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Anno 108 - n. 6 - Giugno 2017 La Rivista Anno 108 - n.6 - Giugno 2017 9 mesi dopo ad Amatrice Anteprima Vernaccia di San Gimignano 2017 Un po’ di storia del primo vino DOC d’Italia

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Page 1: 9 mesi dopo ad Amatrice - CCIS · SCOPRILO ORA DAL TUO CONCESSIONARIO ALFA ROMEO. Alfa Romeo Stelvio 2.0 Turbo Benzina 280 CV AT8 Q4, 7,0 l/100 km, CO 2 161g/km, categoria d’efficienza

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9 mesi dopo ad AmatriceAnteprima Vernaccia di San Gimignano 2017Un po’ di storia del primo vino DOC d’Italia

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EditoreCamera di CommercioItaliana per la Svizzera

Direttore - GIANGI CRETTI

CollaboratoriC. BIANCHI PORRO, G. CANTONI, M. CARACCIOLO DI BRIENZA, V. CESARI LUSSO, M. CIPOLLONE, P. COMUZZI, D. COSENTINO, A. CROSTI, L. D’ALESSANDRO, F. DOZIO, M. FORMENTI, F. FRANCESCHINI, P. FUSO, T. GAUDIMONTE, R. GEISER, T. GATANI, G. GUERRA, M. LENTO, R. LETTIERI, F. MACRÌ, G. MERZ, A. ORSI, V. PANSA, C. RINALDI, G. SORGE, N. TANZI, I. WEDEL

La RivistaRedazione e Pubblicità Vittorio BIANCHI, Andrea LOTTI Seestrasse 123 - Cas. post. 1836 8027 Zurigo Tel. ++41(0)44 289 23 19 Fax ++41(0)44 201 53 57 e-mail: [email protected], [email protected] www.ccis.ch

Abbonamento annuoFr. 60.- Estero: 50 euroGratuito per i soci CCISLe opinioni espresse negli articoli non impegnano la CCIS. La riproduzione degli articoli è consentita con la citazione della fonte.Periodico iscritto all’USPI(Unione Stampa Periodica Italiana). Aderente alla FUSIE (Federazione Unitaria Stampa Italiana all’Estero)Appare 11 volte l’anno.

Progetto graficoCMSGRAPHICS83048 – Montella (Av) – [email protected] De StefanoEmanuela BurliGianni Capone

Stampa e confezioneNastro & Nastro srl21010 Germignaga (Va) - ItalyTel. +39 0332 531463Fax +39 0332 510715www.nastroenastro.it

Ci mancherebbe, la ferita è recente: ancor ben impressa nella memoria. Per quanto riemerga percepita con il di-stacco di chi si è trovato emotivamente coinvolto, di certo con sgomento, ma pur sempre nella fortunata condizione di chi la catastrofe l’ha conosciuta at-traverso i mezzi d’informazione. Il terremoto, in fin dei conti, è una catastrofe naturale. Per certi versi ine-luttabile. Induce a sperare che non sia troppo forte, che non causi troppi danni e troppe vittime. Per sua natu-ra è vissuto con fatalismo, anche se qualche responsabilità sui suoi effetti, non dovrebbe essere addebitata solo a madre natura. È forse per questa ragione che, ri-pensandoci, il ricordo più forte e più doloroso, al contempo irritante - per-ché figlio dell’impotenza al pari degli incalzanti (insinuanti?) collegamenti televisivi - è sepolto sotto la valanga di Rigopiano. E i due metri di neve, di un inverno mai così inclemente, che sof-focavano l’incredulità: com’è possibile che si resti isolati e quindi condanna-ti a morte, perché le strade non sono state sgombrate dalla neve? Perché nel caso specifico, il terremoto ha le sue colpe: la valanga l’ha causata lui, ma i permessi per costruire un hotel in quella zona e il mancato intervento per lo sgombero della neve sulle stra-de d’accesso a chi sono da imputare? Poi l’inverno è passato. E con esso, le notizie che rimbalzavano dalle zone colpite dal terremoto si sono rarefat-te. Sostanzialmente hanno smesso di fare notizia. Per certi versi: meglio così. Secondo il principio: nessuna nuova - buona nuo-va, ciò significava che nulla di negativo stava accadendo in quello che tecnica-mente vien definito il cratere devastato dal sisma, che si è manifestato a più riprese a partire dallo scorso 24 agosto. Di tanto in tanto, quasi un fenomeno carsico, qualcosa riemergeva; poco più che una presa d’atto: sgombrate le tendopoli, consegnate le prima ca-sette prefabbricate, preoccupazione per le ripercussioni sul turismo e per la piccola imprenditoria locale. Insomma, vista da fuori, la vicenda an-dava perdendo di tensione e, quindi, di attenzione. Poi succede che per formalizzare una donazione, una delle tante, a 9 mesi di distanza, si abbia la ventura di recar-si sui luoghi della catastrofe. E allora tutto cambia. Il comprensibile distac-co, mediato a suo tempo dallo scher-

mo televisivo, o dalle cronache dei giornali, lascia il posto ad una nuova consapevolezza. Che non immagina-vi possibile prima. Che ti porta a co-gliere, in quello che vedi dal vivo, o in quello che ti racconta chi l’ha vissuta e continua a viverla, la dimensione della tragedia. Che t’impone di intuire qua-le sia la forza d’animo che sorregge i sopravvissuti. Che ti fa comprendere il senso profondo del volontariato. Che dà un nuovo significato alla gratitu-dine: quella che incroci negli sguardi, prima ancora che nelle parole, di chi non molla e quotidianamente s’impe-gna perché è convinto che, per quanto distrutte, queste zone avranno ancora un futuro. È per tramite loro che avverti come la solidarietà sia qualcosa che va ben ol-tre la sottoscrizione: per quanto senti-ta e secondo coscienza, ha pur sempre il carattere di una pratica burocratica. Perché, e te lo dicono con la forza di-rompente della semplicità: “è parteci-pazione, un sostegno, una vicinanza che scalda i nostri cuori”. Perché non ci rendiamo conto di quanto que-sti gesti, e sono davvero tanti, anche dalla comunità italiane che risiedono all’estero, rafforzino “il nostro corag-gio e la speranza per il futuro”. Ci apprestiamo a ripartire: il crampo allo stomaco che ci aveva attanagliato arrivando, si è attenuato. Merito del-le persone che abbiamo incontrato. Negli occhi restano le immagini della devastazione. Ci avviciniamo a quello che era il centro storico: all’imbocco del corso, dietro una lamiera, scorgia-mo quel che resta di ciò che doveva essere una sorta di Parco in miniatura, che ricostruiva un percorso turistico ambientale del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei monti della Laga, che fanno da cornice ad Amatrice. Più giù si scorge la Torre Civica, il sim-bolo del borgo, che divide a metà Cor-so Umberto I, la via principale. Si erge a sentinella. Macerie ovunque, il cen-tro storico non esiste più. Le strutture sono collassate. Case sgretolate che hanno schiacciato l’esistenza di molti residenti. Eppure, come ci dice il sindaco Sergio Pirozzi: “il cuore di questa terra continuerà a battere”.

EDITORIALE

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Sommario

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18PRIMO PIANO

INCONTRI

CULTURA

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L’agroalimentare italiano nel mondo vale 38 miliardi

Il futuro della Casa d’Italia di Zurigo

La storia dell’edificio in un volume di Tindaro Gatani

Ad Amatrice 9 mesi dopo il terremoto

“Una donna manager non ha un lavoro, ne ha almeno 3. Nel mio caso 4”Donne in carriera: Giada Piazzalunga

Dalla Guerra del Sonderbund alla Costituzione federale del 1848Dalla Svizzera degli Stati a quella federale

Corto Maltese affacciato sul Lemano

I volti e il cuore: La figura femminile da Ranzoni a Sironi e MartiniAl Museo del Paesaggio di Verbania fino al 1° ottobre

Le migliori fotografie giornalistiche del mondo al Museo nazionale Zurigo

Il trionfo dell’arte POPRobert Indiana fino al 13 agosto a Casa Rusca di Locarno

Il Premio Raimondo Rezzonico 2017 al produttore svizzero Michel Merkt

Selezionati gli otto progetti e gli otto produttori per Open Doors 2017

Festeggiati a Zurigo i vent’anni del festival della “mela rosa”

The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal RemainsNel prestigioso Victoria and Albert Museum di Londra

“Una certa malinconia è sempre presente”Intervista con Rossano Sportiello, pianista jazz di origini napoletane

Editoriale

Sommario

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Sommario

Angolo legale Svizzera33

7 In breve

Di lavoro e dintorni

Burocratiche

Cultura d’impresa

Internazionali

Europee

Elvetiche

Italiche

IL MONDO IN CAMERA

Le Rubriche

In copertina : Il centro storico di Amatrice alle ore 12.30 del 17 maggio 2017 (foto di Niccolò Cacace)

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Convenzioni Internazionali

L’elefante invisibile

Scaffale

Benchmark

Sequenze

Diapason

Convivio

La dieta rivista

Starbene

Motori

Di lavoro e dintorni

Angolo Fiscale

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DOLCE VITA

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Personal buyer: Progetto per aggregatori d’impresa italiani (Regioni, CCIAA, Consorzi, ecc)

Taste of Italy 2017 – il meglio del vino italiano nella svizzera italiana – Lugano

Déjeuner d’affaires italo-svizzero Ospite d’onore Paolo Barilla, vice-presidente di Barilla holding spa

La dieta GIFT Un metodo rivoluzionario per mangiare a sazietà e raggiungere il benessere psicofisico

A Zurigo la prima edizione di “Veganitaly”

Contatti Commerciali

Benvenuto ai nuovi soci

Servizi Camerali

Praticità, tipicità e costo contenuto. Vola in cibo da strada

4 stelle per la vendemmia 2016Anteprima Vino Nobile di Montepulciano 2017

Un po’ di storia del primo vino DOC d’ItaliaAnteprima Vernaccia di San Gimignano 2017

Si chiamano “Amuse-Bouche” Bocconcini sfiziosi e saporiti prima che arrivi l’antipasto

America’s Cup 2017 Pirelli sponsor di Emirates Team New Zealand

FPT Industrial e il Politecnico di Milano Coordinamento garantito dai Centri di Ricerca & Sviluppo FPT di Torino e di Arbon

Che bella macchina! Fiat 124 Spider America

Una nuova ammiraglia democratizza le tecnologie d’alta gamma Opel Insignia Grand Sport e Sports Tourer

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6 - La Rivista giugno 2017

In Breve

dall’Ufficio federale dell’agricoltura (UFAG), nel 2016 è ammontato in media a circa 40 bottiglie da 0,75 litri a testa: l’equivalente di poco meno di un bicchiere da un decilitro al giorno.In totale sono stati bevuti 253 milioni di litri, di cui circa un terzo (89 milioni, –9,7%) era di provenienza svizzera, mentre il resto (164 milioni, –0,2%) arrivava dall’estero. Si tratta di un minimo storico. Il calo rispetto al 2015 è stato del 3,8%, l’equivalente di dieci mil-ioni di litri in meno. La tendenza è invertita solamente dallo spumante, non considerato all’interno della statistica globale, il cui con-sumo è salito del 2,1%, raggiungendo quasi i 19 milioni di litri.

“Per tanti anni ho nutrito il sogno che Roger potesse unirsi a Barilla nell’affascinante mis-sione di aiutare la gente a mangiare meglio, per la propria salute e la sostenibilità del Pi-aneta,” ha dichiarato il Vicepresidente Luca Barilla. “Ora questo sogno è diventato realtà.”Lo sport è energia, slancio, impegno, ricorda una nota. E la pasta non è solo un alimento fondamentale per gli sportivi; è un’irrinun-ciabile fonte di carboidrati per tutti. Alla base della dieta mediterranea, la pasta è buona per il suo gusto, per la salute delle persone e del Pianeta.Per Luca Barilla “Roger è una persona e un atleta straordinario che nel corso della sua lunga carriera ha dimostrato principi

Quest’anno hanno fatto ingresso nella clas-sifica delle acque più blu Camogli e Bonas-sola in Liguria, Giulianova e Roseto degli Abruzzi in Abruzzo, Roseto Capo Spulico e So-verato in Calabria, Sapri in Campania, Santa Teresa di Riva in Sicilia. Per quanto riguarda i laghi, il Trentino si aggiudica Baselga di Pinè, Bedollo, Bondone, Lavarone, Sella Giudicarie. “È con soddisfazione che annunciamo an-che per il 2017, un aumento di comuni Ban-diera Blu, ben 163” - ha detto Claudio Mazza presidente della Fee Italia rilevando che “è un percorso che porta in maniera dinamica ed efficace le amministrazioni locali a co-gliere nuove sfide per la gestione sostenibile del territorio, mettendo al centro la connes-sione terra-mare, la salute del mare è stret-tamente correlata alla gestione del territorio”“Ogni anno i requisiti per ottenere la Bandie-ra Blu vengono rivisti, anche con il supporto di Ispra (Istituto per la protezione e la ricerca ambientale), in un’ottica di miglioramento continuo - spiega Stefano Laporta direttore generale dell’Ispra - L’obiettivo è stimolare i Comuni ad una coscienza ambientale af-finché affrontino i vari aspetti legati alla ge-stione diretta del territorio, anche in conside-razione dell’aumentata pressione antropica determinata dal turismo”.

Nell’arco di un anno, il consumo di vino ros-so, rosato e bianco in Svizzera è diminuito di due litri per abitante. Secondo i dati forniti

Mare più pulito, quest’anno, sulle coste ita-liane: salgono infatti a 342 le spiagge sulle quali sventolerà la bandiera blu assegnata dalla Foundation for Environmental Educa-tion (FEE) per questa 30/a edizione a 163 Comuni e 67 approdi turistici sulla base di 32 criteri relativi alla gestione sostenibile del territorio (dalla depurazione delle acque alla gestione dei rifiuti, alle piste ciclabili agli spazi verdi, ai servizi degli stabilimenti balneari). La Liguria si conferma regina del mare eccellente arrivando a 27 località (con 2 nuovi ingressi), seguono come lo scorso anno la Toscana con 19 località e le Marche con 17. Nel complesso in un anno la situa-zione è migliorata: da 293 spiagge doc si è passati a 342, pari a circa il 5% di quelle pre-miate a livello mondiale; da 152 si è passati a 163 Comuni, 11 in più rispetto al 2016 (13 nuovi ingressi, mentre 2 sono usciti).I 67 approdi premiati “dimostrano che la portualità turistica ha consolidato le scelte di sostenibilità intraprese, rispondendo ai requisiti previsti per l’assegnazione interna-zionale, garantendo la qualità e la quantità dei servizi erogati nella piena compatibilità ambientale” spiega la Fee. Aumentate anche le bandiere per i laghi con il Trentino Alto Adige che raggiunge quota 10 e raddoppia rispetto all’anno scorso; 1 va alla Lombardia e 2 al Piemonte.

Bandiere BluMare più pulito, 342 le spiagge da sogno

In Svizzera cala il consumo di vino

Roger Federer brand ambassador di Barilla

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giugno 2017 La Rivista - 7

Novità importante! Domiciliazione fiscale obbligatoria in Svizzera per aziende con sede all’estero con un fatturato mondiale annuo di CHF 100.000

Dal 1 gennaio 2018 cambiano le disposizioni legislative in tema di assoggettamento all’iva svizzera per le imprese straniere. Le imprese con sede all’estero, che realizzano un fatturato mondiale (quindi non solo in Svizzera) annuo di almeno CHF 100’000, dal 1°gennaio 2018 saranno assoggettate all’IVA partire dal primo franco di fatturato realizzato in Svizzera e nel Principato del Liechtenstein. Ciò interessa soprattutto le imprese dei settori dell’edilizia e dell’ingegneria civile non-ché dei rami accessori dell’edilizia. Fintanto che svolge attività in territorio svizzero ed è assog-gettata all’imposta, un’impresa estera è tenuta a farsi rappre

sentare da un rappresentante domiciliato in Svizzera, pres-so il quale è garantito il domicilio fiscale per tutto ciò che concerne l’imposta sul valore aggiunto. Viene riconosciuto come rappresentante fiscale una persona fisica o giuridica con domicilio o sede in Svizzera. La Camera di Commercio Italiana in Svizzera offre il servizio di rappresentanza fiscale a tutte le imprese italiane (e non svizzere) interessate, provvedendo all’apertura della posizio-ne iva svizzera ed alla gestione amministrativa/contabile.

Per informazioni - in italiano e tedesco: Alessandro Babini (Zurigo) Tel. 0041 (0) 44 289 23 24 - [email protected] - in italiano e francese: Fabio Franceschini (Lugano) Tel 0041 (0) 91 924 02 32 - [email protected]

e comportamenti che gli hanno permesso di conquistare i cuori di milioni di persone nel mondo. Siamo certi che i suoi valori e il suo grande carisma, uniti alla nostra storia e al nostro stile imprenditoriale, saranno di grande supporto nel portare la Barilla ancora più lontano nella sua missione”Secondo Roger Federer, “la pasta e i sughi Barilla mi danno tutta l’energia di cui ho bisogno sui campi da tennis, ma anche per godermi il tempo che passo assieme alla mia famiglia. La pasta fa parte della mia alimentazione quotidiana da così tanti anni che questa partnership è venuta natural-

mente. Sono entusiasta di far squadra con Barilla: loro sono i migliori nel campo”.A partire dalla sponsorizzazione della AS Roma, che vinse lo scudetto nella stagione 1982-83, sono numerosi gli esempi di col-laborazione del Gruppo Barilla con i princi-pali atleti al mondo: da Alberto Tomba nello sci, ai tennisti Steffi Graf e Stefan Edberg; da Francesco Moser nel ciclismo fino alle più recenti partnership con Alex Zanardi, Fed-erica Pellegrini, Ricardo Kakà, Stephan El Shaarawy, Thomas Müller e Mikaela Shiffrin.Dal 2015, Barilla è anche main sponsor del-le nazionali italiane di pallacanestro.

Christian Meola vanta molti anni di espe-rienza internazionale nel settore automobil-istico ed è entrato a far parte dell’organico di FCA Svizzera dal 1° maggio 2017con la carica di Country Manager per il marchio Fiat Professional.Christian Meola ha conseguito la laurea in ingegneria completando gli studi con un master in marketing presso la SDA Bocconi

di Milano. Ha maturato una vasta compe-tenza internazionale nel settore dei veicoli commerciali con esperienza nel prodotto, nel marketing e nelle vendite. Meola infatti ha iniziato la sua carriera in IVECO Italia per poi affrontare un percorso che l’ha porta-to ad occuparsi di mercati esteri, tra cui la Francia e l’Australia. Più recentemente, ha ricoperto la carica di responsabile del LCV Product Strategy and Planning presso la sede di Nissan Europe in Svizzera.Christian Meola assume l’incarico di brand country manager di FIAT Professional, sostitu-endo Arthur Schnyder che lascia l’azienda per intraprendere una nuova sfida professionale.

Christian Meola è il nuovo brand country managerpresso Fiat Chrysler Automobiles Switzerland

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La ricerca del team è condotta su circa 270 società europee e la strategia negli ultimi tre anni del gruppo l’ha portata a diventare il numero uno secondo le classifiche Extel. Ma nel mondo della borsa, commenta Baldelli, sempre è saggio non gloriarsi troppo considerata la volatilità del ramo. Per questo l’attenzione è costantemente puntata sui «fondamentali». Quale dunque lo scenario? Dopo l’esito favorevole delle elezioni in Olanda e Francia, molte inquietudini si sono dipanate. I rischi politici risultano assai meno consistenti. La ripresa c’è in Europa, mentre anche gli Stati Uniti sostengono il ciclo e anche gli Emergenti sono in fase di ripresa che è sincrona nelle principali aree del globo. Il panorama appare dunque favorevole in modo specifico per la ripresa dei valori borsistici delle PMI che erano state penalizzate nella fase precedente, fino al 2014, dai problemi di liquidità che invece hanno inciso meno per le Big Cap. D’altra parte, in genere la ripresa in atto in Europa ha proprio benefici diretti e immediati sui valori delle imprese continentali, mente le Big Cap sono maggiormente «globali». Il clima favorevole si evidenzia in Francia, ma anche in Italia, dove i piani individuali di risparmio (o PIR), introdotti dall’ultima legge di bilancio, sono stati creati come forma di investimento defiscalizzato a medio termine, capace di veicolare i risparmi verso le imprese italiane, e in par-ticolare verso le piccole e medie aziende. I fondi pensione e le stesse assicurazioni, conferma Carlo Ceriani, si stanno sempre più attrezzando in proposito. I PIR saranno infatti proposti e gestiti da società di gestione del risparmio (SGR) ma potranno essere anche di natura assicu-rativa o inseriti nell’ambito del risparmio amministrato con agevolazioni fiscali se conservati per un minimo di cinque anni. E sono riservati alle persone fisiche. Non potranno essere cioè sottoscritti da aziende e da altre persone giuridiche, ma questo genera un flusso importante di fondi in entrata nel settore. C’è persino qualcuno che si è chiesto se questo flusso di risparmio costante in entrata non rappresenti un preludio ad una «bolla». In effetti, l’effervescenza nel settore, riflette Michele Baldelli, è equivalente a quella vista nei primi tre mesi del governo Renzi quando questi approdò al Governo o a quella del 2006, al colmo del ciclo economico, prima della crisi. Tuttavia, Baldelli esclude che l’attuale effervescenza evidenzi i prodromi dell’inizio di una bolla. Anche perché i titoli premiati non sono di tutto il settore «a prescindere» dai singoli titoli. Qui gli investitori oggi selezionano accuratamente i valori reali e quelli premiati, lo sono in virtù dei guadagni che rea-lizzano: gli earning, in netta crescita all’inizio del 2017. Gli utili si riferiscono in genere al reddito netto dopo l’imposta. Essi rappresentano la determinante principale del prezzo delle azioni, in quanto gli utili e le circostanze che li riguardano possono indicare se l’attività sarà redditizia e di successo nel lungo periodo. Recentemente il Ministero italiano dell’Economia ha rivisto al rialzo le stime sulla raccolta dei Pir prevista nel 2017 portandole addirittura a 10 miliardi di euro, cifra impensabile quando alla fine dello scorso anno sono stati varati i Piani individuali di risparmio. In effetti, nei primi 4 mesi dell’anno i volumi si sono moltiplicati e risultano quasi raddoppiati sulle small cap e per il segmento Star e addirittura poco meno che quadruplicati sull’Aim Italia. D’altra parte, è anche innegabile che su questi settori si riversano flussi di denaro davvero importanti e meno soggetti alla volatilità, aiutando così le piccole e medie imprese a programmare investimenti importanti per il loro sviluppo.

Michele Baldel-li, CFA Equity a Londra, e Carlo

Ceriani, Cross Asset Research di Exane Derivatives a Milano, hanno

delineatogli scorsi giorni lo scenario

attuale del mondo delle piccole e

medie imprese in Europa.

Piani individuali di risparmio a sostegno delle PMI

di Corrado Bianchi PorroItaliche

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giugno 2017 La Rivista - 11

Tempi grami per i piccoli contadini che da anni, in Svizzera, diminuiscono. C’è chi è anziano e non ha nessuno che rileva l’azienda, c’è chi non ce la fa più e deve liquidare terre e animali. Quasi mille aziende svanite l’anno scorso. È uno stillicidio che non sembra aver fine. Gli impieghi sono diminuiti, registrando un calo di 1,3% rispetto all’anno precedente. Nel 2016 nel settore agricolo lavoravano 152’400 persone. La superficie agricola è rimasta stabile, è un dato confortante: significa che i campi delle piccole aziende sono assorbiti da fattorie più grandi. La “Rilevazione della struttura delle aziende agri-cole”, pubblicata dall’Ufficio federale di statistica a metà maggio, conferma che la dimensione media delle fattorie è aumentata. Un altro aspetto positivo e consolante è l’interesse che si conferma in questi anni per la produzione biologica. Le aziende agricole che la praticano, nel 2016, erano 6’348, 104 più dell’anno prima. Come spesso accade, dietro ai numeri si celano anche drammi umani. Centinaia di aziende agricole chiuse o fallite significa persone e famiglie confrontate con una crisi che non è solo economica, ma anche sociale e personale. Nella svizzera interna si è aperto un Telefono amico per i contadini (Bauerliches Sorgentelefon) fondato da Lukas Schwyn, un pastore protestante bernese, che ha lo scopo di aiutare i contadini e le contadine in difficoltà. Un segnale che rivela la criticità del settore agricolo. Caritas, da parte sua, è alla ricerca di 800 persone dai 18 anni in su per “dare una mano per almeno cinque giorni di fila” alle famiglie contadine in difficoltà nei periodi di maggior lavoro. La politica agricola svizzera è da sempre sostenuta da una potente lobby parlamentare che, però, tende a privilegiare gli interessi delle grandi aziende di pianura. Dopo lo choc della seconda guerra mondiale, quando la Svizzera, con il piano proposto dal consigliere federale Wahlen, ha piantato patate in tutti i giardini pubblici per garantire la sussistenza alla popolazione, il settore primario ha goduto di grande attenzione da parte dello Stato. Dagli anni cinquanta si è incenti-vata una politica di sussidi messa in discussione solo negli anni novanta, quando si è passati alla politica dei pagamenti diretti. In sostanza si è passati dal regime delle sovvenzioni a pagamenti concessi agli agricoltori e allevatori in base a prestazioni precise e definite. Lo Stato sostiene l’agricoltura non solo perché garantisce una sicurezza di approvvigionamento, ma anche per altri scopi: salvaguardare il paesaggio rurale e la sua qualità, garantire la biodiver-sità, promuovere sistemi di produzione rispettosi dell’ambiente e l’efficienza delle risorse. Insom-ma, i contadini sono i giardinieri del Paese. Se attraversando l’altopiano piuttosto che il giura o le nostre Prealpi vediamo prati segati e puliti, pascoli irreprensibili, boschi delimitati è grazie al lavoro dei contadini. “L’agricoltura serve a tutti” è un vecchio slogan caro al ceto agricolo! I pagamenti diretti elargiti dalla Confederazione alle aziende agricole ammontano a 2,8 miliardi di franchi l’anno. Il nostro Paese, fra i 34 dell’OCSE, è quello che offre maggior sostegno, in ter-mini finanziari, al settore primario. E malgrado ciò i prezzi dei prodotti ortofrutticoli e delle carni è più alto che nei paesi europei vicini. Da anni stiamo assistendo a un fenomeno conosciuto: i piccoli produttori o allevatori sono messi in ginocchio e fagocitati dalle grandi aziende che, grazie all’l’innovazione tecnologica, aumenta-no la produzione e fanno calare i prezzi. Ma non è finita: i piccoli che non riescono a ritagliarsi una nicchia di sopravvivenza, scegliendo colture attrattive o produzioni originali (pensiamo ai formaggi, per esempio), offrendo servizi di agriturismo o altre innovazioni, sono destinati a scomparire, a dipendenza di come la Svizzera riuscirà a destreggiarsi tra globalizzazione, protezionismo e pressioni dell’Unione europea.

Piccoli contadini addio

di Fabio DozioElvetiche

Nel 2016 in Svizzera sono

sparite 990 aziende

agricole e ora ne rimangono 52’263. Nel 1990 erano più

di 92 mila.

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giugno 2017 La Rivista - 13

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“La crisi è dietro di noi – ha affermato il numero uno della Bce sottolineando come la ripresa nell’area euro sia “resiliente”, “sempre più ampia nei Paesi e nei settori” e fondata sulla do-manda interna: i dati richiamati attestano rispetto al 2013 cinque milioni di posti di lavoro in più in Europa, mentre sono in fase di miglioramento anche le prospettive economiche globali. A fronte di questo scenario decisamente più incoraggiante ci si avvia a riconsiderare anche l’intervento straordinario del quantitative easing, se l’inflazione al 2%, che si sta progressiv-amente raggiungendo, verrà considerata stabile e in grado di autosostenersi. Ci si aspetta dunque che, probabilmente in autunno, la Bce annuncerà un percorso per giungere alla con-clusione dello stimolo.Draghi ha anche rilevato come si percepisca oggi “un’onda di energia crescente nella doman-da di azione europea comune”. “L’Unione Europea e l’euro hanno sempre avuto il sostegno della maggioranza dei cittadini europei ma, spesso, si sentiva solo l’opposizione vocale a essi. Ora – afferma il governatore della Banca centrale – questa maggioranza silenziosa ha riconqui-stato la sua voce, il suo orgoglio e la sua fiducia. Solo lavorando assieme, le nazioni dell’Europa possono superare le sfide”. Pur non citando esplicitamente l’esito delle elezioni presidenziali francesi, di certo la vittoria di un candidato come Emmanuel Macron, che ha fatto dell’ade-sione all’Ue un punto di forza della sua campagna elettorale, è ben presente in questo pas-saggio dell’intervento di Draghi, che sollecita a proseguire la strada della “condivisione della sovranità” per affrontare sfide impegnative comuni come la sicurezza, le migrazioni e la difesa ma anche completare l’architettura dell’Unione monetaria.Significativo e corroborante del nuovo corso francese è il fatto che la prima visita di Stato di Macron sia stata proprio a Berlino, dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, funzionale ad un rilancio dell’ “asse franco-tedesco” progressivamente indebolitosi a causa del sempre più ev-anescente François Hollande, soffocato allo scadere del suo mandato presidenziale dalle com-plicate e drammatiche vicende interne, laddove la crisi economica ha innescato conflitti sociali sfociati anche in sanguinosi atti terroristici, oltre che nel rafforzamento del fronte populista guidato da Marine Le Pen. Nel corso della conferenza stampa seguita all’incontro con Merkel, il neo eletto capo di Stato ha sottolineato la necessità di una “rifondazione storica dell’Euro-pa” e non ha escluso la possibilità di un intervento sui Trattati, tema su cui i francesi si sono rivelati sino ad oggi indisponibili. Tuttavia, sulle due aperture più significative – l’intervento sui Trattati e il progetto degli eurobond – l’attuale ministro dell’Economia tedesco, Wolfgang Schäuble ha già espresso le sue perplessità, prospettando piuttosto la creazione di un Fondo monetario europeo attraverso lo sviluppo del Fondo salva-Stati (Esm). Un’impronta esplicita-mente europeista è stata data anche al nuovo governo francese, formato da personalità come l’eurodeputata Sylvie Goulard alla Difesa e Marielle de Sarnez agli Affari europei, mentre il Ministero degli Affari Esteri è stato ribattezzato Ministero dell’Europa e degli Affari Esteri.Un nuovo impulso al rafforzamento dell’Europa potrebbe giungere ora anche dalla debolezza della posizione del nuovo presidente americano, Donald Trump, che si è mostrato sin dalla sua campagna elettorale poco interessato all’alleanza transatlantica e ad appoggiare il processo di integrazione del vecchio continente. Rilevare l’assenza o lo scarso interesse del tradizionale alleato al di là dell’Atlantico potrebbe realmente determinare un risveglio dell’Europa e una reazione alla narrazione oggi sempre più diffusa del suo irreversibile declino.

Il risveglio dell’Europa è possibile

di Viviana PansaEuropee

Inaspettata, una ventata di ottimi-

smo sull’Europa apre questa stagio-

ne estiva.A testimoniarlo il

governatore della Banca centrale

europea, Mario Draghi, che, nel corso di un suo

intervento all’Uni-versità di Tel Aviv, dove si trovava a

metà maggio per ricevere un dotto-

rato honoris causa, ha confermato la progressiva

ripresa.

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giugno 2017 La Rivista - 15ab

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Come presentare Antonio Di Pietro? Classe 1950, è stato nell’ordine operaio in Germania, commissa-rio di polizia in Italia, pubblico ministero, docente di diritto penale, senatore della repubblica. Nel 2014 ha lasciato ogni attività politica. Insieme ai magistrati come Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo, Francesco Greco, tra gli altri, Antonio Di Pietro è una personalità che ha lasciato un segno nella storia recente d’Italia. La domanda che si è posta ad Antonio Di Pietro è la seguente: cosa dobbiamo fare per veramente ridurre la corruzione in Italia? E come questo fenomeno si è evoluto rispetto alla cosiddetta prima repubblica? Di Pietro ha affermato: “Adesso hanno capito come hanno fatto le guardie a prendere i ladri e questi sono diventati più furbi. Il risultato è che il sistema invece di migliorare si è ingegnerizza-to. […] Le conseguenze non sono state quelle che ci aspettavamo. Invece di un chiarimento oggi nel nostro paese c’è il caos. Abbiamo creato un vuoto che non viene ancora riempito. Cosa fare? Certezza del diritto e certezza della pena.» Esattamente un quarto di secolo dopo, questo anniversario dell’inchiesta Mani Pulite ci dà l’occasione di guardare il presente. Quell’inchiesta è stata all’origine, dall’alto in basso, della scomparsa di vari partiti politici. Sergio Romano, commentatore politico ed ex-ambasciatore d’Italia, ha definito questa inchiesta come une sorta di rivoluzione spinta “dall’alto” e portata avanti da un’élite di difensori della legalità. Tuttavia, Mani Pulite è attualmente considerata come una rivoluzione mancata e Di Pietro ne ha spiegato i motivi qui di seguito. Questo anniversario tondo non ha di per sé alcun interesse. Ciò che è veramente utile è di rilevare il fatto che la Repubblica italiana è ancor oggi un paese corrotto. Qualche dato: ogni italiano paga una sovrattassa informale dovuta alla corruzione di circa mille euro all’anno. Vi sono delle stime della Banca Mondiale che stimano la corruzione in Italia in circa sessanta miliardi di euro all’anno. È difficile verificare questi dati assoluti. Ad ogni modo, altri studi non sono di certo più incoraggian-ti: secondo l’indice sulla corruzione percepita, pubblicato ogni anno da Transparency International, un’ONG con sede a Berlino, il livello di corruzione in Italia è tra i più alti dell’Europa occidentale. Al primo posto dei paesi meno corrotti troviamo la Danimarca. Nella graduatoria del 2016 l’Italia occupa la sessantesima posizione precedendo il Senegal (64° posto), la Grecia (69°) e il Brasile (79°). D’altra parte, non v’è dubbio che in Italia la qualità dei lavori pubblici è in generale scarsa e che questi lavori sono tra l’altro molto più onerosi. Il rapporto della Commissione europea del 2014 sulla lotta contro la corruzione in Italia afferma che le linee ad alta velocità sono costate in media 60 milioni di euro al chilometro, rispetto ai 10 milioni di euro al chilometro della linea Parigi-Lione, o i 9 milioni di euro al chilometro della linea Tokio-Osaka. È vero che l’Italia ha molte montagne, ma ciò non giustifica comunque questi costi. Le operazioni sotto copertura per inchieste legate alla corruzione non sono autorizzate dalla legge italiana. Possono farsi nei casi di terrorismo, traffico di droga, crimine organizzato e pedopornografia. Come mai non sono permesse nell’indagini sulla corruzione? Si ha quasi l’impressione che oggi la classe politica non voglia sollevare questo coperchio per evitare di dare al sistema uno scrollone come quello dato da Mani Pulite. “Andiamo con ordine – ha affermato Antonio Di Pietro – Innanzitutto in Italia il sistema politico non soffre di voglia di farsi del male da solo. […] Lei se la sente di chiedere a chi si comporta in quel modo di fare una legge con cui si fa male da solo? È chiaro che non lo fa. […] Quando quel sistema politico e imprenditoriale ha capito che noi magistrati avevamo trovato il meccanismo investigativo per scoprirli, decise di reagire lungo tre direttive: confessione, latitanza ad Hammamet o altrove, oppure vado al governo e faccio le leggi che mi servono per non farmi processare: la via berlusconiana. L’inchiesta Mani Pulite si basava sull’individuazione di due reati: il falso in bilancio e la concussione per induzione. La prima cosa che fece il primo governo Berlusconi fu di abolire il falso in bilancio e la concussione per induzione come reato.” Ha concluso Antonio Di Pietro.

[email protected]

La corruzione in Italia

di Michele Caracciolo di BrienzaInternazionali

Il 9 maggio scorso presso il

Club Suisse de la Presse di Ginevra il dottor Antonio Di Pietro ha fatto

una conferenza dal titolo: “Mani Pulite: l’Italia 25

anni dopo”, orga-nizzata dall’Asso-ciazione ARLS (A

Riveder Le Stelle).

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ITALIA - Imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’esteroIl nuovo articolo 24-bis nel Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), di cuial D.P.R. n. 917 del 1986 consente alle persone fisiche che trasferiscono la resi-denza fiscale in Italia di optare per l’applicazione di una imposta sostitutiva suiredditi prodotti all’estero.Destinatari della norma sono le persone fisiche che:- trasferiscono la residenza fiscale in Italia (i.e. che per la maggior parte del

periodo di imposta sono iscritte nell’anagrafe della popolazione residente ohanno in Italia la residenza o il domicilio ai sensi del codice civile), e

- non sono state residenti in Italia in almeno nove dei dieci periodi d’impostache precedono l’inizio del periodo di validità dell’opzione.

L’imposta sostitutiva si applica ai redditi prodotti all’estero, individuati ai sensidell’articolo 165, comma 2 del TUIR, norma che rinvia ai criteri di cui all’arti-colo 23 TUIR e viene calcolata in via forfettaria, a prescindere dall’importo deiredditi percepiti, nella misura di EUR 100'000. - per ciascun periodo d’imposta.L’imposta deve essere versata in un’unica soluzione entro la data prevista per ilversamento del saldo delle imposte sui redditi. L’imposta sostitutiva non si applica alle plusvalenze realizzate mediante cessionea titolo oneroso di partecipazioni qualificate (di cui all’articolo 67, comma 1, let-tera c) TUIR), realizzate nei primi cinque periodi d’imposta di validità dell’op-zione che rimangono soggette al regime ordinario di imposizione.Il beneficiario dell’opzione può:- chiedere che essa venga estesa, nel corso di tutto il periodo di validità, a uno o

più familiari individuati dall’articolo 433 del codice civile: ossia il coniuge, ifigli anche adottivi (in loro mancanza, i discendenti prossimi), i genitori (inloro mancanza, gli ascendenti prossimi) e gli adottanti, i generi e le nuore, ilsuocero e la suocera, i fratelli e le sorelle. In questo caso l’importo dell’impostasostitutiva è ridotto a EUR 25'000. - per ciascun periodo d’imposta per cia-scuno dei familiari.

- scegliere di non avvalersi dell’applicazione dell’imposta sostitutiva con riferi-mento ai redditi prodotti in uno o più Stati o territori esteri, dandone specificaindicazione in sede di esercizio dell’opzione, ovvero con successiva modificadella stessa. Soltanto in tal caso, per i redditi prodotti nei suddetti Stati o ter-ritori esteri espressamente indicati si applica il regime ordinario e compete ilcredito d’imposta per i redditi prodotti all’estero.

I soggetti che esercitano l’opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi esteri:- non sono tenuti agli obblighi di dichiarazione (QUADRO RW) di attività e

investimenti esteri (cui all’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167);- sono esenti dall’imposta sul valore degli immobili situati all’estero - IVIE e

dall’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei librettidi risparmio - IVAFE, rispettivamente previste dall’articolo 19, commi 13 e 18,del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201;

- non scontano l’imposta sulle successioni e donazioni limitatamente ai beni ediritti esistenti all’estero al momento della successione o della donazione.

Il nuovo regime si applica ai redditi relativi all’anno d’imposta 2017 (dunque apartire dagli adempimenti dichiarativi per l’anno successivo). I consulenti di SEAL Consulting SA sono a disposizione per assistere coloro iquali fossero interessati ad approfondire la nuova norma in parola.

NEWS GIUGNO 2017

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giugno 2017 La Rivista - 17

L’agroalimentare italiano nel mondo vale 38 miliardiL’agroalimentare “made in Italy” nel mondo vale 38 miliardi di euro all’an-no e cresce del 3,5%, È quanto emerge dai dati resi noti dalla Camera di com-mercio di Milano. Ma per sapere dove va e da dove parte l’export, quali sono i maggiori mercati di sbocco e i prodotti più apprezzati arriva la mappa: L’agroa-limentare italiano nel mondo, realizzata dalla stessa Camera, in collaborazione con Coldiretti e Promos, azienda spe-ciale della Camera di commercio per le Attività Internazionali. Una mappa che è stata presentata nei giorni di Milano Food City, la settimana dedicata al cibo e alla cultura della sana alimentazione, che si è svolta dal 4 all’11 maggio, con oltre 320 eventi. Giovanni Benedetti, Direttore della Coldi-retti Lombardia e membro di giunta della Camera di commercio di Milano spiega che: “con un export agroalimentare che ha raggiunto i 38 miliardi di euro totali, parlare di cibo in Italia non è più solo un tema per addetti del settore, ma si-gnifica ragionare su quelli che possono essere, per tutti, gli sviluppi economici e occupazionali di un comparto sempre più importante. Expo ha dato un contri-buto significativo al confronto sul mondo dell’alimentazione che bisogna mante-nere come punto di riferimento per le iniziative della città. Non è un caso che nel mondo il patrimonio eno – gastro-nomico italiano sia tra i più copiati, con un valore che ogni anno raggiunge i 60 miliardi di euro, che vengono sottratti all’economia del nostro Paese”.

Dove si esporta Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera intercettano la metà dell’export.

Tutte le principali destinazioni sono in crescita, in particolare Stati Uniti (+5,7%), Fran-cia e Germania (+3%). In ascesa anche la Spagna 6° (+7,2%) e i Paesi Bassi 7° (+6,2%). Ma i prodotti “made in Italy” raggiungono anche Giappone (al 10° posto), Canada

(11°), Australia (16°) e Cina (20°). In aumento soprattutto Romania (+16%) e Repub-blica Ceca (+13%) ma torna a crescere anche la Russia, +10% (19°). E se la Germania e la Francia sono i primi acquirenti per quasi tutti i prodotti, gli Stati Uniti eccellono per vini, acque minerali e oli, la Spagna per pesce fresco, le Filippine e la Grecia per alimenti per animali. In forte crescita la Corea del Sud per prodotti da forno e lattiero caseari, l’Austria e l’Arabia Saudita per uva e agrumi, la Cina per gelati e oli, la Romania per cioccolato, caffè, piatti pronti e pesce lavorato, la Libia per frutta e ortaggi, Hong Kong per carni, Etiopia e Kenya per granaglie, la Russia per alimenti per animali, il Belgio per cereali e riso, la Polonia per vini e la Spagna per acque minerali.

Nazionali da esportazione I prodotti “made in Italy” più esportati sono cioccolato, tè, caffè, spezie e piatti pronti con 6,2 miliardi di euro, seguiti dai vini con 5,6 miliardi di euro, vengono poi pane, pasta e farinacei con 3,6 miliardi di euro ma anche frutta e ortaggi lavorati e conser-vati, uva e agrumi con 3,4 miliardi di euro. Gli aumenti più consistenti si registrano per cioccolato, latte e formaggi, pesca e acquacoltura (+6%), oli e gelati (+5%), vini e granaglie (+4%). Fra le regioni, Lombardia con 5,9 miliardi di export rappresenta più di un settimo del totale italiano. A livello provinciale, la prima è Verona con 2,9 miliardi di euro, seguono Cuneo con 2,5 miliardi e Parma con 1,6 miliardi. Milano è quinta con 1,4 miliardi, il 4% del totale. Bolzano 4°, Salerno 6° e Modena 7°. Tra le prime venti posizioni la maggiore crescita a Venezia (+15%), Padova (+12%), Firenze, Torino e Bergamo (+11%).

I prodotti “made in Italy” più esportati sono cioccolato, tè, caffè, spezie e piatti pronti con 6,2 miliardi di euro

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Italia e Spa gna.

ITALIA - Imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’esteroIl nuovo articolo 24-bis nel Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), di cuial D.P.R. n. 917 del 1986 consente alle persone fisiche che trasferiscono la resi-denza fiscale in Italia di optare per l’applicazione di una imposta sostitutiva suiredditi prodotti all’estero.Destinatari della norma sono le persone fisiche che:- trasferiscono la residenza fiscale in Italia (i.e. che per la maggior parte del

periodo di imposta sono iscritte nell’anagrafe della popolazione residente ohanno in Italia la residenza o il domicilio ai sensi del codice civile), e

- non sono state residenti in Italia in almeno nove dei dieci periodi d’impostache precedono l’inizio del periodo di validità dell’opzione.

L’imposta sostitutiva si applica ai redditi prodotti all’estero, individuati ai sensidell’articolo 165, comma 2 del TUIR, norma che rinvia ai criteri di cui all’arti-colo 23 TUIR e viene calcolata in via forfettaria, a prescindere dall’importo deiredditi percepiti, nella misura di EUR 100'000. - per ciascun periodo d’imposta.L’imposta deve essere versata in un’unica soluzione entro la data prevista per ilversamento del saldo delle imposte sui redditi. L’imposta sostitutiva non si applica alle plusvalenze realizzate mediante cessionea titolo oneroso di partecipazioni qualificate (di cui all’articolo 67, comma 1, let-tera c) TUIR), realizzate nei primi cinque periodi d’imposta di validità dell’op-zione che rimangono soggette al regime ordinario di imposizione.Il beneficiario dell’opzione può:- chiedere che essa venga estesa, nel corso di tutto il periodo di validità, a uno o

più familiari individuati dall’articolo 433 del codice civile: ossia il coniuge, ifigli anche adottivi (in loro mancanza, i discendenti prossimi), i genitori (inloro mancanza, gli ascendenti prossimi) e gli adottanti, i generi e le nuore, ilsuocero e la suocera, i fratelli e le sorelle. In questo caso l’importo dell’impostasostitutiva è ridotto a EUR 25'000. - per ciascun periodo d’imposta per cia-scuno dei familiari.

- scegliere di non avvalersi dell’applicazione dell’imposta sostitutiva con riferi-mento ai redditi prodotti in uno o più Stati o territori esteri, dandone specificaindicazione in sede di esercizio dell’opzione, ovvero con successiva modificadella stessa. Soltanto in tal caso, per i redditi prodotti nei suddetti Stati o ter-ritori esteri espressamente indicati si applica il regime ordinario e compete ilcredito d’imposta per i redditi prodotti all’estero.

I soggetti che esercitano l’opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi esteri:- non sono tenuti agli obblighi di dichiarazione (QUADRO RW) di attività e

investimenti esteri (cui all’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167);- sono esenti dall’imposta sul valore degli immobili situati all’estero - IVIE e

dall’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei librettidi risparmio - IVAFE, rispettivamente previste dall’articolo 19, commi 13 e 18,del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201;

- non scontano l’imposta sulle successioni e donazioni limitatamente ai beni ediritti esistenti all’estero al momento della successione o della donazione.

Il nuovo regime si applica ai redditi relativi all’anno d’imposta 2017 (dunque apartire dagli adempimenti dichiarativi per l’anno successivo). I consulenti di SEAL Consulting SA sono a disposizione per assistere coloro iquali fossero interessati ad approfondire la nuova norma in parola.

NEWS GIUGNO 2017

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18 - La Rivista giugno 2017

Ha una storia che ha attraversato buona parte del secolo scorso. Per decenni è stato il punto di riferimento della comunità Italiana di Zurigo e dintorni. Imprescindibile per quello che fu un vivacissimo tessuto associativo e per la scuola elementare - unica scuola statale in Svizzera, che a fine degli Sessanta inizio Settanta arrivò ad ospitare oltre 700 allievi – in tempi più recenti è stata al centro di discussioni riguardanti la sua gestione e la sua funzionalità. Ora, dopo vari tentennamenti - nell’ambito di quello che burocrati-camente viene definito “piano di razionalizzazione avviato dal Mi-nistero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale per la gestione degli immobili e delle sedi facenti parte del patrimonio immobiliare italiano all’estero” – il governo ha deciso di procedere alla sua ristrutturazione. L’obiettivo è quello di attrezzarla in modo tale che possa ospitare almeno il Consolato generale (che per gli spazi che occupa ora paga 600’000 franchi d’affitto, che agli odierni tassi ipotecari var-rebbero un patrimonio teorico di 60 milioni di franchi), l’istituto ita-liano di cultura, la scuola statale (oltre a quella elementare pare si

voglia statalizzare anche la scuola media Enrico Fermi, attualmente a gestione privata), mantenendo la funzionalità del Salone Piran-dello. Certamente escluso da questo scenario il Liceo Vermigli, che statale non è e neppure lo diventerà, il quale sarà costretto, come d’altronde è stato il caso fino a qualche anno fa, a trovare una sede in un’altra struttura. Com’è naturale, la decisione, che comunque era nell’aria da pa-recchio tempo, soprattutto in quella parte della comunità che ha vissuto il percorso dell’emigrazione, ha suscitato allarmismo e pre-occupazione. Per le strutture che attualmente hanno sede presso la Casa d’Italia, e in particolar modo, visto che a partire da luglio, resterebbe inagibile per almeno 3 anni ci si chiede cosa succe-derà con la scuola? Per quella elementare (e media?) la soluzione temporanea è stata trovata con il suo trasferimento in uno spazio messo a disposizione tramite la Città di Zurigo. Per il resto, come detto, il Liceo dovrà orientarsi diversamente mentre Il Comites e il Casli (ente gestore dei corsi di lingua e cultura) dovranno cercare ospitalità altrove.

Il futuro della Casa d’Italia di Zurigo

La storia dell’edificio in un volume di Tindaro Gatani

La Casa d’Italia di Zurigo è stata inaugurata nel 1932 e poi amplia-ta nel 1935 e nel 1938. Sin dalla sua fondazione è stata il centro culturale e sociale degli immigrati italiani di Zurigo e dintorni. La sua Scuola elementare è stata frequentata da migliaia di ragazzi e nei suoi locali hanno avuto la loro sede decine di associazioni e si sono tenute le più importanti riunioni che hanno fatto la storia dell’emigrazione italiana in Svizzera e nel Mondo. Per quasi ses-santa anni vi hanno prestato la loro opera missionaria le Suore di Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea al servizio, prima, dell’Orfanotrofio e dell’Asilo della colonia italiana e, poi, anche dell’Internato e della mensa per gli alunni della Scuola elementare. L’autore, che è stato insegnante alla scuola della Casa d’Italia per quasi trenta anni, ricostruisce la storia dell’edificio basandosi su documenti originali conservati negli archivi italiani e svizzeri. Ne viene fuori un lavoro frutto di ricordi diretti e di un’attenta indagine storica. Per la prima volta vengono quindi ricostruite le varie fasi che portarono alla progettazione e alla realizzazione della Casa degli Italiani. Il libro, che si avvale delle testimonianze dei vari personaggi che hanno incrociato la propria storia con quella dell’edificio (Fernando Schiavetti, Giovanni Carrara, Suor Gianna, Elena Lucia Ferri, Pietro Bianchi, Ettore Cella, Franca Magnani, Annarella Schiavetti-Rotter e Luciano Betta), è corredato dagli indirizzi delle sedi del Consolato Generale, dai nomi dei Consoli Generali e dagli Ambasciatori italia-ni in Svizzera dal 1861 ai nostri giorni.

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giugno 2017 La Rivista - 19

Nel borgo, o meglio in quel che resta di quello che fu un borgo, considerato fra i più belli d’Italia, fino a nove mesi fa conosciuto urbi et orbi per una celebre ricetta di pasta, c’arriviamo per formalizzare la consegna di apparecchiature medico-sanitarie acquistate con i fondi raccolti in occasione della serata

organizzata dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera lo scorso 3 dicembre a Zurigo. Accompagnatori d’eccezione: il Generale Sergio Santamaria, comandante in capo delle forze armate attive sul cratere del terremoto e Monica Dialuce, Ispettrice Nazionale del Corpo delle crocerossine, artefici in prima persona, non solo della cerimonia di consegna delle apparecchiature, ma anche dei

rapporti con gli operatori del territorio che ne hanno consentito la loro individuazione.

Ad Amatrice nove mesi dopo la prima scossa di terremoto

Testo: Giangi Cretti Foto: Niccolò Cacace

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20 - La Rivista giugno 2017

“Prenda a sinistra, imbocchiamo la Romanella. È un bypass che abbiamo costruito dove c’era un viottolo di campagna, perché la strada che immette al paese è interrotta”. Fuori dal finestrino intravvediamo un cartello stradale con scritto “Ponte della Rinascita”; sotto una precisazione: “questo ponte si chiama così perché da oggi inizia una nuova vita”. È uno dei collegamenti costruito in tempi brevissimi dal Genio, insieme alla Protezione civile, ai Vigili del fuoco e all’Azienda strade Lazio, dopo che il terremoto aveva reso inagibile, tra gli altri, il vecchio ponte “tre occhi” che assicurava il collegamento tra Amatrice e la via Salaria. Quest’ultima struttura, a carattere permanente, assicura il passaggio anche dei mezzi pesanti. La voce narrante è quella del generale Santamaria, coman-dante in capo delle forze armate dislocate sul cratere. Non siamo su un vulcano, ma nel mezzo dell’ampia zona devasta-ta dai terremoti che, in tragica successione, lo scorso autun-no, hanno colpito il centro dell’Italia. È seduto di fronte a noi, in una pratica tuta mimetica, sul furgo-ne della Croce Rossa, che ci sta portando ad Amatrice. Al suo fianco: Sorella Monica Dialuce, Ispettrice Nazionale del Corpo delle Crocerossine. Sono loro gli artefici di questa nostra rapida incursione, organizzata per formalizzare la consegna di appa-recchiature medico sanitarie acquistate con i fondi raccolti in occasione della serata promossa dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera lo scorso 3 dicembre a Zurigo.

Napoletano d’origine, alpino per elezione, piemontese per amore Con le sue doti di affabulatore - napoletano “che ha fatto la scuola sottoufficiali a Rivoli e ha sposato una piemontese” - il generale del corpo degli Alpini, ci spiega, con dovizia di par-ticolari, cosa sia successo in questi 9 mesi, precisando che

“quello che racconto è una mia visione personal e comunque non rende l’emozione che si prova ancora oggi solo attraver-sando la cosiddetta zona rossa”. Ci parla delle oggettive difficoltà: dopo la prima scossa del 24 agosto, “che ha avuto come epicentro i comuni di Amatrice, Ac-cumoli ed Arquata del Tronto, ma che ha arrecato danni anche in vaste aree confinanti delle regioni Umbria e Abruzzo” si sono succedute quella del 26 e, ancor più forte, quella del 30 ottobre. Conseguenza: una sfasatura delle operazioni d’intervento e, in taluni casi, tutto quello che era stato fatto in due mesi non ser-viva a nulla, per cui “si è dovuto ricominciare da capo”. Accanto alle operazioni di salvataggio, ma anche dell’installa-zione dei sistemi abitativi emergenziali, della distribuzione del cibo, del ripristino della viabilità, della costruzione di strade, ponti e persino scuole prefabbricate, la gestione del cratere ha comportato azioni “di antisciacallaggio – in verità veri e propri casi non ce ne sono stati – ricorrendo anche all’impiego di droni con tecnologia a rilievo infrarossi utili per il monitorag-gio delle aree sgomberate, anche di notte”. A tutto questo si aggiunge l’immane lavoro nel tentativo di evitare che il grande patrimonio di interesse storico e artistico finisca nelle disca-riche. “Oltre agli affreschi, in Palazzi d’inestimabile valore ab-biamo recuperato perfino libri e documenti risalenti al 1300”.

Quattro Regioni, una decina di Province, 300’000 abitazioniSbagliato, secondo il generale, addossare responsabilità all’amministrazione pubblica. Anche se noi, pensando alla tra-gica vicenda dell’albergo di Rigopiano, con la percezione di chi ha seguito la vicenda attraverso lo schermo televisivo, dobbia-mo confessare che l’idea non ci sembra del tutto infondata. Ovvio, conviene il generale: tenuto conto che il sisma alla fine

L’on Alessio Tacconi, il generale Santamaria, il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi e il presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Vincenzo Di Pierri

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giugno 2017 La Rivista - 21

ha interessato 4 Regioni, una decina di Province, 300’000 abitazioni, che la Protezione civile non ha un coordinamento nazionale, bisogna ammettere che armonizzare in modo ef-ficace tutti gli interventi non è stato semplicissimo. Ma il vero problema è stato la violenza del terremoto, la sua successio-ne in tre momenti culminanti, il costante sciame sismico che li ha accompagnati prima e dopo, l’orografia del territorio - siamo sull’altipiano dei Monti della Laga preludio al Parco Nazionale d’Abruzzo e al Massiccio del Gran Sasso – il clima che mai come in quest’inverno si è mostrato privo di qualsiasi clemenza. Dopo di che, certo, responsabilità le possiamo tro-vare anche in noi stessi: noi italiani siamo irreprensibili nella cultura dell’emergenza, molto meno in quella della preven-zione. “Siamo bravi a spalare il fango, molto meno a tener pulito il etto del fiume”, chiosa il generale. Rievocare il terremoto del Friuli, come buona pratica di ef-ficienza in fase di ri-costruzione, è spunto per una puntuale pre-cisazione. La rimozio-ne delle macerie e lo smaltimento dei rifiuti oggi deve rispettare normative molto più stringenti in materia di sostenibilità ambienta-le. In altre parole: “non si può fare una buca e seppellire tutto”. Bisogna separare, di-stinguere, differenziare, senza contare che in quelle macerie ci sono le storie di tante vite, molte delle quali, 239, sono andate perse. E la ricostruzione? Qui il generale Santamaria diventa più la-conico. Tempi lunghi: 15 anni, forse di più. Molto dipenderà da cosa, come e quanto si vorrà ricostruire. Ma questo non sarà più un compito della brigata che comanda il generale Santamaria. Per ora un primo risultato sono le cosiddette SAE (soluzioni abitative d’emergenza). Casette prefabbricate di dimensioni varianti. Una trentina – ma altre sono in fase di costruzione - consegnate ad Amatrice ad altrettanti nuclei familiari, sele-zionati sulla base di una procedura denominata “sorteggio a domanda”.

Il PASS e il CUP Nel frattempo, Arriviamo ad Amatrice. In quella, intuiamo, che doveva essere la zona moderna. Palazzine diroccate, due enormi complessi abitativi semi crollati, separati da una chiesa visibilmente lesionata, puntellata ed impacchettata, che scopriamo essere stati fino all’agosto scorso due case

di riposo. Tutt’attorno: mezzi pesanti e un piazzale con dei prefabbricati. È il centro di primo intervento. Garantisce l’as-sistenza medica a chi risiede in zona - al momento, meno di 500 persone sembra a cui si sommano quelle che ancora abitano nelle 70 frazioni che fanno capo ad Amatrice - visto che quel che resta dell’ospedale, che vedremo più tardi, nella parte bassa del paese, è chiaramente inagibile. E non si ca-pisce come mai potrà tornare ad esserlo. Agibile intendiamo. Ad accoglierci troviamo il picchetto d’onore dell’esercito e delle Crocerossine, e il personale sanitario: 5 signore, in realtà sarebbero 6, ma la responsabile, ci dicono, è dispiaciuta ma è ammalata, troverà comunque il modo di farsi viva più tardi per telefono. Sono di Amatrice e quotidianamente prestano servizio, presso quello che qui chiamano confidenzialmente PASS (acronimo che sta per: Punto di Assistenza Socio Sani-taria) che al contempo funge anche da CUP (Centro Unico

di Prenotazione). In paese non hanno più casa e risiedono, come d’altronde la maggior parte degli (ex) abitanti, dov’è possibile. Una di loro addirittura ad Ascoli Piceno: tutti i giorni deve sorbirsi 170km al mattino e altrettan-ti alla sera, lungo una strada che in queste zone non è che corra lunga diritta. Ci mostrano con legit-timo orgoglio, come da un assemblaggio di prefabbricati sia-

no stati realizzati la sala d’attesa, quella di prima consulenza, l’ambulatori per le visite, con quello pediatrico che ha un suo spazio separato, il laboratorio per i prelievi. Insomma, una strut-tura che può garantire appunto un centro di prima assistenza. Come riferimento hanno gli ospedali dislocati nelle varie pro-vincie. Primo fra tutti quello di Rieti. Una giovane donna con una bambina entra nel centro, in quel momento la loro presenza conferisce alla situazione una par-venza di normalità.

“La vostra solidarietà è la nostra speranza per il futuro” Nel piazzale accanto a prefabbricato sono schierati i picchetti d’onore dell’esercito e delle Crocerossine e un piccolo as-sembramento di operatori e di volontari. Il generale Santama-ria prende il microfono e con malcelata emozione, sobrietà ed efficacia illustra le ragioni di questa semplice cerimonia, invitando gli ospiti a prendere la parola. Il Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Sviz-

Sorella Monica Dialuce, Ispettrice Nazionale del Corpo delle Crocerossine con le sorelle presenti ad Amatrice

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22 - La Rivista giugno 2017

zera, Vincenzo Di Pierri, sottolinea come il dramma vissuto nella zona abbia creato un’enorme ondata di commozione, che si è tradotta in tangibili segni di solidarietà espressa da ogni parte del mondo. Anche dalla Svizzera, e, nel caso spe-cifico, quello che si è concretizzato con l’acquisto degli hol-ter, sei in tutto - che sono sistemi di gestione, archiviazione e refertazione remota via web (in parole povere: strumenti che consentono di monitorare il cuore e la pressione sanguigna in tempo reale, senza che il paziente, che dette apparecchia-ture indossa, debba recarsi presso un ospedale o una strut-tura sanitaria) – è il risultato di una raccolta fondi promossa a Zurigo dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera con il sostegno di sponsor e privati cittadini. Di Pierri ringrazia anche la ditta produttrice degli holter, la Futura Life Homecare, che ha contribuito applicando un prezzo di tutto favore, e il generale Santamaria e la sorella Dialuce, in quanto per loro tramite, coinvolgendo gli operatori locali, si è individuata l’ap-parecchiatura che si è ritenuta più idonea. Sul tema della solidarietà delle comunità all’estero si è sof-fermato anche l’onorevole Alessio Tacconi, parlamentare ita-liano residente in Svizzera, che si è detto onorato di trovarsi coinvolto in prima persona in questa nobile iniziativa. La parola è passata poi al sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, il quale, ricordando i lunghi mesi di sofferenza, con il pensie-ro rivolto ai suoi concittadini, si è detto grato di tutte queste concrete testimonianze di sostegno, che nel corso dei mesi sono andate via via moltiplicandosi e che gli hanno permesso di scoprire un mondo: quello dei volontari e delle comunità

italiane all’estero di cui, fino al momento del terremoto, non era pienamente consapevole. Infine, le parole commosse ed accorate di chi le apparecchia-ture donate le utilizzerà: le operatrici del PASS: “voi non potete immaginare quanto questa partecipazione, questo sostegno, questa vicinanza riscaldi i nostri cuori e quanto rafforzi il no-stro coraggio e ci dia speranza per il futuro”. Dello stesso tenore l’intervento del cardiologo dell’ospedale di Rieti, che con la sua presenza ha voluto sottolineare il va-lore della donazione.

Attraversando la ‘zona rossa’ Il tempo per un caffè e un dolce, per qualche foto per l’album dei ricordi e i saluti che ha questo punto non sono più formali. Ed ecco, il generale Santamaria che ci segnala che dobbiamo rientrare. Forse ce la facciamo a gettare uno sguardo nella cosiddetta ‘zona rossa’ ancora off limits in quanto sono an-cora in corso operazioni di sgombero. Essere il comandante in capo, vuol comunque dire qualcosa ed eccoci transitare per quello che era il Corso Umberto primo, che divideva in due il centro storico di un paese che veniva considerato un scrigno medioevale. Attorno a noi macerie nel quale individu-iamo suppellettili che sono scampoli di vita quotidiana, che per moti, troppi ormai non è più. Ecco allora che ritornano alla mente le parole con le quali il generale Santamaria aveva iniziato il suo racconto “quello che riporto è una mia visione personal e comunque non rende l’emozione che si prova an-cora oggi solo attraversando la cosiddetta zona rossa”.

La breve cerimonia di consegna con i picchetti d’onore schierati

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giugno 2017 La Rivista - 23

Stiamo uscendo dalla ‘zona rossa’ ed ecco un piccolo drap-pello, diligentemente munito di casco di protezione, che ci viene incontro. Nel gruppetto, un volto conosciuto. È il regista Gianni Amelio. Ci avviciniamo, Un rapido scambio di saluti e una domanda sorge spontanea: come mai qui? Un giovanotto, mi prende da parte e confida: “sta facendo un sopraluogo per realizzare un corto. È un’idea di Rai Cinema, ma non si deve ancora sapere”. Lui non sa chi sono io. Nel senso che non sa che ha affidato questa confidenza ad un giornalista, che notoriamente lascia anonima la fonte e rivela il fatto.

Il Monica Dialuce, il cardiologo dell’ospedale di Rieti, un’operatrice del PASS di Amatrice, il presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Vincenzo Di Pierri e il Generale Santamaria

Il quartiere con le cosiddette SAE (soluzioni abitative d’emergenza).schierati

Stiamo uscendo dalla ‘zona rossa’ ed ecco un piccolo drappello, diligentemente munito di casco di protezione, che ci viene incontro. Nel gruppetto, un volto conosciuto. È il regista Gianni Amelio

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I grandi sistemi complessi corrono il rischio di impri-

gionare l’indivi-duo frustrandone il talento, piccoli

team consentono risultati e svilup-po delle persone

Sto lavorando con il gruppo di direzione di un’azienda ed ho potuto verificare che la riflessione sulla costruzione di team di lavoro efficaci si arricchisce ogni giorno di ricerche e proposte sem-pre più sofisticate. Naturalmente il terreno privilegiato di analisi è l’azienda, anche se gli ambiti potrebbero essere tranquillamente quello sportivo, in quante interviste abbiamo sentito il mantra “anche se sei un campione la squadra viene prima dell’individuo”, oppure quello della politica dove leadership brillanti non ottengono i risultati sperati se non riescono a coinvolgere e costru-ire una squadra con le conseguenti scissioni di partiti che non riescono a definire un obiettivo comune e le modalità per perseguirlo. In una recente conferenza via web sentivo parlare del team come del vero e proprio tessuto con-nettivo per legare un individuo con l’organizzazione complessa di appartenenza, in sostanza si affermava che il vero ambito di lavoro delle persone è quello della squadra con cui lavora perché è in quel contesto che utilizza la sua competenza, produce risultati, ed apprende crescendo da un punto di vista professionale e personale. I grandi problemi delle organizzazioni complesse quali la burocrazia, la motivazione, la gene-razione di valore anche in termini sociali, solo per citarne alcuni, vengono ricondotti a sistemi più piccoli che mettono al centro la persona e la sua interazione sociale perché la velocità, la connessione, la globalizzazione hanno generato sistemi dove l’uomo ed i suoi bisogni possono essere persi di vista. A questo proposito Frederic Laloux nel suo libro Reinventing Organizations si chiede proprio come creare organizzazioni libere da burocrazia, giochi politici, risentimento e rassegnazione, cercando soluzioni che tengano conto dei bisogni che scaturiscono dalla consapevolezza umana. L’autore propone una analisi basata su cinque stadi evolutivi nella collaborazione tra persone e associa a cia-scuno di questi un colore e un modello organizzativo: il rosso è lo stadio primitivo dell’esercizio del potere fine a se stesso, l’ambra è quello della formalizzazione e del controllo, l’arancione, proba-bilmente quello più diffuso ai giorni nostri, è lo stadio della competizione e dell’orientamento agli obiettivi, il verde è lo stadio dell’empowerment e della cultura condivisa e l’ultimo, il blu, è quello più avanzato caratterizzato dalla piena valorizzazione delle potenzialità umane. Le organizzazioni blu, o Teal come le definisce Laloux, hanno tre caratteristiche distintive che sono presenti anche se in misura differente: l’adozione di forme avanzate di autogestione e auto-orga-nizzazione, la valorizzazione della persona nella sua interezza ed infine la presenza di uno scopo aziendale evolutivo condiviso. Tra gli esempi di questo tipo di organizzazioni viene citata holacracy, adottata per la prima volta da Ternary Software il cui fondatore, Brian Robertson, decise di sperimentare le migliori pratiche fino a elaborare addirittura la Holacracy Constitution che stabilisce i principi e le pratiche riassumibili come il fatto di distribuire l’autorità tra vari team di lavoro che utilizzano forme di auto organizzazione. L’uomo quindi è il centro di questa sperimentazione organizzativa, certo interconnesso e parte di un insieme più grande, ma desideroso di trovare libera espressione di sé. L’esperimento è certamente interessante, come lo sarebbe vederne una rappresentazione sul tipo di quella che fece Charlie Chaplin in Tempi Moderni all’avvento della produzione di massa, forse si potrebbe utilizzare la celebre metafora di Peter Drucker: se le grandi orchestre interna-zionali non lasciano spazio alla creatività individuale imprigionando il singolo, meglio costituire delle jazz band locali, dove l’improvvisazione dà libero sfogo al talento che rimane al servizio dell’obiettivo comune grazie al mutuo adattamento dei musicisti.

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Orchestra o Jazz Band?

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26 - La Rivista giugno 2017

Ho contattato Giada, in quanto le pietre e i gioielli in genere sono stati da sempre una grande attrazione, specialmente per il mondo femminile. Il percorso professionale della nostra donna in carriera non è stato certamente facile ma – sostenuta da una grande passione – ci è riuscita e ora svolge questo interessante lavoro creativo senza tuttavia tralasciare la famiglia. Com’è ormai nostra abitudine, prima di sottoporle nostre solite domande, lasciamo a lei il compito di introdurci nel suo mondo. “Sono nata a Milano il 21 aprile 1983. Ho frequentato il liceo d’arte al collegio Roton-di di Gorla Minore e dopo 2 anni di corsi all’ università di scienze e tecnologie orafe in Bicocca mi sono resa conto che pur essendo in linea con gli esami stavo perdendo tempo. Volevo imparare un mestiere, non rincorrere dei voti. Così iniziai il mio percor-so all’istituto Gemmologico Italiano. Sono sposata e ho un bambino di un anno. La gemmologia mi ha sempre incuriosita tantissimo. Non ho mai avuto dubbi sulla scelta dei miei studi. Finiti i corsi di gemmologia nel mese di gennaio sono partita per l’Australia. Da sola e senza una vera idea di che cosa sarei andata a fare. Una volta a Sydney ho frequentato una scuola di inglese, ero l’unica italiana e questo mi ha aiuta-ta tantissimo. Ad aprile sono tornata per il mio compleanno e dopo circa 2 settimane ho iniziato a lavorare da un grossista di gioielleria in Milano nel reparto diamanti. Avevo 23 anni ed era il mio primo vero lavoro. Lì ho imparato tantissimo dal rapporto con i clienti, al rapporto con i colleghi e con i fornitori. Ho sempre bruciato un po’ le tappe e non mi è mai piaciuto perdere tempo quindi… dopo 3 anni con loro decisi che era ora di cambiare. In realtà avevo e ho anche altre situazioni da tenere in considerazione, la mia famiglia ha delle attività che mi sarebbe piaciuto portare avanti insieme a mia sorella e mio cugino, con i quali ho un ottimo rapporto di fiducia e responsabilità. Così a 27 anni ho iniziato una nuova vita con la settimana divisa in cui metà del tem-po la passo in un ufficio e l’altra metà in giro per laboratori e clienti. Con l’istituto Igi: Istituto Gemmologico Italiano ho avuto anche la possibilità di fare viaggi importanti per la mia conoscenza del mondo gemmologico. Nasce così LONGSQUARE. Si tratta di una azienda individuale. Un lavoro che mi sono un po’ inventata per continuare a lavorare con le pietre, i gioielli senza dipendere da qualcuno. Ho laboratori e fornitori che mi lavorano su commissione. I clienti possono trovarmi attraverso il mio negozio online o tramite facebook. Mi diverto ad aiutare chi mi contatta ad ottenere l’oggetto prezioso che vogliono realizzandolo artigianalmen-te sul territorio in maniera personalizzata e nel migliore dei modi”. Ed ora spazio alle domande e alle relative risposte.

Quanto tempo le è servito per sentirsi apprezzata in ambito professionale? Pochissimo! Gli uomini apprezzano subi-to una persona (donna o uomo) che sa subito sa emanare concretezza. Se poi si sa sorridere tutto è ancora più facile.

Ha incontrato difficoltà in quanto donna? Nessuna. Sono molto rispettata da tutti. E non ho mai neanche percepito lonta-namente una difficoltà. Anzi, se penso a qualche difficoltà se pur piccola, arri-vava da rapporti di lavoro con donne, non con uomini. La cosa bella che ho scoperto molto presto è che non si deve aver paura di offendere. La chiarezza è fondamentale. Se si ha un problema con qualcuno, di qualunque genere bisogna parlarne e risolverlo subito. Se poi è in campo lavorativo è fondamentale. Bi-sogna parlarsi! Un buon caffè offerto a chi pensi sia il tuo nemico ti può far sfociare in una grande amicizia. Questo l’ho imparato a 24 anni! Lei si chiama Antonella, di anni ne aveva 10 più di me ed oggi è tra le persone più importanti della mia vita.

Sul fronte diffidenza, qualche pro-blema l’ha avuto? No. Senza la vostra domanda non mi sa-rei neppure posta il problema.

Ostacoli, magari? Come donna manager intendo. Una donna manager non ha un lavoro, ne ha almeno 3 e se come me, ha 2 la-

Donne in carriera: Giada Piazzalunga“Una donna manager non ha un lavoro, ne ha almeno 3. Nel mio caso 4”di Ingeborg Wedel

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giugno 2017 La Rivista - 27

vori…vuol dire che ne ha almeno 4…. Io personalmente gestisco una casa, la spesa, i conti, le bollette, le pulizie, la cena…Pensate, da quando ho un marito, la sera vuole mangiare e dal 2012 di conseguenza mangio anche io. Se poi la donna manager ha un bambino ecco il terzo lavoro bellissimo, gratificante, dolcissimo lavoro.

Un sacco d’impegni comportano degli svantaggi? Pensieri: tante, troppe cose da ricordare.

Qualche vantaggio le viene in mente? Andare a letto la sera, pensare alla giornata passata ed essere felici del fatto di non aver buttato via tempo e di aver fatto qualcosa. Crescere tutti i giorni.

Ritiene che essere donna le comporti dei privilegi? Penso che da quando il servizio di leva non è più obbligatorio siamo più o meno pari. Solo che noi siamo più belle!

Condivide l’affermazione che vuole le donne più intuitive degli uomini? Conosco donne non molto ferrate sulle intuizioni…ma in effetti, tante hanno una marcia in più. Sanno fare più cose nello stesso momento e hanno una visione a 360 gradi, ma non tutte. Non mi piace diversificare l’uomo dalla donna. Noi per prime non dobbiamo continuare a pensare alle diversità tra uno e l’altra. Io penso alle diver-sità tra persone non tra uomo e donna. Anche le donne sbagliano! Solo che sanno ammetterlo (ovviamente scherzo).

Quanto conta per la donna in carriera l’arte della seduzione? Anche allo stato inconscio. Vorrei dire zero. Ma lo zero è un numero bello importante… Non esiste è la risposta

giusta! Almeno per quanto mi riguarda. Possono arrivare complimenti, apprez-zamenti, ma sono gentilezze, nulla di più. L’unica cosa che conta veramente ma non solo per la donna… è il sorri-so e il rispetto. Se si sa sorridere e avere rispetto per gli altri è tutto molto più facile.

Qual è a suo avviso la soddisfazione maggiore per una donna manager? I risultati! Come per chiunque! E I rin-graziamenti!

Che atteggiamento assume dipen-denti femminili? Gli stessi atteggiamenti assunti verso un dipendente maschile!

In quanto donna ritiene di dover ri-nunciare a qualcosa di specifico? Io non rinuncio a niente. Ho solo meno tempo per tutto, ma con una buona pianificazione il tempo si trova.

Anche per praticare qualche hobby? Certamente, basta volerlo e il tempo si trova.

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28 - La Rivista giugno 2017

di Manuela Cipollone

Le novità in Gazzetta Ufficiale

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è entrata in vigore la legge “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Il cosiddetto Decreto Minniti introduce numerose novità, dall’au-mento delle sezioni di tribunale specializzate in materia di immigrazione e protezione inter-nazionale – che da 14 diventano 26 – all’aggiunta dell’impugnazione dei provvedimenti delle commissioni territoriali – quelle che devono esaminare le domande di protezione internazionale – tra le controversie attribuite alla competenza delle sezioni specializzate. Si prevede, poi, una specifica disciplina per i giudizi di impugnazione delle decisioni di trasferi-mento adottate dalle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internaziona-le. Il ricorso è ammesso entro 30 giorni dalla notifica, e il giudizio si svolge in camera di consiglio nelle forme del procedimento di volontaria giurisdizione. Il procedimento si conclude con decreto non reclamabile, entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso. Il decreto può essere impugnato solo con ricorso per cassazione entro 30 giorni. Il decreto semplifica le disposizioni riguardanti le notifiche degli atti ai richiedenti asilo da parte delle commissioni territoriali; per il riconoscimento della protezione internazionale il procedi-mento dovrà svolgersi in camera di consiglio; per l’accertamento dello stato di cittadinanza si applica il rito sommario di cognizione, già previsto dal decreto-legge per le controversie relative allo stato di apolidia. La nuova legge, infine, prevede anche il potenziamento della rete diplomatica e consolare nel continente africano: da un lato si dispone l’aumento sia di personale che di risorse economiche per i prossimi anni; dall’altro si prevedono stanziamenti ad hoc per inviare carabinieri in Africa, per rafforzare la sicurezza dei cittadini e degli interessi italiani all’estero.

Tutela dei minori non accompagnati Queste regole non si applicano ai minori non accompagnati: sono entrate in vigore da maggio le nuove disposizioni approvate per tutelarli meglio dal loro arrivo in Italia. Innanzitutto non possono essere soggetti al respingimento alla frontiera, senza alcuna eccezio-ne; possono essere trattenuti nelle strutture di prima accoglienza solo 30 giorni – invece degli attuali 60; vengono migliorate e uniformate le procedure per l’accertamento dell’età e stabilito un sistema organico di accoglienza, che soddisfi gli standard minimi delle strutture residenziali per minorenni; viene esteso l’utilizzo di mediatori culturali qualificati col compito di comunicare e tradurre i bisogni di questa categoria di minorenni particolarmente vulnerabili. La legge promuo-ve la figura dell’affido familiare e la nomina puntuale di tutori volontari per questi minorenni; vengono rafforzati alcuni dei diritti riconosciuti ai bambini non accompagnati, come quello all’as-sistenza sanitaria, all’istruzione, alla piena attuazione delle garanzie processuali; infine, viene istituito un Sistema informativo nazionale dei minori non accompagnati presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Con la pubblicazione in Gazzetta della legge 49 (Disposizioni urgenti per l’abrogazione delle disposizioni in materia di lavoro accessorio nonché per la modifica delle disposizioni sulla re-sponsabilità solidale in materia di appalti) i referendum indetti il 28 maggio sono stati annullati con un’ordinanza della Corte di Cassazione - Ufficio Centrale per i referendum. La legge infatti abolisce i voucher (a partire dal 2018, chi li ha acquistati li può usare fino a dicembre 2017) e ripristina la responsabilità solidale negli appalti. La nuova crisi Alitalia è stata affrontata dal Governo con un decreto legge che ha l’obiettivo di assicurare la continuità del servizio. Per garantirla, il decreto dispone un finanziamento a

Combattere l’immigrazione illegale, tutela-re i minori non

accompagnati; e ancora: la nuova

crisi Alitalia, le norme su vou-cher e appalti,

che hanno fatto annullare i refe-rendum indetti

per il 28 maggio; i nuovi dati sugli

italiani all’estero.

Burocratiche

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giugno 2017 La Rivista - 29

titolo oneroso di seicento milioni di euro, per sei mesi, da utilizzare “per le indilazionabili esigenze gestionali della società”. Tre i commissari nominati per gestire la procedura di amministrazione straordinaria: Luigi Gubitosi (coordinatore), Enrico Laghi e Stefano Paleari. Con una direttiva del presidente del consiglio viene istituita la “Giornata della memoria dei caduti dei Servizi di informazione per la sicurezza” per il 22 marzo di ogni anno. Obiettivo quello di “sensibilizzare l’opinione pubbli-ca ed in particolare i giovani sul significato del sacrificio dei Caduti dei Servizi di informazione in Italia e all’estero anche attraverso attività volte ad acquisire la conoscenza del ruolo e delle finalità del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica”. L’iniziativa, si legge nella premessa, si deve alla opportunità rendere un “doveroso omaggio a tutti gli appartenenti agli Organismi informativi che nel corso della storia, dentro e fuori i confini dell’Italia, hanno silenziosamente sacrificato al dovere la propria vita”. In Gazzetta anche il regolamento di organizzazione dell’Agenzia per l’Italia digitale che disciplina i principi, l’organizzazione e il sistema direzionale, l’organico, il reclutamento, lo sviluppo e la formazione del personale, delineando la macrostruttura dell’AgID. In Gazzetta ufficiale anche le norme di attuazione della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea; la ratifica e l’esecuzione nell’ordinamento italiano arrivano a quasi diciassette anni di distanza dalla firma della convenzione, avvenuta nel 2000.

Quanti sono gli italiani residenti all’estero? In Gazzetta Ufficiale anche un nuovo decreto interministeriale – Farnesina – Viminale – che corregge le cifre rese note a fine gennaio sul numero degli italiani residenti all’estero. Questo nuovo decreto è stato necessario perché “sono risultati errati i numeri” riportati nel decreto “originale” emanato il 27 gennaio, comunicati “dalla società di cui il Ministero dell’interno si avvale ai sensi dell’articolo 1, comma 306, della legge 24 dicembre 2012, n. 228”. Invece dei 4.975.299 certificati a gennaio, gli italiani residenti all’estero sono 4.973.942, dunque 1366 in meno (616 in Europa, 523 in Sud America, 124 in Nord America, 94 in Africa, Asia, Oceania e Antartide). Le nuove cifre: gli italiani residenti in Europa sono 2.685.815; quelli in America meridionale 1.559.068; i con-nazionali in America settentrionale e centrale sono 451.062; mentre, infine, 277.997 risiedono in Africa, Asia, Oceania e Antartide. Il decreto interministeriale viene pubblicato ogni anno, come previsto dalla legge sul voto all’estero.

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30 - La Rivista giugno 2017

di Paola Fuso CappelaniaDi lavoro e dintorni

Dal punto di vista patologico il primo effetto è dato dal netto calo delle controversie di lavoro: sono diminuite quasi del 50% le cause in materia di licenziamento e contratto a termine. Per quanto concerne il contratto di lavoro a tempo determinato: è scomparso l’obbligo, per le aziende, di indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificavano la necessità di assumere personale a termine. Secondo il Jobs Act il contratto a termine deve solo rispettare due requisiti: la durata massima (pari a 36 mesi, comprensivi di pro-roghe e rinnovi) e il numero di lavoratori assumibili a termine (pari al 20% del personale in forza, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, al 1° gennaio dell’anno di assunzione). Requisiti, tra l’altro, ulteriormente modificabili ad opera di un accordo collettivo, anche aziendale. Altra categoria interessata dalla Riforma è quella delle collaborazioni autonome: sono stati abro-gati i contratti di collaborazione c.d. occasionale e per le collaborazioni coordinate e continuative non esiste più la stipula del c.d. progetto. Il Jobs Act ha cambiato anche la disciplina delle mansioni: se prima del 2015 vigeva il rispetto del-la c.d. “equivalenza”, ad oggi basta che le mansioni siano riconducibili al livello e alla categoria contrattuale di appartenenza. A certe condizioni, a retribuzione invariata, il datore può assegna-re ai dipendenti mansioni inferiori. Un’altra importante semplificazione ha interessato la discipli-na del “controllo a distanza” dell’attività lavorativa, sdoganandolo dalla necessità dell’accordo con le rappresentanze sindacali o della richiesta preventiva all’Ispettorato Nazionale del Lavoro. In merito ai licenziamenti individuali per rapporti iniziati dopo il 7 marzo 2015, si sono ridotte le ipotesi in cui il lavoratore può chiedere in giudizio la reintegra nel posto di lavoro. La reintegra è possibile solo se il licenziamento è nullo, perchè discriminatorio, oppure perché comunicato oral-mente. Escluse le ipotesi di reintegra, in caso di licenziamento impugnato dal lavoratore, è stata prevista una sanzione economica predeterminata e correlata all’anzianità di servizio, applicabile a tutti i casi in cui non può essere disposta la reintegra. In caso di licenziamento in assenza di giusta causa o giustificato motivo, la sanzione economica applicabile sarà pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio e non potrà essere inferiore a 4 mensilità e superiore a 24 mensilità. In caso di licenziamento invalido per vizio formale, la sanzione si riduce ad 1 mensilità per ciascun anno di servizio e non può essere inferiore a 2 mensilità o superare le 12 mensilità. Infine per le imprese con meno di 15 dipendenti le sanzioni economiche vengono dimezzate e l’indennità spettante al dipendente non può mai superare le 6 mensilità. La semplificazione è stata estesa anche alle sanzioni applicabili in caso di licenziamento collet-tivo viziato. La reintegra, in detti casi, è ammessa solo se la cessazione è comunicata in forma orale. Negli altri casi, qualora il licenziamento sia stato intimato a seguito di procedura collettiva viziata o senza rispettare i criteri di scelta previsti dalla legge (carichi di famiglia; anzianità; esi-genze tecnico-produttive ed organizzative) spetterà al dipendente solo un’indennità economica. All’insegna dell’allineamento con Paesi che hanno fatto della conciliazione vita-lavoro un punto di forza (v. Nord Europa) è stato inoltre rilanciato il concetto di smart working. Il modo in cui si lavora, ad esempio il tele-lavoro, permetterà al datore e al lavoratore di concordare, per iscritto, che la prestazione lavorativa venga svolta in parte nei locali aziendali, senza postazione fissa, e in parte all’esterno, nel rispetto della durata massima dell’orario di lavoro giornaliero. Naturalmente lo smart working puo’ essere applicato per determinati tipi di lavoro o forse quasi per tutti se si pensa al fatto che i robot stanno portando a dover ripensare lo stesso mondo del lavoro, ormai evidentemente lontano anni luce da quel maggio 1970, quando per la prima volta si codificò lo Statuto dei Lavoratori.

[email protected]

Il lavoro ai tempi del Jobs ActCome si presen-ta il rapporto di lavoro, dalla sua

nascita alla sua cessazione, a due

anni dalla entrata in vigore del Jobs Act (L. 183/2014)?

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giugno 2017 La Rivista - 31

In due recen-ti sentenze il Tribunale Fe-

derale Svizzero ha ridefinito la prassi relativa

alla deducibilità fiscale dell’in-

dennità pagata dal proprietario di un immobile

in concomitanza con la rescissione

anticipata di un mutuo ipotecario, dando allo stesso

tempo un con-tributo decisivo all’unificazione

delle prassi locali e cantonali.

Con il progressivo calo dei tassi di interesse sui mutui e l’aumento delle compravendite immobiliari tali pagamenti per rescissione anticipata del contratto di mutuo preesistente sono ormai all’ordine del giorno, la questione della loro deducibilità fiscale riveste quindi grande importanza pratica.

Nel primo caso in materia di tassa sull’utile immobiliare zurighese (2C_1148/2015 del 3 aprile 2017), la quale è percepita in questo cantone a livello comunale ma sulla base della definizione delle competenze ancorata nella Legge federale sull’armonizzazione fiscale, la massima istanza svizzera aveva constatato che nella fattispecie solo grazie allo scioglimento del debito era stato possibile realizzare il prezzo di vendita pattuito. Lo scioglimento anticipato del debito ipotecario al prezzo di 2.5 milioni di franchi in vista della vendita dell’immobile costituiva inoltre in sostanza una miglioria di carattere giuri-dico i cui costi dovevano esser presi in considerazione a riduzione dell’utile immobiliare imponibile.

Nel secondo caso (2C_1165 e1166/2014 del 3 aprile 2017) si trattava invece di statuire sulla deducibilità per le imposte sui redditi. Anche in questo caso i contribuenti avevano sciolto il mutuo esistente in vista della vendita dell’immobile. Essi avevano però fatto valere il pagamento dell’indennità quale deduzione per interessi passivi nell’ambito delle imposte sui redditi (nota bene: perché nell’ambito della TUI le autorità avevano nega-to la deduzione e li avevano rinviati alla deduzione nella dichiarazione sui redditi!). A questo proposito il Tribunale Federale osservava che i costi per la rescissione possono essere considerati equivalenti agli interessi passivi solo qualora il mutuo terminato venga sostituito da un nuovo mutuo e in un obiter dictum specifica che il nuovo mutuo deve essere concluso con lo stesso istituto. Solo cosi il pagamento dell’indennità non costi-tuisce risarcimento danni o penale in senso stretto, bensì un pagamento assimilabile agli interessi passivi. Nel caso invece dove il mutuo venga sciolto in vista della vendita, viene a mancare il nesso di causalità, poiché il pagamento è dovuto alla vendita e non al contratto di mutuo di per sé. Il Tribunale cantonale non aveva quindi violato il diritto federale negando la deducibilità della penale nell’ambito della tassazione dei redditi. Il Tribunale Federale ha invece ribadito che qualsiasi spesa può essere dedotta solo una volta, quindi o nell’ambito della TUI oppure in quello delle imposte sui debiti, una dop-pia deduzione è esclusa poiché contraria al principio dell’imposizione secondo la capa-cità economica del contribuente.

[email protected]

Deducibilità fiscale dell’indennità per rescissione anticipata del mutuo ipotecario

di Tiziana MarencoAngolo Fiscale

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giugno 2017 La Rivista - 33

Un marchio, in parole povere, è un segno di carattere distintivo, grazie a cui i consumatori ri-conoscono la provenienza aziendale di prodotti e/o servizi, e quindi conferisce loro la facoltà di distinguerli da prodotti e/o servizi della concorrenza. In effetti, un brand ben creato e posizionato sul mercato costituisce un vantaggio competitivo prezioso e, pertanto, può essere di gran valore per il suo titolare. Facendo parte dell’universo della proprietà intellettuale, un marchio concede al suo proprietario un mini-monopolio, ovvero l’esclusività di poter contrassegnare i suoi prodotti e/o servizi durante un certo periodo. In Svizzera, i diritti di marchio sono tutelati dalla Legge federale sulla protezio-ne dei marchi e delle indicazioni di provenienza e dalla relativa ordinanza. In pratica, inoltre, sono di grande rilievo le dettagliate Direttive in materia di marchi dell’Istituto federale della proprietà intellettuale (IPI). L’IPI è l’autorità svizzera, situata a Berna, responsabile per la registrazione di marchi e per la gestione del registro. L’imprenditore, innanzitutto, deve stabilire l’aspetto del suo marchio, che può assumere una vasta gamma di forme, sempre a condizione che sia riproducibile graficamente: lettere, parole, cifre, rappresentazioni grafiche (simboli, logo), o anche combinazioni di questi elementi, con o senza rivendicazione di colori. Oltre a segni bidimensionali, si possono registrare forme tridimen-sionali (ad es. la forma del cioccolato Toblerone), sigle musicali (ad es. il noto jingle delle caramel-le Rucola) o movimenti (ad es. il movimento del logo della Swisscom). Un marchio può persino essere un semplice colore, utilizzato per determinati prodotti (ad es. l’arancione per bevande a base di cioccolato e/o di malto, registrato a nome dell’azienda che produce l’Ovomaltina) o servizi (ad es. il giallo per il trasporto di lettere e pacchi, ma anche per il trasporto di persone con autobus, registrato a nome della Posta Svizzera). Oltre all’aspetto del marchio, l’imprenditore deve stabilire le categorie di prodotti e/o servizi che intende contrassegnare. In realtà un marchio non è protetto “universalmente” – bensì va piut-tosto registrato per determinate categorie, dette “classi”. Al fine di categorizzare il proprio mar-chio, ci si può avvalere dell’assistenza alla classificazione messa a disposizione dall’IPI, costituita in virtù dell’Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai quali si applicano i marchi di fabbrica o di commercio, che elenca 45 classi principali. Non tutti i segni, però, sono degni di protezione: sono esclusi del tutto da un’iscrizione al registro (i) segni di dominio pubblico, vale a dire, segni senza carattere distintivo (ad es. meramente de-nominativi o descrittivi) e segni che devono rimanere liberamente utilizzabili da tutti gli operatori commerciali (cosiddetto “imperativo di disponibilità”), (ii) forme definite dalla natura stessa o dalla tecnica del prodotto, (iii) segni che possono indurre in errore (ad es. “Alpina” per orologi fabbricati in Asia), o (iv) segni in contrasto con l’ordine pubblico, i buoni costumi o il diritto vigente. In assenza di un motivo d’esclusione assoluto, il titolare di un marchio anteriore può opporsi all’iscrizione se ritiene che il marchio depositato sia identico o crei un rischio di confusione con il marchio preesistente. Il titolare deve dimostrare tale asserzione in una procedura di opposizione dinanzi all’IPI. Va detto che, di regola, non esiste un conflitto tra marchi identici o simili se non sono anche registrati per prodotti e/o servizi identici o simili. Una volta registrato, un marchio è protetto per 10 anni dalla data di deposito. Il titolare può sem-pre prorogare il suo diritto al marchio per altri dieci anni presentando una relativa richiesta all’IPI.

[email protected]

Nel momento di avvio di un’attivi-

tà commerciale, l’imprenditore

previdente si occu-pa intensamente del branding dei suoi prodotti e/o servizi e quindi si pone l’inevitabile

domanda della registrazione di

un marchio.

Depositare un marchio in Svizzera – 1a parte

di Riccardo GeiserAngolo legale Svizzera

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34 - La Rivista giugno 2017

Lo scambio delle informazioni in una recente sentenza della Corte di Giustizia

di Paolo Comuzzi Convenzioni Internazionali

Commenti Il principio di diritto che viene stabilito nella recente sentenza della Corte di Giustizia è quello per cui la attivazione di una richiesta di cooperazione fiscale deve contenere sem-pre tutti gli elementi che consentano allo Stato richiesto (ie Italia) di comprendere ap-pieno se la stessa rispetta tutti i vincoli di legittimità imposti dalle regole convenzionali. Ove tali condizioni non fossero rispettate ovvero se ciò non risulta chiaro il diritto europeo deve garantire una reale tutela del contribuente che non può essere esposto a richieste di carattere arbitrario (questo perché esiste comunque un diritto alla riser-vatezza che certamente deve cedere di fronte al principio del rispetto della capacità contributiva ma deve cedere seguendo particolari forme processuali e di garanzia1). Questo principio è stato fissato, in modo chiaro e diciamo anche evidente, dalla Corte di giustizia con la sentenza C-682/15 che per questo è importante (ed è stata com-mentata sui quotidiani specializzati). Siamo di fronte ad un giudizio che trae origine da una richiesta di informazioni inol-trata, in forza della direttiva 2011/16, dall’amministrazione finanziaria francese verso quella lussemburghese, conseguente ad una verifica circa la sussistenza dei requisiti previsti per l’esenzione della ritenuta alla fonte su un dividendo pagato da una società transalpina alla sua controllante lussemburghese (di cui non viene contestata la resi-denza fiscale) e quindi siamo di fronte ad un caso per quanto riguarda il nostro paese potrebbe porsi abbastanza spesso considerate le contestazioni in materia di benefi-ciario effettivo2 e la necessità di avere chiare ed evidenti informazioni in merito alla condizione di fatto del percettore (ad esempio per appurare se costui ha quella che in gergo si chiama struttura leggera e quindi non sia il beneficiario). L’Amministrazione dello Stato richiesto, proprio a seguito di tale richiesta, imponeva al soggetto residente (una società controllante di quella francese) di fornire talune infor-mazioni richieste dall’amministrazione francese e la società rispondeva omettendo i dati relativi ai propri soci ritenendo che tali informazioni non fossero «prevedibilmente pertinenti» - nell’accezione della direttiva 2011/16 - alla verifica fiscale posta in essere dalle autorità francesi (in sostanza non veniva data una informazione parziale circa il

1 Almeno in Italia è ovvio che il diritto alla privacy cede di fronte al precetto costituzionale del rispetto della capacità contributiva. 2 Quando si contesta il beneficiario effettivo non si contesta la residenza del percettore ma si contesta che il soggetto abbia tutte quelle caratteristiche che lo rendono il vero “proprietario” (in senso atecnico usiamo il termine) del reddito percepito.3 È evidente che la nozione di prevedibilmente pertinenti appare del tutto vaga e che possono sorgere dei contenziosi con riferimento a questo specifico punto..

Come abbiamo sem-pre detto lo scambio

delle informazioni è il solo sistema

che consente una completa eliminazio-

ne della asimmetria informativa che

consente al contri-buente di mantene-re nascosti (in tutto

o in parte i propri redditi). Si pensi,

per essere chiari, al contribuente che fi-

gura come residente estero ma tale non

è. In questa situazio-ne si ha un nascon-dimento “brutale”

di alcuni (o tutti) i redditi percepiti

usando proprio del fatto che il primo ed il secondo Stato non si parlano. A questo necessario principio

si affianca quello della riservatezza

che deve essere con-siderato. Ecco allora che scatta il control-

lo della giurisdizione come spiegato nella

sentenza.

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giugno 2017 La Rivista - 35

Da ultimo la sentenza che abbiamo commentato evidenzia che, per as-sicurare l’effettività di tale rimedio, il giudice nazionale deve essere com-petente sia a modificare - quantita-tivamente - la sanzione che è stata inflitta, sia a verificare la legittimità di tale decisione; per questo dovrà aver accesso completo alla richiesta di informazioni, indipendentemen-te dal suo carattere di segretezza. Viceversa il soggetto destinatario della richiesta non disporrà di un diritto di accesso completo, ma so-lamente alle informazioni minime previste dall’articolo 20, paragrafo 2, della Direttiva 2011/16, ovvero all’identità del contribuente coin-volto e al fine fiscale delle informa-zioni richieste.

Conclusione La conclusione è che si deve bilan-ciare la trasparenza con il giusto controllo che deve essere operato dalla giurisdizione al fine di impedi-re che la trasparenza (che è un prin-cipio importante) diventi una forma di arbitrio e che sia lesiva di diritti della persona.

percettore stesso ma veniva fornita una completa informazione concernen-te il soggetto residente mentre erano omesse completamente informazioni che riguardavano soggetti terzi). A fronte del diniego nel rendere informazioni “complete”, l’autorità fiscale lussemburghese irrogava una sanzione amministrativa, avverso la quale la società ricorreva al tribunale amministrativo e questo generava un conten-zioso che produceva i seguenti effetti:

i giudici di prime cure riducevano parzialmente la sanzione, respingendo il ricorso nel merito non ritenendo di doversi pronunciare sulla domanda di annullamento;

2. la società proponeva allora appello alla corte amministrativa di secondo grado adducendo il motivo che il diniego opposto dal tribunale amministra-tivo (in base alla norma interna lussemburghese) di verificare la fondatezza della decisione di ingiunzione, fosse lesivo del diritto ad un ricorso giurisdi-zionale effettivo, così come garantito dall’articolo 6 della Cedu. I giudici amministrativi dello Stato adito hanno ritenuto di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte di giustizia la questione e lo hanno fat-to invocando la rilevanza, anche in tale ambito dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, che riflette i medesimi principi espressi dall’articolo 6 della Cedu. La Corte di Giustizia, con la sentenza che abbiamo indicato, ha stabilito due principi importanti: 1) in primo luogo ha ricondotto, ai sensi dell’articolo 51 della Carta dei di-ritti fondamentali dell’Ue, le misure coercitive irrogate tra quelle che gli Stati membri adottano per assicurare il buon funzionamento della cooperazione amministrativa all’attuazione degli obblighi della Direttiva 2011/16 e 2) ha statuito che l’articolo 47 della Carta va interpretato nel senso che un soggetto, cui è stata inflitta una sanzione - per non aver ottemperato ad un’ingiunzione di fornire informazioni nel contesto dell’assistenza ammini-strativa in forza della Direttiva 2011/16 - ha diritto a contestare la legittimità della stessa con un ricorso giurisdizionale che possa dirsi un ricorso effettivo.

Stabiliti questi due principi la la Corte di Giustizia prosegue ricordando che tale decisione di ingiunzione può essere anche legittima (articolo 1, paragrafo 1, e articolo 5 della Direttiva 2011/16) ma questo qualora le informazioni richieste dall’autorità fiscale estera siano qualificabili come «prevedibil-mente pertinenti»3, riflettendo, in tal modo, la medesima nozione uti-lizzata dall’articolo 26 del modello di convenzione Ocse.

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Recentemente ho ricevuto una telefonata da parte di un padre molto preoccupato. Il figlio minore, ventiquattrenne iscritto all’università, colleziona un insuccesso dopo l’altro. “Sa, professo-ressa – mi dice – è intelligente e affettuoso, ma non si impegna. Invece di studiare e prepararsi agli esami perde molto tempo, in particolare con video giochi. Circa un anno fa abbiamo acquistato una nuova casa e gli abbiamo arredato una spaziosa camera con bagno nella mansarda in modo che si senta più indipendente. La relazione con lui è buona tutto sommato, ma non riusciamo a spingerlo a lavorare più seriamente per il suo avvenire. Mia moglie ed io cerchiamo di fare del nostro meglio per comunicare e incoraggiarlo a studiare, ma lui sembra impermeabile. Fino al diploma di maturità non ha avuto problemi, poiché l’intelligenza gli bastava per andare avanti senza faticare troppo. Credo faccia parte di quei ragazzi ad alto potenziale intellettivo che durante l’infanzia e l’adole-scenza non sono stati stimolati adeguatamente a casa e a scuola… Adesso noi genitori ci doman-diamo se non dovrebbe farsi seguire da una psicologa per curare la sua tendenza a sempre rinviare, rinviare… Ma lui non ne vuole sapere. Vorrei venire da lei per vedere come posso convincerlo…”

Dopo aver parlato a più riprese con questo padre per conoscere meglio la situazione e le dina-miche interattive familiari, mi si è accesa una sorta di lampadina: e se avesse ragione il figlio a non volersi far “curare” da una psicologa? E se il giovane avesse “unicamente bisogno” di un padre che faccia il padre, ovvero di una figura autorevole e adeguatamente severa che gli metta dei chiari limiti educativi. Il padre in questione sembra ora aver aderito a tale diversa lettura del problema. Vedremo nei mesi a venire se tale opzione darà i frutti sperati. Questo ennesimo caso di genitori inclini all’indulgenza, sempre pronti ad assumersi la colpa di non aver fatto abbastanza, sempre orientati a considerare la pigrizia dei figli come un disturbo psichico da curare, mi fa dire che stiamo assistendo a una crescente confusione tra il campo psicoterapeuti-co e quello educativo (un grande elefante invisibile). Ovviamente non ho nulla contro la psicologia e gli psicologi, visto che da una trentina d’anni mi dedico con passione a tale disciplina sul piano clinico, dell’insegnamento e della ricerca.

Attenzione, mi vien voglia di dire, l’idea di mal-attia sta sostituendo quella di mal-educa-zione! Taluni genitori e insegnanti non osano più assolvere il ruolo specifico di educatori capaci di guidare, instradare, spronare, sanzionare i giovani virgulti, ma si sentono piuttosto in dovere di eti-chettare rapidamente i loro comportamenti inadeguati come patologie psicologiche. Un bambino che non rispetta le regole viene così facilmente definito come perturbato e iperattivo, e pertanto scusato a priori e compatito. Un ragazzo (o ragazza, si intende!) pigro e svogliato diventa sempre più spesso nel racconto dei familiari un individuo ad alto potenziale che non è stato adeguatamente stimolato. Un adolescente normalmente ribelle viene visto come un caso clinico da curare. Sembra insomma che sempre più adulti preferiscano oggi affidare figli e allievi alle cure di uno specialista piuttosto che investire energie nell’educarlo ponendogli i necessari limiti, insegnandogli a non considerarsi il centro del mondo, confrontandolo ai suoi doveri e non solo ai suoi sacrosanti diritti. Ovviamente sono la prima a non negare che molte conoscenze in campo psicologico e rela-zionale siano di aiuto (di grande aiuto, anzi!) nella complessa missione educativa degli adulti. Ma un conto è servirsene per tentare di svolgere al meglio i compiti educativi di padre, madre, maestro, professore nelle società moderne. Un altro è pensare e agire come se le frottole, le insubordinazioni, le sciocchezze e le balordaggini dei più giovani siano disturbi da compatire e curare.

Disturbo psicologico o carenza educativa?

di Vittoria Cesari LussoL’elefante Invisibile1

1 Una vecchia leggen-da indiana narra di un elefante che pur

muovendosi tra la folla con al sua impo-

nente mole passava comunque inosser-

vato. Come se fosse invisibile…

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38 - La Rivista giugno 2017

Dalla Guerra del Sonderbund alla Costituzione federale del 1848

immediatamente le relazioni diplomatiche con la Confederazione, minacciando altri e più pesanti provvedimenti. Quando, su pres-sione dell’Austria e del Regno di Sardegna, la polizia del Canton Soletta arrestò Mazzini, con l’intimazione di lasciare la Confederazi-one entro 24 ore, l’Assemblea comunale di Grenchen gli conferì la cittadinanza con 122 voti favorevoli contro 22. Divenuta il Paese preferito dei rifugiati politici e quindi il regno delle spie e degli agenti provocatori di mezza Europa, la Confederazione, sotto le pressioni delle varie potenze restauratrici, fu costretta ad adottare, nel 1837, un conclusum per limitare l’autonomia dei Can-toni in materia di rifugiati politici, in seguito al quale anche Mazzini fu espulso. Non si era ancora del tutto chiuso il contenzioso con

Ancora la questione dei profughi Primo fra tutti, come detto, c’era Giuseppe Mazzini, accusato di aver organizzato in Svizzera, nel 1834, una spedizione in Savoia per promuoverne la liberazione dal Regno di Sardegna. Contro di lui c’erano poi le accuse di sobillatore da parte delle cancellerie europ-ee per aver fondato, sempre in Svizzera, oltre alla Giovine Europa, la Giovine Germania, la Giovine Francia, la Giovine Polonia, la Giovine Belgio, la Giovine Spagna, tutte riunite in un’assemblea segreta il cui motto era Libertà - Uguaglianza - Umanità, con l’obiettivo di sos-tituire l’Europa dei monarchi con quella dei Popoli. Mazzini fu promotore anche della fondazione della Giovine Svizzera, il cui compito principale era quello di sostituire il Patto del 1815 con una Costituzione elaborata da un’Assemblea costituente. I dissapori sorti in seno alla Giovine Europa, per divergenze tra le varie anime, avevano costretto Mazzini a spostare tutte le sue attività da Berna a Grenchen (Soletta), suo luogo di residenza. Dopo che un centinaio di operai aderenti alla Giovine Germania, in un’assemblea al risto-rante Steinhölzli di Berna, il 27 luglio 1834, avevano sventolato la bandiera della Repubblica tedesca e proclamato prossime azioni per liberare la loro patria, il cancelliere austriaco Metternich ruppe

Fallito il varo del Patto Rossi, la Confederazione si trovò di nuovo sconvolta da lotte intestine tra riformatori e conservatori. La Dieta era, intanto, costretta a subire an-cora forti pressioni da parte delle grandi potenze, che continuavano a chiedere l’estradizione dei rivoluziona-ri, che avevano trovato rifugio nei vari Cantoni liberali.

Dalla Svizzera degli Stati a

quella federale

di Tindaro Gatani

Il busto di Giuseppe Mazzini a Grenchen (Soletta), dove visse in esilio per oltre un anno e mezzo.

Il generale Guillaume Henri Dufour (1787-1875), comandante delle truppe federali nella guerra del Sonderbund.

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giugno 2017 La Rivista - 39

l’Austria, con il Regno di Sardegna e con altre cancellerie quando, l’anno dopo (1838), si aprì quello ancora più complicato e più serio con la Francia per la presenza sul suolo elvetico del principe Carlo Luigi Napoleone Bonaparte (1808-1873). Il futuro Napoleone III era figlio terzogenito del Re di Olanda Luigi Bonaparte (1778-1846) e di Ortensia di Beauharnais (1783-1837), rispettivamente fratello e figlia adottiva di Napoleone I. Dopo la sconfitta definitiva dello zio a Waterloo del 18 giungo 1815, tutti i membri della sua dinastia erano stati costretti all’esilio. Ortensia di Beauharnais, con il figlio di appena nove anni, si ritirò a vivere nel castello turgoviese di Arenenberg, nel Comune di Solenstein, che divenne il punto di riferimento di tutti i vecchi bonapartisti. In Svizzera, il giovane principe ricevette un’ottima educazione militare fino a diventare capitano dell’artiglieria bernese e ottenne anche, nel 1832, la cittadinanza di Solenstein, senza tuttavia rinunciare a quella francese. Il suo fallito colpo di Stato contro re Luigi Filippo d’Orleans (Strasburgo 1836), lo costrinse all’esilio volontario a New York, da dove ritornò in Svizzera, al capezzale della madre ammala-ta, che si spense il 5 ottobre 1837. La sua prolungata presenza in Turgovia provocò, però, le proteste della Francia che, il 1° agosto 1838, ne chiese l’espulsione.

Il patto segreto La Confederazione, nonostante le minacce francesi, si rifiutò di es-pellere un proprio cittadino. Per evitare il peggio, fu, allora, lo stesso principe a lasciare volontariamente il territorio elvetico. Con quello scatto di orgoglio «il popolo svizzero, per la prima volta, dopo tanto tempo, aveva trovato in sé la forza di resistere a una pressione e di prendere misure militari contro una Potenza straniera», dimostran-do «di possedere la coscienza della propria dignità, base di ogni effettiva indipendenza» (MARTIN William, op.cit., p. 224). Purtroppo fu un caso isolato, per il resto la Dieta federale non riusciva, infatti, malgrado «la buona volontà, a definire una politica estera precisa e

coerente» (GILLIARD Charles, op. cit., p. 87). Non era migliore la politica interna, dove, tra radicali riformatori e reazionari conservatori, gli scontri proseguivano senza esclusioni di colpi, rinfocolati anche dagli antichi contrasti religiosi. La lotta aveva investito anche il Ticino, dove, addirittura con un mese di an-ticipo sulla rivoluzione parigina del luglio 1830, già il 30 giugno, i liberali erano riusciti ad abbattere il cosiddetto regime del discusso Giovanni Battista Quadri (1777-1839), più volte accusato di abu-so di potere, di derive clientelari e, soprattutto, detestato per le sue misure antiliberali. Il Cantone adottò allora una nuova Costituzione, ispirata da Stefano Franscini (1796-1857), che proprio agli inizi di quell’anno aveva pubblicato l’opuscolo anonimo Della riforma del-la Costituzione ticinese, nel quale condannava i mali del regime quadriano e indicava la giusta strada da seguire per la Rigenerazi-one liberale del Cantone. Quando, nel 1839, i conservatori vinsero le elezioni e presero drastici provvedimenti contro i rifugiati politici soprattutto italiani, tra i quali c’erano i fratelli Giacomo e Filippo Ciani, ai primi di dicembre i liberali ticinesi insorsero e abbattero-no con un colpo di stato il Governo moderato e lo sostituirono con uno provvisorio presieduto dallo stesso Stefano Franscini. Il tentativo controrivoluzionario dell’estate 1841 fu soffocato e uno dei capi di quella rivolta, l’avvocato locarnese Giuseppe Nessi, fu condannato a morte e immediatamente fucilato (GHIRINGHELLI Giorgio, Il Ticino nelle vecchie stampe, Bellinzona 2003, p. 125 / CESCHI Raffaele, cap. “Politica a fucilate”, in Ottocento ticinese, Locarno 1986). In Argovia, dopo che i radicali erano riusciti a modificare la Costituz-ione in senso anticattolico, sopprimendo i conventi, era scoppiata una sommossa dei conservatori, che dovette essere repressa mili-tarmente (1841). Dopo l’intervento della Dieta si giunse al compro-messo di riaprire solo i conventi femminili, ritenuti meno pericolosi, lasciando scontente le due parti. Anche il Vallese fu teatro di una dura lotta tra conservatori e rifor-matori. Il 20 e il 21 maggio 1844, in uno scontro armato nelle gole del fiume Trient, le truppe governative sconfissero i giovani liberali capeggiati da Maurice Barmann (1808-1878), che riuscì a fuggire a stento dopo aver lasciato sul terreno 24 compagni morti e diversi feriti. In seguito, Barmann, come capo del partito radicale, avrebbe svolto un ruolo determinante nella politica del Vallese. A Lucerna, i conservatori, facendo pressioni sul Gran Consiglio, erano riusciti, intanto, a sollecitare l’affidamento dell’insegnamen-to secondario alla Compagnia di Gesù. Quella decisione fu con-siderata un affronto non solo contro i liberali lucernesi, ma anche contro tutti i Cantoni riformati, che chiesero l’espulsione dei Gesuiti, considerati la lunga mano della Restaurazione reazionaria. Non potendo intervenire attraverso la Dieta, che non ne aveva i poteri, i liberali organizzarono i Corpi franchi, gruppi di volontari che aveva-no il compito di rovesciare il governo di Lucerna. I falliti tentativi di quelle azioni ebbero come conseguenza il rafforzamento dell’intesa tra i Cantoni cattolici di Lucerna, Uri, Svitto, Nidvaldo, Obvaldo, Zugo, Friburgo e Vallese che, come ai vecchi tempi, strinsero un patto seg-reto, chiamato del Sonderbund (Lega speciale).

Il generale Johann-Ulrich von Salis-Soglio (1790-1874), comandante delle truppe del Sonderbund.

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40 - La Rivista giugno 2017

L’ultimo scontro armato Fin qui nulla di male, il Patto del 1815 non proibiva l’aggregazione tra i Cantoni per la difesa dei loro particolari diritti e dei loro territori. Quando si diffuse la voce che i Cantoni del Sonderbund avevano ottenuto promesse di aiuto da parte dell’Austria del Metternich, dal Regno di Sardegna di Carlo Alberto di Savoia e dalla Francia di re Luigi Filippo d’Orleans, preoccupati che l’azione dei radicali svizzeri potesse contagiare i loro Stati, i liberali decisero di prevenire l’eventuale intervento straniero prima che quel «tradimento potesse produrre i suoi effetti». Come prima cosa chiesero lo scioglimento del Sonderbund e la cacciata dei Gesuiti da Lucerna. Fino a quando, però, il tradimento non sarebbe stato palese non se la sentirono di spingersi oltre. La risposta venne però dal popolo: alcuni Cantoni, attraverso votazioni o veri e propri colpi di mano, passarono dai lib-erali ai radicali, che nel 1847 ottennero la maggioranza nella Die-ta. Di fronte agli otto Cantoni del Sonderbund (Lucerna, Uri, Svitto, Zugo, Friburgo, Vallese e i due semi-cantoni di Nidvaldo e Obvaldo), si trovarono i dodici radicali (Zurigo, Berna, Glarona, Soletta, Sci-affusa, San Gallo, Grigioni, Argovia, Turgovia, Ticino, Vaud, Ginevra). Neuchâtel si dichiarò neutrale, mentre i voti dei semi-cantoni di Ap-penzello, quello Interno riformatore e l’Esterno radicale, così come quelli dei semi-cantoni di Basilea, Città con i conservatori e Cam-pagna con i radicali, si annullavano a vicenda in quanto per contare avrebbero dovuto votare nello stesso modo. Forte dei numeri in seno

alla Dieta, nel luglio del 1847, i radicali fecero dichiarare illegale il Sonderbund e quindi ne chiesero lo scioglimento. Quando i Cantoni conservatori si rifiutarono di sottostare a quella decisione, dopo un ultimo tentativo di composizione della grave controversia, il 4 no-vembre 1847, la Dieta ordinò lo scioglimento del Sonderbund manu militari, cioè con l’uso della forza. Era la guerra civile. La fortuna volle che il comando delle truppe federali fosse affida-to a Guillaume-Henri Dufour (1787-1875), un moderato ginevrino, nominato generale per l’occasione (21 ottobre 1847), che accettò l’incarico, dichiarando che il suo obiettivo non era quello di andare a combattere dei nemici ma piuttosto di riportare la pace tra fratelli. Con una raccomandazione (4 novembre) e un proclama (5 novem-bre), Dufour, dopo aver ordinato alle truppe federali di astenersi da ogni eccesso e attenersi ai più rigorosi principi umanitari nel corso degli scontri, si mosse alla testa di circa 20.000 uomini e 60 can-noni contro 12.000 avversari, che disponevano di 31 cannoni. Gra-zie all’esperienza militare e alla moderazione del Dufour, la guerra fu di breve durata. Friburgo e Zugo si arresero rispettivamente il 13 e il 21 novembre. Dopo aver sconfitto, il 23 novembre, le forze del Sonderbund a Gislikon e Rotberg, le truppe federali entravano l’in-domani vittoriose in Lucerna. Gli scontri si conclusero con 98 morti e 493 feriti. Il 30 novembre, il Sonderbund fu costretto a riconos-cere la sconfitta e a rinunciare per sempre ai soccorsi promessi dai regimi conservatori e reazionari europei, che, di lì a poco, sarebbero stati investiti e travolti, a loro volta, dalla tremenda tempesta del ‘48 rivoluzionario. Il fatto che i Cantoni del Ticino e di Soletta, cattolici e

La cartina della Svizzera nel 1847, con in giallo i Cantoni del Sonderbund e in verde tutti gli altri.

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liberali, in nome del progresso, si fossero schierati con la Confeder-azione contro il Sonderbund, dimostra che, in realtà, non si era trat-tato di uno scontro religioso, ma piuttosto di un conflitto tra radicali e conservatori. Questa tesi trova ampia conferma nel fatto che il co-mando dell’esercito del Sonderbund era stato affidato al riformato Johann-Ulrich von Salis-Soglio (1790-1874) e quello dell’esercito confederato al conservatore-moderato Guillaume-Henri Dufour.

Il vento della rivoluzione L’ingerenza straniera a favore del Sonderbund è dimostrata anche dall’interesse del Metternich che, considerando «altamente nefas-ta rispetto agli interessi superiori dell’Austria» un’eventuale vittoria dei federali, rispondendo alla richiesta dello scoltetto di Lucerna, Konstantin Siegwart-Müller (1801-1869), non solo gli concesse un somma di 100.000 fiorini, ma propose anche, come comandante supremo delle truppe del Sonderbund, il principe Friedrich Karl zu Schwarzenberg, che declinò l’offerta, ma partecipò lo stesso alle operazioni militari come aiutante in capo del generale Salis-Soglio. I federali riuscirono a convincere i vinti, abbandonati dalle potenze reazionarie confinanti ormai impegnate nelle loro questioni interne, a partecipare alla revisione del Patto federale del 1815, per la crea-zione di uno Stato moderno con particolari poteri centralizzati, ac-

cettati e condivisi da tutti. Tra gli Stati in lotta da decenni per nuove Costituzioni liberali e mod-erne, la Svizzera era stata la prima a vincere quella lotta in un anno che passò alla storia con il nome di Quarantotto per antonomasia, perché sinonimo di rivolte e sommosse generali in tutta Europa. I primi sintomi del grande malessere europeo si ebbero in Lombar-dia e in Sicilia. Milano era tutto un subbuglio contro l’occupazione austriaca. Sul finire del 1847 a Palermo, gli oppositori del regime borbonico avevano dato origine a tumulti e a focolai di rivolta. Fu in Sicilia, infatti, che fu accesa la miccia dei grandi rivolgimenti storici. Il 12 gennaio 1848, giorno del compleanno del re borboni-co Ferdinando II, scoppiò a Palermo una rivolta che dilagò per tut-ta l’isola, costringendo le truppe borboniche a rinchiudersi nelle loro fortezze. Dalla Sicilia, i venti della rivolta contagiarono anche la parte continentale del Regno. Ferdinando II chiese allora aiuto alla corte austriaca alla quale era legato, oltre che per ragioni di parentela, per il patto della Santa Alleanza del 1816. Dopo che papa Pio IX rifiutò di concedere alle forze imperiali il passaggio attraverso il territorio dello Stato pontificio, il re delle Due Sicilie cercò di prendere tempo e per calmare gli animi concesse allora, il 29 gennaio 1848, la Costituzione. L’avvenimento fu festeggiato in tutta Italia con grande gioia e sull’onda dell’entusiasmo per il successo dei Siciliani, i sovrani degli altri Stati, anche quelli più restii a dividere il potere con il popolo, furono costretti a concedere le Costituzioni o Statuti: l’11 febbraio Leopoldo II di Toscana, il 4 marzo Carlo Alberto di Savoia, il 14 marzo Pio IX a Roma. Tra i fautori della Costituzione dello Stato pontificio ci fu anche il ministro del Papa, lo stesso Pellegrino Rossi che aveva elaborato la prima bozza della Costituzione svizzera, che il 15 novembre del-lo stesso anno, come detto, sarebbe stato assassinato nel corso di un attentato. Le Costituzioni promulgate dagli Stati italiani, «frutto di un personale atto di liberalità compiuto dal sovrano», non espri-mevano la diretta volontà popolare, ma, anche se caratterizzate da molte limitazioni e restrizioni, segnavano un deciso primo passo in avanti verso regimi più liberali e democratici. L’impressione che l’inverno conservatore, che durava dal Congres-so di Vienna del 1815, stesse per essere spazzato via dai caldi venti della primavera riformista, diventò certezza alla notizia della sommossa di Parigi, poi sfociata nella Rivoluzione di febbraio. In tre giorni di insurrezione, dal 22 al 24 febbraio 1848, studenti, operai e Guardia nazionale costrinsero Luigi Filippo, il re cittadino, ad abdicare. Fu proclamata la seconda Repubblica francese, dopo quella che aveva retto le sorti del Paese da settembre del 1792 a maggio del 1804. Del nuovo governo francese, tra gli altri, faceva parte il poeta Alphonse de Lamartine (1790-1869), come ministro degli Esteri. Le elezioni generali, in aprile, portarono a una mag-gioranza e a un governo borghese, che non riuscì a rappacificare gli animi, anzi nacquero altri tumulti provocati dai socialisti.

Il Quarantotto Il ministro della Guerra, Eugène Cavaignac, assunse allora poteri dittatoriali e ingaggiò una terribile repressione contro il pericolo

L’albero con gli stemmi dei Cantoni dopo la Costituzione del 1848, con le rispettive date dell’entrata nella Confederazione. In alto il motto Uno per tutti e, in basso, quello di Tutti per uno. Da notare lo scambio degli stemmi tra Nidvaldo (Sottoselva) e Obvaldo (Sopraselva), il primo e l’ultimo della quinta colonna.

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rosso, che portò a oltre 10.000 morti e a circa 12.000 arresti. In novembre fu varata la Costituzione della Seconda Repubblica, che prevedeva una sola Camera e l’elezione diretta del Presidente con funzioni di capo dell’esecutivo per quattro anni non rieleggibile. Con il 75% dei suffragi fu eletto Luigi Napoleone, che introdusse sistemi antiparlamentari e, nel dicembre del 1851, con un colpo di Stato sciolse la Camera e l’anno successivo si fece nominare imperatore con il nome di Napoleone III. L’insurrezione di Parigi e la caduta della monarchia francese avevano avuto intanto serie ripercussioni in molti altri paesi europei. Il 10 marzo 1848 gli abi-tanti di Berlino erano insorti per chiedere libertà di associazione e di stampa, istituzioni di giurie popolari nei tribunali e una milizia di popolo. Si arrivò a scontri tra i radicali (piccolo-borghesi, artigiani, contadini delle zone industriali), che desideravano istituire una Repubblica democratica, e chi, invece, come i ricchi borghesi e gli intellettuali, si sarebbero accontentati di riforme moderate. Travolto dall’evolversi degli eventi, re Federico Guglielmo IV di Prussia finì per concedere la Costituzione. Dalla Germania, i venti insurrezi-onali avevano cominciato a spirare forti anche sull’Austria dove, oltre al delicato problema costituzionale, c’era quello nazionale, che era ancora più spinoso. L’insurrezione di Vienna dello stes-

so marzo ‘48 provocò la fuga del potente principe di Metternich e costrinse l’imperatore Ferdinando I a convocare un’Assemblea Costituente, che non riuscì tuttavia a varare un progetto, che acco-ntentasse tutti i raggruppamenti del vasto Impero. Fu allora instaurata la dittatura militare mentre Ferdinando I, fuggito con la sua Corte a Olmütz, abdicava in favore del nipote diciottenne Francesco Giuseppe (1830-1916) che, forte dell’appoggio dei ceti reazionari e conservatori, chiese e ottenne l’aiuto della Russia, grazie al quale riuscì a soffocare la ribellione nel sangue. Anche in Austria, la rivolta aveva finito per risolversi, come in Francia, in maniera del tutto opposta a quella auspicata dai suoi promotori, ma il seme della libertà e dell’indipendenza dei popoli era stato gettato e avrebbe dato poi i suoi frutti. Alle notizie dell’insurrezione di Vien-na, le regioni italiane suddite dell’Impero austriaco furono percorse da fremiti rivoluzionari. Le gazzette parlavano di un Metternich in fuga verso l’Inghilterra e di un Imperatore costretto a concedere una serie di riforme ai rivoluzionari. I primi a insorgere furono i Veneziani che, il 17 marzo, accorsero alle carceri per liberare tutti i detenuti politici, fra i quali c’erano Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, e costrinsero il governatore austriaco a lasciare la città. Il 18 marzo, i Milanesi, innalzate le barricate, nominarono un governo provvisorio con a capo Carlo Cattaneo. L’Austria fece intervenire le sue truppe al comando del vecchio maresciallo Radetzki. Ebbe allora inizio una furibonda lotta che, per la sua durata, passerà alla storia con il nome di Cinque giornate di Milano. Dopo la conquista di Porta Tosa, poi ribattezzata Porta Vittoria, da parte dei rivoltosi guidati da Lucia-no Manara, le truppe austriache furono costrette a ritirarsi. Anche Modena e Parma insorte si liberavano intanto dai loro duchi austria-canti e si davano dei governi provvisori. Le truppe austriache erano costrette a rifugiarsi nel cosiddetto Quadrilatero, cioè le quattro città fortificate di Mantova, Peschiera, Legnago e Verona, situate, in po-sizione strategica, di fronte alla valle dell’Adige, da dove potevano arrivare gli aiuti da Vienna. Le vittorie di Milano e Venezia facevano intanto crescere le speranze dei liberali italiani e mettevano in moto i presupposti per la prima guerra d’Indipendenza.

La revisione totale del Patto del 1815 In Svizzera, intanto, per tutto il primo semestre del 1848, si era proceduto di comune accordo alla revisione totale del Patto del 1815. Il 12 settembre, dopo essere stata accettata dal popolo a larga maggioranza, la Dieta dichiarò la nuova Costituzione legge fondamentale della Confederazione e già nel successivo mese di ottobre, furono scelti i membri del Consiglio nazionale e del Con-siglio degli Stati (potere legislativo), che il 16 novembre elessero in Assemblea congiunta i primi sette membri del Consiglio feder-ale (potere esecutivo). Nacque così la prima Costituzione svizzera senza ingerenze estere, che dava al Paese una nuova organizzazi-one politica con una capitale fissa, una moneta unica, un solo sistema di pesi e misure, un’Assemblea federale, formata da due Camere e un Consiglio federale di sette membri in rappresentanza di tutta la Nazione, «senza distinzione di lingua o di religione». Fu con quella Carta che la Svizzera divenne anche una Unione

La copertina originale della Costituzione svizzera del 1848.

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postale, nazionalizzando tutti quei servizi che fino ad allora era-no tenuti dai vari Cantoni o dai privati, e una Unione doganale, abolendo tutte le barriere commerciali interne, che erano un forte ostacolo allo sviluppo industriale e quindi economico del Paese. Nell’elaborazione di quella Carta, i costituzionalisti svizzeri si rifece-ro anche, per molti aspetti, al cosiddetto Patto Rossi. Alla Confeder-azione andavano le competenze per la politica estera, l’esercito, le dogane, i trasporti e l’emissione della moneta. Ai Cantoni andavano, invece, quelle in materia ecclesiastica, per l’istruzione, la giustiz-ia e la stampa. Diritti e doveri di tutti i cittadini furono fissati nella nuova Carta, che era uguale per tutto il territorio federale. Merito della nuova Costituzione fu anche quello di aver favorito la pronta riconciliazione tra vincitori e vinti. Questo fu possibile anche perché, come detto, non si era trattato di differenze religiose, ma di questioni economiche e soprattutto istituzionali. Approfittando dei vari sconvolgimenti europei, il 1° marzo 1848, i liberali del Principato prussiano e Cantone svizzero di Neuchâtel, con un colpo di mano, si impadronirono del potere istituendo un governo repubblicano, il Re di Prussia Friedrich Wilhelm IV (1795-1861), impegnato a domare la rivolta nel suo Paese, non poté in-tervenire, ma soltanto nel 1857 sarebbe stato costretto a rinunciare per sempre alle pretese sull’ex principato. Quando, dopo le rivolte del Quarantotto, la Svizzera restò «il solo Stato repubblicano eu-ropeo... Nel Paese parvero rivivere le folate di entusiasmo unitario degli ingenui patrioti della Repubblica Elvetica. Nella sua composita realtà, l’ideale patriottico si presentava, tuttavia, nella più matura dimensione dello Stato federale, consapevole della sua comples-sità, della sua eterogeneità... Lo Stato federale assolse subito le sue funzioni di governo in modo ben più efficiente e determinante. La Dieta in fondo non era stata che una camera di compensazione dei dissidi cantonali, sempre ricattabile dal potere di ogni singolo Cantone... Il Consiglio federale, composto da veri e propri uomini di governo... non soggetti al potere di ratifica cantonale», poteva finalmente dare «risposte più organiche e meglio intese» a tutta la Confederazione (PAPA Emilio Raffaele, op. cit., pp. 188-189).

Una Costituzione in continua revisione Il Parlamento della Confederazione risultò fondato su base bicam-erale, con un Consiglio nazionale, eletto con sistema maggioritario nei vari Cantoni in base alla loro popolazione, e un Consiglio de-gli Stati, con due rappresentanti per ogni Cantone e uno per ogni Semicantone. I due Consigli riuniti in seduta plenaria costituiscono l’Assemblea federale che, tra l’altro, elegge i Consiglieri federali, i Giudici federali, e, solo in caso di guerra, il capo supremo delle forze armate con il grado di generale. I sette membri del Consiglio feder-ale sono dirigenti dei vari Dipartimenti (Ministeri), e rappresentano collegialmente (in corpore) il Governo della Confederazione, perché il loro Presidente, eletto per un anno dall’Assemblea federale tra i membri del Consiglio federale, è solo primus inter pares. Il Consiglio federale non può essere costretto a dimettersi nel corso del suo mandato e i suoi singoli membri decidono loro stessi autonomamente quando ritirarsi. La Costituzione del 1848 ha

introdotto l’istituto del Referendum obbligatorio in caso di una sua revisione sia parziale sia totale, lasciando ai cittadini il diritto di farsi promotori della stessa revisione con la raccolta di 50.000 firme. In base a quella disposizione, la Costituzione svizzera ha su-bito una revisione parziale nel 1866 e una più sostanziale nel 1874, che hanno portato a un consolidamento dello Stato federale. Il testo originale del 1848 ha subito nel tempo quasi 150 revisioni parziali fino al 1999. Il 18 aprile 1999 è stata approvata dal popolo con 969.310 contro 669.158 voti la revisione totale del testo entra-to, poi, in vigore il 1° gennaio del 2000. Il testo della nuova Costi-tuzione, risulta diviso in sei Titoli: il primo dedicato alle disposizioni generali; il secondo enuncia i diritti fondamentali e gli obiettivi so-ciali; il terzo regola i rapporti e assegna le rispettive competenze tra Confederazione, Cantoni e Comuni; il quarto stabilisce i diritti e i doveri dei cittadini; il quinto raccoglie le disposizioni sulle autorità federali e il sesto quelle sulla revisione della stessa Costituzione (KLEY Andreas, Costituzione federale, in Dizionario storico della Svizzera (DSS), online: alla voce Costituzione federale, http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I9811.php). Lo scopo del nuovo Testo costituzionale è riassunto nel Pream-bolo, che recita: «Il Popolo svizzero e i Cantoni, Consci della loro responsabilità di fronte al Creato; Risoluti a rinnovare l’alleanza confederale e a consolidare la coesi-one interna, al fine di rafforzare la libertà e la democrazia, l’indipen-denza e la pace, in uno spirito di solidarietà e di apertura al Mondo; Determinati a vivere la loro molteplicità nell’unità, nella considerazi-one e nel rispetto reciproci; Coscienti delle acquisizioni comuni nonché delle loro responsabilità verso le generazioni future; Consci che libero è soltanto chi usa della sua libertà e che la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri, si sono dati la presente Costituzione».

Busto bronzeo di Jonas Furrer (1805-1861) primo Presidente della Confederazione svizzera dal 1848 al 1849.

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La Svizzera prima della SvizzeraNon si può parlare di Storia della Svizzera senza conoscere gli avvenimenti che precedettero la formazione del primo nucleo della Confederazione Elvetica, nel lontano 1291. Bisogna, infatti, avere un quadro, anche se solo per sommi capi, di quei fatti che furono all’origine del lungo e difficile percorso che, dopo oltre cin-que secoli, avrebbe portato all’unità geografica e politica di questo Paese nei suoi confini attuali. Storia molto complessa e ancora più affascinante, se si considera che il suo territorio non ha costituito «mai un’unità né politica né linguistica», né «culturale o economica». C’è dunque una Storia della Svizzera prima della Svizzera, che bisogna conoscere per capire a fondo gli avvenimenti che hanno portato poi alla formazione e al duraturo mantenimento, nei secoli, della Confederazione Elvetica. Tindaro Gatani, nostro prezioso collaboratore, ricercatore e appassionato studio-so dei rapporti italo-svizzeri, ha raccolto l’invito di realizzare una sintesi della storia di questo Paese dalle origini alla fondazione della Confederazione. Il risultato di questo lavoro sono le 13 puntate apparse sulla Rivista da gennaio 2012 a febbraio 2014, che, dopo un’attenta revisione, rispondendo anche alla richiesta di molti lettori, vedono la luce sotto forma di un volume.

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La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515) Le puntate apparse su «La Rivista», dal marzo 2014 a settembre 2015, sono state adesso raccolte in un volume curato dallo stesso autore, Tindaro Ga-tani, con il titolo La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515), nel quale si narrano gli avvenimenti di quei duecento anni che videro la Nazione elvetica diventare la più grande potenza militare europea. La pubblicazione si aggiunge al primo volume La Svizzera prima della Svizzera, edito sempre dalla Camera di Commercio Italiana di Zurigo.

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Giacomo Casanova in SvizzeraIl nostro collaboratore Tindaro Gatani ha pubblicato un interessante volume sulle avven-ture amorose di Giacomo Casanova in Svizzera, la prima opera in italiano che tratta delle gesta del grande libertino e avventuriero veneziano in Terra elvetica. Nella premessa, tra l’altro, l’autore scrive: «Tutte le pubblicazioni sulle avventure di Giacomo Casanova sono coronate da successo, non sempre, però, per merito dei vari curatori ma, piuttosto, per il brillante racconto che, nella sua Storia della mia vita o Memorie, ne fa lo stesso avventu-riero veneziano, che ha saputo unire l’arte di grande amatore con quella di consumato affabulatore. Per non appropriarmi della sua forza narrativa ho voluto che fosse lui stesso, con il suo racconto, a condurre i lettori attraverso la Svizzera del suo tempo. Per questo mi sono limitato solo a riassumere, a chiosare, a soffermarmi su alcune alte personalità dell’Ancien Régime elvetico, il periodo storico che precedette la Rivoluzione francese e la bufera napoleonica che avrebbe, poi, investito, sovvertendola, la vecchia Confederazione. (…) Da parte mia ho seguito le sue gesta servendomi dell’aiuto di quanti mi hanno pre-ceduto sulle sue orme nello stesso itinerario e, soprattutto, della guida esperta di Pierre Grellet (1881-1957) che, con Les aventures de Casanova en Suisse, pubblicate a Losanna nel 1919, ha saputo tracciare con maestria un quadro puntuale e fedele delle sue imprese in Terra elvetica. (…)».

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giugno 2017 La Rivista - 45

Scena e retroscena del potere in Italia, dal-la finanza alla politica e alle imprese, dai media alla magistratura, con i ritratti dei protagonisti, il ricordo di tanti colleghi, ep-isodi inediti, fatti e misfatti, incontri, segre-ti, battaglie condotte sempre a testa alta e personalmente: per la prima volta Ferruccio de Bortoli, un punto di riferimento assoluto nel giornalismo internazionale, racconta e si racconta. Con molte sorprese. “I buoni giornalisti, preparati, esperti, non s’inventano su due piedi. Ci vogliono anni. Cronisti attenti che vadano a vedere i fatti con i loro occhi, non fidandosi dell’abbon-danza di video, sms, tweet e post su Face-book. Che vivano le emozioni dei protagonis-ti, le sofferenze degli ultimi, le ragioni degli avversari e persino dei nemici. Che non siano mai sazi di verifiche, ammettano gli errori inevitabilmente frequenti, e conquistino la fiducia dei loro lettori e navigatori ogni gior-no, ogni ora. Giornalisti indipendenti, con la schiena dritta, che non cedano alla comoda tentazione del conformismo. Dimostrandosi utili alla società e al loro paese non facendo mancare verità scomode e sopportando sos-petti e insulti di chi non le vorrebbe sentire. È accaduto molte volte. Una classe dirigente responsabile affronta per tempo e al meglio i problemi seri che un giornalismo di qualità solleva. Certo, è scomodo, irritante. Qualche volta apparentemente dannoso. Ma quanti sono i danni di ciò che non abbiamo sapu-to o non abbiamo voluto vedere. Un buon giornalismo, in qualunque era tecnologica, rende più forte una comunità.”

C’è un quartiere vicino alla città ma lontano dal centro, con molte strade e nessuna via d’uscita. C’è una ragazzina di nome Adele, che non si aspettava nulla dalla vita, e in-vece la vita le regala una decisione irrepa-rabile. C’è Manuel, che per un pezzetto di mondo placcato oro è disposto a tutto ma sembra nato per perdere. Ci sono Dora e Fabio, che si amano quasi da sempre ma quel “quasi” è una frattura divaricata dal desiderio di un figlio. E poi c’è Zeno, che dei desideri ha già imparato a fare a meno, e ha solo diciassette anni. Questa è la loro storia, d’amore e di abbandono, di genitori visti dai figli, che poi è l’unico modo di guardarli. Un intreccio di attese, scelte e rinunce che si sfiorano e illuminano il senso più profondo dell’essere madri, padri e figli. Eternamente in lotta, eternamente in cerca di un luogo sicuro dove basta stare fermi per essere al-trove. Silvia Avallone ha parole come sen-tieri allungati oltre un orizzonte che dava-mo per scontato. Fa deflagrare la potenza di fuoco dell’età in cui tutto accade, la forza del destino che insegue chi vorrebbe solo essere diverso. Apre finestre, prende i detta-gli della memoria e ne fa mosaici. Sedetevi con lei su una panchina e guardate lontano, per scoprire che un posto da dove la vita è perfetta, forse, esiste.

Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984 e vive a Bologna. Per Rizzoli ha pubblicato Ac-ciaio (2010), da cui è stato tratto l’omonimo film, e Marina Bellezza (2013). I suoi romanzi sono tradotti in tutto il mondo.

Milano, quasi centro, eppure periferia. Uno di quei posti incredibili, eppure reali, ormai senza rappresentanza politica, dove i picco-li stratagemmi di un welfare fai-da-te sono questione di sopravvivenza. Posti di cui l’in-formazione parla solo quando si tratta di si-curezza, o razzismo. A pochi chilometri da lì, in una via socialmente distante anni luce, un sessantenne imprenditore molto ricco e dalla vita irreprensibile viene freddato con due colpi di pistola. Una vecchia pistola. E sul corpo, un sasso. Ma «il morto non era uno che di solito muore così». E non sarà l’unica vittima. Per fronteggiare «il ritorno del terrorismo», il min-istero manda un drappello di esperti burocra-ti. Ma la vera squadra d’indagine è clandesti-na, creata per lavorare sotto traccia e lontano dal clamore mediatico: sono Ghezzi e Carella due poliziotti diversissimi tra di loro, ma en-trambi fedeli più alla verità che all’immagine o alle convenienze. E non sono i soli a indagare su un caso in cui, dall’affascinante vedova agli intrecci d’affari, dalla legge alla giustizia, nulla è ciò che sembra. Carlo Monterossi, l’autore di un affermato programma tivù spazzatura, inciampa per av-ventura nel «caso dei sassi» mentre si trova a dover recuperare, insieme all’amico detective Oscar Falcone, un preziosissimo anello rubato. Tre storie destinate a incontrarsi in un intrec-cio dall’ordito perfetto, che resta fino alla fine coperto dal mistero, mentre la storia – nera, drammatica – si addentra in tutti i contrasti di Milano, dal luccicante studio televisivo, all’ap-partamento superlusso, giù fino ai luoghi del disagio e dell’emarginazione quotidiana.

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Silvia AvalloneDA DOVE LA VITA È PERFETTA(Rizzoli pp 376 € 19,00)

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di Giuseppe Muscardini

Corto Maltese affacciato sul Lemano

sfogliato Una ballata del mare salato, il primo fumetto in cui entra in scena lo spericolato marinaio. È un po’ come quando si interiorizza qualcosa che non dominiamo con la memoria, ma che è ugualmente presente nella nostra giornata e nelle nostre abitudini. E ci sembrerà anche possibile recepire agevolmente come l’idea dell’avventu-ra appartenga tanto al personaggio quanto al suo ideatore, in una sorta di manifesta incarnazione. In effetti così si configura la vicenda biografica di Hugo Pratt, nato a Rimini nel 1927 ma espatriato ben presto verso quei luoghi lontani che riconvoca con tanta precisione e dovizia di particolari nelle sue tavole. La movimentata esistenza di Hugo Pratt, iniziata fin da bambino con il trasferimento della famiglia nell’Africa Orientale, le vicissitudini legate alla sua adesione alla Re-pubblica Sociale Italiana, e il successivo affiancamento alle forze alle-ate anglo-americane, rappresentano un utile retroterra per le vicende

Dal ginevrino Rodolphe Töpffer a Hugo PrattNell’epoca di Internet la dignità letteraria del fumetto trova conferma in una storica definizione di Johann Wolfgang Goethe, propenso a va-lorizzare le “strisce parlanti” già nei primi decenni dell’Ottocento. Così si esprimeva l’autore de I dolori del giovane Werther a proposito del-le vignette dell’illustratore ginevrino Rodolphe Töpffer (1799-1846), considerato oggi a pieno titolo il fondatore del fumetto moderno: È veramente divertente! Effonde spirito e vivacità! Alcune di questa pagine sono incomparabili. Se in avvenire scegliesse soggetti meno frivoli e divenisse ancor più conciso, farebbe cose da superare l’im-maginazione. A queste parole dobbiamo necessariamente ricondurci per comprendere il valore del linguaggio espressivo delle fantasiose strisce disegnate da Hugo Pratt. Ci sembrerà così di cogliere l’essenza e il pregio figurativo delle tavole dell’intrepido Corto Maltese, che esat-tamente cinquanta anni fa fece la sua apparizione nel primo numero della rivista Sgt. Kirk, fondata dall’editore genovese Florenzo Ivaldi. È il personaggio più noto di Hugo Pratt, l’affascinante avventuriero le cui maschie sembianze, appena adombrate dalla visiera lucida, sono riprodotte oggi su diversi articoli di arredo. Un’icona del mondo moderno che tutti hanno imparato a conoscere anche senza aver

Nato a Rimini novanta anni fa e scomparso nel 1995 a Grandvaux, nel Canton Vaud, Hugo Pratt è ritenuto dagli esperti del genere uno dei più grandi fumettisti del Novecento. Cinquanta anni fa ideò il personaggio di Corto Maltese. I lettori fecero così la conoscenza con l’avventuriero che, pur frequentando corsari e gente di malaffare, nelle strisce di Pratt è dalla parte dei deboli e degli indifesi.

Ritratto fotografico di Hugo Pratt

Tavola tratta da Le elvetiche. Rosa alchemica, 1987

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giugno 2017 La Rivista - 47

assegnate ai suoi personaggi, in primis a Corto Maltese, che pure gli assomiglia fisicamente. Una vita intensa, da riversare sulla carta con gli acquerelli e con l’aiuto di un’innata fantasia che, lanciata a briglia sciolta, non fatica a dar corpo a luoghi già visti nei quali impiantare storie incantevoli.

Le elvetiche (o Rosa alchemica)Grazie alla figlia Silvina oggi sappiamo qualcosa di più sulle uma-nissime bizzarrìe di Hugo Pratt. Sappiamo ad esempio che scelse un luogo circoscritto, duemila anime in tutto, dove ritrovare quiete e serenità; un buen retiro sul lago per favorire la riflessione e l’estro, e per stabilire con i suoi leggendari personaggi un singolare rappor-to, inseguendo personificazioni e ricordi lontani. Nel 1984 si trasferì a Grandvaux, dove risiedette fino alla morte. Una grande statua in bronzo realizzata dallo scultore franco-italiano Livio Benedetti e dal figlio Luc, raffigurante Corto Maltese in marsina svolazzante che getta dall’alto lo sguardo sul Lemano, oggi rammenta agli abitanti e ai visi-tatori di Grandvaux che in quel luogo ridente visse i suoi ultimi anni il padre del noto personaggio dei fumetti. E a questo proposito è su Le Elvetiche del 1987 che vogliamo richiamare l’attenzione del lettore. Hugo Pratt vi esprime la sua personale percezione di una Svizzera intrisa di misteri, circostanziando con il segno grafico e il tratto deciso figure e significati della storia sociale e letteraria della Confederazio-ne. All’insegna della più alata inventiva, immagina che Corto Maltese e l’amico Jeremiah Steiner, insegnante ebreo laureatosi all’Universi-tà di Praga, siano ospitati da Hermann Hesse all’interno della Casa Camuzzi di Montagnola, in Ticino. Qui si verificano inaspettate circo-stanze, evocate da un inconscio in cui gli scheletri volteggianti dipinti nel Kapellbrücke di Lucerna compenetrano le leggende medievali sul Santo Graal, anticipando le incaute affermazioni da un uomo d’affari svizzero che nel 2005 si disse proprietario della preziosa coppa all’in-terno della quale fu versato il sangue di Cristo. La storia si conclude con un processo, dove l’imputato è lo stesso Corto Maltese, accusato da Satana di essersi dissetato alla fonte della giovinezza. Una storia onirica, dominata dalla volontà di conferire a Corto non l’immortalità che gli darebbe l’acqua dell’eterna fonte, ma una continuità nel tem-po per farne durare le gesta.

Le strisce parlanti di Pratt. L’esempio luganese e le edizioni di LosannaOggi gli esperti della comunicazione, i collezionisti, i critici e i semiologi interessati alla produzione di Hugo Pratt e alle mil-le peripezie del suo celebre personaggio, attingono dai sette volumi riuniti in cofanetto dal titolo Corto Maltese. L’integrale, editi nel 2016 in italiano e in francese dalla Rizzoli Lizard. E pri-ma ancora all’altrettanto voluminoso testo di Antonio Carboni Hugo Pratt. Tuttifumetti, edito in bella veste tipografica da Cong SA Edizioni di Losanna nel 2011, nel quale è censita l’intera produzione del fumettista sulla base del materiale posseduto dal luganese Fabio Baudino. L’amore per la ricerca, il gusto di rintracciare quelle strisce su carta comune o su carta Fabriano, ha indotto negli anni l’appassionato collezionista ticinese a ci-mentarsi in una lodevole impresa: riunire e catalogare in ordine cronologico l’imponente massa di pubblicazioni che compon-gono l’intera opera a fumetti di Hugo Pratt in lingua italiana, come si legge sul retro di copertina del volume. Si deve pertan-to a Fabio Baudino e alla sua perseveranza se oggi possiamo assegnare all’opera del fumettista riminese la meritata qualifi-ca di letteratura disegnata. Le due edizioni rappresentano oggi una vera banca di immagini prattiane, a cui gli studiosi in futu-ro dovranno necessariamente fare riferimento. Per chi invece è semplicemente affezionato al mito, e per chi affronta la lettura e la rilettura delle strisce di Pratt con più disimpegno, perché sono belle e fanno sognare, saranno utili le molte ristampe esistenti in commercio. E senza l’obbligo di indagare sulla vita dell’autore, perché già si è detto molto, e spesso a sproposi-to, sul suo carattere difficile, l’egocentrismo, le contraddizioni, l’adesione alla Massoneria, le scelte politiche della gioventù, la corposa biblioteca di Grandvaux e altre amenità che non ri-flettono compiutamente i suoi autentici propositi creativi. In una storia del 1974 intitolata Corte Sconta detta Arcana, Hugo Pratt mette in bocca all’imperturbabile Corto Maltese - seduto sulla panca di un Commissariato per rispondere di un omicidio non commesso - le seguenti parole: «C’è della gente che non mi ha in simpatia. Ma lei non creda a tutto quello che le raccontano sul mio conto». È la stessa aria distaccata che Corto conserva nel bronzo di Grandvaux.

La statua di Corto Maltese a Grandvaux, Svizzera© Andrea Lessona

Corto Maltese, tavola firmata da Hugo Pratt, acquerello su carta

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48 - La Rivista giugno 2017

Abbiamo la fortuna di vivere

in un Paese in cui si legge molto di

più che altrove. Si può ancora

dire che stampa e radio-tv, ciascu-

no nel proprio specifico, siano complementari

nell’aiutare i cittadini a for-

marsi una propria opinione.

Per decenni giornali e media elettronici hanno esercitato efficacemente questa funzione. Negli ultimi anni la digitalizzazione ha scompigliato le carte: sottraendo e, di conseguenza, pubblicità, e dunque risorse finanziarie, in particolare alla stampa. Non è un caso quindi che proprio in questi anni si parli di una presunta “dimensione eccessiva” della radiotelevisione di servizio pubblico. In apparenza sembrerebbe un discorso sensato, ma è un’illusione ottica. La SSR non è troppo grande, perché con meno mezzi non potrebbe contra-stare la concorrenza (fortissima) delle TV italiane, francesi e tedesche. Se bastassero pochi mezzi per fare TV, le private farebbero grandi ascolti. E invece non è così. Prendiamo il caso ticinese: a Teleticino lavorano persone competenti, motivate, creative. Ma il suo share non supera di molto l’1%. Perché? Perché fare TV costa. E se la si fa in economia non ha abbastanza appeal. Semplice e inesorabile. C’è chi chiede alla SSR di fare a meno della pubblicità, nell’illusione che quei soldi andrebbero ai media privati e alla stampa. Ma non è così. Se la SSR rinunciasse ad un quarto del suo budget (che è ciò che incassa dalla pubblicità) non solo avrebbe meno mezzi per i programmi, sarebbe meno attrattiva e perderebbe pubblico a beneficio esclusivo dei canali esteri, ma quella pubblici-tà finirebbe in gran parte a Google e Facebook (e quindi, per inciso, all’estero). Si dimentica spesso che la Svizzera, con appena otto milioni di abitanti, non è grande abbastanza per garantire un gettito pubblicitario sufficiente a finanziare un’offerta televisiva di qualità che stia in piedi con la sola pubblicità. Ma non è questo il punto. Il fatto è che quella tra stampa e radio-tv pubblica è una contrappo-sizione fittizia. Se si guarda la questione in una prospettiva più ampia, ci si accorge che in realtà stampa e radio-tv sono sulla stessa barca. E si troveranno sempre di più a combattere contro un nemico comune: la banalizzazione e standardizzazione dei contenuti sul web. Spesso “facili” da consumare, perché “leggeri” e magari intriganti, ma non sufficientemente approfonditi per essere utili nell’ottica della formazione delle opinioni – e dunque del servizio pubblico. Giornali e radiotelevisione nazionale svolgono ciascuno a suo modo un servizio pubblico: aiutano i cittadini, appunto, a formarsi una propria opinione. Stimolano la riflessione, offrono analisi e punti di vista, informano su ciò che succede nel mondo. Ma entrambi, in modo diverso, sono oggi minacciati. I giornali sono minacciati dal crollo della pubblicità, dalla diminuzione degli abbonamenti e dalla diffu-sione delle testate gratuite, che hanno una logica di intrattenimento e non di informazione. La radio-tv è minacciata da chi fa leva sul costo del canone (per forza di cose elevato in un paese dall’alto costo della vita e che richiede programmi in quattro lingue) per evocare un libero mercato che, come dicevo prima, non avrebbe una dimensione sufficiente per garantire un’offerta di qualità. Non ci sono ricette miracolose per uscirne. Ma in prospettiva potrà essere opportuno riflettere, a livello politico, sulla possibilità di sostenere in qualche forma le testate giornalistiche che contri-buiscono in modo importante alla libera formazione delle opinioni. Senza una dinamica sana tra i diversi media, infatti, è a rischio non solo il pluralismo ma la stessa democrazia. Naturalmente non sappiamo cosa accadrà domani. In prospettiva, molto dipenderà anche da come evolverà il modo di produrre e consumare i contenuti, e da quali nuovi modelli di business emergeranno da quello che oggi appare come un magma difficilmente “leggibile” nelle sue tendenze: l’informazione sul web.

I giornali, la radio-TV e il web. Cronache da un mondo che cambia (molto) rapidamente

di Nico TanziBenchmark

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giugno 2017 La Rivista - 49

I volti e il cuore La figura femminile da Ranzoni a Sironi e Martini

Al Museo del Paesaggio Palazzo Viani Dugnani, Verbania fino al 1° ottobre

di Augusto Orsi

“In nessuna età come la nostra, inquieta e variabile, si è sentita più profondamente la misteriosa affinità che lega l’anima umana al pae-saggio”. Sono parole di Antonio Massara, fondatore nel 1909 del mu-seo che dal 1914 ha assunto la denominazione di Museo del Paesag-gio e ha trovato sede a palazzo Viani Dugnani, Verbania. Un museo nato con l’intento di far conoscere, amare e difendere il paesaggio del Verbano, immerso oggi in una cornice ancora più suggestiva grazie ai suoi roseti d’eccellenza. Un luogo che ospita collezioni di pittura, scultura, archeologia e religiosità popolare. Dal lontano 1938, anno in cui gli eredi di Paolo Troubetzkoy donarono i gessi dello scultore, la collezione si è arricchita, è stato istituito un Centro Studi del Paesag-gio, sono state inaugurate altre due sedi (Palazzo Biumi e Casa Ce-retti), ci sono volute manutenzioni, aperture e chiusure, l’ultima delle quali terminata a giugno 2016 dopo due anni e mezzo di restauri. E, in occasione della riapertura al pubblico del piano nobile di Palazzo Viani Dugnani, è stata inaugurata la mostra I volti e il cuore, La figura femminile da Ranzoni a Sironi e Martini. L’esposizione comprende circa ottanta opere e intende esaminare, attraverso le collezioni del Museo del Paesaggio di Verbania, integrate con opere di Mario Sironi della raccolta Isolabella e di Cristina Sironi, sorella dell’artista, il ruolo e la presenza della donna nella pittura e nella scultura dalla fine dell’Ottocento alla prima metà del Novecento. Le 11 sezioni catalizzano l’attenzione su nuclei tematici come gli affetti, il nudo o il lavoro femminile, per poi zoomare sull’opera di alcuni esponenti di spicco dell’arte italiana fra Ottocento e Nove-

cento: dalle aeree tele “dipinte col fiato” dello scapigliato Daniele Ranzoni – fra cui un riuscitissimo Ritratto della principessa Marghe-rita di Savoia – alla pittura espressionista e simbolista di Adriana Fabbri e Sophia Brown, verbanese d’adozione. Dalle figure plastiche ed enigmatiche di Mario Tozzi si va alla Madre che cuce, alla Cocot-te e alla Vittoria Alata di Sironi, rappresentative delle fasi principali della ricerca artistica del pittore di origini sarde. Un discorso a parte merita il capitolo dedicato ad Arturo Martini, fra i numi tutelari del Museo del Paesaggio. Qui alle linee austere e maestose, d’ispirazione quattrocentesca, del Busto di Fanciulla si accostano l’atmosfera lirica di Adamo ed Eva. La Cacciata dal Para-diso e il vitalismo brillante dei corpi femminili nella Famiglia degli Acrobati. Da non perdere La scoccombrina, fra i ritratti più riusciti di Martini, dove una fisionomia irregolare e pregna d’emozione prende il posto degli usuali lineamenti levigati. La sua lunga carriera lo por-ta a divenire lo scultore ufficiale del regime fascista e ad occuparsi, di grandi opere celebrative e monumentali. Riaperto dopo un lungo restauro, il settecentesco Palazzo Viani Dugnani ospita una delle più ricche collezioni di opere del grande scultore di origine russa Paolo Trubetzkoy, con ben 340 gessi, oltre a esempi dei più importanti movimenti artistici sviluppatisi in Italia fra Ottocento e Novecento, fruibili nel nuovo percorso curato da Elena Pontiggia.

MARIO SIRONI, Figure, 1915-16, acquerello su cartone, cm 20x28

ADRIANA BISI FABBRI, La Principessa Pignatelli, 1917, olio su tavola, cm 56x44.5

MARIO SIRONI, Vittoria alata, cm 182x250 (collezione Isolabella)

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50 - La Rivista giugno 2017

Per la prima volta il Museo nazionale Zurigo pre-senta nelle sue sale espositive le migliori fotogra-fie giornalistiche non solo della Svizzera ma di tutto il mondo. Le mostre Swiss Press Photo 17 e World Press Photo 2017 propongono una suggestiva carrellata di immagini dell’anno 2016 dimostrando ancora una volta che fotografare significa molto di più che premere il pulsante dello scatto.

A primavera, come ormai vuole la tradizione, il Mu-seo nazionale Zurigo espone le migliori fotografie giornalistiche svizzere dell’anno passato. E così anche quest’anno Swiss Press Photo 17* offre una panoramica su alcuni tra i momenti più significati-vi del 2016. Una giuria internazionale ha premiato le migliori immagini selezionandole tra sei cate-gorie. Nell’ambito della mostra sono esposte una novantina di fotografie dedicate ai temi Attualità, Vita quotidiana, Reportage, Ritratto, Sport e Estero.

Swiss Press Photo 17 è aperta fino al 2 luglio.

La sorella maggiore di Swiss Press Photo è Wor-ld Press Photo** con sede ad Amsterdam. L’orga-nizzazione, fondata nel 1955, premia ormai da decenni i migliori fotogiornalisti del mondo e ne presenta le opere a livello planetario. Quest’anno, per la prima volta gli scatti premiati possono esse-re ammirati anche nelle sale del Museo nazionale Zurigo che apre così le porte al fotogiornalismo internazionale. La mostra «World Press Photo 2017» è aperta fino all’11 giugno.

*«Swiss Press Photo» è promossa dalla Fondazio-ne Reinhardt von Graffenried. **«World Press Photo 2017» gode del sostegno di Dutch Postcode Lottery ed è sponsorizzata a livello mondiale da Canon. .

Trenta squadre di rugby

provenienti da tutto il mondo

si sfidano a San Gallo, il 18

giugno 2016, durante la

Bishops Cup. La pioggia

trasforma le partite in una

questione bagnata e

fangosa. Dopo la fine

della fase a gironi, due

dei tre campi di gioco sono impraticabili.

Ma la motivazione di giocatrici e giocatori

non ne viene minimamente

toccata. Urs Bucher, St.

Galler Tagblatt

Le migliori fotografie giornalistiche del mondo al

Museo nazionale Zurigo

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giugno 2017 La Rivista - 51

Il 28 settembre 2016 un elicottero Super-Puma dell’Esercito svizzero si schianta sul passo del San Gottardo ed entrambi i piloti perdono la vita. Il giorno seguente, in tuta di protezione bianca, alcuni specialist dell’Aircraft Recovery raccolgono i resti dell’elicottero distrutto. La causa dell’incidente è l’urto contro dei cavi di alta tensione. © Samuel Golay, Tipress, La Regione Ticino

Pescatori libici lanciano un giubbotto salvagente a un gommone di migranti. Conflitti, povertà e instabilità in diverse parti dell’Africa e del Medio Oriente costringono i migranti a intraprendere pericolose traversate via mare in cerca di una vita migliore in Europa. © Mathieu Willcocks

Un barbiere a L’Avana Vecchia. © Tomas Munita, for The New York Times

La domanda di corno di rinoceronte, ricercato per le sue presunte proprietà terapeutiche, sta registrando un vertiginoso aumento in Asia, dove il crescente benessere economico ha visto moltiplicarsi il numero di persone in grado di concedersi questo lusso dal prezzo esorbitante. © Brent Stirton, Getty Images for National Geographic Magazine

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52 - La Rivista giugno 2017

Due importanti momenti mediatici hanno già segnato l’esposizione di Robert Indiana: la ben orchestrata conferenza stampa di presentazione con la partecipazione di una settantina di esponenti dei media naziona-li ed internazionali e la grande affluenza di pubblico alla vernice di sabato 8 aprile. Ora, al di là dei lanci informativi che hanno pola-rizzato l’attenzione dei cultori dell’arte Pop, c’è la bella ed interessante esposizione della quale LOVE, coniugato in tutte le sue acce-zioni plastico-visive è l’icona più conosciuta e più ammirata dell’ottantasettenne pontefi-ce dell’immagine associata alla parola. Attraverso una sessantina di opere, esposte negli spazi della Pinacoteca di Casa Rusca, con eleganza e razionalità, si percorrono i momenti più significativi dell’opera di Robert Indiana: Il simbolico The Rebecca (1962), denuncia contro la schiavitù, la splendida serigrafia Marilyn, Marilyn, dedi-cata alla star Monroe, simbolo di bellezza statunitense, Ms America ed altre. Una mostra che, oltre ai suoi valori artistici e mediatici, dovrebbe servire, nell’intenzio-ni di Rudy Chiappini, Direttore dei Musei di Locarno e Curatore della mostra, anche da catalizzatore per le celebrazioni del 70. del Festival del Film. Intanto, con la bella e incan-tatoria mostra di Robert Indiana, la Pinacote-ca di Casa Rusca festeggia fino al 13 agosto i suoi 30 anni di vita. Visivamente l’aspetto di maggior attrazione della personale, la prima

dell’artista in un museo svizzero grazie alla collaborazione della Galerie Gmurzynska di Zurigo, che cronologicamente fa seguito a quella del Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, sono le grandi LOVE del cortile e del giardino. In esse il segno, il “verbo” e i colori inneggiano a questo sentimento universale. Il LOVE, nato paradossalmente da una cartolina augurale commissio-nata dal MoMa nel 1965 e che dal 1966 è passato alla versione scultorea in alluminio con-fermando la fortuna e la diffusione dell’immagine (non autorizzata) attraverso innumerevoli prodotti commerciali, è un’icona fondamentale della nostra epoca. Robert Earl Clark, artista Yankee come amava definirsi, nasce a New Castle nello stato dell’In-diana il 13 settembre 1928. Dopo aver concluso la formazione accademica all’Art Institute di Chicago e dopo diverse esperienze nella Grande Mela, alla fine degli anni ’50, con chiaro riferimento allo stato d’origine, cambia il suo nome in Robert Indiana. “Ci sono più segni che alberi in America. Ci sono più segni che foglie. Per questo penso a me stesso come a un pittore del paesaggio americano”. Così dichiarava Robert Indiana in un’intervista al New York Times. Figlio dell’American Dream il suo giudizio sul Sogno americano però è abbastanza critico e così ne scrive nella sua Autocronologia “… quite simply, the American Dream was broken (…Il sogno americano era semplicemente finito)”. Però, bisognerebbe aggiungere non per sempre. Kennedy e Obama hanno cercato di farlo rinascere. A quest’ultimo Indiana aveva dato il permesso di stampare dei gadget con l’immagine di Hope per la campagna presidenziale. La genialità e la forza espressiva dei lavori di questo maestro dell’arte pop e del linguaggio nelle arti visive sta, come lui ha sempre affermato, in tre aggettivi che cominciano con la C: Celebrativi, Commemorativi, Colorati. Per quel che riguarda la fama, aggiungo che l’influenza dello scrittore Herman Melville (autore di Moby Dick, la balena bianca), del poeta Walt Whitman e per l’uso analitico del linguaggio della singolare poetessa americana Gertrude Stein, vi ha contribuito. Robert Indiana Pinacoteca di Casa Rusca, Piazza Sant’Antonio Locarno Orari: martedì-domenica 10-12/14-17 / Lunedì chiuso Per maggiori informazioni: www.museocasarusca.ch

Riscuote un sentito consenso dei media e conosce un grande afflusso di pubblico l’antologica di uno degli artisti che con gran talento e creatività ha associato la parola alle immagini.

Robert Indiana fino al 13 agosto a Casa Rusca di Locarno

Il trionfo dell’arte POP

di Augusto Orsi

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giugno 2017 La Rivista - 53

Sarà il produttore Michel Merkt a ritirare il prossimo agosto il premio che da quindici anni Locarno dedica ai protagonisti della produzione indipendente internazionale. Dopo Mike Medavoy, Christine Vachon e David Linde – per citarne alcuni – il Premio Raimondo Rezzonico 2017 andrà al produttore svizzero che, grazie alla sua abilità, ha dato un importante contributo alla realizzazione di diversi successi internazionali riuscendo recentemente a portare la Svizzera sotto i riflettori della cinematografia internazionale

Il Premio Raimondo Rezzonico 2017 al produttore svizzero Michel Merkt

Nato a Ginevra, ha scoperto il mestiere di produttore lavorando per la trasmissione Le Journal des sorties di Canal+. Nel 2008 ha co-prodotto il suo primo cortometraggio Person to Person di Wim Wenders, segmento del film 8, e da allora la sua carriera come

produttore è stata in ascesa. Conosciuto ai molti soprattutto come produttore di Maps to the Stars di David Cronenberg, co-prodotto con il celebre produttore francese Saïd Ben Saïd e l’attore e produttore Martin Katz. Un fiuto quello di Michel Merkt che si riassume con ben otto lungometraggi presentati durante la scorsa edizione di Cannes, tra cui: Elle di Paul Verhoeven, César 2017 per miglior film e a Isabelle Huppert come miglior attrice protagonista, e una candidatura agli Academy Awards 2017 per miglior attrice; il franco-svizzero Ma vie de Cour-

gette del vallesano Claude Barras, co-prodotto con Rita Productions di Pauline Gygax e Max Karli, recentemente candidato agli Oscar e vincitore ai César per il miglior film di animazione; e Juste la fin du monde per la regia di Xavier Dolan, Gran Prix della giuria e premio ecume-nico a Cannes 2016, con un cast straordinario compo-sto da Nathalie Baye, Vincent Cassel, Marion Cotillard e Léa Seydoux. Chiudendo il veloce excursus con un altro importante nome del cinema, Merkt ha prodotto anche The Assignment, di Walter Hill, con Sigourney Weaver e Michelle Rodriguez. Il Locarno Festival con questo premio vuole omaggiare non solo il fiuto di un eccellente uomo di cinema, ma anche l’intelligenza di un produttore che con la sua opera ridisegna un mestiere nell’industria cinemato-grafica. Dove il produttore, come lui stesso racconta, “è chi facilita il percorso di un regista, portando le sue vi-sioni e idee sullo schermo, trovandogli poi un pubblico” e che vede nel lavoro di squadra la via più efficace. Il tutto nel campo di una produzione cinematografica che “dovrebbe riguardare la comunicazione di nuove visio-ni, rendere visibili nuove culture”, senza mai perdere di vista il fine: “ciò che il pubblico vuole”. Carlo Chatrian, Direttore artistico del Locarno Festival, così ha commentato la decisione: “in pochi anni Michel Merkt ha saputo ritagliarsi un ruolo di primo ordine nel panorama del cinema indipendente internazionale. Ciò che mi piace nella sua attività è il saper sorprendere, an-dando oltre quelle frontiere di genere o di nazione che spesso hanno contraddistinto la pratica dei suoi colleghi. La sua curiosità, unita a un fiuto indiscutibile, ne fanno uno degli attori di rilievo della scena contemporanea”. Il Premio Raimondo Rezzonico, offerto dal Comune di Minusio, è attribuito ogni anno a un grande produttore del cinema indipendente ed è stato istituito nel 2002, in memoria del Presidente che ha presieduto il Festival dal 1980 al 1999.

www.filmcoopi.ch

Al cinemA dAl 22 giugno

VALERIO MASTANDREA BÉRÉNICE BEJO

Un film di MARCO BELLOCCHIOTratto dal romanzo di grande successo di MASSIMO GRAMELLINI

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54 - La Rivista giugno 2017

Il percorso di ricerca e approfondimento della sezione Open Doors è composto dalle tre iniziative Open Doors Lab, Open Doors Hub e Open Doors Screenings e si concen-tra sull’arco di tre anni (2016-2018) su otto paesi dell’Asia del Sud: Afghanistan, Ban-gladesh, Bhutan, Maldive, Myanmar, Nepal, Pakistan e Sri Lanka. Secondo Carlo Chatrian, Direttore artistico del Locarno Festival, “Il successo di pub-blico e gli ottimi eco suscitati dai progetti selezionati lo scorso anno ci incoraggiano a proseguire nel cammino di ricerca intra-preso. Siamo fiduciosi che questa 15.esima edizione di Open Doors saprà restituire un quadro ricco e articolato di un’area cine-matografica in forte fermento”. Gli otto partecipanti scelti quest’anno per la piattaforma di formazione continua l’O-pen Doors Lab, registi-produttori attivi sulla scena locale, rappresentano i paesi focus 2017: Afghanistan, Pakistan e Sri Lanka. Oltre alla sorprendente nuova generazione afghana, troviamo nomi già noti nel pa-norama internazionale, come il pakistano Jami Mahmood, il cui film Moor (2014) è stato candidato dal Pakistan per la 88esima edizione degli Academy Awards, e Rasitha Jinasena, produttore del film 28 (2014) di Prasanna Jayakody, presentato al Festival di Rotterdam nel 2015. Sophie Bourdon, Responsabile Open Doors, si è detta soddisfatta dei primi risultati di questo lavoro che apre nuove prospettive alle realtà cinematografiche di questi paesi: “Un caso emblematico è quello del giovane

birmano We Ra Aung: scoperto all’Open Do-ors Lab 2016 e selezionato a Cannes per la prossima edizione de La Fabrique des Cinémas du Monde, tornerà quest’estate all’Open Doors Hub del Locarno Festival con il suo progetto di opera prima One Summer Day”. Dall’insieme della regione sud asiatica sono inoltre stati selezionati progetti prove-nienti da 6 paesi (Afghanistan, Bangladesh, Myanmar, Nepal, Pakistan e Sri Lanka), che durante l’Open Doors Hub 2017 metteran-no in risalto la diversità di questa nuova generazione di talenti. Tra questi, Rubaiyat Hussain (Banglade-sh), laureata dell’Open Doors Lab 2016 e già conosciuta per i suoi film Meherja-an (2011) e Under Construction (2015), quest’ultimo recentemente uscito in sala in Francia e presentato agli Open Doors Screenings 2016. Presente, inoltre, il duo composto da Bibhusan Basnet e Pooja Gurung, con il loro progetto di primo lun-gometraggio The Whole-Timers (L’Atelier de La Cinéfondation, Cannes 2016), che fa seguito alla brillante carriera dei loro corti: The Contagious Apparitions of Dambarey Dendrite (presentati anche agli Open Do-ors Screenings 2016) e Dadyaa - The Wo-odpeckers of Rotha (Venezia 2016, Toronto 2016, Sundance 2017). La giuria Open Doors attribuirà dei premi ad alcuni progetti dell’Open Doors Hub. L’o-pen Doors Grant, del valore di 50’000 CHF, è finanziato dal fondo svizzero di sostegno alla produzione Visions Sud Est (sostenuto

dalla DSC) e dalla Città di Bellinzona. Il CNC (Centre national du cinéma et de l’image animée, Francia) offrirà un premio del valo-re di 8’000 euro e ARTE finanzierà un pre-mio del valore di 6’000 euro. La sezione si compone anche degli Open Doors Screenings, che presenteranno a tut-to il pubblico del Festival una selezione di corto- e lungometraggi rappresentativi del-la cinematografia di Afghanistan, Maldive, Pakistan e Sri Lanka. Il programma comple-to sarà annunciato in seguito. Sostenuta fin dagli inizi dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) del Dipartimento federale degli affari esteri, la sezione Open Doors mira ad aiutare e a mettere in luce i registi e i film dei paesi del Sud e dell’Est del mondo dove il cinema indipendente è fragile. Open Doors è un’iniziativa organizzata in stretta collaborazione con l’Industry Office del Locarno Festival e beneficia del soste-gno di numerose organizzazioni europee e asiatiche: ACE (Ateliers du Cinéma Eu-ropéen), EAVE (European Audiovisual En-trepreneurs), Producers Network Marché du Film (Festival di Cannes), TorinoFilmLab, Festival Scope. L’iniziativa Open Doors si avvale inoltre del contributo di Paolo Berto-lin, programmatore di festival ed esperto di cinema dell’Asia Pacifica.

Ulteriori dettagli sui progetti e partecipanti Open Doors sono disponibili su www.pardo.ch/opendoors.

Selezionati gli otto progetti e gli otto produttori per Open Doors 2017

L’esplorazione dell’Asia del Sud continua con una nuova selezione di produttori e progetti, che saranno presentati a partner europei e

internazionali durante il Locarno Festival, nell’ambito della 15a edizione di Open Doors che si terrà dal 2 all’8 agosto 2017.

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giugno 2017 La Rivista - 55

Sequenzedi Jean de la Mulière

Ambientato in Normandia nel 1819, narra la storia di Jeanne Le Perthuis des Vauds (Judi-th Chemla), una giovane donna ingenua e piena di sogni infantili ritornata a casa, dopo un soggiorno in convento, che, innamorata, sposa Julien Delamare (Jean-Pierre Darrous-sin), un nobile locale decaduto, che si rivela presto un adultero incorreggibile. Dopo aver sedotto e ingravidato Rosalie, la domestica al servizio dei baroni, Julien chiede perdono a Jeanne e lo ottiene, rientrando in seno alla famiglia e diventando padre di Paul. Ma all’orizzonte si prepara un’altra tempesta che travolgerà ogni bene, materiale e affettivo, affondando Jeanne nei ricordi di una vita. Costretta ad un brusco e durissimo risveglio Jeanne finirà con lo spegnersi pian piano a causa della sua incapacità di regger il con-fronto con una realtà alquanto cruda, che non lascia spazio a prospettive e che la por-terà a cambiare completamente, succube della sua costante ricerca di emozioni, delle sue continue illusioni e della sua riluttanza a rinunciare ad un mondo del tutto immagina-rio. In fin dei conti, l’eroina di Judith Chemla lungo la sua via crucis sentimentale, finisce col rassegnarsi, attraversata dalla malinconia del suo secolo, un secolo malato segnato da numerose trasformazioni e dalla fragilità dei regimi politici. Tratto dal primo romanzo di Guy de Mau-passant, al quale il regista è rimasto molto fedele, Une Vie solca l’800 post rivoluzio-nario, congedando la protagonista con un messaggio, che suona come una rinnovata consapevolezza: “la vita non è né bella né brutta”. È.

Sullo sfondo della fiorente scena musicale texana, la vita di una coppia di artisti squat-trinati si intreccia a quella di un disinvolto produttore discografico di Austin e della sua giovane amante. Conosciutisi a una festa, BV (Ryan Gosling) e Faye (Rooney Mara) pensano di poter vivere per sempre di musi-ca e passione, e passano le giornate compo-nendo canzoni e suonando dal vivo. Quan-do il magnate dell’industria musicale Cook (Michael Fassbender) si offre di cambiare in meglio le loro vite e promette loro un radioso futuro, tra i tre si instaura un legame intimo e profondo che va al di là della semplice collaborazione professionale: un triangolo amoroso che poggia su seduzioni e tradi-menti e che finisce per coinvolgere anche la cameriera Rhonda (Natalie Portman) irretita dall’affascinante Cook. Malick non sarebbe Malick, però, se si fos-se limitato a raccontare, attraverso questo triangolo, della sua visione dell’amore, o dell’Amore. Prendendo a prestito la storia dei suoi protagonisti, il regista ha parlato ancora una volta della vacuità del successo e della fama, e dei pericoli dell’edonismo e della dissolutezza. E il mondo intenso, ribel-le, selvaggio, eternamente giovane e rivo-luzionario, ma anche illusorio ed effimero della musica rock è per il regista lo sfondo ideale per la messa in scena del dilemma di personaggi che vorrebbero tutto (l’amore, la libertà, la sicurezza, il successo) quando tutto non si può avere, mentre a volte è necessario ripartire da zero per ritrovare sé stessi e il proprio cammino: per non perder-si, per non perdere i propri valori, per non vendersi e morire.

A nove anni, Massimo perde la mamma per un infarto improvviso - o almeno così gli di-cono i parenti, riluttanti a renderlo partecipe della morte della donna. Dopo un’infanzia solitaria e un’adolescenza difficile, Massimo diventa un giornalista affermato, ma conti-nua a convivere con il ricordo lacerante della madre scomparsa, nonché con un senso di mistero circa la sua improvvisa dipartita. Solo alla fine scoprirà come sono andate esatta-mente le cose, e troverà il modo di risalire alla luce. Marco Bellocchio si cimenta con uno dei successi editoriali degli ultimi anni, il romanzo autobiografico scritto da Massi-mo Gramellini, ex giornalista de La Stampa da poco passato al Corriere della Sera. Ma il regista, va oltre i confini della trama stretta di quel romanzo, nel quale il giornalista torine-se racconta, con un impeto di autobiografia autoanalitica, la sua vera storia: la morte di sua madre, tragico evento con il quale du-rante tutta una vita non era riuscito a fare veramente i conti. La grande questione sol-levata da Fai bei sogni, infatti, non sta nell’e-same della psicologia di una persona rima-sta orfana in giovane età, o comunque non solo: sta nel rapporto mai completo e ambi-valente con la perdita e con la conseguente assenza. Il film, come d’altronde il libro, è imbevuto di un rimpianto inconsolabile, e se il romanzo sfila come una sorta di detective story, il film rievoca l’horror in cui Nosferatu e Belfagor sono i migliori alleati del piccolo Massimo, al quale nessuno è capace di dire la verità. La stessa che lui stesso forse non vuole conoscere.

Une viedi Stephane Brizé

Song to songdi Terence Malik

Fai bei sognidi Marco Bellocchio

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56 - La Rivista giugno 2017

Festeggiati a Zurigo i vent’anni del festival della “mela rosa”

Si è concluso ad inizio maggio

l’ultima edizione del Pink Apple

Film Festival, una kermesse

cinematografica dedicata

alla cultura omosessuale.

diGiovanni Sorge

Nata nel 1997 a Frauenfed e quindi ampliatasi su Zurigo, il festival della ‘mela rosa’ è cresciuto costantemente, arrivando così a festeggiare – con circa 10.000 spettatori – il suo ven-tesimo compleanno con un centinaio di proiezioni da tutto il mondo, tavole rotonde e una mostra fotografica. All’inaugurazione Corinne Mauch, la sindaca di Zurigo che peraltro non fa mistero della propria omosessualità ha speso parole di autentico elogio: un “grosser Gewinn“ per la città non solo “perché Zurigo patrocina i diritti degli LGBT e altre mino-ranze“, ma anche perché, “tolleranza e apertura nei confronti di donne, minoranze e persone LGBT sono, oggigiorno, con-quiste tutt’altro che scontate come invece credevamo fino a poco fa. La LGBT community è presente e non permetterà che il corso della storia faccia retromarcia. Ma l’impegno a favore dell’accettazione e contro ogni forma di discriminazione deve rimanere un compito continuo – nella politica, nella società e anche nel cinema”. Perciò, ha aggiunto, il Pink Apple “è oggi più importante che mai”. È quindi seguito il film d’apertura, il coraggioso (primo) lungometraggio della regista palestinese Maysaloun Hamoud In Between (Bar bahar) che – dal 2016 – ha già girato festival e sale di mezzo globo e racconta le ten-sioni tra modernità e tradizione di tre ragazze arabo-israeliane a Tel Aviv, e che a Zurigo ha vinto il premio del pubblico. Il ventennale è stato anche occasione di bilanci e – come ve-dremo – qualche ammiccamento al passato. “I primi anni - mi dice il cofondatore Roland Loosli - siamo stati piuttosto ignorati dai media e anche dalle istituzioni. Le quali però ora, soprat-

tutto con l’attuale amministrazione, riconoscono l’importanza socioculturale di quest’evento (e speriamo continuino a far-lo), perché il cinema, forse più di altri mezzi, contribuisce a far luce sulla condizione delle minoranze – gay ma non solo – in paesi dove i diritti umani sono ancora in embrione”. Tuttavia, continua Loosli, molti media ritengono che “un evento cinema-tografico di cultura omosessuale qual è il Pink Apple si rivolga esclusivamente a un pubblico gay. Mentre noi non vogliamo alcuna chiusura autocelebrativa, ma favorire il dialogo e l’edu-cazione alla diversità e alla pluralità”. Momento saliente del festival è stato il tributo alla carriera a Rob Epstein e Jeffrey Friedman, due registi, sceneggiatori e produttori americani il cui lungo sodalizio professionale è stato premiato, tra l’altro, da due premi Oscar e cinque Emmy Awards. Alla retrospettiva loro dedicata hanno presenziato inte-ragendo con un pubblico straordinariamente caloroso. Essa ha incluso il film che inaugurò la prima edizione del Pink Apple, The Celluloid Closet (1995): uno straordinario lavoro selezione di fonti (inframmezzato dai commenti con attori del calibro di Whoopi Goldberg, Susan Sarandon e Tom Hanks) che conside-ra l’evolversi della rappresentazione dell’omosessualità nella grande ‘macchina di sogni’ hollywoodiana; e lo fa attraverso scene da film ormai dimenticati oppure arcinoti (da Der blaue Engel del 1930 a Philadelphia del 1993), mostrando vuoi una movenza inaspettata, vuoi uno sguardo civettuolo o fin troppo eloquente, fino ad arrivare ai nostri giorni, in cui il rischio dello ‚stigma mediatico ancora permane per le (poche) star che fan-

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giugno 2017 La Rivista - 57

no coming out (Rupert Everett insegna). La medesima attenzione per la cultura gay ha portato i Nostri a cimentarsi con tematiche anche ben più toste. Ad esempio Common Threads. Stories from the Quilt nel 1989 portò all’at-tenzione del grande pubblico il dramma dell’AIDS quando toc-cava il suo apice, negli anni in cui l’amministrazione Reagan preferiva sorvolare sula gravità dell’epidemia e non pochi sa-cerdoti negavano la sepoltura a quanti ritenevano colpiti da punizione divina. Così, accompagnati dalla voce narrante di Dustin Hoffman, ci accostiamo alle storie di esistenze prematu-ramente stroncate e a una stagione lacerata da conseguenze pesantissime a ogni livello. Eppure il film è un inno alla vita: perché, contemporaneamente, racconta del Quilt, un immen-so arazzo deposto nel parco National Mall di Washington nel 1987 e composto da lenzuoli, cuciti insieme, contenenti foto, indumenti e pezzi di vita delle vittime dell’AIDS. Riuscendo ad accostare l’incommensurabilità della tragedia all’unicità di quello straordinario rituale collettivo. La retrospettiva ha inoltre incluso The Times of Harvey Milk (1985) dedicato all’attivista e politico democratico americano freddato nel 1978, insieme al sindaco di San Francisco George Moscone, da un collega psicopatico e devoto: così conferendo alla vicenda (cui Gus Van Sant nel 2008 dedicherà Milk, inter-pretato da Sean Penn) una risonanza internazionale. Infine, con il documentario Paragraph 175 (l’articolo, abrogato nel 1994, del codice penale tedesco che criminalizzava l’omosessualità) Epstein e Friedman narrano la poco indagata vicenda dell’ec-cidio di migliaia di omosessuali nei campi di sterminio nazisti; e lo fanno andando a incontrare, insieme allo storico Klaus Müller, i pochissimi, e ormai – nel 2000 – anzianissimi soprav-vissuti, che per decenni avevano taciuto il ricordo dell’orrore, di quel male assoluto che li aveva declassati a subumani e cui erano riusciti a sopravvivere. L’opera di sensibilizzazione sottesa ai lavori di Epstein e Fried-man va ben oltre la mera denuncia: ingenera una riflessione di straordinaria profondità. In modo unico, i registi hanno valoriz-zato il genere documentario, restituendogli il valore più nobile, e talora terapeutico, quello dello storytelling. Così, soprattutto quando muove dal guicciardiniano ”particulare” all’universale (anziché viceversa), il cinema dimostra la sua poliedricità e la sua straordinaria potenzialità, anche didattica.

La presenza italiana Va infine menzionata l’unica partecipazione italiana di quest’e-dizione, Due volte genitori di Claudio Cipelletti. Un tributo e un ritorno, anche qui, perché il documentario (del 2009) sui ge-nitori di figli omosessuali aveva ricevuto il premio del pubblico nell’edizione del 2011. È da un lato la storia dell’Agedo (“Asso-ciazione genitori di omosessuali”; v. anche www.duevoltegeni-tori.com) e dall’altro un viaggio – in treno, nelle abitazioni dei protagonisti, e in una lunga, appassionante, spesso divertente ma anche commuovente, nonché liberatoria terapia di gruppo, magistralmente condotta dalla psicoterapeuta, prematuramen-

te scomparsa, Lucia Bonuccelli, insieme a Francesco Pivetta, con genitori di diverse provenienza (da Lecce a Torino!) che si sono trovati di fronte alla novità, sorpresa e, spesso, shock della scoperta dell’omosessualità dei figli. Al coming out in famiglia – che poi non è altro che richiesta di riconoscimento e accet-tazione – subentra spesso sconcerto, rifiuto, persino disgusto (“se ti schifa pensare che sia lesbica, allora ti faccio schifo io”, ricorda una ragazza di aver detto a sua madre obbligandola così a confrontarsi con le motivazioni, personali e collettive, che le impedivano di accettare la – per lei nuova – realtà). E, soprattutto, un senso di vuoto. Lì per lì molti non sanno a che santo medico o santone votarsi, c’è chi va a staccare le foto del figlio dalla porta della camera, chi sente il terreno mancargli sotto i piedi o chi viene invaso dal senso di colpa per non aver capito, intuito o compreso. In ogni caso, d’un tratto, crolla un mondo. Ma siccome non c’è inizio senza fine – ed è qui che si svela l’azzeccato titolo del film – comincia poi una nuova fase (per tutti) sulla base di un rapporto rinnovato, più onesto, maturo e coraggioso: anche con la società. Con notevole sen-sibilità Cipelletti riesce a cogliere, grazie a un paziente quanto sapiente lavoro di sintesi, dialoghi e confronti di estrema inten-sità e di un realismo (meritoriamente opposto ai vanesi, am-morbanti narcisismi dei reality shows), che inducono – chiun-que – a riflettere sulla complessità e unicità di ogni individuo, e sull’incalcolabile valore dei rapporti familiari. Non a caso il film è stato premiato nel 2009 come miglior documentario al 23° Festival Mix Milano con la seguente motivazione: “Perché è un viaggio d’amore di figli verso i genitori e di genitori verso i figli, che commuove e diverte nell’arco di una intensa conver-sazione che resta addosso perché capace di chiamarci tutti in causa, omosessuali e non”.

Una scena del documentario di Claudio Cipelletti Due volte genitori

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58 - La Rivista giugno 2017

Nel prestigioso Victoria and

Albert Museum di Londra una

emozionante esposizione

multimediale dedicata ai 50 anni di attività

artistica del mitico gruppo

rock inglese

The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains

Si tratta di un’emozionante esposizione multimediale dedica-ta ai 50 anni di attività artistica del mitico gruppo rock inglese. Molto attesa dai fans di tutto il mondo e fedele alla vocazione dei Pink Floyd, la mostra si distingue per l’alto livello della tecnologia audio e video (Il suono è firmato Sennheiser). All’ingresso, il visitatore viene dotato di cuffie e di un lettore che si sintonizzerà immediatamente con il contenuto audio di ogni singolo segmento della mostra. Varcando la soglia dell’esposizione ci si trova improvvisamente catapultati nella metà degli anni 60, in ambiente psichedelico. Si entra nella gigantesca riproduzione del furgone Bedford nero e bianco, utilizzato dalla band ai suoi esordi, da qui dipartono delle stri-sce che avvolgono tutta la sala in un vortice compresa anche una tipica cabina telefonica londinese. Il vortice converge in un video in bianco e nero di Alice nel paese delle meraviglie. Il visitatore indossando le cuffie viene accompagnato passo dopo passo dalle musiche e dalle testimonianze del gruppo dei Pink Floyd formato originariamente da David Gilmour, Nick Mason, Roger Waters, Richard Wright e Syd Barrett. Ogni sala segna in modo cronologico una tappa importante della band grazie alla presenza di materiale audiovisivo e di performance scenografiche sulla scia della continua ricerca

delle relazioni tra musica, arte, design e tecnologia. Senza dubbio, il fatto che i quattro “boys” abbiano seguito dei corsi universitari al politecnico, ha influito nell’evoluzione artistica musicale del gruppo: per i quali produrre musica equivaleva a confrontarsi costantemente con le avanguardie artistiche e tecnologiche di quel tempo. Ecco quindi, a cavallo degli anni 60-70, le prime sperimentazioni sugli strumenti elettronici e sulle ambientazioni (molto bello è il video delle registrazioni del film Pink Floyd Live at Pompeii, 1972). Con la pubblicazione della suite orchestrale, Atom Heart Mother, si individua un punto di svolta nel percorso artistico dei Pink Floyd, che con questo lavoro abbandonano la musica psichedelica per avvicinarsi al rock progressivo. Si passa alla sperimentazione: dagli strumenti “classici” come la chitarra acustica, alla chitarra elettrica, dalle tastiere ai sintetizzatori, dall’immagine evocativa alla video arte, influenzata dalla pop art (molto suggestivi i video a fumetti realizzati da Hipgnosis per i tour della band). Con il passare degli anni, la musica prodotta dal gruppo diventa” concettuale”, ossia una riflessione filosofica sulla

Esistono le macchine del tempo: eccome se esistono … in particolare una ha aperto le porte al pubblico il 13 maggio scorso e le terrà aperte sino al 1° ottobre 2017, al prestigioso Victoria and Albert Museum di Londra, con “The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains”.

di Franca Antognini

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giugno 2017 La Rivista - 59

condizione umana. In una sala tutta buia ecco ruotare ac-compagnato dalla musica, in maniera quasi tridimensionale, il prisma simbolo di The Dark Side of the Moon (1973), album che denuncia il lato oscuro dell’umanità e che consacra al successo mondiale i Pink Floyd. Una gradevole pausa musicale è data dall’esecuzione della dolcissima Wish You Were Here (1975) dell’omonimo album dedicato all’ex membro del gruppo: Syd Barret. Particolarmen-te suggestivi sono i quaderni delle bozze dei testi e delle mu-siche dei grandi capolavori scritti dalla band, le foto dei back-stage, come pure i riferimenti alle collaborazioni con grandi tecnici del suono, oppure con grandi grafici quali Storm Thor-gerson: le testimonianze video degli sforzi di quest’ultimi per riuscire a tradurre in suono ed immagine il concetto espresso musicalmente dai Pink Floyd sono emozionanti. La nascita di un album era la sinergia di molteplici professionisti, una sfi-da continua ad addentrarsi in contesti non ancora esplorati dove niente era lasciato al caso. Un’intera sala è dedicata agli strumenti e all’amplificazione: ci si può destreggiare con un mixer, divertendosi ad isolare gli strumenti o le voci di un brano musicale. Suggestiva è la sala dedicata all’album Ani-mals (1973) che richiama il tema orwelliano de La fattoria degli animali, album diventato famoso anche per il Floating Pig, ossia il gigantesco maiale volante appeso dai Pink Floyd alle torri della centrale elettrica di Battersea, alla periferia di Londra. L’immagine diventata icona dell’album è ricostruita in una delle ultime sale dell’esposizione. Gli spazi della mostra diventano via via più scenografici in relazione agli ultimi capolavori dei Pink Floyd: The Wall, The

Final Cut, A Momentary Lapse of Reason. Effettivamente, la scenografia dei concerti si fa sempre più sofisticata con l’au-silio di elementi scenici mai visti e con l’utilizzo di una regia luci tra cui quelle laser. Lungo il percorso si trovano rispet-tivamente: i blocchi del muro della scenografia di The Wall, i pupazzi gonfiabili che riproducono i personaggi mitici del film, uno dei 450 letti posti in riva al mare per la realizzazione della copertina di A Momentary Lapse of Reason, così come la riproduzione dello schermo rotondo roteante usato per gli ultimi concerti. L’esposizione termina in un momento epico: ci si trova im-mersi a 360 gradi nell’ultima esibizione dei Pink Floyd, Live 8, del luglio del 2005 ad Hyde Park. Sembra proprio di essere lì, tra il pubblico ad emozionarsi, mentre i mitici Pink Floyd suonano per l’ultima volta insieme la stupenda Confortably Numb tratta da The Wall. Ecco il senso di questa esposizione: riportare alla memoria collettiva la bellezza e la profondità della ricerca artistica dei Pink Floyd e dimostrare ai giovani il potere della creatività. La band londinese ha collaborato attivamente alla realizzazione di questo progetto che è stato reso possibile grazie al lavoro delle prestigiose case Hipgnosis (grafica e design), Stufish (architetti scenici) e Sennheiser (sistemi audio), storicamente già legate in passato alla rock band. Difficilmente esiste un luogo più bello per risvegliare la me-moria se non quello del suggestivo V&A Museum di Londra, dove l’arte antica, moderna e contemporanea convivono sot-to lo stesso tetto.

The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains Dal 13 maggio al 1. ottobre 2017 Victoria and Albert Museum (V&A), Cromwell Road, South Kensington, Londra SW7 2RL Orari d’apertura: tutti i giorni dalle 10.00 alle 15.45 (il venerdì dalle 10.00 alle 22.00) Biglietti: è consigliabile la prenotazione on line (vam.ac.uk/pinkfloyd) per il giorno e l’orario

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60 - La Rivista giugno 2017

di Luca D’Alessandro

“Una certa malinconia è sempre presente”

Rossano Sportiello, pianista jazz di origini napoletane ed amba-sciatore dello Stride Piano, lancia Pastel, un disco di solo piano. La Rivista l’ha incontrato per parlare di questo lavoro discografico che comprende tredici brani.

Rossano Sportiello, ha appena concluso il suo ultimo proget-to discografico ... ... ah, sì, comunque ci tengo a fare una puntualizzazione.

Prego. Oggi spesso si sente parlare di progetti. Gli artisti si inventano un tema, una ragione o un filo conduttore per realizzare un disco. Il mio progetto invece, è tutt’altra cosa: quando ho iniziato a suonare professionalmente, ho promesso a me stesso di migliorare sempre. Ci tengo a far evolvere il mio suono e il fraseggio. Insomma: preferisco utilizzare la parola “progetto” in quel senso lì.

Qual è il tema conduttore di Pastel? Per quanto riguarda tutti i miei dischi non c’è mai stato un filo conduttore che legasse i brani. Ma in maniera egoistica mi sono riproposto di registrare sempre canzoni che mi piacevano. Brani per i quali provavo una certa sim-patia. Quindi quest’ultimo lavoro discografico si colloca sulla stessa scia. È una collezione di brani che non ho mai registrato prima di questo momento. Spazia attraverso l’american songbook.

Però c’è un brano che rappresenta una digressione. Presumo che stia parlando della canzone napoletana Voglia e turnà. Un bra-no lanciato da Teresa De Sio agli inizi degli anni ottanta. Dopo il successo d’esordio non si è più sentito parlare di questa cantante. Sono approdato a questo brano bazzicando su Youtube. Me ne sono innamorato immediata-mente perché ha aperto uno scrigno di ricordi personali. Non ho potuto fare a meno di inserirlo in questo mio disco.

Lei oggi risiede a New York. Prova un velo di nostalgia della sua città d’origine? Sì, in effetti. In noi italiani all’estero una certa malinconia è sempre presente. La poesia del ritorno la sentiamo continuamente. Tra l’altro, la letteratura delle

canzoni napoletane è piena di temi di questo genere. E poi non dimentichia-moci del fascino che Napoli ha sempre esercitato sui napoletani stessi.

Nel mondo jazzistico, al momento si notano diverse produ-zioni che fanno riferimento al “Neapolitan songbook” - se vogliamo chiamarlo così. Sto osservando che la generazione corrente non conosce più tanto il song-book americano. I nostri nonni invece, anche se non erano degli specialisti di George Gershwin o di Cole Porter, per via della presenza dei militari alleati sulla Penisola, i noti brani americani li individuavano all’istante. Erano persino in grado di fischiettarli. La generazione d’oggi invece ha bisogno di un nuovo riferimento con il quale riesce a creare un canale di comunicazione con il pubblico. La canzone napoletana si presta perfettamente. E poi ti lascia molto spazio per l’improvvisazione.

Pastel è un disco stilisticamente molto variegato. Sì, ci sono persino un paio di brani di musica classica. Brani brevi, come ad esempio l’arietta di Edvard Grieg che funge da introduzione al brano Like Someone in Love di Jimmy Van Heusen. Il punto è quello di creare varietà nel programma: di colori, di temi e di fonti da cui attingere il materiale musicale. Io credo in un programma eclettico che in qualche modo possa non annoiare il pubblico, anzi sorprenderlo. Un altro elemento indispensabile, secondo me, è il fatto di suonare il jazz in modo attuale e comprensibile. Nel tentativo di rendere attuale la musica, spesso si sfocia nel difficile. Si deve stare attenti a non cadere nella trappola dell’incomprensibilità.

Riguardo ai suoi dischi precedenti, in Pastel manca il cosid-detto Stride Piano, lo stile piano jazz che è stato sviluppato nelle grandi città della East Coast degli Stati Uniti durante gli anni 1920 e 1930. In questo disco, in effetti, non compare traccia di questo tipo di pianismo. È un pianismo più moderno. C’è il bebop, per esempio. Però l’elemento sul quale ho fatto leva, è la poetica del tocco. Ho cercato attraverso tutti questi brani di utilizzare un tocco ricercato, soffice, delicato ma profondo. È un disco che arriva dopo quindici anni dal mio primo lavoro discografico come band leader. E in qualche modo ho la sensazione che chiuda un ciclo evolutivo della mia carriera. Ciò non significa che non suonerò mai più lo stride o, nel senso lato, il jazz antico. Anzi! Sono troppo innamorato di quel genere lì.

Rossano Sportiello fotografato nell’ambito di un suo concerto al Marians Jazzroom di Berna. © Luca D’Alessandro

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giugno 2017 La Rivista - 61

Diapasondi Luca D’Alessandro

Ho messo tutta la mia anima, la mia musica, la mia ener-gia vitale, tutto quello che ho imparato, in quest’album”, dichiara Francesco Tarducci, meglio conosciuto come Nesli, con riferimento al suo nuovo album Kill Karma, un disco dan-ce-rock che fa parte di una trilogia iniziata con l’album Andrà Tutto Bene pubblicato nel 2015. Secondo l’artista si tratta di una trilogia sulla tristezza dell’anima e la bellezza del mondo. Il suo è un approccio fortemente spirituale. In effetti, con Kill Karma, Nesli si dichiara credente e confessa di provare un forte interesse per la religione cristiana e la Chiesa. L’album parla della vita fatta di amore, delusione, di momenti gioiosi, imprevisti e delusioni, di ispirazioni e di tutto ciò che la realtà quotidiana può comportare.

Il Festival di Sanremo 2017 e l’Eurofestival di Kiev (Ucraina) hanno contribuito a incrementare la popolarità di Francesco Gabbani in pochi mesi, sia sul piano nazionale, sia su quello internazionale. Con Occidentalis Karma - un mélange di riferi-menti culturali, che spaziano dalla civiltà orientale alla filosofia greca - Gabbani ha suscitato critiche da chi riteneva fosse il solito tormentone. Nello stesso tempo Occidentalis Karma ha avuto una risposta positiva dal mercato musicale. Lo dimostra-no le cifre: il brano è stato scaricato oltre 150’000 volte da internet o ascoltato tramite streaming. Gabbani, infine lo ha inserito nell’album Magellano, una raccolta di dieci tracce, tra cui figura anche Amen, brano con il quale è entrato in gara nella categoria Giovani del Festival di Sanremo 2016.

Sono due esponenti importanti del movimento “Smooth Jazz” italiano, i due fratelli Lo Greco, il batterista Gianni e il contrabbassista Enzo, che con la partecipazione del sassofo-nista Germano Zenga e la pianista Antonia Zambrini hanno messo a punto un jazz album raffinatissimo, variegato sia sul piano ritmico sia su quello delle armonie. Short Stories è un disco che si compone di nove pezzi freschi, attrattivi e melodicamente ben comprensibili. È evidente, sin dalla prima nota, la loro vasta esperienza artistica fatta sui vari palchi nazionali e internazionali con artisti di grande fama. Per citarne alcuni: Chet Baker, Brian Auger, Ray Char-les, Stevie Wonder, Elton John, Dee Dee Bridgewater, Mario Biondi e Giorgia.

È stato scritto da Niccolò e Carlo Verrienti - autori e produttori musicali - il brano Nessun Posto È Casa Mia, presentato al Festival di Sanremo 2017 da Chiara Galiazzo, in arte Chiara. Il brano denomina il terzo album in studio della giovane pado-vana, nota sul palco artistico dal 2012, in seguito al successo alla sesta edizione del talent show X Factor. L’album parla di oscurità e di luce, di vicinanza e lontananza, amore e perdo-no, malinconia e ostacoli che possono emergere nella vita di ciascuno di noi. I testi sono semplici, comprensibili, di una na-turalezza straordinaria. Nessun Posto È Casa Mia è il risultato di un’artista promettente - un personaggio che, album dopo album, è riuscito a sviluppare la propria maturità artistica.

Nesli Kill Karma(Universal)

Lo Greco Bros Quartet Short Stories(Irma)

Francesco Gabbani Magellano(BMG)

Chiara Nessun Posto È Casa Mia(Sony)

marzo 2017 La Rivista - 61

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62 - La Rivista giugno 2017

Con l’arrivo della bella stagione, dal mare alle città, si moltiplicano le occasioni per assaggiare il cibo di strada che viene acquistato da piu’ di un italiano su due (52%). E’ quanto emerge dall’indagine Coldiretti/Ixe’ sullo street food divulgata in occasione di GNAM!, Festival Europeo del Cibo di Strada che si è tenuto a Roma al laghetto dell’ Eur fino al 14 maggio.

Un fenomeno storicamente presente in Italia che sta vivendo - sottolinea la Coldiretti - una nuova stagione di successo anche grazie alle nuove tecnologie, perché concilia la praticità con il costo contenuto. Tra coloro che mangiano cibo di strada ad essere nettamente prefe-rito dal 69% per cento - sottolinea la Coldiretti - è il cibo della tradizione locale che va dalla piadina agli arrosticini fino agli arancini, mentre il 17 per cento sceglie quello internazionale come gli hot dog e solo il 14 per cento i cibi etnici come kebab, falafel. Un fenomeno che ha avuto una vera esplosione con la comparsa di mezzi mobili tecnolo-gicamente avanzati cosiddetti “food truck” per la preparazione e l’offerta delle diverse tipo-logie di prodotti, ma anche la nascita di catene specializzate. Il fenomeno del cibo di strada - continua la Coldiretti - ha radici molto antiche che risalgono al tempo dei Romani dove gran parte della popolazione era spesso solita gustare i pasti in piedi e velocemente in locali aperti in prossimità della strada. Per questo l’Italia con le sue numerosissime golosità gastronomiche può vantare una tradi-zione millenaria come dimostrano le diverse specialità locali apprezzate dagli amanti dello street food come gli arancini siciliani, la piadina romagnola, le olive ascolane, i filetti di bac-calà romani, gli arrosticini abruzzesi, la polenta fritta veneta, le focacce liguri, il pesce fritto nelle diverse località marittime e gli immancabili panini ripieni con le tipiche farciture locali che vanno dai salumi ai formaggi senza dimenticare la intramontabile porchetta laziale. Con gli stili di vita salutistici spazio anche - aggiunge la Coldiretti - all’innovazione nella tradi-zione con nuove pozioni naturali con la crescente offerta di prodotti salutistici come la frutta presentata in tutte le diverse forme, dai centrifugati ai frullati, dagli smoothies ai pezzettoni. Una offerta che piace molto anche ai turisti italiani e stranieri alla ricerca delle specialità locali. Non è un caso che più di sei stranieri su dieci durante le vacanze in Italia fanno shopping di cibo che viene acquistato nel 39% dei casi proprio nei mercati di strada e dagli ambulanti che rappresentano la forma di vendita più genuina per i turisti, secondo le ela-

borazioni Coldiretti sullo studio “In viaggio attraverso l’Italia” di Confimprese. Un patrimonio che va adeguatamente tu-telato - continua Coldiretti – rispettando, soprattutto nei centri storici, l’identità ali-mentare locale. La crescita del cibo di stra-da deve essere accompagnata- sostiene la Coldiretti – dalla difesa del radicamento ter-ritoriale per evitare un impoverimento della varietà dell’offerta, ma anche uno scadi-mento qualitativo e una omologazione ver-so il basso che distrugge le distintività. A sostenere il percorso di qualificazione dell’offerta alimentare in questo settore ci sono gli oltre mille mercati degli agricoltori che - sottolinea la Coldiretti - si sono diffusi in molte grandi e piccole città grazie alla Fondazione Campagna Amica che ha rea-lizzato la più vasta rete di vendita diretta a livello mondiale. In questi mercati si trovano prodotti locali del territorio, messi in vendita direttamente dall’agricoltore nel rispetto di precise regole comportamentali e di un co-dice etico ambientale, sotto la verifica di un sistema di controllo di un ente terzo.

Praticità, tipicità e costo contenuto. Vola il cibo da strada

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giugno 2017 La Rivista - 63

Una veduta (dal basso) di

Montepulciano

“Un Nobile in buona salute che cresce ancora con la buona reputazione che si sta facendo all’estero – ha commentato il presidente del Consorzio Andrea Natalini – a testimonianza di quanto lavoro è stato fatto in questi ultimi anni per elevare ancor più il nostro territorio per poter avere vini di qualità in grado, ora, di competere con i vicini Brunello e Chianti Classico. L’export ha fatto segnare, infatti, il 78% della quota complessiva del mer-cato (Germania con il 46% di importazioni). Il nostro “Poliziano” ingolosisce i mercati anche come visitatori ma credo che bisogna fare ancora qualche sforzo per poter esprimere al meglio tutte le potenzialità”. L’anteprima come al solito (da 3 anni) ha avuto luo-go all’interno della Fortezza di Montepulciano, a pochi passi da Piazza Grande, e rappresenta, anche per il numeroso pubblico che affolla letteralmente il paese, il pretesto ideale per scoprire un borgo incantevole e ricco di sorprese per chi ancora non ha avuto l’occa-sione di conoscere questa parte della Toscana, e una ragionevole scusa per chi conosce questi luoghi e ci ritorna sempre con lo stesso entusiasmo Tutta l’organizzazione è affidata al Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano che è nato nel 1965 con l’o-biettivo di tutelare e promuovere l’immagine del Vino

Nobile di Montepulciano e, successivamente, anche quella delle due DOC Rosso e Vin Santo, in Italia e nel mondo; attualmente i soci del Consorzio sono circa 270 (gli imbottigliatori soci sono 75) rappresentando oltre il 90% della superficie vitata. In virtù di questa rappresen-tatività ampia, il Consorzio dal 2011 svolge, tra l’altro, il ruolo di gestione della denominazione, di controllo dei vini in commercio, di tutela legale del marchio in Italia e a livello internazionale, di promozione e valorizzazione dell’intera denominazione. Il Consorzio tra le proprie attività offre un servizio di as-sistenza e formazione alle proprie aziende. Per quanto riguarda il consumatore finale il Consorzio ha da anni messo a regime un sistema informatico consultabi-le su internet e facilmente utilizzabile che permette a chiunque sia in possesso di una bottiglia di Vino Nobile DOCG, di Rosso e Vin Santo DOC, di verificarne l’intero percorso produttivo attraverso semplici operazioni. Era il 1966, un anno dopo la nascita del Consorzio dei pro-duttori, precisamente a primavera, quando sul mercato per la prima volta in Italia appare il Vino Nobile di Mon-tepulciano DOC. Mettendo in atto il Decreto del Presi-dente della Repubblica 930 del 1963, infatti, il pregiato vino toscano è tra i primi dieci vini italiani a dotarsi di

Anteprima Vino Nobile di Montepulciano 2017

4 stelle per lavendemmia 2016

di Rocco Lettieri

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questo marchio di qualità. Dopo quell’importante primo traguardo, che segnò la crescita della denominazione, il Vino Nobile, ancora una volta primo in Italia, ha ottenuto nel 1980 il massimo ricono-scimento, la DOCG. Da allora ad oggi il Consorzio dei produttori è cresciuto di pari passo con la qualità e la notorietà del Vino Nobile è in grande crescita. Nel 2016, per i 50 anni dalla DOC, il Consorzio ha ricordato questo avvenimento con molte iniziative.

L’anteprima nella Fortezza rinnovata Ma andiamo con ordine per raccontare la ventiquattresima edizione dell’anteprima di noi della stampa che siamo arrivati a Montepul-ciano, dopo aver lasciato San Gimignano. Cena di benvenuto alla Fortezza, tirata a lucido, bellissima nella sua nuova veste dopo i la-vori di ristrutturazione. Ad accoglierci la nuova Enoliteca Consortile, una “Casa del Vino e dell’olio e dei prodotti tipici locali” che è giunta

a compimento con il “Progetto Fortezza”. Infatti, nel 2016, in occa-sione dei festeggiamenti dei 50 anni dalla DOC, il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano ha definitivamente inaugurato uno dei progetti più ambiziosi, esempio più evidente dell’impegno dei produttori di Vino Nobile a sostenere il territorio di origine: il restauro della Fortezza, in cui i produttori associati hanno investito fortemen-te a fianco dell’Amministrazione Comunale e di altri partner Istitu-zionali e privati. Un progetto partito nel 2007 e conclusosi a ottobre 2016 con l’inaugurazione della sede del Consorzio del Vino Nobile e della suggestiva Enoliteca, uno spazio che ospita oggi, tra gli unici in Italia, tutte le etichette della denominazione e alcuni prodotti tipi-ci del territorio, fornendo al turista e all’appassionato un luogo uni-co per approcciarsi alle eccellenze locali, a partire dal Vino Nobile stesso. All’intervento, che ha riguardato il completamento del piano terra e la ristrutturazione del primo piano, il Consorzio del Vino No-bile ha contribuito in maniera consistente, insieme alla Kennesaw University della Georgia (Usa) che qui ha voluto creare la propria sede italiana. La cena come al solito preparata e allestita dall’MC Catering di Mas-similiano Cappelli è stata degna della sua bravura: salumi e crostini; minestra di pane; pici senesi; carni arrosto di tradizione toscana; tartare di chianina; bocconcini di cinghiale e i “fegatelli” con polen-ta di mais macinata a pietra; selezione di pecorini toscani e vasto assortimento di pasticceria mignon. Ad accompagnare la cena ben 20 vini rosso di Montepulciano DOC; 30 Nobile DOCG; 12 Nobile DOCG Selezione; 15 Nobile DOCG Riserva e 16 Vin Santo di Mon-tepulciano DOC. A disposizione sui tavoli ben 10 olio extra vergine dei produttori presenti.

La degustazione Degustazione seduti ai tavoli con il servizio dei sommelier e quindi possibilità di proseguire la degustazione ai banchi di assaggio, con la presenza dei produttori che quest’anno erano ben 45. In assag-gio il Vino Nobile di Montepulciano DOCG 2014, annata valutata a tre stelle, (37 campioni di cui ben 19 prove da botte) pronto ad essere immesso sul mercato dopo i due anni di evoluzione imposti dal disciplinare di produzione, e la Riserva 2013, annata a 4 stelle (24 campioni di cui 8 prove da botte), nonché altri 11 vini prodotti in annate precedenti. Premesso, come molti altri colleghi, che non

L’entrata….

… gli interni della nuova Enoliteca Consortile

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ci troviamo d’accordo sul definire la vendemmia 2014 (tre stelle) e paragonabile ad una annata difficile, poiché alcuni vini a noi ci sono parsi di assoluta eccellenza. Una scelta, quella di dare le stelle alla vendemmia, che andrebbe, a mio avviso, presentata per quella che è stata la vera progressio-ne mensile, lasciando però che la valutazione in stelle venga fatta almeno due anni dopo di maturazione. Troppe volte abbiamo avuto modo di degustare vini che venivano valutati sotto la media, sco-prendo poi che per motivi diversi di lavorazione o di posizionamento dei vigneti (da una parte può grandinare e in altre no; piogge a dirotto su un versante e pioggerellina sull’altro versante) si trovano vini di assoluta qualità che nulla hanno a che spartire per tutta la zona a denominazione. La qual cosa è avvenuta anche con la de-gustazione dei Nobile 2014, durante la quale anche alcune prove da botte hanno dato grandi soddisfazioni. I vini, quelli buoni di cui parlavamo, si caratterizzano per bella frut-tuosità (amarena, ciliegia, lamponi, melograno, ribes, mora, gelso rosso) e freschezza di menta e liquirizia. In bocca presentano buona succosità, bella acidità con tannini ancora spigolosi ma non aggres-sivi, con finali di macchia mediterranea e buona permanenza nel retrogola con accenni anche balsamici. Tra gli assaggi del Nobile 2014 ho preferito (sequenza di servizio): Dei; Avignonesi; Contucci; Fattoria della Talosa; Poliziano; Priorino “Viola”; Trerose “Santa Ca-terina”; Salcheto; Romeo; Tiberini Podere Le Caggiole; Fattoria la Braccesca; Il Macchione; Montemercurio “Messaggero”; Fattoria del Cerro; Le Bertille; Bindella; Boscarelli; Tenute Gracciano della Seta; Godiolo e Il Conventino. Tra i 24 campioni di Vino Nobile di Montepulciano Riserva 2013 ho trovato ottimi prodotti su una metà dei campioni (ordine di servizio): Contucci (BIO); Icario Vitaroccia; Lunadoro Quercione; Tenuta Grac-ciano della Seta; Palazzo Vecchio; La Braccesca; Carpineto; Bindella Vallocaia; Casale Daviddi; Fattoria della Talosa e Gattavecchi Poggio alla Sala. Ottimi alcuni dei vini delle annate precedenti: Tiberini Ri-serva Vigneto Campaccio 2012 (91/100); Boscarelli Riserva 2012 (94/100); Dei Riserva Bossona 2012 (91/100); Salcheto Selezione Salco 2012 (94/100); Carpineto Selezione Ercolano 2009 (93/100).

Le Stanze del Poliziano e la verticale all’azienda Carpineto Da segnalare, necessariamente, per l’impegno profuso, l’apertura da parte di Federico Carletti, titolare dell’azienda Poliziano e per molti anni presidente del Consorzio, di un nuovo spazio espositivo in Via del Poliziano, Le Stanze del Poliziano, in collegamento con la casa storica del poeta: un’esposizione di lusso che coniuga la storia del vino al suo più importante personaggio. “E poi stiamo lavorando su un nuovo vino, che sarà in commercio dal 2018 – ci ha dichiarato Carletti - un Vino Nobile con uvaggio 100% sangiovese proveniente dalle nuove vigne delle Caggiole, di qualità eccezionale. Ancora non ha un nome, ma vogliamo renderlo protagonista di manifestazioni e campagne internazionali assieme ad altre grandi aziende. Speriamo che sia un successo, sarebbe un successo per tutta la città”. In chiusura, tra gli incontri concessi ai giornalisti quest’anno ho potu-to visitare con altri colleghi l’azienda Carpineto, consolidata azienda vitivinicola toscana, che dal 1967, quando l’azienda fu fondata, ha decuplicato la superficie dei vigneti, da 20 a oltre 200 ettari articolati su cinque Tenute: Montepulciano, Montalcino, Gaville (Alto Valdarno), Dudda (Greve in Chianti) e Gavorrano. Tra le top 100 di Wine Specta-tor, premiata in particolare per alcuni vini icona come il Vino Nobile di Montepulciano Riserva (26° posto con un punteggio di 93/100),

l’azienda ha una produzione che copre tutti i grandi rossi della Tosca-na. Negli anni, la Carpineto è cresciuta costantemente fino a diventare un brand dal successo internazionale, affermatasi per l’eccellenza dei suoi prodotti e molto ben posizionata all’estero con un export diretto verso oltre 70 Paesi, Canada e Stati Uniti in testa. Alla presenza del titolare signor Antonio Zaccheo e del suo socio enologo Giancarlo Sacchetti, si è potuto fare una importante ver-ticale di 5 annate di Carpineto Vino Nobile di Montepulciano Docg riserva: 2011, 2010, 2007, 1995, 1989. Poi due annate di Poggio Sant’Enrico Vino Nobile di Montepulciano Docg riserva 2009 e 2001 e ancora tre annate di Carpineto Farnito Cabernet Sauvignon Toscana IGT 2011, 2000 e Riserva 1999. Una bella esperienza che ci ha permesso di capire molto di più sulle potenzialità del territorio di Montepulciano.

Le annate del Vino Nobile 2016 ✩ ✩ ✩ ✩ 2015 ✩ ✩ ✩ ✩ ✩ 2014 ✩ ✩ ✩ 2013 ✩ ✩ ✩ ✩ 2012 ✩ ✩ ✩ ✩ ✩ 2011 ✩ ✩ ✩ ✩ 2010 ✩ ✩ ✩ ✩ 2009 ✩ ✩ ✩ ✩ 2008 ✩ ✩ ✩ ✩ 2007 ✩ ✩ ✩ ✩ ✩ 2006 ✩ ✩ ✩ ✩ ✩ 2005 ✩ ✩ ✩ ✩ 2004 ✩ ✩ ✩ ✩ 2003 ✩ ✩ ✩ ✩ 2002 ✩ ✩ 2001 ✩ ✩ ✩ ✩ 2000 ✩ ✩ ✩ ✩

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Un po’ di storia del primo vino DOC d’Italia

Anteprima Vernaccia

di San Gimignano

2017

di Rocco Lettieri

San Gimignano ottenesse nel 1993 il riconoscimento della DOCG. La promozione del marchio è perseguita tramite la re-alizzazione di iniziative di marketing che incrementino la co-noscenza e la diffusione in Italia e all’estero della Vernaccia di San Gimignano Docg e del San Gimignano Doc. Nel 2012, anno del quarantesimo anniversario dalla sua fondazione, il Consorzio della Denominazione San Gimignano ha ottenuto l’Erga Omnes per i due vini Vernaccia di San Gimignano Docg e San Gimignano Doc, che prevede l’estensione dei compiti istituzionali nei confronti di tutti gli utilizzatori della denomi-nazione, associati o non associati al Consorzio stesso.

Una storia secolare Nessun vino italiano può vantare una storia lunga secoli come la Vernaccia di San Gimignano. Alla fine del Duecento appare in Europa sulle mense dei re, dei papi e dei ricchi mer-canti. Con ogni probabilità il nome Vernaccia deriva da Ver-

nazza, luogo d’imbarco della produzione ligure. E proprio la Vernaccia è il vino più ricercato e prezioso. Le gabelle di San Gimignano lo segnalano già nel 1276: una “salma vini de vernaccia ad mulum, soldi 3”; Salimbene de Adam lo descri-ve prodotto nelle Cinque Terre nel 1285, molti poeti francesi del periodo lo cantano come il vino più prezioso: “in verità, di tutti i vini è il non plus ultra” scrivono Jeofrois de Wateford e Servais Copale. Nel Trecento ottiene un successo straordinario non solo sulle tavole delle classi dominanti. La storia della letteratura ripor-ta un crescendo di estimatori: da Cecco Angiolieri a Dante, da Boccaccio a Franco Sacchetti, dai francesi Eustache De-schamps e Jean Froissart agli inglesi John Gower e Geoffrey Chaucer. Quest’ultimo la prescrive al vecchio Januarie per af-frontare la notte con la giovane sposa: “He drinkkith ypocras, clarre, and vernage / of spices hote, to encrese his corrage”. La sua produzione si diffonde: in Liguria e Toscana all’inizio,

Il Consorzio della Vernaccia di San Gimignano, poi de-nominato Consorzio della Denominazione San Gimi-gnano, nasce nel 1972 per una corretta gestione della denominazione Vernaccia di San Gimignano ottenuta, primo vino italiano, nel 1966.giornalisti provenienti da 30 diversi paesi del mondo e più di 1800 operatori, italiani e stranieri.

Fin dalla nascita il Consorzio persegue tre scopi fondamenta-li: valorizzazione della denominazione; tutela della Denomi-nazione; ricerca e sviluppo della qualità dei prodotti. In questa ottica, il Consorzio ha operato affinché la DOC Vernaccia di

Una veduta di San Gimignano

La presidente del Consorzio della Denominazione San Gimignano Letizia Cesani

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poi nei due secoli successivi in quasi tutte le zone enologiche italiane. Appare anche una versione nera in Calabria, nel Ci-lento, in Lombardia. Se nel Trecento è la Vernaccia di Corniglia la più ricercata, poi sono la Vernaccia di Cellatica (Lombardia) o Santo Noceto (Calabria), ma soprattutto è la Vernaccia di San Gimignano a caratterizzarsi e a identificarsi strettamente con il territorio di produzione. Nel 1465 la Vernaccia brilla nei calici delle nozze di Bernardo Rucellai con Nannina Medici, sorella di Lorenzo il Magnifico. Nel 1487 Ludovico il Moro, si-gnore di Milano, pretende dal Comune di San Gimignano 200 fiaschi di Vernaccia per le nozze di un Visconti con Isabella, figlia del re di Napoli. Le richieste dei “potenti” non dovevano essere sporadiche, né tenute in poca considerazione se il Comune di San Gimignano si preoccupa, nel 1477, di nominare due ufficiali assaggiatori perché “ne provvedessero del migliore e ben condizionato”. Nel Cinquecento la produzione cresce ulteriormente. Tutte le princi-pali famiglie sangimignanesi e le molte fiorentine che avevano acquistato delle terre e delle fattorie nel contado, impiantano nuove vigne di Vernaccia. Il Seicento è un secolo “dorato” per la Vernaccia di San Gimignano. Nel 1610 non sfugge al com-mento di Francis Scott, autore della prima “guida” d’Italia per i viaggiatori del Grand Tour: “cittadina particolare, perché produ-ce vina vernatica finissima e si decora bene di Templi splendi-di”. Nel 1643, Michelangelo Buonarroti il giovane scrive i versi: “ma i terrazzani altrui sempre fan guerra / con una traditora lor vernaccia, / che dànno a bere a chiunque vi giugne / e bacia, lecca, morde e picca e pugne”, ed infine Francesco Redi, nel Bacco in Toscana avverte: “Se vi è alcuno a cui non piaccia / La Vernaccia / Vendemmiata in Pietrafitta, / interdetto, / maladetto, / fugga via dal mio cospetto”. Nel 1787 Giovanni Targioni Tozzetti scrive che la Vernaccia ha “tanto poco colore che pare acqua, e al palato riesce gentile, ma non risveglia una sensazione di gran sapore, sicché gu-stato pare vino leggerissimo ma nello stomaco mette gran fuoco” e nel 1787 l’Ospedale di Santa Fina ancora vanta tra

le sue proprietà una “vigna delle vernacce”. Nell’Ottocento la produzione cala e ormai il vitigno si trova soltanto sparso tra i filari mescolato agli altri per “fare vino comune”. La rinascita comincia negli anni Trenta del Novecento. Carlo Fregola, Reg-gente della Cattedra Ambulante di Agricoltura di Colle di Val d’Elsa, è convinto della possibilità di reimpianto dell’antico vitigno e lo ritrova nel 1931 sparso nei filari in quasi tutte le zone del Comune di San Gimignano. La seconda guerra mondiale spegnerà subito ogni velleità di rinnovamento. Il processo è tuttavia ormai innescato e nei primi anni Sessanta ricomincia con vigore.

Vino Territorio Memoria Gli anni 60 del secolo scorso segnano la rinascita del vino. Recuperato il vecchio vitigno dalla confusione dei filari del-la coltivazione a promiscuo, la Vernaccia viene reimpiantata nelle vigne secondo i criteri della viticoltura specializzata. Nel 1966 è il primo vino italiano ad ottenere la Denominazione di Origine Controllata. Nel 1972 la creazione del Consorzio della Vernaccia, poi Consorzio della Denominazione San Gimigna-no, dà nuovo slancio alla produzione che cresce progressiva-mente in quantità e qualità ottenendo nel 1993 la DOCG, il massimo riconoscimento della legislazione italiana vigente. Gli ultimi venti anni sono contraddistinti da una ulteriore e generalizzata crescita della qualità del vino come dalla ricer-ca della salubrità del prodotto, e dalla ricerca delle caratteri-stiche peculiari della Vernaccia di San Gimignano attraverso la consapevolezza “antica” dei produttori di interpretare una “nuova tradizione”. L’occasione dell’Anteprima è stata anche motivo d’orgoglio per la città e per il Consorzio per aver dato alla stampa un voluminoso libro di 240 pagine: Vernaccia di San Gimigna-no – Vino Territorio Memoria, a cura del giornalista romano Armando Castagno, con l’apertura affidata al sindaco di San Gimignano Giacomo Bassi; a seguire il messaggio di Letizia Cesani, presidente del Consorzio della Denominazione San

Il sindaco introduce la presentazione del libro Vernaccia di San Gimignano – Vino Territorio Memoria, curato dal giornalista romano Armando Castagno (al suo fianco nella foto)

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Gimignano e, infine, prefazione della Wine Writer e Master of Wine Rosemary George, autrice di ben due libri sulla Toscana vitivinicola. Ma di lei parleremo più avanti. Il nostro cammino di anteprima itinerante tra le città del vino toscano, ci ha portato dalla Stazione Leopolda di Firenze a San Gimignano, dove presso il Relais La Cappuccina si è tenu-ta la cena di gala organizzata dal Consorzio. Una cena tipica toscana, durante la quale si sono potuti fare i primi approcci con la Vernaccia di San Gimignano DOCG di varie annate e di alcune Riserve, come pure si è potuto degustare i vini della San Gimignano DOC, che contempla vini rossi e Vinsanto. Di questi ultimi vini la presenza della viticoltura nell’area di San Gimignano risale all’epoca etrusca, di cui si hanno numerose testimonianze archeologiche. Un disciplinare del 1963 ne autorizzava la produzione e nel 2003 ad una sua radicale modifica e ad una successiva revisione posta in es-sere alla vigilia della vendemmia 2011. Vini a base di San-giovese (in prevalenza) che hanno attirato la curiosità per la piacevolezza di beva, vini freschi e profumati, ottimi anche per accompagnare salumi, formaggi freschi e i primi piatti della cucina rustica toscana.

La degustazione e il confronto in Sala Dante Grande successo di pubblico ha avuto la degustazione aper-ta anche ai privati, che già il giorno di apertura della mani-festazione, ha affollato le sale del Museo di Arte Moderna e Contemporanea De Grada. A noi giornalisti è stata data la

possibilità di degustare dalle 9 del mattino alla presenza dei sommelier (sempre bravi e attenti). L’offerta era costituita da 43 Vernaccia di San Gimignano 2016, 21 Vernaccia del 2015, 13 della vendemmia 2014 e altre 7 di altre annate. Chiaramente da degustare per primi sono stati i vini dell’an-nata 2016, che per un giudizio unanime è stata giudicata una grande vendemmia, che ha così onorato il cinquantenario della denominazione celebrato proprio lo scorso anno. Vini ancora in evoluzione, che necessitano di un periodo di affi-namento in bottiglia per esprimersi completamente, ma che già oggi presentano i caratteri tipici della tipologia, le note minerali e sapide, i profumi delicati, una bella struttura a cui corrisponde un’acidità equilibrata. Vini da bere nel corso di quest’anno, ma di certo da potersi riporre in cantina e da ri-scoprire tra qualche anno. Dar un giudizio risulta difficile per-ché quasi tutte le aziende hanno lavorato bene. Preferisco segnalare quei vini della vendemmia 2015 (alcune sono Riserve) che più mi sono piaciuti per freschezza, aci-dità e di ancora lunga vita: Aurea di Cantine Guidi; Rialto di Cappella Sant’Andrea; Ab Vinea Doni di Casale Falchini; Le Mandorle di Poggio Alloro; Benedetta di Fattoria San Dona-to; Ori de Il Palagione; Mareterra di Lucii Libanio; Ventanni di Palagetto; Vigna Santa Margherita di Panizzi; La Ginestra di Signano; Cusona 1933 di Guicciardini Strozzi; . Spettacolari per tenuta nel tempo il Carato 2011 di Montenidoli; Signorina Vittoria 2011 di Podere Tollena; Isabella 2007 di San Quirico; La Riserva 2012 di La Lastra e la Riserva 2011 de La Mor-moraia. Ottimi i vinsanto 2011 di Fattoria San Donato e della Fattoria Il Lebbio e il Vinsanto 2007 di Signano.

San Gimignano incontra La ClapePer la prima volta dal 2006, anno di inizio del ciclo di degustazioni “Il vino bianco e i suoi territori” che si svolge in contemporanea all’Anteprima della Vernaccia di San Gimignano, la degustazione in Sala Dante è stata affidata dal Consorzio della Denominazione San Gimignano ad una donna, Rosemary George, scrittrice e critica del vino inglese, una delle prime donne a diventare Master of Wine nel 1979. Ha scritto da allora dodici volumi di cui due sulla Toscana del vino, Chianti and The Wines of Tuscany nel 1990 e Treading Grapes, Walking trough the vineyards of Tuscany nel 2004. Specializzata sul vino del Sud della Francia, che racconta nel suo blog www.tastelanguedoc.blogspot.com e su cui sta scrivendo il nuovo libro The wines of the Languedoc; è corrispondente per il magazine Decanter, Sommelier India e www.zesterdaily.com. Perché La Clape e Vernaccia di San Gimignano? Così Rose-mary George ha motivato la sua scelta: “Essendo un’amante dei vini della Languedoc, mi è sembrato naturale scegliere una denominazione di questa regione per la degustazione con la Vernaccia di San Gimignano e La Clape con la sua vici-nanza al Mediterraneo, è una delle poche denominazioni del-

Il nostro collaboratore Rocco Lettieri impegnato nella degustazione

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la Languedoc che gode di una forte influenza marina. Inoltre il principale vitigno presente in questo vino è il Bourbou-lenc, che come il vitigno Vernaccia non è particolarmente aromatico. E benché nel territorio de La Clape si producano anche vini rossi, come per San Gimignano la sua maggiore reputazione è dovuta alla produzione dei vini bianchi. Infine, i vini di entrambe le aree sono cresciuti enormemente negli ultimi anni, un successo che li accomuna”. Sei erano i vini di produttori diversi ed annate differenti de La Clape che com-ponevano la batteria estera a confronto con sei Vernaccia di San Gimignano di altrettanti diversi produttori ed annate diverse. La degustazione a confronto è stata interessante, per certi versi intrigante e di bel confronto. In chiusura la presidente Letizia Cesani ha confermato: “Esat-tamente due mesi fa nel Teatro dei Leggieri abbiamo chiuso le celebrazioni, durate un intero anno, del cinquantesimo anniversario dal riconoscimento della DOC con il convegno “Vernaccia di San Gimignano, i prossimi cinquant’anni”. In quel momento abbiamo rinnovato il nostro pensiero sulla Vernaccia di San Gimignano del futuro e fatto il punto sulle iniziative svolte, non celebrazioni autoreferenziali ma piutto-sto momenti di approfondimento che hanno avviato percorsi concreti di crescita per la denominazione ed il territorio in-tero. E proprio a San Gimignano abbiamo deciso di gettare le fondamenta dei prossimi cinquanta anni della Denomina-

zione realizzando un progetto che partendo dal punto più alto della nostra città, La Rocca, di Montestaffoli, ex sede del Consorzio, diffonda la Vernaccia di San Gimignano nel mondo. Il Consorzio è, infatti, vincitore di un bando pubblico che lo fa assegnatario del Centro Comunale di divulgazione e diffusione della Vernaccia di San Gimignano per i prossimi sedici anni: un investimento importante che vede uniti tutti i produttori per realizzare un luogo dove si possa conoscere a tutto tondo la Vernaccia di San Gimignano, che è vino ma anche cultura, un luogo dove si concretizzi la sintesi di ciò che rappresenta, un vino di grande storia e tradizione, ma al passo con i tempi ed il mercato. La divulgazione, la didattica, lo studio, la possibilità di degustare al meglio i vini dei nostri produttori sono fattori fondamentali per la Vernaccia di San Gimignano, un vino bianco fuori dai soliti schemi che deve essere conosciuto per essere apprezzato per ciò che è, la più diretta espressione di un territorio e della sua storia secolare, un vino antico, autoctono, toscano. Nascerà così una sorta di Vernaccia Academy, un luogo di diffusione della cultura del-la Vernaccia, fatta non da analisi organolettiche ma di emo-zioni e di vere e proprie esperienze dei sensi grazie “all’uti-lizzo delle più moderne tecnologie multimediali.” I lavori di ristrutturazione della Rocca di Montestaffoli sono in corso e l’apertura è prevista ancor prima dell’inizio estate.

Per la prima volta la degustazione in Sala Dante è stata affidata ad una donna: Rosemary George, scrittrice e critica del vino inglese, una delle prime donne a diventare Master of Wine nel 1979

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Conviviodi Domenico Cosentino

A base di frutta (soprattutto agrumi), verdura (meglio ancora se croccante) oppure yogurt (per le note un poco acide), attivano la salivazione e preparano il palato alle portate che verranno. È l’elogio dei Gastro-bocconcini – oggi molto di moda - sfiziosi e saporiti, che nulla hanno a che fare con i tapas, lontani dai no-stri semplici “assaggini”, così originali e (spesso) complessi, che il nostro lessico gastronomico – fondato e cresciuto sui cardini robusti della cucina regionale e popolare – fatica a identificare con una parola precisa. I francesi, più bravi di noi nel lessico cu-linario, li hanno battezzati amuse-bouche (in versione salata) e pre-dessert. Farli nostri è stato facile, grazie al trionfo di frutta e verdura su cui è basata la nostra cucina italiana e che si attaglia perfettamente alla funzione di apripista del gusto. Un extra-ci-bo, insomma, che ormai abita le tavole gastronomiche piccole e grandi (per lo più) di nuova generazione.

Divertire la bocca L’amuse-bouche è in genere di piccole dimensioni e può esse-re consumato in un solo boccone. A differenza degli antipasti non viene ordinato dal cliente, ma è servito gratuitamente a discrezione dello Chef. Nato (è molto di moda), come detto sopra, in Franca, il termine amuse-bouche, in Italiano, tradot-

to letteralmente, significa Diverti-bocca. E divertire la bocca rappresenta l’evoluzione stessa della cucina. Esaurita la mis-sione primaria del cibo, quella di sostenere e nutrire, la prati-ca ai fornelli cambia, ancora una volta, obbiettivo: il piacere subentra alla necessità, la sperimentazione soppianta il quoti-diano, il cibo diventa gioco, sollucchero, sfizio. E d’altra parte, la gastronomia è un infinito rimando di creazioni e intuizioni tutte votate al godimento alimentare, da Apicio a Vattel, dal Maestro Martino all’Artusi. La riduzione delle porzioni è figlia della società del benessere, dove ci si può permettere di pi-luccare invece che addentare con vigore. E, se i bocconi sono piccoli, non occorre nemmeno costringersi nella sofferenza supplementare di lasciare la portata a metà.

Collane di sapori L’alta gastronomia, che ai fornelli vede generalmente Chef Stellati, ragiona secondo altre coordinate. I menù sono colla-ne di sapori, in cui le perle vanno infilate con un ordine preci-so per titillare, sorprendere, sedurre il palato. Che si scelgano i piatti “alla carta” o che ci si lasci trascinare nel vortice vo-luttuoso di un menù degustazione, i sapori vengono declinati comunque in modo lineare e progressivo. Certo, tra sedersi al tavolo del ristorante e cominciare a mangiare passa del tem-po. L’appetito si fa pesante, lo stomaco (a me capita spesso!) brontola, spazientirsi è questione di un attimo. Allora, niente di più facile che ricorrere ai ripari: tacitare l’inizio di malumore con un pezzo di pane intinto in una provvidenziale ciotolina di olio extravergine d’oliva o generosamente spalmato di ot-timo burro. Così, prima che tutto cominci, la bocca è avvolta di grasso e lo stimolo della fame in qualche modo domato, ovvero l’esatto contrario di un percorso gastronomico doc, dove la bocca viene preparata con piccole tappe di avvici-namento ai sapori più pieni e arditi, veri e propri esercizi di riscaldamenti per atleti del gusto.

wPrima dell’antipasto, Prima del dolce Gli amuse-bouche rappresentano il warm up del palato. Sfiziosi bocconcini come la sferetta agli agrumi che lo chef Ivan Milani , nel suo ristorante di Torino, prepara sotto for-ma di terrina di fegato d’anatra lavorata con burro, leccatura

Bocconcini sfiziosi e saporiti prima che arrivi l’antipasto Si chiamano “Amuse-Bouche”

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di frutto della passione e polvere di agrumi; o l’Arrabbiata soffiata, una versione croccante e piccante di penne di mais cotte, essiccate e fritte perché gonfiano, farcite con crema di sugo all’arrabbiata con mix di spezie, che lo chef Francesco Apreda prepara all’Hotel Hassler di Roma, attivano la saliva-zione e predispongono l’apparato digerente senza occupare lo stomaco. In altre parole, hanno esattamente la funzione originaria dell’aperitivo, con la sua connotazione amaricante (vermouth in primis). In questi pre-antipasti funzionano bene anche le note acide, che rinfrescano la bocca come una flûte di bollicine extra-dry. Così, stuzzicato in modo adeguato, il palato è pronto per la successione più o meno ortodossa di antipasti, primi e secondi. Ma prima di arrivare all’ultimo atto, urge una sosta tecnica per resettare i recettori del gusto. E allora spazio al pre-dessert, come può essere il Sorbetto di Acetosella di Enrico Crippa, del “Piazza Duomo” di Alba: nel pre-dolce rivisita il sorbetto con pan di spagna alla bietola ac-compagnato da meringhe al limone, polvere di yogurt, erbe e fiori selvatici, che è l’erede del sorbetto di un tempo, perfetto per introdurre la dolcezza di torte e mousse. Alla fine, per chiudere il cerchio, un bicchierino d’amaro.

A Villa Cordevigo (Verona) per i miei 80 anni Non è del tutto vero che “Non c’è Mondo al di là di Verona”, come sostiene il protagonista del Romeo e Giulietta di Sha-kespeare, la celebe opera ambientata nell’affascinante città bagnata dall’Adige. A Cavaion Veronese, in località Cordevi-go, tra il lago di Garda e la Valpolicella, c’è un luogo in cui la grande cucina italiana – sia quella stellata sia quella regionale – trova piena espressione la Villa Cordevigo Weine Relais con il suo ristorante Oseleta, Uccelletto. Ed è qui, in questo incan-tevole dimora che, il viaggiatore goloso, è sbarcato, insieme alla figlia Antonella, i nipoti Michel, Patrik e suo genero Chris, il 14 aprile, giorno del suo compleanno, a festeggiare i suoi e sempreverdi 80 anni di età.

Finte olive, sfogliatelle di Baccalà, triglia romesco, riso al fieno, capretto, pastinaca… Dopo l’aperitivo, servito in giardino, all’ombra di giganteschi pioppi con vista sui vigneti, tutti a tavola all’interno de risto-rante Oseleta. Villa Cordevigo racchiude tutto in questo ristorante, premiato nel 2013 con la prestigiosa stella Michelin: un locale arredato con classe e stile, senza avere troppa etichetta. E il cibo che l’executive chef, Giuseppe d’Aquino propone, è fatta di pie-tanze dell’antica tradizione miscelata con l’innovazione di una cucina d’autore, dove l’innovazione sta proprio nella tecnica di preparazione e nella cottura. Lo si è notato fin dall’inizio: dopo gli amuse-bouche (solo per divertire la bocca): delle “per-le nere” a forma di olivette farcite con mousse di mortadella e le sfogliatine di baccalà, il menù è stato un susseguirsi di pietanze dotate di senso, creatività o piatti tipici leggermen-te rinnovati. Come antipasto, l’asparago bianco di Bassano, bottarga di muggine con salsa ai ricci di mare. È seguita una triglia romesco con crescione e, subito dopo, una cipolla di Montorio farcita con coniglio, cagliata di latte di capra. Di pri-mo, un risotto al fieno mantecato al Castagno e tarassaco, e per secondo capretto, carciofo, pastinaca e polvere di nocciola. Il pre-dessert, per rinfrescare la bocca, servito in una ciotolina grande quanto un ditale, era una gelatina morbida fatta di petali di rosa, spuma di yogurt naturale e dadini croccanti di cetriolo. Come dessert, invece, Cioccolato (a forma di mezzo uovo, forse perché si era sotto e feste pasquali), pepe e fava. La piccola pasticceria (anche questi “bocconcini”) tutti a for-ma di “fogazzin”, quadrettini di colore giallo come la polen-ta, che è una torta legata alla tradizione contadina veronese, a base di polenta rimasta il giorno prima, uvetta sultanina e liquore all’anice. Come vini, serviti tutti in calici, abbinati a menù: Chiaretto del Garda, U Bianco Veronese, prodotto da uve Garganega e Souvignon Blanc e Rosso Villa Cordevigo prodotto con uve Corvina veronese, Molinara e Rondinella.

La Villa Cordevigo Weine Relais

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72 - La Rivista giugno 2017

Preparare in casa gli “amuse-bouche” può sembrare una “Missione Impossibile!”. Oltre agli ingredienti, in cucina, bi-sogna essere attrezzati con “Robot” sofisticati e all’avanguar-dia. Se qualcuno volesse provare con le millefoglie di baccalà (anche perché si possono preparare facilmente in casa), ecco la ricetta:

Ingredienti per 4 persone:2 patate, 1 dl di olio extravergine d’oliva, 300 g. di baccalà fresco, 25 g di burro, foglie d’alloro ed erba cipollina, uno spicchio d’aglio, 1 dl di latte, ½ limone spremuto, sale e pepe.

Come si preparano:Di solito quando li preparo io come stuzzichino, pelo le patate, le taglio alla mandolina finissime e dispongo su una placca for-mando lelle “rose”, olio la superfice e faccio cuocere al forno a 110° C finché saranno dorate e croccanti. In una casseruola faccio bollire il latte con le erbe e l’aglio, aggiusto di sale e pepe. Aggiungo i baccalà e faccio cuocere a 90° C. A cottura ultimata, lo scolo e lo monto con la frusta, meglio con un frul-latore, unendo man mano l’olio d’oliva, il burro, il succo del mezzo limone e l’erba cipollina tagliata a pezzetti. Farcisco le fette di patate con il baccalà, formando così dei piccoli “amu-se-bouche” e porto a tavola prima dell’antipasto.

Vino consigliato:Un Bianco Veronese, con l’imbarazzo della scelta. O un calice di Agnobianco – Bianco della Valdagno, Vicenza.

Millefoglie di baccalà

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giugno 2017 La Rivista - 73

Tra i relatori più attesi, spiccava la responsabile di un famoso centro per il digiuno. La sua presentazione descriveva i risultati del metodo su un paziente che da vent’anni frequentava il centro, almeno per due settimane l’anno, con risultati giudicati ecce-zionali. Infatti, dati alla mano, il paziente presentava di volta in volta miglioramenti per il sovrappeso, per la glicemia alta e successivamente, di ricovero in ricovero, per pressione alta, trigliceridi sballati, dolori articolari e così via. Alla fine dell’esposizione, dopo una serie di commenti entusiastici, io alzai la mano e dissi, nel mio tedesco ancora stentato: “Mi viene da pensare che, se due volte l’anno e per vent’anni di fila questo signore ha sofferto di tutta questa sequela di disturbi, forse il vostro metodo non è poi così efficace per ristabilire la salute”. Dopo un mezzo minuto di gelo, mi venne risposto che forse non avevo capito bene la presentazione. Grazie e arrivederci. Questo imbarazzante aneddoto, non solo mi ha insegnato a tenere per me commenti poco condiscendenti durante i congressi, ma mi offre il destro per parlare della fa-migerata prova costume. Come l’adepto del centro digiuni, infatti, di anno in anno signore (e signori, diciamolo) si sottopongono a un breve periodo di restrizione ca-lorica, con l’obbiettivo di “prepararsi all’estate”. La sequenza è sempre la stessa: un mese di dissociata/paleo stretta/zona/fate voi, chili persi, selfie di rito, fine dell’estate, ripresa dei chili persi (con gli interessi). E l’anno dopo si ricomincia. Possibile che a nessuno venga in mente che un metodo che dà risultati solo a breve termine non sia un metodo efficace? Uno degli aforismi più popolari attribuiti ad Albert Einstein, recita: “La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.” Benché il buon Albert non si riferisse certo alla nutrizione, perché non tenere presente questa citazione per dare davvero un giro di vite al comportamento alimentare e di stile di vita? Facile a dirsi, direte voi. Infatti, iniziare a cambiare è in assoluto la cosa più difficile che possiamo affrontare, come posso verificare quasi quotidianamente. Quando inizio un percorso come consulente nutrizionale con un nuovo cliente, infatti, mi capita molto spesso, di constatare la sua maggiore predisposizione a mangiare meno del suo fabbisogno e soffrire la fame, piuttosto che mangiare a sazietà eliminando però zucchero e cibi raffinati. A questo tipo di atteggiamento, seguono un paio di domande di rito, che voglio estendere anche a voi: 1) Ha mai funzionato in modo costante, in passato? e 2) Cosa vi fa pensare che stavolta, invece, funzioni? Siete ancora in tempo, per NON fare la fame in vista dell’estate. Pensateci. Se non per Einstein, almeno per voi stessi.

Relativistici saluti dalla vostra Tatiana Gaudimonte

[email protected]

Qualche tempo fa, per ottempe-

rare i miei ob-blighi di forma-zione continua ma soprattutto

per soddisfare la mia curiosità, mi trovavo a Lucer-na a seguire una

serie di confe-renze su nutri-zione e salute.

Einstein e il cambiamento

di Tatiana GaudimonteLa Dieta Rivista

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Starbene

minerali. Ha un elevato contenuto di glutine e un alto indice glicemico. Ben si presta per la preparazio-ne di dolci, pane, pizza e prodotti da forno oltre che per fare la pasta fresca e all’uovo; è ottima anche come legante per la besciamella. Questo tipo di farina bianca di grano tenero, è un prodotto relativamente recente, introdotto dopo la rivoluzione industriale, grazie al passaggio dai mulini a pietra a quelli a cilindri di metallo. Il vero processo che ha modificato, dall’inizio del ventesimo secolo, la qualità della farina bianca è però la degerminazione, che ha privato la farina quasi del tutto delle compo-nenti vitaminiche, oltre che di buona parte del sa-pore. La maggior parte della farina 00 non ha alcun gusto, e pochissimi componenti nutrizionali. Inoltre, dal 1950, il grano è stato sottoposto a modificazioni genetiche con lo scopo di migliorarne le caratteristi-che di resistenza, ma selezionando queste qualità, si sono trascurate quelle nutrizionali e, come conse-guenza, si è ulteriormente ridotto anche il sapore. La farina 0 è meno bianca della 00 perché conser-va una quantità maggiore di crusca e così la 1 e la 2, contengono rispettivamente quantità maggiori di crusca, tanto che la 2 è anche conosciuta come fari-na semi integrale. La farina 0 viene di solito utilizzata per la panificazione e per la produzione della pasta fresca. Maggiore è il processo di raffinazione che il chicco di grano subisce maggiore è la perdita in ter-mini di acidi grassi polinsaturi, vitamine, magnesio, ferro, calcio e potassio.

Privilegiare farine ‘sporche’Gli esperti concordano: sono da privilegiare farine in-tegrali, ai cereali e quanto più “sporche”, ovvero di colore tendente al marrone e non al bianco. Maggiore è la limpidezza della farina maggiore sarà la raffinazione. Tra quelle utili troviamo le farine di

Attenzione ai prodotti raffinati…Per mantenerci in buona salute dovremmo seguire i principi della dieta Mediterranea ed evitare i pro-dotti raffinati. «Con tale dicitura ovvero di prodotti raffinati si intendono i cibi che vengono sottoposti a numerosi e ripetuti processi di lavorazione per mi-gliorare e aumentare il gusto e adattarsi al consumo in termini di facilità di utilizzo e, spesso, risparmio di tempo nella preparazione di un pasto – spiega il dottor Marco Buccianti, Consigliere Nazionale ADI (Associazione Italiana Dietetica e Nutrizione Clinica Onlus) che precisa anche come - riuscire ad evitarli significa privilegiare prodotti freschi e proposti senza particolari interventi tecnologici e di trasformazio-ne. Purtroppo i nostri palati ormai si sono abituati e assuefatti ai sapori raffinati e questo rende tutto più difficile nella scelta di prodotti meno conosciuti i quali vengono osservati con diffidenza e puntual-mente scartati». Per seguire la dieta Mediterranea oltre ad evitare i cibi raffinati bisognerebbe consumare frutta, verdu-ra, usare l’olio extravergine di oliva per condire, con-sumare regolarmente carne anche bianca, latticini, pesce e poi anche pane, pasta, riso e pizza. Cosa c’è allora di più salutare che preparare la pasta, la pizza e anche il pane in casa? Ma quale farina usare per prepararli, se si devono evitare quelle raffinate?

…. e alla farina che comprateLa farina 00 è forse la più nota, quella che tutti cono-scono per averne preso un pacchetto al supermerca-to per farne dolci o pizze: si ottiene dalla raffinazione del chicco di grano tenero e deve il suo colore bian-chissimo alla completa assenza di crusca; contiene principalmente amidi, poche proteine, vitamine e sali

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dell’Immacolata di Roma, unita a studi in laboratorio. Sarebbe la caffeina la diretta responsabile degli ef-fetti protettivi. Condotto da George Pounis di Neu-romed, lo studio è stato pubblicato sulla rivista Inter-national Journal of Cancer. Alcuni studi recenti ave-vano suggerito un effetto protettivo della bevanda. In questo nuovo lavoro sono stati seguiti nel tempo i partecipanti allo studio epidemiologico Moli-sani. “Analizzando le abitudini relative al consumo di caf-fè - spiega Pounis - e i casi di cancro alla prostata registrati nel corso del tempo, abbiamo potuto evi-denziare una netta riduzione di rischio, il 53%, in chi ne beveva più di tre tazzine al giorno”. Poi i ricercatori hanno testato l’azione di estratti di caffè (contenenti o meno caffeina) su cellule tumo-rali prostatiche in provetta. Solo gli estratti con caf-feina hanno mostrato la capacità di ridurre significa-tivamente la crescita delle cellule cancerose e la loro capacità di formare metastasi; un effetto che in larga parte scompare con il decaffeinato. Ciò suggerisce che l’effetto benefico è molto probabilmente dovuto proprio alla caffeina, più che alle numerose altre so-stanze contenute nel caffè. Va considerato che lo studio riguarda una popola-zione del Molise, che quindi beve caffè rigorosa-mente preparato all’italiana, cioè con alta pressio-ne, temperatura dell’acqua molto elevata e senza l’uso di filtri. Questo metodo, diverso da quelli seguiti in altre aree del mondo, potrebbe deter-minare una maggiore concentrazione di sostanze bioattive. Sarà molto interessante approfondire questo aspetto. D’altronde, il caffè è parte integrante dello stile alimentare italiano, che non è fatto solo di singoli cibi, ma anche del particolare modo di prepararli.

farro, orzo e segale e tutte quelle macinate a pietra che mantengono una percentuale di crusca maggio-re. Da provare sicuramente anche la farina di grano saraceno e la farina di quinoa, entrambe natural-mente prive di glutine. Attualmente la farina di castagne sta riacquisendo interesse per la qualità nutrizionale e di produzione, per il legame con il territorio e la sostenibilità am-bientale. In ogni caso è necessario variare il consu-mo di farine, alternando le diverse tipologie senza escluderne nessuna. Importante è preferire farine integrali e ai cereali in purezza e non ottenute da fa-rine bianche con aggiunta di crusca e limitare quelle particolarmente povere di fibra come la farina di riso, di mais e farine 0 e 00, compresa la manitoba. Per qualsiasi preparazione, gli esperti nutrizionisti consigliano di utilizzare farine prodotte da grani an-tichi (che non significa preistorici ma precedenti alla seconda guerra mondiale), coltivati senza chimica, in maniera tradizionale, e possibilmente macinati a pietra, scegliendo almeno il Tipo 1. Per alcuni dolci si può utilizzare la “0”. La “00” non ha motivo di essere utilizzata. Nell’800 la farina 00 non esisteva eppure i dolci di Marie Antoine Careme, cuoco di Tayllerand preparati per una famosa cena al Congresso di Vienna, riusci-rono talmente soffici e buoni, al punto di modificare le sorti dell’Europa.

Lungo o ristretto, protegge dal cancro alla prostataLo rivela una ricerca condotta su 7000 italiani dall’IRC-CS Neuromed di Pozzilli in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e l’IRCCS Istituto Dermopatico

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Motoridi Graziano Guerra

Ferrari California T vuol dire sportività e alta tecnologia. Il turbo garantisce un suono intenso e un’accelerazione crescente come mai nessuno prima … ah, quel manettino rosso sul volante! Ovviamente occorre attraversare la fron-tiera e avventurarsi sulle autostrade tedesche per godere delle sensazioni uniche che solo una Ferrari sa trasmettere. Il sogno su quattro ruote è stato vissuto su un percorso tipico dell’utilizzo reale della vettura. Strade cantonali e comunali, con alcuni tratti autostradali, anche germani-ci, appunto. Ho apprezzato il perfetto bilanciamento tra prestazioni e versatilità. Il cambio è sempre perfetto, sia in funzionamento automatico sia in manuale, con innesti rapidi e sportivi. Il livello d’innovazione è eleva-to, ma mantiene le caratteristiche tipiche, come il tetto rigido ripiegabile, che in soli 14 secondi trasforma la vettura da raffinato coupé in piacevole e ricercata spi-der, l’apprezzato concetto 2+ e la ricchezza degli inter-ni. Le sospensioni a controllo magnetoreologico SCM3 rendono inimitabili la velocità di risposta e l’efficacia di controllo nel comportamento dinamico. Le logiche di funzionamento rendono la vettura mol-to reattiva in fase di accelerazione, in particolare su strade sconnesse e in uscita di curva. Con l’8 cilindri turbo, gli ingegneri di Maranello hanno sviluppato un propulsore che offre elevatissime prestazioni, una spinta sempre crescente e un suono entusiasmante. La tecnologia adottata annulla praticamente il turbo lag e garantisce una risposta immediata ai comandi e una coppia in continua salita, come nei motori aspirati d’un tempo. Questo grazie a un software innovativo

definito Variable Boost Management. Il V8 a iniezione diretta di 3.855 cm 3 è montato in po-sizione anteriore-centrale, ha una potenza specifica di 145 CV/litro, fra le più elevate per vetture con queste caratteristiche. Valori che consentono di accelerare da 0 a 100 km/h in soli 3,6 secondi. Il motopropulsore della California T beneficia di alcune delle soluzioni applicate alle monoposto di F1, come le turbine twin scroll di dimensioni ridotte e bassissima inerzia per minimizzare i tempi di risposta. Anche alcune fasi pro-duttive, soprattutto per le fusioni, utilizzano impianti e metodologie della Scuderia. Non mancano raffinate dotazioni digitali, con connessione dello smartphone, computer di bordo, navigatore. Il cockpit riflette alla perfezione l’alone di leggenda del Cavallino rampante, con materiali sopraffini e rifiniture perfette.

La prova Ferrari California TLa gran turismo sportiva sintetizza eleganza, esclusività e versatilità che hanno contraddistinto le vetture con questo nome nella storia Ferrari dagli anni ‘50 a oggi.

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MotoreTipo: V8 – 90° Iniezione diretta di benzina Cilindrata totale: 3.855 cm3 Potenza massima: 412 kW (560 CV) a 7500 giri/minuto Coppia massima: 755 Nm (77 kgm) a 4750 giri/minuto

Dimensioni e pesiLunghezza: 4570 mm Larghezza: 1910 mm Altezza: 1322 mm Peso a secco: 1625 kg Distribuzione dei pesi: 47% ant. – 53% post.

PrestazioniVelocità massima: 316 km/h 0-100 km/h 3,6 s Consumi dichiarati: 10.5 l/100 km Emissioni: C02 250 g/km

Prezzo baseCHF 220’634

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Il brand di CNH Industrial, ha confermato ed esteso la col-laborazione scientifica con il Politecnico di Milano e la sua Fondazione, sostenendo – anche finanziariamente – le atti-vità di ricerca dell’ateneo milanese. Un’alleanza tesa a svi-luppare i motori di domani. Il progetto di ricerca prevede un sostegno finanziario diretto fino al 2019 e ha come focus la combustione dei motori diesel, a gas naturale e i sistemi di post-trattamento. “La possibilità di collaborare con un cen-tro d’eccellenza tecnologica e di ricerca come il Politecnico di Milano ha un’importanza fondamentale, perché è un’oc-casione per partecipare da protagonisti alla crescita di quelle competenze e professionalità che, in futuro, contribuiranno a permetterci di continuare a vincere le sfide del mercato”, ha dichiarato Annalisa Stupenengo, Brand President di FPT Indu-strial. “Rafforzare i legami di collaborazione con grandi realtà imprenditoriali è da sempre uno degli obiettivi del Politecnico di Milano. Partnership come quella con FPT Industrial hanno

ricadute importanti anche nell’innovazione di un settore stra-tegico per il nostro Paese, come quello dei motori industria-li” ha commentato Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano. “Fondazione Politecnico di Milano opera da quasi 15 anni per rendere ancora più stretto e solido il rapporto tra l’università e le aziende”, ha aggiunto Gianantonio Ma-gnani, Presidente della Fondazione Politecnico di Milano e di PoliHub, l’incubatore del Politecnico di Milano. Le attività del progetto saranno coordinate da FPT Industrial (Centri di Ricerca & Sviluppo di Torino e di Arbon, in Svizzera) e condotte in collaborazione con il personale del Dipartimen-to di Energia del Politecnico di Milano, in particolare con i team di ricerca dei gruppi ICE (Internal Combustion Engine) e LCCP (Laboratory of Catalysis and Catalytic Processes).

Nella foto, da sin.: Gianantonio Magnani, Annalisa Stupenengo, Ferruccio Resta.

A proposito di CNH Industrial Si tratta di un leader globale nel campo dei capital goods dalla consolidata esperienza industriale e una presenza mon-diale. Ogni brand della società è un player internazionale di rilievo nel rispettivo settore industriale: Case IH, New Holland Agriculture e Steyr per i trattori e le macchine agricole, Case e New Holland Construction per le macchine movimento terra, Iveco per i veicoli commerciali, Iveco Bus e Heuliez Bus per gli autobus e i bus granturismo, Iveco Astra per i veicoli cava cantiere, Magirus per i veicoli antincendio, Iveco Defence Vehicles per i veicoli per la difesa e la protezione civile, e FPT Industrial per i motori e le trasmissioni.

Dal 1872 Pirelli è un nome indissolubilmente associato agli pneumatici - e ovviamente continuerà così anche in futuro. Ma oltre ad essere una parte essenziale del mondo dell’auto-mobile, il logo Pirelli è ora associato a molti altri eventi spor-tivi, grazie a una serie di sponsorizzazioni di alto livello che vogliono raccontare una storia che va oltre gli pneumatici. E a volte, questa storia va oltre la terra ferma. L’ultimo accor-do di sponsorizzazione è con Emirates Team New Zealand impegnata nell’America’s Cup 2017. Si tratta della competi-zione velica più prestigiosa del mondo. L’America’s Cup, che quest’anno in svolgimento alle Bermuda fino al 26 giugno, è il più antico trofeo sportivo internazionale, anticipando i moderni giochi olimpici di ben 45 anni. La Nuova Zelanda ha vinto quattro volte l’America’s Cup; successi che stanno a sottolineare come la sponsorizzazione di Pirelli voglia esse-re un simbolo di successo e di controllo sugli elementi. Ecco perché il logo Pirelli è sul timone, per portare l’ultra sofisticata imbarcazione di Emirates Team New Zealand sicura verso la sua destinazione.

America’s Cup 2017Pirelli sponsor di Emirates Team New Zealand

FPT Industrial e il Politecnico di Milano Coordinamento garantito dai Centri di Ricerca & Sviluppo FPT di Torino e di Arbon in Svizzera

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Che bella macchina!Fiat 124 Spider America assicura un’autentica esperienza roadster fatta di emozione, tecnologia e sicurezza

Dalla Costa Azzurra alla Riviera dei Fiori la strada può essere lunga, ma se si costeggia il mare sarà fantastica. Ancora di più se al volante di una «decappotabile» come la nuova spider di Fiat. Quella 124 che fa girare lo sguardo a giovani e nati prima. E che fa esclamare «Oh che bella!» anche ai francesi … che le balle ancora gli girano … no, quello è Paolo Conte. Però, una cabriolet bella così, i cugini ancora non ce l’hanno. Fiat 124 Spider se la deve comunque vedere con concorrenti agguerrite, come Mazda MX-5, Mini Cabriolet e BNW Z4. È veloce, la Spider, non solo bella ed è pure comoda. Pensate pure male, ma è davvero difficile trovare qualcosa da ridire su di lei. Forse il prezzo è un po’ alto, la capote potrebbe essere a comando elettrico, ma ne andrebbe del peso e manualmen-te si chiude e si apre in un battibaleno. È bella nell’esclusiva tonalità bronzo magnetico della versione America (a me piace blu, e fra qualche mese dovrebbe arrivare la versione Europa, che indosserà rosso passione, e con ricca dote, è stato svelato a Montecarlo. Da chi? Non si dice). La versione America è il tributo Fiat a una delle vetture italia-ne più amate negli Usa e a 50 anni dal suo debutto si presen-ta in una nuova veste, che rende omaggio al grande successo là ottenuto. 124 esemplari, ciascuno con una targhetta nu-merata e certificato di autenticità. L’esclusiva “America” ha i retrovisori color argento e interni in pelle tabacco, volante e pomello cambio in pelle, climatizzatore automatico, sensori di parcheggio posteriori, cruise control. Per dare alla vettu-

ra una connotazione ancora più vintage, sono stati montati cerchi in lega da 17” e un elegante portapacchi posteriore cromato. Ovviamente non mancano le dotazioni digitali, per la connessione dello smartphone, schermo touch da 7”, sa-tellite comandi multimediale, retrocamera, navigatore 3D, Keyless Entry, luci Full Led, sensori pioggia e molto altro. Il pacchetto Bose prevede 9 speakers premium (4 integrati nei poggiatesta) con regolazione volume collegato allo stato aperto/chiuso della capote. Il motore è l’affidabile 4 cilindri turbo MultiAir da 140 CV e 240 Nm di coppia. Le prestazioni sono di tutto rilievo, e se non posso dirvi la velo-cità di punta raggiunta, vi dirò che vola da 0 a 100 in 7 secondi. La guida è precisa, la reazione pronta, la tenuta laterale da su-percar. Portarla su e giù di giri dà un piacere raffinato, a questo contribuiscono delle soluzioni che attenuano rumorosità, vi-brazioni e rigidità, tra cui spiccano il parabrezza anteriore inso-norizzato e la capote doppio strato. Fiat 124 Spider in Svizzera è in listino da 27’900 franchi, l’America costa 37’500 franchi.

I tre concept elettrici di Pininfarina La collaborazione tra Pininfarina con Hybrid Kinetic Group Limited, della durata di 46 mesi e dal valore di

circa 65 Milioni di € prevede lo sviluppo chiavi in mano di una vettura elettrica. Sull’onda del debutto mondiale della H600 al Salone di Ginevra lo scorso marzo, è se-guita la presentazione di due due concept, il SUV cinque posti K550 e il 7 posti K750. I tre concept sono dotati di micro-turbina con funzione di range extender, di super batterie e di sistemi di trazione elettrici ad alta efficienza e risparmio energetico. Le micro-turbine utilizzano la più recente tecnologia aerospaziale, possono fornire elettri-cità pulita e caricare le batterie in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, liberando i veicoli dai servizi di ricarica. I nuovi mezzi, che non dovranno più avvalersi delle in-frastrutture di ricarica e del supporto di una rete, elimi-nando così il collo di bottiglia dello sviluppo dei veicoli a energia alternativa. La batteria ad alta densità svilup-pata da Hybrid Kinetic Group consente una capacità di recupero energetico superiore al 30% e una portata di oltre 1.000 Km.

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80 - La Rivista giugno 2017

La guida è diretta con prestazioni sportive. Opel Insignia pro-pone un’ampia scelta di motori turbocompressi e trasmissioni di ultima generazione. La gamma a benzina si apre con un 1.5 Turbo, da 140 e da 165 CV, di nuova progettazione. Al vertice troviamo un 2.0 Turbo da 260 CV e ben 400 Nm di coppia, con un nuovo cambio automatico a 8 marce estrema-mente fluido, e l’avanzatissima trazione integrale intelligente con Torque Vectoring. Un nuovo cambio a 6 marce manuale è disponibile con i diesel 1,6 (110 e 136 CV). Un 2.0 a gasolio da 170 CV è previsto anche per la Sports Tourer, variante che fruirà di ulteriori diesel. La seconda generazione di Insignia fa il pieno di tecnologie intelligenti. Spaziano dalle luci Matrix IntelliLux con 32 segmenti LED all’assistenza alla guida, dal display Head-up ottimizzato ai sistemi per la sicurezza degli altri utenti della strada. Infatti, ecco il primo cofano motore attivo, che in caso di impatto si solleva in frazioni di secondo per aumentare la distanza dal blocco motore. Oltre alla con-nessione smartphone, non mancano i servizi Opel OnStar. Il design è ricercato, con la silhouette da coupé a quattro porte. Più atletica anche la Combi. Il bagagliaio ha un volume da 490 a 1.450 litri, nella Sports Tourer arriva a 1’665. Pratiche novità facilitano le operazioni di carico, come il portellone

Hyundai IONIQ elettrica si immediatamente per la parte fron-tale: non essendo necessario il sistema di raffreddamento del motore, la griglia lascia il posto a una superficie liscia ed elegante. L’elettrica ha una combinazione di luci a LED che le conferiscono una chiara identità, rafforzata da una linea color rame. Si guida con un mix di stupore, eccitazione e sicurezza in un ovattato ambiente avveniristico e silenzioso. Molto si-

posteriore che si aziona con un piccolo movimento del piede e il tappo del serbatoio privo del classico tappo a vite, per rab-boccare il carburante in modo semplice, veloce e soprattutto più pulito. L’attenzione ai dettagli si avverte di più nell’abita-colo. Il cockpit orientato al conducente esprime una filosofia nella quale l’arte scultorea incontra la precisione tedesca. Il ventaglio prezzi: da 32‘300.- a 49‘100.- franchi.

lenzioso. Ti accompagna solo un sibilo che ricorda le navicelle spaziali dei film di fantascienza. Il tema definito dai designer è un «high-tech purificato», nell’abitacolo tutto è ordinato, liscio, elegante. L’approccio ai comandi è logico e struttura-to. Il compatto motore elettrico è alimentato da una batteria ai polimeri agli ioni di litio che offre una minore sensibilità di memori. Sistemandola sotto ai sedili posteriori è stato aumen-tato lo spazio interno. L’autonomia dichiarata è di 280 km, gli effettivi 200 percorsi dal “vostro” in un saliscendi continuo e con buone medie di velocità, tolgono l’ansia da autonomia. La potenza massima è di 120 CV con trasmissione a singolo rap-porto, ma permette un’accelerazione fulminante. La velocità di punta è di 165 km/h. L’esclusivo shift-by-wire consente di cambiare le modalità di guida, Eco e Normal, tramite pulsanti. La trasmissione Single Speed Reducer accelera in modo auto-matico e fluido. Dal volante si controlla la frenata rigenerativa a quattro stadi e si regola in base alle esigenze di decelerazione e frenata. Il freno di stazionamento elettronico si aziona con un pulsante; il caricatore a induzione per il cellulare connesso è vicino ai pulsanti shift-by-wire. IONIQ elettrica si può ricaricare a una stazione rapida all’80% in circa 30 minuti.

Una nuova ammiraglia democratizza le tecnologie d’alta gammaOpel Insignia Grand Sport e Sports Tourer

Ti accompagna un sibilo che richiama l’idea di navicella spazialeAl volante della IONIQ tutta elettrica

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Mondo in CameraA Zurigo la prima edizione di “Veganitaly”

Personal buyer: Progetto per aggregatori d’impresa italiani (Regioni, CCIAA, Consorzi, ecc)

Taste of Italy 2017 il meglio del vino italiano nella svizzera italiana – Lugano

Déjeuner d’affaires italo-svizzero Ospite d’onore Paolo Barilla, vice-presidente di Barilla holding spa

La dieta GIFT Un metodo rivoluzionario per mangiare a sazietà e raggiungere il benessere psicofisico

Contatti Commerciali

Benvenuto ai soci

Servizi camerali

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Déjeuner d’affaires italo-svizzero Ospite d’onore Paolo Barilla, vice-presidente di Barilla holding spa

La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera è lieta di annunciare che il prossimo 15 giugno 2017 alle ore 12.00 organizzerà, in concomitanza con l’Assemblea Ge-nerale 2017, un Déjeuner d’Affaires Italo-Svizzero. L’even-to si svolgerà come di consueto presso la “Zunfthaus zur Meisen”, Münsterhof 20, di Zurigo.

Ospite d’onore: Dr. Paolo Barilla, Vice-Presidente di Barilla Holding SpA

Titolo dell’intervento: Tutto è fatto per il futuro

Costo: per i soci della CCIS: Fr. 100.-, per i non soci Fr. 120.- (be-vande e caffè incluse), da pagare anticipatamente sul nostro conto bancario del Credit Suisse, Paradeplatz, Zurigo, IBAN: CH

9204 8350 245590 01002, SWIFT : CRES CH ZZ 80A. L’aperitivo è gentilmente offerto da Barilla Switzerland AG

Iscrizioni e informazioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Tel. +41 (0)44 289 23 23 [email protected]

Personal buyer: Progetto per aggre-gatori d’impresa ita-liani (Regioni, CCIAA, Consorzi, ecc)3 importatori agroalimentari svizzeri con fatturato compreso tra i 7 e i 50 milioni di franchi annui, si offrono in date separate di incontrare in Italia potenziali fornitori che operino in set-tori di loro interesse e da loro prese-lezionati.

Ciascuno di loro richiede: 1. di incontrare solo fornitori operanti in settori di interesse dell’importatore e solo fornitori da esso pre-selezionati attraverso la CCIS 2. riservatezza fino al giorno degli incontri 3. esclusiva nella giornata degli incontri in Italia 4. se il fornitore verrà selezionato esclusiva su tutto il mercato svizze-ro . Il nuovo servizio offerto da CCIS che include anche i costi di viaggio e soggiorno del buyer, ha un costo di: - Euro 3.500 + Iva per una sola tappa organizzata con un solo importatore - Euro 6.200 + Iva per due tappe or-ganizzate in date separate con due

dei tre importatori - Euro 8.400 + Iva per tre tappe organizzate in date se-parate con tre importatori.

La partecipazione con aree colletti-ve ad altri eventi della CCIS da dirit-to ad uno sconto sulle fee del pro-getto “personal buyer” del 15%

Maggiori informazioni? - Fabrizio Macrì, Segretario generale, Tel. +41 (0) 44 289 23 23, E-mail: [email protected] - Lysiane Bennato: Tel +41 (0)22 906 85 95

Taste of Italy 2017 il meglio del vino italiano nella svizzera italiana – Lugano

Dopo il grande successo delle ultime edizioni, la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera organizza il 12 giugno 2017, presso il nuovo centro culturale LAC – Lugano arte e cultura, la seconda edizione del “Taste of Italy, il meglio del vino italiano nella Svizzera italiana”. Tale evento rappresenterà un’oc-casione unica per le cantine ital-iane non solo di promuovere le loro eccellenze vitivinicole ad un

pubblico selezionato d’intendito-ri e di professionisti svizzeri (ris-toratori, importatori, dettaglianti, sommelier, stampa) e wine lovers, ma anche di farsi ampia visibil-ità in una piazza internazionale.

Il programma è il seguente: - Dalle ore 14.30 alle 17.30: incontri BtoB tra le cantine italiane e i professionisti svizzeri (ristoratori, importatori, dettaglianti, sommelier, stampa)

- Dalle ore 17.30 alle 20.00: apertura ai wine lovers e ad un pub-blico selezionato di intenditori

Troverete in allegato il regolamento e i moduli d’iscrizione che preghia-mo di compilare e di inviarci entro il 30 maggio per le cantine italiane via mail ([email protected]) o via fax (0041 91 924 02 33).

Per informazioni : Fabio Franceschini Tel. +41 91 924 02 32Fax +41 91 924 02 33 E-Mail: [email protected] www.ccis.ch

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giugno 2017 La Rivista - 83

La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera ha il piacere di invitarvi al corso riguardante l’innovativa Dieta Gift, (Gra-dualità, Individualità, Flessibilità, Tono), che persegue la salute dell’individuo attraverso un’alimentazione salutare e consapevole, dove il dimagrimento divie-ne naturale conseguenza del benessere ritrovato. Le lezioni, condotte dalla Dr. Tatiana Gaudimonte, nutrizionista rico-nosciuta da ASCA, si articoleranno nel se-guente modo:- CORSO BASE (lez.1+2+3): elementi di base per alimentazione sana;- CORSO AVANZATO (lez 4+5+6): appro-fondimento riguardo intolleranze, stress, alimentazione per lo sportivo. L’acquisto del corso base prevede la frequenza del-le tre lezioni, mentre le lezioni del corso avanzato possono essere seguite singo-larmente. Verrà offerta l’analisi della com-posizione corporea tramite bioimpeden-ziometria vettoriale a tutti coloro che se-guiranno il corso completo GIFT. I membri CCIS beneficiano di uno sconto speciale.

Il corso inizia il 6 Giugno 2017 e si svol-gerà presso la Camera di Commercio Italiana in Svizzera. Il corso si terrà sia in lingua inglese sia in lingua italiana. Due possibili orari: Martedì 18.30-21.00, o Mercoledì 9:00-11:00. L’avvio del corso è determinato dal raggiungimento del nu-mero minimo di 10 partecipanti.

Programma corso (3 alternative) A. CORSO COMPLETO (BASE + AVANZATO, 6 lezioni) B. CORSO BASE C. CORSO BASE + LEZIONI AVANZATE (anche singolarmente) CORSO BASE (pacchetto unico)

Lezione 1.: Dieta e calorie - ribaltiamo il paradigma Obiettivo: Capire perché le diete “classi-che” non funzionano e fanno male - Cinquant’anni di diete e siamo sempre più grassi - Nati per reagire - Regolazione degli assi metabolici - Se non mangio, ingrasso (e spesso mi ammalo) - Siamo uomini primitivi in giacca e cra-vatta - Dieta: stile di vita, non restrizione tem-poranea

Lezione 2: Ripartizione e composizione dei pasti Obiettivo: Capire il fabbisogno nutrizio-nale medio e individuale, nel rispetto della cronobiologia ed evitare gli attacchi di fame - Apporto proteico: dati inoppugnabili di partenza - Perché è importante associare sempre carboidrati e proteine - Fabbisogno energetico differenziale du-rante la giornata - Il piatto tripartito - Gli snack spezza-fame: un’invenzione dei dietisti di restrizione

Lezione 3: Facciamo la spesa Obiettivo: Capire cosa comprare e cosa lasciare sullo scaffale (eventualmente da integrare con una lezione “sul campo”) - Reparto frutta e verdura: stagionalità, questa sconosciuta - Reparto latticini: intero è meglio - Reparto carni: bio, perché? - Reparto affettati: occhio ai conservanti - Reparto prodotti da forno: ci prendono per il naso! - Reparto conserve: anche il packaging

vuole la sua parte CORSO AVANZATO (si possono seguire anche lezioni singole)

Lezione 4: Infiammazioni da cibo Obiettivo: Capire come molti disturbi “in-spiegabili” e cronici possono essere legati all’alimentazione - Allergie, intolleranze e sensibilità: quan-ta confusione! - Come mangiavamo e come mangiamo: niente avviene per caso - Se mi infiammo, ingrasso (e viceversa) - Svezzarsi da adulti per recuperare la tolleranza

Lezione 5: Che stress, lo stress! Obiettivo: capire l’importanza dell’equi-librio psicofisico e come l’alimentazione può contribuire a raggiungerlo - Combatti o scappa! Sì, ma non per sempre - La fame nervosa: un circolo vizioso che si può spezzare - Diamo tempo al tempo, anche a tavola - Chi dorme non piglia pesci, ma chi non dorme piglia chili - “Non ho tempo”, il nuovo mantra che ci seppellirà - La salute porta abiti comodi

Lezione 6: Allenamento e alimentazione Obiettivo: capire l’importanza del movi-mento regolare e modulare la ripartizio-ne dei pasti in funzione degli allenamenti - Cacciatori/raccoglitori si nasce, seden-tari si diventa - Siamo nati per correre - Vado in palestra ma non metto musco-lo: perché? - Corro ma ho la pancia: perché? - L’importanza di avere scorte piene e stomaco vuoto quando si fa sport.

La dieta GIFTUn metodo rivoluzionario per mangiare a sazietà e raggiungere il benessere psicofisico

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L’evento, durato mezza giornata, ha accolto ca. 20 produttori italiani che hanno avuto modo di presentare i loro prodotti di altissima qualità, tra cui olio, pasta, surgelati, taralli, farine, torte, ma anche bevande come caffè, spremute di mela, vini

In data 26 aprile 2017 presso la prestigiosa accademia Hiltl di Zuri-go si è tenuta la prima edizione di Veganitaly, un workshop di pre-sentazione e degusta-zione di prodotti vegani

organizzato dalla Ca-mera di Commercio Ita-liana per la Svizzera in collaborazione con l’u-nica certificazione Eti-ca per prodotti Vegan, VEGANOK e la piatta-forma Veeconomy.

A Zurigo la prima edizione di“Veganitaly”,

LE AZIENDE PRESENTI:

3C di Pistocchi Sas Torta Pistocchi www.tortapistocchi.it Prodotti esposti: Torta al cioccolato clas-sica vegana

32 Via dei birrai Srl www.32viadeibirrai.it Prodotti esposti: birre vegane tra cui Curmi, Oppale, Audace, Tre + Due, Admi-ral, Atra, Nebra, Nectar.

Biolabwww.biolab-eu.com Prodotti esposti: Bresaola vegana, ba-stoncini di tofu e verdure, mini hambur-ger vegetariani, polpette d’ avena, Ragù di soia alla Bolognese.

Consorzio XWine Sicilian Wine Talentswww.xwine.eu Prodotti esposti: vini vegani tra cui Ca-tarratto, Grillo, Nero d‘Avola, Syram, Zi-bibbo, Perricone, Frappato, Ninfea.

Corretto Suite Srlwww.correttosuite.com Prodotti esposti: capsule di caffè e tè biologico tra cui caffè arabica, caffè d’orzo, caffè di lupini, caffè con estratti di Ginseng, bacche di Goji, vitamina B12, tè verde, tè bianco, tè nero, tè matcha giapponese, yerba mate cioccolata. Infi-ne linea di prodotti a base di Konjac bio-logico, monoporzioni shirataki (noodle), pennette, linguine.

Enulv Srl www.enulv.it Prodotti esposti: Riso rosa Marchetti, mi-glio decorticato, pasta di semola di grano duro, olio extra vergine di oliva estratto in Italia, malto di riso senza glutine, vino bianco Trebbiano d’Abruzzo, vino rosso Montepulciano d’Abruzzo, biscotti al ca-cao, gallette di riso ricoperte al cioccola-to Ciobacca (crema spalmabile al cacao e nocciole), Scorzone (cioccolato per bevan-da calda), aceto di riso, tamari (salsa di soia), farina di ceci, pasta di carciofi, com-

posta di mirtillo, succo di mele, zucchero di canna.

Frantoio Tuscuswww.frantoiotuscus.com Prodotti esposti: olio d’oliva extravergine vegano; etichetta blu, etichetta rossa.

Il forno in Collina di Nievi www.ilfornoincollina.it Prodotti esposti: biscotti con farina di gra-no saraceno e mandorle, biscotti con fari-na di farro e uvetta, biscotti con farina di orzo e nocciole, biscotti con farina di riso e cacao, biscotti con farina di mais, biscotti con farina di avena e crusca. Farina di mi-glio e farina di fiocchi d’avena.

International Food Srlwww.intfood.it Prodotti esposti: bevande vegetali tra cui bevamda alla soia, bevanda soia e cacao, bevanda alla mandorla, bevanda all’ave-na e cioccoriso (crema spalmabile)

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e birre, tutti certificati Vegan. Nel corso della giornata diversi buyer svizzeri, provenienti da molteplici canali distributivi, hanno avuto l’occasione di conoscere, degustare e informarsi sui prodotti della cucina vegana. Il Veganitaly, non si presenta,

quindi, solo come workshop, ma mira ad una riflessione di come, grazie alla bontà e alla genuinità dei cibi biologici o alla scelta di uno stile di vita alimentare sano e controllato come quello vegano, sia possibile variare la propria dieta mangiando con

gusto e soddisfazione anche escludendo particolari alimenti o lavorazioni. L’evento ha riscosso interesse tanto da considerare la concreta possibilità di promuovere un «Made in Italy» tutto vegano anche sul mercato svizzero.

Joe & Co Srl www.joeandco.it Prodotti esposti: olio e cosmetici bio

Cantina dei Colli Ripani www.colliripani.it Prodotti esposti: vini vegani tra cui Marche Passerina IGT Bio-vegan 2016, Marche Sangiovese IGT Bio-vegan 2016, Rosso Piceno DOC Bio-vegan 2016, Fa-lerio Pecorino DOC Bio-vegan 2016.

La Quercia Scarlatta www.laquerciascarlatta.bio Prodotti esposti: cosmetici vegani, olio bio e vegano e vini vegani tra cui vino rosso IGT Marche Bio e Vegan e vino bianco IGT Marche Bio e Vegan.

Luzi Srlwww.luzifood.it Prodotti esposti: specialità integrale di far-ro e fave, farro e ortica, specialità integrale senza grano, specialità integrale di legumi bio. Piatti pronti a base di farro con verdure.

Molino F.lli Chiavazza Spawww.molinochiavazza.it Prodotti esposti: germe di grano, crusca d’avena, amido di mais, farina di riso, farina di ceci, farina di kamut, farina di soia, farina di lenticchie, farina di grano tenero e integrale, bastoncini di crusca (Cruscarelli).

Montalbera Srlwww.montalbera.it Prodotti esposti: vino rosso vegano tra cui Ruchè DOCG Montalbera „Vegan“ e Ruchè DOCG Enrico Morando „Vegan“ 2015.

Pastificio la Ginestra Srlwww.pastificiolaginestra.it Prodotti surgelati esposti: tra cui ravio-li porri erbette e mandorle, margherite ai legumi, pansotti fagiolini patate e pesto, ravioli borragine e mozzarisella, gnocchetti con canapa e sesamo, gnoc-chetti alla zucca.

Union Srlwww.nonnamariangela.it Prodotti esposti: taralli con olio extraver-gine di oliva, taralli ai semi di finocchio, taralli peperoncino, taralli pomodoro e origano, taralli cipolla, panetto semola di grano duro, panetto alle olive, panetto al pomodoro, schiaccina al pomodoro e ori-gano, schiaccina al rosmarino, mandorlina intrecciata mandorle e pepe, tocchetti alle olive, taralli multicereali, taralli tradizio-nali pugliesi, taralli ai semi di finocchio, taralli integrali all’olio, intrecciata man-dorle e pepe, tocchetto alle olive, piatti pronti surgelati; riso, patate e carciofi, orecchiette cime di rapa, cavatellucci e fagioli, fave e cicoria.

Vinai Srl www.vinaiwines.com Prodotti esposti: vino vegano tra cui Terrebianche Zero 2015, Ancestrale Na-tivo Zero 2015, SanRosè Zero 2015, Fal-conero Zero 2015, Malbone 2015.

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T +39 02 97964.535Email: [email protected]

MarmiSimeg s.r.l.Via Torricelli, 5 - Zona Ind. Maestri del LavoroIT - 62027 San Severino Marche (MC) Tel. +39 0733.645094Fax +39.0733.645431E-mail: [email protected]

General contractorBDR SRL Via Torino 1 I - 10034 Chivasso (TO) Tel: +39 011 9114836 Fax: +39 011 9136280E-mail: [email protected]

EdiliziaGeos Italy S.r.l.Via Ciriè, 40IT - 10099 San Mauro Torinese TOTel: +39 011 0671379Fax: +39 011 8985735Email: [email protected]

Giacche in pelleVitagliano Augusto Via vittorio veneto 44IT - 33018 Tarvisio Tel: +39 0428 40913 email: [email protected]

Macchine per agricolturaLI.PA. S.r.l. Via Castellani (angolo Via Mare Adriatico)IT - 65010 SPOLTORE (PE)Tel: +39 085 4971431Fax: +39 085 4973170E-mail: [email protected]

OcchialiVISIVA s.r.l.Piazza IV Novembre 720124 - MILANOwww.visiva.pro

Arredamenti in legnoZatti Interiors SRL

CONTATTI COMMERCIALI

Dal mercato italianoOFFERTE DI MERCI E SERVIZI

Prodotti chimici per lavanderieRampi S.r.l. Viale Europa 21-23IT - 46047 Porto Mantovano (MN)Tel: +39 0376 390252Fax: +39 0376 397981Email:[email protected]

Porte e serramenti in legnoBragotto & Urbinati SRLVia Brianza 19 IT – 22063 Cantù (CO)Tel: +39 031 730 440Fax: +39 031 733 188Email: [email protected]

Lavorazioni meccaniche di precisioneAndreoli & C. S.r.l.Via Taruffi, 24 (Zona Industriale)IT - 41053 Maranello (MO)Tel. + 39 0536 941419Fax +39 0536 932175Email: [email protected]

Cucine su misuraGnoato f.lli srlVia loria 44IT - 36022 Cassola (VI)Tel +39 0424 533342/533860Email: [email protected]

Arredamenti per interniFrigorim Design SRLVia Salenghi 29IT - 38060 Volano TN Tel: 0039 – 0464 411210Email: [email protected]

Impianti tecniciCarlo Gavazzi Impianti Spa100, Via Carlo GavazziIT – 20010 Marcallo con Casone (MI)

Via Polonia, 14 IT - 35028 Piove di Sacco (PD) tel. + 39 049 9704168 fax. + 39 049 9704254E-mail: [email protected] www.zattiinteriors.it

Consulenza marketing settore cosmetica e lussoAdamis Group Italia SRL P.le delle Medaglie D’oro, 46I – 00036 RomaTel: +39 06 43400123E-mail: [email protected]

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Competenze: video arte, videoclips musicali, video animazione (stop-motion), video documentari, video pubblicitari aziendali, video installazioni, scenografia, illustrazione, grafica digitale, pittura, pittura murale, decorazione, scultura, ritrattistica e fisiognomica.

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Dal mercato svizzeroOFFERTE DI MERCI E SERVIZI

Elettro-scooterAlpmars S.A.Rue de Bourg 18CH-1003 LausanneTel : +41 (0) 213115160Tel:  +41 (0) 213115159Fax: +41 (0) 213115201Email: [email protected]

Trasporti internazionaliHuber Transport AGRiedstrasse 12CH-6343 RotkreuzTel: ++41/41 799 40 96 Fax: ++41/41 790 10 61 [email protected]

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giugno 2017 La Rivista - 87

BENVENUTO AI NUOVI SOCI

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Per ulteriori informazioni rivolgersi alla: Camera di Commercio Italiana per la SvizzeraSeestr. 123, casella postale, 8027 ZurigoTel. 044/289 23 23 - Fax 044/201 53 57e-mail: [email protected] - www.ccis.ch

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88 - La Rivista giugno 2017

La CCIS (Camera di Commercio Italiana per la Svizzera) è l’hub di riferimento in Svizzera per imprese medie e piccole, grandi aziende e marchi del Made in Italy, consorzi, associazioni di categoria ed enti pubblici che abbiano l’obiettivo di accrescere la presenza economica italiana in Svizzera. Fondata nel 1909 la Camera appartiene alla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, riconosciute dal Governo italiano quali strumenti di promozione del Made in Italy nel Mondo e suscitatrici di opportunità e investimenti delle imprese dei paesi in cui operano verso il mercato italiano.

La CCIS assiste con i suoi servizi tutti i soggetti svizzeri e italiani coinvolti negli scambi economici tra Italia, Svizzera e Liechtenstein.

La gamma dei suoi servizi è ampia e strategicamente strutturata in aree tematiche:

Esportazioni- Ricerca buyers/clienti- Consulenza fiscale (rappresentanza fiscale e

recupero dell’iva italiana, svizzera e tedesca)- Consulenza di natura commerciale e doganale- Export & Investment Desk - Dalla Svizzera nel

mondo- Informazioni finanziarie e legate alla solvibilità dei

partner (visure, rapporti commerciali, ecc.)- Organizzazione di degustazioni, workshops ed

eventi- Realizzazione di delegazioni ed export strikes

(visite presso buyers svizzeri)- Organizzazione ed accompagnamento di espositori

italiani a fiere svizzere e di visitatori elvetici a fiere italiane

- Organizzazione di seminari ed incontri di affari- Focus settoriali

Investimenti- Apertura di un’attività- Investire nella ristorazione- Appalti pubblici in Svizzera- Attività di M&A e di Corporate Finance

Comunicazione e promozione turistica La Rivista, magazine mensile in lingua italiana, e www.go-italy.ch, portale bilingue, in italiano tedesco, per l’italianità in movimento

Corsi- Corsi per professionisti e semplici appassionati- Corsi per sommelier in lingua italiana

Altro- Recupero Crediti- Ricerca di dati statistici- Traduzioni ed interpretariato- Agevolazioni speciali per i soci

I settori di puntaAgroalimentare, Industria elettromeccanica, Sistema Casa, Sistema Moda, Innovazione tecnologica e Start-up, Turismo, Pubblicità e Comunicazione

Sede LuganoVia Nassa 5CH-6900 LuganoTel: +41 (0)91 924 02 32Fax: +41 (0)91 924 02 33E-Mail: [email protected]

Sede ZurigoSeestrasse 123CH-8027 ZurichTel: +41 (0)44 289 23 23 Fax: +41 (0)44 201 53 57E-Mail: [email protected]

Sede Ginevra12-14 rue du Cendrier CH-1211 Ginevra 1Tel: +41 (0)22 906 85 95 Fax: +41 (0)22 906 85 99E-Mail: [email protected]

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Anno 108 - n. 6 - Giugno 2017

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9 mesi dopo ad AmatriceAnteprima Vernaccia di San Gimignano 2017Un po’ di storia del primo vino DOC d’Italia