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    Aldous Huxley.

    L'EMINENZA GRIGIA.

    Traduzione di Edoardo Bizzarri.

    Copyright Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1946.

    Titolo dell'opera originale "Grey Eminence".

    Prima edizione "I Quaderni della Medusa" aprile 1946.

    Seconda edizione "I Quaderni della Medusa" luglio 1949.

    Prima edizione "I Record" giugno 1966.

    Su concessione Arnoldo Mondadori Editore.

    Indice.

    Nota sull'autore: pagina 3.

    1. Sulla via per Roma: pagina 7.

    2. Infanzia e giovinezza: pagina 26.

    3. Il mondo religioso: pagina 81.

    4. L'evangelista: pagina 141.

    5. Ingresso in politica: pagina 163.

    6. I due collaboratori: pagina 213.

    7. La Rochelle: pagina 238.

    8. La Dieta di Ratisbona: pagina 268.9. Niente delude come il successo: pagina 316.

    10. Politica e religione: pagina 377.

    11. Scena finale: pagina 421.

    Appendice: pagina 432.

    Aldous Huxley nacque a Godalming, Gran Bretagna, nel 1894. Suo padre,

    Leonard Huxley, era direttore del Cornhill Magazine; suo nonno,

    Thomas Henry, fu scienziato di grandi meriti, seguacedell'evoluzionismo darwiniano. Il fratello di Aldous, Julian Sorrell,

    pi anziano di sette anni, biologo e saggista assai noto, deciso

    sostenitore della teoria della evoluzione ch'egli collega non soltanto

    al progresso dell'uomo ma a una vera filosofia della storia. Il clima

    intellettuale e psicologico della famiglia Huxley spiega anche le

    ragioni per cui Aldous volle avviarsi agli studi di medicina, che per

    gli furono impediti da una grave malattia agli occhi. Fu comunque

    educato a Eton e al Balliol College di Oxford e, lasciata

    l'universit, insegn per qualche tempo a Eton. Il suo esordio

    letterario avvenne gi nel 1916, con un volumetto di versi, The

    Burning Wheel, (La ruota ardente) dove si rivela l'influsso

    esercitato dai simbolisti francesi. Nel 1918 pubblica un secondo libro

    di versi in cui appare anche una magistrale traduzione de Ilpomeriggio di un fauno di Mallarm. A questo punto gli interessi di

    Huxley si allargano ed egli sente di poter scrivere in prosa e

    affronta il genere-narrativa. Il primo romanzo, Giallo cromo,

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    testimonia una sorprendente maturit intellettuale; segue, nel 1928,

    Punto contro punto, romanzo che ebbe un rapido successo ma che fu

    variamente recensito. Nel 1932 appare Il mondo nuovo, romanzo

    fantastico-satirico che godette di grande popolarit. Secondo alcuni

    critici l'opera di Huxley si divide in due versanti, separati da uno

    spartiacque; il primo versante, umanista, fortemente ancorato alla

    tradizione letteraria europea, corre fino al 1930, e Punto contro

    punto ne l'esperienza pi riuscita. Da allora il substrato mistico,

    che gi affiorava nelle opere precedenti, si accentua e la critica

    huxleyana al mondo contemporaneo si fa pi acre e vivace, mentre

    sempre pi chiara in lui la visione delle politiche che stavano

    per condurre l'umanit verso un secondo macello. La realt delle cose,

    vista sotto questo angolo visuale, spinge progressivamente Huxley

    verso il trascendente, con una propensione assai marcata verso le

    filosofie orientali. E quando, verso gli anni quaranta, egli affronta

    il contradditorio personaggio di padre Giuseppe da Parigi, nella

    storia aneddotica L'eminenza grigia, gi pronto il tessuto

    psicologico intellettuale e morale della nuova opera. La storia

    ch'egli scrive una documentata biografia del padre cappuccino, al

    secolo Franois Leclerc du Tremblay; ma si tratta di una biografia

    assai particolare poich a Huxley importava dimostrare, fra l'altro,

    l'impossibile sintesi dell'idea politica e dell'idea religiosa, quasi

    l'una appartenesse alla sfera del Diavolo, l'altra a quella di Dio.

    Infatti egli chiarisce come pi e pi volte uomini di chiesa e laici

    devoti sono divenuti uomini di stato con la speranza di elevare la

    politica al loro livello morale, e sempre la politica riuscita a

    trascinarli gi al loro livello morale su cui gli uomini di stato, in

    quanto fanno della politica, sono costretti a vivere. Padre Giuseppe,

    ministro degli esteri permanente e consigliere di Richelieu, alla

    fine vittima di una contraddizione in termini poich - ce lo dice lo

    stesso Autore citando una frase basilare e chiarificatrice della

    filosofia mistica: pi c' della creatura meno c' di Dio Giova a

    Huxley il personaggio storico dell'Eminenza Grigia, anche per

    approfondire l'intervallo fra idea politica e idea religiosa, per

    ancorare i problemi di quel tempo ai nostri, per negare il pretesoprogresso attraverso la crisi, per svalutare la storia stessa, la

    quale se espressione della volont di Dio, lo soprattutto in

    senso negativo. Uscita nel 1941, L'Eminenza Grigia un'opera di

    raccordo con i Diavoli di Loudun, pubblicato nel 1952, uno dei suoi

    testi pi ambiziosi e forse il pi ricco di interesse.

    Gli ultimi libri di Huxley, e fra l'altro l'originalissima raccolta di

    saggi Adonis and the Alphabet, (Adonis e l'alfabeto), confermano

    anch'essi la paradossale figura di un intellettuale che non ha fiducia

    nell'intelletto, di un uomo che non vuole credere nell'uomo d'oggi ma

    che scruta, attraverso il passato e il presente, l'incerto futuro con

    un atto di fede non esplicito ma implicito. Anche L'altra visita del

    mondo nuovo, ultima opera significativa, del 1958, denuncia la

    condizione di asservimento dell'uomo cos come si va profilando nellanostra societ meccanicistica, mentre al tempo stesso un accorato

    appello all'uomo perch difenda la sua libert, perch allontani le

    minacce alla sua stessa essenza. Huxley, che da molti anni viveva

    negli Stati Uniti, in California, morto a Los Angeles nel 1963.

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    L'EMINENZA GRIGIA.

    Capitolo 1.

    SULLA VIA PER ROMA.

    Il frate s'era tirato su il saio e aveva i polpacci nudi infangati

    fino al ginocchio. Le piogge di primavera avevano trasformato la

    strada in un pantano. L'ultima volta che v'era passato, ripens il

    frate, quella strada era come una fornace da calce. E gli torn alla

    mente una poesia che aveva scritto a proposito di un altro viaggio:

    "Quand au plus chaud du jour l'ardente canicule

    fait de l'air un fourneau,

    des climats basanes mon pied franc ne recule,

    quoy que je coule en eau."

    Quell'estate del 1618, quando in tre avevano preso la strada per la

    Spagna! Povero fra Zeno da Guingamp era morto d'un colpo di sole a

    Tolosa. Una settimana dopo, vicino a Burgos, padre Romano s'era

    ammalato di dissenteria. In tre giorni era finito. Ed egli era entrato

    solo a Madrid, zoppicante. E anche ora sarebbe entrato a Roma solo e

    zoppicante. Padre Angelo era dovuto restare indietro, con i cappuccini

    di Viterbo, colpito da un febbrone che non gli aveva permesso di fare

    un altro passo. Che Dio lo facesse rimettere presto!

    Ni des Alpes neigeux, ni des hauts Pirenes

    le front audacieux

    N'a pu borner le cours de mes grandes journes,

    qui tendent jusqu'aux cieux.Cher Seigneur, si ta main m'enfona la blessure

    de ce perant dessein,

    j'ay droit de te montrer ma tendre meurtrissure

    et descouvrir mon sein."

    "'La blessure de ce perant dessein'" ridisse tra s. La frase era

    particolarmente felice: quasi latina nella sua limpida consistenza,

    come una di quelle frasi di Prudenzio...

    Il cappuccino sospir profondamente. Quella ferita riflett era ancora

    aperta e lui, stimolato dal pungolo del profondo disegno di Dio,

    correva ancora, alla media di sessanta chilometri al giorno, per tutta

    Europa. Quando quel disegno sarebbe stato tradotto in realt? Quando

    sarebbe stato concesso a un altro Goffredo di Buglione di conquistareGerusalemme? Non per qualche tempo ancora, a quel che si poteva

    vedere: non finch le guerre non fossero finite, e la Casa d'Austria

    umiliata, e la Francia divenuta forte abbastanza da poter condurre le

    nazioni nella nuova Crociata. Quanto tempo ancora, o Signore, quanto?

    Sospir di nuovo, e la tristezza dei pensieri gli si rifletteva nel

    volto. Era il volto di un uomo di mezza et, provato dalle intemperie,

    reso smunto dai volontari patimenti, solcato e consunto

    dall'incessante travaglio della mente. Sotto la larga fronte pensosa,

    gli occhi chiari e prominenti si aprivano grandi, quasi sbarrati. Il

    naso era fortemente aquilino. Una barba rossiccia, gi brizzolata, gli

    copriva le guance e il mento; ma la bocca risoluta, dalle labbra ben

    rilevate, faceva indovinare sotto la barba lunga e incolta una

    mascella non meno decisa. Era il volto di un uomo forte, di un uomo divolont ferma e di intelligenza poderosa, di un uomo dotato, per

    giunta- sotto la seconda natura impostagli da un quarto di secolo di

    vita religiosa - di passioni potenti e di un'impetuosa intensit di

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    sentimento.

    A piedi nudi - s'era tolto i sandali e li portava in mano camminava

    nel fango, tutto assorto nei suoi melanconici pensieri. A un tratto,

    riprendendosi, si rese conto di quel che stava facendo. Chi era "lui"

    per criticare le vie seguite dal Signore? La sua tristezza era

    un'accusa alla Provvidenza, un'aperta disobbedienza a quella volont

    divina, cui era unico scopo della sua vita obbedire. E doveva essere

    obbedita senza riluttanza, con tutto il cuore, con gioia. L'essere

    tristi era un peccato e, in quanto tale, un ostacolo che si frapponeva

    tra l'anima e Dio. Egli si ferm e rimase immobile per pi di un

    minuto in mezzo alla strada, coprendosi il volto con le mani. Solo le

    labbra gli si muovevano. Invocava, con la preghiera, il perdono.

    Riprese a camminare con animo contrito. Pensava all'uomo naturale, al

    vecchio Adamo: quale insonne ostilit verso Dio portava ogni uomo nel

    fondo della mente e del corpo! Quale costante proposito di peccato! E

    quanta ricchezza di risorse nell'arte di peccare, quanta abilit - una

    volta che si era superata la tentazione - nello scoprire un altro

    male, pi sottile, cui arrendersi! N v'era altro rimedio, se non una

    perpetua vigilanza. Sentinelle sempre in guardia contro gli

    stratagemmi del nemico. "Timeo Danaos et dona ferentes". Ma c'era

    anche il grande alleato: l'amico divino, senza il cui aiuto la

    guarnigione era destinata a immancabile distruzione. Oh, fatelo

    venire! Aprite le porte! Spazzate le strade e ornate la citt di

    fiori!

    Il sole usc da dietro le nubi. Il cappuccino guard verso il cielo e

    calcol che dovevano esser passate da poco le due. Rimanevano ancora

    dodici chilometri per arrivare a Roma. Non c'era il tempo di fermarsi.

    Avrebbe dovuto praticare il suo annullamento nella Volont Essenziale,

    mentre camminava. Ebbene, non sarebbe stata la prima volta.

    Ripet la Preghiera del Signore lentamente, ed alta voce; quindi si

    dedic alla fase iniziale dell'esercizio, l'atto dell'intenzione pura.

    Fare la volont di Dio, la volont esterna, la volont interna, la

    volont essenziale. Farla solo per amore di Dio, e senza riferimento

    con i propri desideri, o con le proprie speranze, o col guadagno che

    se ne potrebbe trarre in questo mondo o in quello futuro... Annullarein s quanto egli pensava e sentiva e faceva, s che non ne rimanesse

    nulla se non lo strumento della volont di Dio e un'anima unita, per

    grazia di Dio, con quella sostanza divina, che si identificava con la

    volont divina, essenziale. Fiss la mente su questo unico proposito,

    per pi di duecento metri. Quindi riprese a parlare. Aprirmi a Dio,

    preparare la mia anima alla sua venuta, vigilante e reverente.

    Volgermi, spoglio di ogni altro intento e di ogni altro sentimento,

    pensiero e ricordo, verso quella luce di amore e di sapienza divini

    che Dio pu degnarsi di concedermi. E anche se Egli non mi dovesse

    concedere niente, anche se fosse sua volont lasciarmi senza luce e

    consolazione, volgermi nondimeno a Lui con gratitudine e con piena

    fede. "Qui adhaeret Deo, unus spiritus est".

    Unirsi ripet unirsi...Dall'atto dell'intenzione pura pass a quello dell'adorazione e

    dell'umilt. "Dio per se stesso e senza alcun pensiero del mio

    essere." Cos'era, infatti, questo suo essere? Un nulla, ma un nulla

    attivo, capace di peccare e pertanto capace di tagliarsi fuori dal

    Tutto. Un nulla attivo che doveva essere annientato in una nullit

    passiva, perch fosse fatta la volont di Dio.

    Egli aveva lavorato duro per annientare quel nulla attivo, e Dio,

    nella sua grande misericordia, gli aveva concesso molti favori: la

    forza di dominare almeno gli istinti pi grossolani della natura,

    consolazioni sensibili, visioni e rivelazioni, e in certi momenti gli

    aveva aperto l'accesso fino alla soglia della presenza divina. Ma,

    nonostante tutto questo, il suo nulla attivo persisteva ancora; ed

    egli cadeva ancora in negligenze e in imperfezioni di palesecolpevolezza, come il compiacersi nel ricordare il proprio lavoro e i

    favori ricevuti da Dio. Il vecchio Adamo sapeva servirsi perfino degli

    sforzi che l'anima compiva per annientare il vecchio Adamo, e traendo

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    orgoglio da tali sforzi era capace di distruggerne i risultati e

    rafforzare la sua propria resistenza a Dio. S, le stesse grazie del

    Signore, se l'anima non stava incessantemente in guardia, potevano

    essere trasformate in un inciampo e in una fonte di gravi peccati e

    d'imperfezione. Il Figlio di Dio, la fonte incarnata di ogni grazia,

    come aveva proclamata la sua divinit? Con l'umilt, l'adorazione e la

    carit.

    Carit, carit, carit ripet il cappuccino, umilt e carit,

    umilt del nulla di fronte al tutto, carit e adorazione del tutto da

    parte del nulla, carit...

    Callosi come quelli di un selvaggio, per il loro incessante marciare

    avanti e indietro attraverso l'Europa, i suoi piedi scalzi sguazzavano

    nelle pozzanghere, calcavano sicuri le pietre, battendo il ritmo delle

    parole.

    Carit, amore di Cristo, carit... Si diceva che il Cardinale Nipote

    fosse stato offeso dal comportamento dell'ambasciatore di Sua Maest

    Cattolica. Amore di Cristo, amore di Cristo... Questi spagnoli si

    stavano rovinando da loro stessi, con la loro stupida arroganza.

    Carit, carit, carit... Ebbene, tanto meglio per la Francia. Di

    colpo si rese conto che le parole che continuava a ripetere a se

    stesso si erano venute staccando dal corso dei pensieri: la fiamma che

    si era venuta alimentando, si era estinta.

    "Marta, Marta, tu ti affanni e t'inquieti per un gran numero di cose;

    eppure una sola necessaria." Allontan dalla mente il Cardinale

    Nipote e l'ambasciatore spagnolo e ricolleg i pensieri con le parole.

    "Carit, carit, carit, amore di Cristo..." La piccola fiamma ardeva

    di nuovo. Egli la tenne accesa in s, fermamente, mentre percorreva

    altri quattrocento metri. Era tempo, ora, di passare all'azione:

    ripudiare quei pensieri che lo distraevano da Dio e decidere di

    bandirli dalla mente.

    Il Cardinale Nipote e l'ambasciatore spagnolo... Pi di venticinque

    anni erano passati da quando padre Benedetto da Canfield gli aveva

    insegnato a pregare. Pi di, venticinque anni... e non aveva ancora un

    pieno controllo della sua mente: i demoni della distrazione avevano

    ancora la forza, a volte, d'insinuarsi perfino nel santuario dellapreghiera. N v'era alcun rimedio definitivo, se non la grazia di Dio.

    Frattanto, uno poteva solo proporsi di bandire i pensieri distraenti,

    ogni volta che essi riuscissero a penetrare attraverso le difese. Il

    persistere nella lotta, la fatica dura e paziente sarebbero stati,

    senza dubbio, considerati come un merito. Dio conosceva le debolezze

    di ognuno e gli sforzi che ognuno faceva per vincerle.

    Muovendo nella direzione opposta, una fila di animali da soma

    provenienti da Roma gli passarono vicino lentamente con tinnir di

    sonagli. I mulattieri interruppero per un momento i loro discorsi e si

    levarono rispettosamente il berretto. Mezzo cieco com'era, per aver

    logorato la vista su libri e documenti, il frate vide quel gesto come

    una macchia di movimento contro il cielo. Ne distinse l'intento, e

    sollev la mano in una benedizione; quindi torn subito alla suapreghiera.

    Nel genere di preghiera ch'egli era solito praticare, agli esercizi

    preparatori faceva seguito un atto di meditazione in forma discorsiva.

    Il tema che egli aveva scelto per quel giorno era la carit. Seguendo

    l'ordine fissato per il discorso, si rivolse anzitutto a considerare

    Dio come fonte della carit. "Pater noster, qui es in coelis. Qui es

    in coelis". Dio, l'Essere infinito ed eterno. Ma quando un essere

    finito si abbandona all'Essere Infinito, l'Essere Infinito veniva

    appreso come Amore. Cos, l'Essere Infinito era al tempo stesso un

    Padre amoroso, ma di figlioli tanto ribelli e ingrati che facevano

    sempre tutto il possibile per staccarsi dal suo amore. Si staccavano

    dal suo amore e, per ci stesso, si staccavano dalla loro stessa

    felicit e dalla loro salvezza."Qualsiasi forma di virt e di bont" bisbigli tra s il cappuccino,

    "e perfino quel Bene Eterno, che Dio stesso, non pu rendere un uomo

    virtuoso, buono e felice, finch gli rimanga fuori dell'anima."

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    Alz la testa per un momento. Nella volta azzurra del cielo lavato

    dalla pioggia, tra le nuvole, il sole brillava radioso. Ma se uno

    avesse chiuso le palpebre di fronte alla luce, cos... ebbene, allora

    era cieco e camminava nelle tenebre. Dio era amore; ma questo era

    pienamente noto solo a chi per parte sua amasse Dio.

    Questo pensiero gli serv di ponte tra il primo e il secondo stadio

    della meditazione, tra Dio come fonte di amore e le sue manchevolezze

    di uomo come amante di Dio.

    Egli non amava Dio abbastanza perch non era abbastanza staccato dal

    mondo degli esseri tra cui doveva svolgere il suo lavoro. "Factus est

    in pace locus ejus. Dio pu essere amato perfettamente solo da un

    cuore che sia stato santificato dalla presenza divina; e Dio

    presente solo in un cuore che sia in pace. Il travaglio dell'animo lo

    tiene lontano, anche quando questo travaglio nasce solo da una

    preoccupazione per le opere di Dio. Le opere di Dio vanno compiute; ma

    se non sono compiute nello stato di pace di una perfetta astrazione

    allontanano l'anima da Dio. Lui stesso si era avvicinato al massimo a

    quella perfetta astrazione nei giorni in cui era tutto dedito alla

    predicazione e all'istruzione spirituale. Ma ora Dio lo aveva chiamato

    a compiti pi difficili nel mondo dei grandi avvenimenti, e gli era

    divenuto sempre pi difficile raggiungere la pace di quell'astrazione.

    Permanere nella volont essenziale di Dio mentre si stanno facendo

    negoziati con il duca di Lerma o, che so io, con il principe di Cond:

    questa era davvero una cosa difficile. E tuttavia quei negoziati

    andavano fatti: erano un dovere ed era volont esterna di Dio che

    venissero fatti. Non ci si poteva tirare indietro da tali compiti. Se,

    nell'assolverli, egli vedeva sfuggirgli la pace, ci dipendeva dalla

    sua debolezza e dalla sua imperfezione. Il pi alto grado della

    preghiera - l'annientamento attivo di se stesso e di tutte le creature

    nella volont essenziale di Dio - era ancora al di l delle sue forze.

    Non c'era altro rimedio se non la grazia di Dio, n altro modo per

    guadagnare la grazia di Dio se non la preghiera costante e la costante

    umilt e l'amore costante. Solo cos poteva entrare in lui il regno di

    Dio, ed esser fatta la volont di Dio.

    Era tempo ora di passare alla terza fase della meditazione: lariflessione sugli atti e sulle sofferenze del Salvatore in rapporto

    con l'amore di Dio. "Fiat voluntas tua". Una volta in tutta la storia

    la volont di Dio era stata fatta, in modo pieno e completo: Dio era

    stato amato e adorato da un essere che, divino egli stesso, era stato

    capace di una devozione commisurata all'oggetto. L'immagine del

    Calvario si drizz alla mente del frate: l'immagine che l'aveva

    ossessionato fin da quando, fanciulletto appena, gli era stato

    raccontato per la prima volta quel che gli uomini cattivi avevano

    fatto a Ges. Ferm quell'immagine nella sua fantasia, ed era pi

    reale, pi viva della strada stessa che si vedeva sotto i piedi.

    "Padre, perdona loro, perch non sanno quel che fanno." Piet e amore

    e adorazione gli pervasero tutto l'essere, quasi con un calore

    sensibile che era al tempo stesso una specie di dolore.Deliberatamente, distolse il pensiero da quell'immagine. Non era

    ancora giunto il momento per quell'atto di amore e di volont. Egli

    doveva ancora meditare, in forma discorsiva, sugli scopi per cui il

    Salvatore aveva cos sofferto. Pens ai peccati del mondo, ai suoi

    propri peccati, e come egli avesse contribuito a tagliare la croce e a

    forgiare i chiodi, a intrecciare la sferza e la corona di spine, ad

    affilare la punta della lancia e a scavare il sepolcro. Eppure,

    nonostante ci, il Salvatore lo amava e, per amor suo, aveva sofferto,

    sofferto, sofferto. Aveva sofferto affinch il prezzo del peccato di

    Adamo fosse pagato. Aveva sofferto affinch, attraverso il suo

    esempio, i figli di Adamo imparassero a vincere il male che era in

    loro. "Le sono rimessi molti peccati, perch molto ha amato." Amando,

    si otteneva il perdono; ottenuto il perdono, si diveniva capaci diperdonare; perdonando, si apriva l'anima a Dio, si era in grado di

    amare ancor pi intensamente; e cos l'anima poteva innalzarsi ancora

    un poco sulla spirale ascendente che conduce l'anima verso l'unione

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    perfetta. "Ama, et fac quod vis".

    "Che ci sia amore" ripet, passando dalla fase meditativa a quella

    affettiva della preghiera, trasformandola da atto dell'intelletto che

    ragiona in atto d'amore della volont che rinuncia a se stessa. "che

    ci sia amore." E la sua capacit d'amore, quel nulla peccaminosamente

    attivo che era lui stesso, egli offr come un sacrificio, come un

    olocausto che dovesse essere consumato nel fuoco dell'amore di Dio.

    Perdere la vita per salvarla. Morire, s che la vita potesse essere

    nascosta con Cristo in Dio. Morire, morire, morire. Morire sulla croce

    della mortificazione, morire nell'annientamento continuo e volontario

    del proprio nulla attivo e passivo.

    Morire, morire, morire, morire... In un atto di pura contrizione egli

    supplic il perdono di Dio per essere ancora se stesso, Giuseppe da

    Parigi, e non ancora per intero lo strumento della volont divina, con

    l'animo in pace pur nei momenti dell'azione, e staccato dal mondo pur

    nel tumulto delle faccende.

    Morire, aiutami a morire, aiutami ad amare in modo che possa essere

    aiutato a morire. Egli depose tutta la sua capacit d'amore su un

    altare interiore e preg che vi si consumasse, preg che potesse

    sorgerne, dalle ceneri, un nuovo uccello d'amore.

    Sopraggiunse trottando, alle sue spalle, un giovane cavaliere, con

    piume vivaci, la sella borchiata in argento e due belle pistole dal

    calcio damascato che sporgevano dalle fondine. Interruppe il suo

    fischiettare per gridare un amichevole buon giorno. L'altro non

    rispose, non sollev neppure la testa reclinata.

    E' forse sordo? esclam il cavaliere, nel portarsi all'altezza del

    frate. Allora, per la prima volta, vide la faccia sotto il grigio

    cappuccio. La vista di quelle palpebre abbassate, di quelle labbra che

    si muovevano quasi impercettibilmente nella preghiera,

    quell'espressione di calma intensa e concentrata, fecero ammutolire il

    giovane, confuso. Borbott una parola di scusa, si lev il cappello,

    come davanti all'immagine di un santuario posto lungo la via, e si

    fece il segno della croce; quindi spron il cavallo e si allontan di

    galoppo, lasciando il frate a compiere indisturbato il suo atto di

    autoimmolazione.Con quanta delicatezza il sacrificio doveva essere compiuto! Con

    quanta accortezza, e senza sforzo, e senza nulla di brusco! Si davano

    circostanze in cui si poteva usare la violenza per entrare nel Regno

    dei Cieli; ma non era questo il caso. Un violento annientamento del

    suo essere avrebbe mancato allo scopo che egli si proponeva; poich

    tale violenza apparteneva alla volont meramente umana, e il ricorrere

    a essa avrebbe soltanto rafforzato quella volont in contrasto con la

    volont di Dio. In quest'atto di auto-abnegazione bisognava in certo

    modo agire senza sforzo; o meglio, permettere che su se stessi, quale

    oggetto passivo, operasse la volont divina... Nella faccenda della

    Valtellina, naturalmente, Sua Santit aveva maggiori ragioni di temere

    una pi stretta unione tra la Spagna e l'Austria che non di adirarsi

    con i francesi perch avevano tolto di mezzo una guarnigione papale.Il Cardinale Nipote avrebbe probabilmente... Il frate si rese conto,

    ancora una volta, che la preoccupazione per l'opera di Dio aveva steso

    una nube oscura, quasi un'eclissi, tra lui e Dio. Frenando un primo

    impulso di appassionato rimprovero, che avrebbe soltanto resa pi

    completa l'eclissi, egli dolcemente mut il fuoco della sua visione

    interiore, guardando oltre il Cardinale Nipote, oltre la Valtellina e

    la Spagna e la Francia verso la pura volont di Dio, che era al di l,

    al di sopra e all'interno di loro. La nube si allontan: egli era di

    nuovo esposto alla luce. Pazientemente, delicatamente, egli si apr a

    quella radiosit purificatrice e trasfiguratrice.

    Pass del tempo e alla fine giunse il momento in cui gli sembr di

    essere idoneo a passare nel successivo stadio di contemplazione. Lo

    specchio della sua anima era pulito; la polvere e i vapori ched'ordinario s'interponevano tra lo specchio e quel che doveva

    riflettere, s'erano depositati o dissolti. Se ora egli volgeva l'anima

    verso Cristo, l'immagine divina vi si sarebbe riflessa chiaramente e

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    senza empie deformazioni: l'immagine del Salvatore crocifisso sarebbe

    stata in lui, si sarebbe impressa sulla sua volont, sul suo cuore,

    sulla sua intelligenza, modello divino da imitare, spirito da animare

    e vivificare.

    Tenacemente egli mantenne l'immagine adorata dietro le palpebre

    semichiuse; e questa volta si concesse la felicit di

    quell'adorazione, intensa fino al punto di divenire dolore fisico:

    quella infinita beatitudine e quella sofferenza di compassione, da cui

    si era dovuto distogliere in precedenza nella parte discorsiva del suo

    esercizio. Sofferenza, sofferenza... Gli occhi gli si empirono di

    lagrime. Sofferenza del Figlio di Dio, e Dio stesso incarnato in uomo.

    Sofferenza sostenuta dal Salvatore amoroso di tutti i peccatori, di

    questo che era il pi nero dei peccatori. "Recede a me, quia homo

    peccator sum". Eppure il Salvatore venne, e prese quel lebbroso tra le

    sue braccia, e s'inginocchi di fronte a lui, e gli lav i piedi. "Tu

    mihi lavas pedes?" Questi piedi che hanno camminato nel male, che sono

    tutti incrostati dello sporco del peccato e dell'ignoranza? S, e non

    solo gli lava i piedi, ma, per amore del peccatore, si lascia

    prendere, giudicare, schernire, fustigare e crocifiggere. Torn con il

    cuore al Calvario, alla sofferenza, alla sofferenza del suo Dio. E

    l'annientamento cui tanto aveva teso sembrava ora essersi compiuto in

    una specie di rapimento di devozione e di compassione, di amore e di

    dolore. Egli era tutto assorbito in una beata partecipazione alle

    sofferenze di Dio incarnato, del Dio incarnato e quindi al tempo

    stesso della divinit pura essenziale da cui era proceduto il Dio

    Uomo. Quel corpo sulla croce era l'invisibile reso visibile. Il

    Calvario era immerso nella luce non creata, che da esso s'irradiava,

    consostanziale con esso. Assorbito nella sua sorgente ed origine, il

    Cristo crocifisso si annientava nella luce, e non c'era altro se non

    un'estasi luminosa d'amore e di sofferenza. Quindi la luce si condens

    e prese di nuovo la forma di Cristo crocifisso, fino a che una nuova

    trasfigurazione fuse ancora una volta il Calvario con la gloria che lo

    circondava.

    Continuando a camminare, il corpo del frate misurava con i piedi

    scalzi i metri e i minuti, le ore e i chilometri. All'interno, l'animaaveva raggiunto i margini dell'eternit e, in un'estasi di adorazione

    e di angoscia, contemplato il mistero dell'incarnazione.

    Un asino ragli; gli staffieri, davanti a un cocchio, suonarono i loro

    corni; qualcuno grid e ci fu un improvviso scoppio di risa femminili.

    Sotto il cappuccio del frate, c'era una lontana consapevolezza di

    queste cose. L'eternit si allontanava. Il tempo e l'essere

    s'insinuarono di nuovo a prenderne il posto. Con riluttanza, il frate

    alz la testa e si guard intorno. I suoi occhi miopi distinsero una

    casa o due e, davanti a lui, il movimento di uomini e di animali lungo

    la strada. Abbass di nuovo lo sguardo e, per attutire la scossa di

    quel ritorno brusco da un mondo all'altro, torn a una meditazione

    discorsiva sul Verbo fatto Carne.

    A ponte Milvio c'era un gruppo di soldati che esaminavano tutti iviaggiatori provenienti dal nord. Il cappuccino rispose alle loro

    domande con disinvoltura, ma con un accento straniero che diede di per

    s sospetto.

    Fu portato al corpo di guardia perch rendesse conto di s.

    L'ufficiale di servizio si tocc il cappello quando il frate entr, ma

    non si alz n tolse i piedi dal tavolo su cui li teneva appoggiati.

    Ritto davanti a lui, con le mani incrociate sul petto, il viaggiatore

    spieg che si chiamava padre Giuseppe, che il suo convento si trovava

    a Parigi, che era stato mandato dai suoi superiori per partecipare a

    una riunione del Capitolo Generale del suo Ordine. L'ufficiale lo

    ascoltava, pulendosi i denti con uno stecchino di argento dorato.

    Quando il cappuccino ebbe finito, l'ufficiale si tocc di nuovo il

    cappello, emise un rutto e disse che, mentre naturalmente non avevaalcuna ragione per mettere in dubbio la veridicit delle parole del

    reverendo padre, l'esistenza di certi malfattori, di certi briganti,

    di certi (e qui fece un gesto enfatico con lo stecchino) di certi

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    nemici di Dio e degli uomini, che non avevano scrupolo a nascondere la

    loro malvagit sotto il saio francescano, gli rendevano necessario

    richiedere al reverendo padre i suoi documenti. Il cappuccino esit un

    momento, quindi chin la testa in segno di assenso. Si apr il saio

    all'altezza del collo e port la mano a una tasca interna. Il

    pacchetto che ne tir fuori era avvolto in damasco blu e legato con un

    nastro di seta bianca. L'ufficiale alz le ciglia nel prenderlo, e

    quindi sorrise. Mentre disfaceva il nastro, osserv facetamente che

    c'era stato un tempo in cui lui aveva portato le lettere della sua

    bella in un pacchetto proprio come quello. Ora, con una moglie gelosa

    e una suocera che gli viveva in casa... Di colpo, il sorriso sulla sua

    faccia grassa fu rimpiazzato da un'espressione di stupore seguita a

    sua volta da una di effettivo spavento. Aveva tratto fuori dal pacco

    una lettera sigillata con le armi reali di Francia e indirizzata, con

    i pi magnifici ghirigori, a Sua Santit Urbano Ottavo. L'ufficiale

    guard con apprensione il frate, quindi di nuovo quella formidabile

    soprascritta, quel prodigioso sigillo; poi, con un grande strepito e

    tinnir di metalli tolse i piedi dal tavolo, balz dalla sedia e,

    cavandosi il cappello, fece un profondo inchino.

    Perdonatemi, reverendo padre disse. Se l'avessi saputo... Se me

    l'aveste fatto capire fin dal primo momento...

    C' anche una lettera per Sua Eminenza il Cardinale Nipote disse il

    cappuccino. E un'altra, se vi volete dar la pena di guardare, per

    l'ambasciatore di Sua Maest Cristianissima. E infine un passaporto

    consegnatomi e firmato da Sua Eminenza il Cardinale Ministro... A

    ogni nome l'ufficiale faceva un altro inchino.

    Se l'avessi saputo continuava a dire, mentre il frate raccoglieva le

    lettere, se l'avessi saputo...

    Troncando a mezzo, corse alla porta e cominci a gridare furiosamente

    ai suoi uomini.

    Quando il cappuccino usc dal corpo di guardia, trov schierata ai due

    lati del ponte una compagnia di moschettieri del Papa. Si ferm un

    momento, ricambi umilmente il saluto dell'ufficiale, alz la mano a

    benedire, poi, incrociando le mani sul petto, chin la testa e senza

    guardare n a destra n a sinistra si affrett silenzioso a piedi nuditra la doppia fila di picche.

    Capitolo 2.

    INFANZIA E GIOVINEZZA.

    Qualsiasi avvenimento, in qualsiasi parte dell'universo, ha le sue

    condizioni determinanti in tutti gli avvenimenti anteriori e

    contemporanei in ogni parte dell'universo. Coloro, peraltro, che

    professano d'investigare le cause di ci che accade intorno a loro,

    ignorano abitualmente la stragrande maggioranza degli avvenimenti

    contemporanei e anteriori. In ogni singolo caso costoro sostengono -solo pochissime condizioni determinanti hanno un effettivo valore. Ci

    abbastanza vero quando si tratti di fatti semplici. Ecco, per

    esempio, una pentola che bolle. Vogliamo scoprire perch bolle.

    Investighiamo, troviamo un fornello a gas acceso, facciamo degli

    esperimenti che sembrano provare che c' un invariabile rapporto tra

    il bollire e l'elevarsi della temperatura. Dopo di che, affermiamo che

    la "causa" della ebollizione la vicina sorgente di calore.

    L'affermazione grossolana, ma pu bastare a scopi essenzialmente

    pratici. Quando si tratti di fenomeni semplici, possiamo anche

    ignorarne tutte le condizioni determinanti salvo una o pochissime, e

    tuttavia intenderli in modo sufficiente per poterli regolare secondo i

    nostri propositi pratici.

    Ma ci non si verifica quando si tratti di fenomeni complessi. Inquesto caso le condizioni determinanti che hanno un valore effettivo

    sono assai pi numerose. I fenomeni pi complessi con cui abbiamo a

    che fare sono gli avvenimenti storici. Se vogliamo fissare, per

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    esempio, le condizioni che hanno determinato la guerra del 1914-18,

    siamo costretti, anche se per ragioni puramente pratiche, come pu

    essere l'abbozzo di una futura linea politica, a considerare una

    grande variet di "cause", passate e contemporanee, locali e remote,

    psicologiche, sociali, politiche, economiche. Stendere un elenco

    completo di queste "cause" realmente significative, chiarendo il

    relativo grado d'importanza e le loro reciproche ripercussioni,

    impresa estremamente difficile. Cosi difficile, invero, da eccedere

    decisamente le capacit della mente umana nel suo presente grado di

    sviluppo. Ma ahim - l'insolubilit di un problema non ha mai

    trattenuto uomini e donne dall'avanzare fiduciosamente delle

    soluzioni. Il metodo in tali casi seguito stato sempre il medesimo:

    quello dell'eccessiva semplificazione. Cos, salvo quelli immediati,

    tutti gli antecedenti dell'avvenimento considerato vengono ignorati, e

    si tratta la storia come se fosse cominciata soltanto ieri. Al tempo

    stesso, viene mentalmente abolita qualsiasi complessit imbarazzante.

    Gli uomini sono ridotti a comode astrazioni. Le variet dei

    temperamenti, degli ingegni e dei motivi sono smussate in una generica

    uniformit. L'avvenimento si fa in tal modo apparire tanto semplice da

    consentirne la spiegazione sulla base di pochissime "cause", e anche a

    volte di una soltanto. Questa conclusione teorica quindi usata come

    guida per un'azione futura. Non innaturale che i risultati arrechino

    delle delusioni.

    L'eccessiva semplificazione fatale, ed impossibile determinare, in

    modo completo ed esatto, per gli eventi complessi tutte le cause di

    effettivo interesse pratico. Siamo dunque destinati a non capire mai

    la nostra storia e di conseguenza a non poter trarre mai alcun

    profitto dalle esperienze del passato? Si risponde che, sebbene la

    nostra intelligenza della storia sar sempre incompleta, pu tuttavia

    essere sufficiente almeno per alcuni scopi pratici. Per esempio,

    potremmo scoprire abbastanza circa le cause delle nostre recenti

    catastrofi per metterci in grado (se lo desideriamo) di costruire una

    politica almeno un po' meno suicida di quelle seguite per il passato.

    Nessun fatto nella storia del tutto irrilevante nei riguardi di un

    qualsiasi altro fatto posteriore. Ma alcuni avvenimenti, per quel cheriguarda i nostri scopi pratici, sono correlazionati in modo pi

    significativo che non altri. Questo frate, per esempio, che abbiamo

    appena lasciato sul ponte Milvio sembra abbastanza lontano dalle

    nostre preoccupazioni di questo tempo. Ma in realt come troveremo

    considerando un po' da vicino la sua biografia - i suoi pensieri e i

    suoi sentimenti e i suoi desideri appartengono alle condizioni che

    hanno determinato in modo significativo il mondo in cui viviamo oggi.

    La strada battuta da quei piedi scalzi e callosi portava per il

    momento alla Roma di Urbano Ottavo. Ha portato, in seguito, all'agosto

    del 1914 e al settembre del 1939. Nella lunga catena di delitti e di

    pazzie che lega il mondo presente a quello passato, uno degli anelli

    di pi fatale importanza dato dalla Guerra dei Trent'Anni. Molti

    allora si adoprarono a forgiare tale anello; ma nessuno s'adopr pitenacemente del collaboratore di Richelieu, Francesco Leclerc du

    Tremblay, conosciuto in religione sotto il nome di padre Giuseppe da

    Parigi, e nella storia aneddotica come l'Eminenza Grigia. Non

    questa, peraltro, l'unica ragione per cui la figura del frate richiama

    la nostra attenzione. Se padre Giuseppe non fosse stato altro che un

    esperto nel gioco della politica di predominio, non ci sarebbe alcuna

    particolare ragione per scegliere lui tra un buon numero di

    concorrenti. Ma il regno del frate non era, come i regni dei comuni

    politici della stessa scuola, esclusivamente di questo mondo. Non per

    via meramente intellettuale, ma per diretta ed effettiva conoscenza,

    egli sapeva qualcosa dell'altro mondo, del mondo dell'eternit. Egli

    aspir appassionatamente a divenire - e in certo grado fu di fatto,

    con una parte del suo essere - cittadino del Regno dei Cieli. Solo trai fautori della politica di predominio, padre Giuseppe fu capace di

    fornire, traendolo dalle profondit della propria esperienza, il

    criterio obiettivo e definitivo, in base al quale la sua politica

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    potesse essere giudicata. Egli fu tra coloro che forgiarono uno degli

    anelli pi importanti nella catena del nostro disastroso destino; e fu

    al tempo stesso uno di quelli cui fu dato conoscere come tale anello

    poteva essere evitato. Doppiamente istruttiva nel campo della politica

    e in quello della religione, la sua vita inoltre interessante come

    uno stranissimo enigma psicologico: l'enigma di un uomo

    appassionatamente ansioso di conoscere Dio, familiare con le forme pi

    alte della gnosi cristiana, che era passato almeno attraverso gli

    stadi preliminari dell'unione mistica, e al tempo stesso inviluppato

    negli intrighi di corte e nella diplomazia internazionale, occupato

    nella propaganda politica e dedito senza restrizioni a una politica i

    cui effetti immediati di morte, di miseria e di degradazione morale

    dovevano apertamente vedersi in ogni parte dell'Europa del secolo

    diciassettesimo, e delle cui remote conseguenze il mondo soffre ancor

    oggi.

    Era la primavera del 1625, allorch padre Giuseppe si trascin a piedi

    nella sua terza visita a Roma. Lo scopo del suo viaggio era

    diplomatico e religioso. Da parte del governo francese egli era venuto

    per parlare della Valtellina e dei passi che collegavano le regioni

    italiane dominate dagli spagnoli con l'impero asburgico al di l delle

    Alpi. Da parte del suo ordine era venuto per ottenere il permesso di

    fondare delle missioni. Per conto suo, era venuto per parlare con il

    Papa e con il Cardinale Nipote del suo progetto favorito di una

    crociata contro i turchi. A Roma, dovunque andasse, la sua parola

    suonava piena di autorit, ed era ascoltata con deferenza e con

    attenzione. Quel frate scalzo era il consigliere confidenziale e il

    braccio destro del cardinale Richelieu. Inoltre, molto tempo prima che

    Richelieu giungesse al potere, era stato confidente e agente di Maria

    de' Medici e di molti altri grandi personaggi d'importanza quasi

    eguale. Richelieu era presidente del Consiglio di Stato da solo un

    anno; ma padre Giuseppe da Parigi era conosciuto e apprezzato alla

    Curia di Roma da pi di dieci anni. Ora, nel 1625, aveva quarantotto

    anni e gliene restavano ancora trenta da vivere: trent'anni di vita

    che dovevano anche essere anni di crescente potenza politica. Prima

    che una met di essi fosse trascorsa, padre Giuseppe era destinato aprender posto tra i cinque o sei pi importanti uomini d'Europa, tra i

    due o tre pi generalmente e cordialmente detestati. Ma prima di

    seguire gli ulteriori stadi di questa strana carriera, bene tornare

    un po' indietro e risalirne ai principi.

    Francesco Leclerc du Tremblay era nato il quattro novembre del 1577,

    figlio primogenito di Jean Leclerc, cancelliere del Duca di Alenon e

    "Premier Prsident des Requetes du Palais", e di Maria de La Fayette,

    sua moglie. Per parte paterna, egli veniva da una distinta famiglia di

    legali e di amministratori. La famiglia della madre apparteneva, non

    alla "noblesse de robe", ma alla nobilt terriera. Claudio de La

    Fayette, il nonno materno, possedeva quattro baronie, una delle quali

    egli lasci per testamento al nipote Francesco, che fu conosciuto

    durante il breve periodo di soggiorno alla Corte, come barone deMaffliers. Claudio de La Fayette e sua moglie Maria de Suze, erano

    calvinisti; ma avendo il cielo elargito loro sei figliole e,

    nonostante le quattro baronie, ben poco denaro, avevano fatto educare

    Maria nella religione cattolica, in modo che potesse entrare in un

    convento e risparmiar loro la spesa della dote. Si pu notare, di

    passaggio, che transazioni di tal genere non erano insolite nella

    Francia di questo periodo. Si potevano ben combattere guerre civili di

    religione, e gli ugonotti essere alternativamente massacrati e

    tollerati; ma per tutto questo tempo le famiglie francesi avevano

    continuato a tenere intrepidamente gli occhi sul problema principale.

    Cos, nelle regioni in cui cattolici e protestanti si trovavano pi o

    meno equamente distribuiti, i genitori allevavano le loro figliole

    senza una religione ben definita. Quando si presentava un buonpartito, la ragazza poteva essere in tutta fretta istruita e cresimata

    nella fede seguita dal suo futuro marito. Sistema questo non certo

    "eroico" per risolvere le differenze di confessione in una comunit

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    mista; ma, comunque, funzionava, e favoriva la pace e la quiete.

    E' stato di moda per un certo tempo credere che le cause di ogni lotta

    siano generalmente, perfino invariabilmente, economiche. Niente pi

    lontano dal vero. Molti conflitti sono in origine meramente

    ideologici. In questi casi, considerazioni di vantaggio economico

    intervengono spesso nel pi felice dei modi per mitigare i furori

    dell'odio teologico.

    Maria de La Fayette fu salvata dal convento da una lontana cugina

    della madre: nientedimeno che la ex-favorita di Francesco Primo, Anna,

    duchessa d'Etampes. Questa concubina reale a riposo era ormai una

    vecchietta benigna di quasi settant'anni, buona amica dei Leclerc. Fu

    lei a combinare il matrimonio tra la sua giovane cugina e Giovanni

    Leclerc, fu lei a integrare la meschina dote di Maria con una cospicua

    donazione di sua tasca.

    Il matrimonio, che si dimostr felice, fu celebrato nel 1574 e il

    primo figlio nacque, come abbiamo visto, nel 1577 e fu battezzato

    Francesco. (Si volle, scegliendo questo nome, fare un delicato omaggio

    alla vecchia duchessa? Chi sa?) L'anno seguente venne alla luce una

    sorellina, Maria. Carlo, il pi giovane dei tre figlioli, nacque nel

    1584.

    Francesco, non appena emerse dalla primissima infanzia, si rivel

    subito un bimbo strano e singolarmente notevole. Di carattere attivo e

    al tempo stesso introspettivo, gli piaceva fare, ma gli piaceva di

    essere lasciato a pensare per suo conto. Isolato anche quando, in

    compagnia, egli viveva in un mondo suo proprio che nessuno poteva

    scoprire. Questa gelosa riservatezza non era, peraltro, incompatibile

    con una forte emotivit. Amava appassionatamente il padre e la madre;

    era profondamente attaccato alla casa, alle persone di servizio, ai

    cani e ai cavalli, ai piccioni e alle anatre domestiche, ai falconi.

    Gli impulsi violenti e gli accessi passionali non solo d'amore, ma

    anche di odio e di collera, formavano un elemento importante in quel

    suo mondo personale; ma, pur nella prima fanciullezza, essi vivevano

    dietro un muro ferreo di dominio personale e di voluto ritegno, e non

    si esprimevano n attraverso le parole n attraverso quelle

    innumerevoli piccole azioni con cui i temperamenti introspettivi dannocos facilmente sfogo ai loro sentimenti. Francesco "si lasciava

    andare" solo in circostanze in cui non fossero direttamente e

    personalmente coinvolte altre persone. Egli poteva essere entusiasta

    ardente quanto alle cose e alle idee; ma rifuggiva, come da una forma

    d'impudicizia, dal manifestare il suo intimo mondo emotivo agli altri

    esseri umani.

    Dal punto di vista intellettuale, il fanciullo era vivace e precoce in

    modo quasi innaturale. A dieci anni, fu scelto dal suo maestro per

    fare un'orazione funebre in latino su Ronsard, della durata di un'ora,

    davanti a un pubblico numeroso e brillante. E se il pubblico numeroso

    e brillante fosse stato in grado di capirlo, egli avrebbe potuto fare

    una orazione non meno eloquente in greco, lingua da lui imparata quasi

    con la stessa precocit di John Stuart Mill e con gli stessi metodi diconversazione che erano stati usati per insegnare a Montaigne il suo

    latino.

    A questa precocit intellettuale si accoppiava un ardore non meno

    straordinario in fatto di devozione religiosa. Aveva quattro anni, si

    racconta, quando un giorno fu portato nella sala da pranzo ove i

    genitori stavano intrattenendo una bella brigata di ospiti. Cerchiamo

    di ricostruire la scena, trasferendola dallo stile telegrafico con cui

    la riporta il primo biografo di padre Giuseppe in un linguaggio pi

    adeguato al fatto.

    Vicino alla mamma, orgogliosa ma un po' trepidante, siede il bimbetto,

    vestito gi come un omino in miniatura, con un aspetto quasi

    indecentemente perspicace nel suo giubbetto color vino e con la sua

    gorgierina inamidata. Dall'altro lato del tavolo il padre gli dice dialzarsi ed egli obbedisce con un'infantile solennit che la delizia

    di tutti i presenti. Gli domandano cosa intende fare quando sar

    grande, se gli piace la sorellina, quando imparer ad andare a

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    cavallo. Alla fine, un magistrato gli fa una domanda con doppio senso.

    L'innocenza della risposta provoca un gran ridere che il bimbo non

    riesce proprio a capire. Gli occhi gli si empiono di lagrime; la mamma

    lo prende sulle ginocchia e lo bacia. Gli ospiti riprendono il convito

    e il bimbo viene messo a sedere su uno sgabello: gli si d un

    confetto, che egli succhia in silenzio. La sua presenza dimenticata.

    Ed ecco che, improvvisamente, in una pausa della conversazione, egli

    grida oltre la tavola a suo padre: pu dir loro qualcosa? Maria cerca

    di trattenerlo; ma Giovanni Leclerc indulgente: il piccolo Francesco

    pu dire quel che vuole. Il bimbo si rizza in piedi sullo sgabello.

    Gli ospiti, sorridendo, si preparano a essere sgridati e ad

    applaudire. Dopo le prime parole, per, si fanno d'un subito seri, e

    ascoltano in silenzio, profondamente commossi. Il bimbo racconta loro

    una storia che ha sentito dire, poco prima, da una delle persone di

    servizio: la storia della Passione. Parla della flagellazione, della

    corona di spine. Quando descrive la crocefissione, la voce gli trema

    e, tutto a un tratto, scoppia in irrefrenabili singhiozzi. La mamma lo

    prende in braccio e cerca di confortarlo; ma all'infelicit del bimbo

    non sembra esservi alcuna consolazione. Alla fine, costretta a

    portarlo fuori della stanza.

    Il fanciullo padre dell'uomo. Questo bimbetto, angosciato dal

    racconto della morte del Salvatore, era destinato a diventare uno dei

    fondatori e, per molti anni, il guardiano e il direttore spirituale di

    un nuovo Ordine di monache, la cui devozione doveva essere diretta

    principalmente alla madre sofferente ai piedi della croce. Era anche

    destinato a diventare un uomo di Stato, tutto assorbito dalla pi

    pericolosa politica di forza e, a quanto si poteva vedere, del tutto

    indifferente alle paurose sofferenze di cui la sua politica era

    responsabile. Il bimbo che si scioglieva in lagrime per Ges, l'adulto

    che meditava e insegnava agli altri a meditare sulle sofferenze patite

    sul Calvario: erano questi il padre e il fratello del collaboratore di

    Richelieu, dell'uomo che fece quanto era in suo potere per prolungare

    la Guerra dei Trent'Anni? E' questa una domanda cui dovremo, al debito

    momento, cercare di dare una risposta. Per ora, quel che c'interessa

    immediatamente seguire le vicende di un fanciullo nel secolosedicesimo.

    A dieci anni, Francesco du Tremblay fu mandato in un collegio a

    Parigi; anzi, vi and di sua stessa volont: egli stesso, infatti,

    chiese di lasciare la casa, dicendo che veniva viziato dalla mamma,

    "qui en voulut faire un dlicat". Una volta ancora il fanciullo si

    rivela padre dell'uomo. Questo piccolo spartano doveva giungere

    all'et virile come militante cappuccino, desideroso di sottoporsi a

    ogni genere di non necessarie mortificazioni, doveva divenire l'uomo

    politico, dalla tonsura e dai piedi scalzi, che, anche al colmo della

    potenza, anche al massimo dell'infermit e della stanchezza,

    costantemente rifiut di accettare per s qualsiasi alleviamento della

    regola francescana del suo ordine.

    Nel Collge de Boncourt Francesco impar ancora del greco e del latinoe fu senza dubbio spietatamente battuto, vessato e malnutrito, come

    erano in genere i ragazzi nella maggior parte dei collegi del tempo.

    Tra i suoi compagni e amici al Boncourt, ve ne fu uno di cui sentiremo

    parlare parecchio in un successivo capitolo di questo libro: Pietro de

    Brulle, futuro cardinale fondatore dell'Oratorio e uno dei pi

    influenti membri della scuola francese di misticismo, che fior nella

    prima met del secolo decimosettimo. Al pari di Francesco, Pietro era

    precocemente serio. Fin dall'infanzia la sua devozione era stata a un

    tempo ardente e intellettuale, spontanea e dotta. A dodici anni -

    racconta una giovane protestante, che divenne in seguito carmelitana -

    discuteva di teologia come un dottore della Sorbona. A diciotto, era

    un contraversista cos poderoso e acuto che i ministri ugonotti

    avevano paura d'incontrarsi con lui nei dibattiti pubblici.Pietro aveva due anni pi di Francesco, era perfino pi intelligente e

    non meno precoce. Inoltre, al pari del suo pi giovane amico, era gi

    appassionatamente religioso e serio, assai pi che l'et non

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    comportasse. La loro amicizia fu quella di due futuri teologi e

    mistici. Vien fatto d'immaginarsi questi due strani fanciulli, che

    s'acquattano da una parte, in un angolo del cortile della scuola,

    cinto da un alto muro. Gli altri monelli giocano a palla o si

    scambiano quelle stupide spiritosaggini che i ragazzini trovano cos

    deliziosamente divertenti. Con appassionata seriet e con voci

    tremanti, Pietro e Francesco discutono i pi profondi problemi della

    metafisica e della religione.

    Francesco aveva dieci anni, quando accadde un fatto che deve aver

    fornito ai due ragazzi materia per molte discussioni sul significato

    della vita e sulla natura di Dio e dell'uomo. Nel 1587 Giovanni

    Leclerc du Tremblay mor. Francesco amava il padre con tutto l'ardore

    represso di cui era capace la sua natura passionale e riservata.

    N'ebbe un dolore profondo; e pur quando n'ebbe superato il primo

    parossismo, gli rimase - latente in condizioni ordinarie, ma sempre

    pronto a venire alla superficie- un senso ossessionante della vanit,

    della fugacit, dell'inevitabile precariet di ogni felicit meramente

    umana.

    Questa precoce convinzione che il nostro fosse un mondo caduco, veniva

    confermata in Francesco da tutto quel che egli sentiva o udiva intorno

    a s. In tutta la Francia i seguaci della Lega e gli ugonotti,

    appoggiati ognuno dai loro alleati stranieri, s'eran messi d'impegno a

    tentar di fare al loro disgraziato paese quel che i luterani e gli

    imperialisti, con i loro alleati, avrebbero fatto una generazione dopo

    in Germania. Per un complesso di varie ragioni, la Lega e gli ugonotti

    non riuscirono a distruggere la Francia, come gli amici e i nemici

    politici di padre Giuseppe dovevano pi tardi riuscire a distruggere

    la Germania. Quindici anni di pace e di buon governo sotto Enrico

    Quarto furono sufficienti a riportare il paese alla prosperit: a

    farlo ingrassare come un tacchino natalizio per i futuri agenti delle

    tasse del Richelieu. Ma finch durarono le guerre di religione, la

    Francia dovette sopportare tutti gli orrori del massacro e del

    saccheggio, della pestilenza e della carestia, della mancanza di leggi

    e dell'anarchia politica. Coloro cui tocc vivere in quel caos

    sanguinario giunsero ad apprezzare i pregi dell'ordine e di quel tipodi monarchia, che era in quei tempi l'unico capace di portare l'ordine

    desiderato. Al tempo stesso, la presenza degli stranieri - spagnoli,

    tedeschi, inglesi che prolungavano le guerre sul suolo francese e

    sfruttavano la debolezza della Francia - serv a stimolare il

    patriottismo francese. Fu appunto in questi anni di guerra civile e

    d'intervento straniero che Francesco Leclerc divenne quale doveva poi

    rimanere per tutta la vita: un fermo sostenitore della monarchia

    assoluta e un ardente nazionalista. Queste convinzioni politiche

    sarebbero state elaboratamente giustificate in sede teologica, ma non

    bisogna dimenticare che esse ebbero la loro origine non in una teoria

    astratta, ma nei fatti concreti di cui il ragazzo ebbe esperienza.

    Nel 1585 la vita divenne cos pericolosa a Parigi che Maria Leclerc

    decise di portare tutta la famiglia a Le Tremblay vicino a Versailles,ove aveva una casa fortificata e poteva contare per la difesa su una

    banda di coloni e di braccianti. Qui Francesco continu i suoi studi

    sotto un precettore privato cui diede il soprannome affettuosamente

    rispettoso, di Minosse. I suoi studi ora includevano le lingue

    moderne, specialmente lo spagnolo e l'italiano (che egli in seguito

    impar a scrivere e a parlare quasi come la sua propria lingua), dei

    rudimenti di ebraico, la filosofia, la giurisprudenza e la matematica.

    Negli intervalli di riposo imparava ad andare a cavallo e a tirare

    d'archibugio, vagava in beata solitudine tra i boschi, indulgeva al

    suo gusto per la lettura. Non c'erano molti libri a Le Tremblay; ma

    tra quei pochi c'era una traduzione delle "Vite" di Plutarco e una

    raccolta di vite di santi uomini, soprattutto eremiti. Questi due

    libri Francesco lesse e rilesse. La lettura di Plutarco rafforz inlui l'inclinazione innata per l'eroismo e la vita battagliera; e sotto

    l'influenza degli eremiti, crebbe tanto in lui quel senso latente

    della vanit del mondo che egli si sent ispirato a scrivere un breve

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    trattato sui vantaggi della vita religiosa. Il trattato fu compiuto

    poco prima che il ragazzo compisse i dodici anni, e fu molto ammirato

    per il suo stile. Nessuno, peraltro, neppure sua madre, ebbe

    sufficiente penetrazione per accorgersi che la cosa realmente

    significativa in quella produzione giovanile non era l'eleganza

    sforzata e assurda della forma, frutto di laboriosa imitazione, ma il

    suo sostanziale spirito di cristianesimo primitivo. In questa alquanto

    pretenziosa operetta di argomentazione astratta, il fanciullo

    indirettamente annunciava l'intenzione di entrare un giorno nella vita

    religiosa. Due anni e mezzo pi tardi, quattordicenne, egli fece il

    primo e prematuro tentativo di tradurre in atto quell'intenzione.

    Questo significativo episodio fu registrato dallo stesso Francesco

    quando, a otto anni di distanza, come cappuccino novizio, ebbe dai

    suoi superiori l'ordine di scrivere un resoconto sulla sua vocazione.

    Si conserva ancora questo documento che porta il titolo curioso di

    "Discours en forme d'Exclamation". La storia che in esso si racconta

    dei fatti del 1591 , in breve, la seguente.

    Mamma Leclerc si era dovuta assentare per faccende e aveva affidato i

    tre figlioli a uno dei signori vicini. Era una casa gaia, resa

    rumorosa da un intero stuolo di fanciullette. Il ragazzo si accorse di

    guardare una di queste, pressappoco della stessa et, con crescente

    insistenza. L'aveva conosciuta fin da bambina (sembra che fosse una

    sua lontana cugina); ma fino a quel momento n lei n alcun'altra

    ragazza aveva suscitato in lui speciale interesse. Questa volta era

    diverso. Secondo il linguaggio penitenziale di quello scritto

    autobiografico, le sue concupiscenze si allarmarono e tremando di

    un vago benessere egli vide questa ragazza con occhi del tutto diversi

    da quelli che aveva avuto fino ad allora. Fu una di quelle prepotenti

    passioni della prima adolescenza, che gli adulti hanno la sciocca

    abitudine di deridere, ma che sono spesso pi violente e

    angosciosamente intense di qualsiasi altro sentimento che si possa

    provare in seguito nella vita. Quando Giulietta am e mor non era pi

    grande di Francesco Leclerc al tempo del suo primo e ultimo tormento

    del cuore: quattordicenne appena.

    Tutta la sua faccia scrisse il cappuccino novizio nel "Discours enforme d'Exclamation", tutta la sua faccia brillava, i suoi sguardi

    dardeggiavano lampi. In breve tempo Francesco non ebbe occhi se non

    per lei; non ebbe orecchie se non per lei; le aveva dato tutto il

    cuore e non riusciva a trovare riposo se non in lei.

    Fin dal primo momento fu una passione inquieta, turbata da un senso di

    colpa. C'erano l gli eroi plutarchiani a ricordargli che l'amore il

    nemico di ogni elevata ambizione; c'erano l gli eremiti a proclamare

    la vanit dei desideri umani; e quando pregava non trovava pi come un

    tempo la facile comunicazione tra l'anima e Dio e il Salvatore. Quel

    volto trasfigurato, quel giovane corpo voluttuoso, l'odore dei

    cappelli della fanciulla, i battiti violenti del cuore si frapponevano

    nelle sue preghiere, riempiendo per intero la sua visione interiore ed

    eclissando Dio. Ma un giorno avvenne qualcosa. Francesco stavagiocando a carte con tutto il gruppo delle ragazze - mezza dozzina di

    "jeunes filles en fleur", - fra cui la sua diletta, e ridevano e

    scherzavano spensieratamente, quando di colpo, senza visibile

    ragione, egli ebbe coscienza di quel che stava facendo e ne percep

    l'assoluta insensatezza con terribile lucidit. Ne fu spaventato.

    Molti di noi, suppongo, hanno provato qualcosa di simile: si sono

    destati d'un subito dal sonno della vita quotidiana in una momentanea

    consapevolezza della natura nostra e di quel che ci ricorda.

    "E' una brigata in un salotto,

    stipati, come in terra furono stipati,

    chi beve punch e chi beve del t,

    tutti in silenzio quanto pi non si pu,tutti in silenzio e tutti dannati."

    Il rendersi conto, improvvisamente, che uno sta seduto, dannato, tra

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    gli altri dannati, una delle pi inquietanti esperienze; cos

    inquietante, che la maggior parte di noi vi reagisce tuffandosi

    senz'altro pi profondamente nella sua particolare dannazione con la

    speranza, in genere realizzata, di poter in tal modo, almeno per il

    momento, soffocare quella consapevolezza rivoluzionaria. Francesco

    apparteneva alla schiera di quelli cui un simile procedimento non

    possibile. La sconvolgente consapevolezza di quel che stava facendo fu

    seguita quasi immediatamente da un senso della presenza di Dio, e

    questo gli diede tale gioia, che egli fu sul punto di venir meno, l

    al tavolo di gioco. Le compagne notarono quell'improvviso pallore e

    insistettero per portare Francesco all'aria aperta. Nel momento in cui

    uscirono nel giardino, le campane presero a suonare il vespro.

    Francesco propose subito che andassero tutti in chiesa. In ginocchio,

    davanti all'altare, egli sent dentro di s la lotta fra due

    contrastanti amori, quello profano e quello sacro. Al suo fianco era

    la fanciulla, il cui volto grazioso era stato trasfigurato dalla sua

    passione fino a sembrargli il volto luminoso di chi abbia visto Dio;

    di fronte a lui, sull'altare, era la figura del Salvatore crocefisso.

    Vi fu una lotta alla fine della quale Francesco non vide altro se non

    i piedi di Cristo inchiodati alla croce e che sembrava lo

    attendessero, le braccia di Cristo aperte a riceverlo. A

    quell'immagine di sofferenza egli fece voto di consacrarsi

    definitivamente al servizio di Dio.

    Tornato a casa, cominci senz'altro i preparativi per scapparsene a

    Parigi. Sarebbe sgusciato via di notte, avrebbe fatto a piedi i trenta

    chilometri che lo separavano dalla citt e avrebbe chiesto di essere

    preso in un convento certosino, ove era stato spesso da bambino,

    cinque o sei anni prima. Era un progetto pazzesco, e il servitore cui

    lo confid quella sera non manc di farglielo subito notare. In

    Francesco l'impulsivit innata era tenuta a freno da un ottimo

    giudizio: egli si accorse che non era giusto adempiere il suo voto in

    quel modo furtivo e decise di non andare. Il giorno seguente gli fu

    offerta l'occasione di combattere una battaglia in favore di Dio

    contro le sue proprie inclinazioni. Si dava una gran festa nelle

    vicinanze e tutti i giovani erano stati invitati. Vi sarebbero statedanze, senza dubbio, e musica, e vino, e luci: quei divertimenti

    festivi tanto pi intossicanti in quanto cos rari nella vita dei

    ragazzi allevati in campagna. E naturalmente, di notte, di ritorno a

    casa, resi languidi dall'eccesso della gaiezza, quante occasioni, tra

    i sobbalzi della carrozza, per parole bisbigliate in segreto al buio,

    per strette di mano e per contatti furtivi! Per un innamorato era

    un'occasione da non perdersi a qualsiasi costo; e fu appunto per

    questo che il giovane Francesco, anche a rischio di sembrare scortese

    e scontroso, decise di perderla. Preg molto quel giorno per avere la

    forza necessaria, e quando le fanciulle furono vestite in piena gala e

    la carrozza pronta alla porta, fu capace di rispondere di no a ogni

    supplica, anche a quelle della sua diletta. Alla fine, le ragazze

    dovettero andare senza di lui. Era una vittoria, ma una vittoria cheun giorno o due dopo fu seguita dalla sconfitta. Prima che la

    settimana fosse passata, infatti, era pi che mai schiavo della sua

    passione. La sola differenza fu che ora egli soffriva, assai pi che

    nel passato, dei rimproveri della sua coscienza.

    Questa angosciosa situazione si prolung per quattro mesi. Alla fine

    di questo periodo intervennero due fatti, due accidenti che il novizio

    cappuccino doveva considerare come provvidenziali. Giocando con

    l'archibugio, Francesco per poco non ammazz la madre. (Maria Leclerc

    e i figlioli erano tornati a Le Tremblay.) Quasi contemporaneamente,

    una banda di soldati predoni passarono vicino alla casa e si

    lasciarono dietro, insieme con altra inutile roba saccheggiata, un

    libro tutto lacero intitolato "Barlaam et Josaphat".

    Nella profonda gratitudine per veder salvata la vita della madre daglieffetti della sua negligenza, Francesco rinnov il suo voto. Questa

    volta non sarebbe tornato indietro. Si svincol cos violentemente

    dalla schiavit dei mesi precedenti che appena poteva tollerare di

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    posar gli occhi sulla fanciulla di cui aveva cos ardentemente

    desiderato le carezze fino a pochi giorni prima. Al tempo stesso,

    concep un vero orrore per le donne in generale e per l'amore dei

    sessi. Questo orrore doveva accompagnarlo per tutta la vita. Egli

    riusciva, naturalmente, a dimenticarlo nella contemplazione di Dio; ma

    quando si trovava in mezzo al mondo, separato dalla presenza di Dio,

    l'antica avversione continuava ad ossessionarlo. In seguito, padre

    Giuseppe rifugg perfino da una troppo immediata vicinanza con la

    propria sorella. Non mi curo era solito dire, non mi curo di vedere

    il sesso (questa curiosa espressione usata nel Seicento per indicare

    le donne deve avergli dato una peculiare soddisfazione) se non

    coperte e velate alla vista, come misteri che non debbano essere

    guardati se non con un senso di orrore. In altre parole, lo

    soddisfaceva solo la donna chiusa nel chiostro e l'unico modo

    tollerabile per godere della compagnia femminile era dato secondo lui

    dalla grata del confessionale o dalle sbarre di un parlatorio

    conventuale. Altrimenti, esse dovrebbero essere considerate come le

    bestie selvagge, che uno si limita a vedere senza avvicinarsi loro.

    L'intensit dell'avversione provata da padre Giuseppe era senza dubbio

    proporzionata all'intensit di quella sua prima passione e allo sforzo

    violento che aveva dovuto compiere su se stesso per riuscire a

    dominarla.

    E veniamo ora al vecchio libro che i soldati avevano buttato via

    passando per Le Tremblay. Francesco lo raccolse, lo lesse e di colpo,

    come egli dice, se n'innamor. Era come se la voce di Dio parlasse

    da quelle pagine, rafforzandolo nella sua decisione e spaziando, per

    suo conforto, sulla pace e sulla felicit della vita spirituale.

    Tutta una letteratura si sviluppata nei tempi moderni intorno al pio

    racconto che fin per decidere la futura vocazione di padre Giuseppe.

    "Barlaam et Josaphat" una delle pi grandi curiosit storiche.

    Questo romanzo medioevale di un principe indiano che abbandona la vita

    di piaceri, cui l'ha condannato il padre troppo premuroso, e abbraccia

    la vita contemplativa sotto la guida di un eremita, non infatti

    altro che una vita cristianizzata di Gotamo Budda. Non solo nelle

    linee generali, ma anche negli episodi particolari e nellafraseologia, "Barlaam et Josaphat" segue il testo sanscrito del

    "Lalita Vistara". Non solo. Il nome stesso del principe rivela la sua

    identit. La storia era stata originariamente tradotta in greco da una

    versione araba, e le lettere arabiche per Y e B si possono facilmente

    confondere. Josaphat una corruzione di Bodisat. Il discepolo di

    Barlaam Bodisatva ovvero il futuro Budda. E' una delle tragedie

    della storia che il Cristianesimo non abbia conosciuto nulla del

    Buddismo a eccezione di questa mutila versione di una semileggendaria

    vita del fondatore. Degli insegnamenti del Buddismo primitivo e

    meridionale, il Cattolicesimo avrebbe trovato dei correttivi quanto

    mai salutari per la sua teologia stranamente arbitraria, per quelle

    venature di barbarie primitive ereditate dalle parti meno desiderabili

    del Vecchio Testamento, per quel suo preoccuparsi, incessante epericoloso, della pena e della morte, per la sua credenza

    elaboratamente giustificata nella efficacia magica dei riti e dei

    sacramenti. Ma, ahim, per quanto riguarda l'Occidente, l'Illuminato

    era destinato a rimanere, fino a tempi assai recenti, nient'altro che

    l'eroe di una favola moralizzante.

    Nel 1594 Enrico Quarto aveva ascoltato la sua Messa e si trovava a

    Parigi. L'ordine era stato ristabilito e non era pi pericoloso vivere

    nella citt. Maria Leclerc torn pertanto a Parigi e Francesco fu

    mandato a continuare i suoi studi all'Universit, o meglio in quel

    poco che le guerre di religione avevano lasciato in piedi

    dell'Universit. Era cos poco; che dopo qualche mese il giovane

    decise di rivolgersi a un altro istituto, l'Accademia diretta da

    Antonio de Pluvinel.Nella Francia del Cinquecento un'Accademia era una specie di scuola di

    perfezionamento per i giovani signori. Vi si studiava equitazione e

    matematica, fortificazione e schema, esercizi militari, calligrafia e

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    buone maniere. All'Accademia di Pluvinel- la pi aristocratica che vi

    fosse allora in Francia e quella pi di moda - i corsi regolari

    duravano due anni; ma Francesco Leclerc du Tremblay, con la sua gi

    brillante preparazione, fu in grado di prendere il suo diploma di

    perfetto gentiluomo in meno di un anno. Nell'autunno del 1595 era

    pronto per il "Grand Tour". Accompagnato da un vecchio e fidato

    servitore, insieme ad altri dieci o dodici giovani signori coetanei,

    si mise in viaggio per l'Italia. E "Barlaam et Josaphat"? E gli

    eremiti, e quel trattato sulla vita religiosa e i suoi voti ai piedi

    del crocefisso? Gli erano forse usciti di mente? O li aveva gettati da

    una parte insieme con le altre sciocchezze della fanciullezza? Niente

    affatto. Nulla era stato dimenticato, e ferma rimaneva ancora l'antica

    decisione. Egli aspettava soltanto il momento giusto, il richiamo

    definitivo e inequivocabile. Poteva venire prestissimo; poteva tardare

    alcuni anni. Nel frattempo, Francesco obbediva alla mamma e faceva del

    suo meglio per assolvere i doveri inerenti al grado sociale in cui era

    nato. Per i giovani suoi compagni questo viaggio in Italia era la

    prima eccitante occasione per essere liberi dal controllo dei

    genitori, ed essere liberi (quel che contava di pi) nella terra

    promessa dei "Sonetti lussuriosi" e delle incisioni di Giulio Romano.

    Per Francesco, invece, era semplicemente un altro stadio del processo

    educativo che doveva prepararlo fisicamente e intellettualmente a

    compiere, in un campo non ancora definito, la volont del suo Dio e

    Salvatore. Forte nel voto di castit fatto dopo l'incidente

    dell'archibugio, forte anche nel suo orrore e nel suo terrore delle

    donne; non lo impaurirono le tentazioni cui i suoi compagni, mentre

    cavalcavano da Parigi verso il sud, si ripromettevano gi allegramente

    di soccombere. L'Italia gli avrebbe insegnato solo quel che per lui

    era giusto e necessario imparare; e nient'altro.

    Una volta passata la frontiera, Francesco non perse il suo tempo. A

    Firenze studi la lingua, la scherma e l'equitazione, in cui in quel

    periodo gli italiani erano considerati maestri. Era un eccellente

    cavaliere e aveva una vera passione per tutte le raffinatezze

    dell'equitazione: una passione che ben presto sarebbe stato costretto

    a sacrificare alla sua vocazione religiosa, poich un cappuccinopoteva viaggiare solo a piedi. Da Firenze prosegu per Roma, e qui

    ebbe modo di imparare qualcosa della segreteria di Stato pontificia,

    modello di sagace pratica diplomatica senza rivali allora in Europa.

    Risalendo di nuovo al nord, si ferm a Loreto, per ragioni religiose;

    a Bologna, per visitare l'Universit; a Ferrara, per fare atto di

    omaggio al Duca e vedere il museo di storia naturale; a Padova, un po'

    pi a lungo, per studiare giurisprudenza. Le lettere mandate in questo

    periodo da Francesco alla madre sono andate perdute. E' un peccato:

    sarebbe interessante sapere se conobbe Galileo, che insegnava allora a

    Padova e quali furono gii argomenti discussi in quelle riunioni che si

    tenevano regolarmente, fuori dalle ore scolastiche, nelle case dei

    professori. Da Padova il giovane prosegu per Venezia, che era piena

    di dotti bizantini esuli e di conseguenza il posto migliore in Europaper lo studio del greco. Da Venezia, attraverso le Alpi, pass in

    Germania e ne vide abbastanza per sapere quale fosse l'aspetto del

    paese prima della guerra dei Trent'Anni. Non era ancora passato un

    anno dalla sua partenza, che rientrava a Parigi.

    Quando il giovane barone di Maffliers fu presentato a Corte, fece

    un'ottima impressione. Gabriella d'Estres, la giovane amante del re

    (di appena due anni maggiore di Francesco) lo chiam il Cicerone

    della Francia e del suo tempo. Il monarca si espresse in modo meno

    enfatico, ma non manc di notare con approvazione il giovane. N c'era

    da meravigliarsene. Francesco non solo aveva una bella aristocratica

    figura, era anche molto intelligente, si comportava con una

    discrezione superiore alla sua et, aveva un tratto squisito, poteva

    conversare in modo delizioso su qualsiasi argomento, ma senza maiabbandonare quella riservatezza, senza mai staccarsi da quella

    cautela, con cui moderava i suoi entusiasmi, la sua fertile

    immaginazione, e i suoi impulsi verso l'azione immediata. Molti anni

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    dopo, il cardinale Richelieu trov due soprannomi per il suo vecchio

    amico e collaboratore: Ezechiele e Tenebroso-Cavernoso. Questi due

    soprannomi sono mirabilmente appropriati per designare quella natura

    dotata di cos strana complessit. Ezechiele era l'entusiasta, il

    visionario, l'evangelico e mistico francescano; Tenebroso-Cavernoso

    era l'uomo che non si scopriva mai, il diplomatico dalla faccia di

    bronzo, il politico ricco di inesauribili risorse. Queste due

    personalit, stranamente dissimili, risiedevano nello stesso individuo

    e il loro incongruo accoppiamento costituiva un elemento importante

    del carattere dell'uomo di cui ci siamo messi a seguire la vita.

    Francesco pass un anno intero a Corte. Fu un interludio istruttivo.

    In quella scuola di coeducazione che era il Louvre, egli apprese ogni

    genere di utili lezioni: ad ascoltare con aria di rispettoso interesse

    i seccatori regali; a sopportare con animo lieto gli sciocchi di alto

    lignaggio; a fare delicati complimenti alle dame i cui seni troppo

    scoperti lo riempivano d'intenso disgusto; a sondare i beni informati

    senza mostrarsi curioso, a distinguere tra chi ha importanza e chi non

    l'ha, tra l'effettiva potenza e la mera apparenza. Per il futuro

    segretario di Stato e diplomatico, tale conoscenza era indispensabile.

    Al principio del 1597 si offr a Francesco l'occasione di continuare

    la propria educazione anche in un altro campo: fu mandato a fare la

    sua prima esperienza di guerra all'assedio di Amiens. Questa fortezza,

    piena di munizioni e di rifornimenti militari, era stata ceduta a

    tradimento da un sostenitore della Lega agli Spagnoli, i quali erano a

    loro volta assediati da un esercito francese al comando del

    Connestabile Montmorency. Ora, Montmorency era marito di quella figlia

    legittimata di Enrico Secondo che venti anni prima aveva graziosamente

    accondisceso a essere madrina di Francesco Leclerc. Egli prese

    pertanto il giovane sotto la sua personale protezione e fu molto

    lusingato dal modo con cui Francesco si comport durante l'assedio. La

    gente cominci a profetare che quel giovane barone di Maffliers

    avrebbe formato un soldato di prim'ordine.

    Amiens finalmente cadde, e la sua caduta fu un'eccellente occasione

    per porre termine a una guerra di cui sia Enrico Quarto che Filippo

    Secondo erano cordialmente stanchi. Enrico Quarto, per, aveva deglialleati e non poteva far pace senza il loro consenso. Di questi

    alleati il pi importante era Elisabetta d'Inghilterra, che aveva

    ragioni proprie per desiderare il prolungarsi delle ostilit. Per

    assicurarsi il consenso di Elisabetta alla pace, Enrico Quarto mand a

    Londra uno stagionato diplomatico, Hurault de Maisse, lontano parente

    dei du Tremblay. Francesco si serv di questa parentela per farsi

    includere nel seguito dell'ambasciatore e nell'autunno di quell'anno,

    1597, sbarc in Inghilterra. Per un giovane che cercasse di

    perfezionare la propria educazione, Londra offriva occasioni d'oro. La

    Corte era frequentata da gentiluomini compiti e anche dotti, con cui

    si poteva parlare in latino di Erasmo e dell'"Iliade" e della nuova

    edizione di Aulo Gellio. Il dramma elisabettiano era in pieno sviluppo

    e gli ospiti stranieri di riguardo venivano spesso intrattenuti conquel che doveva sembrar loro un alquanto sconcertante spettacolo.

    Durante tutto questo tempo, naturalmente, Hurault de Maisse era

    occupato a negoziare con la regina e i ministri inglesi; e Francesco

    aveva modo di studiare il lavoro diplomatico in atto e dall'interno.

    Infine c'era quella vecchia virago della regina, ed era suo dovere

    corteggiarla. Lei, per parte sua, era ben lieta di conversare con un

    cos bel giovane, di cos raffinata educazione e dotato di tale

    padronanza di quelle lingue morte e viventi, che lei stessa conosceva

    cos bene e tanto si dilettava a parlare. (Quando Hurault de Maisse la

    compliment a questo riguardo, Elisabetta rispose - e la risposta

    veramente caratteristica - che non c'era niente di notevole

    nell'insegnare a una donna a parlare; il difficile era indurla a

    dominare la lingua.)Per qualsiasi altro giovane, quella breve visita a Londra non sarebbe

    stata se non un'avventura molto divertente e forse istruttiva. E tale

    in realt fu anche per Francesco per una o due settimane. Era eccitato

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    dalla novit di tutto quel che vedeva, compiaciuto del suo successo,

    incantato dalle persone con cui veniva a contatto e gli piacevano gli

    inglesi. E appunto perch gli piacevano, quel felice senso di piacere

    che provava a stare in mezzo a loro si dilegu di colpo. Erano persone

    simpatiche, cordiali, che parlavano il latino con un accento cos

    deliziosamente comico: ed erano tutti eretici e di conseguenza tutti

    irrevocabilmente dannati. L'intera nazione era dannata: milioni e

    milioni di uomini, di donne e di bambini immersi in tenebre spirituali

    per cui non passava che una strada; e quella strada conduceva

    direttamente ai tormenti eterni. Francesco fu atterrito a questo

    pensiero, e l'antico senso della vanit dei desideri umani, della

    natura fugace e illusoria di quel che comunemente si chiama felicit,

    torn in lui con raddoppiata intensit. Pensare a quegli inglesi! Con

    quanta tranquillit passavano il loro tempo, come se fossero

    perfettamente a posto! Eppure, tra pochi brevi anni ognuno di loro si

    sarebbe trovato in inferno! Quanto a lui, la Provvidenza benigna aveva

    decretato che doveva nascere cattolico. Ma perfino questo inestimabile

    dono di Dio non era sufficiente garanzia di vera felicit. Egli era

    salvato solo in potenza. Fino all'ultimo momento della vita, il

    peccato avrebbe potuto distruggere gli effetti del battesimo.

    L'inferno non era per lui una certezza, come per Elisabetta e

    l'attempato Burleigh e tutti gli altri loro simili, ma una

    terrificante possibilit anzi una probabilit se egli avesse

    continuato a condurre l'attuale vita mondana. Ricchezza, onori, gloria

    militare, le gentilezze lusinghiere di un re, i complimenti di una

    favorita regale: quale era mai il valore di tali inezie di fronte alla

    salvezza eterna e all'attuazione della volont di Dio in terra.

    Ossessionato da tali interrogativi, il barone de Maffliers fece

    ritorno in Francia nelle prime settimane del 1598. Arrivato a Parigi,

    and subito dal suo confessore, Andrea du Val, che l'ascolt con

    attenzione e gli diede a leggere un libretto apparso mentre egli era

    in Inghilterra. Il libro s'intitolava "Bref Discours sur l'Abngation

    Intrieure" e l'autore era nient'altri che Pietro de Brulle ormai

    giovane prete che studiava teologia alla Sorbona.

    Abnegazione interiore! Queste parole sembravano miracolosamenteappropriate. Francesco lesse il libro e subito lo rilesse, con

    passione. Era un altro "Barlaam et Josaphat", ma con il vantaggio che

    l'autore era vivo e si trovava a Parigi. Francesco and immediatamente

    a cercare il suo vecchio compagno di scuola. Brulle lo accolse con

    gioia; e da quel momento Francesco non fu pi visto a Corte ed evit

    tutte le conoscenze che vi aveva fatte. Coscientemente e di proposito,

    egli si preparava per il momento, che ormai presagiva assai vicino, il

    momento solenne in cui sarebbe stato chiamato a romperla con il

    passato e a cominciare un'esistenza totalmente nuova.

    Il piccolo mondo in cui fu introdotto da Brulle e da Du Val formava

    una societ veramente straordinaria, composta per la massima parte di

    persone in cui le pi elevate capacit d'ingegno si accompagnavano a

    un intenso fervore religioso e, in qualche caso, a rare eimpressionanti doti spirituali. Ne costituiva la figura di centro una

    donna, Barbe Acarie, e intorno a lei gravitavano rispettosamente tutti

    gli altri, uomini e donne, laici e religiosi. Nata nel 1566, Barbe

    Avrillot era stata maritata a sedici anni con un uomo appartenente, al

    pari di lei, alla "noblesse de robe". Pietro Acarie era uno di quei

    pazzi irrequieti e non stupidi che debbono sempre "far qualcosa" e per

    mancanza di criterio finiscono sempre per fare qualcosa di futile o di

    disastroso. Egli dissip la maggior parte della sua cospicua fortuna

    finanziando degli eloquenti imbroglioni. Appassionato politico, spos

    la causa della Lega con tanto ardore che, dopo il trionfo di Enrico

    Quarto, fu privato del posto, esiliato da Parigi e poco manc che non

    perdesse, per una nuova imprudenza, quel po' che gli rimaneva e anche

    la vita. Dovette la salvezza agli sforzi instancabili di una moglieche aveva sempre maltrattata. Solo a ventidue anni Barbe Acarie scopr

    la propria vocazione religiosa. Leggendo un libro di devozione,

    incontr la frase: "Trop est avare qui Dieu ne suffit". L'effetto

  • 8/2/2019 85451861 eBook Ita Aldous Huxley L Eminenza Grigia

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    che le produssero queste parole fu straordinario: fu come se Dio

    l'avesse colpita con un fulmine. Divenne un'altra persona: una

    persona che sapeva per immediata intuizione che il vero regno dentro

    di noi, che si pu progressivamente arrivare a confondersi con Dio,

    che dovere delle creature umane affrontare subito l'inconcepibile

    impresa di divenire perfette come il loro Padre nei cieli

    perfetto.

    Allorch Francesco Leclerc fece ritorno da Londra, Pietro Acarie si

    trovava in esilio da pi di tre anni e la moglie e i sei figlioli,

    ridotti per il momento in piena miseria, vivevano con i Brulle. La

    loro casa in rue Paradis - e pi tardi, quando la posizione di Pietro

    Acarie si fu in certo modo riassestata, l'Htel Acarie - divenne nella

    vita religiosa francese quel che l'Hotel de Rambouillet doveva essere,

    una generazione dopo, per la letteratura e i costumi francesi.

    L'influenza di Barbe Acarie fu sentita soltanto dai suoi

    contemporanei; poich Barbe, a diversit di Santa Teresa cui

    rassomiglia per l'incessante attivit pratica non meno che per le

    singolari facolt mistiche, non ha lasciato alcun documento scritto

    delle sue esperienze. La conosciamo solo attraverso una biografia

    scritta da Andrea Du Val e i ricordi di uomini e donne che la

    conobbero. Da questi appare che nessuno poteva stare con lei, anche

    per poco, senza accorgersi che si trovava davanti a una persona

    totalmente diversa dagli ordinari esseri umani. In Barbe Acarie il

    processo di illuminazione e di santificazione era giunto al punto in

    cui l'elemento meramente umano nient'altro che un sottile involucro

    psico-fisico in cui si racchiude una costante realizzazione

    dell'immanenza divina.

    Alcuni santi hanno affascinato i loro contemporanei; la santit della

    signora Acarie era invece di una specie che ispirava una reverenza

    mista a timore. San Francesco di Sales, che le fu amico e per un certo

    tempo anche confessore, scrisse che provava per lei un infinito

    rispetto; e lo stesso accadeva a chiunque avvicinasse questa donna

    straordinaria. Le persone meno familiari con la vita spirituale erano

    ancor pi impressionate dai fenomeni fisici che accompagnavano spesso

    gli stati mistici della signora Acarie: da quelle estasi e da queirapimenti che lei si sforzava in ogni modo di controllare e

    considerava - in accordo con tutti i maestri spirituali di allora e di

    oggi come un sintorno non tanto della grazia divina quanto della sua

    propria