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Salvatore Scervini “ U MPIERNU” LA DIVINA COMMEDIA in dialetto acrese A cura degli alunni della classe IVA Campo Sportivo ACRI

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Salvatore Scervini

“ U MPIERNU”

LA DIVINA COMMEDIAin dialetto acrese

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Salvatore Scervini è un mio compaesano nato ad Acri il 16 luglio 1847 e morto il 10 febbraio 1925. Visse a contatto con i contadini e si rese conto della loro condizione nei confronti del padrone. Studiò la letteratura italiana e tradusse in vernacolo opere importanti come La Divina Commedia e il Cantico dei Cantici.Scrisse molte poesie, tra cui “U munnu”, in cui descrive le persone preoccupate a farsi strada calpestando la dignità degli altri.La poesia “U guadanu” esprime la rabbia contro le prepotenze e i soprusi.

A cura di Loredana

Disegno di Linda

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Il mondoScrittura imitativa

Il mondo è ciò che

nessuno dovrebbe

rovinare

ma si dovrebbe solo

ammirare.

E’ un regno incantato da

esplorare

da cui tante cose poter

imparare.

Autore Nicolò B.

“ (…) ugn’omu ch’è allu munnu s’arrimina.Ppe’ fari supra l’autri la scalata (…)”

S.Scervini

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La traduzione della Divina Commedia, fatta da Salvatore Scervini ( Acri 1847/1925) ci porta al primo contatto, dopo l’Unità d’Italia, del dialetto con le persone colte. Essa rappresenta un serbatoio linguistico del bel dialetto calabrese, arguto, civile. Tale serbatoio è più prezioso di quello di un vocabolario , perché il traduttore lo estrae dall’uso parlato, lo modella alle radici della colta e umana Acri del post – Risorgimento, che si confrontava con il passato recente e lontano in nome di una esemplarità sociale che si rispecchia nella personalità di Salvatore Scervini.

Disegno di

Cristina

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Naomi

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(…) ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Inferno canto I

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(….) tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi 'ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove 'l sol tace.

Inferno canto I

Disegno di Linda

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A mmienzu cursu de la vita miaMi truvai spersu intra na sirvia scura,Ca la strata deritta persu avia.

Cantu I

Disegno di Lorenzo

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Cerberu ,canu de fauza natura,Abbaia dde tri bucchi alla caninaSupra li genti misi alla turtura.

Cantu IV

Disegno di Gianluca

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La gloria di colui che tutto move per l'universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove.

Paradiso canto I

Disegno di Giuseppe

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L’Inferno di Dante nei lager

L’Inferno è l’immagine di quello che diventa la vita sulla terra se gli uomini disimparano a convivere e iniziano a sbranarsi reciprocamente.Non è difficile leggere, in tanti episodi dell’Inferno, una sorta di metafora di tante tragedie della storia umana.E’ quello che ha fatto lo scrittore piemontese Primo Levi, che ha vissuto come vita l’orrore dell’Olocausto e lo ha raccontato nel libro “ Se questo è un uomo”.

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«Quando non si riesce a dimenticare, si prova a perdonare»

"Per me si va nella città dolente,per me si va ne l’etterno dolore

per me si va tra la perduta genteGiustizia mosse il mio alto fattore

fecemi la divina podestate,la somma sapienza e ‘l primo amoreDinanzi a me non fuor cose createse non etterne, e io etterno duro.

Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate.Queste parole di colore oscuro,

vid’ io scritte al sommo d’una porta…"

Come sulla porta dell’inferno di Dante, anche sul cancello di Auschwitz c’è una scritta: ARBEIT MACHT FREI (il lavoro rende liberi). Il racconto di Primo Levi tiene costantemente presente lo Inferno dantesco basandosi sulla trasparente metafora lager-inferno. Il viaggio verso Auschwitz è un viaggio verso l’inferno. L’autocarro che trasporta i prigionieri è assimilato alla barca che traghetta le anime dannate al di là del fiume Acheronte. Il soldato tedesco che li sorveglia è chiamato il nostro Caronte, ma invece di gridare "guai a voi, anime prave", chiede loro danaro ed orologi.

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Voi che vivete sicurinelle vostre tiepide case,voi che trovate tornando a serail cibo caldo e visi amici:considerate se questo è un uomoche lavora nel fangoche non conosce paceche lotta per mezzo paneche muore per un sì o per un no.Considerate se questa è una donna,senza capelli e senza nomesenza più forza di ricordarevuoti gli occhi e freddo il grembocome una rana d'inverno.Meditate che questo è stato:vi comando queste parole.Scolpitele nel vostro cuorestando in casa andando per via,coricandovi alzandovi;ripetetele ai vostri figli.O vi si sfaccia la casa,la malattia vi impedisca,i vostri nati torcano il viso da voi. (Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947)