im-maginarla, alla vicenda successoria testamenta-ria; partecipazione che, pertanto, sempre se sidovesse accedere a quella impostazione tradizio-nale, qui avversata, secondo cui sarebbe neces-saria sempre l’adesione del delegatario, verrebbead essere attratta nel campo degli atti inter vivos.

E l’ultimo aspetto che va preso in considera-zione è, come si diceva, quello della disciplina, inconcreto, applicabile alla disposizione testamen-taria di delegatio solvendi: la stessa sarà compostada un coacervo normativo il cui fulcro è rappre-sentato sicuramente da quella dettata dall’art.658 c.c., e, subordinatamente, da quella, dettataper i legati in generale, nonché dagli artt. 1268,1269, 1274-1275 (ove compatibili) e 1315 c.c.

Quanto alla figura della c.d. delegatio promitten-di per testamento, si è già visto che le considera-zioni suesposte relativamente all’art. 1270 c.c.possono ritenersi valide anche per l’ipotesi delladelegatio promittendi, per cui nulla sembrerebbeopporsi a che si possa, in via astratta, configura-re l’ammissibilità di una disposizione testamen-taria di delegatio promittendi, e proprio sulla basedell’interpretazione della norma citata.

Il problema, pertanto, si sposta, anche qui, sulpiano dell’esatta configurazione giuridica e del-l’individuazione della disciplina della stessa.

La disposizione potrebbe presentarsi formula-ta come un incarico che il testatore dà all’onera-to non di eseguire la prestazione, bensì di obbli-garsi, di assumere una determinata obbligazione,nei confronti del creditore, assegnando a que-st’ultimo null’altro che un nuovo debitore.

Si tratterà di una vera e propria disposizionetestamentaria, e non di un atto inter vivos con ef-ficacia post mortem, dato che anche in essa appa-re possibile riscontrare entrambe le caratteristi-che richieste affinché possa qualificarsi una certadisposizione come testamentaria, ossia l’essereun atto (o disposizione) di ultima volontà e rive-stire il carattere della patrimonialità.

Non vi è dubbio che la disposizione de qua re-goli un interesse patrimoniale del testatore per il

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tempo successivo alla sua morte: esso consistenel determinare la sorte, a seguito dell’aperturadella successione, delle sue posizioni, qui al con-tempo creditorie e debitorie, ossia di quelle en-tità (attive e passive) facenti parte del proprio pa-trimonio, per le quali si viene a regolamentarepost mortem la modifica e/o l’estinzione.

Assodato che di disposizione testamentaria sitratta, occorrerà porsi l’ulteriore quesito se ci sitrovi di fronte ad una disposizione testamentariaautonoma, nuova o si tratti di una disposizionetestamentaria che rientra nell’alveo di quelle giànote di cui agli artt. 658 e 659 c.c.

Sul punto, in verità, il discorso della sussun-zione della stessa nell’art. 659 c.c. non sembre-rebbe trovare quegli ostacoli che abbiamo vistosussistere per la delegatio solvendi.

Difatti, non sarebbe del tutto irragionevole rico-struire la disposizione testamentaria di delegatiopromittendi come un legato satisfaciendi causa, a ca-rattere obbligatorio, a favore del creditore, sotto-posto alla condizione (legale, ma non esclusaquella espressa volontaria) sospensiva ovvero ri-solutiva dell’accettazione o della mancata accetta-zione da parte dell’onerato (erede o legatario, =sub-legato), dato che, come s’è visto, il delegato,anche se fosse debitore del delegante, non è tenu-to ad accettare l’incarico (argomentandosi dagliartt. 1269, comma 2, 1270, commi 1 e 2): unavolta intervenuta l’accettazione da parte dell’one-rato, il legatario onorato, potrà accettare o non illegato stesso, in quanto qui, il problema della irri-nunziabilità del legato a favore del creditore, nonparrebbe sussistere, data la natura non diretta-mente solutoria di un siffatto legato, per cui il cre-ditore, legatario onorato, benissimo potrà decidereautonomamente se accettare il legato stesso o ri-nunziarvi. Per di più, richiedendosi l’interventodel consenso del creditore legatario, sarebbe pos-sibile configurare l’ipotesi in esame sia con riguar-do al caso normale di delegazione cumulativa, sia,inoltre, per il caso di delegazione liberatoria, ove,in quest’ultimo caso, la liberazione fosse fatta rien-trare nel congegno causale della disposizione te-stamentaria stessa, come, ad esempio, sotto formadi una condizione volontaria apposta al legato infavore del creditore da parte del testatore.

La fattispecie complessa prospettata apparecomposta da più negozi tra di loro funzional-mente collegati al fine di conseguire l’effetto fina-le della modifica del rapporto obbligatorio e tro-

26 G. Criscuoli, op. cit., p. 510.

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va l’autorevole avallo in quella dottrina secondocui al collegamento negoziale in campo succes-sorio deve essere riconosciuto un ruolo più im-portante ed assorbente, risultando esso il mezzotecnico ordinario di sistemazione di ogni fatti-specie acquisitiva, a titolo universale ovvero a ti-tolo particolare, di diritti e di obblighi di deriva-zione testamentaria26.

Tuttavia, non parrebbe potersi escludere apriori una diversa configurazione dell’ipotesi esa-minata quale legato di liberazione da un debito,per cui rientrante nel disposto dell’art. 658 c.c.

Difatti, sempre in considerazione dell’operati-vità dei princìpi di cui agli artt. 752 e 754 c.c.,ove li si dovesse ritenere violati per la superiorevia – ma già l’art. 1315 c.c. sembrerebbe consen-tire di poterlo escludere – più tranquillizzantepotrebbe apparire la sussunzione della fattispe-cie esaminata nell’art. 658 c.c., e, in particolare,nella sua variante obbligatoria.

In concreto, avremo che la disposizione testa-mentaria in oggetto potrebbe essere configuratacome un legato obbligatorio di liberazione daldebito in favore degli altri eredi subentrati proquota nel debito scaduto del de cuius. Si tratterà,in definitiva, di un legato in cui il testatore impo-ne all’onerato-delegato l’obbligo di tenere inden-ni dal peso del debito ereditario scaduto gli altrieredi, e non in via generica, bensì attraversoquella specifica attività negoziale posta a basedell’incarico affidatogli, ossia quello delegatorio,di obbligarsi, di assumere quella determinata ob-bligazione; e, a fronte di questo obbligo, vi sarà ilcorrispondente diritto di credito degli onorati, ache l’onerato adempia all’obbligo impostogli conle modalità specifiche dedotte nella disposizionetestamentaria delegatoria.

Anche in questo caso, la ricostruzione propo-sta consentirà di conseguire quell’ulteriore utilerisultato di dovere considerare spostata al settoredegli atti inter vivos la successiva fase intercorren-te tra delegato e delegatario, non rendendosi inalcun modo necessaria la partecipazione di que-st’ultimo alla vicenda successoria testamentaria;partecipazione che, pertanto, verrebbe ad essereattratta nel campo degli atti inter vivos.

In definitiva, anche le superiori considerazionisvolte relativamente alla disciplina applicabile,consentiranno di ritenere che la disposizione te-stamentaria avente ad oggetto una delegatio pro-mittendi sia regolamentata da quella dettata dal-l’art. 658 c.c., e, subordinatamente, da quelle,previste per i legati in generale, nonché dagli artt.1268, e 1274-1275 c.c. ove compatibili.

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Il vizio di forma nella teoria dell’atto amministrativo dopo le recentimodifiche alla legge sul procedimento amministrativo.

* * *

Tra gli aspetti di maggiore rilievo della recente riforma della legge generalesul procedimento amministrativo (realizzata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15,e dalla l. 14 maggio 2005, n. 80) vi è certamente la disciplina della invaliditàdell’atto.

Dopo avere richiamato i tre tradizionali vizi di annullabilità dell’atto(violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza), l’art. 21-octies dellalegge n. 241 del 1990 – per l’appunto introdotto ad opera della legge n. 15,cit. – aggiunge: « non è annullabile il provvedimento adottato in violazione dinorme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la naturavincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo nonavrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ».

Solo per un particolare vizio del procedimento, lo stesso art. 21-octiesprevede la sua irrilevanza anche oltre l’àmbito ristretto degli atti vincolati.L’omessa comunicazione di avvio del procedimento, infatti, non è « comunque »causa di invalidità dell’atto se l’amministrazione prova in giudizio che « ilprovvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concretoadottato ».

Il tema dei vizi formali ha tuttavia radici più remote.Già nel vigore dell’ordinamento albertino, infatti, la dottrina e la

giurisprudenza si erano poste l’interrogativo se tutte le violazioni della leggedovessero necessariamente condurre all’annullamento dell’atto; oppure, se non

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Concorso per uditore giudiziarioProva scritta di diritto amministrativo

di Riccardo Rotigliano

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ve ne fossero alcune che, per la loro natura eminentemente formale, nondovessero comportare una sanzione meno lieve, eventualmente a carico delsolo agente (sanzione disciplinare) e non anche dell’atto. Le risposte al quesitoerano state per lo più negative: in un ordinamento nel quale i limiti alcontenuto dell’atto esercizio del potere erano labili (perché assenti, o perché laloro fonte non era rinforzata), la tutela dell’amministrato si spostava sul pianodelle (poche) garanzie formali e procedurali, la cui violazione veniva dunqueconsiderata sempre rilevante.

In una prospettiva sincronica – ossia prescindendo dalla loro genesi e dalloro sviluppo nel tempo – sono state individuate tre diverse reazionidell’ordinamento a fronte di una difformità c.d. minimale dal parametronormativo.

La prima muove dalla considerazione che ogni violazione di legge devecondurre ad una medesima conseguenza: l’annullabilità dell’atto. È la tesidella pari rilevanza, ovvero ancora “gradualista”, così denominata persottolineare il rapporto di stretta derivazione tra la legge e il provvedimento. Intermini così assoluti, tali da condurre alla illegittimità dell’atto difforme aprescindere dalla gravità della violazione, è stata prospettata solo da un’isolataquanto autorevole dottrina (G. Guarino), ed oggi non appare più congruentecon il dato normativo (art. 21-octies, comma 2, cit.).

Alcuni altri autori (D.U. Galletta, F.G. Scoca), invece, hanno predicatol’applicazione all’atto amministrativo (che è atto del procedimentoamministrativo) della norma sulla nullità degli atti processuali. In particolare,come per questi, anche per quelli amministrativi l’illegittimità (sub specie diannullabilità) verrebbe meno « se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato »(art. 156, comma 3, c.p.c.). Tale tesi, nonostante alcune voci contrarie, noncontraddice la teoria gradualista, che anzi presuppone, dal momento che colraggiungimento dello scopo diviene irrilevante uno stato patologico dell’atto chealtrimenti rimarrebbe tale. Il vizio formale costituisce cioè un vizio geneticodell’atto e solo eventualmente (se l’atto ha raggiunto il suo scopo) divieneirrilevante. Questa considerazione, a ben ritenere, è comune alle altre ipotesi disanatoria dell’atto invalido. Anche con la convalida e la ratifica, infatti, si rendeirrilevante, rimuovendolo, un vizio che affligge l’atto e che altrimenti lorenderebbe annullabile: con la convalida si rinnova l’atto di esercizio del potereamministrativo emendato del vizio di violazione di legge; con la ratifica, l’organocompetente fa suo l’atto adottato da quello incompetente.

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Uditore giudiziario - Diritto amministrativo

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Vi sarebbe, in definitiva, « una coincidenza tra sanatoria e nonannullabilità del provvedimento la cui statuizione sia priva di alternativelegittime, se considerate nei rispettivi presupposti ed effetti: entrambeconservano atti il cui contenuto risulti conforme a diritto, nonostante laviolazione di legge nella quale è incorsa l’amministrazione » (F. Trimarchi

Banfi).

La giurisprudenza ha fatto applicazione dell’istituto del raggiungimentodello scopo in numerosi casi di violazioni procedimentali, in particolare nelcaso di omessa comunicazione di avvio del procedimento, quando ciò nonabbia impedito all’interessato di parteciparvi. O, ancora, nel caso in cui ilprovvedimento non rechi l’indicazione del termine e dell’autorità cui è possibilericorrere (come invece prescritto dall’art. 3, comma 4, legge n. 241, cit.), etuttavia ciò non abbia impedito all’interessato di tutelare in giudizio in modotempestivo le proprie ragioni.

Il c.d. vizio di forma diviene irrilevante, secondo altri autori, nel caso in cuisia ab origine innocuo rispetto all’interesse – pubblico o privato – cui èfunzionale l’onere formale o procedimentale; quando, cioè, questo interesse siafatto salvo nonostante la violazione di legge (formale). In proposito, siadopera il termine « irregolarità » per distinguere questo vizio non invalidantedalla illegittimità (che conduce sempre all’annullabilità dell’atto). A differenzadella sanatoria, l’atto è valido ab origine. La violazione di legge è soloapparente. Come ha chiarito autorevole dottrina (A. Romano Tassone), ladifformità dal parametro normativo, secondo un giudizio formulato a priori ein astratto, è insuscettibile di influire sulla parte dispositiva del provvedimentoe non incide sulla legittimazione politica dell’atto. Per esprimere lo stessoconcetto, si è adoperata la locuzione di « sovrainclusività regolativa » (F.

Luciani), volendo con ciò rilevare che la norma avrebbe detto di più di quelloche voleva dire il legislatore. Esempi di mera irregolarità dell’atto sono, fra glialtri, la mancanza del timbro o l’illeggibilità della sottoscrizione, tutte le volteche sia altrimenti identificabile dal contesto dell’atto il suo autore, o laviolazione delle norme fiscali (che possono al più incidere sulla sua efficacia), oancora l’insufficienza della motivazione di atti vincolati.

Quando l’amministrazione rimuova la causa della irregolarità si dice cheha « rettificato » l’atto. Ma la rettifica, è stato da più parti rilevato, nonsarebbe a stretto rigore necessaria, proprio perché l’atto è fin dalla sua originevalido. Altri autori, invece, ne sottolineano l’utilità, per ciò che salvaguarda il

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principio di certezza del diritto e pone termine ad un fatto potenzialmenterilevante ad altri fini (ad es. responsabilità disciplinare del dipendente chesistematicamente omette di compiere l’adempimento formale).

In altri contesti ordinamentali, invece, l’approccio al tema ha preso le mosseda considerazioni in parte diverse da quelle sino ad ora osservate. Nellarepubblica federale tedesca, ad es., la legge generale sul procedimentoamministrativo del 1976 contiene una norma che fa dipendere l’annullabilitàdell’atto dall’incidenza del vizio formale sul contenuto dell’atto in base ad ungiudizio condotto ex post e in concreto, similmente a quanto oggi previsto perl’omessa comunicazione di avvio del procedimento dalla richiamata normacontenuta nell’art. 21-octies, cit.

E proprio dall’esempio tedesco ha preso le mosse la recente riforma dellalegge n. 241 del 1990. Infatti, l’art. 21-octies fa dipendere il giudiziosull’annullabilità dell’atto nel caso di violazione di norme sulla forma o sulprocedimento da un giudizio in astratto ex ante. A prescindere infatti dallafattispecie concreta – questa l’interpretazione più accreditata della disposizionenei primi commenti – deve risultare « in modo palese » che la violazione nonha inciso sul contenuto del provvedimento, ciò che nell’equazione fatta dallegislatore si ricollega alla « natura vincolata del provvedimento ». In definitiva,in tutti gli atti espressione di un potere amministrativo vincolato(contrariamente alla dottrina che nega natura provvedimentale a tali atti: A.Orsi Battaglini) la violazione delle norme sulla forma o sul procedimento èirrilevante: il contenuto dispositivo, difatti, « non avrebbe potuto essere diversoda quello in concreto adottato ».

La nuova disciplina del vizio formale ha già conosciuto le primeapplicazioni da parte del giudice amministrativo, con il rigetto dei ricorsinonostante l’accertata violazione delle legge. Non è mancato, tra i primicommentatori, chi ha criticamente osservato l’assenza di soluzione dicontinuità tra questo indirizzo giurisprudenziale, coerente applicazione dellanuova norma, e quello precedente alla novella che perveniva alla medesimaconclusione – l’atto affetto da un vizio formale o procedimentale è valido –attraverso una lettura “sostanzialista” della norma violata, tale per cui l’areadei vizi di legittimità che rendono l’atto annullabile andrebbe circoscritta solo aquelli che incidono sul contenuto dispositivo dell’atto e sugli interessi che essoattinge.

La “dequotazione” del vizio formale – per usare il neologismo coniato da

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Uditore giudiziario - Diritto amministrativo

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autorevole dottrina (M.S. Giannini) – ad opera della legge n. 15 del 2005 èstata sottoposta a numerose critiche dalla più parte della dottrina. Accanto aisuoi sostenitori, patrocinatori di una c.d. “amministrazione di risultati” – edunque di un processo amministrativo il cui thema investa l’intero rapportosostanziale – si sono levate molte voci contrarie, preoccupate dell’assenza diun valido presidio del principio di legalità nel caso dei vizi formali. Infatti, sel’atto rimane valido, e se non sono state previste altre forme di reazionedell’ordinamento (come, ad es., obbligo di indennizzo, responsabilitàdisciplinare, responsabilità civile da c.d. “contatto amministrativo”), la normaperde la forza cogente che le è propria. Potrebbe cioè darsi il caso di una“desuetudine” autorizzata dall’ordinamento. Verrebbe inoltre minato ilprincipio di certezza del diritto, che reca con sé la necessità di una reazionedell’ordinamento in ogni caso di accertata violazione di una norma di azione.

Le critiche all’impianto della legge si sono tradotte in qualche caso inesplicite riserve sulla stessa legittimità costituzionale dell’art. 21-octies. Ilprincipio di legalità e il diritto di azione (artt. 24 e 97 Cost.) verrebberosecondo queste voci sacrificati in modo irragionevole sull’altaredell’amministrazione di risultati. Verrebbe cioè preferita l’efficienza dell’attivitàamministrativa – in tesi sciolta dall’osservanza dei lacci e laccioli rappresentatida altrettanti oneri formali e procedimentali – con un sacrificio eccessivo delleragioni del destinatario dell’azione amministrativa. Sul versante del processo,questo si tradurrebbe in una metamorfosi: il giudizio di legittimità, da sempreconfinato entro i limiti dell’atto, verrebbe invece esteso sino a ricomprenderel’intero rapporto che ne scaturisce.

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Tizio e Caia, addetti dell’ufficio tecnico del Comune, svolgonosaltuariamente mansioni d’ufficio anche fuori dall’edificio che è sedeprincipale del servizio. In tali occasioni, quando cioè si allontanano dalloro ufficio per motivi di lavoro, essi hanno l’obbligo di annotarel’avvenuta trasferta su appositi moduli che, alla fine di ogni mese,vengono fatti pervenire all’Amministrazione centrale la quale è, così, ingrado di verificare periodicamente l’attività svolta dai due impiegati. Suciascun modulo, compilato al termine della trasferta, devono essereriportati, oltre alle ragioni e alla durata dell’uscita, anche il timbro e lafirma del dirigente dell’ufficio nonché la firma del dipendente che haeffettuato la trasferta. Poiché il dirigente è spesso difficilmenterintracciabile, Tizio e Caia adottano, a seconda dei casi, i seguentiespedienti: talora procedono a fotocopiare, all’interno del loro ufficio,un vecchio modulo effettivamente sottoscritto dal dirigente, dopoaverne cancellato il testo originale; altre volte, appongono essi stessi, suun nuovo modulo, un segno che imita la firma del dirigente. Oltre a ciò,nei casi di trasferta simultanea dei due impiegati, Tizio, per risparmiarea Caia l’adempimento burocratico richiesto, è solito apporre sulmodulo, con il di lei consenso, anche la firma della collega.

Alla fine dell’anno viene effettuato un controllo di tutti i moduli e ildirigente si accorge che svariate firme (sue e di Caia) risultano nonessere originali. Si accorge parimenti che alcuni moduli, che lui nonricorda di aver sottoscritto, presentano la sua firma fotocopiata. Tizio eCaia preoccupati si recano da un legale. Il candidato assuma la vestedel legale e fornisca loro un parere motivato sulle questioni sottese alcaso in esame.

Esame per l’iscrizione agli albi degli avvocatiParere motivato su quesito proposto in materia di diritto penale

di Daria Bresciani

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Avvocati - Parere di diritto penale

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* * *

Dal racconto di Tizio e Caia emerge, a prima vista, la riconducibilità delleloro condotte alle ipotesi di falso contenute nel titolo VII del libro II del codicepenale, « Dei delitti contro la fede pubblica »; più in particolare, trattandosi diapposizione di firme false su vari documenti, le diverse fattispecie configurabilisembrano poter essere sussunte nei delitti di cui al capo III, « Della falsità inatti ».

Nel caso di specie, l’ipotesi che viene in esame appare integrare la fattispeciedi c.d. falso materiale, nella forma specifica della contraffazione; tale ipotesi direato si configura tutte le volte in cui ad essere offesa è la genuinità deldocumento oggetto della fasificazione. In particolare, la contraffazione sirealizza nel caso in cui vi sia una non corrispondenza tra autore reale edautore apparente del documento, così che colui che redige l’atto è personadistinta da colui che appare come autore dello stesso. Sia Tizio che Caiahanno proceduto a contraffare alcuni documenti apponendovi delle firme false:così, mentre ictu oculi autori apparenti dei documenti sono risultati essere,alternativamente, il dirigente dell’ufficio e Caia, autori reali dello stesso sonostati i due dipendenti.

La falsità materiale, secondo il nostro codice penale, può concernere attipubblici (art. 476), certificati o autorizzazioni amministrative (art. 477)ovvero copie autentiche di atti pubblici o privati e attestati del contenuto di atti(art. 478): fondamentale rilievo assume, allora, nel caso concreto, individuarela natura dei documenti redatti da Tizio e da Caia onde inquadrare la lorocondotta in una delle ipotesi contemplate dalle norme citate.

In primis, si può pacificamente escludere che i moduli in esame sianocollocabili nella categoria delle “copie autentiche”, rilevante ai sensi dell’art.478 c.p.: appare evidente, infatti, dal racconto dei due dipendenti, come loscritto da loro redatto sia in originale.

In secondo luogo, appare corretto escludere anche la natura certificativa deidocumenti. La distinzione tra atto pubblico e certificato consiste in ciò, che nelprimo il pubblico ufficiale dà conto di attività da lui svolte nell’esercizio dellesue funzioni; mentre il certificato « si caratterizza per il contenuto dichiarativodi atti pubblici preesistenti o di fatti non conosciuti direttamente dal pubblicoufficiale per non essersi verificati alla sua presenza » (Cass. pen., sez. V, 17novembre 1993, in C. pen. 1994, p. 93). Ha affermato, in materia, laSuprema Corte, che « per poter qualificare come certificato amministrativo un

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atto proveniente da un pubblico ufficiale, devono concorrere due condizioni: a)che l’atto non attesti i risultati di un accertamento compiuto dal pubblicoufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate; b) che l’atto,pur quando riproduca informazioni desunte da altri atti già documentati, nonabbia una propria distinta e autonoma efficacia giuridica, ma si limiti ariprodurre anche gli effetti dell’atto preesistente » (Cass. pen., sez. V., 14marzo 2000, in R. giur. pol. 2002, p. 56). Ora, appare evidente come, nelcaso di specie, la compilazione dei moduli sia destinata a notiziare soggettiterzi (id est: i vertici del settore in cui operano i due dipendenti) dellemansioni svolte da Tizio e Caia e che attengono all’esercizio di pubblichefunzioni. Emblematica è, sul punto, una sentenza della Corte di cassazionesecondo cui « l’atto pubblico è un documento originale, avente valorecostitutivo, diretto a provare l’attività compiuta dal pubblico ufficiale che lo haredatto » (ancora Cass. pen., sez. V, 17 novembre 1993). Appare dunqueevidente la non riconducibilità dei documenti in esame alla categoria deicertificati amministrativi.

Rimane da stabilire se non si sia in presenza di un atto avente funzione diautorizzazione amministrativa, rilevante ex art. 477 c.p. A tal fine è necessarioesaminare attentamente il fatto storico per poter individuare correttamente lafunzione dei moduli compilati. Dal racconto di Tizio e Caia emerge che idocumenti in esame vengono redatti al termine di ogni trasferta e che, solo, afine mese, sono consegnati ai vertici dell’ufficio centrale, che procederanno alloro vaglio. Ciò induce ad escludere una loro eventuale funzione autorizzativa:infatti, se così fosse, i moduli dovrebbero essere compilati e vistati dai vertici, maprima che si proceda alla trasferta. In quel caso, allora, la compilazione ed ilsuccessivo controllo dei documenti avrebbe come scopo di consentire alladirigenza un previo controllo dell’attività di Tizio e Caia.

Invece, i certificati vengono compilati solo ad attività compiuta: con essi idue impiegati forniscono un sintetico resoconto dell’attività di trasferta da loroeffettuata. Ma allora, appare evidente la riconducibilità di tali documenti allacategoria degli atti pubblici così come individuati dalla giurisprudenza supramenzionata: in essi i pubblici ufficiali danno, infatti, conto dell’attività svoltanell’esercizio delle loro funzioni.

Ciò vale ancorchè tali atti siano dotati di esclusiva rilevanza interna (difattisono destinati all’esame e alla supervisione dell’ufficio centrale): più volte,infatti, la Cassazione è intervenuta a chiarire che anche gli atti aventi mera

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rilevanza interna sono qualificabili come atti pubblici (Cass. 16 maggio1994,n. 41, in C. pen. 1996, I, p. 93, e, più recentemente, Cass. pen. 18 marzo1999 n. 274, ivi 2000, I, p. 377).

Dunque si è in presenza di atti pubblici redatti da pubblici ufficiali (talisono, infatti, i dipendenti dell’ufficio tecnico comunale secondo Cass. pen., sez.VI, 18 ottobre 1984, in R. pen. 1985, p. 742).

Una volta verificato ciò, si tratterà di accertare, ulteriormente, se la falsitàapportata al testo del documento sia stata effettivamente realizzata da ciascundipendente « nell’esercizio delle sue funzioni », così come richiede la norma. Sidovrà, pertanto, in primo luogo, verificare se essi sono competenti allaredazione dell’atto: solo in quel caso sarà possibile attribuire loro unaresponsabilità per falso materiale ex art. 476 c.p.

Per esemplificare il concetto, immaginiamo di trovarci di fronte ad un attocomplesso, alla cui formazione concorrono due pubblici ufficiali, ciascuno competenteper una parte del documento. Rispetto a quella parte per la quale è competente,ciascuno degli ufficiali potrà commettere il reato di falso, introducendo attestazioninon vere o apponendovi la firma di altra persona. Consideriamo invece che uno deidue soggetti falsifichi quella parte del documento che è di pertinenza dell’altro: inquesta particolare ipotesi non si potrebbe dire che egli abbia agito nell’esercizio dellesue funzioni poiché non rientra, appunto, nelle sue funzioni, formare quella parte deldocumento. Dunque, in tale ultima ipotesi, il pubblico ufficiale agisce come privato epotrebbe, tutt’al più, essere perseguibile per la fattispecie di cui all’art. 482 c.p., nellaparte in cui si parla di reato commesso da « un pubblico ufficiale fuori dell’eserciziodelle sue funzioni ».

Vero è, però, che la locuzione « esercizio delle sue funzioni » è sempre stataintesa dalla giurisprudenza non in senso specifico, bensì generico: l’attoalterato deve rientare per sua natura nella competenza funzionale del pubblicoufficiale, ma è indifferente che tale competenza riguardi tutto l’atto nella suainterezza oppure soltanto una parte di esso: « onde il requisito sussiste – haaffermato al riguardo la Suprema Corte – se il soggetto ha il potere dicollaborare in un modo qualsiasi alla formazione dell’atto » (Cass. 9 ottobre1987, in C. pen. 1989, p. 203; nello stesso senso si veda, menorecentemente, Cass. pen. 21 giugno 1965, in Giust. pen. 1966, II, p. 83).Dunque, va da sé che Tizio e Caia, certamente competenti alla redazione diuna parte dell’atto pubblico in questione, potranno essere, almenoastrattamente, responsabili per le firme apposte in calce al documento.

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Infatti, sempre esprimendosi sul punto, la Corte di cassazione, nellasentenza 30 aprile 1996, n. 5652, ha sostenuto che « risponde del reatoprevisto dalla suddetta norma incriminatrice – art. 476 c.p. – e non da quelladi cui all’art. 482 c.p., il pubblico ufficiale investito della competenzafunzionale in relazione agli atti contraffatti o alterati, o che alteri quelli di cuipervenga in possesso per ragioni d’ufficio, ancorché formati da un pubblicoufficiale appartenente ad un ufficio diverso ». Ora, il caso dei due dipendentiche falsificano la firma del loro dirigente, appartenente ad un ufficio distinto egerarchicamente sovraordinato al loro, sembra potersi pacificamente sussumeresotto la massima della sentenza citata: la firma del documento, infatti, purnon attribuibile alla competenza specifica di Tizio e Caia, rientra però nelcomplesso delle attribuzioni facenti parte della loro competenza funzionale.

Per quanto attiene all’ipotesi specifica ed ulteriore, di Tizio che falsifica lafirma di Caia, vale l’argomento a fortiori: se il pubblico ufficiale puòcommettere il reato in atti che sono formati da un soggetto appartenente adun ufficio diverso, va da sé che lo stesso sarà imputabile per aver alterato undocumento proveniente da un componente del medesimo ufficio e, dunque,appartenente al medesimo settore di competenza specifica.

Appurato questo, si tratta ora di stabilire se, nel caso di specie, la condottadi Tizio e Caia, di falsificazione delle firme, sia sussumibile sotto la fattispeciedi cui all’art. 476, comma 1, c.p., « Falsità materiale commessa dal pubblicoufficiale in atti pubblici » (il capoverso delinea un’ipotesi specifica che sirealizza allorché la falsità concerna atti o parti di atto che fanno fede fino aquerela di falso e non è questo sicuramente il caso).

Due in particolare sono le ipotesi di falso realizzate dai dipendenti: da unlato, entrambi hanno proceduto a falsificare la firma del loro dirigente;dall’altro lato, Tizio ha provveduto ad apporre lui stesso la firma di Caia sualcuni documenti.

Per quanto riguarda la prima ipotesi è necessario sottolineare un’ulterioredistinzione che riguarda la modalità di apposizione della firma falsa: in uncaso Tizio e Caia hanno proceduto a fotocopiare la firma (genuina) del lorodirigente; in un’altra ipotesi hanno riprodotto loro stessi tale firma.

Per questa seconda ipotesi si potrebbe ipotizzare la configurabilità di unfalso c.d. grossolano: tale tipo di falso ricorre allorché la falsità del documentoappaia ictu oculi. Si tratta, invero, di fattispecie nelle quali la falsità dell’atto ètalmente evidente, riconoscibile da chiunque, che le potenzialità ingannatorie

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del documento sono praticamente nulle. La ratio della non punibilità del falsogrossolano risiede nella non offensività della condotta falsificatoria: l’atto nonè idoneo ad ingannare il pubblico onde ne deriva la mancata realizzazionedell’evento della fattispecie.

Tale figura integra un’ipotesi di reato impossibile per inidoneità dell’azione:ai sensi dell’art. 49, comma 2, c.p. Nel caso specifico, l’inidoneità ingannatoriadel documento renderebbe appunto impossibile il realizzarsi dell’offesa allapubblica fede.

Ora, dal racconto dei due dipendenti si evince che gli stessi hannoproceduto, in alcune ipotesi, ad apporre un « segno che imita la firma deldirigente »: ciò significa che Tizio e Caia hanno redatto sui documenti unsegno grafico che risultasse il più possibile simile alla firma originale. Ciòposto, la falsità realizzata risulterà sufficientemente idonea ad ingannarechiunque si trovi a maneggiare lo scritto, in quanto poco differenziata rispettoalla firma del capoufficio: non sembra dunque potersi parlare, nel caso dispecie, di falso grossolano.

Tralasciando per un attimo questa prima ipotesi, proviamo a prendere inconsiderazione quella parte dei documenti in cui la firma del dirigente è statafotocopiata: il problema della configurabilità del falso assume qui unarilevanza autonoma in virtù di alcune sentenze della Corte di cassazione,secondo cui « la riproduzione fotostatica di un documento originale integra gliestremi del reato, quando si presenti non come tale, ma con l’apparenza di undocumento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede » (Cass.pen. 15 aprile 1999, n. 7566, in C. pen. 2000, p. 1594). Ancora, Cass. 17giugno 1996, n. 7717, ivi 1997, p. 2055, afferma che « la riproduzionefotostatica di un documento originale non integra il reato di falso quando,nell’intenzione dell’agente e nella valenza oggettiva, l’atto sia presentato comefotocopia ». Difatti, allorché il documento « sia presentato come fotocopia », èimpossibile l’evento rappresentato dalla lesione della pubblica fede proprio inquanto la “falsità” dello stesso è evidente e perfettamente riconoscibile dallatotalità degli utenti.

Nel caso di specie, sia la ripetitività del comportamento di Tizio e Caia, siala circostanza che entrambi omettano di adottare accorgimenti particolari peroccultare la loro attività di riproduzione della firma del dirigente (così sembrapotersi desumere dall’esame del fatto storico, come rappresentato in epigrafe)appaiono significativi al fine di escludere, in entrambi i dipendenti, la

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sussistenza della volontà di presentare come originali delle semplici copiefotostatiche del modulo firmato.

Veniamo, a questo punto, ad esaminare la seconda ipotesi di falsoindividuabile dal racconto dei due dipendenti: Tizio è solito apporre sui modulidi attività esterna tanto la propria firma quanto quella della collega Caia, conil di lei consenso. Nel caso specifico si tratta di verificare se il consenso di Caiaè sufficiente a scriminare la condotta di Tizio. Più in generale si tratterà diesaminare la sfera di operatività della causa di giustificazione di cui all’art. 50c.p. nell’àmbito dei delitti di falso materiale: può ritenersi integrata lafattispecie di contraffazione ancorché la stessa sia avvenuta con il consensodell’autore?

La dottrina appare, sul punto, divisa tra coloro che ritengono che larilevanza pubblicistica del bene giuridico – fede pubblica ostacoli l’operativitàdella scriminante e chi, per contro, ritiene la norma di cui all’art. 50perfettamente operante (all’interno di questo secondo indirizzo si distinguequalche Autore secondo cui il consenso è in grado di giustificare i soli reati difalso in scrittura privata).

A tale varietà di indirizzi dottrinali corrisponde, però, un unitarioorientamento della giurisprudenza, secondo cui il consenso dell’avente dirittonon ha efficacia scriminante nell’àmbito dei delitti di falso: sul punto si èespressa la Cassazione affermando che « ai fini della sussistenza del delitto difalsità in scrittura privata non ha alcuna rilevanza il consenso o l’acquiescenzadella persona di cui fu falsificata la firma, poiché la tutela penale ha peroggetto la pubblica fede, che viene compromessa dalla formazione di unascrittura falsa di cui si faccia uso per procurarsi un vantaggio e per arrecare adaltri un danno » (Cass. pen., sez. V, 4 giugno 1980, in Giust. pen. 1981, II,p. 297).

Dunque, il consenso prestato da Caia non è sufficiente a scriminare lacondotta del collega.

Analizzando tale comportamento da un’altra visuale si potrebbe ipotizzarela riconducibilità della condotta di Tizio (per ciò che concerne, si ricordi, lasola apposizione della firma di Caia) ad un’ipotesi di falso innocuo. La teoriadel falso innocuo è legata strettamente alla teoria della plurioffensività delreato di falso. Parte della dottrina (Antolisei) afferma che i delitti in materiadi falso sono idonei a ledere in concreto una pluralità di oggetti giuridici. Piùprecisamente, mentre, da un lato, si ha l’offesa (lesione o messa in pericolo)

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del valore della fede pubblica, dall’altro lato il singolo reato di falso offende« quell’interesse specifico che è garantito dalla genuinità e veridicità dei mezzidi prova ». Secondo questo orientamento dottrinale, nella realtà delle cose ilfalso non è mai fine a se stesso: si falsifica per conseguire un risultato utile, chesta al di là della falsificazione stessa. Così nel falsificare una cambiale il reomira a ledere l’interesse della persona la cui firma è contraffatta, mentre lafalsificazione di un biglietto di viaggio ha lo scopo di frodare l’amministrazioneferroviaria.

Ciò premesso, la teoria del falso innocuo prende le mosse dallaconsiderazione della plurioffensività dei delitti di falso, per affermare cheladdove si abbia, in concreto, la sola lesione del bene della pubblica fede e nonanche quella dell’interesse specifico tutelato dalla norma, il falso ègiuridicamente irrilevante in quanto, appunto, innocuo.

Ora, nel caso specifico si tratta di verificare se la condotta di Tizio (diimitazione della firma di Caia) offenda, oltre al bene della pubblica fede, cheviene sicuramente leso, anche un interesse specifico, facente capo a Caia. Ellaha sicuramente interesse a che la propria firma non venga contraffatta alloscopo di procurarle un danno. Ma nel caso di specie, non sembra possibileindividuare un interesse che venga leso dal difetto di genuinità della firma, tantopiù che la stessa Caia ha autorizzato l’apposizione della stessa. In conseguenzadi ciò, essendo leso unicamente il bene giuridico della pubblica fede, lafattispecie, che è plurioffensiva, non si perfeziona: la falsificazione operata daTizio è assolutamente inquadrabile nella categoria del falso innocuo.

A questo punto, facendo un passo indietro, si prenda nuovamente inconsiderazione l’ipotesi di falsificazione della firma del dirigente da parte sia diTizio che di Caia: è ravvisabile in tal caso la lesione di un interesse specifico, inaggiunta all’offesa della pubblica fede (quest’ultima sicuramente ravvisabile)?Una risposta affermativa appare la più corretta: l’apposizione della firma, daparte del dirigente, sui moduli in cui si dà conto dell’attività di servizio esternasvolta da Tizio e Caia è la manifestazione esteriore di una funzione di controlloesercitata dal dirigente. Egli, infatti, è tenuto a verificare l’effettivo svolgimento,da parte di Tizio e di Caia, dell’attività “esterna” loro deputata, la firmarappresenta, da questo punto di vista, il sigillo di tale attività di controllo: dunquela falsificazione della stessa lede, oltre alla fede pubblica, quell’interesse alla cuiprotezione è diretta l’attività di supervisione effettuata dal dirigente.

Si deve dunque concludere che, nel caso appena esaminato (Tizio e Caia

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falsificano la firma del loro dirigente apponendo sul foglio di gestione dellepresenze un segno grafico), il reato di falsità materiale in atto pubblico siaintegrato nella sua oggettiva materialità. Rimane da verificare se si sia o menorealizzato anche l’elemento soggettivo, nel qual caso il reato sarebbe daconsiderare perfetto.

La tematica dell’elemento soggettivo nei delitti di falso è stata ed è tuttoraampiamente dibattuta tanto in dottrina che in giurisprudenza, con evidenticontrasti di fondo a tutt’oggi insanati. La giurisprudenza è da sempre attestatasu posizioni rigoristiche, caratterizzate da un eccessivo formalismo, secondocui, ai fini della sussistenza del dolo generico, è sufficiente la coscienza evolontà, nel soggetto agente, dell’immutatio veri, senza che assuma alcunrilievo l’eventuale fine perseguito o l’eventuale consapevolezza di arrecare adaltri un danno (animus nocendi vel decipiendi).

La dottrina, da sempre, è assai critica verso tale atteggiamento dellagiurisprudenza; essa afferma che un tale indirizzo conduce ad una sostanzialeaffermazione dell’ormai anacronistico principio del dolus in re ipsa.L’orientamento prevalente, dunque, richiede che qualcos’altro si accompagnialla mera coscienza e volontà della falsificazione (Giammona): ed allora daalcuni si esige « la coscienza dell’idoneità ingannatoria della falsificazione »(Fiandaca-Musco) mentre da altri si pretende « l’ulteriore consapevolezzadel pericolo che crea per il normale svolgimento del traffico giuridico » (De

Marsico).La giurisprudenza più recente sembra aver recepito almeno in parte le

indicazioni della dottrina, tanto da arrivare ad affermare la necessità diaddivenire sempre ad una rigorosa prova del dolo (che non può mai essereconsiderato in re ipsa), sostenendo che « il dolo deve essere escluso ogni qualvolta la falsità risulti oltre o contro l’intenzione dell’agente come, ad esempio,quando il fatto sia dovuto ad una leggerezza o negligenza del medesimo nonconoscendo il nostro ordinamento la figura del falso colposo » (Cass. 16dicembre 1986, in C. pen. 1988, p. 1018; Cass. pen. 31 maggio 1989, in R.pen. 1990, p. 835).

Più in generale, si deve concludere nel senso che la sussistenza del dolo deveessere concretamente accertata in ogni singolo episodio: in particolare laSuprema Corte ha affermato che « quanto alla prova, il dolo, quale fenomenointerno e soggettivo, si manifesta attraverso segni esteriori, sicché resta affidataai facta concludentia, ossia a quelle modalità estrinseche dell’azione dotate di

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valore sintomatico » (Cass. pen. 16 dicembre 1986 e, in dottrina,Giammona). Si tratta allora di verificare se, nel caso di specie, dalcomportamento dei due impiegati emerga qualche elemento dal quale possadesumersi l’assenza del dolo. Esaminando attentamente il racconto di Tizio eCaia appare innanzitutto evidente come essi fossero soliti apporre sui modulila falsa firma a causa della difficile rintracciabilità del dirigente: da tale datoemerge come la loro volontà fosse piuttosto quella di facilitare l’esecuzione diun compito per loro ripetitivo. In sostanza la volontà degli agenti era direttanon tanto a ledere la genuinità di un documento: Tizio e Caia hanno agito con“leggerezza e negligenza” all’unico scopo di velocizzare la loro attivitàlavorativa. Dunque, poiché il falso colposo non è previsto dalla legge, la loropunibilità deve essere esclusa anche per la condotta ora esaminata.

In conclusione, pare doversi escludere la penale responsabilità di Tizio eCaia per ciascuna delle condotte evidenziabili nel fatto storico supra riportato.

Per ciò che concerne l’attività di entrambi, consistita nell’apporre, suimoduli destinati a provare l’avvenuta trasferta, la firma del dirigente, in uncaso tramite riproduzione fotostatica, nell’altro mediante riproduzione grafica,il reato di cui all’art. 476 c.p. non sembra mai consumarsi: la prima ipotesirisulta, infatti, penalmente irrilevante alla luce di quel filone giurisprudenzialeche nega alle riproduzioni fotostatiche carattere di falsità, a patto che le copienon siano fatte passare per originali. Nella seconda ipotesi, consistentenell’imitazione da parte dei due impiegati, della firma del dirigente, purdovendosi ammettere il perfezionarsi del reato nella sua oggettiva materialità,pare debba escludersi l’elemento soggettivo; rectius: mentre è da escludersi lariconducibilità, ai due dipendenti, di una intenzionalità dolosa, l’atteggiamentocolposo, di colpa generica per violazione di un dovere di diligenza, ancorché inipotesi sussistente, non determina la punibilità di Tizio e Caia perché il fatto direato loro contestabile non è previsto dalla legge come delitto colposo. Rimane,in ultimo, da considerare l’ipotesi imputabile al solo Tizio che, con il consensodi Caia, ha falsificato la di lei firma: pur non dovendosi ammettere, in questocaso, l’efficacia scriminante del consenso prestato, sembra comunque potersiaffermare la non punibilità del dipendente per essere la sua condottariconducibile ad un’ipotesi di falso innocuo, in ragione del carattere soloparzialmente offensivo del fatto, laddove la norma di cui all’art. 476 c.p. sicaratterizza, secondo una parte della dottrina, supra richiamata, per la suaplurioffensività.

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Nel gennaio 2000, si è aperta la successione di Tizio, vedovo, in fa-vore dei quattro figli, Primo, Secondo, Terza e Quarto.

La successione, regolata solo in parte da testamento olografo, debita-mente pubblicato, ha ad oggetto un cospicuo patrimonio immobiliare,composto da fabbricati e terreni, taluni dei quali espressamente fatti og-getto di “assegnazioni” in favore di ciascuno dei quattro figli, con la pre-cisazione che, nel compiere tali “assegnazioni”, si sono avuti presenti idiritti dei legittimari, e non si è inteso in alcun modo lederli.

Non esistono chiamati ulteriori alla successione.Primo, Secondo, Terza e Quarto sono tutti coniugati in regime di se-

parazione dei beni.Nel marzo 2000, Terza conferisce procura a Caio, incaricandolo di

curare in suo nome e per suo conto la sistemazione della vicenda suc-cessoria, avendo residenza in comune distante da quello di aperturadella successione.

Trovandosi nella condizione di dovere fare rapidamente fronte a unacongiuntura economica sfavorevole, Primo e Secondo vorrebbero attri-buire a titolo oneroso la parte di loro spettanza dei beni non assegnati alfratello Quarto e alla di lui moglie Quarta, dichiaratisi immediatamentedisponibili all’acquisto per una somma in misura solo modestamenteinferiore al loro valore di mercato.

Nel marzo 2005 gli stessi si recano allora da un notaio, e stipulanoun atto di cessione dei loro diritti ereditari a favore di Quarto e Quarta.

All’atto assistono quali testimoni l’amico di famiglia Quinto e Caio.Terza, che è rimasta all’oscuro di tutto, venuta a sapere della vicenda

nel settembre dello stesso anno, si reca dal notaio Enotrio Enotri di Fra-

Concorso per notaioProva teorico-pratica riguardante un atto di ultima volontà

di Francesca Taddei

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scati, chiedendo chiarimenti sull’accaduto, e il suo consiglio su come siapossibile neutralizzare gli effetti, che ritiene per lei lesivi, dell’atto chePrimo, Secondo, Quarto e Quarta hanno concluso.

Il candidato, assunte le vesti del notaio Enotrio Enotri, verifichi lapossibilità di redigere un atto idoneo a soddisfare gli interessi di tutti isoggetti coinvolti nella vicenda, tenendo presente la loro disponibilità aporre in essere tutto ciò che il notaio ritenga opportuno.

* * *

La soluzione del caso in esame presuppone la trattazione di molteplicitematiche di grande interesse.

Innanzi tutto, occorre inquadrare le “assegnazioni” di cui si parla neltestamento, che potrebbero essere classificate o come assegni divisionalisemplici (art. 733 c.c.) o come assegni divisionali qualificati (art. 734 c.c.).

La diversità fra i due istituti sta in ciò, che, mentre nel primo caso iltestatore detta regole da seguire nella futura divisione della comunioneereditaria, disponendo con effetti meramente obbligatori, nel secondo dividedirettamente i suoi beni fra gli eredi, con effetto reale, impedendo l’insorgere,rispetto ai beni assegnati, della comunione ereditaria.

La divisione del testatore di cui all’art. 734 c.c. è tuttora oggetto diinteressanti discussioni.

Superati i dubbi dogmatici riguardanti la possibilità di configurarla neitermini di una vera e propria divisione in sede successoria, fondatisull’assenza, nel momento di apertura della successione, di uno stato dicontitolarità che possa essere sciolto in virtù delle disposizioni testamentarie,la riconducibilità, comunque, della fattispecie al fenomeno divisorio è statafondata sulla comune funzione distributivo - attributiva attuata mediante laripartizione.

La dottrina maggioritaria (Cicu, Bonilini, Palazzo) riconosce duemodalità di realizzazione della divisione che dunque così comunque verrebbead essere attuata. Si distingue, cioè, il caso in cui l’attribuzione siaaccompagnata da una vocazione testamentaria in quote determinate, e cioèdall’individuazione delle quote astratte spettanti a ciascun chiamato, o siadisposta senza tale predeterminazione, nella forma di assegnazioni concreteaccompagnate dall’intenzione di considerarle come quote del patrimonio.

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In questo secondo caso, in cui i momenti dispositivo e distributivo nonsono distinguibili, chiara appare la correlazione con l’istituto della istituzioneex re certa prevista dall’articolo 588 c.c.: la divisione risulta infattirealizzata, in pratica, attraverso un fascio di istituzioni ex certis rebus. Conla conseguenza che non potranno trovare applicazione né l’art. 735 c.c., perla parte in cui dispone la nullità della divisione in cui non sia stato compresoqualcuno degli eredi istituiti (dato che l’istituzione viene compiuta con lastessa divisione) né l’art. 763, comma 2, c.c., che ammette la rescissionedella divisione anche nel caso di divisione fatta dal testatore, poiché laproporzionalità fra quota e porzione è in re ipsa.

Per quanto riguarda il nostro caso, è sembrato preferibile considerare le“assegnazioni” effettuate dal testatore come assegni divisionali qualificati,accompagnati da una vocazione legittima per quanto concerne il residuo (suquest’ultimo punto, torneremo tra breve): l’espressa indicazione dell’assenzadi una volontà di ledere i diritti dei legittimari sembra infatti testimoniare nelsenso di una volontà di procedere all’attribuzione dei beni considerati.

Ciò posto, è da chiedersi: può darsi che, nonostante questa volontà, unalesione dei diritti dei legittimari sia da ravvisare, lì dove si debba constatareche, tramite le “assegnazioni”, sono stati superati i limiti della disponibile?

Il che equivale a chiedersi se, nonostante che l’art. 734 c.c. consenta altestatore di attribuire per via di divisione anche la quota non disponibile,debba comunque trovare applicazione il principio della intangibilitàqualitativa della quota riservata, con la conseguente impossibilità, per iltestatore, di comporre liberamente il lotto del legittimario.

A parte però i dubbi che potrebbero essere sollevati con riguardo allafondatezza di tale principio, alla risposta negativa sembra possibile giungereconsiderando come la norma dell’art. 549 c.c., diretta a sancire la nullità deipesi e delle condizioni apposti alla quota dei legittimari, non sia applicabile,per espressa previsione contenuta nello stesso art. 549 c.c., in materia didivisione: ciò che induce a concludere che l’unico limite, per il testatore cheproceda a disporre assegni divisionali, è rappresentato dalla intangibilitàquantitativa della quota di riserva.

Un ulteriore dubbio che occorre sciogliere riguarda poi il carattereuniversale o non della vocazione che abbiamo inteso avere disposto iltestatore per il tramite delle “assegnazioni”.

Si deve chiarire, in altri termini, se il testatore fosse consapevole della

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parzialità del riparto da lui operato, nel qual caso le quote corrispondenti alle“assegnazioni” andranno calcolate tenendo conto anche dei beni nonassegnati, e la loro somma non potrà evidentemente essere pari all’intero, ose il testatore, nel disporre le “assegnazioni”, immaginasse di disporre deltutto, nel qual caso anche i beni residui dovranno essere ripartiti avendocome punto di riferimento le quote, non predeterminate, ma risultanti dalrapporto fra il valore delle singole assegnazioni e il valore della massa presain considerazione dal disponente, senza possibilità, in questo caso, adifferenza che nel primo, di farsi luogo alla successione legittima.

Sembra possibile, per quanto ci riguarda, concludere di essere di fronte aduna successione testamentaria “parziale”: è difficile, infatti, immaginare che iltestatore ignorasse, nel momento in cui manifestava le sue volontà, di essereproprietario anche di altri beni, trattandosi, come si dice nella traccia, difabbricati e terreni di ingente valore.

La conclusione dovrebbe essere allora nel senso che l’attribuzione dei beniresidui dovrà avvenire per via di successione legittima.

E qualche ulteriore precisazione appare allora opportuna con riguardo alladuplicità di vocazione che sembra perciò caratterizzare la nostra vicenda.

Ai sensi dell’art. 457 c.c., l’eredità si devolve per legge o per testamento:la successione legittima interviene solo nel caso in cui manchi in tutto o inparte il testamento: si ha una netta prevalenza della successionetestamentaria su quella legittima, in ossequio al generale principio dellapreferenza accordata dal nostro ordinamento alla volontà del testatore (c.d.favor testamenti).

Il concetto di vocazione deve essere tenuto distinto da quello di delazione,poiché (soltanto) la seconda comporta la effettiva messa a disposizionedell’eredità, e quindi la possibilità di acquistarla, laddove con la prima siindividua il titolo in forza del quale avviene la delazione.

Si tratta di una distinzione che ha rilievo non soltanto teorico, ma anchepratico, potendo porsi la questione se, in corrispondenza di una duplicevocazione, possa configurarsi anche una duplicità di delazione. In casoaffermativo, si dovrebbe concludere che il chiamato potrebbe accettarel’eredità a lui devoluta per testamento e rinunciare a quella legittima, oviceversa.

Nonostante qualche pronuncia contraria (Cass. n. 9513/2002), ladottrina (Ferri; Burdese) e la giurisprudenza maggioritarie (Cass. n.

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Temi

1017

2609/1972) affermano l’unicità della delazione indipendentemente dal tipodi vocazione, in considerazione, fra l’altro, del fatto che la leggeespressamente vieta la rinuncia parziale all’eredità, quando proprio una talerinuncia, in sostanza, si avrebbe se si ammettesse che possa darsi unaduplicità di delazione.

Ma torniamo al nostro caso, in cui, tenuto conto di quanto abbiamo sinqui potuto stabilire, possiamo dire che si avrà, dunque, una comunioneereditaria (solo) sui beni “residui” non assegnati, comunione cui i quattrofigli, coeredi, parteciperanno in quote uguali, e precisamente nella quota di 1/4ciascuno (v. art. 566 c.c.).

Si tratta, a questo punto, di qualificare la cessione di diritti ereditari chePrimo e Secondo vorrebbero compiere, per stabilire, poi, se la fattispecierientri o non nell’ambito di applicazione della norma sul c.d. retrattosuccessorio (art. 732 c.c.), secondo la quale il coerede che abbia intenzionedi alienare la propria quota ereditaria, o parte di essa, deve notificare laproposta di alienazione agli altri coeredi, che hanno diritto di prelazione, e,qualora non si faccia luogo alla notificazione, i coeredi hanno diritto diriscattare la quota dall’acquirente, finché duri lo stato di comunioneereditaria.

La norma in esame, che evidentemente favorisce la persistenza dellatitolarità dei beni in capo ai primi successori, è stata prevista a presidiodell’integrità del patrimonio ereditario quale specifico complesso di beni.

A fronte del diritto di prelazione, inteso come diritto di uno dei coeredi adessere preferito, a parità di condizioni, da parte del coerede in caso dialienazione ad un estraneo, si può ravvisare un’obbligazione ex lege apreferire il coerede, anziché l’estraneo, con la conseguenza che, in questoquadro, il diritto di retratto appare porsi come rimedio all’inadempimento(rilevante sul piano contrattuale) di detta obbligazione.

La natura di sanzione di un inadempimento che si vorrebbe attribuire alretratto, però, non è pacifica, soprattutto per il motivo che il retratto siesercita nei confronti del terzo, e non del coerede.

Quanto ai presupposti per l’esercizio del diritto di riscatto, anzitutto, devepermanere la comunione ereditaria.

Ai fini della configurabilità del diritto di prelazione, la cessione deve poiavvenire a favore di un estraneo, intendendosi per tale qualsiasi soggetto nonsolo che non partecipi alla comunione ereditaria, ma – alla luce di quanto

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Notaio - Atto di ultima volontà

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poco fa evidenziato con riguardo alla ratio dell’istituto – anche che nonabbia alcun legame di parentela con il de cuius o con i suoi eredi.

Quanto all’oggetto della cessione, esso deve essere costituito dalla quotaereditaria, o da parte di essa, e non da singoli beni, o da una quota deglistessi: in questi ultimi due casi, si dovrebbe intendere essere stata conclusauna cessione condizionata all’esito divisionale.

L’atto di cessione deve consistere in un’alienazione (in senso ampio) a titolooneroso, in cui la controprestazione sia fungibile. All’ipotesi, tipica, della venditapossono, perciò, essere affiancate, ad esempio, quelle della permuta della quotaereditaria con cose generiche e della datio in solutum della quota ereditaria.

Autorevole (anche se non pacifica) dottrina (Forchielli - Angeloni)ammette la prelazione pure in caso di donazione mista, allineandosi allaprospettiva, fatta propria dalla giurisprudenza prevalente (Cass. n.6711/2001) e da ampia dottrina (Galgano, Torrente, Biondi; ma nonsono mancate voci contrarie: v. Bianca), secondo cui l’onerositàcaratterizzerebbe la struttura dell’atto anche lì dove si tratti di negotiummixtum cum donatione, almeno fino a quando il corrispettivo non appaiacome obiettivamente irrisorio.

Una non lontana sentenza (Cass. n. 5265/1999) ha, peraltro, ritenutoapplicabile alla fattispecie il criterio della prevalenza, concludendo chedovrebbe riconoscersi una donazione in tutti i casi in cui risulti prevalentel’animus donandi, un atto a titolo oneroso, invece, lì dove lacontroprestazione appaia convenuta a titolo di corrispettivo.

Ravvisare, nella fattispecie, un negozio a titolo oneroso o liberale haevidentemente notevoli conseguenze sul piano pratico, poiché, al di là dellequestioni concernenti o non l’esistenza del diritto di riscatto, soltanto ladonazione abbisogna della forma solenne dell’atto pubblico con l’assistenzaobbligatoria dei testimoni.

Con riferimento, poi, all’esercizio del retratto, è stata prevista unadenuntiatio, con cui il coerede deve comunicare le condizioni della cessione.Seppure la norma parli di “notificazione”, non è stata tuttavia prescrittaalcuna forma particolare. Sembra, peraltro, opportuno, onde evitare possibilidiscussioni in proposito, ricorrere alla forma scritta, nel caso in cui si tratti dicessione di quota avente ad oggetto beni immobili.

Mancata la notificazione, e sussistendo gli altri presupposti per l’eserciziodel riscatto, l’effettivo esercizio di quest’ultimo comporta la sostituzione del

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Temi

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coerede nella stessa posizione del terzo, con effetto dalla conclusione dellacessione.

Un retratto parziale è inammissibile, in quanto avrebbe come effetto unamodifica del contenuto dell’atto di alienazione, la quale comporterebbe ilvenire meno di uno degli elementi strutturali della prelazione, vale a dire laparità di condizioni della cessione.

Tornando ora al caso proposto dalla traccia, è da dire che i presupposti perl’esercizio del retratto, nei confronti di Quarta, sembrerebbero sussistere:Quarta, coniuge di uno dei coeredi, è infatti estranea alla comunione e non èlegata da vincoli di parentela né con i coeredi né con il de cuius.

Si potrebbe, peraltro, dubitare del fatto che l’atto di cessione abbiaeffettivamente prodotto gli effetti che le parti desideravano raggiungere: sipotrebbe dubitare, cioè, che Quarto e Quarta abbiano effettivamenteacquistato i diritti di Primo e Secondo sui beni “residui”, in considerazionedell’assistenza prestata, in sede di stipulazione dell’atto, nella veste ditestimone, dal procuratore di uno dei coeredi. Vediamo perché.

Ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 50 e 58, n. 4,della Legge Notarile (legge n. 89 del 16 febbraio 1913), i testimoni all’attonon devono essere a questo interessati, a pena di nullità dell’atto medesimo.

Il requisito della mancanza di interesse all’atto da parte del teste èconnaturato alla funzione propria del testimone. La legge, infatti, intendegarantire la neutralità e l’imparzialità dei testimoni, di talché possano esserecontrollori del regolare svolgimento della stipula, con perfetta corrispondenzafra quanto è dichiarato dalle parti, quanto le stesse abbiano intenzione diconcludere e ciò che viene trasferito per iscritto nel documento. La loropresenza, quindi, non può e non deve influenzare, neanche potenzialmente,la formazione della volontà delle parti, ciò che può invece ritenersiragionevolmente possibile nel caso di persona interessata all’atto.

E Caio era certamente interessato all’atto, in quanto incaricato da Terzadi curare, in suo nome e per suo conto, tutto quanto necessario per lasistemazione della vicenda successoria.

Sembrerebbe doversi dunque concludere per la nullità dell’atto.La circostanza che all’atto abbia prestato assistenza un testimone non

idoneo, oltre che incidere sulla validità dell’atto medesimo, può poi ancherappresentare fonte di responsabilità per il notaio. Se, infatti, è vero che ilnotaio non ha l’obbligo di accertarsi dell’identità personale dei testimoni,

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Notaio - Atto di ultima volontà

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come invece delle parti, è facile vedere come sussista comunque a suo caricol’obbligo di accertare l’idoneità degli stessi, secondo quanto prescritto dallalegge notarile, costituendo, detta idoneità, un requisito posto a pena di nullitàdell’atto, nullità della quale deve, ovviamente, rispondere.

Nei confronti di Caio, Terza potrà poi agire lamentando l’inadempimentodell’obbligo da lui assunto di curare, nel suo interesse, la sistemazione dellavicenda successoria.

Nonostante l’assistenza all’atto di un testimone interessato, l’atto medesimodovrà, però, intendersi avere prodotto comunque i propri effetti, alla luce diquanto previsto nell’art. 2701 c.c., che dispone la conversione formale dell’attopubblico redatto senza l’osservanza delle formalità prescritte in scritturaprivata, lì dove – come nel nostro caso – sia stato sottoscritto dalle parti;articolo, questo, sicuramente applicabile nel nostro caso, in considerazione diquanto disposto nel già citato art. 58 della legge notarile, che commina lanullità – fra l’altro – dell’atto concluso con l’assistenza di un testimoneinidoneo, « salvo ciò che è disposto dall’art. 1316 del Codice civile » del 1865,il cui contenuto era esattamente lo stesso dell’odierno art. 2701 c.c.

In definitiva, si può concludere che Terza si trova effettivamente nellacondizione di poter esercitare, nei confronti di Quarta, il retratto previstodall’art. 732 c.c.

Considerata, peraltro, la disponibilità dei soggetti interessati a giungere adun accomodamento, sembrerebbe più opportuno superare le divergenze orisolvendo per mutuo consenso la cessione di cui in oggetto, e ristabilendo,così, lo status quo ante, o procedendo senz’altro alla divisione, ecomponendo la questione concernente il retratto in via transattiva.

La soluzione più idonea a realizzare gli interessi delle parti è sembrataquest’ultima, se non altro per la sua maggiore immediatezza ed economicità:la risoluzione per mutuo consenso avrebbe infatti imposto la stipula, al finedi sciogliere la comunione, alla quale è facile prevedere, considerati i pregressiavvenimenti, che si sarebbe comunque addivenuti, di un ulteriore atto.

È stata così prevista la rinuncia di Tizia all’esercizio del retratto a frontedella corresponsione, da parte di Quarta a Tizia, della differenza tra il valorereale della quota dalla stessa Quarta acquistata e la parte di prezzo ad essacorrispondente sborsata per l’acquisto.

* * *

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Temi

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Repertorio n. Raccolta n.

DIVISIONE E TRANSAZIONE

REPUBBLICA ITALIANA

L’anno …, il mese …, il giorno … (tutto in lettere per

disteso),

in … (Comune e luogo in cui l’atto è ricevuto),

avanti a me Dottor Enotrio Enotri, notaio in Frascati, iscritto

al Ruolo dei Distretti Notarili riuniti di Roma, Velletri e

Civitavecchia, alla presenza dei signori:

- AA (nome cognome, luogo e data di nascita, domicilio/residenza),

- BB (idem),

quali testimoni aventi i requisiti di legge, come mi confermano,

sono comparsi:

- Terza (idem e C.F.), che dichiara di essere coniugata in

regime di separazione dei beni;

- Quarto (idem e C.F.), che dichiara di essere coniugato in

regime di separazione dei beni con la signora:

- Quarta (idem e C.F.).

I comparenti, della cui identità personale io notaio sono certo,

PREMESSO

- che, in data … gennaio 2000, si è aperta la successione del

signor Tizio (nome, cognome, luogo e data di nascita), residente in

vita in …, via …, n.c. …, deceduto in …;

- che in conseguenza al decesso si apriva la successione a

favore dei signori Primo, Secondo, Terza e Quarto;

- che non ci sono altri aventi diritto alla successione del padre

Tizio;

- che detta successione è regolata da testamento olografo

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Notaio - Atto di ultima volontà

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pubblicato con verbale per atto notaio …, repertorio …, raccolta

…, del …, registrato a … il …, al n. …, e trascritto all’ufficio

dei Registri Immobiliari di …, in data …, al n. … di registro

particolare;

- che fanno parte del compendio ereditario i seguenti immobili:

a) … ;

b) … ;

c) … ;

(descrizione dei singoli immobili, fabbricati e terreni,

completi di identificativi catastali, confini e quanto altro

prescritto dall’art. 51 L.N.)

- che con il testamento venivano assegnati i beni di cui alle

lettere … rispettivamente a …;

- che pertanto, relativamente ai beni di cui alle lettere …, si è

aperta la successione legittima ai sensi e per gli effetti del

combinato disposto degli articoli 457 e 566 codice civile;

- che in relazione alla suddetta successione è stata presentata

all’Agenzia delle Entrate di . . . . .la dichiarazione di successione

in data . . ., n. . . ., vol. . . .;

- che in data … marzo 2005 veniva stipulata da Primo e

Secondo la vendita delle rispettive quote, ciascuna di un quarto

(1/4), sui beni non assegnati a favore, congiuntamente, di Quarto e

Quarta, con atto notaio …, repertorio …, raccolta …, del …,

registrato a …, il …, al n. …, e trascritto all’ufficio dei Registri

Immobiliari di … in data …, al n. … di registro particolare;

- che in occasione della compravendita sopra citata non è

avvenuta alcuna comunicazione nei confronti di Terza;

- che permane uno stato di comunione sui beni non assegnati,

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Temi

1023

essendo Terza ancora titolare della quota di 1/4 (un quarto) degli

stessi;

- che pertanto i signori Terza, Quarta e Quarto sono

comproprietari rispettivamente in ragione di 1/4 la prima e la

seconda e di 1/2 il terzo dei beni indicati alle lettere … della

presente premessa;

- che la Signora Terza, alla luce di quanto detto, ritiene di

potere esercitare nei confronti della Signora Quarta il retratto di

cui all’articolo 732 codice civile;

- che è intenzione dei comparenti addivenire ad un accordo

mediante il quale porre fine alla situazione di comunione

ereditaria e prevenire, al contempo, la lite che potrebbe sorgere tra

la Signora Terza e la Signora Quarta;

- che all’uopo è stata redatta dall’Ingegnere … perizia di

stima dei beni facenti parte del compendio ereditario, la quale

trovasi allegata al presente atto sub A.

Tutto ciò premesso, da considerarsi parte integrante e

sostanziale del presente atto, i comparenti

- convengono e stipulano quanto segue:

Articolo 1 – ASSEGNAZIONI

Per quanto occorrer possa, i comparenti confermano quanto

stipulato nell’atto di cessione di cui in premessa.

I medesimi, valendosi della stima di cui in premessa,

dichiarano:

di assegnare alla signora Terza, prestandosi reciprocamente

consenso, quanto compreso nel lotto 1 composto da …

(descrizione degli immobili);

di assegnare alla signora Quarta, prestandosi reciprocamente

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Notaio - Atto di ultima volontà

1024

consenso, quanto compreso nel lotto 2 composto da … (descrizione

degli immobili);

di assegnare al signor Quarto, prestandosi reciprocamente

consenso, quanto compreso nel lotto 3 composto da … (descrizione

degli immobili).

Articolo 2 – PATTI E CONDIZIONI

I comparenti dichiarano che quanto stipulato viene concluso ai

seguenti patti e condizioni:

a) i beni immobili di cui ai precedenti lotti vengono accettati nello

stato di fatto e di diritto in cui si trovano, con annessi e connessi,

accessori, pertinenze, servitù attive e passive, con ogni diritto azione

o ragione ad essi inerenti;

b) i comparenti si prestano reciproca garanzia per i vizi e

l’evizione derivanti da cause anteriori al presente atto, ai sensi e per

gli effetti dell’articolo 758 del codice civile;

c) l’immissione nel possesso ed ogni effetto giuridico ed economico

del presente atto decorrono da oggi, giorno al quale le parti fanno

riferimento per ogni rateizzo o conguaglio;

d) Quarta e Terza convengono, a titolo transattivo, quanto segue:

di) Quarta corrisponde a Terza, a tacitazione di ogni eventuale

diritto, in particolare ai sensi dell’art. 732 c.c., a lei spettante

relativamente a quanto acquistato da Quarta con la cessione di

cui in premessa, la somma di Euro … (in lettere per disteso),

somma che Terza dichiara di avere prima d’ora ricevuta da

Quarta, alla quale rilascia ampia e definitiva quietanza di saldo;

dii) Terza dichiara di rinunziare ad ogni azione e ragione nei

confronti di Quarta, dichiarando di non avere più nulla a

pretendere al riguardo.

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1025

Terza e Quarta si dichiarano pienamente soddisfatte,

riconoscono che il presente atto ha effetto preclusivo di ogni futuro

accertamento sulle pretese di cui in premessa e che non è dovuto

alcun ulteriore conguaglio, ritengono definitivamente tacitato ogni

reciproco diritto e fanno rinvio, per quanto non espresso, alla

disciplina degli articoli 1965 e seguenti del codice civile.

Articolo 3 – DICHIARAZIONI URBANISTICHE

Ai sensi e per gli effetti della vigente legislazione urbanistica le

parti dichiarano che, quanto all’immobile di cui alla lettera:

…) è stato costruito in forza di …, rilasciato dal Comune di

… in data …, al n. …

(descrizione dei titoli autorizzativi per ogni singolo fabbricato).

Le parti dichiarano altresì che dalle rispettive date non sono

intervenuti mutamenti di destinazione o interventi edilizi che

avrebbero richiesto licenza, concessione, autorizzazione, permesso

a costruire o denunzia di inizio attività.

Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 30, comma 2°, del Testo

Unico approvato con Decreto del Presidente della Repubblica del

6 Giugno 2001, n. 380, le parti mi consegnano i certificati di

destinazione urbanistica relativi ai terreni di cui in premessa, e

precisamente, quanto al terreno di cui alla lettera:

…) il certificato rilasciato dal Comune di …, in data …, al n.

…, che si allega al presente atto sotto la lettera “A“;

(descrizione e allegazione per ogni terreno)

Le parti dichiarano altresì che dalle rispettive date di rilascio

non sono intervenute modificazioni degli strumenti urbanistici.

Articolo 4 – DICHIARAZIONI FISCALI

Ai soli fini fiscali, le parti dichiarano di attribuire

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Notaio - Atto di ultima volontà

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al lotto 1 il valore di Euro … (in lettere per disteso);

al lotto 2 il valore di Euro … (in lettere per disteso);

al lotto 3 il valore di Euro … (in lettere per disteso).

(eventuali ulteriori disposizioni fiscali)

Articolo 5 - SPESE

Le spese del presente atto e sue conseguenti fanno carico ai

comparenti in parti uguali fra di loro.

Articolo 6 – DISPENSA DALLA LETTURA DEGLI

ALLEGATI

Le parti dispensano me notaio dalla lettura degli allegati.

Richiesto, io notaio ho ricevuto questo atto, da me letto, alla

presenza dei testimoni, ai comparenti, e da essi approvato e

sottoscritto.

Scritto interamente da me su … fogli …, ne occupa … pagine

e fin qui della …

TERZA

QUARTO

QUARTA

AA (teste)

BB (teste)

Enotrio Enotri Notaio (l.s.)

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I TEMI DEL PROSSIMO NUMERO

Concorso per uditore giudiziario – Prova scritta di diritto civile

Interessi e rivalutazione nelle obbligazioni risarcitorie.

[Letture consigliate] C.M. Bianca, Diritto civile, 5, La Respon-sabilità, Milano 1994, p. 193 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, 4,Le obbligazioni, Milano 1993, p. 141 ss. e p. 174 ss.; U. Brec-cia, Le obbligazioni, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano 1991, p. 322ss.; M. De Cristofaro, Sul cumulo di rivalutazione ed interessi esu alcuni profili irrisolti del trattamento processuale dei debiti “divalore”, in Corr. giur. 2000, p. 1065; A. Di Majo, Le obbliga-zioni pecuniarie, Torino 1996, p. 25 ss., p. 94 ss., p. 261 ss.; B.Inzitari, voce Interessi, in Dig. disc. priv. – sez. civ. IX, Torino1993, p. 566; M. Libertini, voce, Interessi, in Enc. dir. XXII,Milano 1972, p. 95; M. Pedrazza Gorliero, La variazione delsaggio degli interessi legali e la tecnica del legislatore, in questa Ri-vista 1997, p. 683; A. Riccio, Le obbligazioni pecuniarie, in Leobbligazioni, I, a cura di M. Franzoni, Torino 2004, p. 1037ss.

Giurisprudenza: i principi fondamentali sulla materia, per icasi in cui l’illecito ha titolo extracontrattuale, sono enunciatida Cass. civ., sez. un., 17 febbraio 1995, n. 1712, in F. it.1995, c. 1770.

Questi principi sono quasi unanimemente seguiti dallagiurisprudenza successiva.

Principi del tutto analoghi sono applicati dalla giurispru-denza anche all’illecito contrattuale diverso dall’inadempi-mento di un’obbligazione pecuniaria: vedi Cass. 6 aprile2005, n. 7094; Cass. 19 dicembre 1996, n. 11381, in questaRivista 1997, p. 411, annotata da G. De Cristofaro.

Difformemente dall’opinione espressa delle Sezioni unite,

una parte della giurisprudenza qualifica ancora gli interessisulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno comecompensativi, conformemente all’orientamento tradizionale(Cass. 11 febbraio 2008, n. 2839), un’altra parte invece liqualifica come moratori (Cass. 15 maggio 1998, n. 4916).

Si confermano da un punto di vista teorico ai principienunciati dalle Sezioni unite, ma in concreto li superano, daun lato Cass. 11 giugno 1998, n. 5795 (che riconosce gli in-teressi nella sola misura che eccede il tasso di svalutazione) eCass. 28 novembre 1997, n. 12029 (che nega in toto il cu-mulo), dall’altro Cass. 19 febbraio 1998, n. 1764 (che nonsolo ammette il cumulo, ma riconosce in aggiunta ad essoanche il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, c.c.).

Ritengono che gli interessi sulle somme dovute a titolo dirisarcimento del danno debbano essere riconosciuti d’ufficioin quanto ricompresi nella domanda di risarcimento, in con-trasto col principio enunciato delle Sezioni Unite, Cass. 17settembre 2003, n. 13666; Cass. 16 luglio 2003, n. 11151;Cass. 20 febbraio 2003, n. 2580.

Sul principio per cui la rivalutazione va efettuata anched’ufficio e anche in appello, vedi Cass. 29 settembre 2005, n.19167; Cass. 9 giugno 2004, n. 10967. La giurisprudenzasottolinea che la domanda di rivalutazione automatica è con-cettualmente diversa dalla pretesa del maggior danno ex art.1224, comma 2, c.c.: vedi Cass.; 1° aprile 1999, n. 3108, inquesta Rivista 1999, p. 1009, annotata da L. Bullo, e ivi ulte-riori riferimenti.

Esame per l’iscrizione agli albi degli avvocati – Parere motivato su quesitoproposto in materia di diritto penale

Caio, privato cittadino, si reca da Tizio, medico specialista in Medicina dello Sport, al fine di ottenere uncertificato di idoneità alla pratica sportiva agonistica.

Ai sensi del d.m. 18 febbraio 1982 n. 133200 “Norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agoni-stica”, della Circolare del Ministero della Sanità del 18 marzo 1996 n. 500.4 “Linee guida per un’organiz-zazione omogenea della certificazione di idoneità alla attività sportiva agonistica” e delle varie normative re-gionali vigenti, il rilascio della certificazione di idoneità alla pratica sportiva agonistica è demandato esclusiva-mente al medico specialista in Medicina dello Sport operante nelle strutture pubbliche o in quelle private auto-rizzate.

Tizio, pur consapevole di non essere autorizzato ad emettere tale tipologia di certificati in quanto medico

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non convenzionato né accreditato con il Servizio sanitario nazionale, effettua ugualmente la visita medica e glispecifici accertamenti sanitari prescritti dalla legge.

Accertata l’idoneità di Caio alla pratica dell’attività sportiva agonistica, Tizio rilascia la certificazione richiesta cor-redata dall’indicazione nell’intestazione della propria qualifica di medico specialista in Medicina dello Sport e, al con-tempo, percepisce da Caio il pagamento del relativo onorario.

A seguito di un infortunio riportato da quest’ultimo in una competizione sportiva, Sempronio, medico lega-le della A.U.S.L., scopre che il certificato di idoneità agonistica di Caio è stato rilasciato da un medico speciali-sta in Medicina dello Sport non competente ed emette il referto legale.

Tizio si rivolge quindi ad un legale per conoscere le conseguenze penali della sua azione.Il candidato, assunte le vesti del difensore di Tizio, rediga un parere motivato soffermandosi sul titolo di rea-

to contestabile al suo cliente e su quelli che possono essere gli elementi e le circostanze da assumere a sua difesa.

1028

I temi del prossimo numero

[Letture consigliate] F. Antolisei, Manuale di diritto penale– parte speciale, I, Milano 2000; F. Centonze, in Comm.Crespi-Stella-Zuccalà, Nota introduttiva sub artt. 453-498,Padova 2003, p. 1413; G. De Francesco, ibidem, sub. art.640, p. 2170; G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale – partespeciale, II, tomo II, Bologna 2002; M. Maspero, in Comm.Crespi-Stella-Zuccalà, sub art. 476, cit., p. 1462; F. Mantova-ni, Diritto penale. I delitti contro il patrimonio, Padova 2002;

A. Nanni, voce Usurpazione di funzioni pubbliche, in Enc.giur., XXXII, Roma 1994, p. 1; A. Nappi, voce Falsità in atti,in Enc. giur., XIV Roma 1989, p. 1; A. Pagliaro, voce Usur-pazione di funzioni pubbliche, in Enc. dir., XLV, Roma 1992,p. 1157; G. Petragnani Gelosi, voce Usurpazione di funzio-ni pubbliche, in Dig. disc. pen., XV, Torino 1999, p. 164; S.Seminara, in Comm. Crespi-Stella-Zuccalà, sub art. 347, cit.,p. 997.

Concorso per notaio – Prova teorico-pratica riguardante un atto tra viviIl Notaio Romolo Romani è chiamato a redigere presso il proprio studio il verbale dell’Assemblea dei soci

della “Arte Moderna s.r.l.”, con sede in Roma, via del Corso, n. 100, con capitale Euro 120.000, interamenteversato, e suddiviso tra i tre soci Caio, Mevio e Filano in parti uguali, convocata in tale luogo per il 21 set-tembre 2005, e rinviata, su richiesta del socio Caio, al termine massimo consentito dalla legge.

L’Assemblea era stata convocata: a) per aumentare il capitale di Euro 120.000, di cui Euro 10.000 da versare in B.O.T. da parte del socio

Mevio; Euro 10.000 da versare in azioni della “Tre Orologi S.p.A.”, società quotata, da parte del socio Filanoe i residui Euro 100.000 da liberarsi mediante il conferimento, da parte di Sempronio, non socio, di un dipin-to, di pari valore, di un importante artista dei primi del ’900;

b) per passare a capitale la riserva disponibile pari ad Euro 60.000 (appositamente costituita con versa-menti spontanei dei soci, senza alcuna specificazione, per un ammontare originariamente pari ad Euro150.000, ma utilizzabile solo per la cifra sopra detta stante una recente perdita per la differenza).

Si precisa che il socio Caio, che ha imposto il rinvio, lamenta la mancanza di un’ulteriore convocazione del-l’Assemblea, è contrario all’acquisizione da parte della società di un dipinto così costoso e ritiene comunque ne-cessaria la fissazione di un sovraprezzo. Gli altri soci, ritenendo comunque vantaggioso per la società il confe-rimento del dipinto, sarebbero disposti, ove necessario, a far fronte alla differenza necessaria per garantire cheil terzo conferente acquisti comunque l’intera partecipazione indicata.

Ricevere il verbale, tenendo presente che i tre soci della “Arte Moderna s.r.l.” sono tutti presenti, ma cheCaio, per quanto detto, si oppone alla trattazione degli argomenti all’ordine del giorno. Nella parte teoricatrattare del rinvio dell’assemblea, dell’aumento di capitale cosiddetto “misto”, delle modalità di imputazionedelle perdite in caso di esistenza di riserve e dell’utilizzabilità dei versamenti dei soci a copertura delle perdite.Motivare, infine, la soluzione adottata.

[Letture consigliate] C. Caccavale - F. Magliulo - M. mal-toni - F. Tassinari, La riforma della società a responsabilità li-mitata, Milano 2004; C.A. Busi, S.p.a. – S.r.l., Operazioni sulcapitale, le società cooperative e le mutue assicuratrico, Milano2005; G. Piccolini - A. Stagno D’Alcontres (a cura di),

Società di capitali, il nuovo ordinamento aggiornato al d. legisl.6 febbraio 2004, n. 37, Napoli 2004; C. Ungari Trasatti, Ilrinvio dell’asseblea e i limiti imposti dall’art. 2374 c.c., in R.not., 2003, p. 788 ss.

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ACCESSO AI DOCUMENTIAMMINISTRATIVI E ASSOCIAZIONI DEI

CONSUMATORI

Se il Codacons sia legittimato ad esercitare il diritto diaccesso ai documenti amministrativi in funzione di un con-trollo generalizzato sull’attività amministrativa potenzial-mente lesiva degli interessi dei consumatori.

Il Codacons, associazione di tutela dei diritti deiconsumatori, presenta domanda d’accesso, rivolta alMinistero della giustizia e alle Poste italiane s.p.a., al fi-ne d’acquisire la conoscenza degli atti e delle notizierelative ad una convenzione asseritamene intercorsatra i due enti, in ordine al servizio di notifica degli attigiudiziari.

Non ricevendo alcuna risposta in merito, l’associa-zione propone ricorso contro il silenzio-rigetto. Il giu-dice amministrativo adito rigetta il gavame, ritenendol’istanza d’accesso formulata dal Codacons non fon-data su un interesse attuale, in quanto rivolta agli attipreparatori di una convenzione non ancora intercorsa,e, quindi non comprovatamente lesiva per gli interessidei consumatori; peraltro, la richiesta d’accesso è statagenericamente rivolta alla raccolta di notizie piuttostoche all’acquisizione di determinati atti, il che impor-rebbe all’amministrazione lo svolgimento di un’opera-zione d’elaborazione dati, oltre a comportare l’eserci-zio, da parte del Codacons, di un’inammissibile con-trollo sull’attività delle Poste italiane s.p.a.

L’associazione propone, quindi, appello al Consigliodi Stato, sostenendo di essere titolare di un interesseattuale all’accesso, essendo intercorsa, successivamentealla pubblicazione della sentenza di primo grado, la sti-pulazione della convenzione, la quale comporterà unaumento delle tariffe di notifica, a carico degli utentidel servizio postale; inoltre, il Codacons afferma di es-sere legittimato ad esercitare un potere di vigilanza sul-l’attività dell’amministrazione, indirizzata all’adozionedi provvedimenti potenzialmente lesivi dei diritti deiconsumatori.

Il giudice di secondo grado giudica l’appello infon-dato, ritenendo la domanda d’accesso presentata dalCodacons inammissibile, in quanto genericamenteformulata.

Il, quesito che si pone all’attenzione del Consiglio

46DIR. AMM.

di Stato è stabilire se il Codacons, in qualità di asso-ciazione di tutela dei diritti dei consumatori, sia legitti-mato ad accedere a tutti gli atti e documenti ammini-strativi potenzialmente lesivi per gli interessi dei con-sumatori.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale richiama-to dall’associazione appellante, le associazioni di tuteladei consumatori sarebbero titolari di un generale pote-re di controllo sull’attività dei gestori di pubblici servizi,che le legittimerebbe ad accedere ad ogni operazione,dato o notizia che possa rivelarsi in un qualche modolesiva per le posizioni giuridiche soggettive degli uten-ti.

Il Collegio, invece, aderisce alla tesi giurispruden-ziale in base alla quale anche le istanze d’accesso for-mulate dalle associazioni dei consumatori devonoavere ad oggetto documenti determinati, ai sensi del-l’art. 22 della l. 7 agosto 1990, n. 241 (così come mo-dificata ed integrata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15),dovendo risultare finalizzate alla tutela di interessi giu-ridici specifici ed attuali degli utenti.

Peraltro, dette limitazioni, ad avviso del giudice adi-to, risultano confermate dalla normativa vigente inmateria e, in particolare, dall’art. 2 del d. legisl. 6 set-tembre 2005, n. 206 (codice del consumo), il qualecodifica specifiche forme di tutela degli interessi deiconsumatori e degli utenti, concretamente indirizzateall’inibizione di comportamenti od atti effettivamentelesivi: l’“inibitoria” giudiziale, l’adozione di « misureidonee » a correggere o eliminare gli effetti dannosidelle violazioni accertate e la pubblicazione dei relativiprovvedimenti su quotidiani nazionali o locali.

Secondo il Collegio, pur dovendosi riconoscere lalegittimazione del Codacons ad impugnare i provvedi-menti che fissano le tariffe relative ai servizi pubblici(al fine di contestarne l’eventuale iniquità ed antieco-nomicità), il procedimento in questione non potrebbenemmeno intendersi indirizzato all’adozione di prov-vedimenti propriamente tariffari, trattandosi, piutto-sto, di un iter contrattuale, assimilabile ad un appaltodi servizi, avente ad oggetto la gestione delle notifica-zioni d’ufficio da parte delle Poste italiane s.p.a. neiconfronti del Ministero della giustizia, dietro il paga-mento di un prezzo; il diritto d’accesso risulterebbe,quindi, esercitato in funzione di un inammissibile in-teresse, generico ed indistinto, al contenimento dellaspesa pubblica e delle imposizioni fiscali.

Né l’interesse del Codacons alla visione degli atti ri-chiesti potrebbe ravvisarsi, ad avviso del giudice, nella

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Questioni

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tutela del diritto alla privacy degli utenti del serviziodelle notificazioni postali, trattandosi, in base al d. le-gisl. 30 giugno 2003, n. 196 (codice della privacy) diun diritto individuale insuscettibile di un’azione di ca-tegoria, in difetto di specifica delega o procura scrittada parte degli interessati, atteso, peraltro, che il codicedella privacy ha modificato la disciplina delle notifica-zioni a mezzo del servizio postale, prevedendo chel’atto sia inserito in un plico chiuso, su cui non posso-no esser apposti segni o indicazioni di alcun genere,dai quali possa desumersi il contenuto della busta.

Infine inammissibile, data la sua genericità, è daconsiderarsi, secondo il giudice, l’stanza d’accessopresentata dal Codacons, nella parte in cui contieneuna generica richiesta d’informazioni relativamente alpossesso, da parte di Poste italiane s.p.a., dei requisitidi capacità tecnica dei gestori di servizi ed alle moda-lità d’erogazione del servizio.

[Nota bibliografica] In giurisprudenza, sulla legittimazione delCodacons ad impugnare i provvedimenti che fissano tariffe rela-tive ai servizi pubblici, e, conseguentemente, ad accedere agli attidei relativi procedimenti v.: Cons. St., sez. V, 16 gennaio 2004,n. 127; Cons. St., sez. VI, 14 marzo 2003, n. 3166; Cons. St., sez.VI, 10 luglio 2002, n. 565; Cons. St., sez. VI, 2 luglio 2002, n.4098; Cons. St., sez. IV, 26 novembre 1993, n. 1036; Cons. St.,sez. VI, 27 marzo 1992, n. 193. In senso contrario, v.: Cons. St.,sez. VI, 27 luglio 2003, n. 3876; T.A.R. Lazio-Roma, sez. I, 19giugno 2002, n. 7456.

Sul requisito di determinatezza dell’istanza d’accesso, v.:Cons. St., sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3271; Cons. St., sez. VI,10 aprile 2003, n. 1925.

Sulla necessaria finalizzazione della domanda d’accesso delCodacons alla tutela di interessi giuridici specifici ed attuali deiconsumatori, nonché all’esercizio di azioni specificatamente co-dificate dalla legge, v.: Cons. St., sez. IV, 6 ottobre 2001, n. 5391;Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2000, n. 1122; Cons. St., sez. VI, 30settembre 1998, n. 1346.

Sull’inammissibilità dell’esercizio del diritto di accesso qualeforma di controllo generalizzato sull’attività dei gestori di pubbli-ci servizi, v.: Cons. St., sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2283; Cons.St., sez. VI, 17 marzo 2000, n. 1414 (relativamente alla domandadi accesso rivolta dal Condacons alla Omnitel per ottenere la do-cumentazione concernente la collocazione e potenza degli im-pianti fissi della rete di telefonia mobile di un Comune); T.A.R.Lazio, sez. II, 22 luglio 1998, n. 1201 (sulla domanda d’accessodel Condacons indirizzata ad acquisire conoscenza di tutto il ma-teriale – reclami, denunce, provvedimenti disciplinari, spese perrisarcimento – inerente a casi di smarrimento o furto verificatisiin occasione di spedizioni postali nell’arco di più anni).

Per alcune significative pronunce in materia d’accesso in gene-rale, v. T.A.R. Campania-Napoli, sez. V, 5 gennaio 2006, n. 99;T.A.R. Lombardia-Milano, sez. I, 13 luglio 2000, n. 5030.

In dottrina, M. Alesio, Il diritto di accesso ai documenti ammini-strativi: ulteriori riflessioni sulla natura giuridica, in Nuovo dir. 2002,p. 642; M. Antonucci, Elementi di comparazione tra la normativacomunitaria e quella italiana in tema di diritto di accesso ad atti e do-cumenti riservati, in Cons. St. 2002, p. 373; A. Ardito, Vita e pro-blemi della pubblica amministrazione. L’eccezione di differimento del-l’accesso ai documenti amministrativi, in R. amm. 2003, p. 469; L.Bertonazzi, Il regime dell’istanza incidentale d’accesso, con particola-re riferimento al termine perentorio per la sua proposizione e alla cor-retta instaurazione del contraddittorio, in D. proc. amm. 2003, p.311; L. Carrozza, Sul diritto di accesso ai documenti, in F. it. 2003,c. 489; L. Civetta, Tutela della privacy ed accesso ai documenti am-ministrativi, in Nuovo dir. 2003, p. 385; F. Cortese, Variazioni libe-re sull’essenza del potere: il giudizio amministrativo e il diritto d’acces-so, in D. regione 2003, p. 171; S. Giacchetti, Accesso e riservatezzaseparati in casa, in I TAR 2004, p. 463; Id., Una nuova frontiera deldiritto d’accesso: il “riutilizzo dell’informazione del settore pubblico”, in

Cons. St. 2004, p. 1249; V.M. Granieri, La tutela dei diritti nellanormativa sul trattamento dei dati personali: un bilancio provvisorio,in Danno e resp. 2004, p. 827; A. Sandulli, L’accesso ai documentiamministrativi, in Urb. e app. 2005, p. 398; M.P. Sempreviva, Lenovità in materia di accesso ai documenti amministrativi, in G. d.amm. 2005, p. 494; P. Velluso, Diniego di accesso ai documentiamministrativi e partecipazione procedimentale, in I TAR 2004, p.981; Z. Zencovich, Privacy e informazioni a contenuto economiconel d. legisl. n. 196 del 2003, in questa Rivista 2004, fasc. 4, p.452.

[Sara Zaramella]

RAPPRESENTANZA VOLONTARIA DEL MINORE

Se il procuratore speciale, cui sia stato conferito dai geni-tori il potere di compiere un determinato atto in nome e perconto di un minore, debba richiedere la preventiva autoriz-zazione giudiziale, per poterlo validamente porre in essere.

La questione proposta presuppone una presa diposizione in relazione al problema del rapporto frarappresentanza legale e rappresentanza volontaria. Sitratta cioè, in primo luogo, di capire se il rappresen-tante legale, nell’esercizio delle funzioni di ammini-strazione dei beni di un minore e di rappresentanza diquesti nello svolgimento dell’attività negoziale, possalegittimamente conferire a terzi il potere di agire in no-me e per conto dell’incapace medesimo.

Le diverse tesi, con le quali si è voluto rispondere atale quesito, appaiono il frutto di diversi tentativi diconciliare, da un lato, l’esigenza di non limitare oltremisura la possibilità per il minore di accedere al mon-do dei traffici giuridici e, d’altro lato, il rispetto delprincipio della indelegabilità delle funzioni dei rappre-sentanti legali. Se infatti non pare esservi in astrattomotivo di limitare la possibilità, per i rappresentantilegali di un minore, di dare ad un terzo mandato perlo svolgimento di un’attività negoziale (nell’interessedel minore medesimo), accompagnandolo con l’attri-buzione degli opportuni poteri rappresentativi, forte ètuttavia il rischio che il conferimento a terzi dell’inca-rico – e del potere – di agire in nome e per conto diun incapace si traduca in una più o meno ampia ri-nuncia alle proprie funzioni da parte di chi la legge haindividuato come soggetto più idoneo a curarne gliinteressi.

Il tentativo di individuare il punto di equilibrio frale suesposte esigenze ha condotto per lo più gli inter-preti a rigettare la tesi, pur autorevolmente sostenuta(G. Greco, p. 644 s.; Pelosia, p. 343, in part. nt. 874;Belviso, p. 172 ss.; Finocchiaro, p. 2102 ss.; Cass.civ., sez. III, 8 settembre 1960, n. 2442, in Giust. civ.1961, I, p. 288; apparentemente anche Cass. civ., sez.II, 30 luglio 1953, n. 2620, ivi 1953, p. 2647, pubbli-cata solo in massima), della piena ammissibilità del ri-corso ad una procura generale, pur se per definizionelimitata allo svolgimento di atti di ordinaria ammini-strazione. E forti perplessità sono state avanzate anche

47DIR. CIV.

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Questioni

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Questioni

rispetto all’eventualità del ricorso ad una procura c.d.generica, volta cioè ad attribuire al rappresentante ilpotere di compiere determinate categorie di atti, tantodi ordinaria quanto (nella misura in cui siano specifi-camente indicati nella procura) di straordinaria ammi-nistrazione.

Rimasta isolata la tesi più rigorosa, secondo cui larappresentanza volontaria di un incapace sarebbesempre preclusa (Mosco, p. 18 s.), sembra prevalerein dottrina (Pugliatti, p. 698; De Rosa, p. 209 ss.;Stella Richter e Sgroi, sub art. 379, p. 537; Pelosib,p. 347; Capozzi, p. 288 ss.; Bucciante, p. 617 s. e717; De Cristofaro, p. 1081 s.; Santarcangelo, p.297 ss.; Jannuzzi e Lorefice, p. 127 s.; in giurispru-denza, Cass. civ., sez. I, 14 giugno 1966, n. 1540, inGiust. civ. 1966, I, p. 1684, con nota di D’Orsi) l’ideadell’ammissibilità di una procura speciale, conferitadal rappresentante legale nell’esercizio delle sue fun-zioni. Il conferimento ad un terzo dell’incarico diprovvedere al compimento di un determinato atto ne-goziale, con attribuzione del relativo potere rappresen-tativo, non sembra infatti comportare in alcuna misu-ra una sorta di dismissione delle funzioni proprie delrappresentante legale, integrando piuttosto una parti-colare forma di esercizio dei poteri – e di adempimen-to dei doveri – che gli sono propri.

La circostanza che (la stipulazione di un eventualecontratto di mandato e) il conferimento del potererappresentativo mediante una procura speciale richie-da o meno un’autorizzazione giudiziale è legata allanatura dell’atto che il (mandatario e) rappresentante èchiamato a compiere. È dunque necessaria l’autorizza-zione del giudice tutelare, qualora la procura, conferitadai genitori esercenti la potestà su di un minore, siadiretta alla conclusione di un atto di amministrazionestraordinaria ai sensi dell’art. 320 c.c.

Ci si chiede dunque se, una volta che i genitoriesercenti la potestà gli abbiano, previa autorizzazionegiudiziale, conferito il necessario potere rappresentati-vo, il procuratore speciale debba munirsi di una nuo-va autorizzazione, in funzione della conclusione delsuccessivo atto, in ipotesi di amministrazione straordi-naria, in nome e per conto del minore.

Non sembra condivisibile la tesi, pur autorevol-mente sostenuta (Capozzi, p. 293 s.), secondo cui lavalutazione operata, prima dai genitori e quindi dalgiudice tutelare, sull’opportunità di conferire ad unterzo il potere di rappresentare il minore, non si esten-derebbe alla verifica della necessità od evidente utilitàper quest’ultimo, dell’atto che il procuratore è chiama-to a porre in essere; ragion per cui questi – avvalen-dosi di una legittimazione pur non esclusiva, bensìconcorrente con quella dei genitori – (potrebbe e) do-vrebbe richiedere personalmente l’autorizzazione giu-diziale, imposta dall’art. 320 c.c. in funzione dell’attoda compiere. Salvo poi verificare se la competenza aconcedere l’autorizzazione faccia capo al giudice tute-lare, operando il procuratore in posizione analoga aquella dei genitori esercenti la potestà, ovvero al tribu-nale, secondo la regola che in linea generale sembra

operare in tutti i casi i cui la rappresentanza o l’assi-stenza di un soggetto non pienamente capace sia affi-data ad un soggetto a questi non legato da vincoli diparentela o coniugio. In tal modo, ad esempio, dopoche i genitori abbiano ottenuto l’autorizzazione a con-ferire la procura per stipulare l’atto di compravenditadi un immobile di proprietà del minore, il procuratore,una volta definititi il prezzo e le condizioni tutte dellavendita, avrebbe l’onere di sottoporle alla valutazionedell’autorità giudiziaria, richiedendone la necessariaautorizzazione.

Non sembra però che il procuratore speciale possaritenersi legittimato a valutare se il compimento di undeterminato atto sia o meno opportuno per il minorené tantomeno a richiedere sul punto una pronunciadel giudice. Se così fosse egli finirebbe per assumere lefunzioni proprie di un ufficio di diritto privato, chia-mato alla cura degli interessi di un incapace e a tal fi-ne munito ex lege dei necessari poteri di amministra-zione e rappresentanza. Ma la disciplina codicisticanon sembra consentire una tale soluzione; il legislato-re si è infatti preoccupato di regolare espressamente lediverse ipotesi di impedimento dei genitori, o di quel-lo di essi che eserciti in via esclusiva la potestà, impo-nendo, in caso di impedimento temporaneo, la nomi-na di un curatore speciale ex art. 321 c.c. e, in caso diimpedimento permanente, l’apertura della tutela; nonsembra dunque esservi spazio per un procuratorespeciale analogamente investito della cura degli inte-ressi del minore (apparentemente in tal senso Santar-cangelo, p. 308, e Trib. Ivrea 2 febbraio 1953, inNuovo dir. 1953, p. 642, con nota di G. Greco).

Pertanto, pur ammettendosi la legittimità della no-mina di un procuratore speciale, sembra tuttavia cheai genitori esercenti la potestà sia riservata la scelta inordine al compimento dell’atto nonché la definizionedei suoi elementi essenziali; con ciò facendosi riferi-mento non tanto ai suoi requisiti di validità, quantopiuttosto agli aspetti del regolamento negoziale su-scettibili di interferire con il giudizio relativo alla suautilità o necessità (in tal senso sembra porsi A. Greco,p. 224 s.). Già in funzione dell’autorizzazione al con-ferimento della procura, sui genitori grava il compitodi prospettare al giudice l’operazione alla cui realizza-zione la procura medesima sarà destinata; il conferi-mento del potere di rappresentanza viene allora a co-stituire semplicemente una modalità di una più com-plessa operazione negoziale, alla quale pertanto il giu-dice è tenuto a rivolgere la propria attenzione, non po-tendo limitarsi a verificare la mera opportunità del ri-corso allo strumento rappresentativo (Santarcangelo,p. 310). I genitori, ad esempio, chiederanno al giudicetutelare l’autorizzazione a vendere un determinato im-mobile, per un prezzo non inferiore ad un determinatoimporto, da riscuotersi e reimpiegarsi secondo altrettan-to determinati tempi e modalità; il tutto previo conferi-mento ad un terzo del potere di intervenire in atto innome e per conto del minore.

Ottenuta in tal modo l’autorizzazione del giudicetutelare, il procuratore speciale dovrà ritenersi legitti-

1031

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mato a stipulare la compravendita, in rappresentanzadel minore, senza che si renda necessaria la conces-sione di una nuova autorizzazione da parte dell’auto-rità giudiziaria. Qualora peraltro talune circostanze so-pravvenute imponessero uno scostamento dalle con-dizioni originariamente individuate dai genitori ed au-torizzate dal giudice tutelare, si renderebbe necessariauna nuova valutazione del giudice; al quale sarebbetuttavia legittimato a rivolgersi non il procuratore spe-ciale, cui come detto non compete la funzione di curadegli interessi del minore, bensì soltanto il rappresen-tante legale o, in caso di suo impedimento, un curato-re speciale ex art. 321 c.c. (ovvero ancora, in caso diimpedimento permanente, il tutore).

Né si dica che in tal modo il procuratore specialeverrebbe sostanzialmente svuotato dei suoi poteri, ri-ducendosi a svolgere il ruolo di mero nuncius dell’al-trui volontà. L’autorizzazione preventiva può infatti es-sere ottenuta dai genitori sottoponendo alla valutazio-ne del giudice solo quegli elementi, relativi al contrat-to da stipulare, che condizionano il giudizio relativoalla sua opportunità – quali appunto l’indicazione del-l’immobile da alienare e del suo valore, nonché l’indi-cazione del prezzo minimo e delle modalità di paga-mento o di reimpiego – lasciando pertanto un ampiomargine entro cui potrà successivamente muoversi lavolontà manifestata dal rappresentante al momentodella conclusione del contratto; cui sarà affidato, adesempio, nel rispetto del limite positivamente apprez-zato dal giudice, il compito di concordare con la con-troparte il prezzo della vendita.

[Nota bibliografica] G. Greco, nota a Trib. Ivrea 2 febbraio1953, in Nuovo dir. 1953, p. 644; Pelosia, La patria potestà, Mila-no 1965; Belviso, L’institore, Napoli 1966; Finocchiaro, Diritto difamiglia, II, Milano 1984; Mosco, La rappresentanza volontaria neldiritto privato, Napoli 1961; Pugliatti, Della tutela e dell’emancipa-zione, in Comm. D’Amelio, Libro I, Firenze 1940, p. 647; De Rosa,La tutela degli incapaci, I, Milano 1962; Stella Richter - Sgroi,Delle persone e della famiglia2, in Comm. Utet, Torino 1967; Pelo-sib, in Comm. Cian-Oppo-Trabucchi, t. 4, Padova 1992, sub art.320; Capozzi, La sostituzione nell’attività giuridica del rappresentan-te legale, in R. not. 1968, p. 288; Bucciante, La potestà dei genito-ri, la tutela e l’emancipazione, in Tratt. Rescigno, Persone e famiglia2, t.3, Torino 1997, p. 513; De Cristofaro, Il contenuto patrimonialedella potestà, in Tratt. Zatti, II, Milano 2002, p. 1075; Santarcan-gelo, La volontaria giurisdizione2, I, Milano 2003; Jannuzzi e Lo-refice, Manuale della volontaria giurisdizione10, Milano 2004; A.Greco, Note sulla sostituzione del rappresentante, in R. not. 1961, p.197.

[ Jacopo Costola]

CONDOTTAANTISINDACALE

Se costituisca condotta antisindacale il riconoscimento,da parte del datore di lavoro, di una r.s.a. costituita da unsindacato che ha partecipato alla r.s.u.

Con il Protocollo del 23 luglio 1993, le rappresen-tanze sindacali unitarie (r.s.u.) sono state riconosciute

48DIR. LAV.

« come rappresentanza sindacale aziendale unitarianelle singole unità produttive ». Nel successivo Accordointerconfederale del 20 dicembre 1993, Cgil, Cisl, Uil,Confindustria e Intersind hanno precisato che le r.s.u.subentrano alle rappresentanze sindacali aziendali(r.s.a.) di cui all’art. 19 St. Lav. « nella titolarità dei po-teri e nell’esercizio delle funzioni ad esse spettanti pereffetto delle disposizioni di legge » (punto 5, parte I).Di conseguenza, le organizzazioni sindacali firmatariedell’Accordo del 1993, o che aderiscono alla disciplinain esso contenuta, partecipando alla procedura di ele-zione della r.s.u., « rinunciano formalmente ed espres-samente a costituire r.s.a. » (punto 8, parte I). Un sin-dacato che partecipa all’elezione della r.s.u. non puòdunque recepire l’atto d’iniziativa dei lavoratori da cuinasce, ai sensi dell’art. 19 St. Lav., la r.s.a. (Cass. n.6524/1996, n. 8207/2000, n. 1684/2003). Del pari,un sindacato firmatario può « revocare il proprio rico-noscimento della r.s.u. in un determinato luogo di la-voro – e costituire una propria r.s.a. – solo dando di-sdetta dell’intero accordo interconfederale, così pre-cludendosi la partecipazione alle elezioni della r.s.u. intutti i luoghi di lavoro » (Giugni, p. 86).

La condotta del sindacato vincolato dall’Accordodel ’93 che faccia dimettere i propri rappresentantidalla r.s.u. per costituire, nell’àmbito della medesimaunità produttiva, una propria r.s.a., è palesemente lesi-va dei menzionati accordi contrattuali.

Qualora la r.s.a. costituita in modo illegittimo ricevaun riconoscimento da parte del datore di lavoro, que-sti si rende responsabile di una condotta antisindacalepunibile ai sensi dell’art. 28 St. Lav. Non v’è dubbioche un tale comportamento sia diretto « ad impedire olimitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindaca-le » (art. 28 St. Lav.): esso mira infatti « ad interferire inmodo illegittimo con le prerogative del sindacato econ l’assetto della rappresentanza delineato da accordivincolanti », nonché « ad ostacolare l’esercizio dei di-ritti, l’attività, la rappresentanza, la legittimazione ed ilprestigio della r.s.u. », riconoscendo come r.s.a. un or-ganismo illegittimamente costituito (decreto del Trib.Ravenna 27 luglio 2005).

Nella dimostrazione dell’idoneità « a ledere e travali-care la legittimazione della r.s.u. quale unico soggettotitolato alla rappresentanza dei lavoratori in azienda eda godere i diritti previsti dallo Statuto » si esaurisce laprova della condotta antisindacale (decreto del Trib.Ravenna 27 luglio 2005). Per integrare gli estremi del-la fattispecie definita dall’art. 28 St. Lav. non è infattinecessario « uno specifico intento lesivo da parte deldatore di lavoro . . . sicché ciò che il giudice deve accer-tare è l’obiettiva idoneità della condotta denunciata aprodurre l’effetto che la disposizione citata intende im-pedire, ossia la lesione della libertà sindacale » (Cass. n.1684/2003; Cass. civ., sez. un., n. 5295/1997).

In presenza della menzionata condotta datoriale, ilgiudice, adito mediante lo speciale procedimento dicui all’art. 28 St. Lav., può ordinare al datore di lavoro« la cessazione del comportamento illegittimo e la ri-mozione degli effetti » (art. 28 St. Lav.). In particolare,

1032

Questioni

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Questioni

il giudice può disporre « di cessare ogni rapporto conla r.s.a. » e di revocare ogni iniziativa « che si ponga incontrasto con la r.s.u. e che si fondi sul riconoscimen-to della r.s.a. » (decreto del Trib. Ravenna 27 luglio2005).

[Nota bibliografica] Ballestrero, Diritto sindacale, Torino 2004;Caruso, Le relazioni sindacali, Torino 2004; Garofalo, Interessicollettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore, Napoli1979; Ghezzi - Mancini - Montuschi - Romagnoli, Lo Statuto deidiritti dei lavoratori, Bologna 1972; Ghezzi - Romagnoli, Il dirittosindacale, Bologna 1997; Giugni, Diritto sindacale, Bari 2002;Giugni (a cura di), Lo Statuto dei lavoratori. Commentario, Milano1979; Gottardi, Organizzazione sindacale e rappresentanza dei lavo-ratori in azienda, Padova 1989; Persiani, Diritto sindacale, Padova2003; Scarponi, Rappresentatività e organizzazione sindacale, Pado-va 2005; Treu, Condotta antisindacale e atti discriminatori, Milano1974.

[Silvia Borelli]

ESTRADIZIONE

Se il requisito della doppia incriminabilità del fatto nelleprocedure estradizionali imponga l’esatta corrispondenzatra lo schema astratto della disposizione penale straniera edanaloga norma italiana.

Il principio della previsione bilaterale del fatto, san-cito all’art. 13, comma 2, c.p. e ribadito in numeroseconvenzioni internazionali, è stato inizialmente consi-derato dalla dottrina quale concretizzazione del princi-pio di reciprocità, per il quale la richiesta può essereaccolta a condizione che, in analoghe circostanze, lostato richiedente si comporti analogamente. In tempipiù recenti, il principio ha però assunto contenuto au-tonomo, in ossequio al ruolo dell’estradizione qualestrumento di collaborazione tra Stati: in questa pro-spettiva, il principio di doppia incriminazione rappre-senta la base comune su cui tale cooperazione puòconcretamente innestarsi.

Il problema sorge allorquando si tratti di individua-re i termini reali in cui il suddetto requisito debba es-sere inteso; poiché il fatto oggetto della domanda diestradizione deve essere previsto come reato conte-stualmente nello Stato detentore e in quello richieden-te, si impone all’autorità procedente di verificare i li-miti e i contenuti di tale corrispondenza. La dottrina(Quadri, p. 26) e la giurisprudenza (Cass. pen., sez.VI, 12 dicembre 2003, n. 1581, ric. Buda; Cass. pen.,sez. VI, 27 luglio 2002, n. 1593, in R. it. d. proc. pen.2003, p. 589) sono concordi nel sostenere che il sod-disfacimento del requisito non implichi che le figurecriminose sub judice presentino identità di modelli de-scrittivi, trattamento sanzionatorio e nomen juris, es-sendo sufficiente che il fatto sia bilateralmente previstocome reato, anche se diversamente qualificato. Rimaneperò il problema di chiarire in base a quali elementi laconformità tra le figure criminose, seppur non com-pleta, risulti sufficiente a soddisfare il principio di pre-

49DIR. PEN.

visione bilaterale del fatto. Le difficoltà sorgono pro-prio nell’ipotesi in cui sia ravvisabile una divergenzadi contenuti sostanziali tra le due fattispecie, tale chel’integrazione dell’una imponga la presenza e il riscon-tro di elementi costitutivi non richiesti nell’altra. Se-condo un’opinione il requisito della doppia incrimina-bilità verrebbe soddisfatto allorquando il fatto storica-mente posto in essere costituisca reato per entrambigli ordinamenti coinvolti nella vicenda estradizionale,essendo limitato l’accertamento di conformità alla solaverifica della punibilità in concreto delle fattispecieesaminate (Pisa, p. 999). Muovendo da tale premessa,dovrebbe ritenersi che se il fatto considerato soddisfa irequisiti di rilevanza penale soltanto presso lo Stato ri-chiedente, ma non è idoneo ad integrare la corrispon-dente fattispecie contemplata dalla legislazione delloStato detentore, la doppia incriminabilità non potreb-be legittimamente considerarsi sussistente. Il rischioche ne deriverebbe è quello di subordinare la conces-sione dell’estradizione alla mera casualità probatoria,ovvero alla circostanza che dalla documentazione alle-gata alla domanda risultino o meno sufficientementeindicati i dettagli e i connotati della vicenda storica,magari del tutto eventuali e irrilevanti per l’integrazio-ne della fattispecie nello Stato richiedente, che sonoinvece necessari per attestare l’incriminabilità dellostesso fatto presso lo Stato richiesto. La più attentadottrina, pertanto, ha affermato come l’accertamentoimponga una valutazione del fatto considerato in baseal significato normativo che questo assume nel siste-ma giuridico dello Stato richiedente (De Francesco,p. 632). Il riscontro di conformità, quindi, imporrebbedi verificare se gli elementi costitutivi richiesti per l’in-tegrazione della fattispecie nello Stato richiedente cor-rispondano a quelli della norma penale dello Stato ri-chiesto, sulla sola considerazione della previsioneastratta delle fattispecie all’interno degli ordinamenticoinvolti nella vicenda estradizionale.

Resta da vedere se la verifica della doppia incrimi-nabilità imponga di valutare se il fatto debba conside-rarsi scriminato o incolpevole nell’ordinamento richie-sto. Quanto al primo profilo, v’è chi ritiene che non sipossa prescindere dalla valutazione delle cause di giu-stificazione (Mantovani, p. 960), in presenza dellequali verrebbe a mancare la illiceità della condotta epreclusa ogni conseguenza penale (Padovani, p. 57).Dato che la lettera dell’art. 13, comma 2, c.p. richiedeche il fatto debba essere reciprocamente prevedutocome reato, la circostanza che questo risulti giustifica-to presso lo Stato detentore impedirebbe in re ipsa diritenere soddisfatto il requisito. Altra parte della dottri-na si accontenta di verificare « il carattere ‘tipico’ delfatto secondo il modello legale di una norma incrimi-natrice » (De Francesco, p. 643), posto che un giudi-zio di doppia antigiuridicità implicherebbe di svolgereun vero e proprio processo (con giudizi che attengonoai diversi sistemi assiologici) laddove, nella prospetti-va di cooperazione, è lo Stato richiedente ad averequest’onere. Divergenze emergono anche sulla rile-vanza dell’elemento psicologico. Per la dottrina tradi-

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zionale l’estradizione dovrebbe essere rifiutata per di-fetto di bilateralità laddove il comportamento conteStato all’agente, commesso colposamente, risultasseincriminato dallo Stato detentore soltanto a titolo didolo o laddove il contenuto dei titoli soggettivi di im-putazione non fossero identici (Pisa, p. 74 ss.). Secondoun diverso orientamento, le due ipotesi sono destina-te a soluzioni diversificate. Se la mancata previsionedel reato come colposo è sicuramente tale da esclude-re la doppia incriminazione, ad opposta conclusionesi dovrebbe giungere laddove i due sistemi penali dif-feriscano quanto al contenuto di dolo e colpa. Infattilo Stato richiesto non avrebbe la possibilità di valutarel’estensione e il significato dei titoli soggettivi di impu-tazione presso l’ordinamento richiedente, dovendomantenere il proprio accertamento entro i limiti dellatipicità del fatto e dovendosi arrestare di fronte allacompatibilità “formale” di tali concetti (De Francesco,p. 642 ss.).

Vi è invece concordia nel richiedere l’eventuale pre-senza di condizioni obiettive di punibilità, oggi comu-nemente ritenute alla stregua di veri e propri elementicostitutivi della fattispecie. Al contrario, nessun signifi-cato potrebbe assumere la presenza di particolari con-dizioni di procedibilità presso uno soltanto degli Staticoinvolti. In ultimo, quanto alla possibile rilevanzadelle cause di estinzione del reato o della pena, è statagiustamente sottolineata la necessità di una valutazio-ne differenziata, che tenga conto della ratio e delle ca-ratteristiche proprie delle singole cause estintive. Così,mentre si è propensi ad escludere che l’amnistia e l’in-dulto abbiano un margine concreto di influenza sullaverifica della previsione bilaterale del fatto, in quantoistituti legati a valutazioni politiche contingenti e inter-ne a ciascuno Stato, ad opposta soluzione si pervienenel caso in cui il reato risultasse prescritto presso l’or-dinamento detentore (Del Tufo, p. 3 ss.). La soluzio-ne non manca di suscitare perplessità per le differenzeche si riscontrano nella disciplina dei termini prescri-zionali. La Convenzione europea di estradizione, al-l’art. 10, ha escluso l’obbligo di estradare ove pena oazione penale siano estinte, in uno dei due ordina-menti.

[Nota bibliografica] Sul principio di doppia incriminabilità co-me espressione del generale principio di reciprocità, e per mag-giori indicazioni bibliografiche, si rinvia a P. Pisa, Previsione bilate-rale del fatto nell’estradizione, Milano 1973, p. 4 ss.

Sulla ratio e sul fondamento del principio di previsione bilate-rale del fatto si vedano: F. Bellagamba, Conspiracy e associazioneper delinquere alla luce dei principi della previsione bilaterale del fatto edel ne bis in idem in materia di estradizione, in R. it. d. proc. pen.2003, p. 589 ss.; G. De Francesco, Il concetto di « fatto» nella pre-visione bilaterale e nel principio del « ne bis in idem » in materia diestradizione, in Indice pen. 1983, p. 633; P. Pisa, Previsione bilatera-le del fatto nell’estradizione, Milano 1973, p. 4 ss.; I. Caraccioli,L’incriminazione da parte dello stato straniero dei delitti commessi all’e-stero e il principio di stretta legalità, in R. it. d. proc. pen. 1962, p. 999ss. Si vedano anche: V. Deltufo, voce Estradizione (dir. intern.), inEnc. giur., Roma 1988, p. 3 ss.; R. Quadri, voce Estradizione (dir.int.), in Enc. dir., XVI, Milano 1967, p. 26; U. Aloisi - N. Fini, vo-ce Estradizione, in Nov. D., Torino 1975, p. 1013.

In giurisprudenza, sull’estensione e sui contenuti del requisitodella doppia incriminabilità: Cass. pen., sez. VI, 12 dicembre

2003, n. 1581, Buda; Cass. pen., sez. VI, 27 luglio 2002, n.1593, in R. it. dir. proc. pen. 2003, p. 589; Cass. pen., sez. VI, 8luglio 2000, n. 1850, Gartz, rv. 220753; Cass. pen., sez. I, 14settembre 1995, n. 4407, Aramini, rv. 202384; Cass. 9 aprile1984, Kirkaldy, in C. pen. 1985, p. 2062.

[Valentina Caccamo]

SENTENZA CIVILE

Se la provvisoria esecutività, di cui le sentenze di primogrado godono in virtù dell’art. 282 c.p.c., riguardi, in casodi rigetto della domanda, anche il solo capo sulle spese.

L’art. 282 c.p.c, come noto, sancisce che la sentenzadi primo grado è provvisoriamente esecutiva fra leparti. La formulazione della norma – alla luce dellariforma operata dalla legge n. 353 del 1990 – non di-stingue fra tipologie di sentenze. Ciò ha fatto sorgere ildubbio se la provvisoria esecuzione debba essere ri-collegata a tutti i tipi di decisioni o se, piuttosto, vadariferita alle sole decisioni di condanna in primo gradoe, in quest’ultimo caso, quale sia la sorte del capo sul-le spese, in ipotesi di statuizione non esecutiva.

I giudici di legittimità, muovendo dal presuppostoche la sentenza civile è provvisoriamente esecutivasoltanto se avente natura di condanna, hanno decisoche, in virtù del carattere accessorio della pronunciasulle spese rispetto alla decisione di merito, il caposuddetto, quanto al regime esecutivo, ne è intimamen-te legato; con la conseguenza che la pronuncia sullespese è esecutiva unicamente nell’ipotesi in cui sia re-lativa a una sentenza di accoglimento di una domandadi condanna, mentre, in ogni altro caso, la possibilitàdi recuperare in via esecutiva le spese del giudizio de-ve essere rimandata al passaggio in giudicato delprovvedimento giurisdizionale (Cass. 12 luglio 2000,n. 9236, in F. it. 2001, I, c. 159, con nota di Scarsel-lib; Cass. 6 febbraio 1999, n. 1037, in Mass. Giust. civ.1999, p. 278; Cass. 24 maggio 1993, n. 5837, ivi1993, p. 914).

Questa tesi ha avuto, peraltro, anche l’avallo dellaCorte costituzionale (Corte cost. 16 luglio 2004, n.232, ivi 2005, I, p. 1447).

La giurisprudenza di merito, di contro, è perlopiùorientata nel senso che l’esecutività riguardi tutte lesentenze di primo grado, non solo quelle di condan-na, ma anche quelle di accertamento, costitutive e dirigetto. La generalizzata esecutività delle sentenze civi-li porta a ritenere esecutiva anche la statuizione sullespese di lite (Trib. Ivrea 5 febbraio 2004, in G. mer.2005, p. 9; Trib. Bergamo, sez. Grumello del Monte,20 ottobre 2003, in G. it. 2004, p. 1420, con nota diDominici; Trib. Torino 30 giugno 2003, in F. pad.2003, I, p. 641, con nota di Barberio; Trib. Monza 6agosto 2002, in G. mer. 2003, p. 1654; Trib. Foggia 3maggio 2002, ivi, p. 1655. Contra Trib. Teramo 3 feb-

50PROC. CIV.

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Questioni

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Questioni

braio 2003, in PQM 2003, p. 64, con nota di Massuc-ci; Pret. Mantegano 14 aprile 1978, in G. it. 1979, I, 2,p. 30, con nota di Carpib).

La Cassazione solo recentemente ha espresso undiverso orientamento. Infatti, pur ribadendo il princi-pio per cui solo le decisioni di condanna hanno im-mediata e provvisoria efficacia esecutiva ex lege, si èaffermato che, ai sensi del novellato art. 282 c.p.c., de-ve considerarsi legittimamente ammissibile la provvi-soria esecutività di tutti i capi della sentenza di primogrado aventi portata condannatoria – quale, inconfu-tabilmente, quello concernente le spese di giudizio –potendosi ritenere sussistente un meccanismo del tut-to automatico e non subordinato all’accoglimento omeno della domanda (anche non di condanna) intro-dotta dalle parti (Cass. 10 novembre 2004, n. 21367,in Mass. Giust. civ. 2005, p. 643).

La dottrina, dal canto suo, seppur divisa in meritoalla provvisoria esecutività delle decisioni diverse daquelle di condanna, è sostanzialmente concorde inpunto alla provvisoria esecuzione del capo sulle spesein ipotesi sia di accoglimento di azioni non di condan-na sia di rigetto della domanda attorea (Cordopatri, p.226; Consoloa , p. 1415 s.; Consolob, p. 1601; Scar-sellia, p. 160 s.; Scarsellib, p. 163 s.).

[Nota bibliografica] Consoloa, in Comm. Consolo-Luiso, Milano2000, sub art. 282; Consolob, Una non condivisibile conseguenza (lanon esecutorietà del capo sulle spese) di una premessa fondata (la nonesecutorietà delle statuizioni di accertamento), in Corr. giur. 2000, I, p.1599; Carpia, La provvisoria esecutorietà della sentenza, Milano1979; Carpib, Provvisoria esecutività e spese del processo civile, in G. it.1979, I, 2, p. 30; Cordopatri, L’abuso del processo, II. Diritto positi-vo, Padova 2000; Scarsellia, Le spese giudiziali civili, Milano 1998;Scarsellib, La provvisoria esecuzione della condanna alle spese del giu-dizio (ovvero, la parte che ha ragione non recupera le spese fino al pas-saggio in giudicato della sentenza?), in F. it. 2001, I, c. 160; Affinito,È ancora “querelle” sulla esecutività della condanna alle spese, in D&G2003, p. 81; Dominici, È “immediatamente” e non “provvisoriamen-te” esecutiva la condanna alle spese giudiziali, in G. it. 2004, p. 142;Gatti, In tema di provvisoria esecutorietà della condanna alle spese, inGiust. civ. 2001, I, p. 200; Massucci, La sentenza di rigetto della do-manda non è esecutiva per le spese, in PQM 2003, p. 65; Barberio,Osservazioni sulla provvisoria esecutorietà, in F. pad. 2003, I, p. 643.

[Chiara Spaccapelo]

UDIENZA DI CONVALIDA

Se in caso di mancata comparizione del p.m. all’udienzadi convalida del fermo o dell’arresto deve essere riconosciu-to alla difesa il diritto di conoscere anticipatamente il conte-nuto delle richieste cautelari e dei documenti a supporto.

Al quesito, con una recente sentenza, la Cassazioneha dato risposta positiva.

Secondo il Supremo Collegio, con l’introduzionedel comma 3-bis dell’art. 390 c.p.p. si è prevista unaforma di « contradditorio cartolare » che, in omaggioalla regola dello snellimento e della semplificazionedell’udienza di convalida compensa la facoltà del pub-

51PROC. PEN.

blico ministero di non presentarsi in udienza e quindidi anticipare per iscritto quello che dovrebbe essere ilcontenuto dell’esposizione orale disciplinato dall’art.391 c.p.p.

La pretesa non equiparabilità del deposito della ri-chiesta del pubblico ministero e degli atti sulla qualeessa si fonda ex art. 293, comma 3, c.p.p. muove nel-l’erronea equiparazione di due situazioni diverse, inrelazione alle quali il legislatore, in maniera non irra-gionevole, ha approntato discipline diverse: quest’ulti-ma norma disciplina la c.d. discovery all’esito dell’ese-cuzione della misura cautelare ed ovviamente primadell’interrogatorio di garanzia, al fine di porre la difesanelle condizioni di avere piena cognizione degli ele-menti posti a base dell’ordinanza custodiale e di ap-prontare le opportune difese fin dal momento dell’in-terrogatorio; l’art. 391 c.p.p. regola l’udienza di conva-lida dell’arresto in flagranza, di un momento procedi-mentale finalizzato essenzialmente a valutare la corret-tezza dell’operato della polizia giudiziaria, nel quale siinserisce, in costanza di contraddittorio delle parti, lapossibilità per il pubblico ministero di chiedere l’emis-sione di misura cautelare personale. La presenza deldifensore è quindi anticipata alla fase della richiesta(con contestuale illustrazione dei motivi), il che assicu-ra una maggiore garanzia stante la possibilità di contro-deduzione in ordine al contenuto e alle ragioni della ri-chiesta sulla sussistenza sia di gravi indizi di colpevo-lezza sia delle esigenze cautelari. L’interrogatorio del-l’arrestato viene condotto dopo che il pubblico mi-nistero ha illustrato sia i motivi dell’arresto sia le richie-ste in ordine alla libertà personale.

La scelta del pubblico ministero di avvalersi della fa-coltà di non comparire in udienza e di illustrare le pro-prie richieste per iscritto anziché oralmente al cospettodell’arrestato e del suo difensore non può sortire l’effet-to negativo (ed irragionevole) di privare l’indagato e ilsuo difensore di ottenere il contradditorio in situazionedi parità, così come garantito dalla norma.

[Nota bibliografica] La sentenza alla quale si fa riferimento è Cass.pen., sez. II, 27 marzo (c.c. 23 febbraio) 2006, n. 383, Basile.

[Antonella Marandola]

GIUDIZIO ABBREVIATO

Se prima della richiesta di rito abbreviato non condizio-nato la difesa possa produrre una consulenza contabile, conallegati documentali.

Al quesito, con una recente sentenza, la Cassazioneha dato risposta positiva.

Secondo quanto prevede l’art. 438, comma 2,c.p.p., infatti, l’imputato può presentare richiesta digiudizio abbreviato, in forma scritta od orale, fino aquando nell’udienza preliminare non siano state for-mulate le conclusioni. La richiesta può quindi essere

52PROC. PEN.

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presentata anche dopo l’eventuale integrazione istrut-toria disposta dal giudice dell’udienza preliminare aisensi degli art. 421-bis o 422 c.p.p.; e a maggior ragio-ne anche dopo le produzioni documentali che, secon-do quanto prevede l’art. 421, comma 3, c.p.p., il giudi-ce dell’udienza preliminare ammette dopo la costitu-zione delle parti.

Ne consegue che l’art. 442, comma 1-bis, c.p.p. si ri-ferisce anche a tali produzioni e comunque a tutte leprove acquisite nell’udienza preliminare, quando stabi-lisce che ai fini della deliberazione il giudice del giudi-zio abbreviato utilizza, oltre agli « atti contenuti nel fa-scicolo di cui all’articolo 416, comma 2» e alla « docu-mentazione di cui all’art. 419, comma 3», anche « le

prove assunte nell’udienza ». Prove assunte nell’udien-za sono infatti anche i documenti prodotti dalle partinell’udienza preliminare a norma dell’art. 421, comma3, c.p.p., perché il riconosciumento all’imputato dellafacoltà di chiedere il giudizio abbreviato fino alla con-clusione dell’udienza preliminare è inteso appunto apermettere l’utilizzazione nel giudizio speciale anchedelle prove acquisite nel corso dell’udienza.

[Nota bibliografica] La sentenza alla quale si fa riferimento è Cass.pen., sez. V, 26 febbraio (ud. 9 febbraio) 2006, n. 274, Paolone. Indottrina, da ultimo, nel rito contratto, v. Maffeo, Il giudizio abbre-viato, Napoli 2004, e Zacchè, Il giudizio abbreviato, Milano 2004.

[Antonella Marandola]

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Questioni

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DOTTRINA

[1] Il pignoramento quale primo atto dell’e-spropriazione forzata

La precisa determinazione del momento ini-ziale dell’espropriazione forzata assume notevolerilevanza pratica, determinando il limite di vali-dità del precetto e la competenza in caso di op-posizione preesecutiva o al pignoramento.

Nella quasi generalità dei casi, l’espropriazioneforzata inizia con il pignoramento. Le uniche ecce-zioni a questa regola sono rappresentate dall’ese-cuzione su mobili soggetti a pegno o ipoteca, inquanto il bene risulta già vincolato o appreso, edall’esecuzione in forma specifica, in cui bisognafar riferimento al precetto (Satta - Punzi, Dirittoprocessuale civile, 13a ed., Padova 2000, p. 604).Con l’entrata in vigore della l. 14 maggio 2005,n. 80, e succ. modd. ed integrazioni, a tale elen-cazione si aggiunge anche l’esecuzione per con-segna o rilascio. Infatti, il comma 1 dell’art. 608

c.p.c. è stato così sostituito: « l’esecuzione iniziacon la notifica dell’avviso con il quale l’ufficialegiudiziario comunica almeno dieci giorni primaalla parte che è tenuta a rilasciare l’immobile, ilgiorno e l’ora in cui procederà ».

A differenza del pignoramento positivo, manon portato a compimento, quello infruttuosonon costituisce valido atto iniziale (Castoro, Ilprocesso di esecuzione nel suo aspetto pratico, 9a ed.,Milano 2002, p. 140), né evita la sopravvenutainefficacia del precetto (Bucolo, Il processo esecu-tivo ordinario, Padova 1994, p. 219; contra, conampie motivazioni, Vassallo, Sul pignoramentonegativo, in G. mer. 1983, I, p. 1180).

[2] Natura, forma ed effetti del pignoramento

Il pignoramento assolve due funzioni stretta-mente interdipendenti: determina l’oggetto del-l’espropriazione (Tarzia, L’oggetto del processo diespropriazione, Milano 1961, p. 320), aggredendouno o più beni precisamente individuati e, nel

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Rassegne

Diritto processuale civile

IL PIGNORAMENTO IN GENERALE

SINTESI - Il pignoramento, atto iniziale dell’espropriazione forzata, consiste in un’ingiun-zione che l’ufficiale giudiziario rivolge al debitore di astenersi da qualunque atto dispositivosul bene colpito. Dottrina e giurisprudenza hanno variamente interpretato la rilevanza di ta-le intimazione, con distinzioni legate anche al tipo di pignoramento effettuato, attribuendole,talora, valenza di requisito essenziale, talora di pura formalità priva di qualsiasi rilievo.

Nella disciplina generale vengono anche analizzate quelle vicende che, con riferimento al-la loro incidenza pratica, vanno qualificate come anomale: il pignoramento su domanda dipiù creditori, quello su un bene già pignorato, il pagamento diretto nelle mani dell’ufficialegiudiziario e la riduzione del pignoramento per rimediare ad intenti persecutori del creditoreprocedente. Particolare attenzione va, infine, prestata all’istituto della conversione del pigno-ramento che, nelle varie modifiche testuali succedutesi negli ultimi anni, vuole cessare di es-sere strumento per un improprio differimento dell’esecuzione per recuperare la funzione ditutela delle ragioni del debitore senza lesione per quelle del creditore.

Il testo evidenzia le novità introdotte dalla l. 14 maggio 2005, n. 80, di conversione deld.l. 14 marzo 2005, n. 35, con le integrazioni disposte dalle l. 28 dicembre 2005, n. 495,e 24 febbraio 2006, n. 52.

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contempo, imprime un vincolo di indisponibi-lità sugli stessi. Rende, pertanto, inefficaci, neiconfronti dei soli creditori pignorante ed inter-venuti, eventuali atti dispositivi del bene e, inattuazione della sua funzione conservativo-cau-telare (Monteleone, Diritto processuale civile, 3a

ed., Padova 2002, p. 932), trasforma la garanziapatrimoniale gravante sul debitore da generica inspecifica.

Dal punto di vista oggettivo, il pignoramentosi sostanzia in un’ingiunzione, che l’ufficiale giu-diziario rivolge al debitore, la cui rilevanza è va-riamente interpretata dalla dottrina. Secondo l’o-rientamento prevalente, si tratta di un requisitoessenziale, in quanto, per un verso, è comune atutti i tipi di esecuzione e, per altro verso, prove-nendo dall’ufficiale giudiziario – che è un pub-blico ufficiale – è idoneo a creare un vincolopubblicistico sui beni che colpisce, e ciò al con-trario degli atti compiuti dalle parti private, deltutto inidonei a produrre un tale vincolo (cfr., pertutti, Verde, voce Pignoramento in generale, Enc.dir., XXXIII, Milano 1983, p. 765 ss.). Il suo difet-to, a parere di tale dottrina, impedisce il perfezio-narsi dell’atto e lo rende, pertanto, inesistente(Andrioli, Commento al cod. proc. civ., 3a ed., Na-poli 1957, p. 80; Verde, Il pignoramento. Studiosulla natura e sugli effetti, Napoli 1964, Id., vocePignoramento in generale, cit., p. 766 ss.; Redenti -Vellani, Diritto processuale civile, 3a ed, III, Milano1999, p. 169). Una posizione minoritaria ritiene,invece, che l’ingiunzione sia una formalità privadi qualsiasi rilievo, talché il pignoramento si per-fezionerebbe solo con il rispetto degli adempi-menti previsti per ciascuna forma di espropria-zione (Satta, L’esecuzione forzata, Torino 1963, p.72; Castoro, op. cit., p. 142). Non manca, poi,una tesi intermedia (Bonsignori, L’esecuzione for-zata, 3a ed., Torino 1996, p. 81; G. F. Ricci, In-giunzione o forme particolari. Un dubbio in tema dipignoramento, in R. trim. d. proc. civ. 1977, p. 1622ss.) che riconosce all’intimazione valenza forma-le. La sua omissione (censurabile con l’opposi-zione agli atti esecutivi) genererebbe solo unanullità processuale, tra l’altro impedita dal rag-giungimento dello scopo dell’atto (Mandrioli,Diritto processuale civile, 17a ed., IV, Torino 2005,p. 71, nota 24, il quale giunge alla stessa soluzio-ne, pur senza negare l’essenzialità del requisito).

[2-bis] Le novità apportate all’art. 492 c.p.c.,dalla l. 14 maggio 2005, n. 80, di conversionedel d.l. 14 marzo 2005, n. 35, successivamen-

te integrata dalla l. 28 dicembre 2005, n. 263,e dalla l. 24 febbraio 2006, n. 52.

Con la l. 14 maggio 2005, n. 80 (e succ.mod.), la norma in commento si è arricchita diulteriori sette commi. La prima novità introdot-ta dal nuovo comma 2 è l’invito, rivolto al debi-tore, a dichiarare la residenza o l’elezione di do-micilio in uno dei comuni del circondario in cuiha sede il giudice competente per l’esecuzione,con l’avvertimento che, in mancanza, ovvero incaso di irreperibilità presso la residenza dichia-rata o il domicilio eletto, le successive notificheo comunicazioni, a lui dirette saranno effettuatepresso la cancelleria dello stesso giudice. Taleinvito dovrà essere aggiunto anche nella reda-zione del pignoramento immobiliare (art. 555c.p.c.; Saletti, Le novità in materia di pignora-mento e di ricerca dei beni da espropriare, inwww.judicium.it, da una parte sottolinea come laprevisione normativa abbia portata generale,dall’altra precisa che l’invito, laddove si tratti diatti di pignoramento a contenuto complesso –come accade nell’espropriazione immobiliare ein quella presso terzi – andrà inserito nella par-te riconducibile all’ufficiale giudiziario).

La norma pone, così, a carico dell’esecutato,un onere, che pare ispirato al perseguimento didiversi obiettivi: 1) semplificare le comunica-zioni, nei suoi confronti, degli atti esecutivi; 2)evitare rinvii della procedura per omessa notifi-ca degli avvisi; 3) conseguentemente, scongiu-rare eventuali nullità riflesse degli atti successivia quello non comunicato. La dichiarazione deldebitore non presuppone, ovviamente, una suaformale “costituzione” nel processo (cfr., sulpunto, nel ragionare di tale possibile innovazio-ne legislativa, già contenuta del d.d.l. Castellirecante Modifiche urgenti al codice di procedura ci-vile, Capponi, Storto, Prime considerazioni suld.d.l. Castelli recante “Modifiche urgenti al codice diprocedura civile”, in relazione al processo di esecu-zione forzata, in R. esecuz. forz. 2002, p. 166). Siricorda che il debitore, pur godendo di un dirit-to al contraddittorio pieno soltanto nelle oppo-sizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi, hadiritto di essere ascoltato a garanzia della rego-larità delle procedure. In quest’ottica, si puòcomprendere la particolare importanza di unasua collaborazione mediante la dichiarazione diresidenza o l’elezione di domicilio, in mancanzadella quale potrebbe vedere compromesso, sal-va un’assidua vigilanza in cancelleria, il propriodiritto a contestare eventuali irregolarità (con

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l’opposizione agli atti esecutivi da compiersientro venti giorni dal deposito dell’avviso incancelleria).

Va precisato, inoltre, che, qualora non siastato formulato l’invito ed il debitore non vengaedotto delle conseguenze della mancata dichia-razione di residenza, non sorge alcun onere acarico dell’esecutato. Saletti (op. ult. cit.) sotto-linea che, tra il caso in esame e quelli in cui l’o-nere di elezione di domicilio è stabilito ex legesenza necessità di alcuna previa informativa –ad es., l’art. 638 c.p.c. –, vi sia una profondadifferenza. Nel processo esecutivo, infatti, il de-bitore non è tenuto ad avvalersi dell’assistenzatecnica e ciò giustifica la puntuale segnalazionedegli oneri cui deve adempiere. In ogni caso,l’invito potrà essere effettuato in un momentosuccessivo al pignoramento che ne è carente.

Il comma 3, introdotto dalla l. 28 dicembre2005, n. 263, prevede che l’ufficiale giudiziariodia notizia al debitore della possibilità di ricor-rere alla conversione del pignoramento.L’avvertimento, da formalizzare nel verbale onell’atto di pignoramento, deve contenere mo-dalità, termini ed adempimenti come analitica-mente prescritti nell’art. 495. La sua mancanzaimporta la nullità del pignoramento che il debi-tore deve far valere, entro il termine di ventigiorni dal momento in cui ne ha conoscenza le-gale, con l’opposizione agli atti esecutivi, ex art.617 c.p.c., a pena di sanatoria (Finocchiaro,Nel nuovo atto di pignoramento il debitore è invita-to ad indicare i beni, in Guida al dir., 11 marzo2006, n. 10, p. 29).

I commi 4 e 5 stabiliscono, invece, l’obbligoper l’ufficiale giudiziario di invitare il debitoread indicare ulteriori beni utilmente pignorabili,i luoghi in cui si trovano, ovvero le generalitàdei terzi debitori. Si tratta di un procedimentoche può essere attivato nell’ipotesi in cui i beniassoggettati a pignoramento appaiano insuffi-cienti o qualora l’ufficiale giudiziario giudichimanifesta la lunga durata della loro liquidazio-ne. A queste ipotesi deve essere equiparata, no-nostante il tenore letterale della norma, anchequella di mancato reperimento di alcun benepignorabile. Il debitore (ovvero l’amministrato-re, il direttore generale o il liquidatore nel casola debitrice sia una società) deve, inoltre, essereavvertito del fatto che, se omette di risponderenel termine di quindici giorni o effettua una fal-sa dichiarazione, incorrerà nella sanzione di cuiall’art. 388, comma quinto, c.p. (richiamato dalcomma sesto, introdotto dalla l. 24 febbraio

2006, n. 52). Esiste, infine, un’ulteriore appli-cazione dello strumento di cui al comma 4,qualora il compendio dei beni pignorati diventiinsufficiente per effetto dell’intervento di altricreditori (v. comma 6). In concreto, l’ufficialegiudiziario, così richiesto dal creditore proce-dente, deve recarsi, nuovamente, dal debitore erivolgergli l’invito di cui al comma 4; successi-vamente, in caso di dichiarazione positiva, po-trà, così, venire esercitata la facoltà di cui all’art.499, comma 4, in base al quale il creditore pi-gnorante può indicare l’esistenza di altri benidel debitore utilmente pignorabili, invitando icreditori chirografi, intervenuti tempestivamen-te, ad estendere il pignoramento, o ad anticipa-re le spese necessarie per l’estensione. Se i cre-ditori intervenuti, senza giusto motivo, nonestendono il pignoramento ai beni indicati, en-tro il termine di trenta giorni, il creditore pigno-rante ha diritto di essere loro preferito in sededi distribuzione. Deve, peraltro, osservarsi chelo svolgimento del procedimento in esame noncostituisce presupposto imprescindibile affin-ché il creditore procedente possa godere dellaprelazione processuale di cui all’art. 499, com-ma 3. Infatti, ove quest’ultimo conosca ulterioribeni del debitore utilmente pignorabili, può im-mediatamente indicarli ai creditori intervenutisenza dover preventivamente seguire il proce-dimento di cui all’articolo in commento (Fi-nocchiaro, op. cit., p. 30).

L’indicazione, che viene verbalizzata e sotto-scritta anche dal debitore (Miccolis, Pignora-mento, ricerca dei beni da pignorare, estensione delpignoramento, in F. it. 2005, V, c. 115, corretta-mente definisce il pignoramento sulla parola),rende le cose mobili pignorate dal momentodella dichiarazione medesima, anche agli effettidell’art. 388, comma 3, c.p. (mancata esecuzionedolosa di un provvedimento del giudice da parte delcustode). L’ufficiale giudiziario deve recarsi nelluogo in cui esse si trovano, nominare un cu-stode (persona o ente che deve essere diversodal debitore) e provvedere, ove richiesto, al loroasporto presso un luogo di pubblico deposito.Se, invece, i beni mobili si trovano in un luogocompreso in un diverso circondario, trasmettecopia del verbale all’ufficiale giudiziario territo-rialmente competente. Qualora il debitore indi-chi crediti o cose mobili che sono in possessodi terzi, il pignoramento si considera perfezio-nato nei confronti del (solo) debitore esecutatodal momento della dichiarazione e questi è co-stituito custode della somma o della cosa anche

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agli effetti dell’art. 388, comma 4, c.p. quando ilterzo, prima che gli sia notificato l’atto di cui al-l’art. 543, effettua il pagamento o restituisce ilbene. Nei confronti del terzo, il creditore deve,invece, rispettare le forme di cui all’art. 543. Se,infine, sono indicati beni immobili il creditoredeve procedere ai sensi degli artt. 555 ss.; il pi-gnoramento, pertanto, non si estende a questiulteriori cespiti, per i quali il procedente dovrànotificare e trascrivere un nuovo pignoramento.Bisogna evidenziare, dunque, che, a secondadella tipologia dei beni indicati, non corrispon-de un regime giuridico perfettamente identico:in particolare, soltanto nel caso ove siano indi-cati beni mobili nel possesso del debitore e nelcircondario di competenza dell’ufficiale giudi-ziario, il pignoramento si perfeziona; al contra-rio, in tutte le altre ipotesi, il creditore deve atti-varsi per lo svolgimento del rispettivo procedi-mento di pignoramento.

Va subito precisato che, dopo decenni di di-battiti dottrinali sul tema della ricerca dei benida pignorare (ex mulitis, v. Comoglio, L’indivi-duazione dei beni da pignorare, in R. d. proc. 1992,p. 83 ss.; Merlin, Prospettive di riforma parzialedel diritto nell’esecuzione forzata: individuazionedei beni da pignorare e garanzia generica dell’obbli-gazione civile, in F. it. 1993, V, c. 440) e sull’ef-fettività della tutela del creditore nell’esecuzio-ne forzata (sul tema v. Atti del XVIII ConvegnoNazionale, Torino 4-5 Ottobre 1991, L’effettivitàdella tutela del debitore nell’esecuzione forzata, Mi-lano 1992), il legislatore introduce il sistemadella dichiarazione sia pur confessoria ma nongiurata (tutt’altro istituto rispetto al giuramentodel debitore sul modello del Offenbarungseiddella ZPO tedesca). In sostanza, nel caso il de-bitore non risponda ovvero renda dichiarazionifalse, la blanda previsione della reclusione finoad un anno o della multa fino a euro 516 e ladifficoltà di verificare l’attendibilità delle infor-mazioni fornite rendono la norma di limitatautilità pratica. Risultano del tutto condivisibili,quindi, le osservazioni di Corsini (in L’indivi-duazione dei beni da pignorare secondo il nuovoart. 492 c.p.c., in R. trim. d. proc. civ. 2005, p.817) che, giustamente, lamenta la mancata uti-lizzazione di strumenti più incisivi mutuabili dadiversi ordinamenti stranieri (per un’aggiornatarassegna, Comoglio, La ricerca dei beni da pigno-rare, in www.judicium.it, spec. § 2).

Altro strumento previsto per la ricerca deibeni del debitore da assoggettare a espropria-zione forzata è costituito dalla consultazione

delle banche dati pubbliche. Il comma 7 preve-de, infatti, che quando non si rinvengano beniutilmente pignorabili oppure le cose e i creditipignorati o indicati dal debitore appaiano insuf-ficienti a soddisfare il creditore procedente e icreditori intervenuti, l’ufficiale giudiziario, su ri-chiesta del creditore (non è necessaria l’autoriz-zazione del giudice dell’esecuzione), debba ri-volgersi ai soggetti gestori dell’anagrafe tributa-ria o di altre banche dati pubbliche, per ricerca-re ulteriori beni da sottoporre ad esecuzione. Inproposito va precisato che la richiesta: 1) deveindicare, distintamente, le generalità dei debito-ri e del creditore istante; 2) non può essere for-mulata prima del pignoramento, ma sempre inqualunque momento successivo, anche ove ildebitore sia irreperibile e non gli possa essererivolto l’invito di cui al precedente commaquarto; 3) consente di individuare, ad es. attra-verso l’analisi delle dichiarazioni mod. 740, l’e-sistenza di beni immobili, partecipazioni socie-tarie o rapporti di dipendenza, altrimenti nonimmediatamente disponibili se non attraversoispezioni presso le singole Conservatorie deiRegistri immobiliari o Camere di Commercio.Pur ritenendo la novità seria ed incisiva, Como-glio, (op. ult. cit.) ne sottolinea alcuni limiti dioperatività. In primo luogo, l’accesso all’anagra-fe tributaria si rivela poco produttivo, ogni qualvolta si ricerchino cespiti mobiliari specifici(fondi di investimento, azioni di società quotatein borsa, obbligazioni . . .) ed il soggetto intesta-tario abbia optato per il regime di tassazionedei relativi proventi (interessi, ratei o dividendi)alla fonte. Infatti, non è tenuto ad indicarli nellapropria dichiarazione annuale dei redditi (nelc.d. modello unico). Dall’altro canto, le notiziesu ulteriori cespiti mobiliari (ad es., quote dipartecipazione in società di persone e di capita-li non quotate, aziende . . .) si possono facilmen-te ottenere previa consultazione e visura infor-matizzata dei registri delle imprese istituitipresso le camere di commercio. Più fruttuoso è,invece, l’accesso alle banche dati dei diversi isti-tuti di credito, indirizzato alla ricerca ed al repe-rimento dei conti correnti bancari del debitore.

L’articolo in esame, prevede, inoltre, che l’uf-ficiale giudiziario possa, infine, richiedere l’assi-stenza della forza pubblica, ove da lui ritenutonecessario. Si tratta di una facoltà che può eser-citare direttamente, senza necessità di appositaautorizzazione o particolari giustificazioni.

Se il debitore è un imprenditore commercialel’ufficiale giudiziario, negli stessi casi di cui al

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comma 7 e previa istanza del creditore proce-dente, con spese a carico di questi, invita il de-bitore a indicare il luogo ove sono tenute lescritture contabili e nomina un commercialistao un avvocato ovvero un notaio iscritto nell’e-lenco di cui all’art. 179-ter disp. att. per il loroesame al fine dell’individuazione di cose e cre-diti pignorabili. Il professionista nominato puòrichiedere informazioni agli uffici finanziari sulluogo di tenuta nonché sulle modalità di con-servazione, anche informatiche o telematiche,delle scritture contabili indicati nelle dichiara-zioni fiscali del debitore e vi accede ovunque sitrovi, richiedendo quando occorre l’assistenzadell’ufficiale giudiziario territorialmente compe-tente. All’esito della propria attività di esame, ilprofessionista trasmette una relazione con i ri-sultati della verifica al creditore istante e all’uffi-ciale giudiziario che lo ha nominato. Quest’ulti-mo provvede alla liquidazione delle spese e delcompenso che sono anticipate dal creditoreistante. Se dalla relazione risultano cose o cre-diti non oggetto della dichiarazione del debito-re, le spese dell’accesso alle scritture contabili edella relazione sono liquidate con provvedi-mento che costituisce titolo esecutivo contro ildebitore.

[3] Pignoramenti su istanza di più creditori:uno o più processi esecutivi?

Più creditori possono colpire, anche in forzadi diversi titoli esecutivi, il medesimo bene conun unico pignoramento, ovvero pignorare unbene sul quale è già stato compiuto un pignora-mento. In quest’ultimo caso, i successivi atti diespropriazione danno luogo ad un unico pro-cedimento.

Si tratta di due ipotesi, configurate dall’art.493 c.p.c., che anticipano il concorso nell’ese-cuzione rappresentato dall’intervento.

Va chiarito che ogni azione esecutiva intra-presa dal singolo creditore, anche se in formacongiunta, conserva la propria autonomia edindividualità. Ciò significa che ciascun creditorepuò promuovere gli ulteriori atti esecutivi; lasua rinuncia non si estende agli altri creditori; ivizi formali o sostanziali inficiano esclusiva-mente la sua iniziativa; le opposizioni ex artt.615 e 617 c.p.c. contro un pignoramento nonhanno effetto rispetto alle altre parti (Monte-leone, op. cit., p. 939). In sostanza la riunionedelle procedure esecutive, prevista solo ai fini

di economia processuale, non configura alcunlitisconsorzio facoltativo o, tantomeno, neces-sario tra i creditori (Satta, Punzi, op. cit., p.612).

[4] Pagamento nelle mani dell’ufficiale giudi-ziario

Ai sensi dell’art. 494 c.p.c., il debitore puòevitare in extremis il pignoramento versando lasomma per cui si procede e l’importo dellespese nelle mani dell’ufficiale giudiziario. Que-st’ultimo è legittimato ex lege a ricevere il paga-mento da effettuarsi con denaro contante e dadocumentarsi in un verbale che vale comequietanza liberatoria (Bucolo, op. cit., p. 280).Se, quindi, per qualsiasi ragione, la somma nongiunge al creditore, il debitore non è tenuto a ri-sponderne.

Il versamento, con riserva di ripetizione, nonimplica riconoscimento del debito e rinunciaalla sua contestazione.

Il debitore può, infine, depositare nelle manidell’ufficiale giudiziario la somma non per esse-re consegnata al creditore, ma per essere pigno-rata. In questo caso, l’espropriazione prosegueil suo iter senza la fase della vendita forzata.

[5] La conversione del pignoramento: tempoed effetti dell’istanza, natura, conseguenze eregime di impugnazione dell’ordinanza.

L’art. 495 c.p.c. prevede che il debitore possachiedere di sostituire ai beni pignorati una som-ma di denaro pari all’importo dovuto al creditorepignorante ed ai creditori intervenuti, compren-sivo di capitale, interessi e spese di esecuzione.A seguito della modifica apportata dalla legge n.80 del 2005, il dies ad quem, oltre il quale non èpiù possibile proporre l’istanza, viene individua-to, chiaramente, con quello assegnato al giudicedell’esecuzione per emettere l’ordinanza di ven-dita o assegnazione , ai sensi degli artt. 530, 552e 569. Viene così recepita quella posizione dot-trinaria minoritaria più rigorosa che, nel rispettodi esigenze di celerità, fruttuosità (Tullio, Sullaammissibilità dell’istanza di conversione del pignora-mento immobiliare proposta successivamente all’ag-giudicazione, in Giust. civ. 1994, I, p. 1029) e dicertezza nell’applicazione dell’istituto (Capponi,Conversione del pignoramento e sospensione del pro-cesso esecutivo, in F. it. 1991, I, c. 811 ss.), faceva

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riferimento all’inizio del procedimento di vendi-ta. L’orientamento prevalente riteneva, invece,che l’istanza di conversione potesse essere pre-sentata anche successivamente. In particolare, incaso di espropriazione immobiliare, con venditasenza incanto, poteva essere chiesta sino all’e-manazione del decreto di trasferimento o di as-segnazione; altrimenti, nella vendita con incanto(primo o nuovo), sino all’aggiudicazione definiti-va, dopo l’aumento di sesto (Cerino Canova,Offerte dopo l’incanto, Padova 1975, p. 212) ed,addirittura, anche oltre, in caso di inadempienzadell’aggiudicatario (Castoro, op. cit., p. 191).

L’istanza deve essere accompagnata dal depo-sito, in cancelleria, a pena di inammissibilità, diuna somma non inferiore ad un quinto dell’im-porto del credito per cui è stato eseguito il pi-gnoramento e di quello dei creditori intervenuti.La sua presentazione non sospende l’esecuzione(Taranto, La conversione del pignoramento: dastrumento di sostituzione del compendio a espedientedilatorio della vendita, in G. it. 1978, I, 1, p. 1417ss.) ma, di fatto, la arresta poiché il giudice nondisporrà la vendita, finché non abbia esaminatola richiesta del debitore.

Onde evitare un uso distorto della conversio-ne a fini dilatori, l’istanza può essere avanzatauna sola volta, a pena di inammissibilità.

Il giudice dell’esecuzione, nell’ammettere lasostituzione, deve tener conto solo degli inter-venti effettuati sino al momento del deposito delricorso e deve limitarsi ad un controllo della me-ra regolarità degli atti (Garbagnati, In tema diconversione del pignoramento, in R. d. proc. 1992,p. 424; contra, Capponi, Conversione del pignora-mento e cognizione dei crediti, in R. trim. d. proc. civ.1988, p. 523).

Pertanto, la sua ordinanza, preceduta dall’au-dizione degli interessati, non comporta alcun ac-certamento irrevocabile dei crediti, specie con ri-guardo agli intervenuti. Eventuali errori nella de-terminazione della somma possono essere cen-surati con l’opposizione agli atti esecutivi. Lecontestazioni (anticipate) inerenti il diritto a pro-cedere, la pignorabilità dei beni o i crediti degliintervenuti non influiscono sulla determinazionedella somma e vanno, invece, proposte nelle for-me di cui all’art. 615 c.p.c. L’ordinanza è, comun-que, revocabile o modificabile sin che non abbiaavuto esecuzione (Bucolo, op. cit., p. 287).

Con lo stesso provvedimento il giudice dispo-ne la liberazione dei beni dal pignoramento, so-stituendo in loro vece la somma depositata. An-che nell’espropriazione mobiliare l’efficacia del-

l’ordinanza ed il venir meno, ex tunc, del vincolosono subordinati al versamento integrale dellasomma stabilita, a prescindere da qualsiasiespressa menzione al riguardo (Castoro, op. cit.,p. 196). Ci si riferisce al pagamento differito chesi verifica con la concessione del beneficio allarateizzazione, ammesso solamente nell’esecuzio-ne immobiliare (per la sua presunta incostituzio-nalità Zazzera, La conversione del pignoramento:storia e filosofia d’un martirio, in D. e giur. 1998, p.430) ove il termine massimo di nove mensilità èstato prolungato a diciotto dalla legge n. 80 del2005.

[6] Condizioni per la riduzione del pignora-mento

La riduzione del pignoramento, istituto voltoa rimediare all’eccesso espropriativo, può avereluogo, su istanza del debitore o anche d’ufficio,quando il valore dei beni pignorati è superioreall’importo delle spese e dei crediti del creditoreprocedente e degli intervenuti.

Essa presuppone, ai sensi dell’art. 496 c.p.c.,il verificarsi di tre condizioni:

a) che sia stata pignorata una pluralità di be-ni od un bene facilmente divisibile. La formaespropriativa prescelta non incide sulla sua ap-plicabilità (la riduzione si estende anche al se-questro conservativo Castoro, op. cit., p. 203)salvo, forse, per il pignoramento dei crediti(Satta, op. cit., p. 209, ne esclude l’ammissibilitàa differenza del Verde, voce Pignoramento in ge-nerale, op. cit., p. 763 ss.);

b) che sia preclusa la possibilità di interventitempestivi che possono far venir meno l’ecces-so di valore dei beni pignorati (Monteleone,op. cit., p. 945). L’istanza, pertanto, non può es-sere proposta prima dell’udienza di autorizza-zione alla vendita (Vellani, Sul momento in cui ilgiudice dell’esecuzione può disporre la riduzione delpignoramento, in R. d. proc. 2002, I, p. 710; con-tra, Saletti, Cumulo e concorso dei mezzi di espro-priazione forzata, in R. d. proc. 1984, p. 549, ilquale ritiene che non esista un dies ne ante quemper chiedere la riduzione. Osserva, infatti, che ilgiudice dovrà, in ogni caso, considerare anche icrediti dei creditori iscritti, non intervenuti, poi-ché la loro esistenza è destinata … ad incidere sulricavato dell’espropriazione. Va ricordato che il lo-ro intervento è ammissibile sino alla fase delladistribuzione);

c) che la vendita non sia stata eseguita.

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Il pignoramento in generale

Il giudice provvede, su istanza del creditore oanche d’ufficio, con ordinanza, sentiti tutti i cre-ditori. Tale provvedimento è modificabile o re-vocabile finché non sia stato eseguito (contra,Castoro, op. cit., p. 208) ed è impugnabile, pervizi formali, con l’opposizione agli atti esecutivi.

[7] Cessazione dell’efficacia del pignoramento

Il pignoramento è sottoposto ad un termineperentorio di efficacia di novanta giorni dal suocompimento, entro il quale il creditore proce-dente ha l’onere di chiedere la vendita o l’asse-gnazione dei beni.

In difetto, viene meno il vincolo e gli atti di-spositivi eventualmente compiuti dal debitoremedio tempore sono opponibili ai creditori (Mon-teleone, op. cit., p. 946).

Il termine di cui all’art. 497 c.p.c. è sospesoautomaticamente dalla proposizione dell’opposi-zione ex art. 617 c.p.c., sino alla pronuncia di unadecisione passata in giudicato, mentre in caso diopposizione all’esecuzione o di terzo rimane so-speso soltanto se il giudice dispone la sospen-sione dell’esecuzione medesima (Capponi, vocePignoramento, in Enc. giur., XXIII, Roma 1990, p.16). Tale termine è, altresì, soggetto alla sospen-sione nel periodo feriale.

Parte della dottrina ritiene che la decadenza,integrando ipotesi di estinzione del processoesecutivo, debba essere eccepita dal debitore pri-ma di ogni altra difesa; nel caso in cui sia stataemessa ordinanza di vendita, debba essere pro-posta opposizione agli atti esecutivi (Monte-leone, op. cit., p. 946). Secondo l’orientamentocontrario, l’inefficacia del pignoramento operaautomaticamente o di diritto. Il giudice deve di-chiararla d’ufficio se vengono compiuti ulterioriatti di esecuzione oltre la scadenza del termineed, in ogni caso, nell’esecuzione immobiliare,per permettere la cancellazione della trascrizionedel pignoramento (Castoro, op. cit., p. 212 s.).

Questa stessa dottrina ritiene che contro l’or-dinanza (che accoglie o rigetta l’eccezione) siaammesso unicamente il reclamo nelle forme de-gli art. 178, commi 3, 4, 5, e 630 c.p.c., e nonl’opposizione ex art. 617 c.p.c.

Va precisato, infine, che nell’esecuzione im-mobiliare il pignoramento si perfeziona con latrascrizione presso il competente conservatoredei registri immobiliari poiché tale forma di pub-blicità ne è elemento costitutivo (Castoro, op.cit., p. 209).

GIURISPRUDENZA DI CASSAZIONE

[1] Il pignoramento quale primo atto dell’e-spropriazione forzata

La giurisprudenza di legittimità chiarisce che ilprecetto è mero presupposto e non atto inizialedell’esecuzione la quale si instaura solo con il pi-gnoramento (Cass. 13 gennaio 1976, n. 94).

Nell’espropriazione mobiliare il pignoramentonon implica attività di giudizio e, pertanto, nonpresuppone uno ius postulandi. Di conseguenza,il creditore istante può chiederlo personalmente,tramite rappresentante ad negotia ed anche permezzo di difensore con mandato ad litem (Cass.10 dicembre 1976, n. 4595).

La procura conferita a quest’ultimo nel ricorsoper decreto ingiuntivo si estende anche al pigno-ramento (Cass. 3 giugno 1996, n. 5087).

[2] Natura, forma ed effetti del pignoramento

Le conseguenze del difetto di ingiunzione daparte dell’ufficiale giudiziario sono diverse in re-lazione al tipo di pignoramento.

Nel pignoramento mobiliare se il debitore ese-cutato ha avuto comunque conoscenza dell’atto,non può dolersi, con l’opposizione agli atti ese-cutivi, dell’omessa intimazione (Cass. 10 agosto1977, n. 3684, in F. it. 1977, I, c. 2449, con notadi Pietrosanti).

Nel pignoramento immobiliare l’ingiunzionecostituisce, invece, un requisito essenziale e lasua mancanza è rilevabile in ogni stato del pro-cedimento. Dal compimento dell’atto di pignora-mento o dalla successiva costituzione del debitorenel processo esecutivo non decorre il terminedecadenziale indicato dall’art. 617 c.p.c.; pertan-to l’opposizione agli atti esecutivi, ancorché for-mulata oltre la scadenza, non deve reputarsi tar-diva (Cass. 10 marzo 1999, n. 2082).

Infine, nel pignoramento presso terzi, il difettoprovoca soltanto una nullità formale censurabilecon l’opposizione agli atti esecutivi entro cinquegiorni (divenuti venti a seguito della recente no-vella) dall’udienza fissata a norma dell’art. 547c.p.c. (Cass. 1° febbraio 2002, n. 1308, in G. it.2002, c. 2060, con nota di Nela; Cass. 23 gen-naio 1998, n. 669, ivi 1998, c. 1331. Contra,Cass. 17 luglio 1997, n. 6580; Cass. 21 giugno1995, n. 7019, secondo cui l’ingiunzione è re-quisito essenziale e la sua mancanza comporta lagiuridica inesistenza dell’atto).

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La giurisprudenza fornisce, inoltre, un’ampiacasistica di nullità del pignoramento ravvisandotale forma di invalidità nell’ipotesi di:

a) mancata sottoscrizione dell’ufficiale giudi-ziario; con la precisazione che il vizio opera solose essa difetti sull’originale dell’atto e non anchesulla copia (Cass. 11 gennaio 1978, n. 99);

b) incompetenza territoriale dell’ufficiale giu-diziario procedente (quello del luogo ove si tro-vano i beni da pignorare). È colpito da nullità an-che il pignoramento effettuato dall’aiutante uffi-ciale giudiziario (Cass. 9 aprile 2003, n. 5583),mentre è inesistente se compiuto da soggettoche non ne condivide in alcun modo le funzioni,come accade per i commessi addetti all’UNEP.Nell’esecuzione immobiliare la notifica del pi-gnoramento può essere eseguita sia personal-mente dall’ufficiale giudiziario del luogo di resi-denza del debitore, sia a mezzo del servizio po-stale da parte di quello del luogo ove si trovanogli immobili e dove ha sede il giudice dell’esecu-zione. La trascrizione deve essere, invece, esegui-ta dall’ufficiale giudiziario del luogo in cui sonosituati gli immobili, ovvero dallo stesso creditoreprocedente (Cass. 14 maggio 1991, n. 5375, ivi1992, I, 1, c. 522);

c) escussione del debitore in sua assenza(Cass. 27 giugno 1990, n. 6544);

d) mancata sottoscrizione del pignoramentoimmobiliare da parte del difensore munito diprocura (Cass. 26 luglio 1997, n. 7017).

Trattandosi di vizi che attengono alla regola-rità formale del pignoramento e non alla validitàsostanziale dell’azione esecutiva essi sono impu-gnabili ex art. 617 c.p.c., entro il termine di cin-que giorni (divenuti venti a seguito della recentenovella) dal compimento dell’atto o dalla sua co-noscenza legale.

[3] Pignoramenti su istanza di più creditori:uno o più processi esecutivi?

Nell’espropriazione forzata mobiliare, in casodi pluralità di pignoramenti, se questi vengonoeseguiti sullo stesso o sugli stessi beni, il proces-so esecutivo è unico fin dall’origine. I creditorisuccessivamente pignoranti vi si inserisconoquali intervenienti tempestivi o tardivi.

Invece, i pignoramenti eseguiti anche o soltantosu altri beni danno origine (per i beni diversi daquelli già pignorati) ciascuno ad un processo ese-cutivo distinto da quello precedentemente inizia-to. In quest’ultimo caso ciascun processo esecuti-

vo si svolge separatamente dall’altro senza confu-sione dei relativi compendi e delle loro rispettivedestinazioni (Cass. 1° aprile 1987, n. 3130).

La giurisprudenza chiarisce che la riunione dipiù procedimenti esecutivi iniziati contro la stes-sa persona da diversi creditori non altera la so-stanziale autonomia ed indipendenza di ciascunaprocedura rispetto alle altre. Pertanto, i creditoripignoranti ed i creditori intervenuti possono eser-citare i poteri loro attribuiti dalla legge soltanto inordine ai beni oggetto della procedura esecutivariunita nella quale rivestono le suddette qualità enon anche in ordine ai beni colpiti dalle altre pro-cedure. Il giudice dell’esecuzione non può, quin-di, disporre la vendita forzata dei beni che costi-tuiscono l’oggetto di una di tali procedure, sullasola istanza dei creditori che hanno pignorato be-ni diversi o dei creditori intervenuti nelle altreprocedure riunite (Cass. 19 aprile 1974, n. 1092).

[4] Pagamento nelle mani dell’ufficiale giudi-ziario

La giurisprudenza di legittimità distingue ledue ipotesi disciplinate dall’art. 494 c.p.c. quantoai loro effetti.

Il versamento della somma all’ufficiale giudi-ziario, con l’incarico di consegnarla al creditore alfine di evitare il pignoramento, ha contenuto evalore di pagamento e produce, perciò, effetti li-beratori immediati.

Tali effetti non si verificano, invece, se la con-segna sia fatta con riserva di ripetizione e nonimplichi, quindi, riconoscimento del debito o ri-nunzia alla sua contestazione (Cass. 12 luglio1984, n. 4099, in Rass. Avv. Stato 1984, I, 6, p.1013).

Solo il versamento di denaro contante ha ef-fetto solutorio, non la consegna di un assegnobancario di conto corrente (Cass. 13 ottobre1998, n. 10119, in Giust. civ. 1999, I, p. 2414).

[5] La conversione del pignoramento: tempoed effetti dell’istanza, natura, conseguenze eregime di impugnazione dell’ordinanza

Come già anticipato nella parte dedicata alladottrina, a seguito della modifica apportata dallalegge n. 80 del 2005, l’incipit dell’art. 495 c.p.c.così recita: prima che sia disposta la vendita o l’as-segnazione a norma degli artt. 530, 552, 569, il de-bitore può chiedere …

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Il pignoramento in generale

Nel dubbio ingenerato dalla precedente for-mulazione testuale, la giurisprudenza di legitti-mità riteneva che la conversione del pignora-mento potesse essere chiesta in qualsiasi mo-mento anteriore alla vendita del bene pignorato.Se si trattava di espropriazione immobiliare, amezzo di vendita con incanto, l’istanza era tem-pestiva anche se proposta dopo l’aggiudicazionedel bene, ma quando ancora non fosse trascorsoil termine di dieci giorni di cui all’art. 584 c.p.c.per le offerte in aumento di sesto, ovvero, nel ca-so di presentazione di offerte siffatte, fino aquando non fosse stata espletata la gara apposi-tamente prevista (Cass. 23 luglio 1993, n. 8236,ivi 1994, I, p. 1025, con nota critica di Tullio,op. cit.). La riforma legislativa ha chiarito, final-mente, che il termine ultimo è quello dell’ordi-nanza con cui il G.e. dispone la vendita o l’asse-gnazione.

La presentazione della domanda di conversio-ne del pignoramento non importa l’automaticasospensione degli atti esecutivi, spettando esclu-sivamente al giudice dell’esecuzione valutare, ca-so per caso, la possibilità di un semplice differi-mento della vendita prefissata ed imminente,senza pregiudizio per i creditori (Cass. civ., sez.un., 19 luglio 1990, n. 7378, in Nuova g. civ.comm. 1991, I, p. 214 ss., con nota di Giancotti,Sospensione del processo esecutivo a seguito di istan-za di conversione del pignoramento: da effetto auto-matico a potere discrezionale del giudice; contra,Cass. 17 aprile 1978, n. 1810).

La conversione è ammissibile anche ove il be-ne sia ipotecato senza che ciò comporti la perdi-ta della garanzia, dato che la cancellazione dell’i-poteca può essere ordinata solo dopo l’estinzio-ne dei crediti per il cui soddisfacimento è statapromossa l’azione esecutiva (Cass. 4 novembre1992, n. 11951, ivi 1993, I, p. 665, con nota diAtzori, Compatibilità tra conversione del pignora-mento e garanzie ipotecaria. Legittimazione del debi-tore non proprietario a chiedere la conversione del pi-gnoramento. Il credito fondiario fa le sue ultime vitti-me?).

Il limite temporale per il tempestivo interven-to dei creditori nell’esecuzione viene individuatonell’udienza fissata per l’audizione delle parti,prima che il giudice emetta l’ordinanza di con-versione (Cass. 8 novembre 1982, n. 5867).

Tale incombente non è prescritto a pena dinullità rilevabile d’ufficio e la relativa inosservan-za può essere fatta valere, secondo il principiogenerale di cui all’art. 157, comma 1, c.p.c., sol-tanto dai creditori pretermessi (Cass. 29 marzo

1989, n. 1490, in G. it. 1990, I, 1, c. 1796, connota adesiva di Taranto, La conversione “rateale”del pignoramento fra discrezionalità e opportunità) edal debitore ove venga violato il principio delcontraddittorio (Cass. 18 giugno 1980, n. 3859).

La giurisprudenza ritiene, inoltre, che il prov-vedimento con cui il giudice determina la som-ma di denaro da versare in sostituzione delle co-se pignorate comporti una valutazione soltantosommaria delle pretese dei creditori e non abbia,pertanto, contenuto decisorio rispetto al dirittoad agire in executivis di quelli intervenuti (Cass.23 aprile 1999, n. 4242).

Quanto al pagamento della somma indicatanell’ordinanza, esso non ha alcuna incidenza sultitolo esecutivo o sul credito dal quale trae origi-ne. Non è, pertanto, un modo d’estinzione del-l’obbligazione sostanziale o dei crediti vantati, nécomporta il venir meno della procedura esecuti-va che continua sulle somme versate (Cass. 5maggio 1998, n. 4525, in Giust. civ. 1999, I, p.550).

Il debitore, con l’opposizione ex art. 617 c.p.c.,può censurare esclusivamente la violazione deicriteri (desumibili dall’art. 495 c.p.c.) che il giu-dice deve rispettare nel determinare la sommada sostituire.

Nel giudizio conseguente, l’opponente nonpuò limitarsi ad affermare in modo generico l’il-legittimità dell’ordinanza, ma è tenuto a formula-re censure specifiche di fatto o di diritto, nonchéa depositare, nel rispetto dei termini stabiliti dalprovvedimento impugnato, la somma che egliindichi come dovuta (Cass. civ., sez. un., 27 ot-tobre 1995, n. 11178, in Arch. civ. 1996, p. 33,con nota di Segreto).

Eventuali contestazioni circa l’esistenza el’ammontare dei singoli crediti o la sussistenza didiritti di prelazione (Cass. 17 maggio 1988, n.3442, in F. it. 1989, I, c. 2584, con nota di Cap-poni, Per un “revirement” della Cassazione in temadi contestazione dei crediti nel processo esecutivo)vanno proposte in sede di distribuzione ex art.512 c.p.c., ovvero con l’opposizione all’esecuzio-ne (Cass. 2 ottobre 2001, n. 12197). In quest’ul-timo caso il giudizio può essere instaurato inqualsiasi fase del procedimento esecutivo, senzaattendere la distribuzione (Cass. 16 maggio1987, n. 4516, ivi 1988, I, c. 3040, con nota diOriani, Brevi note sull’ambito dell’opposizione agliatti esecutivi).

Una giurisprudenza innovativa ammette, infi-ne, l’opposizione ex art. 615 c.p.c. anche controla stessa ordinanza di conversione precisando

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che, nel giudizio conseguente, l’opposto dovràfornire la prova del proprio credito, producendoi titoli sui quali esso si fonda. A tal fine, potrannoessere presi in considerazione anche i titoli chenon siano stati allegati al ricorso per interventonella procedura esecutiva, in quanto l’intervenu-to non è tenuto a corredare il ricorso con il tito-lo, la cui esibizione è necessaria solo per provo-care atti di esecuzione e per partecipare al ripar-to (Cass. 1° settembre 1999, n. 9194, in G. it.2000, II, c. 1617; contra, Cass. 17 maggio 1988,n. 3442).

[6] Condizioni per la riduzione del pignora-mento

Secondo la giurisprudenza di legittimità, lanorma di cui all’art. 496 c.p.c. integra una misu-ra speciale di salvaguardia a tutela del debitorevolta ad evitare eccessi nell’uso del procedimen-to di esecuzione forzata. Pertanto, eventuali in-tenti persecutori del creditore non possono esse-re censurati con l’opposizione all’esecuzione(Cass. 16 gennaio 2003, n. 563, in Gius 2003, p.1057).

La riduzione del pignoramento presuppone lamancanza di contestazioni in ordine all’entità delcredito a garanzia del quale siano stati pignoratibeni del debitore in quantità eccessiva rispettoalle obiettive esigenze del creditore. In altre paro-le, deve trattarsi di un eccesso relativo alla misu-ra del pignoramento.

Il debitore che, invece, affermi la sopravvenutaestinzione o modificazione del titolo esecutivoper parziale pagamento del debito prima del pi-gnoramento deve proporre opposizione all’ese-cuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. (Cass. 25maggio 1977, n. 2162).

L’istanza di cui all’art. 496 c.p.c deve essereproposta al giudice dell’esecuzione il quale valu-ta le condizioni che autorizzano la riduzione condiscrezionale apprezzamento (Cass. 1° marzo1986, n. 1305); non può, invece, essere avanza-ta, per la prima volta, nel giudizio di opposizio-ne all’esecuzione, al quale è naturalmente estra-nea (Cass. 9 dicembre 1992, n. 13021).

La riduzione del pignoramento può essere di-sposta anche d’ufficio, o su istanza di non tutti idebitori interessati, e può tradursi, in caso vi sia-no più condebitori in solido, anche nella even-tuale concentrazione e conservazione del vinco-lo esecutivo sui beni di uno soltanto dei conde-bitori, il quale non può dolersi dell’adozione del

provvedimento, poiché, se pur vantaggioso per icoobbligati, non lo espone a rischi più gravi diquelli originariamente compresi nella sua posi-zione di condebitore solidale, tenuto come taleper l’intero e soggetto ad escussione per il corri-spondente importo. Inoltre, può essere dispostala riduzione del pignoramento anche se abbial’effetto di liberare dal vincolo alcuni beni immo-bili ipotecati, purché rimangano assoggettati alpignoramento (solo) altri immobili ipotecati inmisura sufficiente a soddisfare i creditori. Ciònon significa infatti sottrarre il bene al vincolodella causa di prelazione, che potrà tornare adessere fatta valere esclusivamente se il credito ri-sulterà insoddisfatto (Cass. 16 gennaio 2006, n.702).

Se l’istanza viene rigettata, il debitore ha l’one-re di promuovere opposizione agli atti esecutivi(Cass. 14 luglio 2003, n. 10998) censurando leirregolarità formali del provvedimento o la suainopportunità (Cass. 6 marzo 1995, n. 2604);non può, invece, proporre ricorso per cassazioneex art. 111 Cost. (Cass. 29 gennaio 1999, n. 797,in Giust. civ. 2000, I, p. 1124).

Va detto, infine, che la giurisprudenza di legit-timità non fissa alcun limite temporale per ri-chiedere e disporre la riduzione del pignoramen-to; pertanto l’ordinanza del giudice dell’esecu-zione può essere emessa anche prima dell’u-dienza per l’autorizzazione alla vendita (Cass. 15novembre 1999, n. 12618) senza che possa averrilievo l’eventualità del successivo intervento dialtri creditori in tale fase (Cass. 28 luglio 1999,n. 8221, in Nuova g. civ. comm. 2000, I, p. 148,con nota di Bianchi, L’istanza di riduzione del pi-gnoramento: ammissibilità della domanda propostaprima dell’udienza per l’autorizzazione alla vendi-ta?).

[7] Cessazione dell’efficacia del pignoramento

Diversamente dalla dottrina prevalente, lagiurisprudenza del Supremo Collegio ritieneche il termine di efficacia del pignoramento, nel-l’espropriazione immobiliare, decorra dalla datadella sua notificazione al debitore e non daquella della sua trascrizione (Cass. 16 settembre1997, n. 9231, in F. it. 1998, I, c. 1969). Secon-do Cass. 21 febbraio 1977, n. 783, agli effetti dicui all’art. 497 c.p.c., ove sussista contrasto frala data di presentazione risultante dalla certifica-zione apposta dal cancelliere in calce all’istanzadi vendita e quella risultante dal registro delle

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Il pignoramento in generale

esecuzioni, occorre dare prevalenza alla prima,salva la proposizione di un’eventuale querela difalso, poiché le annotazioni contenute nel sud-detto registro hanno una mera funzione ricogni-tiva dei dati risultanti dagli atti originari.

Il termine è soggetto al regime di sospensionedei termini processuali nel periodo feriale(Cass. 29 luglio 1986, n. 4841, in F. it. 1987, I,c. 498).

Ove l’istanza di vendita sia stata tardivamen-te depositata ed il pignoramento sia divenutoinefficace, la giurisprudenza propende per l’op-posizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., da propor-si tempestivamente anche avverso l’ordinanzadi vendita (Cass. 15 novembre 2000, n. 14821).

Se, invece, l’istanza di vendita è stata propo-sta tempestivamente, la successiva riassunzionedel processo esecutivo, dopo la sospensionedello stesso, disposta a seguito di opposizionedi terzo, non richiede un’ulteriore istanza neldetto termine perentorio, bensì il ricorso per lariassunzione del processo esecutivo con il ri-spetto del termine semestrale ai sensi dell’art.627 c.p.c. (Cass. 14 aprile 1992, n. 4539).

GIURISPRUDENZA DI MERITO

[1] Il pignoramento quale primo atto dell’e-spropriazione forzata

In contrasto con la più recente giurisprudenzadi legittimità (Cass. 19 ottobre 1995, n. 4942)ma conformemente alla più accreditata dottrina(Mandrioli, voce Esecuzione per consegna o rila-scio, in Dig. disc. priv. – sez. civ., Torino 1991, p.627) già Trib. Massa 19 ottobre 1998 (in G. it.1999, p. 748) individuava il momento inizialedell’esecuzione forzata per rilascio d’immobile,non nell’accesso dell’ufficiale giudiziario sul luo-go dove devono compiersi gli atti esecutivi, manel preavviso di rilascio di cui all’art. 608, com-ma 1, c.p.c., il quale instaura il primo contattodiretto tra l’ufficiale giudiziario e l’esecutato.

Momento iniziale dell’esecuzione è, anche, ilpignoramento negativo o infruttuoso tale darendere validi ed efficaci i successivi atti di pi-gnoramento effettuati in epoca posteriore al no-vantesimo giorno dalla notificazione del precetto(Pret. Catania 1° dicembre 1982, in G. mer.1983, I, p. 1178, con nota adesiva di Vassallo,op. cit.).

[2] Natura, forma ed effetti del pignoramento

Il Pretore di Castellammare sul Golfo, conprovvedimento 28 gennaio 1988 (in Arch. pen.1988, p. 642) prendendo in esame il pignora-mento mobiliare ai fini della sussistenza della re-sponsabilità ex art. 388 c.p., ritiene che esso siperfezioni con l’ingiunzione ex art. 492 c.p.c.,mentre la redazione del verbale ai sensi dell’art.518 c.p.c. costituisca una formalità esclusiva-mente rilevante ai fini di una regolare continua-zione del procedimento esecutivo.

Quanto agli effetti sulla disponibilità del benestaggito, secondo Pret. Mirandola 24 dicembre1992 (in Giust. civ. 1993, I, p. 801) il pignora-mento di crediti derivanti da deposito di titoli distato effettuato presso istituto bancario, non ri-guardando direttamente i titoli stessi nella loromaterialità, non impedisce atti dispositivi di que-sti da parte del depositante.

[3] La conversione del pignoramento: tempoed effetti dell’istanza, natura, conseguenze eregime di impugnazione dell’ordinanza

Conformemente alla miglior dottrina ed oraanche al disposto dell’art. 495 c.p.c. (dopo la no-vella operata dalla legge n. 80 del 2005, in vigo-re dal 1° marzo 2006), la giurisprudenza di meri-to riteneva che la conversione del pignoramentonon possa essere chiesta oltre l’inizio della pro-cedura di vendita, poiché il termine vendita, ado-perato dall’art. 495 c.p.c., non andava inteso allastregua di aggiudicazione. Secondo Trib. Roma23 maggio 1985 (in Giust. civ. 1985, I, p. 2863)l’articolo in esame si riferiva al procedimento divendita globalmente inteso e non al suo atto fi-nale.

Il Tribunale di Torino con provvedimento 15novembre 2001, in G. it. 2002, c. 1636, ritiene dinon violare il testo normativo abilitando il debi-tore esecutato, non ammesso al beneficio dellaconversione del pignoramento, a reiterare l’istan-za già dichiarata inammissibile per mancato de-posito del quinto ex art. 495, comma 2, c.p.c. Se-condo il giudice dell’esecuzione la sanzione d’i-nammissibilità colpisce solo l’istanza di conver-sione altra volta già ammessa.

Una pronuncia alquanto discutibile del Tribu-nale di Padova, resa in data 12 marzo 2004, sta-bilisce che, nel caso in cui creditori dotati di tito-lo esecutivo intervengano a seguito dell’udienzaove il giudice dell’esecuzione ha espresso la ri-

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serva circa la determinazione del quantum dellaconversione del pignoramento, il debitore avràl’onere di manifestare l’intenzione in merito allasoddisfazione attraverso la conversione anche didetti creditori – potendo questi infatti richiedere,nonostante la procedura di conversione in corso,la vendita del bene – o in merito al riottenimentodi quanto già versato in sede di conversione. Alcontrario, i creditori tardivi e privi di titolo ese-cutivo potranno unicamente partecipare ai ripar-ti dell’importo versato in sede di conversione,ove residui qualcosa. La giurisprudenza di meri-to si adegua anche ai principi enunciati dallaCassazione in ordine alla natura dell’ordinanzadi conversione del pignoramento ed ai compitidel giudice dell’esecuzione nel determinare lasomma di denaro da versare in sostituzione del-le cose pignorate.

Trib. Torino 6 giugno 2001 (in G. mer. 2001,p. 1311) e Trib. Brindisi 23 marzo 1994 (in F. it.1994, I, c. 2253) limitano l’indagine del giudicedell’esecuzione ad una valutazione sommariadelle pretese del creditore pignorante e dei credi-tori intervenuti nonché delle spese già anticipateo da anticipare.

L’ordinanza resa prescinde, quindi, dalle con-troversie su sussistenza o ammontare di crediti ediritti di prelazione che possono sorgere soltantoin sede di distribuzione della somma ricavata.

La giurisprudenza unanime individua l’oppo-sizione ex art. 617 c.p.c. quale mezzo di impu-gnazione del provvedimento del giudice dell’ese-cuzione che abbia violato i criteri di cui all’art.495 c.p.c., assoggetta le controversie in sede didistribuzione del ricavato alla previsione dell’art.512 c.p.c. e stabilisce che esse non coinvolgonole precedenti determinazioni rese in sede di con-versione del pignoramento.

[4] Condizioni per la riduzione del pignora-mento

Secondo il Pret. Siracusa 8 novembre 1994(in G. it. 1995, I, 2, c. 372) la liberazione dellesomme pignorate sine titulo, in quanto eccedentil’ammontare indicato nel titolo esecutivo, non èconfondibile con la riduzione del pignoramentoa norma dell’art. 496 c.p.c. Quest’ultimo istitutopresuppone, infatti, la sola eccedenza dei benipignorati rispetto ai crediti e fa salvi i crediti de-gli intervenienti in forza del richiamo alle dispo-

sizioni dell’art. 495 c.p.c. operato dallo stessoart. 496 c.p.c.

Il rimedio in esame risulta precluso al debito-re esecutato che affermi la sopravvenuta estin-zione o modificazione del titolo per totale o par-ziale pagamento del debito prima del pignora-mento e, quindi, l’eccessività della pretesa fattavalere.

In conformità alla giurisprudenza di Cassa-zione, quella di merito ritiene che, in tal caso, ildebitore debba proporre opposizione all’esecu-zione (App. Palermo 28 aprile 1992, in Temi sic.1992, p. 78).

Qualora, invece, il debitore abbia subìto se-questro conservativo e ritenga eccessiva l’esecu-zione su tutti od alcuni dei propri beni, la giuri-sprudenza è divisa sulle modalità con cui deveessere formulata la richiesta di riduzione del se-questro medesimo. Secondo un orientamento,l’istanza, non potendosi ricondurre nell’alveodelle misure dirette alla revoca e alla modifica diprovvedimenti cautelari, bensì, essendo stretta-mente affine alle problematiche relative alla suaattuazione, non può essere rivolta al giudice delmerito ma a quello dell’esecuzione (Trib. S. Ma-ria Capua Vetere 25 ottobre 2002). Altro orien-tamento ritiene, invece, che il debitore debba agi-re in riduzione ai sensi dell’art. 669-duodeciesc.p.c., seconda proposizione, non essendo con-sentito il ricorso al giudice dell’esecuzione (inapplicazione analogica dell’art. 496 c.p.c.). Il de-bitore, secondo Trib. Palermo 25 agosto 2001,non può avvalersi dei rimedi previsti dall’art.679 c.p.c. (riguardante soltanto l’aspetto formalee procedimentale dell’attuazione della cautela) edall’art. 669-duodecies c.p.c., prima proposizione(che si adatta soltanto alle misure satisfattive enon conservative).

[5] Cessazione dell’efficacia del pignoramento

Secondo Trib. Monza 28 giugno 1984 (in F.pad. 1984, I, p. 224) la tardività del deposito del-l’istanza di vendita nel processo di esecuzionedà luogo ad estinzione del processo, da far vale-re dalla parte interessata in via di eccezione. Intale categoria rientra anche il creditore, iscrittoposteriormente al pignoramento, ancorché nonabbia fatto istanza di distribuzione del ricavo.

[Francesco Tedioli]

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la parte della domanda che è stata accolta, alloraogni altra istanza può essere fatta valere in via ordi-naria. La S.C. propende per quest’ultima soluzione,sulla base dell’art. 640, ult. comma, c.p.c., secondo ilquale la domanda, rigettata con decreto, può essereriproposta anche in via ordinaria. Tale regola, validain caso di rigetto totale delle pretese del ricorrente,deve trovare applicazione anche nell’ipotesi di un ri-getto parziale. Su queste premesse, la S.C. giunge adescludere che il giudicato, formatosi in seguito al-la mancata opposizione del decreto ingiuntivo,riguardi anche i capi di domanda rigettati. Tra lemolteplici ragioni a sostegno di tale soluzione, destaparticolare interesse l’analisi dell’efficacia del decretoingiuntivo, diversa a seconda che riguardi la parteche ha accolto oppure quella che ha respinto la do-manda. Nella prima ipotesi, l’intimato può instaura-re il contraddittorio attraverso l’opposizione, per ot-tenere una pronuncia di rigetto idonea al giudicato.Il decreto non opposto è stato ritenuto simile ad unasentenza non impugnata, per quanto attiene al giu-dicato, proprio grazie alla possibile, ancorché even-tuale, instaurazione di un giudizio in contraddittorio.Al contrario, ma per le stesse ragioni, il rigetto (tota-le o parziale) della domanda non può essere assimi-lato ad un accertamento negativo a favore dell’inti-mato. Il ricorrente, infatti, non ha alcun mezzo perottenere una pronuncia in contraddittorio, se nonquello di riproporre in via ordinaria le domande nonaccolte nel decreto ingiuntivo. Pertanto, la natura delprocedimento monitorio esclude che l’autorità di co-sa giudicata si estenda alla parte della domanda ri-gettata, in quanto, rispetto a quest’ultima, manca lapossibilità di provocare il contraddittorio.[Precedenti] La questione relativa ai limiti oggettivi del giudi-cato di un decreto ingiuntivo non opposto, che abbia accoltosolo parzialmente la domanda, ha diviso la giurisprudenza. Ini-zialmente, si è ritenuto che le parti della domanda non accolteavrebbero potuto essere riproposte in via ordinaria. Successi-vamente, si è sostenuta la tesi contraria, che esclude la propo-nibilità dei capi rigettati della domanda, in quanto preclusa dalgiudicato formatosi in seguito alla mancata opposizione al de-creto ingiuntivo. Per il primo indirizzo giurisprudenziale, ripre-so dalla sentenza in commento: Cass. 2 aprile 1987, n. 3188,in Mass. Giust. civ. 1987, n. 3188; Cass. 24 giugno 1993, n.7003, ivi 1993, p. 1078; Cass. 8 agosto 1997, n. 7400, ivi 1997,p. 1382; Cass. 29 ottobre 2001, n. 13443, ivi 2001, p. 1819;Cass. 6 luglio 2002, n. 9857, ivi 2002, p. 1182. Per il secondoindirizzo al quale si è accennato: Cass. 20 gennaio 1999, n.499, ivi 1999, p. 117; Cass. 15 marzo 1999, n. 2304, ivi, p.568; Cass. 7 aprile 2000, n. 4426, ivi 2000, p. 751. L’argo-mento affrontato dalla decisione in esame si inserisce nella piùampia questione relativa alla diversa portata dell’incontroverti-bilità di una pronuncia del giudice, a seconda che si tratti di

Cassazione civile

DECRETO INGIUNTIVOE GIUDICATO

Cass. civ., sez. un., 1° marzo 2006, n. 4510

[Decreto ingiuntivo non opposto – Rigetto parzialedella domanda di ingiunzione – Limiti oggettivi delgiudicato – Riproposizione della domanda – Giudi-cato e preclusione pro iudicato]

Massima – Il giudicato, derivante dalla mancata oppo-sizione di un decreto ingiuntivo, non riguarda la partedella domanda che non è stata accolta, che pertanto puòessere riproposta in via ordinaria.

Fatto – Tizio chiedeva al Tribunale una pronunciadi ingiunzione di pagamento, nei confronti di Caio,di una determinata somma e dei relativi interessidalla data delle fatture al saldo effettivo. Il giudice in-giungeva a Caio di pagare, oltre alla somma, anchegli interessi, ma solo a decorrere dalla data della no-tificazione del decreto. Caio non si opponeva al de-creto ingiuntivo e liquidava a Tizio quanto previstodal Tribunale. Successivamente, Tizio proponevadomanda in via ordinaria per ottenere gli interessilegali dalla data delle fatture al pagamento, già effet-tuato. Il giudice di primo e di secondo grado rigetta-vano tale domanda, perché preclusa dal giudicatoformatosi per effetto della mancata opposizione. Ti-zio ricorreva per cassazione.

Motivi della decisione – L’assegnazione del ricorsoalle Sezioni unite della S.C. è giustificato dall’esisten-za di un contrasto giurisprudenziale circa i limiti og-gettivi del giudicato, relativo alla mancata opposizio-ne di un decreto ingiuntivo, che ha accolto solo par-zialmente la domanda. In particolare, la questione didiritto consiste nello stabilire se l’autorità di cosagiudicata si riferisce anche ai capi della domandanon accolti, oppure solamente al diritto riconosciutodal giudice. È evidente che la risoluzione di questoproblema ha importanti riflessi processuali, special-mente riguardo la possibilità, per la parte istante, diriproporre in via ordinaria le domande rigettate. In-fatti, se si ritiene che il giudicato, nel caso di decretoingiuntivo non opposto, copra anche le pretese ri-gettate, allora la successiva proponibilità di tali que-stioni deve considerarsi preclusa. Al contrario, se sireputa che l’autorità di cosa giudicata riguardi solo

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Novità giurisprudenzialia cura di Maurizio De Paolis, Pietro Dubolino, Raffaele Frasca

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CESSIONE DEL CREDITOIN LUOGO DELL’ADEMPIMENTO

Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2005, n. 6558

[Obbligazioni in genere – Cessione dei crediti – In ge-nere – Cessione di un credito in luogo dell’adempi-mento – Conseguenze – Liberazione immediata deldebitore originario – Esclusione – Affiancamento delcredito ceduto al credito originario – Configurabilità –Conseguenze – Quiescenza del credito originario edinesigibilità di esso – Limiti]

Massima – La cessione del credito in luogo dell’adempi-mento, prevista dall’art. 1198 c.c., non comporta la imme-diata liberazione del debitore originario, che consegue soloalla realizzazione del credito ceduto, ma comporta l’affian-camento al credito originario di quello ceduto, con la fun-zione di consentire al creditore di soddisfarsi mediante larealizzazione di quest’ultimo credito; all’interno di questasituazione di compresenza, il credito originario entra in unafase di quiescenza, e rimane inesigibile per tutto il tempo incui persiste la possibilità della fruttuosa escussione del debi-tore ceduto, in quanto solo quando il medesimo risulti in-solvente il creditore potrà rivolgersi al debitore originario.

Fatto – La società Alfa, alla quale era stato ingiunto dipagare una determinata somma di denaro all’associa-zione Beta, si opponeva al decreto ingiuntivo emessocontro di lei, adducendo di avere già estinto il debitoin questione mediante la cessione, all’associazionecreditrice, di un credito da essa vantato nei confrontidella società Gamma, la quale aveva poi compensatoil credito ceduto con un suo maggior credito versol’associazione Beta. Il giudice adito accoglieva l’oppo-sizione della società Alfa e revocava il decreto oppo-sto. L’associazione Beta proponeva gravame contro ta-le decisione. Il giudice di secondo grado, accogliendole istanze dell’attrice, condannava la società Alfa al pa-gamento della somma de qua, muovendo dalla consi-derazione che nel caso di specie doveva reputarsi con-clusa tra le parti una cessione del credito in luogo del-l’adempimento pro solvendo, con conseguente possibi-lità per il creditore di rivolgersi alternativamente al de-bitore originario o a quello ceduto. La società Alfa ri-correva, però, in Cassazione, sostenendo che l’art.1198 c.c., laddove richiama l’art. 1267 c.c., istituisceun collegamento tra le due norme, in virtù del quale ilcreditore a cui il debitore originario abbia ceduto uncredito pro solvendo è tenuto a escutere prima il debito-re ceduto, dopodiché, solamente nell’ipotesi in cuiquest’ultimo si rivelasse inadempiente, potrebbe rivol-gersi al debitore originario. Il vincolo obbligatorio ini-ziale diverrebbe, in sostanza, inesigibile fino a quandoil debitore ceduto non fosse inutilmente escusso onon risultasse insolvente. Il ricorso veniva accolto.

Motivi della decisione – La S.C., dopo avere riper-corso le posizioni della dottrina e della giurisprudenzacirca i rapporti intercorrenti tra l’art. 1198 e l’art. 1267c.c., ha rilevato innanzi tutto che la cessione del cre-dito in luogo dell’adempimento prevista dall’art.

87una sentenza oppure di un provvedimento sommario non cau-telare, come nel caso del decreto ingiuntivo non opposto. Sitratta, quindi, di comparare i limiti oggettivi dell’accertamento,contenuto nel decreto, con quelli dell’accertamento raggiuntonella sentenza. La giurisprudenza ha sostanzialmente equipa-rato la portata degli effetti dei due provvedimenti, accogliendouna nozione di giudicato in senso ampio, che si estende fino acomprendere gli antecedenti logici e gli effetti riflessi. In questosenso, Cass. civ., sez. un., 16 dicembre 1998, n. 11549, ivi1998, p. 2361; Cass. civ., sez. un., 13 giugno 2000, n. 8026,ivi 2000, p. 1284; Cass. civ., sez. un., 24 novembre 2000, n.15178, in F. it. 2001, I, c. 914; Cass. 13 febbraio 2002, n. 2083,in G. it. 2003, p. 243.

[Nota bibliografica] Il problema dei limiti dell’accertamentodel decreto ingiuntivo non opposto è oggetto di ampia discus-sione anche in dottrina. Da una parte, alcuni ritengono che iconfini dell’ingiunzione non opposta sarebbero gli stessi diquelli della sentenza passata in giudicato. Cfr., per le dovutedifferenze, POGGESCHI, voce Ingiunzione (procedimento di), inNov. D., VII, Torino 1962, p. 668; SCIACCHITANO, voce Ingiun-zione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXI, Milano 1971, p. 519; GAR-BAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, Milano 1991, p. 7 ss. Inquesto senso sembra anche MANDRIOLI, Diritto processuale civile,III, Milano 2004, p. 50. Secondo altri, invece, gli effetti del de-creto ingiuntivo sarebbero diversi rispetto a quelli della senten-za, in quanto non riguarderebbero gli effetti riflessi e il giudica-to implicito. Sul punto, cfr. MENCHINI, voce Regiudicata civile, inDig. disc. priv. – sez. civ., XVI, Torino 1997, spec. p. 426. Perl’impostazione da ultimo citata, v. REDENTI -VELLANI, Dirittoprocessuale civile, Milano 1999, III, p. 91 ss.; CARNELUTTI, Istitu-zioni del processo civile italiano, Roma 1956, III, p. 135 ss.; AN-DRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli 1964, IV, p.114 ss.; BALBI, voce Ingiunzione (procedimento di), in Enc. giur.,XVII, Roma 1997, p. 15; MONTESANO, La tutela giurisdizionaledei diritti, Torino 1985, p. 296. Cfr. anche PROTO PISANI, Lezionidi diritto processuale civile, Napoli 2002, p. 79 e p. 561, secondoil quale, il problema non sembra riguardare la qualità, ma laquantità degli effetti propri della decisione incontrovertibile.Per quanto concerne il primo aspetto, si deve prendere in con-siderazione il giudicato formale e quello sostanziale. Relativa-mente al giudicato formale, si ritiene comunemente che l’im-mutabilità del decreto ingiuntivo non opposto sia quasi del tut-to simile a quella della sentenza passata in giudicato, comesembra confermare il raffronto tra la disciplina sull’impugnabi-lità ex art. 656 c.p.c. e quella dettata dall’art. 324 c.p.c. Perquanto riguarda il giudicato sostanziale, si è interpretata esten-sivamente la norma dell’art. 2909 c.c. (che cita le sentenze enon i provvedimenti sommari), attribuendo così anche all’ac-certamento del decreto ingiuntivo non opposto l’attitudine difare stato tra le parti, eredi ed aventi causa. Al contrario, comesi è accennato, il problema emerge quando si sposta l’analisidalla qualità alla quantità degli effetti della decisione, in quantosembra che gli effetti di una sentenza passata in giudicato sia-no più ampi rispetto a quelli che traggono origine da un prov-vedimento sommario incontrovertibile. Per questa ragione, ilprimo provvedimento darebbe luogo al giudicato, il secondo,invece, ad una preclusione pro iudicato. Questa differenza deri-verebbe da una concezione molto ampia dei limiti oggettivi delgiudicato sostanziale. Sotto questa prospettiva, il giudicato exart. 2909 c.c. non riguarderebbe solo il rapporto giuridico de-dotto in giudizio, ma anche gli antecedenti logici necessari. Alcontrario, l’accertamento del provvedimento sommario sareb-be limitato alla pretesa fatta valere. Pertanto, nell’affiancare idue fenomeni, si nota che la portata del giudicato di una sen-tenza appare quantitativamente maggiore rispetto a quella rap-presentata dalla preclusione pro iudicato di un provvedimentosommario. Da ultimo, per una trattazione chiara ed approfon-dita, v. RONCO, Procedimenti sommari e speciali, I, Torino 2005,spec. p. 523 ss.

[Alessandro Vianello]

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Novità giurisprudenziali

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Novità giurisprudenziali

1198 c.c. non estingue il credito originario, ma af-fianca a esso quello ceduto, e ha la funzione di con-sentire al creditore di ottenere il soddisfacimento dellapropria pretesa mediante la riscossione di quest’ulti-mo. Poiché la cessione del credito pro solvendo com-porta la coesistenza di due crediti – quello originario equello ceduto –, e poiché l’art. 1198 c.c. richiama l’art.1267, comma 2, c.c., in forza del quale la responsabi-lità del cedente è subordinata non al solo inadempi-mento del ceduto, ma anche alla diligenza del cessio-nario nell’iniziare o nel proseguire le istanze controquest’ultimo, ad avviso della S.C. deve ritenersi chenella cessio pro solvendo il credito originario riman-ga quiescente fino a quando il cessionario non ab-bia inutilmente escusso il debitore ceduto. Ne con-segue che il credito originario, pur rimanendo in vita,diviene inesigibile per tutto il tempo in cui persiste lapossibilità di una fruttuosa escussione del debitoreceduto: il creditore cessionario è, infatti, tenuto aescutere il debitore ceduto prima del debitore origina-rio e potrà rivolgersi al secondo solamente qualora ilprimo dovesse risultare insolvente. Poiché il giudice disecondo grado, mostrando di non ritenere necessariala preventiva escussione del debitore ceduto, non si èattenuto ai principi sopra enunciati, la sentenza vacassata con rinvio.

[Precedenti] Veramente poche sono le pronunce in cui la S.C. èstata chiamata a pronunciarsi sul disposto dell’art. 1198 c.c. Conriferimento alla fattispecie in esame meritano di essere segnalatela sentenza Cass. 28 gennaio 1975, n. 340, in cui si è escluso chela cessione del credito pro solvendo abbia di per sé efficacia nova-tiva, dal momento che, a norma dell’art. 1198 c.c., il debitore ce-dente non rimane liberato, a meno che le parti non abbianoespresso una diversa volontà; la sentenza Cass. 3 luglio 1980, n.4213, in G. agr. it. 1983, p. 296 ss., con nota di Salvestroni, incui si è evidenziato che la cessione di un credito può esserepreordinata sia al conseguimento di uno scopo di garanzia, sia, aisensi dell’art. 1198 c.c., alla realizzazione di una funzione soluto-ria; nonché la sentenza Cass. civ., sez. I, 28 giugno 2002, n.9495, in cui la S.C. ha affermato che, nell’ipotesi di cessione diun credito pro solvendo, in cui il creditore cessionario diventa tito-lare di due crediti concorrenti, l’uno verso il proprio debitore el’altro verso il debitore ceduto, si è in presenza di distinte obbli-gazioni, aventi ciascuna una propria causa e un’attitudine a esse-re oggetto di autonomi atti di disposizione, con l’unico limite co-stituito dal fatto che l’obbligazione originaria è destinata a estin-guersi con la riscossione del credito verso il debitore ceduto. Nonrisulta, peraltro, che la S.C. sia stata chiamata prima d’ora a stabi-lire se la cessione del credito contemplata dall’art. 1198 c.c. com-porti per il creditore la possibilità di rivolgersi indifferentementeal debitore originario o al debitore ceduto o se, al contrario, il ri-chiamo all’art. 1267 c.c. operato dall’art. 1198 c.c. abbia comeconseguenza l’obbligo per il cessionario di escutere prima il debi-tore ceduto, con conseguente possibilità di rivolgersi all’origina-rio debitore cedente solo in caso di inadempimento del ceduto.In una pronuncia soltanto – Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1997, n.1108, in Giust. civ. 1997, I, p. 2163 ss., con nota di Schermi –,peraltro a livello di obiter dicutm, la S.C. aveva affermato che « lacessione del credito in luogo di adempimento, se determina l’im-mediata trasmissione del credito ceduto, non ha per questo l’ef-fetto di determinare l’altresì immediata estinzione dell’obbligazio-ne, di cui provoca invece solo l’inesigibilità, inesigibilità che per-mane per il tempo in cui perdura la pendenza del rapporto chederiva dalla cessione del credito ».

[Nota bibliografica] La dottrina è concorde nel ritenere che l’ef-fetto primario della cessione pro solvendo sia l’inesigibilità del cre-dito verso l’alienante: si vedano, ex multis, G. Cian, voce Paga-

mento, in Dig. disc. priv. – sez. civ., XIII, Torino 1995, p. 249; Zac-caria, La prestazione in luogo dell’adempimento fra novazione e nego-zio modificativo del rapporto, Milano 1987, p. 221, nt. 48; Bacciga-lupi, I dati normativi della cessio pro solvendo, in Banca, borsa, tit.cred. 1954, II, p. 384; Di Majo, Dell’adempimento in generale, inComm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1994, p. 361; Marchio,voce Dazione in pagamento, in Enc. giur., Roma 1988, p. 6; Per-lingieri, Della cessione del credito, in Comm. Scialoja-Branca, Bolo-gna-Roma 1982, p. 51; Varrone, L’art. 1198 c.c. ed il problemadella “cessio pro solvendo”, in R. trim. d. proc. civ. 1966, p. 530. Èinteressante osservare che, nella pronuncia in esame, la S.C., afondamento della propria adesione a tale orientamento, poneuna ricostruzione in termini unitari della previsione dell’art. 1198c.c.: essa sembra, invero, aderire all’orientamento dottrinale adavviso del quale la figura delineata dagli artt. 1198 e 1267 c.c. sa-rebbe unitaria e costituirebbe una specie di datio in solutum, nellaquale la prestazione dell’aliud sarebbe rappresentata da una ces-sione solvendi causa con annessa garanzia di solvenza, sicché laresponsabilità del cedente sarebbe legata alla solvibilità del cedu-to e destinata a funzionare nel caso in cui il patrimonio di que-st’ultimo fosse escusso infruttuosamente [in tal senso Candian,voce Prestazione in luogo dell’adempimento, in Dig. disc. priv. – sez.civ., XIV, Torino 1996, p. 263; Grassetti, voce Datio in solutum(Diritto civile), in Nov. D., V, Torino 1960, p. 174; Varrone, op.loc. citt.]. In tale ottica il richiamo operato dall’art. 1198 c.c. all’art.1267 c.c. servirebbe esclusivamente a chiarire che, in conformitàallo schema generale della datio in solutum, l’obbligazione inizialenon verrebbe a estinguersi con l’attribuzione del credito ceduto,bensì solamente con la riscossione satisfattiva di quest’ultimo,(sempre che la cessione non fosse espressamente pattuita pro so-luto). A tal proposito, la posizione assunta dalla S.C., posizione –preme metterlo in evidenza – tutt’altro che chiara, appare discuti-bile; la formulazione dell’art. 1198 c.c., invero, lascia intuire che illegislatore del 1942 ha preso in considerazione due distinte fatti-specie: la c.d. cessio pro soluto, in cui l’effetto estintivo del rappor-to obbligatorio preesistente è contestuale al trasferimento del cre-dito e la c.d. cessio pro solvendo, in cui l’estinzione dell’obbligazio-ne originaria è, al contrario, subordinata all’effettiva riscossionedel credito ceduto. L’art. 1198 c.c. contiene, in sostanza, una re-gola interpretativa: laddove le parti non mostrino apertamente diattribuire al trasferimento del credito il valore di equivalente del-l’adempimento, si deve inevitabilmente ritenere che sia loro in-tenzione subordinare la liberazione del debitore originario all’ef-fettiva realizzazione del credito ceduto. In pratica, in assenza diun’esplicita manifestazione di volontà in tale direzione, è daescludere che le parti abbiano voluto concludere una cessio pro so-luto. Al contrario, si deve ritenere che esse abbiano cercato di ga-rantire al creditore originario una maggiore sicurezza, facendo di-pendere la liberazione del cedente dal pagamento del credito ce-duto. Sotto il profilo sistematico, non pare condivisibile che la ru-brica dell’art. 1198 c.c. (« cessione di un credito in luogo dell’a-dempimento ») si riferisca a entrambe tali fattispecie, dal momen-to che esse appaiono notevolmente diverse sotto il profilo deglieffetti. Proprio perché nella cessio pro solvendo, a differenza diquanto si verifica nella cessio pro soluto, la cessione di per sé nonè in grado di determinare il soddisfacimento della pretesa inizia-le, si ritiene più corretto qualificarla, anziché come “cessione diun credito in luogo dell’adempimento”, come “cessione di credi-to a fini di adempimento” (in tal senso si vedano Cian, op. loc.citt.; Zaccaria, op. cit., p. 216; Perlingieri, op. cit., p. 49; di Majo,op. cit., p. 357 s.): la cessio pro solvendo mira, infatti, al consegui-mento del soddisfacimento della pretesa originaria, lo prepara,ma l’estinzione dell’obbligazione iniziale dipende esclusivamentedall’adempimento del credito ceduto. Non solo: per effetto delrinvio operato dall’art. 1198 c.c. al comma 2 dell’art. 1267 c.c.,nell’eventualità in cui la mancata realizzazione del credito, perl’insolvenza del debitore ceduto, fosse dovuta al comportamentonegligente del cessionario nell’iniziare o nel proseguire le istanzecontro di lui, il debitore originario si libererebbe comunque dalvincolo iniziale. Alla luce di quanto detto finora alla cessio pro sol-vendo o cessione a fini di adempimento andrebbe riconosciutauna sua radicale autonomia rispetto alla cessione di un credito inluogo dell’adempimento. Proprio tale autonomia giustificherebbealcuni effetti della cessione a fini di adempimento difficilmente

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judicando ritenendo che l’azione del committente voltaad ottenere il risarcimento del danno derivante da ina-dempimento dell’appaltatore non sia subordinata altermine di prescrizione breve dettato dall’art. 1667c.c, in quanto questo sarebbe esclusivamente applica-bile al diverso rimedio della eliminazione di vizi edifformità o riduzione del prezzo. Premesso che la di-sciplina applicabile al caso in oggetto è quella specialeprevista dagli artt. 1667-1668 c.c., la S.C. accoglie ladoglianza. La questione esaminata in via principaledalla Corte è infatti quella concernente l’applicabilità alrimedio del risarcimento del danno contemplato dal-l’art. 1668 c.c. del termine di prescrizione biennaleprevisto dall’art. 1667 c.c. per l’azione contro l’appal-tatore, ritenuto pacificamente applicabile in relazioneal diverso rimedio del ripristino dello status quo ante odella riduzione del prezzo. La risposta affermativa di-scende, secondo la Corte, dalla circostanza che l’os-servanza del termine di prescrizione previsto dal-l’art. 1667 c.c. costituisce un onere a carico del com-mittente che intenda far valere nei confronti dell’ap-paltatore la garanzia per vizi o difformità dell’ope-ra. Il successivo art. 1668 c.c. definisce il contenuto didetta garanzia, che consiste nell’azione per ottenerel’eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo a cuisi affianca o sostituisce l’azione per ottenere il risarci-mento dei danni subiti in conseguenza dell’inadempi-mento. In altre parole, il rimedio risarcitorio presen-ta una ratio identica al diverso rimedio ripristina-torio, ratio identificabile nel contemperamento dell’e-sigenza di tutelare da un lato, il diritto del committen-te ad ottenere un’opera immune da vizi e, dall’altro,l’interesse dell’appaltatore ad una sollecita definizio-ne delle eventuali contestazioni nascenti da un suopresunto inadempimento all’obbligo, nascente dalcontratto di appalto, di consegnare un’opera esente davizi e/o difformità.

Sulla base del presente motivo di ricorso, la S.C.cassa la sentenza e la rinvia a diversa sezione dellaCorte d’appello.

[Precedenti] La questione dell’applicabilità del termine di pre-scrizione breve dell’azione diretta ad ottenere l’eliminazione deivizi o la riduzione del prezzo anche all’azione per il risarcimen-to dei danni ha offerto, e a tutt’oggi pare continuare ad offrire,spunti assai scarsi alla giurisprudenza. Alcune pronunce si rin-vengono in merito al tema, strettamente collegato a quello trat-tato, relativo all’autonomia del rimedio risarcitorio rispetto aglialtri due rimedi previsti dal codice per l’ipotesi di vizi o diffor-mità dell’opera. Sul punto, a favore dell’autonomia del rimediorisarcitorio, vedi Trib. Cagliari 9 aprile 1991, in R. giur. sarda1992, p. 649; viceversa, a favore della funzione integratrice didetto rimedio si è pronunciata più volte la S.C.: vedi Cass. 30agosto 2002, n. 12704, in D&G 2002, fasc. 36, p. 70. Ai finidella questione, appare altresì interessante il riferimento allagiurisprudenza in materia di prescrizione dell’azione di risarci-mento dei danni fondata sulla garanzia per i vizi della cosavenduta. Analogamente al caso in esame, si pone infatti la que-stione dell’applicabilità, al rimedio del risarcimento del dannodi cui all’art. 1494 c.c., del termine di prescrizione di un annodi cui al successivo art. 1495 c.c.; la giurisprudenza in materiaappare unanime nell’affermare l’applicabilità del termine an-nuale anche all’azione risarcitoria: fra tutte, vedi Cass. 3 agosto2001, n. 10728, in Mass. Giust. civ. 2001, p. 1543 e Cass. 24marzo 1993, n. 3527, ivi 1993, p. 548.

compatibili con lo schema classico della datio in solutum, in primisil richiamo operato dall’art. 1198 c.c. all’art. 1267 c.c., che pone acarico del cessionario l’onere di agire diligentemente per la realiz-zazione del credito ceduto a pena della perdita della garanzia,onere, quest’ultimo, difficilmente conciliabile con un atto pretta-mente solutorio quale è la datio in solutum. Va, infine, precisatoche detto richiamo non può che essere inteso in via analogica,considerato che nell’art. 1198 c.c. non è prevista alcuna garanziacirca la solvenza del debitore ceduto da parte del cedente, comeè, invece, previsto nell’art. 1267 c.c. Per un primo commento alasentenza in esame si vedano Rolfi, Sulla distinzione tra “cessione inluogo” e “cessione a scopo di adempimento”, in Corr. giur. 2005, p.1154 ss., e Garufi, Il debitore ceduto va escusso per primo. I giudici:la cessione solvendi causa non è una datio in solutum, in D&G2005, n. 18, p. 10 ss.

[Silvia Bolognini]

APPALTO

Cass. civ., sez. II, 22 dicembre 2005, n. 28417

[Appalto – Vizi e difformità dell’opera – Risarcimentodel danno – Prescrizione]

Massima – L’azione di risarcimento del danno nel caso dicolpa dell’appaltatore prevista dall’art. 1668 c.c. in favoredel committente è soggetta, al pari delle altre azioni costi-tuenti il contenuto della garanzia per difetti dell’opera cui ètenuto l’appaltatore, all’osservanza dei termini di decaden-za e prescrizione stabiliti dall’art. 1667 c.c.

Fatto – La società a commissiona alla società b la for-nitura di anelli guidafune da istallare sui propri mac-chinari. La società a lamenta in seguito di aver subìtoun danno in conseguenza della rottura di alcuni didetti anelli. Alla pretesa di risarcimento avanzata dallacommittente società a, la società b appaltatrice rispon-de con la vocatio in jus della società g addetta alla posadegli anelli ed eccepisce contestualmente la sopravve-nuta prescrizione dell’azione proposta dalla commit-tente.

Il tribunale adito rigetta la domanda di parte attrice.Questa propone appello avverso la sentenza di pri-

mo grado e la corte adita, riformando la sentenza im-pugnata, condanna la società g a risarcire il dannosubìto dalla committente a in conseguenza della rottu-ra di uno degli anelli guidafune da essa montati. Inmerito all’eccezione di prescrizione, il giudice d’appel-lo sostiene che il termine breve di due anni previstodall’art. 1667 c.c. per l’azione contro l’appaltatore si ri-ferisca soltanto all’azione diretta ad ottenere l’elimina-zione dei vizi e difformità dell’opera o la riduzione delprezzo, non risultando altresì applicabile al rimedio ri-sarcitorio di cui all’ultimo inciso dell’art. 1668, comma1, c.c.

Avverso la sentenza d’appello, le società g e b pro-pongono ricorso per cassazione.

Motivi della decisione – Con il primo motivo di ri-corso, si lamenta la violazione delle norme codicisti-che in materia di inadempimento dell’appaltatore: ilgiudice d’appello sarebbe infatti incorso in un error in

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Novità giurisprudenziali

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Novità giurisprudenziali

In merito al dies a quo del termine di prescrizione, vedi infineCass. 13 gennaio 2004, n. 271, in D&G 2004, fasc. 9, p. 117.

[Nota bibliografica] La dottrina è unanime nel riconoscere l’ap-plicabilità del termine biennale di prescrizione anche all’azioneper il risarcimento dei danni cagionati dai vizi e dalle difformitàmanifestatisi nell’opera; tra tutti, vedi Rubino - Iudica, sub artt.1667-1668, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1992, p.415, Cagnasso, voce Appalto, in Dig. disc. priv. – sez. comm., Tori-no 1987, p. 173, e Mangini - Iacuanello Bruggi, Il contratto diappalto, in Giur. sist. Bigiavi, Torino 1997, p. 313 ss. Per un contri-buto più recente sul punto, vedi Mascarello, Il contratto di appal-to, Milano 2002, p. 143.

Più in generale, sui rimedi speciali previsti dagli artt. 1667-1668 c.c. a favore del committente in caso di vizi e/o difformitàdell’opera, vedi Cervale, La responsabilità dell’appaltatore, Milano1999, e Marinelli, I vizi dell’opera e la garanzia per i difetti, in L’ap-palto privato, a cura di Costanza, Torino 2000, p. 136 ss. Sulpunto, e in particolare sulla funzione integratrice svolta dal rime-dio risarcitorio rispetto ai rimedi speciali dell’eliminazione dei vi-zi o riduzione del prezzo, vedi Polidori, La responsabilità dell’ap-paltatore: i rapporti fra disciplina generale e norme speciali nell’appal-to, Napoli 2004, p. 24 ss.

[Laura Villani]

POTERE RAPPRESENTATIVODELL’AMMINISTRATORE DI S.P.A.

Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2006, n. 1525

[Società per azioni – Amministratore con rappresen-tanza – Dissociazione tra potere gestorio e potere rap-presentativo – Opponibilità ai terzi]

[Società per azioni – Amministratore con rappresen-tanza – Conflitto di interessi – Disciplina]

Massima – (1) La clausola statutaria che limita il poteredi gestione del singolo amministratore, attribuendolo in tut-to o in parte al consiglio di amministrazione, si risolve, purse indirettamente, anche in una restrizione del potere rap-presentativo di questi; tale limitazione è soggetta alla disci-plina di cui all’art. 2384, comma 2, c.c., che ne sancisce l’i-nopponibilità ai terzi a meno che questi abbiano intenzio-nalmente agito a danno della società.

(2) Quando l’amministratore con rappresentanza,agendo in conflitto di interessi con la società, ponga in esse-re, in mancanza di una delibera del consiglio di ammini-strazione, un atto che rientri invece nelle competenze di ta-le organo, non trova applicazione l’art. 2391 c.c., che vienein rilievo soltanto nelle ipotesi in cui la stipulazione dell’at-to sia preceduta da una delibera consiliare, bensì la più ge-nerale previsione dell’art. 1394 c.c. Fatto – Tizio era socio assieme alla sorella della so-cietà Beta, di cui detenevano ciascuno il 50%. La so-cietà Beta a sua volta possedeva il 50% delle azioni diAlfa, in cui Tizio ricopriva anche la carica di ammini-stratore con rappresentanza. In tale veste Tizio stipu-lava con Caio e Sempronio un contratto di prestazioned’opera professionale con cui questi ultimi si impe-gnavano nei confronti della società Alfa ad eseguire« un’analisi amministrativo-gestionale della stessa » e aformulare delle proposte « tese al miglioramento del-l’efficienza e della redditività aziendale ». Pochi giorni

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dopo la stipula di tale contratto, la società Beta cedevala quasi totalità della propria partecipazione in Alfa,per un corrispettivo da determinarsi mediante una re-lazione di stima che avrebbe dovuto essere commis-sionata proprio a Caio e Sempronio. Questi ultimi ese-guivano la prestazione professionale di cui al contrattocon la società Alfa e ne pretendevano il compenso.

La società Alfa – di cui nel frattempo era cambiatol’assetto proprietario in seguito alla sopracitata cessio-ne della partecipazione di Beta – rifiutava di ottempe-rare alla richiesta di Caio e Sempronio. Essa sostene-va, in primo luogo, che il contratto d’opera professio-nale risultava inefficace nei suoi confronti perché ilconsiglio di amministrazione, cui lo statuto attribuivail potere di gestione, non aveva né deliberato preventi-vamente, né ratificato successivamente la sua stipula-zione da parte di Tizio. In secondo luogo Alfa asserivache il contratto d’opera de quo era stato concluso uni-camente al fine di determinare, ponendone l’onereeconomico a carico di Alfa, il valore delle azioni cheBeta avrebbe di lì a poco ceduto, e che esso dunquenon rispondeva all’interesse di Alfa, bensì a quello diBeta; da ciò discendeva, a suo dire, l’annullabilità delcontratto ex art. 1394 c.c. per conflitto di interessi traTizio e la società.

Caio e Sempronio convenivano in giudizio la so-cietà Alfa davanti al Tribunale di Milano, che accoglie-va la loro domanda; ma la sentenza veniva riformatadalla Corte d’appello, adita da Alfa, che invece ritene-va fondate entrambe le eccezioni della società.

Caio e Sempronio proponevano allora ricorso percassazione.

Motivi della decisione – (1) La S.C. rileva innanzitut-to che la condotta dell’amministratore con rappresen-tanza Tizio, il quale, pur essendo il potere di gestioneattribuito per statuto al consiglio di amministrazione,aveva stipulato il contratto d’opera con Caio e Sem-pronio senza una previa delibera dell’organo collegia-le, è illegittima nei confronti della società.

La Corte afferma però che, ai fini della decisionedel caso di specie, occorre valutare se l’illegittimità ditale condotta sia rilevante anche nei confronti dei terzi(Caio e Sempronio) che hanno contrattato con l’am-ministratore.

A tal proposito la Corte afferma che la clausola sta-tutaria che limita il potere di gestione del singolo am-ministratore, attribuendolo in tutto o in parte al consi-glio di amministrazione, si risolve, pur se indiretta-mente, anche in una restrizione del potere di rappre-sentanza di questi. Dunque in caso di dissociazionetra potere gestorio, attribuito per statuto al consigliod’amministrazione, e potere rappresentativo, conferi-to invece al singolo amministratore e generale in virtùall’art. 2384, comma 1, c.c., l’assenza della deliberaconsiliare che decida il compimento di un determi-nato atto determina, indirettamente, un difetto delpotere rappresentativo dell’amministratore relati-vamente a quell’atto.

Poiché tale limitazione indiretta del potere rap-

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rata tale stipulazione. Dunque, in presenza di unadelibera consiliare che ha deciso la conclusione delcontratto con il terzo, l’annullamento di tale contrattopotrebbe essere disposto solo qualora fosse annullatala delibera ai sensi dell’art. 2391 c.c.; in assenza di unasiffatta delibera consiliare, invece, l’art. 2391 non po-trà essere invocato, a nulla rilevando che l’atto rientrinelle competenze del consiglio, e dovrà applicarsi insua vece la norma generale dell’art. 1394 c.c.

Quanto poi all’opponibilità del conflitto ai terzi,la Cassazione osserva che essa non può essere con-dizionata ai presupposti stabiliti dal secondo com-ma dell’art. 2384 c.c., perché l’àmbito di applica-zione di tale norma è riferito alle sole limitazioni delpotere di rappresentanza derivanti dall’atto costitutivoe dallo statuto, cioè dall’autonomia privata, e non puòinvece essere esteso alle limitazioni che hanno fon-te nella legge, tra cui rientra, a giudizio della Corte,quella posta dall’art. 1394 c.c. Dunque l’opponibilitàai terzi del conflitto di interessi tra l’amministratore ela società è regolata dall’art. 1394, il quale la condizio-na alla conoscenza o conoscibilità del conflitto mede-simo da parte del terzo.

Tutto ciò considerato il S.C., rilevando che la Corted’appello aveva accertato sia la sussistenza del conflit-to di interessi tra Tizio e la società Alfa, sia la sua co-noscibilità da parte di Caio e Sempronio, rigetta il ri-corso.

[Precedenti] (1) Nel senso dell’irrilevanza nei confronti deiterzi della dissociazione tra potere gestorio e potere rappre-sentativo Cass. 7 febbraio 2000, n. 1325, richiamata dallasentenza in esame; contra Cass. 16 settembre 1986, n. 5623.

(2) Come si è detto, in giurisprudenza è consolidato l’o-rientamento che, in caso di conflitto di interessi dell’ammini-stratore, ritiene applicabile l’art. 1394 c.c. quando l’atto siastato stipulato autonomamente dall’amministratore unico o,per le società dotate di consiglio di amministrazione, dall’am-ministratore delegato: v. Cass. 10 aprile 2000, n. 4505; Cass.24 febbraio 1998, n. 1998; Cass. 1° febbraio 1992, n. 1089;Cass. 29 marzo 1991, n. 3435; Cass. 5 luglio 1984, n. 3945.

Non constano invece precedenti sulla questione, affrontatadalla sentenza in esame, dell’applicabilità dell’art. 1394 nell’i-potesi di atto compiuto dall’amministratore con rappresen-tanza ma sprovvisto di delega, in assenza di delibera consi-liare.

[Nota bibliografica] (1) Sostengono, conformemente allasentenza in esame, l’irrilevanza esterna della dissociazionetra potere gestorio e potere rappresentativo Abbadessa, Lagestione dell’impresa nelle società per azioni, Milano 1975, p.109 ss.; Bonelli, Gli amministratori di società per azioni dopo lariforma delle società, Milano 2004, p. 80 ss.; Enriques, Il con-flitto di interessi degli amministratori di società per azioni, Milano2000, p. 395 ss.; Morandi, in Il nuovo diritto delle società, acura di Maffei Alberti, I, sub art. 2384, Padova 2005, p. 702;Ragusa, Vizi del processo decisorio nelle formazioni organizzate ediritti dei terzi, Milano 1992, in partic. p. 143 ss.

Si esprimono, al contrario, per la generale rilevanza esternadi tale dissociazione, argomentando a contrario dall’art. 2377,comma 3 (oggi comma 7), e dall’art. 2391, comma 3, Gal-gano, Il nuovo diritto societario, I, in Tratt. Galgano, XXIX, Pa-dova 2004, p. 281; Martorano, in Problemi di diritto societa-rio nell’attività bancaria, a cura di Mineo, Milano 1980, p. 7

presentativo dell’amministratore, a giudizio dellaCorte, appare del tutto analoga alle limitazioni diretta-mente incidenti su tale potere, essa è soggetta alla di-sciplina di cui all’art. 2384, comma 2, c.c., che nesancisce l’inopponibilità ai terzi a meno che questiabbiano intenzionalmente agito a danno della so-cietà.

La Corte ripercorre brevemente le successive mo-dificazioni di tale norma, che nella sua formulazioneoriginaria, attraverso il richiamo all’art. 2298, comma1, c.c., condizionava l’opponibilità alla circostanza chele limitazioni del potere rappresentativo fossero iscrit-te nel registro delle imprese o, in mancanza di iscrizio-ne, fossero comunque conosciute dai terzi. Con lamodifica introdotta dal d.p.r. n. 1127 del 1969, attua-tivo della Direttiva CEE n. 151 del 9 marzo 1968, èstata sancita invece la regola dell’inopponibilità di talilimitazioni ai terzi, anche se pubblicate, a meno che siprovi che questi abbiano intenzionalmente agito adanno della società; regola che poi è stata confermatadal d. legisl. n. 6 del 2003 di riforma organica delladisciplina delle società di capitali e società cooperati-ve. La Corte sottolinea come con questa più recenteformulazione della disposizione si trasferisca sulla so-cietà il rischio delle violazioni commesse dagli ammi-nistratori mediante il compimento di atti ultra vires, of-frendo ai terzi la sicurezza che la società farà comun-que fronte a tali atti, e incentivandoli in tal modo allacontrattazione con la medesima.

Alla luce dei principi enunciati, il S.C. censura lasentenza impugnata per aver ritenuto senz’altro ineffi-cace nei confronti di Alfa il contratto stipulato da Tiziocon Caio e Sempronio, omettendo di applicare l’art.2384, comma 2, c.c.

(2) Nonostante ciò il S.C. non cassa la sentenzaimpugnata, ritenendola fondata su una ratio decidendiulteriore poggiante sull’annullabilità del contratto d’o-pera per conflitto di interessi tra Tizio e la società Alfa,ai sensi dell’art. 1394 c.c.

La Corte ricorda l’orientamento giurisprudenzialeconsolidato secondo il quale, nel caso di conflitto diinteressi dell’amministratore, trova applicazione l’art.1394 anziché l’art. 2391 c.c. quando vi sia un ammi-nistratore unico ovvero quando, pur in presenza di unconsiglio di amministrazione, l’operazione da compie-re sia devoluta alla specifica competenza di uno sol-tanto dei suoi componenti (amministratore delegato),che dunque ha il potere di eseguirla senza che sia ne-cessario l’intervento dell’organo collegiale.

Secondo la Cassazione alla medesima conclusionesi deve pervenire allorquando, come nel caso di spe-cie, il singolo amministratore ponga in essere, inassenza di delibera del consiglio di amministrazio-ne, un atto che rientri nella competenza di tale or-gano. Ciò la Corte argomenta dal rilievo che nell’ipo-tesi prefigurata dall’art. 2391 c.c. il conflitto riguar-da l’esercizio del potere di gestione piuttosto chequello del potere rappresentativo, ed emerge nonnel momento della stipulazione del contratto con ilterzo, bensì in quello anteriore in cui viene delibe-

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Novità giurisprudenziali

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Novità giurisprudenziali

ss.; pur se dubitativamente, Cottino, Le società. Diritto com-merciale, I, 2, Padova 1999, p. 416 s.

(2) La dottrina quasi unanime ritiene applicabile l’art.1394 c.c. alle ipotesi in cui l’atto venga stipulato 1) dall’am-ministratore unico, 2) dall’amministratore delegato che agi-sca nell’àmbito della delega, 3) dall’amministratore con rap-presentanza sprovvisto di delega che agisca in assenza di de-libera consiliare: v. Angelici, Amministratori di società, conflit-to di interessi e art. 1394 c.c., in R. d. comm. 1970, I, p. 104 ss.;Bonelli, op. cit., p. 84 ss.; Enriques - Pomelli, in Il nuovo di-ritto delle società, op. cit., I, sub art. 2391, p. 774 ss.; Guizzi, inSocietà di capitali, a cura di Niccolini - Stagno D’Alcontres, II,Napoli 2004, p. 663 ss.; Nazzicone - Providenti, Società perazioni: amministrazione e controlli, in La riforma del diritto socie-tario, a cura di Lo Cascio, V, Milano 2003, p. 175 ss.; Tauri-ni, Conflitto di interessi dell’amministratore: rapporto tra art.1394 e art. 2391 c.c., in Le società 1992, p. 787.

Di contrario avviso invece sono Bellacosa, Il conflitto di in-teressi dell’amministratore unico di società per azioni e l’art. 2391c.c., in G. comm. 1997, I, p. 143 ss., e Ferri, Fideiussioni presta-te da società, oggetto sociale, conflitto di interessi, in Banca, borsa,tit. cred. 1959, II, p. 35 ss., secondo il quale l’art. 1394 c.cnon sarebbe mai applicabile al conflitto di interessi tra ammi-nistratore e società, perché l’immedesimazione organica tra ilprimo e la seconda sarebbe tale che non potrebbe dirsi esi-stente quella duplicità di soggetti fondamentale affinché pos-sa parlarsi di conflitto di interessi.

Sostiene l’applicabilità dell’art. 1394 anche nell’ipotesi incui l’amministratore in conflitto di interessi compia l’atto inpresenza di una delibera consiliare Enriques, op. cit., p. 423ss. e p. 439 ss.

La dottrina largamente maggioritaria ritiene inapplicabilel’art. 2384, comma 2, c.c. alle fattispecie in cui l’amministra-tore agisca in conflitto di interessi, seppur con argomentazio-ni diverse: Bonelli, op. cit., p. 82, e Gisolfi - Lupetti, La rap-presentanza generale degli amministratori di società di capitali, inR. not. 2004, p. 1329, in partic. p. 1340, pervengono a taleconclusione muovendo dalla convinzione, condivisa dallasentenza in esame, che il conflitto di interessi configuri unalimitazione legale del potere di rappresentanza; Enriques,op. cit., p. 432 ss., sottolinea invece, correttamente, che il con-flitto di interessi non dà luogo a un difetto di rappresentanza,ma integra piuttosto un abuso della stessa; Galgano, op. cit.,p. 283, sostiene che l’opponibilità ai terzi del conflitto di in-teressi debba seguire la disciplina dell’art. 2391, comma 3,c.c.

Ritiene invece applicabile l’art. 2384, comma 2, anche allefattispecie di conflitto di interessi Abbadessa, op. cit., p. 145 s.

[Alessandro Fede]

Cassazione penale

PRODOTTIPETROLIFERI

Cass. pen., sez. un., 21 aprile (ud. 11 aprile) 2006, n.14287, Calvio ed altri

[Reato di destinazione di prodotti petroliferi fiscal-mente agevolati ad usi diversi da quelli ammessi –

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Momento consumativo – Destinazione ad uso diverso– Nozione – Misure cautelari – Confisca di autocarriabusivamente alimentati – Esclusione]

Massima – Il reato di cui all’art. 40, comma 1, lett. c), d.legisl. n. 504 del 1995, è integrato nel momento in cui deiprodotti petroliferi esenti o soggetti ad aliquote agevolatevengono « destinati » ovvero disposti per l’assolvimento diun uso soggetto ad imposta. Ne consegue che tale reato èperfezionato nel momento in cui del gasolio fiscalmenteagevolato è abusivamente immesso nei serbatoi di autovei-coli, mentre resta estraneo al reato, già perfezionato, il suc-cessivo impiego dei veicoli suddetti, i quali, pertanto, noncostituiscono « mezzi » per commettere la violazione dellalegge penale e non sono pertanto suscettibili di confisca ob-bligatoria ex art. 44 del citato decreto.

Fatto – Più soggetti riversano nei serbatoi di taluni au-tocarri del gasolio fiscalmente agevolato di presumibi-le provenienza illecita e posseduto senza alcun titolo,in quantità superiore a cento chilogrammi, vale a direoltre la soglia di rilevanza penale fissata dall’ art. 40,comma 4, d. legisl. n. 504 del 1995. Da qui la sotto-posizione degli autori del fatto ad indagini di poliziagiudiziaria volte ad accertare la commissione del reatodi destinazione di prodotti esenti ad usi soggetti adimposta, di cui all’art. 40, comma 1, lett. c), d. legisl n.504 del 1995. Nel corso delle indagini viene inoltredisposta dal Tribunale la confisca degli autocarri abu-sivamente alimentati.

Motivi della decisione – La questione sottoposta al-l’esame della Corte concerne la legittimità del provve-dimento che ha disposto la misura cautelare dellaconfisca degli autocarri abusivamente alimentati.

Al riguardo, va premesso che tale misura, ai sensidell’art. 44, d. legisl. n. 504 del 1995, deve riguardarei « mezzi » utilizzati per commettere la violazione del-l’art. 40, comma 1, lett. c), d. legisl. n. 504 del 1995,ossia il reato di destinazione di prodotti petroliferiesenti o fiscalmente agevolati ad usi soggetti ad impo-sta o a maggiore imposta. Dunque, per stabilire la le-gittimità di tale misura, la Corte si è posta l’interroga-tivo se gli autocarri abusivamente alimentati potesserocostituire « mezzi » per la violazione del suddetto rea-to, la cui soluzione risulta strettamente dipendentedalla individuazione del momento consumativo delreato de quo. Sul punto, si sono contrapposti due di-versi orientamenti giurisprudenziali.

In particolare, per il primo orientamento, il delittodi cui all’art. 40, comma 1, lett. c), del d. legisl. n. 504del 1995, si perfeziona nel momento in cui il prodot-to, fiscalmente agevolato, viene usato per uno scopodiverso da quello consentito, con la conseguenza chegli autoveicoli fruitori costituiscono mezzi per com-mettere la violazione della legge. Per il secondo orien-tamento, invece, esiste una netta distinzione tra la no-zione di “destinazione”, richiamata dall’art 40, comma1, lett. c), del citato decreto, e quella di “impiego”, conla duplice conseguenza che l’impiego di prodotti pe-troliferi per finalità diverse da quelle ammesse costi-

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le parti civili, eccependo l’inosservanza degli artt. 40,41, 43 c.p.

Motivi della decisione – Nella sentenza in epigra-fe, la Suprema corte si pronuncia in materia di cau-salità nei reati colposi conseguenti a sinistri stradali,affrontando nello specifico il problema dell’esclusio-ne del nesso causale, qualora cause sopravvenutesiano state, in concreto, da sole sufficienti a causarel’evento medesimo. Tali cause, previste dall’art. 41,comma 2, c.p., sono solamente quelle costituentiserie causali autonome, identificabili in fatti deltutto estranei alla condotta del soggetto agente,eccezionali, non prevedibili, e capaci di renderepossibile il verificarsi di un evento che, secondola migliore scienza ed esperienza, non sarebbeper nulla conseguenza probabile di quel tipo dicondotta tenuta dal soggetto agente. Esse esclu-dono il nesso causale tra la condotta e l’evento me-desimo e, operando in assoluta autonomia, sfuggo-no al controllo e alla prevedibilità del reo. Nel casodi specie, la Corte d’appello ha assolto l’imputata,condannata in primo grado per il reato di omicidiocolposo, ritenendo improvviso e imprevedibile l’o-stacolo rappresentato dal pedone al centro del-l’incrocio, tale da non permettere alla conducentealcuna manovra di emergenza e tale da escludernequalsiasi profilo di colpa. È da precisare che l’impu-tata ha attraversato l’incrocio ad una velocità ottima-le, ossia di molto inferiore al limite consentito neicentri abitati, ma non tale da procurare una paralisidel traffico o una situazione di pericolo per la circo-lazione. Ciò che, invece, ha comportato l’inevitabilitàe il conseguente verificarsi del sinistro occorso è sta-ta la rapidità dell’azione del pedone e le sue nume-rose violazioni del codice della strada, tali da ritene-re la condotta della vittima assolutamente impreve-dibile e unica causa dell’evento. Sulla base di quantosopra riportato, è allora possibile sostenere che neireati colposi conseguenti a sinistri stradali deveescludersi la responsabilità del conducente quan-do il fatto illecito altrui, ed in particolare dellavittima, configuri per i suoi caratteri una vera epropria causa eccezionale, atipica, non prevedibi-le, che sia stata da sola sufficiente a produrre l’e-vento. Di qui la decisione della Suprema Corte di ri-gettare il ricorso proposto dalle parti civili.

[Precedenti] In tema di esclusione del nesso causale per causasopravvenuta da sola sufficiente a causare l’evento, v.: Cass.pen., sez. IV, 11 febbraio 2004, D’Andrea, in Guida al dir. 2004,p. 83; Cass. pen., sez. V, 13 febbraio 2002, Izzo, in D&G2002, p. 74; più nello specifico, in materia di omicidio colposoda sinistro stradale, ove si riscontra la mancanza del nesso cau-sale, v. Cass. pen., sez. IV, 4 dicembre 2001, Taddeo, in R. pen.2001, p. 476.

[Nota bibliografica] Sulle cause sopravvenute da sole sufficientia determinare l’evento che escludono il nesso causale, v. F. Man-tovani, Diritto penale, Padova 2001, p. 158 s.; G. Fiandaca - E.Musco, Diritto penale, Bologna 2004, p. 222 s.; A. Carcano, subart. 41, in G. Lattanzi - E. Lupo (a cura di), Codice penale, Milano2000, p. 80 s.; A. Martini, sub art. 41, in Codice penale, a cura di

tuisce fatto estraneo al reato e gli autoveicoli abusiva-mente alimentati non sono mezzi per commetterlo.

Ciò premesso, il Supremo Collegio aderisce al se-condo orientamento sopra prospettato, precisandoche il concetto di destinazione, diverso da quello diimpiego, significa propriamente disporre per l’assol-vimento di una determinata funzione. Ne consegueche il reato de quo si perfeziona nel momento in cuidel gasolio venga abusivamente immesso nei serbatoidi autoveicoli, il cui successivo impiego resta pertantofatto estraneo al reato, già consumato, e assume rilievosolo sotto il profilo probatorio per l’accertamento del-l’avvenuto mutamento di destinazione del prodotto.

In conclusione, gli autoveicoli non hanno un rap-porto qualificato con il reato, già completo in tutte lesue componenti e, quindi, perfetto e rappresentanoper gli interessati soltanto degli strumenti per fruiredegli effetti positivi dell’illecito.

[Precedenti] In senso conforme alla sentenza in epigrafe v.: Cass.pen., sez. III, 7 novembre 1997, Falotico, in C. pen. 1999, p.1257; Cass. 16 marzo 1990, Nacca, in Comm. trib. centr. 1991, II,p. 377. Contra v. Cass. pen., sez. III, 27 ottobre 2005, Palmieri, inMass. CED, rv 232602; Cass. pen., sez. III, 13 dicembre 1995,Curella, in C. pen. 1997, p. 217.

[Nota bibliografica] Nel senso della pronuncia in epigrafe v. F.Birigazzi, La nuova normativa sulla marcatura dei gasoli e del petro-lio lampante. Commento al d. legisl. 6 maggio 1999, n. 173, in D.pen. proc. 1999, p. 1080.

[Valentina Magnini]

COLPA

Cass. pen., sez. IV, 29 luglio (ud. 14 giugno) 2005, n.10912, Pravettoni

[Omicidio colposo – Imprudenza della vittima –Causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinarel’evento – Esclusione del nesso causale]

Massima – In materia di reati colposi conseguenti a sini-stri stradali è escluso il nesso causale tra la condotta ascrit-ta al conducente del veicolo e l’evento verificatosi, quando ilcomportamento colpevole della vittima, caratterizzato daimprudenza ed inosservanza delle norme che regolano lacircolazione stradale, si sia configurato come causa eccezio-nale, atipica, non prevedibile, e in quanto tale da sola suffi-ciente a produrre l’evento.

Fatto – Tizia, alla guida della sua auto, investiva educcideva il pedone Caia, che si accingeva ad attraver-sare di corsa e diagonalmente da sinistra verso destraun incrocio regolato da semaforo, senza fare uso degliappositi attraversamenti pedonali e senza rispettare lasegnaletica semaforica rossa. Tizia, condannata in pri-mo grado per il reato di omicidio colposo, veniva poiassolta in appello perché il fatto non costituiva reato,in quanto mancante il nesso causale tra la condottadell’imputata e l’evento verificatosi. Avverso la senten-za di assoluzione proponevano ricorso in cassazione

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Novità giurisprudenziali

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Novità giurisprudenziali

T. Padovani, Milano 2005, p. 222; in materia di causalità nei rea-ti colposi, v. A. Pagliaro, Causalità e diritto penale, in C. pen.2005, p. 1056 s.

[Chiara Burini]

OMESSO VERSAMENTORITENUTE PREVIDENZIALI

Cass. pen., sez. III, 24 ottobre (ud. 28 settembre)2005, n. 38938, Zarrillo

[Ritenute previdenziali – Avvenuta corresponsionedella retribuzione – Mancata effettuazione delle rite-nute – Reato – Sussistenza]

[Ritenute previdenziali – Retribuzione – Prova dellacorresponsione – Presunzione]

Massima – (1) Ai fini della configurabilità del reato di cuiall’art. 2, legge n. 638 del 1983, è necessario e sufficienteche risulti provata l’effettiva corresponsione, anche se “innero”, della retribuzione, a nulla rilevando che sulla stessasiano state effettivamente operate le ritenute.

(2) La prova della corresponsione della retribuzione, ol-tre che dai modelli DM 10 presentati all’I.N.P.S. dall’im-prenditore, può desumersi anche dagli estratti dei libri pagae da ogni altro documento in possesso dell’imprenditorestesso, o addirittura potrebbe presumersi, vista la naturanecessariamente onerosa del rapporto di lavoro.

Fatto – Tizio, responsabile della ditta SupermercatoSantea S.a.s, omette di versare all’I.N.P.S. le ritenutecontributive operate mensilmente sulle retribuzionidei dipendenti per i mesi di febbraio, marzo e maggiodel 1997.

Motivi della decisione – (1) La Corte di cassazione, aseguito di ricorso dell’imputato, è chiamata a pronun-ciarsi sulla configurabilità del reato di omesso versa-mento delle ritenute previdenziali in mancanza di cor-responsione della retribuzione ovvero in mancanza dieffettuazione delle ritenute, ancorché sia stata corri-sposta la retribuzione. Come noto, infatti, pur essendol’onere previdenziale ripartito tra imprenditore e lavo-ratore, ex art. 2115 c.c., solo il primo soggetto è re-sponsabile del versamento del contributo anche per laparte posta a carico del lavoratore. Ecco perché, al finedi comprendere in quali circostanze il mancato adem-pimento di detto obbligo da parte dell’imprenditorepossa configurare il reato di cui all’art. 2, legge n. 638del 1983, si presenta la necessità di interpretare la lo-cuzione « ritenute operate » che viene utilizzata in talenorma dal legislatore. Invero, il tenore letterale dell’art.2, legge n. 638 del 1983, ha creato diversi problemiinterpretativi, per sanare i quali sono intervenute leSezioni unite della Suprema Corte. Queste ultime,con sentenza n. 27641 del 2003, hanno sancito cheil reato contemplato dall’art. 2, legge n. 638 del1983, non è configurabile a carico del datore di la-voro in caso di mancata corresponsione della rela-tiva retribuzione al lavoratore. Equiparando il reato

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de quo al delitto di appropriazione indebita, le Sezioniunite hanno così recepito l’orientamento secondo ilquale l’art. 2, legge n. 638 del 1983, prevede una fat-tispecie a condotta mista, comprendente il fatto com-missivo della corresponsione della retribuzione con larelativa ritenuta delle quota contributiva, ed il fattoomissivo del mancato versamento della ritenuta stes-sa a favore dell’ente assicuratore. In altri termini, le Se-zioni unite hanno ritenuto che, per mezzo di una taleprevisione, il legislatore non ha inteso punire il fattoomissivo del mancato versamento dei contributi, ben-sì il ben più grave fatto commissivo dell’appropriazio-ne indebita da parte del datore di lavoro di sommeprelevate dalla retribuzione del lavoratore. Tuttavia –osservano i giudici della terza sezione – in breve tem-po le Sezioni unite hanno ripudiato il loro precedenteorientamento con la successiva sentenza n. 1327 del2005. In quella circostanza, infatti, la Suprema Corte,chiamata a pronunciarsi sull’omesso versamento di ri-tenute operate sulla retribuzione alla cassa edile, dopoaver preliminarmente escluso l’applicabilità dell’art. 2,legge n. 638 del 1983 (in quanto la cassa edile nonsvolge funzioni previdenziali ed assistenziali), hannoescluso altresì la configurabilità del reato di appropria-zione indebita. In particolare – si rileva nella sentenzain epigrafe – il reato di appropriazione indebita è statoescluso per carenza del requisito dell’altruità della res,in quanto il denaro trattenuto dal datore di lavoro aldipendente rimane sempre nel patrimonio di quest’ul-timo, confuso con tutti gli altri beni e rapporti checontribuiscono a costituirlo. Sulla scorta di tali pre-messe, la terza sezione afferma quindi adesso che unavolta provata l’avvenuta corresponsione della retri-buzione, il reato in questione è configurabile sianell’ipotesi in cui il datore di lavoro effettui le rite-nute ma non le versi, sia nell’ipotesi in cui nontrattenga alcuna somma.

(2) I giudici di legittimità si soffermano inoltre aconsiderare anche il problema concernente l’accerta-mento probatorio dell’avvenuta corresponsione dellaretribuzione da parte del datore di lavoro. Una provache viene solitamente desunta, in giurisprudenza, dal-le denunce contributive trasmesse dal datore di lavoroall’I.N.P.S. con i modelli D10, i quali contengono l’e-lenco nominativo dei lavoratori occupati, l’indicazionedelle retribuzioni corrisposte e delle ritenute operate.Tali modelli provenienti dal datore di lavoro hannonatura ricognitiva della situazione debitoria esposta esono utilizzabili come prova a carico dell’imprendito-re. Eventuali divergenze rispetto alla situazione espo-sta con tali modelli devono essere provate da chi leeccepisce. Sulla base delle denunce contenute in talimodelli i funzionari dell’I.N.P.S. compiono gli accerta-menti del caso, contestando, se del caso, l’omesso ver-samento delle ritenute al trasgressore. Sennonché, laCorte aggiunge che la prova della corresponsione del-la retribuzione può desumersi, oltre che dai citati mo-delli, anche dagli estratti dei libri paga e da ogni altrodocumento in possesso dell’imprenditore, ed addirit-tura potrebbe presumersi, con presunzione iuris tan-

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do tra le parti non segua la materiale consegna dellasostanza stupefacente.

Motivi della decisione – La pronuncia in esame si in-serisce nell’àmbito di un orientamento giurispruden-ziale ormai consolidato che individua il momentoconsumativo delle fattispecie di cessione, vendita,acquisto e ricezione di sostanze stupefacenti nellaformazione del consenso delle parti sull’oggettodella vendita, quantità e qualità della sostanza, edeventualmente sul prezzo. Non è invece richiesta latraditio, materiale consegna della droga, in quanto meraconseguenza del già intervenuto accordo.

Unica nota discorde in questo panorama giurispru-denziale è rappresentato dalla c.d. “sentenza Ceman”,alle cui argomentazioni si riporta la ricorrente. La Cor-te, in tale pronuncia, individua il momento consuma-tivo del reato di acquisto di stupefacente nella traditioe nella corresponsione del prezzo, negando la validità,in tale àmbito, del principio consensualistico di cui al-l’art. 1376 c.c., in considerazione della finalità propriadel diritto civile di definire e regolamentare i rapportigiuridici dallo stesso ritenuti meritevoli di protezionein quanto leciti: liceità che evidentemente manca nellafattispecie ex art. 73, d.p.r. n. 309 del 1990. Tuttavia,sostiene la Corte nella pronuncia in esame, prescin-dendo dal richiamo al principio consensualistico, è lostesso legislatore che, individuando le condotte penal-mente rilevanti, esige che il reato di acquisto di so-stanza stupefacente si consumi nel momento in cuiinterviene l’accordo tra le parti sull’oggetto della ven-dita e sul corrispettivo. Il carattere onnicomprensivodel testo dell’art. 73, d.p.r. n. 309 del 1990, che con-templa oltre alla condotta di acquisto anche quelladella semplice detenzione di sostanza stupefacente,consente, infatti, di giungere all’individuazione delmomento consumativo del reato di acquisto indipen-dentemente dal richiamo ai principi civilistici. Dall’a-nalisi della norma in questione, dunque, emerge comela condotta di acquisto, per conservare autonomospazio applicativo, debba riferirsi a tutte quelle situa-zioni in cui il soggetto acquirente non abbia ancoramaterialmente acquisito la disponibilità della sostanza,ricadendosi, in caso contrario, nella fattispecie di de-tenzione, che non postula necessariamente un contat-to fisico immediato con la sostanza da parte del de-tentore. L’avvenuto accordo sulla quantità e qualitàdella sostanza ed eventualmente sul prezzo è per-ciò ritenuto dalla Suprema Corte requisito necessarioe sufficiente per ritenere consumato il reato di ac-quisto di sostanze stupefacenti per uso non tera-peutico: requisito sufficiente, in quanto se avvenuta latraditio, come si è visto, si configurerebbe la condottadella detenzione; necessario, in quanto in mancanzadi tale accordo si potrebbe al più ravvisare la fattispe-cie tentata.

Unica obiezione a tale ricostruzione potrebbe ri-guardare il rischio di conseguenze penali disomoge-nee per il soggetto acquirente e per il soggetto vendi-tore: in caso di mancata traditio, al venditore che non

tum, posta la natura necessariamente onerosa del rap-porto lavorativo.

[Precedenti] (1) Con specifico riferimento alla sussistenza delreato di cui all’art. 2, legge n. 638 del 1983 in caso di pagamen-to “in nero” della retribuzione, v. Cass. pen., sez. III, 20 marzo2003, Zambon, in R. pen. 2004, p. 134. Si sono invece espressenel senso del necessario esborso della retribuzione ai fini dellaconfigurabilità del reato de quo: Cass. pen., sez. un., 23 giugno2003, Silvestri, in R. pen. 2004, p. 135; Cass. pen., sez. III, 24maggio 2001, Bertolotti, ivi 2001, p. 920; Cass. pen., sez. III, 18aprile 1997, Crotti, in F. it. 1998, II, c. 248. Per il contrario orien-tamento, secondo cui non è necessaria la corresponsione dellaretribuzione, cfr. Cass. pen., sez. III, 3 gennaio 2002, Scarpa, inD. prat. lav. 2002, p. 230; Cass. pen., sez. III, 24 marzo 1999, In-nella, in R. pen. 1999, p. 881.

(2) Nello stesso senso della sentenza in epigrafe cfr. Cass.pen., sez. III, 12 gennaio 1996, Marangio, ivi 1996, p. 1024.

[Nota bibliografica] Sul reato di omesso versamento delle rite-nute previdenziali e sui diversi orientamenti in ordine all’esborsodella retribuzione v.: T.A. Camelio, Appropriazione indebita e viola-zione amministrativa nell’omesso versamento delle ritenute previden-ziali a carico del datore di lavoro, in C. pen. 1984, p. 2167; A. Sala-fia, Il sistema sanzionatorio previdenziale: le sanzioni amministrative epenali, in D. lav. 1987, I, p. 366; G. Saia, Il sistema sanzionatorioprevidenziale, in Informazione prev. 1993, p. 1108 ss.; S. Guadalu-pi, Un caso di insussistenza del reato di cui all’art. 2, legge n.638/1983, in D. prat. lav. 1997, p. 1989 ss.; P. Pomanti, I reati inmateria di previdenza ed assistenza obbligatoria, in Aa.Vv. Trattato didiritto penale dell’impresa. I reati in materia di lavoro, a cura di F.S.Fortuna, Padova 2002, p. 492 ss.; A. Morrone, Omesso versa-mento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni deilavoratori, in Lav. e g. 2003, p. 837 ss.

[Alessandra Palma]

ACQUISTO DI STUPEFACENTI

Cass. pen., sez. IV, 7 dicembre (ud. 10 marzo) 2005,n. 721, Orlando

[Acquisto e cessione di stupefacenti – Momento con-sumativo – Formazione del consenso sulla quantità equalità della sostanza – Sufficienza – Consegna dellasostanza – Necessità – Esclusione]

Massima – Il reato di acquisto di stupefacenti si consumanel momento dell’accordo delle parti in ordine alla quantitàe qualità dello stupefacente e al prezzo, dovendosi prescin-dere dalla traditio e dalla corresponsione materiale delprezzo.

Fatto – Tizia, condannata sia in primo che in secondogrado per il reato di cui all’art. 73, d.p.r. n. 309 del1990, propone ricorso innanzi alla Suprema Corte de-ducendo l’erronea applicazione degli artt. 73, d.p.r. n.309 del 1990, e 56 c.p. essendo stato contestato allaricorrente il reato consumato di acquisto di stupefa-cente anziché la fattispecie tentata, nonostante fossemancata la traditio. La ricorrente solleva altresì que-stione di legittimità costituzionale dell’art. 73, comma1, d.p.r. n. 309 del 1990, per violazione del principiodi ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. nella parte incui consente la contestazione della fattispecie consu-mata di acquisto anche quando all’intervenuto accor-

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Novità giurisprudenziali

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Novità giurisprudenziali

consegnasse la sostanza potrebbe essere contestato ilreato di tentata vendita, mentre all’acquirente il reatoconsumato di acquisto, in quanto già intervenuto l’ac-cordo. La Suprema Corte ritiene che tale obiezionepossa essere agevolmente superata richiamando laposizione di certa dottrina che esclude la configurabi-lità del tentativo di vendita o cessione di stupefacente;e ciò in virtù della volontà del legislatore di anticiparela soglia di punibilità, prevedendo le condotte di mes-sa in vendita ed offerta che rendono, a parere dellastessa Corte, concettualmente impossibile ed irragio-nevole, ricavare in tale contesto uno spazio autonomoper il tentativo di cessione o vendita.

Confutate, dunque, le contrarie argomentazionidella “sentenza Ceman”, la Corte ha rigettato il ricorsoe dichiarato manifestamente infondata la questione dilegittimità costituzionale.

[Precedenti] In senso conforme: Cass. pen., sez. IV, 11 maggio2004, Saber, in C. pen. 2005, p. 2724; Cass. pen., sez. VI, 17aprile 2003, Visciglia, ivi, p. 3111; Cass. pen., sez. VI, 2 luglio2002, Gjinarari, ivi 2003, p. 1989; Cass. pen., sez. VI, 18 aprile1995, Della Valle, in R. pen. 1996, p. 739; Cass. pen., sez. VI, 19novembre 1993, Palamara, in C. pen. 1995, p. 2700.

Unico precedente discorde che postula la necessità della con-segna materiale della sostanza oggetto della vendita ai fini dellaconsumazione del reato: Cass. pen., sez. VI, 1° giugno 1998, Ce-man, ivi 1999, p. 711.

[Nota bibliografica] In merito al momento consumativo del rea-to di acquisto di sostanze stupefacenti, cfr. G. Amato, Sulla consu-mazione dei reati di vendita e di acquisto di sostanze stupefacenti, ivi2003, p. 2444. In particolare, sulla posizione assunta dalla Cortedi cassazione nella sentenza Ceman, G. Amato, Muta la giurispru-denza sul momento consumativo della vendita e della cessione di so-stanze stupefacenti, ivi 1999, p. 712.

[Silvia Callegari]

LEGGE PENALE

Cass. pen., sez. I, 26 gennaio 2006 (ud. 7 dicembre2005), n. 2955, El Hallal

[Legge penale – Delitti commessi all’estero – Reatocommesso dallo straniero a danno di stranieri (art. 10,comma 2, c.p.) – Condizioni di procedibilità – Presen-za dello straniero nel territorio nazionale – Tempora-nea presenza dello straniero prima dell’esercizio dell’a-zione penale – Giurisdizione italiana – Sussistenza –Assenza dello straniero al momento del rinvio a giudi-zio – Irrilevanza]

Massima – Ai fini della sussistenza della giurisdizione ita-liana ai sensi dell’art. 10, comma 2, c.p., è sufficiente che lostraniero sia stato presente nel territorio dello Stato italianoin un qualsiasi momento successivo all’evento delittuosocontestato e precedente all’esercizio dell’azione penale, nonrilevando l’allontanamento in un momento successivo al-l’avveramento della condizione.

Fatto – Tizio, dopo che si è verificato un violentoscontro tra la motonave da lui comandata ed una im-barcazione maltese, che trasporta circa 300 profughi

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di varie nazionalità, nel corso di una tempesta a circa19 miglia dalla costa siciliana, mentre l’imbarcazionemaltese sta affondando con tutto il suo carico umano,omette di prestare soccorso ai profughi e si allontana.Presente nel territorio italiano subito dopo il fatto, suc-cessivamente se ne allontana. Imputato per omicidiovolontario plurimo commesso in acque internazionali,Tizio non è presente sul territorio italiano al momentodell’esercizio dell’azione penale da parte del pubblicoministero.

Motivi della decisione – La Corte di cassazione è chia-mata a pronunciarsi sull’interpretazione dell’art. 10,comma 2, c.p. Più esattamente, il problema consiste nelchiarire se sia o meno necessaria, affinché sussista lagiurisdizione italiana per un reato commesso da unostraniero in danno di cittadini stranieri all’estero, la pre-senza dello straniero nel territorio italiano al momentodell’esercizio dell’azione penale. Un’incognita, questa, lacui soluzione viene fatta precedere dalla Corte da unabreve disamina dei principi cui si ispira il nostro ordina-mento per determinare la giurisdizione italiana nel casodi reati commessi all’estero. A questo proposito i giudi-ci affermano che, al di là di taluni contrasti dottrinali, ilprevalente orientamento di diritto internazionale èquello di una solidarietà degli Stati nella persecuzio-ne dei reati ovunque commessi, tanto che le conven-zioni internazionali tendono per lo più a stabiliredei limiti di competenza nella prospettiva di evitareduplicità di azioni penali. Da qui la possibilità di inter-pretare le norme interne di cui agli artt. 7 ss. c.p. comeuna limitazione della giurisdizione italiana in materia direati commessi da stranieri al di fuori del territorio ita-liano. Lo si evince con chiarezza soprattutto nell’art. 10,comma 2, c.p. il quale subordina il radicamento dellagiurisdizione italiana sul fatto commesso all’estero dallostraniero ai danni dello straniero alla presenza di molte-plici condizioni di procedibilità: e precisamente che visia la richiesta del Ministro della giustizia, il rifiuto diestradizione, un delitto punito con pena non inferiorenel minimo a tre anni e infine la presenza del potenzia-le autore nel territorio dello Stato. Tutte condizioniqueste – prosegue la Corte – che devono venire a esi-stenza prima della richiesta di rinvio a giudizio, nonessendo ipotizzabile che si verifichino tutte conte-stualmente al momento dell’esercizio dell’azione pe-nale. In particolare, per quanto riguarda la presenza del-lo straniero nello Stato italiano, essa delimita, ai sensidell’art. 128, comma 2, c.p., il termine di decorrenza perla presentazione della richiesta da parte del Ministro,senza che sia necessaria la sua persistenza fino almomento della effettiva presentazione della richiesta, nétanto meno fino al rinvio a giudizio. Una diversa so-luzione condurrebbe a ritenere che la condizione diprocedibilità sia rimessa alla libera scelta dello straniero,il quale, essendo libero di decidere di lasciare il territoriodello Stato dopo la richiesta del Ministro, potrebbe farcessare la giurisdizione italiana in base al suo arbitrio,dopo averla determinata attraverso il suo ingresso vo-lontario nello Stato.

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lett. c), e del 179 c.p.p., perché il provvedimento que-storile non conteneva il necessario avviso della facoltàdi presentare memoria o deduzioni davanti al G.i.p.

La Cassazione ha accolto il ricorso.

Motivi della decisione – A seguito delle sentenze144 del 1997 della Corte costituzionale, il legislatore,con l’art. 1 del d.l. 20 agosto 2001, n. 336, ha intro-dotto il comma 2-bis all’art. 6 della l. 13 dicembre1989, n. 401, secondo il quale la notifica della prescri-zione questorile di presentarsi all’ufficio di polizia du-rante lo svolgimento delle manifestazioni sportive perle quali lo stesso questore abbia disposto il divieto diaccesso per persone denunciate o condannate per attidi « violenza negli stadi » deve contenere l’avviso chel’interessato ha facoltà di presentare, personalmente oa mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudicecompetente per la convalida del provvedimento.

La disposizione novellatrice non contiene alcunaspecifica sanzione per la sua inosservanza. Ma non v’èdubbio che l’omissione dell’avviso configuri unacausa generale di nullità ai sensi dell’art. 178, lett. c),c.p.p., atteso che essa pregiudica l’esercizio della fa-coltà, spettante al soggetto privato interessato, di in-tervenire o di farsi assistere nel procedimento giu-risdizionale di convalida, il quale è condizione es-senziale di efficacia del provvedimento di polizia.

In particolare si tratta di una nullità a carattere as-soluto perché l’avviso all’interessato della facoltà didifendersi presso il giudice competente per la convali-da svolge la stessa funzione della citazione dell’impu-tato prevista dall’art. 179, cioè quella di convocare laparte privata davanti al giudice per esercitare il suo di-ritto di difendersi, anche se per il procedimento diconvalida della misura prevenzionale si tratta di unaconvocazione senza data fissa e quindi più esattamen-te di una informazione sulle facoltà di difedersi entroun breve termine.

[Precedenti] V., in materia, Cass. pen., sez. I, 15 gennaio 1999,Piscitelli, rv 212218; Cass. pen., sez. I, 15 giugno 1999, Furnari,rv 213717; Cass. pen., sez. I, 16 giugno 2000, Castellini, rv214915; Cass. pen., sez. I, 2 dicembre 2004, Aiello, rv 230164.

[Nota bibliografica] In materia di tutela difensiva nella procedu-ra di cui alla legge n. 401 del 1989 v. Alonzi, Obbligo di compari-re presso uffici di polizia e convalida del gip in episodi di violenza neglistadi, in D. pen. proc. 2005, p. 439.

[Antonella Marandola]

MISURE CAUTELARI

Cass. pen., sez. VI, 10 marzo 2006 (c.c. 16 gennaio2006), n. 55, Rosolen

[Misure cautelari – Allontanamento dalla casa coniugale– Violazione delle prescrizioni – Arresti domiciliari –Durata della custodia – Ultima misura applicativa]

Massima – In caso di sostituzione della misura dell’allon-tanamento dalla casa coniugale con gli arresti domiciliari,

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[Precedenti] La giurisprudenza ha già affrontato la questione og-getto del presente giudizio, risolvendola, in un primo momento,nel senso della necessaria presenza del reo nel territorio delloStato al momento dell’esercizio dell’azione penale: Cass. pen.,sez. I, 14 ottobre 1977, Lorenzi, in Giust. pen. 1978, III, c. 3; Cass.pen., sez. I, 19 aprile 1971, Sepio, in F. it. 1972, II, c. 235. Suc-cessivamente, nel senso della necessaria presenza del reo nel ter-ritorio dello Stato al momento della definizione del giudizio dimerito, anche di secondo grado, a nulla rilevando l’originaria ca-renza del presupposto: Cass. pen., sez. I, 10 maggio 1991, Di Bel-la, in C. pen. 1992, p. 3041.

Sulla natura della presenza dello straniero nel territorio qualecondizione di punibilità cfr.: Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 1969,Brezavschek, ivi 1970, p. 1166; Cass. pen., sez. II, 19 giugno1967, Ginerio, in Rep. F. it. 1968, p. 873. Diversamente in favoredella tesi secondo cui si tratterebbe di una condizione di procedi-bilità: Cass. pen., sez. I, 11 luglio 2003, Mohammad Taher, in C.pen. 2004, p. 1932; Cass. pen., sez. I, 29 gennaio 1993, ShankryTarek, ivi 1994, p. 938; Cass. pen., sez. I, 14 ottobre 1977, Lo-renzi, in Giust. pen. 1978, III, c. 3; Trib. Brescia 18 gennaio 2002,Hervè, in C. pen. 2002, p. 3211.

[Nota bibliografica] Con riferimento alla disposizione di cui al-l’art. 10, comma 2, c.p., dottrina e giurisprudenza hanno avuto mo-do di confrontarsi circa la natura di condizione di punibilità o, piut-tosto, di procedibilità della necessaria presenza del reo nel territo-rio dello Stato. A favore del primo orientamento cfr.: V. Manzini,Trattato di diritto penale italiano, Torino 1982, p. 474; R. Pannain,Manuale di diritto penale, I, Torino 1967, p. 394; F. Antolisei, Ma-nuale di diritto penale – parte generale, Milano 2003, p. 128; F. Man-tovani, Diritto penale – parte generale, Padova 2001, p. 405; R. Or-landi, voce Procedibilità (condizioni di), in Dig. disc. pen., X, Torino1995, p. 47. Diversamente in favore dell’orientamento per cui lapresenza del reo sul territorio è da considerarsi condizione di pro-cedibilità, cfr.: M. Romano, Commentario sistematico del codice penale,Milano 2004, p. 138; D. Manzione, Commento dell’art. 10 c.p., in T.Padovani (a cura di), Codice penale, Milano 2005, p. 59; I. Carac-cioli, Manuale di diritto penale – parte generale, Padova 2005, p. 151.

Relativamente al momento in cui lo straniero deve essere pre-sente nel territorio dello Stato, ritengono che tale condizionedebba verificarsi al momento dell’esercizio dell’azione penale, fragli altri, V. Manzini, op. cit., p. 477; F. Mantovani, op. cit., p. 950;D. Manzione, op. cit., p. 59.

[Valeria Valignani]

VIOLENZA NEGLI STADI

Cass. pen., sez. III, 24 febbraio (c.c. 10 novembre)2006, n. 1222, Vernazzari

[Provvedimento del questore – Omesso avviso dellapresentazione di memorie – Nullità assoluta]

Massima – L’omessa indicazione nel provvedimento delquestore che vieta l’accesso agli stadi della facoltà di pre-sentare al g.i.p. competente per la convalida memorie e de-duzione costituisce una nullità assoluta.

Fatto – Il G.i.p. ha convalidato il provvedimento concui il questore aveva, per la durata di tre anni, vietatol’accesso agli stadi e imposto l’obbligo di presentarsialla questura in concomitanza con le partite giocatedalla squadra calcistica della città, a carico di un sog-getto denunciato per il lancio di oggeti contro la tifo-seria rivale durante un incontro di calcio.

L’imputato ha proposto personalmente ricorso percassazione, denunciando violazione degli artt. 178,

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Novità giurisprudenziali

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Novità giurisprudenziali

per trasgressione delle prescrizioni, il termine di durata del-la custodia domestica, ancorché disposto il giorno primadella perdita di efficacia della misura meno afflittiva, è fis-sato dall’art. 303 c.p.p.

Fatto – Il p.m. propone ricorso contro l’ordinanza deltribunale con la quale è stata dichiarata l’inefficacia,per decorreza dei termini, della misura degli arrestidomiciliari disposta, in sostituzione della misura coer-citiva di cui agli artt. 282-bis c.p.p., con provvedimen-to 4 gennaio 2005 dal G.i.p. nei confronti di un impu-tato.

Ad avviso del giudice d’appello, la misura degli ar-resti domiciliari, disposta per violazione delle prescri-zioni imposte dalla misura ab origine applicata, ha per-so efficacia per decorrenza del termine massimo stabi-lito dalla legge ex art. 303 c.p.p. Invero, il giudice d’ap-pello, anche ai fini del computo dei termini di duratadella misura custodiale, ha considerato il periodo diefficacia della misura coercitiva ab origine disposta il 6luglio 2004 e ha così fissato il 5 gennaio 2005 la sca-denza del termine massimo ex art. 308 c.p.p. Per effet-to di tale computo, la misura degli arresti domiciliari,applicata il 4 gennaio 2005, non avrebbe che potutoscadere anch’essa il 5 gennaio 2005, fermo restandola decorrenza del giorno di applicazione della misuracoercitiva, anche se poi sostituita con una misura cu-stodiale.

Il ricorrente deduce la violazione di legge proces-suale, in quanto l’art. 297, comma 2, c.p.p. stabilisceche gli effetti delle altre misure cautelari, compresaquella degli arresti domiciliari « decorrono dal mo-mento in cui l’ordinanza che la dispone è notificata anorma dell’art. 293» e nella fattispecie concreta l’ordi-nanza del giudice per le indagini preliminari è statanotificata il 4 gennaio 2005, lo stesso giorno in cui èstata adottata, e, pertanto, ex art. 303, comma 1, lett.a), c.p.p. la misura de qua sarebbe venuta a scadere,dopo tre mesi, e cioè il 3 aprile 2005.

La Cassazione ha accolto il ricorso.

Motivi della decisione – Secondo il Supremo Colle-gio, è vero che il termine massimo di durata delle« misure coercitive diverse dalla custoria cautelare » –tra le quali è da annotare l’« allontanamento della casaconiugale » di cui all’art. 282-bis c.p.p. ab origine appli-cata all’imputato il 6 luglio 2004 – è stabilito autono-mente dall’art. 308, comma 1, c.p.p. in misura pari « aldoppio dei termini previsti dall’art. 303»; tuttavia l’art.308 c.p.p., nonostante il richiamo all’art. 303 c.p.p., ènorma diretta a disciplinare tutt’altra fattispecie pro-cessuale, sicché non può confondersi e sovrapporsitale disposizione con quella che compiutamente e au-tonomamente disciplina i diversi termini di duratamassima della “custodia cautelare” ex art. 303 c.p.p.L’autonomia concettuale e normativa delle due di-sposizioni è confermata, da un lato, dall’art. 307,comma 1, c.p.p. là dove è previsto che « nei confrontidell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini ilgiudice dispone le altre misure cautelari di cui ricorra-no i presupposti, solo se sussistono le ragioni che ave-

vano determinato la custodia cautelare », e, pertanto, itermini di durata massima di tali misure cautelari nonpossono che essere quelli autonomamente stabilitidall’art. 308, comma 1, c.p.p. in misura pari « al dop-pio dei termini previsti dall’art. 303», senza che possaessere in esso computato, come primo segmento, ladurata della custodia cautelare già decorsa.

L’autonomia è altresì giustificata dall’art. 276,comma 1, c.p.p. per il quale «. . . in caso di trasgres-sione alle prescrizioni inerenti a una misura cautela-re il giudice può disporre la sostituzione o il cumulocon altra più grave . . . ». Pertanto, la misura sostituti-va più grave disposta ex art. 276 c.p.p., nel caso incui appartenga alla species delle misure custodiali, nonpuò che avere decorrenza dalla sua esecuzione e dura-ta secondo quanto stabilito dall’art. 303 c.p.p.[Precedenti] V., in materia, seppur a termini invertiti, Cass. pen.,sez. III, 29 gennaio 1998, Parisi, rv 210863; Cass. pen., sez. V,10 ottobre 1999, Spinosa, rv 215471.

[Nota bibliografica] V., in materia, ancorché in termini generali,Bianco, Le vicende estintive e modificative delle misure cautelari per-sonali, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, di-retto da Chiavario-Marzaduri, Torino 1993, III, p. 195.

[Antonella Marandola]

Consiglio di Stato

SPESE SANITARIE:GIURISDIZIONE

Cons. St., ad. plen., 2 maggio 2006, n. 8

[Spese sanitarie – Giurisdizione – Giudice ammini-strativo]

Massima – Il provvedimento contenente la determinazio-ne, da parte dell’amministrazione sanitaria, del tetto dispesa annuale per le prestazioni assistenziali, nonché la di-stribuzione di detto budget tra le varie strutture convenzio-nate, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.

Fatto – Un’azienda sanitaria locale appella le sentenzecon cui il giudice di primo grado ha annullato i prov-vedimenti contenenti la determinazione, da parte del-l’amministrazione sanitaria, del tetto di spesa annualeda destinare alle prestazioni assistenziali, nonché la di-stribuzione di detto budget tra le varie strutture con-venzionate.

Il giudice d’appello rimette all’Adunanza plenaria laquestione pregiudiziale relativa alla sussistenza, nellecontroversie all’esame, della giurisdizione esclusivadel giudice amministrativo.

Il Collegio, accertata la sussistenza della giurisdi-zione amministrativa, riunisce gli appelli, li accoglie e,per l’effetto, in riforma delle sentenze impugnate, re-spinge i ricorsi di primo grado.

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versibile) trasformazione dei terreni di loro proprietà(asseritamente avvenuta in parte in base al solo decre-to d’occupazione d’urgenza, ed in parte in assenza diqualsivoglia titolo legittimante, avendo interessato al-cune aree non ricomprese nel piano particellare, néoggetto del precitato decreto), nonché la condanna delComune al risarcimento dei danni subiti.

Il giudice, pur concludendo per la sussistenza dellapropria giurisdizione, sospende la decisione sul rito enel merito del ricorso, rinviandola a nuova udienza, alfine di poter acquisire ulteriore documentazioneistruttoria, per verificare se l’esecuzione dei lavoripubblici in oggetto abbia effettivamente interessatoanche alcune aree non comprese nel piano particella-re, né oggetto del decreto d’occupazione d’urgenza.

Motivi della decisione – Il giudice adito verifica pre-liminarmente se possa ritenersi sussistente la propriacompetenza, nella fattispecie all’esame.

Egli afferma che, alla luce dell’art. 34 del d. legisl.n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 7 della leggen. 205 del 2000, nonché dalla sentenza della C. cost.n. 204 del 2004, debbono considerarsi escluse dallagiurisdizione esclusiva del g.a. in materia espropria-tiva tutte le controversie inerenti a “comportamenti”della P.A. che non costituiscano, nemmeno in via in-diretta o mediata, esercizio di poteri autoritativi.

A tal specifico riguardo, il Collegio rileva che l’e-spressione “comportamenti” non si presta ad una let-tura univoca, dovendosi effettuare una sorta di classi-ficazione, tra diverse fattispecie: a) comportamentisupportati direttamente ed immediatamente da unprovvedimento amministrativo, del quale costituisco-no il momento esecutivo od attuattvo (collegamentodiretto ed immediato); b) comportamenti collegati in-direttamente e mediatamente con un provvedimentoautoritativo, che perciò costituiscono espressione del-l’esercizio di poteri pubblicistici (collegamento indiret-to e mediato); c) comportamenti che si configuranosolo formalmente ed apparentemente come tali, invirtù dell’omessa tempestiva attivazione, da parte del-l’autorità amministrativa, dell’obbligo di provvederead adempimenti pubblicistici previsti dall’ordinamen-to o attinenti all’esercizio di funzioni amministrative,ovvero, in relazione ai quali sussistono tutti i presup-posti per l’esercizio del potere autoritativo, quali lanorma attributiva del potere e/o la rilevanza pubblici-stica dei fini perseguiti (collegamento funzionale e/oteleologico); d) meri comportamenti, nei quali, datal’assenza sia di un collegamento (diretto od indiretto)con un provvedimento amministrativo, sia (funziona-le) con l’esercizio della funzione amministrativa e deipoteri autoritativi, viene in rilievo un rapporto caratte-rizzato da posizioni paritetiche, che deve conformarsial criterio del neminem laedere.

Secondo il giudice, la fattispecie concreta riveste uncarattere complesso, comprendendo due diverse ipo-tesi: da un lato, l’occupazione di terreni in virtù di undecreto d’occupazione d’urgenza e la loro irreversibiletrasformazione in assenza del decreto d’esproprio, ri-

Motivi della decisione – Secondo l’Adunanza plena-ria, i provvedimenti con cui l’amministrazione sanita-ria determina il tetto di spesa annuale da destinare al-le prestazioni assistenziali, nonché la distribuzionedi detto budget tra le varie strutture convenzionate,rientrano, in base agli artt. 33 ss. del d.l. n. 80 del1998, così come modificati dalla legge n. 205 del2000 e successivamente alla sentenza della Corte co-stituzionale n. 204/2004, nella giurisdizione del giu-dice amministrativo, per un duplice ordine di ragio-ni.

Innanzi tutto, perché si tratta di atti organizzatividel servizio sanitario nazionale, di natura discreziona-le, emanati nell’esercizio del potere di programmazio-ne nell’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche, afronte dei quali si configurano posizioni di interesselegittimo, come tali, attribuite alla giurisdizione ammi-nistrativa generale di legittimità.

In secondo luogo, detti provvedimenti riguardanola materia dei servizi pubblici, riservata alla giurisdi-zione amministrativa esclusiva.

[Precedenti] T.A.R. Sicilia – Catania, sez. IV, 21 aprile 2006, n.612; Cass. civ., sez. un., 8 agosto 2005, n. 16605; Cass. civ., sez.un., 24 marzo 2005, n. 6330.

[Nota bibliografica] A. Parisi, Contraddittorio e “giusto processo”innanzi agli organi della giurisdizione amministrativa, accreditamentodi strutture sanitarie, determinazione e programmazione dei tetti dispesa in sede regionale. Il riparto delle competenze ed il bilanciamentodegli interessi coinvolti alla luce degli indirizzi giurisprudenziali e delquadro normativo tra tutela dell’affidamento ed inerzia della p.a., in F.amm. – I TAR 2002, p. 3816; E. Raganella, I servizi pubblici dopola pronuncia della Corte costituzionale 204/2004, in Urb. e app.2005, p. 766.

[Sara Zaramella]

T.A.R.

OCCUPAZIONE SINE TITULO: QUALIFICAZIONE DEI

COMPORTAMENTI DELLA P.A. E GIURISDIZIONE

T.A.R. Puglia – Bari, sez. II, ord. 13 marzo 2006, n.188

[Occupazione sine titulo – Tutela giurisdizionale –Competenza]

Massima – La richiesta di risarcimento danni per illegitti-ma espropriazione di terreni non ricompresi nell’àmbito delpiano particellare, né oggetto di decreto d’occupazione d’ur-genza, rientra nella giurisdizione esclusiva del g.a.

Fatto – Un Comune dispone l’occupazione d’urgenzadi alcune aree di proprietà privata, per l’esecuzione dideterminati lavori pubblici.

I privati interessati si rivolgono al giudice ammini-strativo, chiedendo l’accertamento dell’illegittima (irre-

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Novità giurisprudenziali

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Novità giurisprudenziali

conducibile quanto all’occupazione, alla categoria suba) e quanto all’acquisizione alla categoria sub b); dal-l’altro, l’occupazione ed irreversibile trasformazione diaree non ricomprese nel piano particellare, né oggettodel decreto d’occupazione d’urgenza e, quindi, in as-senza di qualsivoglia provvedimento formale, ricon-ducibile sia per l’occupazione che per l’acquisizionealla categoria sub c).

Il Collegio conclude affermando che anche perquest’ultimo capo della domanda sussiste la giurisdi-zione esclusiva del g.a., dovendosi considerare la fatti-specie nel suo complesso ed in un solo contesto, ca-ratterizzato dall’esercizio di poteri autoritativi, univo-camente finalizzati alla realizzazione dei medesimi in-teressi pubblici.

Peraltro, al fine di giustificare detta conclusione, ilgiudice richiama, altresì, quanto statuito da una prece-dete decisione del Consiglio di Stato (ad. plen. n. 7 del2005) che, relativamente alla pretesa risarcitoria van-tata da un privato, in ordine al tardivo rilascio di unaconcessione edilizia, ha affermato che « nella specie,però, non si è di fronte a “comportamenti” della pub-blica amministrazione invasivi dei diritti soggettivi del

privato in violazione del neminem laedere (la fattispeciepresa in considerazione dal citato art. 34 nella partedichiarata incostituzionale dalla Corte), ma in presen-za delle diverse ipotesi del mancato tempestivo soddi-sfacimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa diassolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggettolo svolgimento di funzioni amministrative ».

[Precedenti] Cons. St., ad. plen., 16 novembre 2005, n. 9; Cons.St., ad. plen., 15 settembre 2005, n. 7; Cons. St., ad. plen., 30agosto 2005, n. 4.

[Nota bibliografica] V. Cerulli Irelli, Giurisdizione amministrati-va e costituzione, in G. cost. 2004, p. 3031; R. Conti, AdunanzaPlenaria, giurisdizione sui comportamenti e cumulo di domande, inUrb. e app. 2005, p. 1312; Id., Restituzione del bene trasformato neicasi di occupazione usurpativa, ivi, p. 809; G. Fabrizzi, I giudici dimerito seguono la CEDU e condannano l’occupazione appropriativa,ivi, p. 421; L. Mazzarolli, Sui caratteri e i limiti della giurisdizioneesclusiva: la Corte costituzionale ne ridisegna l’àmbito, in D. proc.amm. 2005, p. 214; M. Passoni, Tutela risarcitoria e Corte cost.204/2004: attestazioni di principio e primi (indesiderati) effetti, inUrb. e app. 2005, p. 193; F.G. Scoca, Sopravviverà la giurisdizioneesclusiva?, in G. cost. 2004, p. 2181.

[Sara Zaramella]

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SENTENZE

Sentenza 18 maggio 2006, n. 200 – Il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato qui deciso è pro-mosso dal Presidente della Repubblica nei confronti del Guardasigilli ed è occasionato dal rifiuto opposto dalMinistro della giustizia di « dare corso alla determinazione, da parte del Presidente della Repubblica, di concede-re la grazia ad Ovidio Bompressi », rifiuto risultante dalla nota del 24 novembre 2004 inviata dal medesimo Mi-nistro al Capo dello Stato. In accoglimento del ricorso, la Corte stabilisce che non spettava al Ministro della giu-stizia impedire la prosecuzione del procedimento volto alla adozione della determinazione del Presidente dellaRepubblica relativa alla concessione della grazia ad Ovidio Bompressi e, pertanto, dispone l’annullamento del-la impugnata nota ministeriale sopra citata.

Sul piano processuale, ferma la legittimazione del Presidente della Repubblica a proporre il conflitto, la Corteribadisce che deve essere confermata la legittimazione passiva del solo Ministro della giustizia, il quale è compe-tente, ratione materiae, ad effettuare l’istruttoria sulla grazia, a predisporre il relativo decreto di concessione, acontrofirmarlo ed a curarne l’esecuzione. In particolare, la legittimazione passiva del Ministro della giustizia tro-va il suo fondamento direttamente nella previsione di cui all’art. 110 Cost.

Sul piano sostanziale, la Corte precisa che l’esercizio del potere di grazia di cui all’art. 87 Cost. rispondea finalità essenzialmente umanitarie, da apprezzare in rapporto ad una serie di circostanze (non sempreastrattamente tipizzabili), inerenti alla persona del condannato o comunque involgenti apprezzamenti di ca-rattere equitativo, idonee a giustificare l’adozione di un atto di clemenza individuale, il quale incide pur sempresull’esecuzione di una pena validamente e definitivamente inflitta da un organo imparziale, il giudice, con le ga-ranzie formali e sostanziali offerte dall’ordinamento del processo penale. La funzione della grazia è, dunque, indefinitiva, quella di attuare i valori costituzionali, consacrati nel terzo comma dell’art. 27 Cost., garantendo so-prattutto il « senso di umanità », cui devono ispirarsi tutte le pene, e ciò anche nella prospettiva di assicurare ilpieno rispetto del principio desumibile dall’art. 2 Cost., non senza trascurare il profilo di « rieducazione » propriodella pena. Una volta recuperato l’atto di clemenza alla sua funzione di mitigare o elidere il trattamento sanzio-natorio per eccezionali ragioni umanitarie, risulta evidente la necessità di riconoscere nell’esercizio di talepotere – conformemente anche alla lettera dell’art. 87, comma 11, Cost. – una potestà decisionale del Ca-po dello Stato, quale organo super partes, « rappresentante dell’unità nazionale », estraneo a quello che vienedefinito il “circuito” dell’indirizzo politico-governativo, e che in modo imparziale è chiamato ad apprezzare lasussistenza in concreto dei presupposti umanitari che giustificano l’adozione del provvedimento di clemenza.Solo in tal modo si evita che, nella valutazione dei presupposti per l’adozione di un provvedimento aven-te efficacia “ablativa” di un giudicato penale, possano assumere rilievo le determinazioni di organi ap-partenenti al potere esecutivo. Quanto poi ai rapporti tra la fase istruttoria (nella mani del Ministro) e la fasedecisoria (spettante al Presidente), la Corte ulteriormente precisa – tra l’altro - che qualora il Presidente della Re-pubblica abbia sollecitato il compimento dell’attività istruttoria ovvero abbia assunto direttamente l’iniziativa diconcedere la grazia, il Guardasigilli, non potendo rifiutarsi di dare corso all’istruttoria e di concluderla, de-terminando così un arresto procedimentale, può soltanto rendere note al Capo dello Stato le ragioni di le-gittimità o di merito che, a suo parere, si oppongono alla concessione del provvedimento. Ammettere in-fatti che il Ministro possa o rifiutarsi di compiere la necessaria istruttoria o tenere comunque un comportamen-to inerte, equivarrebbe ad affermare che egli disponga di un inammissibile potere inibitorio, una sorta di poteredi veto, in ordine alla conclusione del procedimento volto all’adozione del decreto di concessione della graziavoluto dal Capo dello Stato.

Giurisprudenza costituzionale

a cura di Paolo Veronesi

Aggiornamento alla G.U. n. 25 del 21 giugno 2006

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Giurisprudenza comunitaria

a cura di Giulio Carpaneto

Aggiornamento al 15 giugno 2006

Sentenza 453/04 del 1° giugno 2006 – [Libertà di stabilimento – Artt. 43 e 48 CE – Filiale di una società a respon-sabilità limitata stabilita in un altro Stato membro – Iscrizione dell’oggetto sociale nel registro nazionale del commercio – Con-dizione di un anticipo sulle spese di pubblicazione integrale dell’oggetto sociale – Compatibilità]

Una società inglese intendeva aprire una filiale in Germania. Tra gli altri documenti depositati ai fini della regi-strazione della filiale tedesca vi era pure l’atto costitutivo della società madre, nel quale si elencavano diffusamentele finalità sociali perseguite. Le autorità tedesche richiedevano il deposito di un’ingente somma a titolo di anticiposulle spese di registrazione, in considerazione dell’estensione dei testi da trascrivere. La società inglese contestaval’esosità del deposito richiesto, osservando che sostanzialmente l’oggetto sociale era definito in poche righe di unpreciso articolo dell’atto costitutivo, ma le autorità tedesche obiettavano che l’incertezza sul costo definitivo dellatrascrizione e della pubblicazione giustificava l’ammontare dell’anticipo richiesto. La società inglese sollevava allorala questione della proporzionalità degli oneri imposti con il principio della libertà di stabilimento di un’impresa nel-l’area dell’Unione europea. Il quesito veniva sottoposto alla Corte che dichiarava: gli artt. 43 e 48 CE non ostanoad una normativa di uno Stato membro che subordina l’iscrizione nel registro di commercio di una filiale diuna società a responsabilità limitata stabilita in un altro Stato membro al pagamento di un acconto sui pre-vedibili costi di pubblicazione dell’oggetto sociale descritto nell’atto costitutivo della società.

Sentenza 98/05 del 1° giugno 2006 – [Sesta Direttiva IVA – Art. 11, parte A, nn. 2, lett. a), e 3, lett. c), – Ba-se imponibile – Imposta sull’immatricolazione dei veicoli a motore nuovi]

Una società danese acquistava un autoveicolo nuovo per le esigenze della propria direzione.L’importatore ufficiale provvedeva all’immatricolazione del veicolo e al versamento dell’imposta relativa e fat-

turava all’acquirente il prezzo del veicolo esente da IVA, l’importo dell’imposta di immatricolazione, l’IVA corri-spondente al prezzo del veicolo e l’IVA calcolata sulla somma delle prime due voci.

L’acquirente contestava questo criterio di calcolo e la controversia giungeva sub judice. Il magistrato danesechiedeva alla Corte di interpretare la sesta Direttiva comunitaria in materia di IVA, per stabilire secondo qualecriterio dovesse calcolarsi l’onere fiscale.

La Corte si pronunciava come segue.Nell’àmbito di un contratto di compravendita il quale preveda, in conformità all’uso al quale l’acquirente de-

stinerà il veicolo, che il rivenditore consegni quest’ultimo già immatricolato, ad un prezzo comprensivo dell’im-posta sull’immatricolazione dei veicoli a motore nuovi da lui versata prima della consegna, tale imposta, ilcui fatto generatore non consiste nella citata consegna, ma nella prima immatricolazione del veicolo sulterritorio nazionale, non rientra nella nozione di imposte, tasse e prelievi ai sensi dell’art. 11, parte A, n. 2,lett. a), della sesta Direttiva. Tale imposta corrisponde ad un importo ricevuto dal soggetto passivo da parte del-l’acquirente del veicolo, come rimborso delle spese sostenute in nome e per conto di quest’ultimo, ai sensi deln. 3, lett. c), della medesima disposizione.

Sentenza 169/05 del 1° giugno 2006 – [Diritti d’autore e diritti connessi – Direttiva 93/83/CEE – Art. 9, n. 2– Portata delle attribuzioni di una società di gestione collettiva che sia ritenuta incaricata di amministrare i diritti di un ti-tolare che non le abbia affidato la gestione dei propri diritti – Esercizio del potere di accordare o di negare al cablodistri-butore l’autorizzazione di ritrasmettere via cavo un’emissione]

Una società belga che gestisce i diritti connessi degli artisti interpreti ed esecutori chiedeva al giudice di vie-tare ad un’emittente belga la ritrasmissione via cavo dei programmi ai quali collaboravano gli artisti appartenen-ti al suo repertorio. La domanda veniva disattesa, in quanto, trattandosi di una gestione collettiva, faceva difettoun’attribuzione specifica della tutela dei diritti da parte dei singoli interessati. Si giungeva così al ricorso in cas-sazione. Il giudice di cassazione chiedeva alla Corte di dichiarare se una società di gestione collettiva che si pre-sume incaricata di tutelare i diritti degli artisti ad essa associati possa esperire un’azione per far vietare la ritra-smissione via cavo dei programmi ai quali partecipano i suoi associati invocando l’art. 9, n. 2 della Direttiva93/83/CEE, allorché il suo mandato specifico si limita alla gestione degli aspetti pecuniari che si ricollegano adetti diritti.

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Giurisprudenza comunitaria

La Corte ha risposto che l’art. 9, n. 2, della Direttiva 93/833 dev’essere interpretato nel senso che una so-cietà di gestione collettiva, qualora sia ritenuta incaricata di amministrare i diritti di un titolare di dirittid’autore o di diritti connessi che non abbia affidato la gestione dei propri diritti ad una specifica societàdi gestione collettiva, può esercitare il diritto del detto titolare di accordare o negare l’autorizzazione a uncablodistributore di ritrasmettere via cavo una trasmissione e, di conseguenza, la gestione da parte di detta so-cietà dei diritti del suddetto titolare non si limita ai loro aspetti pecuniari.

Sentenza 430/04 dell’8 giugno 2006 – [Sesta Direttiva IVA – Efficacia diretta dell’art. 4, n. 5, comma 2 – Atti-vità esercitata da un soggetto privato in concorrenza con una pubblica autorità – Organismo di diritto pubblico – Non as-soggettamento per le attività esercitate in quanto pubblica autorità]

La direzione di un crematorio privato tedesco presentava reclamo all’autorità fiscale locale, osservando chel’esenzione dall’IVA del crematorio comunale o il suo assoggettamento ad un’aliquota inferiore a quella applica-ta all’istituto privato impediva una leale concorrenza tra i due crematori, in violazione dell’art. 4, n. 5, secondocomma, della Direttiva 77/388/CE. L’amministrazione respingeva il reclamo invocando l’obbligo di rispettare ilsegreto fiscale ad essa incombente. .

La decisione veniva impugnata in giudizio e la controversia giungeva in cassazione. Il giudice adito si rivolge-va alla Corte chiedendo di interpretare l’articolo della sesta Direttiva sul quale si imperniava il dibattito. La Cor-te dichiarava che il singolo che si trovi in concorrenza con un organismo di diritto pubblico e che lamentiil mancato assoggettamento all’IVA di tale organismo o l’imposizione troppo modesta alla quale que-st’ultimo è assoggettato per l’attività che esercita in quanto pubblica autorità, è legittimato a far valerel’art. 4, n. 5, comma 2, della sesta Direttiva nell’àmbito di una controversia come quella oggetto della causaprincipale, che contrappone il singolo all’amministrazione tributaria nazionale.

Sentenza 517/04 dell’8 giugno 2006 – [Tributo sul trasporto di gamberetti a mezzo di pescherecci registrati in unoStato membro destinato al finanziamento di attrezzature per la cernita e la sgusciatura di gamberetti nello stesso Statomembro – Art. 25 CE – Tassa di effetto equivalente ai dazi doganali – Art. 90 CE – Imposizione interna]

Un armatore olandese che trasportava gamberetti veniva assoggettato alla tassa nazionale destinata a finan-ziare gli impianti di lavorazione operanti in Olanda tanto per le partite di merce destinate al mercato nazionale,quanto per quelle avviate direttamente al mercato danese. Egli faceva opposizione al provvedimento circa la par-te relativa alle esportazioni ed in sede contenziosa il giudice consultava la Corte di giustizia in via pregiudizialesulla legittimità dell’onere gravante sulle partite esportate in Danimarca.

La Corte dichiarava che un tributo riscosso da un ente di diritto pubblico di uno Stato membro, in basea criteri identici, sui prodotti nazionali destinati al mercato nazionale o all’esportazione verso altri Statimembri, rappresenta una tassa d’effetto equivalente ad un dazio doganale, vietata dagli artt. 23 e 25 CE,se il gettito di tale tributo serve a finanziare attività di cui beneficiano solo i prodotti nazionali destinati al mer-cato nazionale e se i benefici derivanti dalla destinazione del gettito di detto tributo compensano integralmentel’onere sopportato da detti prodotti. Un tributo di tal genere costituirebbe invece una violazione del divieto di di-scriminazione sancito dall’art. 90 CE se i benefici derivanti dalla destinazione del gettito di tale tributo per i pro-dotti nazionali che vengono lavorati o commercializzati sul mercato nazionale compensassero solo parzialmen-te l’onere da questi sopportato.

Sentenza nei procedimenti riuniti 7, 8 e 9/05 dell’8 giugno 2006 – [Ritrovati vegetali – Ammontare dell’equaremunerazione del titolare di una privativa comunitaria – Art. 5, nn. 2, 4 e 5 del Regolamento (CE) n. 1768/95 modi-ficato dal Regolamento (CE) n. 2605/98 – Nozione di remunerazione di ammontare sensibilmente più basso di quello dacorrispondere per la produzione, soggetta a licenza, di materiale di moltiplicazione]

In Germania è insorta una controversia tra alcuni agricoltori e i titolari di una privativa comunitaria quanto al-la remunerazione giudicata equa del materiale di moltiplicazione messo a loro disposizione per essere riprodot-to su licenza. Il giudice del merito, in dubbio sui criteri da seguire per pronunciarsi sul merito della causa, hachiesto lumi alla Corte per essere orientato sulle norme di diritto comunitario che disciplinano la materia.

La Corte ha dichiarato che: 1) La remunerazione forfettaria pari all’80% dell’ammontare percepito nella stessa zona per la produzione,

soggetta a licenza, di materiale di moltiplicazione della categoria inferiore avente diritto alla certificazione ufficia-le, della stessa varietà, in caso di ricorso alla deroga agricola di cui all’art. 14, n. 3, del Regolamento n. 2100/94non soddisfa il requisito secondo cui la detta remunerazione dev’essere di importo sensibilmente piùbasso di quello percepito per la produzione, soggetta a licenza, di materiale di moltiplicazione ai sensi dell’art.5, n. 2, del Regolamento n. 1768/95, fatta salva la valutazione effettuata dal giudice nazionale delle altre circo-stanze pertinenti di ciascuna causa principale.

2) I criteri che consentono di valutare l’importo della remunerazione del titolare di una privativa comunitaria

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Giurisprudenza comunitaria

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per ritrovati vegetali sono definiti dall’art. 5, n. 4 e 5, del Regolamento n. 1768/95, modificato dal Regolamenton. 2605/98. I detti criteri sono privi di effetto retroattivo, ma possono fungere da orientamento per il calcolodi tale remunerazione per quanto riguarda le coltivazioni effettuate prima dell’entrata in vigore del Regolamenton. 2605/98.

3) Affinché un accordo concluso tra le organizzazioni di titolari e di agricoltori, menzionato all’art. 5, n. 4, delRegolamento n. 1768/95, modificato dal Regolamento n. 2605/98, funga da linea direttrice in tutti i suoi pa-rametri, occorre che tale accordo sia stato notificato alla Commissione delle Comunità europee e pubblicatonel Bollettino ufficiale dell’Ufficio comunitario delle varietà vegetali e ciò anche se è stato concluso prima della da-ta di entrata in vigore del Regolamento n. 2605/98. Un tale accordo può prevedere un tasso di remunerazionediverso da quello previsto, in subordine, dall’art. 5, n. 5, del Regolamento n. 1768/95, modificato dal Regola-mento n. 2605/98.

4) In mancanza di un accordo applicabile tra le organizzazioni di titolari e di agricoltori, la remunerazione deltitolare di una privativa comunitaria per ritrovati vegetali dev’essere determinata ai sensi dell’art. 5, n. 5, del Re-golamento n. 1768/95, modificato dal Regolamento n. 2605/98 in un importo fisso che non costituisce néun limite massimo né un limite minimo

Sentenza 106/05 dell’8 giugno 2006 – [Sesta Direttiva IVA – Esenzioni – Art. 13, parte A, nn. 1, lett. b) e c), e2, lett. a) – Cure mediche assicurate da enti diversi da quelli di diritto pubblico – Prestazioni mediche effettuate nell’eser-cizio di professioni mediche – Analisi mediche effettuate da un laboratorio privato esterno ad una struttura sanitaria afronte di prescrizioni mediche – Presupposti per l’esenzione – Potere discrezionale degli Stati membri – Limiti]

Un laboratorio tedesco di analisi mediche operante a titolo privato, ma su prescrizioni rilasciate da mediciregolarmente iscritti all’ordine nazionale, contestava l’assoggettamento all’IVA delle sue prestazioni, obiettandoche rientravano nelle ordinarie prestazioni di assistenza sanitaria esenti da IVA. quindi si riconnettevano alle cu-re contemplate dall’art. 13, parte A), n. 1, lett. b), della sesta Direttiva. Il giudice adito sollevava allora la questio-ne della compatibilità della normativa tedesca in materia e la disciplina comunitaria sull’IVA e la sottoponeva al-la Corte. Questa così risolveva il quesito: l’art. 13, parte A, n. 1, lett. b), della sesta Direttiva deve essere interpre-tato nel senso che analisi mediche che hanno ad oggetto l’osservazione e l’esame dei pazienti a titolo pre-ventivo, effettuate come quelle di cui trattasi nella causa principale, da un laboratorio privato esterno auna struttura sanitaria a fronte di prescrizioni di medici generici, possono rientrare nell’esenzione di cuia tale disposizione come cure mediche dispensate da un altro istituto di diritto privato debitamente rico-nosciuto ai sensi della detta disposizione.

L’art. 13, parte A, nn. 1, lett. b), e 2, lett. a), della detta Direttiva non osta ad una normativa nazionale che su-bordina l’esecuzione di tali analisi mediche a condizioni che, da un lato, non si applicano all’esenzione del-le cure dispensate dai medici generici che le hanno prescritte e, dall’altro, sono diverse da quelle che si ap-plicano alle operazioni strettamente connesse alle cure mediche ai sensi della prima di tali disposizioni.

L’art. 13, parte A, n. 1, lett. b), della medesima Direttiva osta ad una normativa nazionale che subordina l’e-senzione di analisi mediche effettuate da un laboratorio privato esterno ad una struttura sanitaria allacondizione che esse siano effettuate sotto controllo medico. Tale disposizione non osta invece a che que-sta stessa normativa subordini l’esenzione delle dette analisi alla condizione che esse siano, almeno peril 40%, destinate a persone assicurate presso un ente previdenziale.

Sentenza 196/05 dell’8 giugno 2006 – [Tariffa doganale comune – Classificazione doganale – Nomenclaturacombinata – Sottovoce 0406 10(formaggio fresco) – Allegato I del Regolamento (CEE) n. 2658/87 modificato dal Re-golamento (CE) n. 1832/2002 – Classificazione tariffaria di mozzarella per pizza in filoni conservata, dopo la sua pro-duzione, per una o due settimane a bassa temperatura]

Una società tedesca chiedeva all’ufficio competente una informazione tariffaria per classificare la mozzarellada pizza e le veniva comunicata una determinata voce. Dopo qualche tempo però veniva trasmessa una rettifi-ca, giacché gli esami analitici del prodotto indicavano che si doveva classificare sotto una voce diversa. L’impre-sa richiedente contestava la rettifica, che riteneva viziata da errore sui dati tecnici. Il giudice investito della con-troversia consultava la Corte per far interpretare la tariffa doganale comune onde stabilire secondo quali criteridovesse classificarsi il prodotto litigioso.

La Corte dichiarava che la sottovoce 0406 10 della nomenclatura combinata figurante all’allegato I del Rego-lamento n. 2658/87, modificato dal Regolamento n. 1832/2002 deve essere interpretata nel senso che si appli-ca alla mozzarella per pizza in filoni, conservata dopo la sua produzione per una o due settimane alla tempera-tura di 2-4° C salvo che tale conservazione sia sufficiente affinché la mozzarella in questione subisca un proces-so di trasformazione idoneo a farle acquisire una o più nuove caratteristiche e proprietà oggettive, segnatamen-te, in termini di composizione, di presentazione e di gusto. Spetta al giudice del rinvio determinare se tali condi-zioni siano soddisfatte.

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Giurisprudenza comunitaria

Sentenza 173/03 del 13 giugno 2006 – [Responsabilità extracontrattuale degli Stati membri – Danni arrecati aisingoli da violazioni del diritto comunitario imputabili ad un organo giurisdizionale di ultimo grado – Limitazione, da par-te del legislatore nazionale, della responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo e colpa grave del giudice – Esclusione di ogniresponsabilità connessa all’interpretazione di norme giuridiche e alla valutazione di elementi di fatto e di prove espressenell’àmbito dell’esercizio dell’attività giurisdizionale]

Nel 1981, allorché si trovava in regime di concordato, una società di navigazione italiana citava in giudiziouna società concorrente per ottenere il risarcimento del danno assertivamente subìto negli anni precedenti per lapolitica dei prezzi praticati dalla concorrente. In particolare si invocava l’inosservanza dell’art. 2598, n. 3, c.c. ita-liano e dell’art. 87 del Trattato CE (versione attualmente in vigore dopo le modifiche intervenute nel frattempo).La sentenza negativa di primo grado veniva confermata in appello ed il curatore fallimentare della società attri-ce ricorreva in cassazione invocando l’erronea interpretazione delle norme comunitarie sulla concorrenza e sugliaiuti di Stato, chiedendo un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. La Corte di cassazione italiana ritenevasuperfluo il rinvio e respingeva la domanda, giudicando corretta l’applicazione del diritto nazionale da parte deigiudici dei gradi precedenti, che inoltre veniva dichiarata conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia diLussemburgo (sentenza 22 maggio 1985, n. 13/83).

Il curatore citava allora la Repubblica italiana dinanzi al Tribunale di Genova per ottenere il risarcimento deldanno patito a causa degli errori interpretativi commessi dai giudici della Corte di cassazione e in questa fase ilgiudice ha deciso di interpellare la Corte di giustizia in via pregiudiziale sulla responsabilità dello Stato in casodi errore commesso dalla magistratura non inficiato da dolo o colpa grave, come previsto dal codice italiano.

La Corte ha dichiarato che il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in ma-niera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito della viola-zione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale di ultimo grado, per il motivo chela violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione deifatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.

Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabi-lità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza del-la responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta deldiritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa 224/01, Köbler.

Sentenza 264/04 del 15 giugno 2006 – [Direttiva 1453/69/335/CEE – Imposte indirette sulla raccolta di ca-pitali – Fusione di società – Effettuazione di rettifiche presso il registro fondiario – Riscossione di una tassa – Qualifica-zione come « imposta sul trasferimento della proprietà » – Requisiti ai fini della riscossione della tassa]

Una cooperativa vinicola tedesca si fondeva con un’altra cooperativa di viticoltori. La proprietà del patrimo-nio immobiliare della dante causa veniva trasferita alla seconda cooperativa e alla trascrizione nel registro fon-diario l’amministrazione fiscale applicava la tassa prevista dalla normativa tedesca sul valore stimato degli im-mobili. L’avente causa dei beni faceva opposizione al provvedimento, obiettando che l’operazione poteva fruiredell’esenzione di cui all’art. 10 della Direttiva comunitaria.

In sede contenziosa il giudice sollevava il problema della natura del gravame contemplato dalla normativa te-desca, cioè se fosse una tassa nel senso tecnico del termine oppure se fosse un equivalente dell’imposta comu-nitaria sui trasferimenti di capitale.

Il quesito veniva sottoposto alla Corte di giustizia che dichiarava:1) Una tassa applicata per l’effettuazione di rettifiche presso il registro fondiario, come quella in questione nel-

la causa principale, ricade, in linea di principio, nel divieto dettato dall’art. 10, lett. c), della Direttiva69/335/CE, come modificata dalla Direttiva 85/303/CE.

Una tassa come quella oggetto della causa principale può essere considerata in deroga all’art. 10, lett. c), del-la Direttiva 69/335, nella versione della Direttiva 85/303, imposta sui trasferimenti consentita dall’art. 12, n.1, lett. b), della Direttiva 69/335, nella versione della Direttiva 85/303, a condizione che essa non sia superiorea quelle applicabili ad operazioni analoghe nello Stato membro di imposizione.

Spetta al giudice nazionale verificare se tale tassa sia conforme alle disposizioni dell’art. 12, n. 2 della Diretti-va 69/335, nella versione della Direttiva 85/303.

Sentenza procedimenti riuniti 393/04 e 41/05 del 15 giugno 2006 – [Aiuti concessi dagli Stati – Nozione –Esenzione dalle tasse comunali e provinciali – Effetti dell’art. 8, n. 3, CE – Tasse d’effetto equivalente – Imposizioni interne]

Una società belga che produce e distribuisce gas industriali contesta la tassa sulla forza motrice applicata neisuoi confronti che considera discriminatoria rispetto all’esenzione fiscale di cui godono le società che trasporta-no gas naturale. L’esenzione equivarrebbe ad un aiuto di Stato vietato dalla disciplina comunitaria. Il giudicechiedeva alla Corte di interpretare la normativa comunitaria in materia, al fine di poter correttamente qualificarela normativa belga nella causa di merito.

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Giurisprudenza comunitaria

1069

L’interrogativo è stato così risolto:1) L’esenzione da una tassa comunale o provinciale sulla forza motrice, limitata ai motori utilizzati nelle

stazioni a gas naturale e ad esclusione dei motori utilizzati per altri gas industriali, può essere considerata aiu-to di Stato ai sensi dell’art. 87 CE. Spetta ai giudici del rinvio valutare se sono presenti le condizioni per l’esi-stenza di un aiuto di Stato.

2) L’eventuale illegittimità, alla luce del diritto comunitario in materia di aiuti di Stato, di un’esenzione fiscalecome quella in questione nella causa principale non è idonea ad incidere sulla legittimità della tassa stessa, dimodo che le imprese debitrici di tale tassa non possono eccepire, dinanzi ai giudici nazionali, l’illegittimità del-l’esenzione concessa per sottrarsi al pagamento di detta tassa o per ottenerne il rimborso.

3) Una tassa sulla forza motrice, che grava in particolare sui motori utilizzati per il trasporto di gas indu-striale realizzato attraverso condotte in altissima pressione, non costituisce tassa di effetto equivalente ai sen-si dell’art. 25 CE.

4) Una tassa sulla forza motrice, che grava in particolare sui motori utilizzati per il trasporto di gas indu-striale realizzato attraverso condotte in altissima pressione, non costituisce un’imposizione interna discrimi-natoria ai sensi dell’art. 90 CE.

Sentenza 466/04 del 15 giugno 2006 – [Sicurezza sociale – Spese ospedaliere sostenute in un altro Stato mem-bro – Spese di trasferimento, di soggiorno e di vitto – Art. 22 del Regolamento (CEE) n. 1408/71]

Un cittadino spagnolo affetto da grave infermità, risultando insufficienti le terapie cui era stato sottoposto inpatria, chiedeva ed otteneva l’autorizzazione a fruire di assistenza in ospedali francesi.

Il trattamento terapeutico si suddivideva in più fasi, che obbligavano il paziente a periodici viaggi in terrafrancese. Date le precarie condizioni del malato, ad ogni viaggio era necessaria la presenza di un accompagnato-re, il che implicava ingenti spese di trasporto, di vitto e di soggiorno. L’ente previdenziale spagnolo rifiutava peròil rimborso di queste spese, osservando che solo i trattamenti clinici erano coperti dal rimborso assicurativo. Lacontroversia veniva portata in giudizio ed il giudice consultava la Corte in via pregiudiziale.

La Corte dichiarava che gli artt. 22, nn. 1, lett. c), e 2, nonché 36 del Regolamento n. 1408/71, modificato dalRegolamento n. 118/96 debbono esser interpretati nel senso che non conferiscono all’affiliato, autorizzatodall’istituzione competente a recarsi in un altro Stato membro per ivi ricevere cure ospedaliere appro-priate al suo stato di salute, un diritto ad ottenere dalla detta istituzione il rimborso delle spese di trasferi-mento, di soggiorno e di vitto sostenute nel territorio di tale Stato membro da lui stesso e dalla persona che loha accompagnato, fatta eccezione per le spese di soggiorno e di vitto dell’affiliato medesimo nell’istituto ospe-daliero.

Una normativa nazionale che preveda il diritto a prestazioni ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 22, n.1 del Regolamento n. 1408/71, modificato dal Regolamento n. 118/97, nel caso contemplato alla lett. a) del det-to paragrafo 1, ma non in quello contemplato alla lett. c) del medesimo paragrafo, non pregiudica l’efficacia di-retta di tale disposizione e non viola il principio di leale cooperazione sancito dall’art. 10 CE.

Sentenza 494/04 del 15 giugno 2006 – [Disposizioni tributarie – Armonizzazione delle legislazioni – Direttiva92/12/CEE – Accise – Bolli fiscali – Sesta Direttiva IVA – Artt. 2 e 27 – Scomparsa di bolli di accisa]

Un’impresa lussemburghese che commercia tabacchi all’ingrosso ordinava in Olanda una serie di bolli di ac-cisa all’istituto incaricato della stampa di valori bollati. Il ritiro e il trasporto a Lussemburgo del pacco di bolliveniva affidato ad un’impresa di sorveglianza privata, specializzata nel trasporto di valori ed altre merci prezio-se. Il pacco veniva regolarmente preso in consegna dal corriere portavalori, che il mattino successivo ne denun-ciava la scomparsa. Ogni ricerca risultava vana.

Il fisco olandese fatturava l’emissione dei bolli correttamente consegnati. Il pagamento veniva effettuato, mal’impresa lussemburghese chiedeva il rimborso di quanto pagato, non essendo in grado, senza sua colpa, di uti-lizzare i bolli e ricuperare l’importo degli stessi al momento della vendita del tabacco ai consumatori. Essa chie-deva al giudice olandese di dichiarare l’estinzione del suo debito e questi chiedeva lumi alla Corte onde applica-re correttamente nella fattispecie la sesta Direttiva IVA.

Il dispositivo della sentenza della Corte di giustizia recita:1) Né la Direttiva 92/12/CEE, né il principio di proporzionalità ostano a che gli Stati membri adottino una

normativa che non preveda la restituzione dell’importo dei diritti d’accisa versati, qualora i bolli fiscali sianoscomparsi prima di essere stati apposti sui prodotti del tabacco, se tale scomparsa non è imputabile a una cau-sa di forza maggiore o a un caso fortuito e se non è accertato che i bolli siano stati distrutti o resi definitivamen-te inutilizzabili, facendo così gravare la responsabilità finanziaria della perdita di bolli fiscali sul loro acquirente.

2) L’art. 27, n. 5, della Direttiva 77/338/CEE dev’essere interpretato nel senso che la violazione del terminedi notifica non costituisce un vizio procedurale sostanziale tale da comportare l’inapplicabilità della misuraderogatoria tardivamente notificata.

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Giurisprudenza comunitaria

3) L’art. 27, nn. 1 e 5, della Direttiva 77/388/CEE dev’essere interpretato nel senso che un regime derogato-rio di riscossione dell’IVA per mezzo di bolli fiscali, quale quello stabilito dall’art. 28 della legge olandese in ma-teria di imposta sul fatturato è compatibile con i criteri previsti da queste disposizioni della Direttiva e non va ol-tre quanto necessario alla semplificazione della riscossione dell’imposta.

4) La mancanza di un obbligo di rimborso degli importi versati per l’acquisto di bolli d’accisa corrisponden-ti all’imposta sul valore aggiunto, qualora detti bolli siano scomparsi prima di essere stati apposti sui prodotti deltabacco, se tale scomparsa non è imputabile a una causa di forza maggiore o a un caso fortuito e se non è ac-certato che i bolli siano stati distrutti o resi definitivamente inutilizzabili, non è incompatibile con la sesta Di-rettiva ed in particolare con il suo art. 27, nn. 1 e 5.

Sentenza 28/05 del 15 giugno 2006 – [Agricoltura – Lotta contro l’afta epizootica – Direttiva 85/511/CEE –Direttiva 90/425/CEE – Esami per rilevare l’afta epizootica effettuati da un laboratorio non menzionato nell’allegatodella Direttiva 85/511/CEE – Valutazione discrezionale delle autorità nazionali – Principio di proporzionalità – Principiodel rispetto dei diritti della difesa]

L’ente olandese incaricato di combattere l’afta epizootica disponeva controlli – che hanno dato esito positivo– in una determinata azienda agricola, i cui capi di bestiame sono stati abbattuti. L’istituto che aveva effettuato leanalisi indicava inoltre che vi era il sospetto che l’infezione si fosse estesa anche al bestiame dell’azienda confi-nante e su questa comunicazione l’ente veterinario di sorveglianza disponeva l’abbattimento anche del bestiamedella seconda azienda. L’agricoltore interessato impugnava il provvedimento in giudizio, osservando che era ille-gittimo disporre l’abbattimento in base ad un sospetto di infezione fondato sull’analisi effettuata sui capi del vi-cino e per di più l’ente che aveva proceduto alle analisi non era elencato nella lista allegata alle direttive comu-nitarie che disciplinano la materia. Prima di pronunciarsi sul merito della causa il giudice chiedeva alla Corte diinterpretare le norme comunitarie litigiose.

La Corte dichiarava che la Direttiva 85/511, poi modificata dalla Direttiva 90/423 deve essere interpretata nelsenso che le modifiche delle coordinate di un laboratorio menzionato nell’allegato B della medesima, che nonerano state iscritte secondo la procedura prevista dall’art. 17 di tale Direttiva, comportano che tale laboratorioperde lo statuto previsto nel detto allegato solo quando tali modifiche possono avere ripercussioni sulla si-curezza del laboratorio rispetto al rischio di diffusione del virus dell’afta epizootica in occasione di esamida esso effettuati e se le dette modifiche aumentano in tal modo il rischio di contagio di animali locali sensibili.Inoltre, la Direttiva 85/511 non osta a che uno Stato membro adotti le misure di lotta contro l’afta epizoo-tica previste dall’art. 10, n. 1, della Direttiva 90/425/CEE sulla base del risultato di un esame effettuato da un la-boratorio che non è menzionato nell’allegato B della stessa Direttiva 85/511.

L’autorità competente è tenuta a dar seguito ai risultati degli esami forniti da un laboratorio che ha lo statutoiscritto nell’allegato B della Direttiva 85/511 e ad adottare, in linea di principio, le misure previste da tale Diret-tiva o qualsiasi altra misura che si impone, tenuto conto della necessità di lottare rapidamente ed efficacementecontro l’afta epizootica. L’autorità competente è tenuta a prendere in considerazione anche il risultato fornito daun laboratorio che non ha tale statuto per adottare, se del caso, le opportune misure previste dal diritto comu-nitario. Tuttavia, poiché tale laboratorio non fornisce più necessariamente le stesse garanzie di affidabilità di unlaboratorio che ha lo statuto di laboratorio iscritto nel summenzionato allegato B, l’autorità competente, primadi adottare le opportune misure, deve accertarsi dell’affidabilità di detto risultato. In ogni caso, tale autorità puòadottare le misure di lotta contro l’afta epizootica solo nel rispetto dei principi generali del diritto comunitario,tra i quali in particolare il principio di proporzionalità e i diritti fondamentali.

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Novità legislative

Aggiornamento alla G.U. n. 145 del 24 giugno 2006

D.P.C.M. 3 aprile 2006, n. 200 – Regolamento recante modalità di coordinamento, attuazione ed ac-cesso al Registro informatico degli adempimenti amministrativi (G.U. 31 maggio 2006, n. 125).

D. Legisl. 4 aprile 2006, n. 191 – Attuazione della Direttiva 2003/99/CE sulle misure di sorveglianzadelle zoonosi e degli agenti zoonotici (G.U. 24 maggio 2006, n. 119).

D. Legisl. 5 aprile 2006, n. 190 – Disciplina sanzionatoria per le violazioni del Regolamento (CE) n.178/2002 che stabilisce i princìpi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autoritàeuropea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel settore della sicurezza alimentare (G.U. 23 mag-gio 2006, n. 118). Si riporta di seguito il testo integrale del provvedimento:

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Art. 1. Campo di applicazione. 1. Il presente decreto recala disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposi-zioni di cui agli articoli 18, 19 e 20 del regolamento (CE)n. 178/2002 che stabilisce i principi ed i requisiti generalidella legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europeaper la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campodella sicurezza alimentare.

Art. 2. Violazione degli obblighi derivanti dall’articolo 18 delregolamento (CE) n. 178/2002 in materia di rintracciabilità’.1. Salvo che il fatto costituisca reato, gli operatori del setto-re alimentare e dei mangimi che non adempiono agli ob-blighi di cui all’articolo 18 del regolamento (CE) n.178/2002 sono soggetti al pagamento di una sanzioneamministrativa pecuniaria da settecentocinquanta euro aquattromilacinquecento euro.

Art. 3. Violazione degli obblighi derivanti dagli articoli 19 e20 del regolamento (CE) n. 178/2002 relativi all’avvio delleprocedure per il ritiro dal mercato. 1. Salvo che il fatto costi-tuisca reato, gli operatori del settore alimentare e dei man-gimi, i quali, essendo a conoscenza che un alimento o unmangime o un animale da loro importato, prodotto, tra-sformato, lavorato o distribuito, non più nella loro dispo-nibilità, non è conforme ai requisiti di sicurezza, non atti-vano le procedure di ritiro degli stessi, sono soggetti al pa-gamento di una sanzione amministrativa pecuniaria datremila euro a diciottomila euro.

2. Gli operatori del settore alimentare e dei mangimi iquali, avendo attivato la procedura di ritiro di cui al com-ma 1 non ne informano contestualmente l’autorità compe-tente, sono soggetti al pagamento di una sanzione ammi-nistrativa pecuniaria da cinquecento euro a tremila euro.

3. Salvo che il fatto costituisca reato, gli operatori del setto-re alimentare e dei mangimi i quali non forniscono alle auto-rità competenti le notizie o la collaborazione dalle stesse le-gittimamente richieste, al fine di evitare o ridurre i rischi lega-ti ad un alimento, ad un mangime o ad un animale da essifornito, sono soggetti al pagamento di una sanzione ammini-strativa pecuniaria da duemila euro a dodicimila euro.

Art. 4. Violazione degli obblighi nei confronti dei consumato-

ri e degli utilizzatori di cui agli articoli 19 e 20 del regolamen-to (CE) n. 178/2002. 1. Salvo che il fatto costituisca reato,gli operatori del settore alimentare e dei mangimi, i quali,avendo importato, prodotto, trasformato o distribuito unprodotto non conforme ai requisiti di sicurezza poi perve-nuto al consumatore od all’utilizzatore, non informanoquesti ultimi circa i motivi dell’attivazione della proceduraper il ritiro dal mercato, sono soggetti al pagamento di unasanzione amministrativa pecuniaria da duemila euro a do-dicimila euro.

Art. 5. Violazione degli obblighi nei confronti dell’operatoreche non incidono sul confezionamento, sull’etichettatura, sullasicurezza o sull’integrità dell’alimento ai sensi degli articoli 19 e20 del regolamento (CE) n. 178/2002. 1. Salvo che il fattocostituisca reato, gli operatori del settore alimentare e deimangimi svolgenti attività di vendita al dettaglio o distri-buzione di alimenti o mangimi, che non incidono sulla si-curezza o integrità dell’alimento o del mangime, i qualinon avviano procedure, nei limiti della propria attività, peril ritiro dal mercato di prodotti di cui siano a conoscenzache non sono conformi ai requisiti di sicurezza, sono sog-getti al pagamento di una sanzione amministrativa pecu-niaria da cinquecento euro a tremila euro.

2. La sanzione di cui al comma 1 si applica anche nelleipotesi in cui gli stessi operatori non attuino, per quanto dicompetenza, gli interventi predisposti dai responsabili del-la produzione, della trasformazione e della lavorazione edalle autorità competenti, ai fini del ritiro o richiamo deglialimenti o mangimi.

Art. 6. Violazione degli obblighi specifici a carico degli opera-tori del settore dei mangimi di cui all’articolo 20 del regolamen-to (CE) n. 178/2002. 1. Fatte salve le eventuali diverse di-sposizioni impartite dall’autorità competente, gli operatoridel settore dei mangimi i quali, dopo il ritiro dal mercatodi mangime non conforme ai requisiti di sicurezza, nonprovvedono alla distruzione della partita, del lotto o dellaconsegna di tale mangime, sono soggetti al pagamento diuna sanzione amministrativa pecuniaria da cinquecentoeuro a tremila euro.

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Novità legislative

Art. 7. Disposizioni finali. 1. Nel caso di reiterazione delle vio-lazioni previste dal presente decreto è disposta, in aggiunta al-la sanzione amministrativa pecuniaria, la sospensione delprovvedimento che consente lo svolgimento dell’attività cheha dato causa all’illecito per un periodo di giorni lavorativi daun minimo di dieci ad un massimo di venti.

2. Per quanto non previsto dal presente decreto, restano fer-me le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, esuccessive modificazioni, in quanto compatibili.

3. Fatte salve le disposizioni previste dagli articoli 28, 29 e30 della legge 10 febbraio 1992, n. 164, dall’articolo 1, commi8, 9, 10, 10-bis, 10-ter, 10-quater, 10-quinquies e 10-sexies deldecreto legislativo 10 agosto 2000, n. 260, dagli articoli 34,

35, 36, 38 e 39 della legge 20 febbraio 2006, n. 82, e dagli ar-ticoli 1, comma 1, lettera a), e 3 del decreto legislativo 19 no-vembre 2004, n. 297, al settore vitivinicolo e al settore relativoalla protezione delle indicazioni geografiche e delle denomina-zioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari si applicano ledisposizioni dell’articolo 2.

4. Le regioni e province autonome provvedono nell’ambitodelle proprie competenze all’accertamento delle violazioni am-ministrative e alla irrogazione delle relative sanzioni.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inseri-to nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblicaitaliana. è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di far-lo osservare.

D. Legisl. 10 aprile 2006, n. 195 – Attuazione della Direttiva 2003/10/CE relativa all’esposizione deilavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (rumore) (G.U. 30 maggio 2006, n. 124).

D. Legisl. 11 aprile 2006, n. 198 – Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’art. 6della l. 28 novembre 2005, n. 246 (Suppl. ordinario n. 133 alla G.U. del 31 maggio 2006, n. 125). Il provvedi-mento nel raccogliere le vigenti disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna, si articola in quat-tro Libri. Il Libro I, contenente disposizioni per la promozione delle pari opportunità, è suddiviso in due Titoli:il Titolo I (art. 1) detta disposizioni generali; il Titolo II, dedicato all’organizzazione per la promozione delle pariopportunità, si articola a sua volta in cinque Capi (il Capo I sulle politiche di pari opportunità: art. 2; il Capo IIIsulla Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna: artt. 3-7; il Capo III sull’istituzione di un Comita-to nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori elavoratrici: artt. 8-11; il Capo IV sulla figura del Consigliere o dei Consiglieri di parità: artt. 12-20; il Capo V sulComitato per l’imprenditorìa femminile: artt. 21-22). Il Libro II sulle pari opportunità tra uomo e donna nei rap-porti etico-sociali è suddiviso in due Titoli: il Titolo I che riguarda i rapporti tra i coniugi (art. 23) ed il Titolo IIche reca misure di contrasto alla violenza nelle relazioni familiari. Il Libro III sulle pari opportunità tra uomo edonna nei rapporti economici si suddivide in due Titoli. Il Titolo I, dedicato alle pari opportunità nel lavoro, siarticola a sua volta in cinque Capi: il Capo I detta le nozioni di discriminazione (artt. 25-26); il Capo II introdu-ce i divieti di discriminazione (artt. 27-35): il Capo III predispone la tutela giudiziaria (artt. 36-41); il Capo IV in-dividua gli interventi di promozione delle pari opportunità (artt. 42-50) ed il Capo V gli strumenti di tutela e so-stegno della maternità e paternità; il Titolo II, sulle pari opportunità nell’esercizio dell’attività d’impresa si com-pone di un solo Capo dedicato alle azioni positive per l’imprenditoria femminile (artt. 52-55). Infine, il Libro IV,sulle pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti civili e politici, dispone al Titolo I, Capo I (artt. 56-58) re-gole in materia di elezione dei membri del Parlamento europeo.

D. Legisl. 24 aprile 2006, n. 219 – Attuazione della Direttiva 2001/83/CE (e successive direttive dimodifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della Diret-tiva 2003/94/CE (Suppl. ordinario n. 153 alla G.U. del 21 giugno 2006, n. 142). Il presente decreto si articola intredici Titoli. I primi due Titoli contengono rispettivamente le definizioni (art. 1) e i limiti del campo di applica-zione del provvedimento (artt. 2-5), mentre il Titolo III, sull’immissione in commercio dei medicinali, si suddi-vide in cinque Capi: il Capo I disciplina l’autorizzazione all’immissione in commercio (artt. 6-15); il Capo II edil Capo III dettano rispettivamente norme speciali applicabili ai medicinali omeopatici (artt. 16-20) e disposizio-ni speciali relative a quelli di origine vegetale tradizionali (artt. 21-28); il Capo IV regola la procedura per il rila-scio dell’autorizzazione istruttoria (artt. 29-40) ed il Capo V disciplina quella di mutuo riconoscimento e la pro-cedura decentrata (artt. 41-49). Il Titolo IV, sulla produzione ed importazione, di articola in due Capi: il Capo Idetta le modalità di autorizzazione alla produzione ed all’importazione (artt. 50-57) ed il Capo II individua le li-nee guida sulle norme di buona fabbricazione (artt. 58-72). Il Titolo V precisa i criteri da seguire per la predi-sposizione dell’etichettatura e del foglio illustrativo (artt. 73-86); il Titolo VI contiene la classificazione dei me-dicinali ai fini della fornitura (artt. 87-98); il Titolo VII disciplina la distribuzione all’ingrosso dei medicinali (artt.99-112) ed il Titolo VIII detta norme in materia di pubblicità (artt. 113-128). Il Titolo IX è dedicato alla farma-

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Novità legislative

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covigilanza (artt. 129-134); il Titolo X racchiude disposizioni speciali sui medicinali derivati dal sangue o dalplasma umani e sui medicinali immunologici (artt. 135-140); il Titolo XI comprende norme in materia di vigi-lanza e sanzioni (artt. 141-150). Infine, il Titolo XII detta ulteriori disposizioni (artt. 151-157) ed il Titolo XIII di-sposizioni finali (artt. 158-160).

D. Legisl. 2 maggio 2006, n. 213 – Attuazione della Direttiva 2003/42/CE relativa alla segnalazione ditaluni eventi nel settore dell’aviazione civile (G.U. 15 giugno 2006, n. 137).

Legge 1° giugno 2006, n. 201 – Conversione in legge del d.l. 3 aprile 2006, n. 135, recante disposizioni ur-genti per la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza (G.U. 1° giugno 2006, n. 126).

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Giovanni Bonilini, Degli esecutori testamentari. Artt.700-712, in Comm. Schlesinger, fondato da P. Schlesin-ger e diretto da F.D. Busnelli, Giuffrè, Milano 2005,p. XVII-647.

Da uno degli autori che negli ultimi anni più si sonooccupati, con successo, del diritto successorio arrivauna nuovo importante lavoro, destinato a divenire unfondamentale punto di riferimento per chiunque siavvicini allo studio e all’approfondimento sia dellospecifico argomento oggetto del volume, sia più in ge-nerale della nobile ed intricata materia delle successio-ni mortis causa.

Si aggiunge così un ulteriore tassello al mosaico chesi va componendo all’interno della complessiva strut-tura del Commentario Schlesinger al codice civile: ac-canto all’altra recente uscita monografica di DelleMonache, Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587-590, Giuffrè, Milano 2005, p. XIII-300, dedicata alledisposizioni codicistiche sull’atto negoziale testamen-tario, la disciplina del secondo libro del codice è infat-ti già stata fatta oggetto delle analisi riservate ai temidella capacità a succedere e dell’indegnità (Salvestro-ni, artt. 462-466 c.c.), delle donazioni (Palazzo, artt.769-809 c.c.), oltre alla precedente fatica dello stessoa. del volume qui segnalato, ovverosia il classico I le-gati. Artt. 649-673, pubblicato nel 2001.

L’attenta selezione e la sintesi critica di quanto sinoad ora prodotto dalla scienza giuridica con riguardoalla controversa figura dell’esecutore testamentario –ed alle innumerevoli problematiche che la sua com-plessa disciplina, con le sue molteplici sfaccettature,sottopone all’attenzione dell’interprete e del pratico –non rappresentano un semplice punto d’arrivo, perquanto auspicabile e, nel caso di specie, riuscito. Nonsi andrà molto lontano dal vero pronosticando ched’ora in avanti, in ordine a tale istituto, ogni studio chepretenda di occuparsene dovrà necessariamenteaffondare le proprie radici in un terreno che questovolume ha reso specialmente fertile ed accessibile.

Tra gli intenti della trattazione, infatti, v’è pure quellodi adoperarsi in un’opera di ricostruzione di una disci-plina legislativa evidentemente « parziale, o quanto me-no, incompleta ». Circostanza, questa, tradita in partico-lare dalla presa di coscienza che esistono ulteriori e di-verse motivazioni di fondo dietro la scelta del de cuius diprocedere alla designazione d’un esecutore delle sue ul-time volontà: ulteriori e diverse rispetto a quella, coltaed avuta a mente dalle disposizioni del codice, di « assi-

curare l’attuazione » delle ultime volontà eventualmenteanche « contro eredi poco disposti a prestarvisi » (citan-do le autorevoli parole del Traité firmato da Baudry La-cantinerie e Colin, che aprono il volume). Nella ricer-ca e nell’approfondimento di queste motivazioni, l’a.perviene dunque alla conclusione che la designazionenon necessariamente « denota sfiducia verso l’erede »,ben potendo essa ritenersi giustificata – ad esempio –in ragione della complessità delle disposizioni testa-mentarie (che potrebbero richiedere « sicure, non episo-diche competenze professionali », talché sovente « la de-signazione è spesso disposta nei confronti di notai o av-vocati, a ragione della ritenuta, specifica preparazioneprofessionale »), oppure in ragione della « particolarenatura del patrimonio ereditario », della molteplicità deichiamati alla successione, della « necessità di espletarel’attività connessa al riconoscimento di una costituendafondazione » o della natura di persona giuridica rivesti-ta dall’erede istituito: in generale, in tutti quei casi in cuiil testatore riponga nei confronti di un determinato sog-getto la « sua fiducia, sia per motivi professionali, siamorali » onde « conseguire l’esatto adempimento delleproprie, ultime volontà ».

Particolarmente stimolanti ed attuali, poi, i pur con-tenuti cenni che – nel quadro della delimitazione del-l’istituto rispetto alle molte fattispecie contigue (man-dato, mandato post mortem, rappresentanza, quasi-contratto) – l’a. dedica all’individuazione ed alla defi-nizione dei confini che lo separano da una figura par-ticolarmente controversa e discussa (ormai anche) delnostro ordinamento: il trust, che ad avviso degli spe-cialisti più consapevoli sarebbe sotto diversi profili ad-dirittura « indistinguibile » da alcune particolari ipotesidi esecuzione testamentaria (p. 52 ss.).

La disciplina che il codice civile dedica alla figuradell’esecutore testamentario costituisce peraltro unasemplice traccia, un punto di osservazione privilegiatodal quale l’a. riesce a gettare uno sguardo verso l’inte-ro sistema successorio, spaziando dalle problematichefondamentali della volontà testamentaria, della sua ef-ficacia e della sua esecuzione, alle complesse questio-ni poste dalle vicende conseguenti all’apertura dellasuccessione. Su questa china si giunge poi sino a ri-spondere ai quesiti posti dalla generale figura dell’« uf-ficio di diritto privato » (le sue funzioni, i suoi poteri)cui l’a. appunto riconduce, con dovizia di argomenta-zioni e sulla scorta di una solida ricostruzione storica,anche l’istituto dell’esecutore testamentario, negando-gli viceversa carattere pubblicistico (p. 77-88).

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Informazioni bibliografiche

a cura di Leopoldo Coen, Marcello Farneti, Roberto Guerrini

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Sulla legittimità costituzionale della disciplinadel cognome dei figli legittimi: una nuova(seppur conservatrice) pronuncia della Cortecostituzionale

di Laura Villani

Introduzione

Con la sentenza del 16 febbraio 2006, n. 61, la Cor-te costituzionale si pronuncia, ancora una volta, inmerito all’affermata illegittimità, rispetto agli artt. 2, 3e 29, comma 2, Cost., degli artt. 143-bis, 236, 237,comma 2, 262 e 299, comma 3, c.c. e degli artt. 33 e34 del d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 (« Regolamen-to per la revisione e semplificazione dell’ordinamentodi stato civile »), nella parte in cui prevedono che il fi-glio legittimo acquisti in via automatica il cognome delpadre anche in presenza di diverso accordo dei coniu-gi legittimamente manifestato.

La questione

La questione, che torna ancora una volta a ripro-porre all’attenzione della Consulta nuovi dubbi circa

la legittimità della regola dell’attribuzione del cogno-me paterno ai figli legittimi, viene sollevata dalla sez. Idella Corte di cassazione, la quale, in apertura allapropria ordinanza di rimessione, riconosce come i se-gnali a favore della persistente validità della normanon espressa1, ma « saldamente radicata nella co-scienza della collettività », che dispone l’automaticaacquisizione da parte del figlio legittimo del solo co-gnome del padre, siano in realtà molteplici. Il più rile-vante è da riconoscersi, secondo la S.C., proprio nellacircostanza che il legislatore del 1975, in occasionedella modifica dell’art. 144 c.c. e dell’introduzione del-l’art. 143-bis2, ha (coscientemente?) lasciato immutatol’intero impianto di norme che nella regola del patro-nimico trovano il proprio presupposto: ci si riferisceall’art 237 c.c., che considera elemento costitutivo delpossesso di stato civile l’aver sempre portato il cogno-me del padre che si pretende di avere; all’art. 262 c.c.,che sancisce la regola generale della prevalenza del co-gnome del padre in caso di riconoscimento del figlionaturale; all’art. 299 c.c., che impone la medesima re-gola in caso di adozione di maggiorenne; ma anche alcitato d.p.r. 3 novembre 2000, n. 3963, nella parte incui riprende l’art. 72 dell’ordinamento dello stato civi-le (r.d. del 19 luglio 1939, n. 1238), che vieta l’attribu-zione al figlio del prenome del padre per evitare casidi omonimia.

Ciò premesso, la S.C. passa senz’altro all’esame deisingoli profili di illegittimità della norma censurata.

Nell’ordinanza si lamenta, in primo luogo, un con-trasto con l’art. 2 Cost., norma “aperta” e orientata arecepire tutte le nuove istanze di tutela della persona;tra queste istanze, si osserva, non può certo non figu-rare il diritto al nome come espressione dell’identitàpersonale del soggetto nelle formazioni sociali, primafra tutte la famiglia. Essa violerebbe, a giudizio del giu-dice a quo, anche il principio di uguaglianza e pari di-gnità fra i coniugi, espresso in via generale nell’art. 3Cost. e riproposto, rispettivamente su base orizzonta-le e nei rapporti con i figli, dagli artt. 143 e 147 c.c. In-fine, la regola del patronimico non si giustifica nem-meno, a detta della Corte rimettente, alla luce del prin-cipio dell’unità familiare di cui all’art. 29 Cost.: taleprincipio potrebbe infatti condurre ad un sacrificio deldiritto all’uguaglianza fra i coniugi soltanto laddove ciòfosse giustificato da espresse e specifiche previsioninormative, che, in ogni caso, mai potrebbero essereancorate ad un criterio quale il sesso del coniuge4.

Alle considerazioni della S.C. si aggiungono quelleformulate dalla difesa delle parti del giudizio a quo, se-

1 A favore della qualificazione della regola del patronimicocome consuetudine praeter legem, vedi De Scrilli, Il cognomedei figli, in Tratt. Zatti, II, Milano 2002, p. 472; nell’ordinanzadi rimessione, invece, la S.C. nega il carattere consuetudina-rio della regola del patronimico, in ciò discostandosi dallaopinione espressa dalla Corte d’appello di Milano nel prece-dente grado di giudizio, in quanto, si afferma, una siffattaconsuetudine sarebbe da ritenersi contra legem e, pertanto,non suscettibile di produrre diritto.

2 Per un commento alla regola sancita dall’art. 143-bis intema di nome della famiglia, vedi i contributi di Finocchia-ro, Il matrimonio, II, sub art. 143-bis, in Comm. Scialoja-Branca,Bologna-Roma 1993, p. 271, e Paradiso, I rapporti personalitra i coniugi, sub art. 143-bis, in Comm. Schlesinger, Milano1990, p. 114 ss.

3 Secondo De Sanctis Ricciardone, voce Nome civile, inEnc. giur., XXI, Roma 1989, p. 5, la regola del patronimico,che nel nostro ordinamento non è contenuta in alcuna previ-sione espressa, sarebbe evincibile da una lettura sistematicadelle disposizioni in materia di filiazione legittima.

4 La dottrina prevalente ritiene infatti che il principio del-l’unità familiare non costituisca un’istanza sufficiente a ren-dere ragionevoli discriminazioni al principio di uguaglianza e

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Notiziario e varie

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genza di una riscrittura (o, a dire il vero, sarebbe piùgiusto dire una scrittura ex nihilo) della regola che deter-mina l’assunzione automatica del cognome paterno daparte del figlio legittimo.

Interessanti spunti sono a tal proposito offerti dalladisciplina vigente negli altri ordinamenti europei.

Piuttosto nota è la regola adottata in Spagna e stabili-ta dall’art. 109 Codigo civil: il figlio legittimo acquista allanascita entrambi i cognomi, prima quello del padre, poiquello della madre; tuttavia, ad essere trasmesso alla ge-nerazione successiva è soltanto il primo. Una soluzione,quindi, che offre una tutela più apparente che reale allaparità fra i coniugi.

In Germania, una legge del 19937 – emanata percolmare il vuoto lasciato dalla pronuncia d’illegittimitàcostituzionale del § 1355, comma 2, BGB – ha nuova-mente disciplinato la materia. Ora, infatti, nel caso in cuii coniugi decidano di mantenere i rispettivi cognomi incostanza di matrimonio, al figlio legittimo dovrà co-munque essere assegnato un solo cognome, che saràquello materno o paterno indifferentemente, in base aduna decisione comune dei genitori. In caso di disaccor-do, sarà il giudice a decidere quale cognome porterà ilfiglio. È previsto, al fine di non incrinare ulteriormenteil principio dell’unità familiare, che tutti i figli successiviportino il cognome attribuito al primogenito.

Anche in Francia, una legge del 1993 ha novellatol’art. 61 Code Civil, lasciando tuttavia invariata la regoladel patronimico. Da segnalare è soltanto la facoltà, attri-buita ai genitori espressamente dal medesimo articolo,di aggiungere al cognome paterno quello materno.

Nessuna delle scelte esposte appare dunque con-vincente. L’unico elemento certo – come emerge inmodo netto anche dalla pronuncia esaminata, e comeconfermato dalla più recente Cass. civ., sez. I, n.16093 del 2006 – è che la regola del patronimico varimeditata, in quanto antiquata e del tutto insufficien-te a far fronte agli assetti familiari che caratterizzano lasocietà moderna.

condo cui al principio dell’unità familiare sancito dal-l’art. 29 Cost. sarebbe sottesa un’esigenza di « unita-rietà della stirpe attraverso le generazioni », dovendoritenersi piuttosto che proprio il rafforzamento dellastessa parità ed uguaglianza fra i coniugi possa garan-tirne la piena e coerente applicazione.

La pronuncia della Corte costituzionale

La Corte dichiara la questione proposta inammissi-bile.

Prima di illustrare le ragioni della propria decisione,la Corte propone una panoramica delle principali que-stioni che, negli anni precedenti, l’avevano portata apronunciarsi nello stesso senso5.

Le argomentazioni addotte dalla Corte sono molte-plici. In primo luogo, viene ribadito che il contenuto deldiritto al nome e all’identità personale non va identifica-to con il diritto alla scelta del nome, quanto piuttostocon quello all’attribuzione del nome di legge. Inoltre, laCorte osserva come non si possa non tener conto delgrave pregiudizio che l’unità familiare subirebbe se ilcognome dei figli nati all’interno del matrimonio nonfosse prestabilito già alla loro nascita. Non da ultimo, laCorte ribadisce l’opportunità che sia il legislatore a det-tare, eventualmente, nuove regole sull’attribuzione delnome; regole che appaiano maggiormente rispettosedel principio di parità e uguaglianza fra i coniugi.

La Corte ammette che, rispetto alle precedenti pro-nunce passate in rassegna, il contesto sociale si è ulte-riormente evoluto: da un lato, si è assistito al definiti-vo tramonto della potestà maritale e della concezionepatriarcale della famiglia, che non paiono più attagliar-si agli attuali assetti familiari; dall’altro, si registra unimpegno sempre maggiore da parte della comunità in-ternazionale a favore dell’eliminazione di tutte le for-me di discriminazione che colpiscano la donna (fratutte, vedi la Convenzione di New York del 18 dicem-bre 1979).

Tuttavia, anche a fronte di ciò, la Consulta è obbligata,ancora una volta, a palesare la propria impotenza. Infatti,nonostante il petitum sia circoscritto alla richiesta di elimi-nare l’automatismo dell’attribuzione del cognome pater-no solo in presenza di un diversa volontà dei genitori, lospettro delle soluzioni potenzialmente suscettibili di esse-re adottate per colmare il vuoto normativo che si verreb-be a creare resterebbe comunque vastissimo ed eteroge-neo, come dimostrato anche dai molti disegni di leggepresentati sul punto nel corso della XIV legislatura6.

Sulla base di tali ragioni, entrambe le istanze prospet-tate nell’ordinanza di rimessione – una pronuncia mani-polativa o, in via subordinata, l’annullamento delle nor-me censurate con deferimento al legislatore del compitodi colmare il vuoto normativo che ne derivi – non pos-sono essere accolte.

Osservazioni conclusive e rilievi comparatistici

La sentenza esaminata lascia quindi invariata l’esi-

della parità fra i coniugi. Fra tutti, vedi Prosperi, Eguaglianzamorale e giuridica dei coniugi e la trasmissione del cognome ai figli,in Rass. d. civ. 1996, p. 844 ss. Sul punto, vedi anche Paradiso,sub art. 143-bis, in Comm. Schlesinger, Milano 1990, p. 117 ss.

5 C. cost., ord. 11 febbraio 1988, n. 186, in Rass. d. civ.1991, p. 190 ss.; C. cost., ord. 19 maggio 1988, n. 586, in D.fam. 1988, I, p. 1576 ss.

6 Fra gli altri, la Corte costituzionale, nella propria pronun-cia, cita il n. 1739-S, a favore dell’apposizione del doppio co-gnome, riportando per primo quello paterno; il 1454-S, nelsenso della prevalenza di ogni accordo intervenuto fra i geni-tori e il 3133-S, che – stante l’assunzione del doppio cogno-me da parte del figlio – con una soluzione a dir poco fanta-siosa, rimette la questione circa l’ordine di detti cognomi allavolontà dei coniugi da esprimersi durante la celebrazione delmatrimonio.

7 Per i commenti alla legge, vedi Jayme, Cognome e diritto difamiglia nella recente riforma tedesca, in R. d. civ. 1995, II, p. 78,e Massari, Il cognome della famiglia nella nuova legge tedesca, ivi1994, II, p. 557.

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Notiziario e varie

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La chiusura della XIV legislatura: ultimi attilegislativi di interesse lavoristico

di Laura Calafà

Negli ultimi due mesi della XV legislatura – marzoed aprile 2006 – risultano approvati e pubblicati inG.U. solo due atti di interesse lavoristico. Ci si riferi-sce alle regole relative alla Tutela della maternità [edella paternità] dei dirigenti e alla disciplina relativa al-la Tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime didiscriminazioni (rispettivamente l. 24 febbraio 2006,n. 104, in G.U. n. 64 del 17 marzo 2006, e l. 1° mar-zo 2006, n. 67, in G.U. n. 54 del 6 marzo 2006).

L’art. 1 della legge n. 104 del 2006 estende la tute-la previdenziale della maternità, così come regolatadal d. legisl. n. 151 del 2001, alle lavoratrici e ai lavo-ratori appartenenti alla categoria dei dirigenti cheprestano la loro opera alle dipendenze di datori di la-voro privati « in deroga all’articolo 6, secondo com-ma, della l. 11 gennaio 1943, n. 138 ». Il testo vigen-te dell’art. 6 richiamato (non abrogato, ma solo dero-gato dall’art. 1 della legge n. 104 del 2006) disponeche « l’indennità non è dovuta quando il trattamentoeconomico della malattia è corrisposto per legge oper contratto collettivo dal datore di lavoro o da altrienti in misura pari o superiore a quella fissata daicontratti collettivi ai sensi del presente articolo. Leprestazioni corrisposte da terzi in misura inferiore aquella della indennità saranno integrate dall’ente sinoa concorrenza ». In estrema sintesi, la legge del 1943prevedeva che l’onere del pagamento delle assenzeper maternità fosse a carico delle sole aziende, com-portando problemi per le manager nell’accesso al li-vello dirigenziale. La modifica è gia stata recepita dalccnl dei dirigenti d’industria, mentre non risultanoemanate istruzioni operative da parte dell’Inps.

Pare necessario segnalare un secondo aspetto rile-vante della disciplina. Nonostante il tenore del titolodella legge, la stessa non si limita a regolare la mater-nità delle donne dirigenti: essa non può non riguarda-re tutte le ipotesi regolate nel d. legisl. n. 151 del

Notiziario e varie

2001, e cioè maternità, paternità e cura, come confer-ma lo stesso richiamo all’art. 79 del testo unico dedi-cato alla fissazione degli oneri contributivi « derivantidalle disposizioni di cui al presente testo unico relativialle lavoratrici e ai lavoratori con rapporto di lavorosubordinato privato » (art. 79 cit.).

Per ciò che concerne la tutela giudiziaria delle per-sone con disabilità vittime di discriminazioni, la leg-ge n. 67 del 2006 integra il precedente d. legisl. 9luglio 2003, n. 216, di attuazione della Direttiva2000/78, ampliandone sostanzialmente il campo diapplicazione “oltre” l’occupazione e le condizioni dilavoro per le persone con disabilità di cui all’art. 3della legge n. 104 del 1992 (come si ricava dal ri-chiamo contenuto nell’art. 1 della legge n. 67 del2006: è persona handicappata colui che presentauna minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabi-lizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di ap-prendimento, di relazione o di integrazione lavorati-va e tale da determinare un processo di svantaggiosociale o di emarginazione).

Con tecnica di regolazione parallela (senza modi-ficare il testo delle regole appena richiamate che ri-mangono disgiunte), la legge n. 67 del 2006 ripetele nozioni di discriminazione già definite (dirette, in-dirette e molestie) e ripete altresì le regole già detta-te sulla tutela giurisdizionale (salvo piccole variazio-ni), per soffermarsi solo all’art. 4 sulla vera novitàintrodotta: l’allargamento della legittimazione ad agi-re a quelle associazioni ed enti individuati con de-creto del Ministero per le pari opportunità, di con-certo con il Ministro del lavoro, sulla base della fina-lità statutaria e della stabilità dell’organizzazione.Come specificato nei commi 2 e 3 dell’art. 4, tali en-ti ed associazioni « possono intervenire nei giudiziper danno subìto dalle persone con disabilità (…),ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa perl’annullamento di atti lesivi degli interessi delle per-sone lese » ed in caso di comportamenti discrimina-tori di carattere collettivo.

Tale tecnica normativa crea indubbi problemi dicoordinamento con la disciplina previgente.

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INDICE DELLE NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

1. INDICE ANALITICO ALFABETICO

Indici

a cura di Mirko Faccioli, Mauro Tescaro e Riccardo Villani

INDICE DELLE QUESTIONI

Acquisto di stupefacenti (reatodi) - momento consumativo - esclusione della necessità del-

la traditio 1058Appalto - risarcimento del danno per

vizi e difformità dell’opera - termine di prescrizione 1052Destinazione di prodotti petroli-

feri fiscalmente agevolati a usidiversi da quelli ammessi (rea-to di) - momento consumativo 1055

Diritto penale - confisca - di autocarri abusivamente ali-mentati 1055

- delitti commessi all’estero - dallo straniero a danno di stra-nieri 1059

Mancata effettuazione delle rite-nute previdenziali (reato di) - avvenuta corresponsione del-

la retribuzione - profili probatori 1057Misure cautelari - durata massima degli arresti

domiciliari - disposti in seguito alla viola-zione delle prescrizioni im-poste dalla misura di allonta-namento dalla casa coniugale 1060

Voce 1a sottovoce 2a sottovoce Pag.

Dir. amm.Accesso ai documenti amministrativi e

associazioni dei consumatori Pag. 1029

Dir. civ.Rappresentanza volontaria del minore 1030

Dir. lav.Condotta antisindacale 1032

Dir. pen.Estradizione 1033

Proc. civ.Sentenza civile 1034

Proc. pen.Udienza di convalida 1035Giudizio abbreviato 1035

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Obbligazioni e contratti - cessione del credito in luogodell’adempimento - cessione pro solvendo 1050

Occupazione sine titulo - tutela giurisdizionale - competenza 1062Omicidio colposo - a seguito di sinistro stradale - esclusione del nesso causale

per imprudenza della vittima 1056Procedimento civile - decreto ingiuntivo non oppo-

sto - limiti oggettivi del giudicato 1049Società di capitali - amministratore con rappre-

sentanza - conflitto di interessi 1053- opponibilità ai terzi delle

clausole statutarie limitativedel potere rappresentativo 1053

Spese sanitarie - giurisdizione - giudice amministrativo 1061Violenza negli stadi - provvedimento del questore

che vieta l’accesso negli stadi - conseguenze della omessa indicazione della facoltà dipresentare memorie 1060

Voce 1a sottovoce 2a sottovoce Pag.

IV 14 giugno 2005 29 luglio 2005 10912 Pravettoni 1056III 28 settembre 2005 24 ottobre 2005 38938 Zarrillo 1057IV 10 marzo 2005 7 dicembre 2005 721 Orlando 1058I 7 dicembre 2005 26 gennaio 2006 2955 El Hallal 1059

III 10 novembre 2005 24 febbraio 2006 1222 Vernazzari 1060VI 16 gennaio 2006 10 marzo 2006 55 Rosolen 1060

sez.un 11 aprile 2006 21 aprile 2006 14287 Calvio ed altri 1055

CASSAZIONE PENALE

Sezione Data ud./c.c. Data deposito Numero Imputato Pag.

CONSIGLIO DI STATO

Sezione Data Numero Pag.

ad. plen 2 maggio 2006 8 1061

2. INDICE CRONOLOGICO

CASSAZIONE CIVILE

Sezione Data Numero Pag.

III 29 marzo 2005 6558 1050II 22 dicembre 2005 28417 1052I 26 gennaio 2006 1525 1053

sez. un. 1° marzo 2006 4510 1049

T.A.R.

Regione Sez. Data Numero Pag.

Puglia-Bari II 13 marzo 2006 188 1062

Indice

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ABBONAMENTO PER IL 2006

Condizioni generali di abbonamento

„ L’abbonamento decorre dalla data di perfezionamento del contratto d’ac-quisto e comunque dal primo numero utile. L’abbonamento si intenderàtacitamente disdetto in assenza di richiesta di rinnovo da comunicarsi concontestuale pagamento del canone almeno 30 giorni prima della data discadenza.

„ I fascicoli non pervenuti all’abbonato devono essere reclamati entro e nonoltre un mese dal ricevimento del fascicolo successivo. Decorso tale termi-ne saranno spediti contro rimessa dell’importo.

Il pagamento potrà essere effettuato tramite gli incaricati della CasaEditrice sottoscrivendo l’apposita ricevuta numerata e recante il mar-chio Cedam oppure con un versamento intestato a Cedam Spa – ViaJappelli 5/6 – 35121 Padova – utilizzando le seguenti possibilità:– Conto corrente postale 205351– Bonifico Banca Intesa BCI sede di Padova: CIN P; Cod. ABI 03069;

Cod. CAB 12110; c.c. 047084250184; IBAN IT48 P030 69121100 4708 4250 184; BIC BCITITMM530

– Carta di credito Visa, Master Card, Carta Sì, American Card, Ameri-can Express, Diners Club, Eurocard specificando il numero e la da-ta di scadenza.

Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 1480 del 18 ottobre 1995Direttore Responsabile: Alessio Zaccaria

Stampa: Bertoncello Artigrafiche – Cittadella (PD)

a 12 numeri: Italia r 125,00Estero r 175,00

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ATTUALITÀ E SAGGI

Antonella Marandola, Legge Pecorella: l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimentoPaolo Moscarini, Il sindacato della Cassazione penale sulla motivazione dei provvedi-

menti giurisdizionali dopo la legge n. 46 del 2006Alberto Gargani, Il diritto di autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n. 59)Guerino Fares, Servizi pubblici e promozione della concorrenza fra Stato e RegioniCristiano Iurilli, Taluni aspetti della nuova legge italiana sul risparmio: il conflitto di

interesse. La mancata introduzione della “class action” e la nuova legge tedesca sull’a-zione di classe in materia di tutela del risparmio: “Gesetz zur Einführung von Kapi-talanlegermusterverfahren” del 16 agosto 2005 (Seconda parte)

LEZIONI

Nicola Di Mauro, La delegazione per testamento

TEMIConcorso per uditore giudiziario - Prova scritta di diritto amministrativo (di Riccardo

Rotigliano)

Esame per l’iscrizione agli albi degli avvocati - Parere motivato su quesito proposto in ma-teria di diritto penale (di Daria Bresciani)

Concorso per notaio - Prova teorico-pratica riguardante un atto di ultima volontà (diFrancesca Taddei)

I Temi del prossimo numero

QUESTIONI

RASSEGNE

Francesco Tedioli, Il pignoramento in generale

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI a cura di Maurizio De Paolis, Pietro Dubolino,Raffaele Frasca

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE a cura di Paolo Veronesi

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA a cura di Giulio Carpaneto

NOVITÀ LEGISLATIVE

INFORMAZIONI BIBLIOGRAFICHE a cura di Leopoldo Coen, Marcello Farne-ti, Roberto Guerrini

NOTIZIARIO E VARIE

Laura Villani, Sulla legittimità costituzionale della disciplina delcognome dei figli legittimi: una nuova (seppur conservatrice) pro-nuncia della Corte costituzionale

Laura Calafà, La chiusura della XIV legislatura: ultimi atti legi-slativi di interesse lavoristico

PUBBLICAZIONE MENSILEANNO XII - N. 9 SETTEMBRE 2006

Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Padova

TAXE PERÇUE-TASSA RISCOSSA-PADOVA C.M.P.

ATTENZIONE! in caso di mancato reca-pito, rinviare all’Ufficio di Padova C.M.P.per la restituzione al mittente, che si im-pegna a corrispondere la tariffa dovuta.

PREZZO & 12,50