987 Capitolo 46 Ipertensione sistemica: terapia · sotto placebo con pressione arteriosa (PA)...

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987 © 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. L’ipertensione è il fattore di rischio modificabile più comune per le malattie cardiovascolari negli Stati Uniti e negli altri Paesi industria- lizzati. 1 La sua prevalenza continuerà ad aumentare sia tra i giovani, a causa della crescente diffusione dell’obesità, sia tra gli anziani, vista la più lunga aspettativa di vita. Pur essendo il motivo più comune per cui gli adulti non in gravidanza si rivolgono a un medico, l’ipertensione continua a essere trattata in maniera inadeguata. 2 Le ragioni di questo sono varie, tra cui, in particolare, l’inerzia dei medici e il costo dei far- maci. La motivazione principale, tuttavia, risiede nella natura stessa della malattia – genericamente determinata, indotta da stili di vita comuni ma non salutari, asintomatica e persistente, con conseguenze che diventano evidenti solo dopo 10-30 anni – per cui i costi della terapia, in termini sia economici sia di effetti collaterali, sembrano superare i benefici. Inoltre, nella natura stessa dell’ipertensione si cela un altro preoccupante aspet- to: la maggior parte dei pazienti che segue scrupolosamente la terapia può non ricavarne beneficio, situazione che si è riscontrata persino nei pazienti più anziani, come quelli arruolati nello studio Systolic Hypertension in the Older Program (SHEP), in cui 111 pazienti sono stati trattati per 5 anni al fine di prevenire la morte cardiovascolare e 19 sono stati trattati per prevenire un evento cardiovascolare. 1,2a Ebbene, il vantaggio relativamente limitato e il costo e gli effetti collaterali della farmacoterapia hanno sollevato dubbi sull’impiego dei farmaci per la prevenzione dell’ipertensione. La situazione può cambiare per almeno tre motivi. In primo luogo, sono stati ormai ampiamente documentati significativi aumenti di morbilità e mortalità cardiovascolari anche nei soggetti con pressio- ne arteriosa inferiore a 140/90 mmHg. 3 In secondo luogo, i livelli di pressione arteriosa superiori a quelli considerati nella norma (ossia 120/80 mmHg) interagiscono con altri fattori di rischio cardiovascolare, rendendo necessario affrontare non solo il problema della pressione arteriosa ma anche i molteplici fattori di rischio del paziente. 4 Il terzo aspetto, forse il più importante, è rappresentato dal fatto che il trattamen- to con farmaci quasi privi di effetti collaterali può ritardare, se non pre- venire, la progressione da preipertensione a ipertensione conclamata. 5 Al di là di queste ragioni, è facile comprendere quale potrebbe essere il potenziale di una polipillola poco costosa con proprietà antilipemiche, antipertensive e antitrombotiche. 6 Tutte queste motivazioni sono poi rafforzate dalla presa di coscienza che la prevalenza dell’ipertensione, come evidenziato nei Capitoli 1 e 44, è in continuo aumento, di pari passo con la maggiore diffusione dell’obesità e l’invecchiamento della popolazione. Benefici della terapia Per il gruppo più numeroso di pazienti ipertesi – quello costituito da soggetti oltre i 65 anni – i vantaggi della terapia antipertensiva sono ben maggiori di quelli rilevabili nei soggetti giovani, semplicemente perché gli anziani sono esposti a un rischio molto maggiore 7 (Fig. 46.1). Si è recentemente rilevato che tali benefici riguardano gli ultraottantenni. 8 Nonostante si sostenga che questa o quella terapia si rivela efficace per alcuni tipi di pazienti, in realtà sembra che i benefici siano correlati alla riduzione della pressione arteriosa piuttosto che alle modalità con cui si raggiunge tale risultato 9 (Fig. 46.2). La difficoltà nel riconoscere benefici certi della terapia alla maggior parte dei pazienti ipertesi, siano essi soggetti giovani con valori pressori inferiori a 140/90 mmHg o anziani con pressione sistolica inferiore a 160 mmHg, merita un’attenta analisi. Sebbene il rischio individuale sia relativamente basso, i pazienti ipertesi, considerato il loro numero in ter- mini assoluti, incidono in larga misura sul rischio di ipertensione nella popolazione generale. Questa considerazione ha portato allo sviluppo di due importanti linee guida per la pratica clinica: (1) la necessità fondamentale di prevenire l’ipertensione, orientando la popolazione verso cambiamenti dello stile di vita; (2) l’elaborazione di un razionale che consenta di valutare la pressione arteriosa nel più ampio contesto di rischio cardiovascolare globale. Valori soglia per la terapia In presenza di una pressione arteriosa superiore a 120/80 mmHg, va sottolineata con forza la necessità di modificare lo stile di vita con l’ausilio di apportune raccomandazioni e indicazioni pratiche (si veda oltre). Anche altri fattori di rischio cardiovascolare richiedono atten- zione (Cap. 44). Alcuni medici fanno riferimento alla presenza di un rischio complessivo superiore al 10% nei 10 anni successivi in base al punteggio di rischio di Framingham, per avviare una farmacoterapia attiva. Il ricorso a queste stime di rischio globale indica la necessità di una terapia antipertensiva più di quanto non lo facciano i soli parametri della pressione arteriosa. L’algoritmo riportato nella Figura 46.3 segue le raccomandazio- ni presenti in varie linee guida nazionali. Per l’inizio della terapia farmacologica potranno essere indicate anche soglie inferiori, se il principio stabilito dallo studio TROPHY nei preipertesi di fascia più alta 5 sarà supportato da altri studi di durata e dimensioni mag- giori con endpoint cardiovascolari. Tali studi sono tuttora in corso e richiederanno probabilmente altri 3-5 anni per essere conclusi. Se non si somministra alcuna terapia farmacologica, deve essere messa a punto una stretta sorveglianza, poiché in vari studi randomizzati controllati (RCT) una percentuale che va dal 10 al 17% dei pazienti sotto placebo con pressione arteriosa (PA) iniziale compresa tra 140/90 e 160/95 mmHg ha presentato un progressivo aumento dei valori pressori sino a un livello superiore a 170/100 mmHg. Tutti i pazienti devono essere fortemente incoraggiati a mettere in pratica opportuni cambiamenti dello stile di vita (si veda il paragrafo “Modificazioni dello stile di vita”). BENEFICI DELLA TERAPIA, 987 Valori soglia per la terapia, 987 Pressione sistolica nei pazienti anziani, 988 Obiettivo della terapia, 988 MODIFICAZIONI DELLO STILE DI VITA, 989 TERAPIA FARMACOLOGICA ANTIPERTENSIVA, 991 Linee guida generali, 991 Diuretici, 993 Bloccanti adrenergici, 995 Vasodilatatori diretti, 998 Inibitori del sistema renina-angiotensina- aldosterone, 999 Altri farmaci, 1001 CONSIDERAZIONI TERAPEUTICHE SPECIALI, 1001 TERAPIA DELLE CRISI IPERTENSIVE, 1003 PROSPETTIVE FUTURE, 1003 BIBLIOGRAFIA, 1004 LINEE GUIDA, 1005 Ipertensione sistemica: terapia Norman M. Kaplan CAPITOLO 46

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L’ipertensione è il fattore di rischio modificabile più comune per le malattie cardiovascolari negli Stati Uniti e negli altri Paesi industria-lizzati.1 La sua prevalenza continuerà ad aumentare sia tra i giovani, a causa della crescente diffusione dell’obesità, sia tra gli anziani, vista la più lunga aspettativa di vita. Pur essendo il motivo più comune per cui gli adulti non in gravidanza si rivolgono a un medico, l’ipertensione continua a essere trattata in maniera inadeguata.2 Le ragioni di questo sono varie, tra cui, in particolare, l’inerzia dei medici e il costo dei far-maci. La motivazione principale, tuttavia, risiede nella natura stessa della malattia – genericamente determinata, indotta da stili di vita comuni ma non salutari, asintomatica e persistente, con conseguenze che diventano evidenti solo dopo 10-30 anni – per cui i costi della terapia, in termini sia economici sia di effetti collaterali, sembrano superare i benefici. Inoltre, nella natura stessa dell’ipertensione si cela un altro preoccupante aspet-to: la maggior parte dei pazienti che segue scrupolosamente la terapia può non ricavarne beneficio, situazione che si è riscontrata persino nei pazienti più anziani, come quelli arruolati nello studio Systolic Hypertension in the Older Program (SHEP), in cui 111 pazienti sono stati trattati per 5 anni al fine di prevenire la morte cardiovascolare e 19 sono stati trattati per prevenire un evento cardiovascolare.1,2a Ebbene, il vantaggio relativamente limitato e il costo e gli effetti collaterali della farmacoterapia hanno sollevato dubbi sull’impiego dei farmaci per la prevenzione dell’ipertensione.

La situazione può cambiare per almeno tre motivi. In primo luogo, sono stati ormai ampiamente documentati significativi aumenti di morbilità e mortalità cardiovascolari anche nei soggetti con pressio-ne arteriosa inferiore a 140/90 mmHg.3 In secondo luogo, i livelli di pressione arteriosa superiori a quelli considerati nella norma (ossia 120/80 mmHg) interagiscono con altri fattori di rischio cardiovascolare, rendendo necessario affrontare non solo il problema della pressione arteriosa ma anche i molteplici fattori di rischio del paziente.4 Il terzo aspetto, forse il più importante, è rappresentato dal fatto che il trattamen-to con farmaci quasi privi di effetti collaterali può ritardare, se non pre-venire, la progressione da preipertensione a ipertensione conclamata.5 Al di là di queste ragioni, è facile comprendere quale potrebbe essere il potenziale di una polipillola poco costosa con proprietà antilipemiche, antipertensive e antitrombotiche.6 Tutte queste motivazioni sono poi rafforzate dalla presa di coscienza che la prevalenza dell’ipertensione, come evidenziato nei Capitoli 1 e 44, è in continuo aumento, di pari passo con la maggiore diffusione dell’obesità e l’invecchiamento della popolazione.

Benefici della terapiaPer il gruppo più numeroso di pazienti ipertesi – quello costituito da soggetti oltre i 65 anni – i vantaggi della terapia antipertensiva sono ben maggiori di quelli rilevabili nei soggetti giovani, semplicemente perché

gli anziani sono esposti a un rischio molto maggiore7 (Fig. 46.1). Si è recentemente rilevato che tali benefici riguardano gli ultraottantenni.8 Nonostante si sostenga che questa o quella terapia si rivela efficace per alcuni tipi di pazienti, in realtà sembra che i benefici siano correlati alla riduzione della pressione arteriosa piuttosto che alle modalità con cui si raggiunge tale risultato9 (Fig. 46.2).

La difficoltà nel riconoscere benefici certi della terapia alla maggior parte dei pazienti ipertesi, siano essi soggetti giovani con valori pressori inferiori a 140/90 mmHg o anziani con pressione sistolica inferiore a 160 mmHg, merita un’attenta analisi. Sebbene il rischio individuale sia relativamente basso, i pazienti ipertesi, considerato il loro numero in ter-mini assoluti, incidono in larga misura sul rischio di ipertensione nella popolazione generale. Questa considerazione ha portato allo sviluppo di due importanti linee guida per la pratica clinica: (1) la necessità fondamentale di prevenire l’ipertensione, orientando la popolazione verso cambiamenti dello stile di vita; (2) l’elaborazione di un razionale che consenta di valutare la pressione arteriosa nel più ampio contesto di rischio cardiovascolare globale.

Valori soglia per la terapiaIn presenza di una pressione arteriosa superiore a 120/80 mmHg, va sottolineata con forza la necessità di modificare lo stile di vita con l’ausilio di apportune raccomandazioni e indicazioni pratiche (si veda oltre). Anche altri fattori di rischio cardiovascolare richiedono atten-zione (Cap. 44). Alcuni medici fanno riferimento alla presenza di un rischio complessivo superiore al 10% nei 10 anni successivi in base al punteggio di rischio di Framingham, per avviare una farmacoterapia attiva. Il ricorso a queste stime di rischio globale indica la necessità di una terapia antipertensiva più di quanto non lo facciano i soli parametri della pressione arteriosa.

L’algoritmo riportato nella Figura 46.3 segue le raccomandazio-ni presenti in varie linee guida nazionali. Per l’inizio della terapia farmacologica potranno essere indicate anche soglie inferiori, se il principio stabilito dallo studio TROPHY nei preipertesi di fascia più alta5 sarà supportato da altri studi di durata e dimensioni mag-giori con endpoint cardiovascolari. Tali studi sono tuttora in corso e richiederanno probabilmente altri 3-5 anni per essere conclusi. Se non si somministra alcuna terapia farmacologica, deve essere messa a punto una stretta sorveglianza, poiché in vari studi randomizzati controllati (RCT) una percentuale che va dal 10 al 17% dei pazienti sotto placebo con pressione arteriosa (PA) iniziale compresa tra 140/90 e 160/95 mmHg ha presentato un progressivo aumento dei valori pressori sino a un livello superiore a 170/100 mmHg. Tutti i pazienti devono essere fortemente incoraggiati a mettere in pratica opportuni cambiamenti dello stile di vita (si veda il paragrafo “Modificazioni dello stile di vita”).

BENEFICI DELLA TERAPIA, 987Valori soglia per la terapia, 987Pressione sistolica nei pazienti anziani, 988Obiettivo della terapia, 988

MODIFICAZIONI DELLO STILE DI VITA, 989

TERAPIA FARMACOLOGICA ANTIPERTENSIVA, 991Linee guida generali, 991Diuretici, 993

Bloccanti adrenergici, 995Vasodilatatori diretti, 998Inibitori del sistema renina-angiotensina-

aldosterone, 999Altri farmaci, 1001

CONSIDERAZIONI TERAPEUTICHE SPECIALI, 1001

TERAPIA DELLE CRISI IPERTENSIVE, 1003

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Pressione sistolica nei pazienti anzianiLe attuali linee guida raccomandano di somministrare la terapia ai pa-zienti anziani con ipertensione sistolica isolata (ISH), poiché essi hanno generalmente un rischio cardiovascolare assoluto più alto e traggono pertanto maggiori vantaggi dalla terapia. Indipendentemente dall’età, fino a quando il paziente mantiene un’aspettativa di vita ragionevole la terapia attiva risulta appropriata per tutti i soggetti con livello di pres-sione sistolica superiore a 160 mmHg, con o senza pressione diastolica elevata. Nessun RCT pubblicato ha coinvolto pazienti anziani con PA sistolica compresa tra 140 e 160 mmHg; di conseguenza, la decisione sull’opportunità della terapia deve basarsi sul rischio complessivo. I sog-

getti ad alto rischio (ad es. diabetici, fumatori) devono essere avviati alla terapia con livelli sistolici superiori a 140 mmHg. Oltretutto, in uno studio di gruppo parallelo in doppio cieco si è notata una perdita significativa della funzione cognitiva nei 600 pazienti ultraottantenni la cui PA è stata ridotta con un bloccante del recettore dell’angiotensina II.10

Obiettivo della terapiaUna volta deciso di istituire la terapia, il medico deve considerare l’obiettivo della terapia stessa. In passato, la maggior parte dei me-dici riteneva che gli effetti della riduzione della pressione arteriosa sul rischio cardiovascolare fossero di tipo lineare verso il basso (Fig. 46.4, linea A), giustificando così l’opinione che “più la pressione è bassa, meglio è”. Tuttavia, i dati prodotti da molti grandi studi clinici hanno indicato una riduzione più graduale del rischio quando la pres-sione viene ridotta a livelli moderati (si veda Fig. 46.4, curva B). Succes-sivamente, sono state presentate prove che suggeriscono una curva a J, cioè una caduta del rischio fino a un livello critico di pressione al di sotto del quale il rischio risale (si veda Fig. 46.4, curva C). La curva J è risultata applicabile agli eventi coronarici con riduzione della pressio-ne diastolica a livelli inferiori a 80 mmHg in pazienti con ipertensione diastolica11 e agli ictus con riduzioni della pressione sistolica al di sotto dei 120 mmHg nei pazienti con nefropatia cronica.12

Più che il pericolo derivante da cali della PA farmaco-indotti al di sotto di un livello critico necessario per la perfusione tissutale, è un cattivo stato di salute generale a causare una bassa PA e ad aumentare il rischio di decesso. Nondimeno, una terapia antipertensiva aggressiva può accrescere la morbilità e la mortalità cardiovascolari. Il problema può essere ancora più grave nei pazienti anziani con ISH, in cui le pressioni diastoliche sono spesso basse prima dell’inizio della terapia. Ciononostante, il problema clinico maggiore non è rappresentato tanto

da un trattamento sovradimensionato quanto, piuttosto, da un trattamento sottodimensiona-to. Anche negli studi clinici più attentamente condotti, nei quali il controllo è massimo, le PA sistoliche generalmente restano superiori a 140 mmHg, nonostante i livelli diastolici possa-no generalmente essere portati al di sotto dei 90 mmHg.

È opinione condivisa che l’obiettivo ottimale della terapia antipertensiva nella maggior parte dei pazienti con ipertensione sisto-diastolica combinata non ad alto rischio sia una PA in-feriore a 140/90 mmHg. Il beneficio maggiore deriva probabilmente dalla riduzione della pressione diastolica a 80-85 mmHg. Non solo non esiste alcun vantaggio dimostrato con un controllo più intensivo, ma a una terapia anti-pertensiva più aggressiva si associano anche costi aggiuntivi e un probabile aumento degli effetti collaterali.

Nei pazienti anziani con ISH l’obiettivo deve essere una pressione sistolica di 150 mmHg, analogo al livello raggiunto negli RCT in cui siano stati dimostrati dei benefici.8 È consiglia-ta cautela se la pressione diastolica scende, inavvertitamente, al di sotto di 65 mmHg. In tal caso, è necessario che una riduzione dei livelli sistolici inferiore a quella ideale sia bilanciata

rispetto ai potenziali danni dovuti alla caduta dei valori di pressione arteriosa diastolica al di sotto di tale limite.1

Benché l’evidenza in tal senso sia scarsa, una strategia terapeutica più decisa per raggiungere una pressione diastolica di 80 mmHg o inferiore può essere auspicabile in alcuni gruppi di popolazione, tra cui i seguenti:j I pazienti di razza nera, che sono a maggiore rischio per complicanze

ipertensive e che potrebbero continuare ad avere un danno renale progressivo nonostante una pressione diastolica di 85-90 mmHg.

j I pazienti con diabete mellito, in cui una pressione inferiore a 130/80 mmHg riduce l’incidenza di eventi cardiovascolari.

Figura 46.1 Benefici assoluti nella prevenzione di eventi cardiovascolari fatali e non, ictus e infarto miocardico in tre fasce di età. I simboli rappresentano il numero di eventi prevenibili curando 1.000 pazienti per 5 anni. (Modificata da Wang J-G, Staessen JA, Franklin SS, et al: Systolic and diastolic blood pressure lowe-ring as determinants of cardiovascular outcome. Hypertension 45:907, 2005.)

Figura 46.2 Studi di confronto tra gli effetti sull’endpoint primario di trattamenti basati su farmaci anti-pertensivi diversi. L’endpoint primario era costituito da morbilità e mortalità cardiovascolari (*) o cardiache (°). I dati sono indicati come differenze nell’hazard ratio (HR) e intervallo di confidenza (IC) al 95%. aB = a-bloccante; ACE-1 = inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina; Conv. = terapia convenzionale (basata su diuretico, b-bloccante o entrambi); D = diuretico. (Modificata da Mancia G: Role of outcome trials in providing information on antihypertensive treatment: Importance and limitations. Am J Hypertens 19:2, 2006.)

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989j I pazienti con malattie renali croniche a

lenta progressione che eliminano più di 1-2 g di proteine al giorno, in cui la ridu-zione della pressione a 125/75 mmHg o a valori inferiori può rallentare il peggio-ramento della funzione renale.13 Tuttavia, nell’African American Study of Kidney Disease (AASK), che ha interessato 759 pazienti ipertesi di razza nera non dia-betici con patologia renale, la gran parte di quelli che hanno assunto una terapia per raggiungere livelli di 133/78 mmHg ha continuato a presentare un danno renale progressivo.14

j I pazienti con coronaropatia significati-va, se ulteriori evidenze supportano il re-perto secondo il quale vi sono benefici aggiuntivi quando la PA sistolica (PAS) si riduce da 129 a 125 mmHg, come emer-so dallo studio CAMELOT.15

Nonostante le difficoltà a raggiungere l’obiettivo terapeutico appropriato, si può ottenere un buon controllo nella maggior parte dei pazienti se si somministra una sufficiente terapia antipertensiva in ma-niera progressiva.

Un pronto accesso all’assistenza sani-taria, il frequente contatto con lo stesso medico e la sorveglianza delle prestazioni mediche aumentano il livello di controllo.

Modificazioni dello stile di vitaModificare lo stile di vita è indicato per quasi tutti gli ipertesi (Tab. 46.1). Le cattive abitudini sono presenti in tutti i pazienti ipertesi e possono giocare un ruolo primario nello sviluppo della malattia. Apportare cambiamenti in vari aspetti dello stile di vita può ridurre la pressione arteriosa, nonché l’incidenza di attacchi cardiaci e ictus e la mortalità associata ad essi.16

Dati derivanti da studi clinici e osservazionali confermano l’impor-tanza di cambiamenti simultanei dello stile di vita per conseguire i maggiori benefici.

Nonostante riuscire a modificare lo stile di vita dei pazienti possa es-sere altrettanto o perfino più difficile che far loro seguire una terapia an-tipertensiva a lungo termine, anche una modesta ma costante riduzione

Figura 46.3 Algoritmo per valutare la necessità di trattare pazienti con diversi valori medi di pressione arte-riosa, determinati da ripetute misurazioni ambulatoriali o, meglio, non ambulatoriali, con particolare attenzione per la fascia di età 60-80 anni. Sono indicate le scelte farmacologiche iniziali raccomandate. LDD = diuretico a basso dosaggio; PAD = pressione arteriosa diastolica; PAS = pressione arteriosa sistolica; TOD = danno d’organo.

Figura 46.4 Tre modelli che rappresentano relazioni ipotetiche tra i valori di pressione arteriosa e il rischio di malattia cardiovascolare. Per maggiori det-tagli si veda il testo.

Tabella 46.1 M odificazioni dello stile di vita per il trattamento dell’ipertensione

CaMbiaMeNTO raCCOMaNDaZiONe

riDuZiONe aPPrOSSiMaTiVa Della PreSSiONe

SiSTOliCa (raNge)

Riduzione del peso corporeo

Mantenere il normale peso corporeo (indice di massa corporea, 18,5-24,9 kg/m2)

5-20 mm Hg/10 kg

Adottare un piano alimentare DASH

Consumare una dieta ricca di frutta, verdura e latticini a basso tenore di grassi, con un ridotto contenuto di grassi saturi e totali

8-14 mmHg

Riduzione del sodio alimentare

Ridurre il sodio assunto con la dieta a non più di 100 mmol/die (2,4 g di sodio o 6 g di cloruro di sodio)

2-8 mmHg

Attività fisica Impegnarsi in una regolare attività fisica aerobica come una marcia a passo svelto (almeno 30 min/die, quasi tutti i giorni della settimana)

4-9 mmHg

Moderazione nel consumo di alcol

Limitare il consumo giornaliero di alcol a non più di 2 bicchieri (28 g o 30 mL di etanolo – 680 g di birra, 280 g di vino o 85 g di whiskey, 80% in volume) al giorno nella maggior parte degli uomini e a non più di 1 bicchiere al giorno nelle donne e nei soggetti magri

2,5-4 mmHg

Da Chobanian AV, Bakris GL, Black HR, et al: The Seventh Report of the Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure: The JNC 7 report. JAMA 289:2560, 2003.

DASH = criteri dietetici per bloccare l’ipertensione.

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990della pressione arteriosa può avere un notevole effetto protettivo sullo sviluppo della patologia cardiovascolare (CV). Con il rapido aumento dell’obesità nei bambini, è indispensabile porre grande attenzione al miglioramento delle abitudini nutrizionali.17

CessazIONe del fuMO. Sebbene si sappia da molto tempo che fumare sigarette rappresenta un fattore di rischio importante per le patologie CV, il 21% degli adulti americani tuttora fuma (Cap. 44). Parte del rischio deriva dall’importante effetto pressorio del fumo, che viene facilmente misconosciuto poiché ai pazienti non è permesso fumare nei luoghi dove si misura la pressione. Con il monitoraggio automatico, l’effetto è semplice da dimostrare e la pressione, in genere, si abbassa immediatamente quando si smette di fumare.

Non si sviluppa tolleranza nei confronti dell’effetto pressorio della nicotina e il tono simpatico aumenta a ogni sigaretta, portando a un aumento della rigidità arteriosa. L’effetto dannoso del fumo comprende un aumento dell’insulino-resistenza, l’obesità viscerale e un particolare effetto negativo sulla progressione della nefropatia. Il medico deve esor-tare i fumatori a smettere a ogni visita. Le terapie sostitutive della nicoti-na sono efficaci e hanno un effetto minimo sulla pressione arteriosa.

RIduzIONe del PesO CORPOReO. Aumenti anche minimi del peso corporeo hanno conseguenze enormi sulla pressione arteriosa. Oltre i 18 anni, donne con un indice di massa corporea (BMI) iniziale di 24 avevano una probabilità cinque volte superiore di ammalarsi di diabete e due volte superiore di diventare ipertese rispetto a donne con BMI inferiore o uguale a 21. In molte persone, la maggior parte del peso in eccesso si concentra nella parte superiore del corpo, costituendo una componente importante della sindrome metabolica (Capp. 44, 49 e 64). L’obesità della parte superiore del corpo, detta anche viscerale, è un fattore di rischio per l’ipertensione indipendente dal BMI18 ed è anche frequentemente associata ad apnea ostruttiva notturna (Cap. 79). Il calo ponderale è quasi sempre accompagnato da una diminuzione della PA; il tipo di dieta seguita per perdere peso è irrilevante.19

attIVItà fIsICa. Per ridurre il peso, un incremento dell’attività fisica è quasi sempre essenziale (Cap. 83). L’esercizio fisico, tuttavia, può ridur-re l’incidenza dell’ipertensione e del diabete e avere un’azione protetti-va contro le malattie cardiovascolari anche senza calo ponderale.20

CaMBIaMeNtI alIMeNtaRI. Si vedano i Capitoli 45, 48 e 49.

Riduzione del sodio nella dieta

Il contenuto di sodio tipicamente elevato nella dieta delle persone che vivono nelle società sviluppate e industrializzate viene presentato nel Capitolo 45 come una causa di ipertensione. In presenza di ipertensione, una modesta riduzione di sale può contribuire ad abbassare la pres-sione arteriosa. In 28 studi di intervento ben controllati durati almeno quattro settimane, in cui l’assunzione giornaliera (basata sull’escrezione urinaria di sodio) è stata ridotta in media di 78 mmol/24 ore, i valori di PA scendevano in media di 5,0/2,0 mmHg nei 734 pazienti ipertesi e di 2,0/1,0 mmHg nei 2.220 soggetti normotesi in maniera dose-dipendente (Fig. 46.5).21 Non tutti i soggetti ipertesi rispondono a una moderata riduzione del sodio ai livelli consigliati di 100 mmol o 2,4 g/die. Tuttavia, anche se la PA non si riduce con moderate restrizioni sodiche, i pazienti possono comunque trarne beneficio. La riduzione dell’assunzione di sodio è correlata a vari effetti positivi cardiovascolari e non.22 Le com-ponenti della sindrome metabolica sono associate a una crescente sensibilità della PA al sodio alimentare.23

Una rigida restrizione sodica, tuttavia, non solo è difficile da ottenere da parte dei pazienti, ma può anche essere controproducente. La sti-molazione importante del sistema renina-aldosterone e dell’attività del sistema nervoso simpatico associata alla drastica restrizione sodica può impedire la riduzione della pressione e aumentare la perdita del potassio, se contemporaneamente si assumono diuretici. La restrizione sodica è utile per tutti, come misura preventiva nei normotesi e, ancor di più, come terapia parziale nelle persone ipertese. Il modo più semplice per ottenere una moderata riduzione del sodio è sostituire i cibi trattati con cibi naturali, poiché questi ultimi hanno un basso contenuto di sodio e un alto contenuto di potassio, mentre alla maggior parte dei cibi trattati viene

aggiunto sodio ed eliminato potassio. Si spera che in futuro le aziende alimentari riducano gradualmente la grande quantità di sale che spesso aggiungono ai cibi preparati, come sta avvenendo nel Regno Unito.21 Nel frattempo, si deve chiedere ai pazienti di evitare i cibi contenenti più di 300 mg di sodio per porzione. Ulteriori indicazioni sono le seguenti:

j Evitare di aggiungere cloruro di sodio ai cibi durante la cottura o a tavola.

j Se si desidera un gusto salato, usare un preparato a base di cloruro di sodio e cloruro di potassio in parti uguali o un surrogato puro di cloruro di potassio.

j Evitare o ridurre al minimo l’uso di cibi pronti e carni lavorate, molte delle quali hanno un alto contenuto di sodio.

j Individuare il contenuto di sodio di alcuni antiacidi e altri farmaci.

Integrazione di potassio

Alcuni vantaggi di una ridotta assunzione di sodio sono connessi alla tendenza ad aumentare il contenuto corporeo di potassio, dovuta sia al contemporaneo aumento dell’apporto alimentare di potassio sia alla minore perdita di potassio se si ricorre a diuretici. Gli integratori di potassio riducono la pressione arteriosa, ma sono troppo costosi e potenzialmente pericolosi per un impiego di routine nei soggetti ipertesi normokaliemici. La fonte migliore è costituita da un maggiore consumo di frutta e verdura, che riduce anche l’incidenza di ictus.24

Integratori di calcio

L’integrazione di calcio, sia tramite la dieta sia sotto forma di integratori, può apportare un lieve effetto antipertensivo. Tuttavia, in uno studio recente, le 732 donne sane che assumevano 1 g di calcio elementare/die hanno avuto molti più eventi CV in 5 anni di quelle che assumevano un placebo.25

Integratori di magnesio

Gli integratori di magnesio riducono la pressione arteriosa solo nei pazienti con bassi livelli di magnesio sierico.26

altri costituenti alimentari

In condizioni strettamente controllate, è emerso che la dieta DASH – che prevede meno sodio e grassi saturi e più potassio, calcio e fibre – riduce notevolmente la PA. Tuttavia, questi risultati potrebbero non essere realisticamente applicabili, in quanto ottenuti con uno studio breve e strettamente controllato. Un’idea più realistica di quanto ci si può attendere emerge dallo studio PREMIER, nel quale 810 adulti con pressione arteriosa media iniziale di 135/85 mmHg sono stati distribuiti in tre gruppi: un terzo ha avuto un contatto minimo con il personale sa-nitario, un terzo ha ricevuto consulenza intensiva e un follow-up attento e un terzo, oltre alla stessa consulenza e allo stesso tipo di follow-up, ha

Figura 46.5 Relazione tra variazione netta dell’escrezione urinaria di sodio e pressione sistolica. I triangoli blu rappresentano i soggetti normotesi e i cerchi rossi i soggetti ipertesi. La pendenza è ponderata per l’inverso della varianza del cambiamento netto della pressione sistolica. Le dimensioni del cerchio sono proporzionali al peso dello studio. (Modificata da He J, MacGregor GA: A compre-hensive review on salt and health and current experience of worldwide salt reduction programmes. J Hum Hypertens 23:363, 2009.)

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991ricevuto istruzioni per la preparazione della dieta DASH.27 Dopo 6 mesi, gli ultimi due gruppi hanno mostrato identiche riduzioni dei rischi di coronaropatia, senza alcun beneficio aggiuntivo derivante dalla dieta DASH. La caffeina fa aumentare, in maniera transitoria ma acuta, la pres-sione arteriosa, ma non è emersa alcuna associazione tra il consumo abituale di caffè e l’incidenza dell’ipertensione. Oltretutto, nelle donne del Nurses Health Study l’aumento del consumo di caffè era associato a una modesta riduzione del rischio di ictus.28

MOdeRatO CONsuMO dI alCOl. L’alcol è un’arma a doppio taglio: troppo, soprattutto durante una sbornia, aumenta la pressione arteriosa e può avere effetti letali; troppo poco può precludere molteplici benefici effetti CV (Capp. 44, 49 e 73). Il cosiddetto livello di sicurezza del consumo regolare di alcol in relazione all’ipertensione è pari a non oltre due bicchieri al giorno per gli uomini e uno per le donne. Per bicchiere si intendono circa 12 mL di alcol – equivalenti a 340 g di birra, 110 g di vino o 40 g di liquore. Benché un regolare consumo di moderate quantità di alcol sia associato a una riduzione del rischio di patologia coronarica, scompenso cardiaco, ictus ischemico, diabete e demenza,29 la maggior parte degli esperti concorda nel non raccomandare il con-sumo di alcol agli ipertesi.

altRe MOdalItà. Molti studi condotti su varie terapie cognitivo-comportamentali di rilassamento hanno rivelato una transitoria ma non prolungata riduzione della PA. L’agopuntura, sebbene ampiamente praticata come terapia dell’ipertensione, non ha dimostrato di ridurre la PA.30 La decompressione microvascolare del tronco encefalico può avere un effetto antipertensivo transitorio, ma non duraturo.31 Le statine sono in grado di ridurre la PA.32 Nonostante l’attraente prospettiva che i cambiamenti dello stile di vita siano in grado di pre-venire l’ipertensione e di gestirla meglio una volta sviluppata, nella pratica clinica ottenere cambiamenti significativi dello stile di vita ha un successo limitato. Quindi, nonostante si debba sempre mirare a modificare le abitudini, ai pazienti non devono essere negati i benefici comprovati del trattamento farmacologico antipertensivo.

terapia farmacologica antipertensivaSe i cambiamenti dello stile di vita descritti sono inadeguati al rag-giungimento dell’obiettivo pressorio (<140/90 mmHg per la maggior parte dei soggetti; <130/80 mmHg per i diabetici o i soggetti con insufficienza renale), o se il livello di ipertensione all’esordio è così elevato da rendere necessario l’avvio immediato della terapia far-macologica (>160/100 mmHg), è necessario seguire un algoritmo generale (Fig. 46.6).

linee guida generaliQuando si è deciso di intraprendere una terapia farmacologica, devono essere seguite le linee guida riportate nella Tabella 46.2 per ottenere un efficace controllo dell’ipertensione nelle 24 ore, in modo da favorire l’adesione del paziente al regime terapeutico. L’approccio è basato su principi farmacologici ben noti e su metodi dimostrati. Per la mag-gior parte dei pazienti che non richiedono una più aggressiva terapia iniziale, una volta scelto il farmaco più appropriato (si veda oltre), si deve iniziare con una dose relativamente bassa di un unico farmaco, mirando a una riduzione di 5-10 mmHg di pressione arteriosa a ogni step. Molti medici, per loro natura e formazione, desiderano ottenere un controllo rapido e completo dell’ipertensione del paziente. Indipen-dentemente dai farmaci utilizzati, questo approccio induce spesso uno stato di astenia, debolezza e vertigini posturali che molti pazienti non sopportano, tanto più se stavano bene prima dell’inizio della terapia.

Sebbene l’ipokaliemia e altre anomalie elettrolitiche possano essere responsabili di alcuni di questi sintomi, una spiegazione più verosimile è stata offerta dagli studi di Strandgaard e Haunsø.33 Essi hanno dimo-strato che il flusso sanguigno cerebrale è costante, in virtù di mecca-nismi di autoregolazione, nell’ambito di pressioni arteriose medie di circa 60-120 mmHg in soggetti normali e di 110-180 mmHg in pazienti ipertesi (Fig. 46.7; si veda anche Fig. 45.17). Lo spostamento a destra protegge i pazienti con ipertensione da un eccessivo aumento di flusso

Figura 46.6 Algoritmo per la terapia dell’ipertensione. Evidenze crescenti favoriscono la scelta di un bloccante dell’aldosterone come quarta scelta e forse come terza scelta per molti pazienti.

Tabella 46.2 l inee guida per migliorare il mantenimento della terapia antipertensiva

Essere coscienti del problema e vigili sui segni di inadeguata assunzione di farmaci:• Riconoscereegestireladepressione

Articolare l’obiettivo della terapia, ossia ridurre la pressione a livelli quasi normali con il minimo di effetti collaterali

Istruire il paziente circa la malattia e il suo trattamento• Fornireunavalutazioneindividualedeirischiattualiedeibenefici

potenziali del controllo pressorio• Coinvolgereilpazientenelledecisioni• Fornireistruzioniscritte• Incoraggiareilsostegnofamiliare

Mantenere i contatti con il paziente:• Incoraggiarelevisiteelechiamatealpersonalesanitarioausiliario• Permetterealfarmacistadimonitorarelaterapia• Darefeedbackalpazientepermezzodimisurazionidomiciliari

della pressione arteriosa• Mettersiincontattoconipazientichenonsiripresentano

Adottare cure non costose e semplici:• Faremenoesamipossibiliperescluderecausesecondarie• Ottenereunfollow-updidatidilaboratoriosolounavoltaall’anno

a meno che non sia indicato farli più spesso• Farericorsoarilevamentipressoridomiciliari• Usareterapienonfarmacologicheabassocosto• Usarelasomministrazioneunicagiornalieradifarmacialunga

durata• Utilizzarefarmacigenericiedividereametàcompresseadaltedosi• Seappropriato,usarecompressediassociazionifarmacologiche• Usareconfezioniinblisterconcalendario• Adattarelaterapiaalleabitudiniquotidiane• Usareprotocolliclinicidettagliatimonitorati da infermieri e assistenti

Prescrivere secondo i principi farmacologici:• Aggiungereunfarmacoallavolta• Iniziareconpiccoledosi,mirandoariduzionidi5-10mmHgpervolta• Stabilirel’assunzionedeifarmacisubitodopoilrisveglioalmattino

o dopo le 4 del mattino se il paziente si sveglia per urinareEssere disposti a interrompere un trattamento inefficace e a provare

un diverso approccioPrevedere e risolvere gli effetti collaterali:• Correggerelaterapiaperattenuareglieffetticollaterali

che non scompaiono spontaneamenteContinuare ad aggiungere farmaci efficaci e ben tollerati per gradi,

in dosi sufficienti a raggiungere l’obiettivo della terapiaFornireunfeedbackelavalidazionedelsuccesso

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ematico, che può causare edema cerebrale. Tuttavia, questo spostamen-to predispone anche i pazienti ipertesi a ischemia cerebrale quando la pressione sanguigna diminuisce a un livello normale. Il limite inferiore di autoregolazione necessario a preservare un flusso ematico cere-brale costante nell’iperteso è una PA media pari a circa 110 mmHg. Così, abbassare drasticamente la pressione da 160/110 mmHg (media = 127 mmHg) a 140/85 mmHg (media = 102 mmHg) può indurre ipoperfu-sione cerebrale anche in assenza di una vera e propria ipotensione.

Pertanto, per evitare i sintomi legati a una riduzione eccessivamente brusca della pressione arteriosa, l’approccio alla terapia antipertensiva deve essere graduale nella maggior parte dei pazienti. Fortunatamente,

se la terapia prosegue per un certo periodo la curva dell’autoregolazio-ne cerebrale si sposta di nuovo verso la norma, consentendo ai pazienti di sopportare riduzioni maggiori di pressione senza sintomi spiacevoli (Fig. 46.7, curva al centro).33

dOsaggI dI PaRteNza. La necessità di iniziare con una dose piut-tosto bassa dipende anche dalla maggiore responsività di alcuni pazienti a dosi che possono essere appropriate per la maggioranza dei pazienti stessi. Tutti i farmaci esercitano un effetto crescente con l’aumentare delle dosi fino a una certa soglia, ma la risposta a una certa dose varia da indi-viduo a individuo: alcuni sono estremamente sensibili a una certa dose e alcuni molto resistenti, mentre la maggioranza presenta una risposta intermedia. Non sapendo come il singolo paziente risponderà, l’approc-cio più sicuro e più facile è iniziare con un dosaggio che potrebbe non essere sufficiente per la maggior parte dei pazienti.

sCelta del faRMaCO INIzIale. In passato, la scelta del farmaco iniziale era largamente basata sulle differenze percepite nell’efficacia dell’abbassamento della pressione e sulla probabilità di effetti collaterali. Sebbene studi comparativi abbiano mostrato alcune differenze, ampia-mente determinate dall’età e dalla razza,34 molti hanno trovato che dosi moderate di tutte le classi farmacologiche forniscono un’efficacia simile. Questa conclusione non sorprende affatto, poiché le formulazioni di quasi tutti i farmaci antipertensivi sono progettate per lo stesso scopo – abbassare la PA di almeno il 10% nella maggior parte dei pazienti ipertesi. Un abbassamento superiore sarebbe probabilmente inaccettabile per il paziente; uno inferiore sarebbe inaccettabile per il medico.

Le raccomandazioni per la scelta della terapia iniziale sono sem-pre più basate sulla capacità dei farmaci di avere effetti favorevoli su altre condizioni che spesso coesistono con l’ipertensione, evitando al contempo quelli che potrebbero avere effetti negativi (Tab. 46.3).35 Tuttavia, nel complesso i dati mostrano chiaramente che con riduzioni

Figura 46.7 Curve di autoregolazione del flusso ematico cerebrale medio in pazienti normotesi, ipertesi e ipertesi trattati efficacemente. (Modificata da Strandgaard S: Autoregulation of cerebral blood flow in hypertensive patients. The modifying influence of prolonged antihypertensive treatment of the tolerance to acute, drug-induced hypotension. Circulation 53:720, 1976; and Strandgaard S, Haunso S: Why does antihypertensive treatment prevent stroke but not myocardial infarction? Lancet 2:658, 1987.)

aldo = aldosterone; IM = infarto miocardico; non CS = non cardioselettivo; non ISA = privo di attività simpaticomimetica intrinseca.

Tabella 46.3 Considerazioni circa l’individualizzazione della terapia farmacologica antipertensiva*

Può avere effetti favorevoli su condizioni concomitanti Può avere effetti sfavorevoli su condizioni concomitanti†

CONDiZiONe FarMaCO CONDiZiONe FarMaCO

Angina b-bloccante, CCB Blocco cardiaco di secondo o terzo grado

b-bloccante, CCB (non DHP)

Diabete mellito, in particolare con proteinuria

ACEI, ARB, diuretico a basso dosaggio, CCB, b-bloccante

Depressione Agonista a-adrenergico centrale, reserpina‡

Dislipidemia a-bloccante Diabete di tipo 1 e 2 b-bloccante, diuretico ad alto dosaggio

Emicrania b-bloccante (non CS), CCB Dislipidemia b-bloccante (non ISA), diuretico (ad alto dosaggio)

Epatopatia Labetalolo, metildopa‡

Insufficienza renale ACEI, ARB, diuretico dell’ansa Gotta Diuretico

Gravidanza ACEI,‡ ARB,‡ DRI‡

Ipertensione indotta da ciclosporina CCB Insufficienza renale Risparmiatore di potassio, aldo-bloccante†

Ipertensione preoperatoria b-bloccante Iperkaliemia ACEI, ARB, DRI, aldo-bloccante

Ipertensione sistolica negli anziani Diuretico, CCB Malattia broncospastica b-bloccante

Ipertiroidismo b-bloccante Malattia nefrovascolare, bilaterale

ACEI, ARB, DRI

Osteoporosi Tiazidici Scompenso cardiaco CCB†

Precedente IM b-bloccante, ACEI, ARB Vasculopatia periferica b-bloccante†

Prostatismo a-bloccante

Scompenso cardiaco ACEI, ARB, carvedilolo, b-bloccante, diuretico

Tachicardia e fibrillazione atriale b-bloccante CCB (non DHP)

Tosse da ACE-inibitore ARB

Tremore essenziale b-bloccante (non CS)

*Le condizioni sono elencate in ordine alfabetico.†Questi farmaci possono essere utilizzati sotto speciale monitoraggio, a meno di controindicazioni.‡Controindicato.

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993equivalenti nella PA ottenuta, la maggior parte dei farmaci è ugual-mente efficace nella popolazione ipertesa9 (Fig. 46.2). Un’apparente eccezione, mostrata nella Figura 46.2, che evidenzia una significativa differenza, lo studio LIFE,36 ha confrontato un bloccante del recettore dell’angiotensina II (losartan) con un b-bloccante (atenololo), ma all’80% dei soggetti veniva somministrato anche un diuretico. Inoltre, come si discuterà più avanti, la monosomministrazione giornaliera di atenololo è risultata inferiore ad altre classi di farmaci, rendendo l’ate-nololo un interessante farmaco di confronto in grado di far risultare l’altro farmaco più efficace.37 È quanto emerso dallo studio Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Blood Pressure Lowering Arm (ASCOT-BPLA), largamente divulgato, che ha confrontato una terapia a base di un calcio-antagonista (CCB) a lunga durata d’azione (amlo-dipina) con l’atenololo ad azione rapida, entrambi somministrati una volta al giorno.36 Oltretutto, il risultato superiore ottenuto con il CCB potrebbe derivare dalla più bassa pressione arteriosa raggiunta.

Anche l’Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT),38 forse il più grande studio mai condotto sul valore relativo di vari farmaci antipertensivi, è criticabile per la sua impossibilità di ottenere riduzioni equivalenti della pressione arteriosa con i farmaci di confronto. Nondimeno, l’ALLHAT ha mostrato gli stessi risultati con una terapia a base di diuretico (clortalidone), inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) (lisinopril) o CCB (amlodipina). I benefici evidenziati con il clortalidone contribuiscono al razionale per la scelta di questo farmaco a scapito dell’idroclorotia-zide (si veda il paragrafo “Diuretici”).

Nemmeno alcune delle indicazioni favorevoli riportate nella Tabella 46.3 restano confermate quando si esaminano attentamente i database di grandi dimensioni. Si ritiene che gli ACE-inibitori (ACEI) e i bloccanti del recettore dell’angiotensina (ARB) siano particolarmente renopro-tettivi e nella Tabella 46.3 sono indicati come “favorevoli” per i soggetti diabetici o affetti da altre nefropatie. Tuttavia, in una rassegna sistematica e in una metanalisi su tutti i trial attualmente disponibili, si è concluso che “nei pazienti diabetici, le azioni renoprotettive supplementari [di ACEI e ARB], oltre all’azione sulla pressione arteriosa, restano indimo-strate e vi è incertezza circa la maggiore renoprotezione riscontrata nella nefropatia non diabetica”.39

Nel complesso, la riduzione della PA sembra dare benefici clinici. Su un fronte probabilmente importante, tuttavia, sia gli ACEI sia gli ARB potrebbero essere più efficaci dei diuretici e dei ß-bloccanti nel pro-teggere dall’insorgenza del diabete, persino per la durata relativamente breve della maggior parte dei trial.40 In questo senso i dati sperimentali sostengono i risultati di studi clinici multipli.

Si noti che i farmaci appartenenti a una data classe potrebbero non dare la stessa protezione cardiovascolare o renale a lungo termine di altri membri della stessa classe, pur fornendo la stessa riduzione della PA a breve termine. Sono pochi gli studi comparativi diretti condotti su farmaci appartenenti alla stessa classe, per cui si raccomanda pru-denza. La durata dell’azione antipertensiva può essere il principale fattore determinante, come emerge dal peggiore risultato ottenuto con la somministrazione giornaliera unica di atenololo rispetto ad altri farmaci (si veda oltre).37

algORItMO geNeRale. Sulla base di questi dati, l’algoritmo mo-strato nella Figura 46.6 fornisce un approccio adeguato al trattamento dell’ipertensione allo stadio 1 – PA inferiore a 160/100 mmHg. Il capo-saldo della terapia dovrebbe essere rappresentato da una bassa dose di diuretico tiazidico, ma è probabile che questo farmaco da solo sia efficace soltanto nel 30% circa dei casi. Gli altri farmaci devono poi essere somministrati in maniera appropriata in base alle condizioni coesistenti (Tab. 46.3). Sulla base di questi studi di efficacia a breve termine, i soggetti solamente ipertesi possono essere ragionevolmente trattati con un ACEI o ARB se sono giovani o non sono di razza nera o con un CCB se sono più anziani o di razza nera.41 Poiché la terapia diuretica concomitante maschera le risposte differenziali nella PA, non sembra esservi motivo per favorire una classe di farmaci in assenza di una specifica indicazione o controindicazione.

teRaPIa COMBINata. Poiché una bassa dose di diuretico tiazidi-co potenzia l’effetto di tutte le altre classi di farmaci e poiché molti

pazienti necessitano di due o più farmaci per un adeguato controllo, è stata ampiamente invocata e utilizzata l’associazione di un diureti-co a basso dosaggio e di un farmaco di seconda scelta appropriato. Tuttavia, i risultati dello studio Avoiding Cardiovascular Events through Combination Therapy in Patients Living with Systolic Hypertension (AC-COMPLISH) mettono in dubbio questa pratica.42 Nel trial ACCOMPLISH, la combinazione di un ACEI (benazepril) e di un CCB (amlodipina) ha determinato una riduzione del 20% superiore nei tassi relativi di morbilità e mortalità cardiovascolare rispetto alla combinazione dello stesso ACEI e di un diuretico (idroclorotiazide), nonostante riduzioni equivalenti della PA con le due combinazioni. Soprattutto se questi risultati fossero replicati, il farmaco iniziale e il secondo sarebbero un ACEI (o ARB) o un CCB, e il diuretico sarebbe la terza scelta. Sono ora disponibili alcune compresse di associazioni farmacologiche, con il CCB amlodipina più un ACEI o un ARB. Esiste anche una compressa con tre componenti, diuretico, ARB e CCB,43 quindi probabilmente la polipillola diventerà presto una realtà,6 benché permangano dubbi sulla sua composizione (Cap. 1).

COPeRtuRa COMPleta CON uN’uNICa sOMMINIstRazIONe gIORNalIeRa. Un’ampia possibilità di scelta tra ciascuna delle sei principali classi di farmaci antipertensivi attualmente disponibili con-sente di ottenere una piena efficacia nelle 24 ore (ad es. il b-bloccante metoprololo-XL, l’a-bloccante doxazosina, il CCB amlodipina, l’ACEI trandolapril e l’ARB telmisartan). Quindi, una singola somministrazione giornaliera può essere attuata in quasi tutti i pazienti, favorendo così l’adesione alla terapia. L’uso di composti a più lunga durata d’azione riduce la probabilità di indurre un effetto picco eccessivo, nell’ottica di garantire un effetto adeguato fino alla fine dell’intervallo tra una somministrazione e l’altra (valle). Inoltre, poiché molti pazienti a volte saltano una dose dei farmaci, c’è un’ulteriore buona ragione per utilizzare farmaci a lunga durata d’azione che coprano al meglio la dose saltata.

Poiché i pazienti non si differenziano solamente in termini di grado di risposta, ma anche in termini di durata dell’effetto, un atteggiamento prudente è quello di documentarne la risposta alla fine dell’intervallo interdose, in genere in prima mattinata prima che il paziente assuma la dose giornaliera. Con questo approccio, viene controllato l’improvviso rialzo pressorio che si verifica al risveglio e i pazienti risultano più pro-tetti nei confronti dell’aumentata incidenza di eventi CV catastrofici in questo momento critico. La valutazione di un adeguato controllo nelle 24 ore richiede il monitoraggio domiciliare della PA, un approccio che dovrebbero utilizzare tutti i pazienti. La gestione della PA è quasi sem-pre migliore perché si basa su frequenti misurazioni domiciliari e non su misurazioni ambulatoriali occasionali. Questi principi terapeutici generali rappresentano la base per la successiva discussione sulle varie classi di farmaci disponibili.

diureticiI diuretici si suddividono in quattro gruppi principali, sulla base del lo-ro principale sito di azione a livello tubulare, dalla porzione prossimale sino al dotto collettore: (1) agenti che agiscono sul tubulo prossimale, come gli inibitori dell’anidrasi carbonica, che hanno un’efficacia antipertensiva limitata; (2) diuretici dell’ansa; (3) tiazidici e composti sulfonamidici correlati; (4) diuretici risparmiatori di potassio (Tab. 46.4). Un tiazidico è la scelta più comune, spesso in associazione con un risparmiatore di potassio. Un bloccante dell’aldosterone è la scelta più logica tra i risparmiatori di potassio. I diuretici dell’ansa devono essere riservati ai pazienti con insufficienza renale o ipertensione resistente.

MeCCaNIsMO d’azIONe. Tutti i diuretici, all’inizio, abbassano la PA aumentando l’escrezione urinaria del sodio e riducendo il volume plasmatico, il volume dei liquidi extracellulari e la gittata cardiaca. Entro 6-8 settimane, il volume plasmatico, il volume dei liquidi extracellulari e la gittata cardiaca ridotti ritornano a valori quasi normali. A questo punto e anche oltre, l’abbassamento della PA è correlato al declino delle resistenze periferiche, migliorando così il sottostante difetto emodina-mico dell’ipertensione. Tuttavia, una diuresi iniziale è indispensabile,

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poiché i diuretici non riescono ad abbassare la PA quando il sodio eliminato viene riassorbito o se sono somministrati a pazienti con i reni non funzionanti. Con la riduzione della volemia e della PA, l’au-mentata secrezione di renina e di aldosterone ritarda la diuresi sodica prolungata. Sia la vasocostrizione indotta dalla renina sia la ritenzione di sodio indotta dall’aldosterone evitano la continua diminuzione dei liquidi corporei e la progressiva riduzione della PA nei casi di assunzione prolungata di diuretici.

effettO ClINICO. Con la terapia diuretica giornaliera, la pressione sistolica di solito scende di circa 10 mmHg, sebbene tale diminuzione dipenda da vari fattori, come il livello iniziale della pressione, la quan-tità di sodio assunto, l’integrità della funzione renale e l’intensità della risposta regolatrice del sistema renina-aldosterone. Quelli con livelli di renina o aldosterone inizialmente più bassi, compresi molti ipertesi anziani o di razza nera, tendono ad avere un maggiore effetto antiper-tensivo. L’effetto antipertensivo del diuretico persiste indefinitamente, sebbene possa essere sopraffatto da un eccessivo apporto alimentare di sodio. Se si utilizzano altri farmaci antipertensivi senza un diuretico, quelli che non bloccano il sistema renina-aldosterone possono avere una ridotta efficacia a causa della ritenzione di sodio. Questo mec-canismo probabilmente riflette l’efficacia dei farmaci nell’abbassare inizialmente la PA e può dipendere dall’alterata relazione pressione renale-natriuresi che interviene nell’ipertensione essenziale. Così come è necessaria una maggiore pressione per espellere un dato sovraccarico di sodio in un individuo iperteso, una diminuzione della pressione verso valori normali porta alla ritenzione di sodio. I farmaci che inibiscono il sistema renina-aldosterone, come gli ACEI, gli ARB e gli inibitori diretti della renina (Direct Renin Inhibitors, DRI) o i farmaci che inducono natriuresi, come i CCB, possono continuare a essere somministrati senza l’impiego concomitante di diuretici. Tuttavia, un diuretico migliora l’efficacia di tutti gli altri tipi di farmaci, compresi i calcio-antagonisti.

dOsaggIO e sCelta del faRMaCO. La maggior parte dei pazienti con ipertensione lieve o moderata e concentrazioni sieriche di creati-nina inferiori a 1,5 mg/dL risponde alle dosi più basse dei vari diuretici (tiazidici e composti correlati) elencati nella Tabella 46.4. Fino a oggi, l’idroclorotiazide (HCTZ) in dosi da 12,5 a 25 mg è stato la scelta prin-cipale; è un diuretico combinato con vari b-bloccanti, ACEI, ARB e DRI ora disponibili, con l’eccezione di altri tre farmaci – atenololo, clonidina

e captopril – che si combinano con il clortalidone. Tuttavia a questi dosaggi l’HCTZ non ha mostrato di ridurre morbilità e mortalità. Al con-trario il clortalidone, da 12,5 a 25 mg, ha evidenziato benefici in alcuni trial (HDFP, MRFIT, SHEP, ALLHAT) sponsorizzati dai National Institutes of Health (NIH). Dopo che il clortalidone non è stato prescritto per anni, ora viene raccomandato come diuretico appropriato.44,45 Con un danno renale, evidenziato da una creatininemia maggiore di 1,5 mg/dL o con un tasso di filtrazione glomerulare (GFR) stimato inferiore a 30 mL/min, i tiazidici sono di solito inefficaci; per questi pazienti sono in genere necessarie due o tre dosi giornaliere di furosemide, una o due dosi di torasemide oppure una singola dose di metolazone. L’associazione di un tiazidico con un diuretico dell’ansa può fornire un’efficacia ancora superiore, contrastando l’ipertrofia del nefrone distale osservata con i diuretici dell’ansa utilizzati da soli.

effettI COllateRalI. Numerose modificazioni biochimiche ac-compagnano spesso una diuresi adeguata, tra cui una riduzione della potassiemia e un aumento della glicemia, dell’insulinemia e dell’urice-mia (Fig. 46.8). L’utilizzo di basse dosi di diuretici minimizza o evita la maggior parte degli effetti indesiderati.

Ipokaliemia

Il grado di perdita di potassio e di ipokaliemia è direttamente correlato al dosaggio del diuretico; il livello sierico di potassio scende con una media di 0,7 mmol/L con 50 mg di idroclorotiazide, di 0,4 mmol/L con 25 mg e di poco o niente con 12,5 mg di HCTZ. L’ipokaliemia correlata ad alte dosi di diuretici può scatenare un’aritmia ventricolare potenzial-mente pericolosa e aumentare il rischio di arresto cardiaco primario, in particolare in pazienti con suscettibilità nota dovuta a concomitante terapia digitalica o a irritabilità miocardica. I seguenti accorgimenti aiutano a prevenire un’ipokaliemia indotta dai diuretici:

j Utilizzare la dose minima necessaria di diuretico.j Ridurre l’apporto sodico alimentare a meno di 100 mmol/die.j Aumentare l’apporto alimentare di potassio.j Ricorrere alla combinazione di un tiazidico con un risparmiatore di

potassio, preferibilmente un bloccante dell’aldosterone, con partico-lare attenzione ai pazienti con insufficienza renale.

j Usare contemporaneamente un b-bloccante, un ACEI, ARB o DRI che diminuisce la perdita di potassio moderando l’aumento di renina e di aldosterone indotto dal diuretico.

Ipomagnesiemia

In alcuni pazienti, il deficit concomitante di magnesio indotto dai diu-retici impedisce il ripristino del potassio intracellulare ed è per questo che l’ipomagnesiemia dovrà essere corretta.

Iperuricemia

Il tasso di uricemia è elevato in più di un terzo dei soggetti ipertesi non trattati. Con una terapia a base di diuretici a lungo termine e ad alte dosi, l’iperuricemia appare in un altro terzo di pazienti, come con-seguenza dell’aumentato riassorbimento del tubulo prossimale che accompagna la contrazione del volume, e può precipitare un attacco acuto di gotta. L’iperuricemia può anche aggravare l’aterosclerosi e l’ipertensione.46

Iperglicemia e insulino-resistenza

Alte dosi di diuretici possono alterare la tolleranza al glucosio e pro-vocare diabete mellito, probabilmente perché aumentano l’insulino-resistenza e l’iperinsulinemia.

Ipercalcemia

Un lieve aumento dei livelli sierici di calcio, inferiore a 0,5 mg/dL, viene frequentemente osservato in corso di terapia con diuretici tiazidici e si accompagna a una riduzione del 40-50% dell’escrezione urinaria di calcio. Pertanto il trattamento con diuretici tiazidici previene la calcolosi renale e l’osteoporosi.

Iponatriemia

I tiazidici possono determinare un’iponatriemia insidiosa, generalmente nelle donne anziane.

Tabella 46.4 D iuretici rappresentativi e risparmiatori di potassio

FarMaCO DOSe giOrNaliera (Mg)

DuraTa Di aZiONe (Ore)

Tiazidici Bendroflumetiazide* 1,25-5,0 >18 Idroclorotiazide 6,25-50 12-18 Meticlotiazide* 2,5-5,0 >24 Triclormetiazide* 1-4 >34

Composti sulfonamidici correlati Clortalidone 12,5-50 24-72 Indapamide 1,25-2,5 24 Metolazone 0,5-10 24

Diuretici dell’ansa Acido etacrinico 25-100 12 Bumetanide* 0,5-5 4-6 Furosemide 40-480 4-6 Torasemide 5-40 12

risparmiatori di potassio Amiloride 5-10 24 Eplerenone 50-200 24 Spironolattone 25-100 8-12 Triamterene 50-100 12

*Non disponibile in Italia.

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disfunzione erettile

Un aumento dell’incidenza di impotenza è stato notato in uomini che avevano assunto 15 mg di clortalidone, l’unico diuretico tra le cinque classi di farmaci che abbia questo effetto.47

solfatosensibilità

L’acido etacrinico è l’unico diuretico che non ha una struttura sulfami-dica. Una lenta restimolazione con un diuretico sulfamidico può avere successo nel superamento della solfatosensibilità.

dIuRetICI dell’aNsa. Solitamente, i diuretici dell’ansa sono necessari nel trattamento di pazienti ipertesi con insufficienza renale, qui definita come una creatininemia che supera gli 1,5 mg/dL o un GFR stimato inferiore a 30 mL/min. La furosemide è stata il farmaco più usato, sebbene il metolazone possa essere altrettanto efficace e richieda un’unica dose giornaliera. Nel trattamento dell’ipertensione non compli-cata la furosemide ha un’azione antipertensiva minore rispetto ai diuretici a più lunga durata d’azione con una somministrazione di una o due volte al giorno, che mantiene una lieve contrazione del volume necessaria per l’effetto antipertensivo del diuretico.

RIsPaRMIatORI dI POtassIO. Questi farmaci sono normal-mente usati in combinazione con un diuretico tiazidico. Dei quattro attualmente disponibili, due (eplerenone e spironolattone) sono bloccanti dell’aldosterone; gli altri due (triamterene e amiloride) sono inibitori diretti della secrezione di potassio. In associazione con un tiazidico, questi farmaci diminuiscono l’entità della perdita di potassio. Inoltre, basse dosi di spironolattone possono prevenire la fibrosi miocardica, ridurre la mortalità nei pazienti con scompenso car-diaco e abbassare significativamente la pressione arteriosa nei pazienti con ipertensione resistente.48

L’eplerenone agisce da antagonista dell’aldosterone in maniera più selettiva di quanto non faccia lo spironolattone,49 senza causare gineco-mastia e irregolarità mestruali, a volte osservate con lo spironolattone. In virtù delle sempre maggiori evidenze relative al fatto che persino livelli

normali di aldosterone inducano fibrosi in vari tessuti, un bloccante così selettivo dell’aldosterone può trovare un uso molto più ampio come risparmiatore di potassio.

QuadRO geNeRale suI dIuRetICI Nell’IPeRteNsIONe. Fino alla pubblicazione dei risultati dello studio ACCOMPLISH,42 si raccomandava una bassa dose di diuretico tiazidico, preferibilmente clortalidone, come scelta iniziale della terapia farmacologica per la mag-gior parte degli ipertesi. Se non come prima scelta, nella pratica clinica comune il diuretico è stato di certo considerato come il secondo farmaco da utilizzare. Nei pazienti con ipertensione più grave o danno renale sono necessarie dosi maggiori di tiazidico o di un diuretico dell’ansa. I potenziali effetti negativi associabili ai diuretici richiedono un controllo appropriato, in particolare nei pazienti con disfunzione sistolica o diasto-lica che possono avere una perfusione renale borderline. Nel complesso, i diuretici restano la scelta meno costosa e quella che può anche fornire altri vantaggi, quale la protezione dall’osteoporosi.

Bloccanti adrenergiciSono disponibili molti farmaci che inibiscono il sistema nervoso adre-nergico, compresi alcuni che agiscono centralmente sull’attività del centro vasomotore, perifericamente sulla secrezione neuronale di catecolamine o mediante blocco dei recettori a-, b-adrenergici o di entrambi (Tab. 46.5); alcuni agiscono in più punti.

Un aspetto importante dell’attività simpatica è rappresentato dal feedback di noradrenalina sui recettori a- e b-adrenergici situati sulla superficie neuronale (i recettori presinaptici). L’attivazione del recettore presinaptico a-adrenergico inibisce il rilascio, mentre l’attivazione del recettore presinaptico b-adrenergico stimola l’ulteriore liberazione di noradrenalina.

faRMaCI Che agIsCONO sul NeuRONe. Reserpina, guanetidina e relativi composti agiscono in modo diverso per inibire il rilascio di noradrenalina dai neuroni adrenergici periferici.

Figura 46.8 Meccanismi mediante i quali la terapia diuretica cronica può portare a diverse complicanze. Il meccanismo per l’ipercolesterolemia fa ancora discu-tere, sebbene sia stato dimostrato che si verifica tramite ipokaliemia. Cl = clearance; PRA = attività reninica plasmatica.

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ReseRpina. La reserpina, il derivato degli alcaloidi della rauwolfia più attivo e più usato, determina deplezione di noradrenalina nei neuroni adrenergici postgangliari inibendone l’assorbimento nelle vescicole di deposito, esponendola alla degradazione a opera della monoaminossidasi citoplasmatica. L’effetto periferico è predominante, sebbene il farmaco penetri nell’encefalo e determini deplezione anche dei depositi centrali di catecolamine. Questo effetto è probabilmente responsabile della seda-zione e depressione che accompagna l’uso della reserpina. Il farmaco ha alcuni vantaggi: serve una sola dose giornaliera, in combinazione con un diuretico; le proprietà antipertensive sono significative; si nota una scarsa ipotensione posturale; e molti pazienti segnalano l’assenza di effetti colla-terali. Il farmaco ha una curva dose-risposta relativamente piatta, per cui una dose di soli 0,05 mg/die dà lo stesso effetto antipertensivo di 0,125 o 0,25 mg/die, ma con meno effetti collaterali. Sebbene la reserpina riman-ga popolare in alcune zone e sia raccomandata come scelta economica quando le risorse sono limitate, il suo uso è progressivamente diminuito poiché non ha alcuno sponsor commerciale.

Guanetidina. La guanetidina e una serie di composti ad essa correlati, come il guanadrel, la betanidina e la debrisochina, agiscono inibendo il rilascio di noradrenalina dai neuroni adrenergici. Questi farmaci riducono la pressione arteriosa soprattutto quando il paziente è in posizione eretta, a causa dell’accumulo gravitazionale del sangue nelle gambe, poiché la vasocostrizione compensatoria – mediata dal sistema nervoso simpatico – è bloccata. Ciò determina l’effetto collaterale più frequente, l’ipotensione posturale. In seguito all’introduzione di altri farmaci meno fastidiosi, la gua-netidina è stata relegata principalmente al trattamento dell’ipertensione grave, che non risponde agli altri agenti.

Farmaci che agiscono sui recettoriaGonisti a pRevalentemente centRali. Di questi, solo la clonidina è d’uso

corrente, sebbene la metildopa sia uno dei pochi farmaci approvati per il trattamento dell’ipertensione indotta dalla gravidanza (Cap. 82).

Metildopa. La metildopa agisce prevalentemente all’interno del sistema nervoso centrale, dove l’a-metilnoradrenalina, derivata dalla metildopa, viene rilasciata dai neuroni adrenergici e stimola i recettori a-adrenergici centrali, riducendo la fuoriuscita di catecolamine dal si-stema nervoso centrale. La pressione arteriosa diminuisce soprattutto come risultato di una diminuzione delle resistenze periferiche con scarso effetto sulla gittata cardiaca. Il flusso sanguigno renale è ben mantenuto

ed è rara un’ipotensione posturale significativa. La metildopa non deve essere somministrata più di due volte al giorno, con dosi comprese tra 250 e 3.000 mg/die.

Gli effetti collaterali comprendono alcuni di quelli comuni ai farmaci che agiscono a livello centrale riducendo la liberazione di catecolamine – sedazione, secchezza delle fauci, impotenza e galattorrea. Tuttavia, la me-tildopa provoca alcuni effetti collaterali specifici probabilmente di natura autoimmune, poiché in circa il 10% dei pazienti che assumono il farmaco si verifica una positività del test per gli anticorpi antinucleo e autoanticorpi antiemazie sono presenti in circa il 20%. Sono state descritte alterazioni in-fiammatorie in diversi organi, che riguardano più frequentemente il fegato, con danno parenchimale diffuso simile a quello dell’epatite virale.

Clonidina. Benché differente nella struttura, la clonidina ha molte caratteristiche in comune con la metildopa. Agisce a livello degli stessi siti centrali, ha un’efficacia antipertensiva simile e causa molti degli stessi effetti collaterali, anche se di minor gravità (ad es. sedazione, secchezza delle fauci). Non induce, comunque, effetti collaterali autoimmuni e in-fiammatori.

Il farmaco ha un’emivita biologica piuttosto breve per cui, quando viene interrotto, l’inibizione della liberazione di noradrenalina cessa entro circa 12-18 ore e i livelli plasmatici delle catecolamine aumentano. Questo effetto è la causa del rapido ritorno della PA ai livelli precedenti alla terapia e dell’occasionale comparsa di sintomi da sospensione, come tachicardia, agitazione e sudorazione. Se il rialzo pressorio richiede una terapia, si può reintrodurre la clonidina o si può prescrivere un antagonista del recettore a-adrenergico. La clonidina è disponibile in una formulazione per uso transdermico che consente un controllo più omogeneo della PA per un periodo di almeno 7 giorni con minori effetti collaterali. Tuttavia, fastidiosi rash cutanei ne precludono l’impiego nel 25% circa dei pazienti.

Guanabenz. Questo farmaco differisce nella struttura, ma condivide molte caratteristiche sia con la metildopa sia con la clonidina, agendo principalmente come un agonista a centrale.

GuanfaCina. Anche questo farmaco somiglia alla clonidina ma ha una durata d’azione maggiore, il che consente l’assunzione di una monodose giornaliera e minimizza l’effetto rebound. Questo farmaco, nonostante sia usato meno della clonidina, è la scelta preferita tra gli agonisti a centrali.

antaGonisti dei RecettoRi a-adReneRGici. Questi farmaci hanno molte ca-ratteristiche interessanti ma il loro uso è stato limitato, all’inizio a causa di una potenziale ipotensione posturale, più recentemente a causa di una maggiore probabilità di ritenzione idrica che può provocare insufficienza cardiaca congestizia.38 La prima di questa classe è stata la prazosina, ma le due attualmente in uso, doxazosina e terazosina, hanno un’azione più graduale e durata più lunga, il che consente la monosomministrazione giornaliera con una minore tendenza all’ipotensione da prima dose.

Gli a-bloccanti selettivi sono efficaci come altri farmaci antipertensivi. Le variazioni emodinamiche vantaggiose – una caduta delle resistenze periferiche con mantenimento della gittata cardiaca – li rendono una scelta allettante per i pazienti che desiderano rimanere fisicamente attivi. Inoltre, la lipemia e la sensibilità all’insulina non vengono alterate, anzi possono migliorare con gli a-bloccanti, a differenza degli effetti indesiderati osser-vati con i diuretici e con i b-bloccanti.

I dati dello studio ALLHAT38 indicano chiaramente la necessità di asso-ciare un diuretico all’a-bloccante, in particolare nei pazienti con ipertrofia ventricolare sinistra (IVS) o con altri fattori di rischio per insufficienza car-diaca congestizia. Gli a-bloccanti vengono oggi utilizzati principalmente per la cura del prostatismo. Riducendo il tono muscolare liscio a livello del collo vescicale e della prostata, alleviano i sintomi da ostruzione dell’iper-trofia prostatica. La tamsulosina ha un effetto maggiore sulla vescica e minore come antipertensivo, ma il suo utilizzo è associato a una grave complicanza in seguito a chirurgia della cataratta.50

aNtagONIstI deI ReCettORI b-adReNeRgICI. Negli anni Ottanta, gli antagonisti dei recettori b-adrenergici (b-bloccanti) sono diventati la terapia antipertensiva più popolare dopo i diuretici, grazie alla loro relativa efficacia e all’assenza di molti effetti collaterali fasti-diosi. Poiché i b-bloccanti riducono la mortalità nei pazienti postinfarto miocardico acuto o scompenso cardiaco (prevenzione secondaria), si è supposto che essi potessero offrire una particolare protezione anche contro gli eventi cardiaci iniziali (prevenzione primaria). Tuttavia, in numerosi RCT di grandi dimensioni l’utilizzo di un b-bloccante (in particolare l’atenololo) non ha dato maggiore protezione di altri far-maci contro il primo infarto miocardico (IM) ed è stato associato a un aumento del 16% statisticamente significativo nell’incidenza di ictus. Il fondamento logico di ciò è noto da molto tempo ma è stato apprezza-to solo di recente – i b-bloccanti abbassano la PA sistolica brachiale in modo simile, ma non riducono la pressione aortica efficacemente

Tabella 46.5 b loccanti adrenergici usati nel trattamento dell’ipertensione

inibitori neuronali periferici Reserpina Guanetidina* Guanadrel*

bloccanti adrenergici centrali Metildopa Clonidina Guanabenz* Guanfacina*

antagonisti dei recettori a-adrenergici Recettori a1 e a2

Fenossibenzamina* Recettori a1

Doxazosina Prazosina Terazosina

antagonisti dei recettori b-adrenergici Acebutolo Atenololo Betaxololo Bisoprololo Carteololo Metoprololo Nadololo* Penbutolo* Pindololo Propranololo Timololo

b-bloccanti vasodilatatori Carvedilolo Labetalolo Nebivololo

*Non disponibile in Italia.

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997come altri farmaci. Essi riducono la frequenza cardiaca e aumentano la resistenza periferica, cosicché il riflesso dell’onda arteriosa dalla periferia ritorna durante la sistole invece che durante la diastole.51 Di conseguenza, Lindholm et al. hanno concluso che “i b-bloccanti non devono essere più considerati [come] prima scelta per il trattamento dell’ipertensione primaria”.37

tipi di b-bloccanti

Negli Stati Uniti sono attualmente disponibili vari b-bloccanti (Fig. 46.9; disponibile in Italia il pindololo). Farmacologicamente, essi differisco-no in modo considerevole tra loro in quanto a grado di assorbimento, legame con le proteine e biodisponibilità. Tuttavia, le tre differenze più importanti relative al loro uso clinico sono la cardioselettività, l’attività simpaticomimetica intrinseca e la liposolubilità. Nonostante queste differenze, l’efficacia antipertensiva sembra più o meno equivalente.

Cardioselettività

La cardioselettività si riferisce all’efficacia bloccante relativa sui recettori b1-adrenergici del cuore comparata con quella sui recettori b2 presenti nei bronchi, nei vasi sanguigni periferici e altrove. Tale cardioselettività può essere facilmente dimostrata utilizzando piccole dosi in studi di breve durata; utilizzando dosi piuttosto alte per il trattamento dell’iper-tensione, parte di questa selettività si perde.

attività simpaticomimetica intrinseca

Alcuni di questi farmaci, quali il pindololo, hanno un’attività simpati-comimetica intrinseca, interagendo con i b-recettori per determinare una risposta agonista misurabile, ma bloccando nello stesso tempo i maggiori effetti agonisti delle catecolamine endogene.

liposolubilità

L’atenololo e il nadololo sono tra i b-bloccanti meno liposolubili, per cui sfuggono al metabolismo epatico e vengono escreti immodificati. Gli agenti liposolubili, ad esempio metoprololo e propranololo, sono captati e metabolizzati dal fegato e pertanto presentano una biodispo-nibilità maggiore dopo somministrazione endovenosa piuttosto che dopo somministrazione orale.

Meccanismo d’azione

Malgrado queste e altre differenze, i vari b-bloccanti oggi disponibili sono all’incirca equivalenti come agenti antipertensivi. Nella loro azione antipertensiva sono probabilmente coinvolti numerosi meccanismi. Per quelli senza attività simpaticomimetica intrinseca, la gittata cardiaca diminuisce del 15-20% e la liberazione di renina si riduce di circa il 60%. Contemporaneamente, i b-bloccanti abbassano la PA con vari mezzi e il blocco da loro esercitato sui recettori b-adrenergici periferici inibisce la vasodilatazione, lasciando i recettori a disponibili per la vasocostrizione

mediata dalle catecolamine. Con il tempo, comunque, le resistenze va-scolari tendono a tornare a valori normali, il che probabilmente preserva l’effetto antipertensivo della ridotta gittata cardiaca.

effetto clinico

Anche a piccole dosi, i b-bloccanti abbassano la PA in poche ore. Seb-bene siano somministrate in genere dosi progressivamente più elevate, uno studio accurato ha dimostrato un effetto quasi massimale già a bassi dosaggi. Benché i b-bloccanti abbiano effetti meno protettivi di altri farmaci antipertensivi per la prevenzione primaria, essi rimangono importanti per la protezione secondaria che conferiscono ai pazienti ipertesi con coronaropatia o scompenso cardiaco concomitanti. Dal momento che i b-bloccanti inibiscono l’attività simpatica, essi sono stati ampiamente utilizzati per ridurre le manifestazioni somatiche del-lo stress nei soggetti più diversi, dai violinisti ai piloti di auto da corsa. Tuttavia, la loro efficacia nei soggetti giovani, ipercinetici e ipertesi non è mai stata provata.

effetti collaterali

La maggior parte degli effetti collaterali dei b-bloccanti è correla-ta alla loro azione farmacologica maggiore, il blocco dei recettori b-adrenergici. Alcune patologie concomitanti possono peggiorare quando i recettori b-adrenergici sono bloccati, come le vasculopa-tie periferiche e il broncospasmo. L’effetto collaterale più comune è l’astenia, probabilmente conseguenza di una diminuzione della gittata cardiaca. I disturbi sessuali possono aumentare, mentre la depressione probabilmente no.

I b-bloccanti aumentano l’incidenza del diabete, presumibilmente attraverso una riduzione della sensibilità all’insulina a seguito di ridotta perfusione della muscolatura scheletrica da vasocostrizione periferica. I pazienti diabetici possono andare incontro a problemi ulteriori con i b-bloccanti, soprattutto con quelli non selettivi. Le risposte all’ipogli-cemia, sia i sintomi (tranne la sudorazione) sia le modificazioni della regolazione ormonale che aumentano i livelli della glicemia, sono parzialmente dipendenti dall’attività nervosa simpatica. I pazienti diabe-tici soggetti a ipoglicemia possono non accorgersi dei comuni segnali di pericolo (a eccezione della sudorazione) e possono non reagire abbastanza rapidamente.

L’uso dei b-bloccanti si associa a turbe del metabolismo delle lipo-proteine. Le sostanze non selettive causano un aumento dei trigliceridi e una riduzione dei livelli di colesterolo HDL con attività cardioprotettiva. Quando si interrompe improvvisamente un trattamento con b-bloccante possono verificarsi angina pectoris e IM, poiché il maggior numero di b-recettori che appaiono dopo il b-blocco è improvvisamente esposto all’attività nervosa simpatica. Poiché i pazienti con ipertensione sono più suscettibili alla coronaropatia, essi devono essere svezzati gradualmente e si deve prescrivere loro un adeguato trattamento con vasodilatatori coronarici.

Si raccomanda prudenza nell’impiego di b-bloccanti in pazienti con sospetto feocromocitoma (Capp. 45 e 86), poiché l’incontrastata azione agonista a-adrenergica può scatenare una grave crisi ipertensiva in presenza di questa malattia. In gravidanza, l’uso dei b-bloccanti è stato limitato a causa del riscontro di casi sporadici di diverse sofferenze fetali.

Quadro generale sui b-bloccanti nell’ipertensione

I b-bloccanti sono specificamente raccomandati ai pazienti ipertesi con concomitante malattia coronarica, soprattutto dopo infarto mio-cardico, insufficienza cardiaca congestizia o tachiaritmie (Tab. 46.3). Se si sceglie un b-bloccante, gli agenti più cardioselettivi hanno maggiori probabilità di determinare poche perturbazioni al metabolismo lipidico e dei carboidrati e una maggiore aderenza alla terapia grazie ai minori effetti collaterali (a eccezione della bradicardia). Sono disponibili formulazioni a lunga durata d’azione che consentono una sola som-ministrazione giornaliera.

b-BlOCCaNtI VasOdIlatatORI. L’associazione di un a-bloccante e di un b-bloccante in una singola molecola è disponibile sotto forma di labetalolo e carvedilolo, quest’ultimo approvato anche per il tratta-mento dello scompenso cardiaco. La caduta della pressione deriva

Figura 46.9 Classificazione degli antagonisti dei recettori b-adrenergici sulla base della cardioselettività e dell’attività simpaticomimetica intrinseca. I farmaci il cui uso per il trattamento dell’ipertensione non è approvato negli StatiUnitisonoincorsivo.ISA=attivitàsimpaticomimeticaintrinseca.

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998principalmente dalla diminuzione delle resistenze periferiche, senza o quasi diminuzione della gittata cardiaca. Gli effetti collaterali più fastidiosi sono legati all’ipotensione posturale. Il labetalolo dovrebbe essere somministrato due volte al giorno, ma è disponibile un farmaco a più lunga durata d’azione a base di carvedilolo. Il labetalolo per via endovenosa si utilizza per trattare le emergenze ipertensive.

Il nebivololo, il b1-bloccante più selettivo di questa famiglia di farmaci, esercita il suo effetto mediante generazione e rilascio di NO, con un contemporaneo effetto antiossidante.52 Può risultare particolarmente efficace nel trattamento di pazienti anziani con ipertensione sistolica isolata. Oltre a ridurre la rigidità aortica, come fanno altri b-bloccanti, esso riduce anche l’amplificazione della pressione sistolica centrale limitando la riflessione dell’onda dalla periferia.53

Vasodilatatori direttiVi sono tre farmaci che differiscono da quelli che determinano indi-rettamente la vasodilatazione, quali ACEI e ARB, i quali inibiscono un ormone vasocostrittore. L’idralazina è la sostanza di questo tipo più largamente usata. Il minoxidil è ancora più potente, ma di solito è riser-vato ai casi di ipertensione grave, refrattaria, associata a insufficienza renale. Il nitroprussiato, la nitroglicerina e alcuni CCB possono essere somministrati per via endovenosa per le crisi ipertensive (si veda il paragrafo “Terapia delle crisi ipertensive”).

IdRalazINa. L’idralazina, in associazione con un diuretico e un b-bloccante, è stata utilizzata spesso per il trattamento dell’iper-tensione grave. Il farmaco agisce direttamente rilassando le fibre muscolari lisce nei vasi precapillari di resistenza ed è quasi senza effetto sui vasi venosi postcapillari di capacitanza. Di conseguenza, la pressione sanguigna diminuisce per riduzione delle resistenze periferiche, ma una serie di processi compensatori, attivati dall’ar-co barorecettoriale arterioso, attenua la caduta della pressione e provoca effetti collaterali. Con l’uso concomitante di un diuretico per ovviare alla ritenzione idrica e di un bloccante adrenergico per prevenire l’aumento riflesso dell’attività simpatica e della renina, il vasodilatatore è più efficace e causa pochi, se non nessuno, effetti collaterali L’idralazina deve essere somministrata solamente due volte al giorno. La dose giornaliera deve essere mantenuta al di sotto dei 400 mg per prevenire la sindrome pseudolupica che compare nel 10-20% dei pazienti che ricevono dosi superiori. Questa reazione, sebbene fastidiosa per il paziente, è quasi sempre reversibile. La reazione è rara con dosi giornaliere di 200 mg o meno ed è più comune tra acetilatori lenti del farmaco.

MINOxIdIl. Questo farmaco provoca vasodilatazione tramite aper-tura dei canali del potassio nella muscolatura liscia vascolare. I suoi effetti emodinamici sono simili a quelli dell’idralazina, ma il minoxidil è ancora più efficace e può essere usato una sola volta al giorno. Esso è particolarmente utile nei pazienti con ipertensione grave e insufficienza renale. Ancor più che con l’idralazina, con il minoxidil è necessario utilizzare diuretici e antagonisti dei recettori adrenergici per prevenire

l’aumento riflesso della gittata cardiaca e della ritenzione idrica. Versa-menti pericardici sono comparsi in circa il 3% dei pazienti in cura con minoxidil, in alcuni senza insufficienza renale o cardiaca. Il farmaco provoca inoltre una profusa crescita di peli e capelli e un irsutismo facciale, che ne impedisce l’uso nelle donne.

CalCIO-aNtagONIstI. Questi farmaci sono tra le classi più utiliz-zate nel trattamento dell’ipertensione. Segnalazioni di numerosi effetti collaterali gravi dovuti al loro uso, soprattutto basate su studi osservazio-nali inficiati, sono state rigettate dai dati derivanti da molti RCT, tra cui lo studio ALLHAT, in cui gli eventi coronarici sono risultati i medesimi per i CCB come per i diuretici e gli ACEI e la mortalità per cause non CV è risultata sensibilmente inferiore nel gruppo dei pazienti trattati con CCB rispetto al gruppo dei diuretici o degli ACEI.38

Meccanismi d’azione

Tutti i CCB al momento disponibili interagiscono con lo stesso canale della membrana plasmatica voltaggio-dipendente di tipo L, ma a livello di diversi siti e con conseguenze diverse. Le diidropiridine (dihydropyri-dine, DHP) hanno una maggiore azione vasodilatatrice periferica, con lieve effetto sull’automatismo, sulla conduzione o sulla contrattilità cardiaca. Tuttavia, studi comparativi hanno evidenziato che i CCB non DHP, verapamil e diltiazem, che influenzano queste proprietà, sono anche efficaci antipertensivi e provocano minori effetti collaterali cor-relati alla vasodilatazione, quali le vampate e l’edema perimalleolare. Essi inducono una lieve bradicardia e vanno usati con cautela con un b-bloccante o nei pazienti con un disturbo di conduzione.

uso clinico

I CCB sono efficaci nei pazienti ipertesi di tutte le età e le razze. Negli RCT, rispetto al placebo i CCB DHP riducevano gli eventi cardiovascolari e i decessi (Tab. 46.6). Rispetto ad altre classi di farmaci, essi hanno un migliore effetto protettivo nei confronti dell’ictus, ma un effetto minore nei confronti dello scompenso cardiaco.54

È stato rilevato che i CCB sono risultati particolarmente efficaci nella prevenzione dell’ictus negli anziani ipertesi, forse perché tendono ad avere un maggiore effetto antipertensivo rispetto a quello osservato nei pazienti più giovani. Sembrano anche ridurre la pressione sangui-gna nei pazienti di razza nera più che in altri9 ma, con analoghi gradi di riduzione della PA, non presentano una migliore cardioprotezio-ne rispetto ai diuretici e agli ACEI (Tab 46.6). I CCB possono causa-re almeno una natriuresi iniziale, probabilmente per la produzione di una vasodilatazione renale afferente, che può ridurre la necessità di un trattamento diuretico concomitante. Diversamente dagli altri farmaci antipertensivi, la loro efficacia può essere ridotta, piuttosto che aumentata, da una contemporanea riduzione di sodio nella dieta; molti studi ben condotti dimostrano un incremento della loro efficacia con una terapia diuretica concomitante.

L’uso dei CCB è stato discusso in due importanti gruppi di ipertesi: i diabetici e i nefropatici. Riguardo all’uso dei CCB nei pazienti con diabete di tipo 2, un CCB DHP, la nitrendipina, ha fornito un’ottima protezione nei soggetti arruolati nello studio Systolic Hypertension in

Tabella 46.6 Studi comparativi randomizzati controllati sull’ipertensione – Hazard ratio (iC al 95%)*

TeraPia iCTuS COrONarOPaTiaSCOMPeNSO CarDiaCO eVeNTi CV MOrTe CV

MOrTaliTÀ TOTale

ACEI vs placebo 0,84 (0,72-0,97) 0,79 (0,71-0,88) 0,82 (0,69-0,96) 0,78 (0,71-0,85) 0,80 (0,68-0,93) 0,88 (0,81-0,96)

CCB vs placebo 0,65 (0,55-0,78) 0,83 (0,67-1.03) 0,99 (0,53-1,86) 0,81 (0,70-0,94) 0,75 (0,59-0,96) 0,88 (0,74-1,04)

ACEI vs D/bB 1,09 (0,96-1,24) 0,97 (0,90-1,05) 0,94 (0,55-1, 59) 1,02 (0,97-1,08) 1,03 (0,95-1,11) 0,94 (0,80-1,11)

CCB vs D/bB 0,92 (0,85-0,99) 1,02 (0,96-1,09) 1,27 (1,01-1,61) 1,04 (0,97-1,08) 1,05 (0,97-1,15) 0,95 (0,87-1,03)

ACEI vs CCB 1,08 (0,91-1,28) 0,83 (0,65-1,05) 0,84 (0,75-0,95) 0,95 (0,86-1,04) 1,03 (0,83-1,27) 1,04 (0,94-1,15)

DaTurnbullF,NealB,AlgertC,etal:Effectsofdifferentbloodpressure-loweringregimensonmajorcardiovasculareventsinindividualswithandwithoutdiabetesmellitus.Resultsofprospectivelydesignedoverviewsofrandomizedtrials.ArchInternMed165:1410,2005;eVerdecchiaP,ReboldiG,AngeliF,etal:Angiotensin-convertingenzymeinhibitorsandcalciumchannel blockers for coronary heart disease and stroke prevention. Hypertension 46:386, 2005.

*Gli studi inseriti in queste due metanalisi contenevano alcune differenze. Nel rapporto di Turnbull et al. erano presenti 27 studi dal 1985 al 2003, comprendenti endpoint per l’insufficienza cardiaca congestizia e la mortalità; nel rapporto di Verdecchia et al. erano presenti 29 studi dal 1996 al 2004 che confrontavano ACEI e CCB nella prevenzione di cardiopatia coronarica e ictus soltanto.

D/bB = diuretico/b-bloccante; IC = intervallo di confidenza.

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999Europe (Syst-Eur), anche migliore rispetto a quella offerta dai diuretici nello studio SHEP. Un trattamento a base del CCB DHP felodipina ha dato una riduzione del 51% dei principali eventi CV su 1.501 pazienti diabetici arruolati nello studio HOT.54a Fra i quasi 12.000 diabe-tici dello studio ALLHAT, il CCB amlodipina è risultato protettivo al pari degli ACEI e dei diuretici.38

Riguardo all’uso dei CCB nei nefropatici, gli esperti ritengono che un ACEI o un ARB debba essere il farmaco di prima scelta. Per mantene-re il grado di riduzione della PA necessario a proteggere tali pazienti in modo massimale, sono quasi sempre necessari altri farmaci. Un CCB è una scelta appropriata come terzo far-maco, con un diuretico come secondo. Sulla base di una maggiore riduzione nella protei-nuria osservata con i CCB non DHP piuttosto che con i CCB DHP, alcuni pensano che si do-vrebbero usare i primi.55 Comunque, l’aggiunta di un CCB DHP non interferisce con l’effetto di nefroprotezione dell’ACEI o dell’ARB.56 Inoltre, nell’ALLHAT la funzione renale, valutata trami-te il GFR stimato, è risultata meglio preservata dai CCB DHP che dai diuretici o dagli ACEI.38

effetti collaterali

Gli effetti indesiderati precludono la somministrazione di questi farmaci in circa il 10% dei pazienti. La maggior parte degli effetti collaterali – cefalea, vampate, edema perimalleolare – deve essere correlata alla vasodilatazione che questi farmaci producono. Con le formulazioni a lento rilascio e a più lunga durata, gli effetti collaterali vasodilatatori sono ridotti. In alcuni pazienti, l’effetto antipertensivo dei farmaci a breve durata d’azione, soprattutto la nifedipina liquida, può essere così marcato da ridurre il flusso ematico e indurre ischemia a carico degli organi vitali, tanto da doverne sospendere l’uso. La riduzione di eventi coronarici in grandi RCT con DHP a lunga durata d’azione costituisce la migliore prova della sicurezza di questi farmaci.54 I CCB potrebbero essere gli unici farmaci antipertensivi la cui efficacia ipotensiva non è ridotta dai FANS.

Quadro generale sui calcio-antagonisti

Rispetto ad altre classi di farmaci, i CCB riducono in maniera similare il rischio di coronaropatia, proteggono di più contro l’ictus ma meno contro lo scompenso cardiaco, e hanno effetti simili sulla mortalità globale.54a Sono efficaci e in genere ben tollerati in tutto lo spettro degli ipertesi, con alcune peculiarità: coesistenza di angina e uso di ciclospo-rina o FANS. Se scelti, un DHP di seconda generazione, intrinsecamente a lunga durata d’azione come l’amlodipina, sembra essere la scelta migliore, perché mantiene un migliore controllo della PA nelle prime ore critiche del mattino e per tutto il giorno successivo se il paziente dimentica di assumere una dose. I CCB bradicardizzanti, quali verapamil o diltiazem, sono preferibili in talune circostanze.

Inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosteroneINIBItORI dell’eNzIMa dI CONVeRsIONe dell’aNgIOteN-sINa. L’attività del sistema renina-angiotensina può essere inibita in quattro modi, e tutti possono essere applicati clinicamente (Fig. 46.10). Il primo, l’uso di antagonisti dei recettori b-adrenergici per inibire il rilascio di renina, è stato discusso in precedenza. Il secondo, un farmaco che inibisce direttamente l’attività della renina, è ora disponibile.57 Il terzo, l’inibizione dell’enzima di conversione del decapeptide inattivo angiotensina I (A I) nell’octapeptide attivo angiotensina II (A II), è am-piamente utilizzato con la somministrazione orale degli ACEI. Il quarto, blocco dell’azione dell’angiotensina tramite un antagonista competitivo del recettore, è alla base della classe di farmaci antipertensivi a più

rapido sviluppo – gli ARB. Gli ARB possono offrire ulteriori benefici, in particolare l’assenza di tosse che spesso accompagna gli ACEI, così come il minore angioedema. Gli ARB e i DRI verranno trattati dopo gli ACEI.

Meccanismo d’azione

Il primo di questi ACEI, il captopril, è stato sintetizzato come un inibi-tore specifico dell’ACE che nella via classica spezza il legame pepti-dildipeptidico dell’angiotensina I, impedendo all’enzima di aderire alla struttura dell’A I e di scinderla. Poiché l’A II non può formarsi e l’A I è inattiva, l’ACEI paralizza il classico sistema renina-angiotensina, sopprimendo così gli effetti della maggior parte dell’A II endogena, sia quello vasocostrittore sia quello stimolante la sintesi dell’aldosterone. È interessante come, con l’uso cronico degli ACEI, i livelli plasmatici dell’angiotensina II ritornino ai valori precedenti, mentre la pressione arteriosa resta bassa,58 a suggerire che l’effetto antipertensivo possa coinvolgere altri meccanismi. Lo stesso ACE che converte l’A I in A II è anche responsabile dell’inattivazione dell’ormone vasodilatatore bra-dichinina. Inibendo la rottura della bradichinina, gli ACEI aumentano la concentrazione di un ormone vasodilatatore, mentre diminuiscono la concentrazione di un ormone vasocostrittore. L’aumento dei livelli plasmatici delle chinine può contribuire alla vasodilatazione e ad altri effetti benefici degli ACEI, ma è anche probabilmente responsabile degli effetti collaterali più comuni e fastidiosi, la tosse secca e stizzosa e, meno frequentemente, l’angioedema. Indipendentemente dal loro meccanismo d’azione, gli ACEI riducono la pressione arteriosa soprat-tutto riducendo le resistenze periferiche, con effetto scarso o nullo sulla frequenza e sulla gittata cardiaca o sulla volemia, fatto che probabilmen-te riflette la conservazione dei riflessi barocettivi. Con il ripristino della vasodilatazione endotelio-dipendente, le arterie di resistenza diventano meno ispessite e più responsive.

uso clinico

Nei pazienti con ipertensione primaria non complicata, gli ACEI in monoterapia hanno effetti antipertensivi uguali a quelli delle altre classi, ma sono meno efficaci nelle persone di colore e negli anziani, forse perché questi tendono ad avere livelli più bassi di renina. L’aggiunta di un diuretico migliora l’efficacia di un ACEI. Fatto più importante, la terapia a base di ACEI ha fornito una protezione significativa contro le patologie CV e la morte rispetto al placebo e pressoché comparabile, se non migliore, ad altre classi di farmaci (Tab. 46.6). Nello studio ALLHAT che ha coinvolto principalmente soggetti ipertesi anziani e ad alto rischio, la terapia basata sugli ACEI è generalmente risultata analoga a quella diuretica o con CCB tranne che rispetto all’ictus nei pazienti di

Figura 46.10 Sistema renina-angiotensina-aldosterone e quattro siti nei quali è possibile inibirne l’atti-vità.CE=enzimadiconversione;JG=cellulejuxtaglomerulari.

Ca

pitolo

46

1000razza nera arruolati nello studio, probabilmente a causa di una minore efficacia antipertensiva.38 Gli ACEI sono risultati incredibilmente efficaci nel trattamento degli ipertesi (e dei non ipertesi) con patologia corona-rica o insufficienza cardiaca congestizia (Capp. 55 e 28). Un’altra area in cui essi sono diventati il farmaco di scelta è quella della nefropatia cronica, diabetica o non diabetica. Gli alti livelli di renina, aumentando nelle cellule juxtaglomerulari delle arteriole renali afferenti, si riversano nei glomeruli e nelle arteriole efferenti, fornendo agli ACEI (e agli ARB e DRI) la possibilità di dilatare in modo selettivo questi vasi e di ridurre la pressione intraglomerulare più efficacemente rispetto ad altre classi di farmaci. Questi effetti emodinamici possono ridurre la perfusione renale e la filtrazione glomerulare. Tuttavia, dato che gli aumenti acuti della creatinina sierica, oltre il 30%, che si stabilizzano nei primi due mesi di terapia con ACEI sono associati a migliore nefroprotezione a lungo termine, questi non devono indurre la sospensione del farmaco.59 D’altra parte, uno studio osservazionale retrospettivo ha riferito insufficienza renale dopo utilizzo prolungato di un ACEI in soggetti diabetici.60 Se, oltre al loro effetto antipertensivo, gli ACEI (e gli ARB e DRI) forniscano una protezione renale (e cardiaca) è ancora dibattuto.

Il problema è stato studiato soprattutto in pazienti con proteinuria, poiché essa è facile da misurare. Studi controllati suggeriscono che gli effetti antiproteinurici di un ACEI sono direttamente correlati all’ef-fetto antipertensivo, anche se mancano dati adeguati di conferma. Questi farmaci hanno un duplice ruolo nei pazienti con ipertensione nefrovascolare: da una parte, di solito controllano efficacemente la pressione arteriosa; dall’altra, la riduzione degli alti livelli di A II che essi provocano può privare il rene stenotico della regolazione ormonale del suo flusso sanguigno, causando quindi un marcato declino della perfusione renale, a tal punto che i pazienti con un solo rene o con malattia renale bilaterale possono sviluppare insufficienza renale acuta e, talvolta, persistente.

effetti collaterali

La maggior parte dei pazienti che assume un ACEI non subisce né gli effetti collaterali né i cambiamenti biochimici che spesso accompagna-no altri farmaci, il che è forse ancora più interessante, benché non così ovvio come l’aumento dei lipidi, della glicemia o dell’acido urico o la riduzione della potassiemia. Gli ACEI possono avere effetti collaterali sia specifici sia aspecifici. Tra quelli specifici vi sono rare forme di rash, perdita del gusto e leucopenia. Inoltre, essi possono dare reazioni di ipersensibilità con edema angioneurotico, soprattutto nei neri, o tosse, in particolare negli asiatici.61 La tosse si accompagna raramente a una disfunzione polmonare, ma può non scomparire prima di 3 settimane dopo la sospensione degli ACEI. Se la tosse compare in un paziente che necessita di un ACEI, questo va sostituito con un ARB o un DRI. L’angioedema si verifica più spesso nei diabetici che assumono sia un glitazone sia un ACEI. Ciascun farmaco inibisce un enzima responsabi-le della degradazione rispettivamente della sostanza P, della dipeptil peptidasi-4 e di un ACE. L’aumento dell’angioedema è stato attribuito a livelli più elevati di sostanza P.62

Un altro serio problema dovuto ad ACEI e ARB è il loro effetto sul feto delle donne che li assumono in gravidanza. L’interferenza con lo sviluppo renale è stata da tempo riconosciuta con l’assunzione nel secondo e terzo trimestre di gravidanza. Ancora più preoccupante è la possibilità che il loro uso durante il primo trimestre possa determinare gravi malformazioni cardiache e a carico del sistema nervoso centra-le.63 Se ciò fosse ulteriormente documentato, potrebbe limitare l’uso di questi farmaci in tutte le donne in età fertile. L’efficacia antipertensiva degli ACEI può essere ridotta da elevate dosi di aspirina (300 mg) e dalla maggior parte dei FANS. I pazienti con insufficienza renale o quelli che assumono integratori di potassio o risparmiatori di potassio possono non essere in grado di eliminare il carico di potassio e quindi corrono il rischio di sviluppare iperkaliemia.

Quadro generale degli aCeI

Il razionale per l’uso degli ACEI nel trattamento dell’ipertensione si è gradualmente esteso oltre la loro comprovata efficacia come agenti antipertensivi. In particolare, essi hanno dimostrato di fornire vantaggi particolari in tre importanti gruppi di pazienti: quelli affetti da scompen-so cardiaco, da ischemia coronarica o da nefropatia. Per questi pazienti,

essi sono i farmaci di scelta (Tab. 46.3). Inoltre, le evidenze fornite dallo studio Heart Outcomes Prevention Evaluation (HOPE) hanno portato alla raccomandazione che un ACEI debba essere somministrato a tutti i pazienti ad alto rischio per malattia coronarica, ipertesi e non.64 Nono-stante nello studio ALLHAT una terapia a base di ACEI non sia risultata più efficare dei diuretici o dei CCB,38 i particolari benefici dimostrati dagli ACEI ne assicurano un uso via via maggiore. Anche se gli ACEI sono diventati sempre più popolari e meno costosi, la loro posizione è stata minacciata dalla commercializzazione aggressiva degli ARB, sostanze che agiscono in un sito più a valle del sistema renina-angiotensina.

BlOCCaNtI del ReCettORe dell’aNgIOteNsINa II

Meccanismi d’azione

Gli ARB spiazzano l’A II dai recettori specifici A II di tipo 1 (AT1), antago-nizzandone tutti gli effetti conosciuti e avendo come risultato una caduta dose-dipendente delle resistenze periferiche e piccole variazioni della frequenza o della gittata cardiaca. Come conseguenza dello spiazza-mento competitivo, i livelli circolanti di angiotensina II aumentano e nel contempo il blocco del meccanismo renina-angiotensina è più completo, comprendendo tutta l’angiotensina II che viene generata dalle vie che non interessano l’ACE. Non è stato osservato alcun effetto evidente, posi-tivo o negativo, dell’aumento dei livelli di A II (insieme con più alti livelli di renina, come osservato con gli ACEI e i DRI). La più grande differenza apprezzabile tra ARB e ACEI è l’assenza dell’aumento dei livelli di chinina e sostanza P che possono essere responsabili di alcuni tra gli effetti van-taggiosi degli ACEI e probabilmente ancor più dei loro effetti collaterali. Un confronto diretto tra le due classi di farmaci ha mostrato una lieve differenza nell’efficacia antipertensiva.65 Gli ARB non provocano tosse, sebbene siano stati descritti casi di angioedema.66 Il losartan ha un effetto uricosurico non osservabile con altri ARB. Come per gli ACEI, gli ARB possono migliorare la disfunzione endoteliale e correggere la struttura alterata delle arterie di resistenza nei pazienti con ipertensione.

uso clinico

Alle dosi consigliate, tutti e sei gli ARB attualmente disponibili hanno un’efficacia antipertensiva simile e tutti sono potenziati dall’aggiunta di un diuretico. La curva dose-risposta è abbastanza piatta per tutti. Gli ARB hanno dimostrato di avere effetti protettivi CV e renali uguali, se non superiori, ad altre classi di farmaci antipertensivi.67 L’aggiunta di un ARB a una dose massimale presunta di ACEI non ha mostrato alcun aumento dell’effetto antipertensivo, ma aumenta la disfunzione renale.68 La terapia a base di ARB è in grado di ridurre la progressione del danno renale nei pazienti con diabete di tipo 2 e nefropatia (il Capitolo 28 ne descrive l’uso nello scompenso cardiaco).

effetti collaterali

A prescindere dalla maggiore o minore efficacia rispetto agli ACEI, gli ARB sono più semplici da assumere. In vari studi clinici, gli effetti colla-terali non risultavano in genere superiori rispetto a quelli del placebo, e i farmaci sono stati meglio tollerati rispetto ad altri agenti antipertensivi. Tossicità fetale, iperkaliemia, ipotensione e compromissione renale sono state quasi certamente notate in modo occasionale, in quanto conseguenze attese del blocco del meccanismo renina- angiotensina, ma finora non sono emersi gravi eventi. Il loro superiore profilo di tollerabilità ha suggerito l’utilizzo di uno, il candesartan, nello studio TROPHY sul trattamento della preipertensione.5

Quadro generale sui bloccanti del recettore dell’angiotensina II

Come testimoniato dalla rapida crescita di utilizzo degli ARB, sembra che essi vengano prescritti per molti più pazienti del 10% circa di in-tolleranti agli ACEI.

INIBItORI dIRettI della ReNINa. Un DRI, l’aliskiren, è stato ora approvato per il trattamento dell’ipertensione. Sebbene il suo assorbimento e la sua biodisponibilità siano limitati (3%), l’aliskiren funziona per la sua elevata solubilità in acqua, elevata specificità per il sito enzimaticamente attivo della renina umana e prolungata emivita (40 ore) e per la sua metabolizzazione minima.69 È probabile che altri DRI efficaci per via orale seguano l’aliskiren (Cap. 45).

iperten

sion

e sistem

iCa

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apia

1001Meccanismo d’azione

L’apparato juxtaglomerulare renale secerne prorenina, che si converte con un processo enzimatico in renina attiva, principalmente nel rene. La renina scinde l’A I costituita da 10 aminoacidi dal substrato proteico angiotensinogeno. L’aliskiren blocca il sito catalitico della renina, ridu-cendo la formazione di A I e la sua generazione di A II, determinando un calo della PA. I ridotti livelli di angiotensina I e II ostacolano l’inibizione della secrezione di prorenina dall’apparato juxtaglomerulare, così da aumentare i livelli di prorenina e renina. Si ritiene che, finché l’aliskiren blocca l’azione catalitica di prorenina e renina, la PA continuerà a scen-dere. Tuttavia, dal punto di vista sperimentale, la prorenina può legarsi al suo relativo recettore in vari tessuti dove esercita effetti profibrotici, senza alcuna interferenza da parte dell’aliskiren.70 Per di più, nei topi transgenici con livelli di prorenina notevolmente aumentati, non si è verificato alcun aumento di fibrosi tissutale, nonostante lo sviluppo di ipertensione.71 Quindi, gli eventuali benefici e i rischi potenziali di un DRI rimangono incerti.

efficacia antipertensiva

L’aliskiren riduce la PA e l’ipertrofia ventricolare sinistra. La sua combi-nazione con un ARB sembra fornire un ulteriore effetto antipertensivo e una protezione d’organo.72 La base razionale dell’associazione è il potenziale degli enzimi non reninici, quali catepsina D e chimasi, di generare A I e A II che non saranno inibiti dai DRI. A eccezione di aumenti transitori e non inattesi della potassiemia, l’aliskiren è risultato benigno come gli ARB. Come gli ACEI e gli ARB, i DRI sono controindi-cati in gravidanza.

Ruolo nella terapia dell’ipertensione

L’aliskiren ha suscitato notevoli entusiasmi, è l’unico nuovo farmaco antipertensivo introdotto in più di un decennio,72 ma non tutti non sono così entusiasti. Come evidenziato da Birkenhager e Staessen, “nessuna nuova classe di antipertensivi dovrebbe diventare di uso routinario in assenza di dati prognostici chiari. Questo vale necessa-riamente ancora di più per la duplice inibizione del sistema reninico, che espone i pazienti a iperkaliemia e insufficienza renale”.73 Può darsi che alla fine questo aspetto sarà dimostrato come vero, ma in questa fase la prudenza deve necessariamente prevalere sui facili entusiasmi.

altri farmaciL’uso dei primi della più promettente nuova classe di farmaci, gli inibi-tori dell’endopeptidasi neutra, è gravato da un’alta incidenza di angioe-dema. Alcuni vecchi vasodilatatori ora usati ampiamente per l’ischemia coronarica, l’isosorbide dinitrato e la trinitroglicerina transdermica, riducono la PA efficacemente, ma probabilmente non sono stati testati in trial rigorosi a causa della mancanza di sponsor commerciali. Le statine hanno un effetto antipertensivo lieve ma significativo.32 I glita-zoni, il sildenafil, i progestinici con attività antimineralocorticoide, gli uricosurici e altre sostanze potrebbero avere effetti benefici dal punto di vista antipertensivo. Altri attualmente in fase di sviluppo saranno probabilmente aggiunti all’elenco.

Considerazioni terapeutiche specialisOsPeNsIONe del faRMaCO. Circa il 20% dei pazienti trattati con ipertensione ben controllata è in grado di mantenere una condizione di normotensione fino a 1 anno dopo la sospensione dei farmaci. Considerando quanto possa essere difficile raggiungere un controllo adeguato, la sospensione non sembra opportuna se il trattamento non causa effetti avversi.

IPeRteNsIONe ResIsteNte. Vi sono numerosi fattori alla base della resistenza alla terapia, solitamente definita come l’impossibilità di abbassare la pressione arteriosa diastolica al di sotto di 90 mmHg nono-stante l’uso di tre o più farmaci, compreso un diuretico (Tab. 46.7).74 I pazienti spesso non rispondono bene perché non assumono i farmaci. Spesso trascurata è l’inerzia del medico nel modificare la terapia, pro-

blema superabile in particolare con un’assistenza sanitaria integrata che preveda un’adeguata sorveglianza.

Quella che sembra essere una risposta scarsa sulla base di misu-razioni della pressione arteriosa effettuate nello studio medico può rivelarsi adeguata se vengono effettuate misurazioni ambulatoriali o domiciliari. Vari fattori – quali apnea ostruttiva notturna75 o, più comu-nemente, sovraccarico di volume dovuto ad assunzione inadeguata di diuretico o eccessiva di sodio alimentare – possono spiegare una risposta scarsa nonostante l’assunzione regolare del farmaco. Dosi maggiori, diuretici più potenti o piccole dosi di un bloccante dell’al-dosterone riescono spesso a tenere sotto controllo un’ipertensione resistente.

IPeRteNsIONe NeI BaMBINI. Non si sa quasi nulla riguardo agli effetti della somministrazione a lungo termine dei vari farmaci antiperten-sivi nei bambini. In assenza di dati adeguati, è consigliabile un approccio simile a quello utilizzato per gli adulti.76 È bene porre l’accento sulla necessità di ridurre il peso nei piccoli ipertesi obesi, nella speranza di ottenere un controllo dei valori pressori senza terapia farmacologica.

Tabella 46.7 C ause di risposta insoddisfacente alla terapia

Pseudoresistenza“Effetto camice bianco” o aumenti dei valori nello studio medicoPseudoipertensione negli anziani

Mancata osservanza della terapiaEffetti collaterali del farmacoCosto del farmacoCarenza di assistenza primaria consistente e continuativaSchemi di dosaggio scomodi e caoticiIncomprensione delle istruzioniEducazione non adeguata dei pazientiDemenza (ad es. deficit mnesico)

Cause correlate al farmacoDosi troppo basseAssociazioni inappropriate (ad es. due bloccanti adrenergici centrali)Inattivazione rapida (ad es. idralazina)Interazioni farmacologiche

Farmaciantinfiammatori non steroidei

Simpaticomimetici Decongestionanti nasali Anoressizzanti Cocaina Caffeina Antidepressivi

Contraccettivi orali

Steroidi adrenaliniciLiquirizia (tabacco da masticare)CiclosporinaEritropoietinaColestiraminaInibitori delle monoaminossidasi

Marcata ipovolemia con stimolazione della renina e dell’aldosteroneIpokaliemia (spesso indotta dai diuretici)Rebound dopo sospensione di clonidina

Condizioni associateFumoObesità crescenteApnea notturnaInsulino-resistenza o iperinsulinemiaAssunzione di etanolo superiore a 28,35 g/die (oltre tre bicchieri)Iperventilazione da ansia o attacchi di panicoDolore cronicoVasocostrizione intensa (fenomeno di Raynaud, arteriti)

ipertensione secondariaInsufficienza renaleIpertensione nefrovascolareFeocromocitomaAldosteronismo primario

Sovraccarico di volumeEccessivo apporto di sodioDanno renale progressivo (nefrosclerosi)Ritenzione idrica correlata a riduzione della pressione arteriosaInadeguata terapia con diuretici

Ca

pitolo

46

1002IPeRteNsIONe IN gRaVIdaNza. (Cap. 82)

IPeRteNsIONe NeglI aNzIaNI. Alcuni anziani possono pre-sentare valori pressori elevati se misurati con lo sfigmomanometro, ma un’ipertensione minore o valori normali se la pressione viene misurata con metodo diretto intra-arterioso; in questo caso si parla di pseudoipertensione dovuta alla rigidità delle arterie che non collas-sano sotto il bracciale.

Se la pressione sistolica è superiore a 160 mmHg da sola o con livelli diastolici al di sopra di 90 mmHg, un’attenta riduzione della PA mediante un diuretico associato a un ACEI (se necessario per ottenere l’obiettivo di 150 mmHg di sistolica) è in grado di ridurre gli eventi CV nei pazienti fino agli 80 anni e oltre.8 Nel complesso, i CCB riducono la PA e il rischio di ictus più efficacemente degli ACEI54 (Tab. 46.8).

È necessaria cautela poiché gli anziani possono avere una serie di problemi con i farmaci (Tab. 46.9).

Alla luce della ridotta efficacia del riflesso barocettore e dell’inca-pacità delle resistenze periferiche di aumentare adeguatamente con la stazione eretta, l’ipotensione posturale deve essere attentamente ricer-cata e, se presente, risolta prima di iniziare la terapia antipertensiva.77 Tutti i farmaci devono essere somministrati aumentando lentamente la dose per prevenire l’eccessivo abbassamento della PA.

IPeRteNsIONe NeglI INdIVIduI dI COlORe. I neri soffrono di più di ipertensione e del danno d’organo da essa derivante, in parti-colare ictus e danno renale. Può rendersi necessario iniziare prima la terapia e portarla avanti in maniera più vigorosa.

I soggetti di colore, come gli anziani, tendono a rispondere meglio ai diuretici o ai CCB in monoterapia, poiché entrambi i gruppi tendono ad avere livelli più bassi di renina e quindi a rispondere meno ai farmaci renino-inibenti. Essi hanno inoltre più angioedema con gli ACEI ma tosse di entità non superiore agli individui non di colore (si vedano anche Fig. 2.3 e Tab 2.1).61

IPeRteNsIONe e dIaBete. Un’attenzione particolare va riservata ai diabetici ipertesi (Cap. 64). Le due condizioni coesistono comunemente e moltiplicano il rischio cardiovascolare di ciascuna. Fortunatamente, i dati provenienti da vari studi hanno ora documentato la protezione fornita dal controllo intensivo dell’ipertensione, in accordo con il tratta-mento del diabete e della dislipidemia che solitamente si accompagna-no. La maggior parte dei pazienti diabetici e ipertesi necessita di due o più farmaci antipertensivi per ridurre la PA al di sotto di 130/80 mmHg.78 I benefici di questo controllo intensivo sono stati chiaramente docu-mentati in un follow-up a 13,3 anni su 160 pazienti con diabete di tipo 2 e ipertensione con microalbuminuria.79 La metà è stata trattata in maniera più intensiva e i rischi di manifestare un evento CV, nefropatia, retinopatia oppure neuropatia autonomica si sono ridotti del 50% o più. In presenza di proteinuria si deve aggiungere un ACEI e/o un ARB. Possono essere necessari un diuretico e un DHP a lunga durata d’azione. Si raccomanda di tenere presenti gli effetti della combinazione tra un ACEI e il glitazone, che aumenta i livelli di sostanza P.62

IPeRteNsIONe e IMPOteNza. La disfunzione erettile è frequente nei pazienti ipertesi, ancora di più nei soggetti che sono anche diabetici. Il problema può essere esacerbato dalla terapia diuretica, anche in dosi adeguatamente basse. Fortunatamente, gli inibitori della 5-fosfodiestera-si solitamente ripristinano la capacità erettile, anche in presenza di vari farmaci antipertensivi, senza che si verifichi una maggiore probabilità di effetti sfavorevoli rispetto ai soggetti che non ricevono la terapia antipertensiva (a eccezione dei nitrati).

IPeRteNsIONe e CaRdIOPatIa. Tutti i farmaci che riducono la PA determinano una regressione dell’IVS, a eccezione dei vasodilatatori diretti puri. Risultati migliori e ugualmente efficaci si sono visti con ACEI, ARB e CCB, mentre si è evidenziata una minore regressione con i diuretici e i b-bloccanti.

Coronaropatia

Le linee guida messe a punto da un comitato di esperti dell’American Heart Association hanno raccomandato i seguenti obiettivi pressori: meno di 140/90 mmHg per la prevenzione generica della coronaropatia (CAD), meno di 130/80 mmHg per un elevato rischio di CAD, compresa angina stabile, e meno di 120/80 mmHg per la disfunzione sistolica o diastolica ventricolare sinistra.80

scompenso cardiaco

Gli anziani ipertesi hanno un’elevata prevalenza di disfunzione diasto-lica del ventricolo sinistro (VS), presente nel 25,8% di 2.545 pazienti studiati in Italia.81 Vi sono dati insufficienti sui benefici del trattamento della disfunzione diastolica del VS, ma l’evidenza disponibile sul trat-tamento della disfunzione sistolica è inequivocabile.

Il blocco dell’aldosterone è particolarmente indicato per i pazienti post-IM con disfunzione del VS.

fibrillazione atriale

L’aritmia cardiaca più comune, la fibrillazione atriale (FA), è ancora più comune nei pazienti ipertesi. Al termine di una ricerca sulla letteratura disponibile, Novo et al.82 hanno affermato che “benché numerosi studi e metanalisi abbiano sostenuto i vantaggi del blocco del RAS [sistema renina-angiotensina] nel prevenire l’insorgenza della FA, allo stato attua-le è prematuro raccomandare l’uso di ACEI e ARB per la prevenzione specifica della FA”.

IPeRteNsIONe e MalattIa CeReBROVasCOlaRe. In quanto causa più diretta di ictus, via via che la popolazione invecchia l’iper-tensione causa addirittura più ictus che attacchi cardiaci (Cap. 62). La riduzione della pressione arteriosa elevata protegge dall’ictus più che dall’attacco cardiaco.7 Tuttavia, se si verifica un ictus trombotico e la PA è elevata, come di solito avviene, regna l’incertezza circa l’opportunità o meno di ridurla, poiché una riduzione della PA può estendere l’ischemia cerebrale riducendo il flusso sanguigno e la perfusione cerebrale. I pazienti idonei per la trombolisi endovenosa devono avere una PA sistolica inferiore a 185 mmHg o diastolica di 110 mmHg; se la PA è più elevata, è necessario somministrare una

Tabella 46.9 P ossibili cause dell’aumento dei rischi

della terapia farmacologica dell’ipertensione negli anziani

CauSa POTeNZiali COMPliCaNZe

Attività barorecettoriale ridotta Ipotensione ortostatica

Volume intravascolare ridotto Ipotensione ortostatica, disidratazione

Sensibilità all’ipokaliemia Aritmia, debolezza muscolare

Ridotta funzionalità epatica e renale

Accumulo di farmaci

Polifarmacoterapia Interazioni farmacologiche

Modificazioni a carico del sistema nervoso centrale

Depressione, stato confusionale

Tabella 46.8 r CT sul trattamento degli ipertesi al di sotto vs al di sopra dei 65 anni di età

FarMaCODiFFereNZa

iN PaS/PaD (MMHg)riSCHiO relaTiVO

(iC al 95%)

aCei vs placebo Età <65 anni –4,6/–2,1 0,76 (0,66-0,88) Età >65 anni –4,2/–2,0 0,83 (0,74-0,94)

CCb vs placebo Età <65 anni –7,2/–2,9 0,84 (0,54-1,31) Età >65 anni –9,3/–3,8 0,74 (0,59-0,92)

PAD = pressione arteriosa diastolica; PAS = pressione arteriosa sistolica.

DatitrattidaBloodPressureLoweringTreatmentTrialists’Collaboration;TurnbullF,NealB,NinomiyaT,etal:Effectsofdifferentregimenstolowerbloodpressureonmajorcardiovascular events in older and younger adults: meta-analysis of randomised trials. BMJ 336:1121, 2008.

iperten

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e sistem

iCa

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apia

1003terapia antipertensiva in modo da raggiungere tali livelli pressori.83 A seguito di ictus, la riduzione dell’ipertensione riduce indiscutibilmente la possibilità di recidive.

aNestesIa NeI PazIeNtI IPeRtesI. In assenza di disfunzione cardiaca significativa o di altro danno d’organo, l’ipertensione aggiunge poco al rischio cardiovascolare della chirurgia. Se possibile, comunque, l’ipertensione deve essere ben controllata per mezzo dei farmaci prima dell’anestesia (Cap. 85) e dell’intervento, per ridurre il rischio di ischemia miocardica. Quindi, i pazienti devono continuare ad assumere i farmaci antipertensivi, se necessario utilizzando formulazioni transdermiche o endovenose, purché l’anestesista ne sia informato e possa prendere le opportune precauzioni per prevenire ampie oscillazioni della PA. Si è riscontrato che l’uso di un b-bloccante poco prima dell’intervento volto a ridurre gli eventi cardiaci nei pazienti ad alto rischio aumenta il rischio di ictus e la mortalità84; invece, se iniziato 7 giorni prima dell’intervento con lenta titolazione, può risultare protettivo.85

terapia delle crisi ipertensiveQuando la pressione diastolica supera i 140 mmHg, è sperimentalmente dimostrabile un danno rapidamente progressivo del sistema vascolare arterioso; un aumento del flusso sanguigno cerebrale può portare ra-pidamente a encefalopatia (Cap. 45). Se valori così alti persistono o se vi è qualche segno di encefalopatia, la pressione deve essere abbassata usando farmaci per via parenterale nei pazienti considerati in imme-diato pericolo, oppure farmaci per via orale in quelli che sono vigili e che non presentano altre malattie acute.

A tal fine, sono ora disponibili molti farmaci (Tab. 46.10). Se la pressione diastolica supera i 140 mmHg e il paziente presenta com-plicanze, come una dissecazione aortica, un’infusione continua di nitroprussiato è la soluzione più efficace e quasi sempre abbassa la pressione al livello desiderato. È imperativo un costante monitoraggio per via intra-arteriosa, poiché una dose leggermente superiore può abbassare bruscamente la PA a livelli che inducono shock. La potenza

e la rapidità d’azione del nitroprussiato ne fanno il trattamento di scelta per l’ipertensione potenzialmente letale. Tuttavia, dato che il nitroprus-siato agisce come dilatatore sia venoso sia arteriolare, il ritorno venoso e la gittata cardiaca diminuiscono e la pressione intracranica può aumentare. Quindi, si usano più comunemente altre sostanze per via parenterale, come il labetalolo e i CCB ad azione rapida nicardipina e clevidipina.86 In associazione a ciascuno di questi agenti, la furosemide per via endovenosa è spesso necessaria per abbassare ulteriormente la PA ed evitare la ritenzione di sodio e acqua.

Quando il paziente è fuori pericolo immediato, si deve iniziare la terapia orale. Quasi tutti i farmaci sono stati utilizzati e la maggior parte, in dosi ripetute, controlla e riduce valori pressori elevati. Si possono usare dosi orali di alcune preparazioni a breve durata d’azione, come la furosemide, il propranololo, il captopril o la felodipina, mentre la clonidina rappresenta una scelta poco consigliabile per le difficoltà di utilizzo in una terapia a lungo termine. La procedura più sicura per molti pazienti, soprattutto se l’ipertensione dipende dall’interruzione di una precedente terapia orale efficace e se sono asintomatici, con-siste semplicemente nel ripristinare il trattamento precedente moni-torandone attentamente la risposta. Se la mancata osservanza della terapia fosse causata dagli effetti collaterali, si dovrebbero apportare cambiamenti specifici.

Prospettive futureLa terapia dell’ipertensione continuerà a migliorare. Tuttavia, poiché probabilmente le basi genetiche non saranno mai correggibili e i fattori ambientali precipitanti non saranno mai controllabili, il tratta-mento dell’ipertensione continuerà a richiedere notevole impegno e risorse.

È probabile che le terapie diventeranno più semplici e si baseranno su farmaci a più lunga durata d’azione e di più facile assunzione, ma molto probabilmente non si troverà mai la “bacchetta magica” che curi definitivamente questa malattia. La cosa più importante è evitare che i giovani adottino le cattive abitudini che spesso hanno i loro genitori, in

Tabella 46.10 Farmaci parenterali per il trattamento delle emergenze ipertensive

FarMaCO* DOSeiNiZiO Dell’eFFeTTO

DuraTa Dell’eFFeTTO eFFeTTi aVVerSi† iNDiCaZiONi SPeCiali

Vasodilatatori

Nitroprussiato 0,25-10,00 mg/kg/min ev

Immediata 1-2 min Nausea, vomito, spasmi muscolari, intossicazione da tiocianato e cianuro

Non di prima scelta per la maggior parte delle emergenze ipertensive

Nitroglicerina 5-100 mg/min 2-5 min 5-10 min Cefalea, vomito, metemoglobinemia, tolleranza con l’uso prolungato

Non di prima scelta ma può rivelarsi utile nell’ischemia coronarica

Fenoldopam 0,1-0,6 mg/kg/min ev 4-5 min 10-15 min Tachicardia, aumento della pressione intraoculare

Può essere indicato per l’insufficienza renale

Nicardipina‡ 5-15 mg/ora 5-10 min 1-4 ore Cefalea, nausea, vampate, tachicardia

La maggior parte delle emergenze ipertensive

Clevidipina 1-2 mg ev, rapido aumento della dose a 16 mg max

2-4 min 5-15 min La maggior parte delle emergenze ipertensive

Idralazina** 5-20 mg ev 10-20 min 1-4 ore Tachicardia, vampate, cefalea, vomito, peggioramento dell’angina

Eclampsia; non per la dissecazione aortica

10-40 mg im 20-30 min 4-6 ore

bloccanti adrenergiciFentolamina** 5-15 mg ev 1-2 min 3-10 min Tachicardia, vampate, cefalea Eccesso di catecolamineEsmololo 250-500 mg/kg/min

per 4 min, quindi 50-300 mg/kg/min ev

1-2 min 1-20 min Ipotensione, nausea Dissecazione aortica dopo intervento chirurgico

Labetalolo 20-80 mg bolo ev ogni 10 min, 2 mg/min infusione ev

5-10 min 3-6 ore Vomito, parestesie al cuoio capelluto, bruciore in gola, vertigini, nausea, blocco cardiaco, ipotensione ortostatica

La maggior parte delle emergenze ipertensive, a eccezione dello scompenso cardiaco acuto

*In ordine di rapidità d’azione; **non disponibile in Italia.†L’ipotensione può verificarsi con ognuno.‡Sono disponibili preparazioni endovenose di altri calcio-antagonisti.

Ca

pitolo

46

1004particolare quelle che portano all’obesità. La prevenzione sarà possibile solo grazie alle pillole. Forse, come nei ratti spontaneamente ipertesi, la terapia dovrà iniziare nelle prime fasi di vita, ma in assenza di marcatori attendibili in grado di identificare i soggetti che diventeranno ipertesi, anche questa eventualità sembra improbabile. Per concludere, il nu-mero di anziani continuerà ad aumentare e, in assenza di prevenzione dell’irrigidimento aterosclerotico delle arterie, saranno loro i soggetti ipertesi più bisognosi di cure e più difficili da trattare.

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iperten

sion

e sistem

iCa

: ter

apia

1005

trattamento dell’ipertensionele più importanti linee guida americane sulla gestione dell’ipertensione de-rivano dal Joint national Committee on prevention, Detection, evaluation, and treatment of High Blood pressure, un gruppo coordinato dal national Heart lung and Blood institute (nHlBi). la settima, e più recente, edizione delle linee guida è stata pubblicata nel 2003 ed è nota come JnC-7.1 in altri paesi sono state recentemente pubblicate altre raccomandazioni, come le li-nee guida della British Hypertension society nel 20042 e il Canadian Hyper-tension education program nel 2006.3,4 nel 2003, alcune raccomandazioni riguardanti il controllo della pressione arteriosa nei pazienti diabetici sono state messe a punto dall’american College of physicians5 e per i soggetti di razza nera dall’international society on Hypertension in Blacks.6

ValuTaZiONe iNiZialeil JnC-7 ha aggiornato le raccomandazioni nHlBi da precedenti linee

guida pubblicate nel 19977 sotto diversi importanti punti di vista. in primo luogo, il JnC-7 ha introdotto il concetto di “preipertensione”, una pressione sistolica compresa tra 120 e 139 mmHg o una pressione diastolica compresa tra 80 e 89 mmHg. il JnC-7 raccomanda un approccio più aggressivo nei pa-zienti con livelli pressori compresi in questo range, con particolare attenzione alle modificazioni dello stile di vita per prevenire le malattie cardiovascolari. il JnC-7 definisce “normali” una pressione sistolica <120 mmHg e una pressione diastolica <80 mmHg. lo stadio 1 dell’ipertensione identifica una pressione sistolica compresa tra 140 e 159 mmHg o una pressione diastolica compresa tra 90 e 99 mmHg. i pazienti con valori pressori superiori costitui-scono lo stadio 2 dell’ipertensione. raramente gli operatori sanitari seguono procedure definite per la misurazione della pressione arteriosa. inoltre, vi sono sempre maggiori evidenze che le misurazioni cliniche della pressio-ne arteriosa effettuate da personale specializzato con sfigmomanometro a mercurio e la tecnica dei toni di Korotkoff possano portare a un’errata classificazione di molti individui. le linee guida dell’american Heart as-sociation8 definiscono una serie di procedure corrette per la misurazione della pressione arteriosa, tra cui:

j il paziente deve rimanere seduto tranquillo per 5 minuti prima di effet-tuare la misurazione.

j il paziente deve stare comodamente seduto con la schiena appoggiata e la parte superiore del braccio scoperta e priva di qualsiasi costrizione. le gambe non devono essere incrociate.

j il braccio deve essere appoggiato a livello del cuore e la camera d’aria del manicotto deve cingere almeno l’80% della circonferenza del braccio. a seconda delle necessità, utilizzare manicotti più o meno larghi.

j la colonnina di mercurio deve scendere di 2-3 mm/s, e i valori corri-spondenti al primo e all’ultimo suono udibile devono essere presi come

pressione sistolica e diastolica. la lettura della colonnina va fatta arro-tondando ai 2 mmHg più vicini.

j Durante la misurazione paziente e operatore devono rimanere in silenzio.

Queste linee guida per la misurazione raccomandano come standard l’uti-lizzo dello sfigmomanometro a mercurio, pur riconoscendo che questi strumen-ti saranno via via sostituiti da nuove tecnologie. le linee guida raccomandano il monitoraggio ambulatoriale per la valutazione dell’ipertensione da camice bianco e, in un numero selezionato di pazienti, il monitoraggio domiciliare può essere utile per prevedere gli eventi cardiovascolari e monitorare gli effetti del trattamento. il JnC-7 fornisce le raccomandazioni per il follow-up dei pazienti dopo una misurazione iniziale della pressione arteriosa (tab. 46l.1). Queste raccomandazioni devono essere guidate dalla pressione arteriosa e da altri dati clinici, tra cui precedenti misurazioni pressorie, altri fattori di rischio cardiova-scolare o danno di organo. il JnC-7 raccomanda alcuni esami di laboratorio di routine prima dell’inizio della terapia, tra cui un eCG a 12 derivazioni, l’analisi delle urine, la glicemia, l’ematocrito, il profilo lipidico, il potassio sierico, la creatinina e il calcio. Una più ampia serie di esami per identificare possibili cause di ipertensione secondaria non è indicata di routine.

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Linee guida norMan M. Kaplan

Tabella 46l.1

l inee guida del Joint National Committee (JNC)-7 per il follow-up basate sulle misurazioni iniziali della pressione arteriosa negli adulti

Pressione arteriosa iniziale (mmHg)*

FOllOW-uP CONSigliaTOSiSTOliCa DiaSTOliCa

<130 <85 Ricontrollare entro 2 anni

130-139 85-89 Ricontrollare entro 1 anno (fornire informazioni sulle modificazioni dello stile di vita)

140-159 90-99 Confermare entro 2 mesi (fornire informazioni sulle modificazioni dello stile di vita)

160-179 100-109 Valutare o inviare al centro di cura entro 1 mese

≥180 ≥110 Valutare o inviare al centro di cura immediatamente o entro 1 settimana, a seconda della situazione clinica

*Se le categorie di pressione sistolica e diastolica sono diverse, seguire le raccomandazioni per un follow-up a più breve distanza.

Ca

pitolo

46

1006STraTegia geSTiONale iNiZialeobiettivo principale della terapia secondo il JnC-7 è quello di ridurre la pressione arteriosa al di sotto di 140 mmHg di sistolica e di 90 mmHg di diastolica; nei pazienti con diabete o nefropatia concomitanti, l’obiettivo è una pressione arteriosa inferiore a 130/80 mmHg.

Queste linee guida raccomandano di basare il trattamento iniziale sullo stadio della pressione arteriosa e su condizioni cliniche associate (tab. 46l.2). le modificazioni dello stile di vita devono essere incoraggiate in tutti i pazienti, compresi i normotesi, e devono essere utilizzate come uni-ca terapia per i pazienti con preipertensione, a meno di un’evidenza clinica di “indicazioni assolute”. Queste indicazioni comprendono scompenso car-diaco, pregresso infarto miocardico, alto rischio di coronaropatia, diabete, nefropatia cronica e necessità di prevenzione dell’ictus ricorrente.

tra le modificazioni dello stile di vita consigliate vi sono:

j Calo ponderale per mantenere il normale peso corporeo (indice di massa corporea compreso tra 18,5 e 24,9 kg/m2).

j adozione di un piano alimentare di criteri dietetici per bloccare l’iper-tensione (DasH)9.

j riduzione del sodio assunto con la dieta a non più di 100 mmol/die (2,4 g di sodio o 6 g di cloruro di sodio).

j attività fisica – almeno 30 minuti al giorno, quasi tutti i giorni della settimana.

j assunzione di alcol limitata a non più di 2 drink (28 g o 30 ml di etanolo – 680 g di birra, 280 g di vino o 85 g di whisky, 80% in volume) al giorno nella maggior parte degli uomini e a non più di 1 drink al giorno nelle donne e nei soggetti magri.

TeraPia FarMaCOlOgiCale linee guida del JnC-7 raccomandano i diuretici tiazidici come terapia iniziale per la maggior parte dei pazienti ipertesi, da soli o in associazione a un farmaco delle altre classi. la tabella 46l.3 riporta l’elenco delle

“indicazioni assolute” e delle terapie raccomandate del JnC-7. le linee guida sottolineano che la maggior parte dei pazienti ipertesi richiede due o più farmaci antipertensivi per raggiungere gli obiettivi pressori. Quando la pressione arteriosa è di oltre 20/10 mmHg al di sopra dell’obiettivo, le linee guida raccomandano ai medici di prendere in considerazione una terapia a base di due farmaci. le linee guida di altre organizzazioni variano leggermente nelle soglie di inizio della terapia. ad esempio, le linee guida della British Hypertension society sostengono l’inizio della terapia far-macologica per tutti i pazienti con pressione sistolica pari a 160 mmHg o pressione diastolica che si mantiene pari a 100 mmHg, nonostante misure non farmacologiche. la terapia farmacologica è indicata anche nei pazienti con pressione sistolica che si mantiene tra 140 e 159 mmHg o diastolica tra 90 e 99 mmHg se è presente danno di organo, se vi è evidenza di patologie cardiovascolari riconosciute o di diabete, o se il rischio di coronaropatia a 10 anni è superiore al 15%. per la maggior parte dei pazienti, queste linee guida raccomandano un obiettivo di riduzione della pressione sistolica al di sotto di 140 mmHg e di pressione diastolica al di sotto di 85 mmHg. per i pazienti diabetici si raccomanda un obiettivo più basso. Queste linee guida raccomandano di iniziare la terapia con un diuretico, a meno di controindi-cazioni o di un’indicazione assoluta per altre classi di farmaci.

per i pazienti con ipertensione e diabete, le raccomandazioni del 2003 dell’american College of physicians indicano un obiettivo di pressione ar-teriosa non superiore a 135/80 mmHg.5 Queste linee guida raccomandano i diuretici tiazidici o gli aCei come farmaci di prima linea per il controllo della pressione arteriosa nella maggior parte dei pazienti.

le linee guida sviluppate per il trattamento dei soggetti di razza nera raccomandano soglie più basse per la terapia farmacologica e strategie terapeutiche più aggressive.6 Queste linee guida raccomandano un obiettivo pressorio inferiore (130/80 mmHg) per i neri ipertesi che soffrono anche di patologie quali cardiopatie, nefropatie o diabete, stabilendo che i medici devono avere una soglia più bassa per utilizzare più di un farmaco nel trat-tamento dell’ipertensione nei soggetti di razza nera.

Tabella 46l.2 linee guida del Joint National Committee (JNC)-7 per la classificazione e la gestione dell’ipertensione negli adulti

ClaSSiFiCaZiONe Della PreSSiONe arTeriOSa

PreSSiONe SiSTOliCa (mmHg)

PreSSiONe DiaSTOliCa

(mmHg)MODiFiCaZiONi

DellO STile Di ViTa

Terapia farmacologica iniziale

SeNZa iNDiCaZiONi aSSOluTe CON iNDiCaZiONi aSSOluTe*

Normale <120 e <80 Incoraggiare Assenza di indicazione per gli antipertensivi

Farmaciperleindicazioniassolute†

Preipertensione 120-139 o 80-89 Sì Assenza di indicazione per gli antipertensivi

Farmaciperleindicazioniassolute†

Ipertensione allo stadio 1 140-159 o 90-99 Sì Diuretici tiazidici per la maggior parte dei pazienti

Farmaciperleindicazioniassolute†

Ipertensione allo stadio 2 ≥160 o ≥100 Sì Combinazione di due farmaci per la maggior parte dei pazienti (in genere diuretici tiazidici più ACEI, ARB, BB o CCB)

Altri farmaci antipertensivi (diuretici, ACEI, ARB, BB, CCB) se necessario

*Scompenso cardiaco, infarto miocardico pregresso, alto rischio di coronaropatia, diabete, nefropatia cronica, prevenzione dell’ictus ricorrente.†Trattare i pazienti con nefropatia cronica o diabete per un obiettivo pressorio <130/80 mmHg.

Tabella 46l.3 linee guida del Joint National Committee (JNC)-7 per i farmaci raccomandati in pazienti con indicazioni assolute

DiureTiCO b-blOCCaNTe aCe-iNibiTOre

blOCCaNTe Del reCeTTOre

Dell’aNgiOTeNSiNaCalCiO-

aNTagONiSTaaNTagONiSTa

Dell’alDOSTerONe

Scompenso cardiaco + + + + +

Infarto miocardico pregresso + + +

Alto rischio di coronaropatia + + + +

Diabete + + + + +

Nefropatia cronica + +

Prevenzione dell’ictus ricorrente + +

ACE = enzima di conversione dell’angiotensina.

ACEI = inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina; ARB = bloccanti del recettore dell’angiotensina; BB = b-bloccanti; CCB = calcio-antagonisti.

iperten

sion

e sistem

iCa

: ter

apia

1007FOllOW-uP e riCOrSO agli SPeCialiSTinel follow-up, le linee guida del JnC-7 raccomandano che la maggior parte dei pazienti venga controllata a intervalli mensili fino al raggiungimento dell’obiettivo pressorio. Visite più frequenti sono consigliate ai pazienti con ipertensione allo stadio 2 o con patologie concomitanti. i livelli sierici di potassio e creatinina devono essere monitorati almeno 1-2 volte all’anno. Una volta che la pressione si attesta sull’obiettivo e rimane stabile, le visite di controllo possono essere programmate a intervalli di 3-6 mesi. la terapia a base di aspirina a basso dosaggio deve essere considerata solo dopo un controllo pressorio, a causa del rischio di ictus emorragico nei pazienti con ipertensione non controllata.

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