7. L’O LIO EXTRA VERGINE DI OLIVA Vino... · L’albero dell’olivo ed il suo prodotto...

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Sicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di P Sicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di P Sicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di P Sicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di Palermo alermo alermo alermo Provincia Regionale di Palermo – Assessorato Agricoltura, Caccia, Pesca – Direzione Attività produttive 304 7. L’OLIO EXTRA-VERGINE DI OLIVA (a cura di Giuseppe Greco) L'olio di oliva è un componente fondamentale e tipico della dieta mediterranea. Il termine "olio di oliva" comunemente è usato in maniera generica per definire tutti gli oli derivanti della lavorazione delle olive; in realtà questo termine racchiude una gamma di prodotti diversi per qualità e caratteristiche. Dalle olive, grazie alla molitura, si ottengono l'olio vergine e le sanse. Dall'olio vergine si ricavano: l'extravergine, il vergine, il vergine corrente e il vergine lampante. Dal vergine lampante, mediante raffinazione, si ottiene l'olio di oliva raffinato. Dalle sanse, con diversi processi che includono l'estrazione e la raffinazione, si ricava l'olio di sansa raffinato. Sugli scaffali commerciali distinguiamo: l’Olio extravergine: con acidità inferiore al 1% è ottenuto da una lavorazione effettuata con l'esclusivo utilizzo di mezzi fisici (frangitura - spremitura - separazione); per il suo gusto perfetto rappresenta il prodotto leader della tipologia; l’Olio vergine: con acidità inferiore al 2% è ottenuto come l'extravergine con mezzi fisici l’Olio di oliva: ottenuto miscelando oli di oliva raffinati e oli vergini, con acidità inferiore allo 1,5%; non è previsto un minimo di vergini da addizionare; l’Olio di sansa di oliva: ottenuto miscelando olio di sansa raffinato con oli vergini, con acidità inferiore al 1,5%; non è previsto un minimo di vergini da addizionare Vengono riconosciute come "denominazioni di origine" le denominazioni relative agli oli extravergini di oliva prodotti in zone geografiche delimitate e le cui caratteristiche merceologiche derivano prevalentemente dalle condizioni proprie dell'ambiente di produzione e dalle varietà di olive impiegate. E’ l’esempio della “D.O.P. Val di Mazara” che interessa tutta la Provincia di Palermo ed alcuni Comuni della Provincia di Agrigento. 7.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco) Al momento dell'acquisto è meglio preferire oli confezionati in bottiglie scure o ricoperte di carta dorata adatte a proteggere l'olio dalle alterazioni provocate da una esposizione eccessiva alla luce.

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7. L’OLIO EXTRA-VERGINE DI OLIVA (a cura di Giuseppe Greco)

L'olio di oliva è un componente fondamentale e tipico della dieta mediterranea. Il termine "olio di oliva" comunemente è usato in maniera generica per definire tutti gli oli derivanti della lavorazione delle olive; in realtà questo termine racchiude una gamma di prodotti diversi per qualità e caratteristiche.

Dalle olive, grazie alla molitura, si ottengono l'olio vergine e le sanse. Dall'olio vergine si ricavano: l'extravergine, il vergine, il vergine corrente e il vergine lampante. Dal vergine lampante, mediante raffinazione, si ottiene l'olio di oliva raffinato. Dalle sanse, con diversi processi che includono l'estrazione e la raffinazione, si ricava l'olio di sansa raffinato. Sugli scaffali commerciali distinguiamo: � l’Olio extravergine: con acidità inferiore al 1% è ottenuto da una lavorazione

effettuata con l'esclusivo utilizzo di mezzi fisici (frangitura - spremitura - separazione); per il suo gusto perfetto rappresenta il prodotto leader della tipologia;

� l’Olio vergine: con acidità inferiore al 2% è ottenuto come l'extravergine con mezzi fisici l’Olio di oliva: ottenuto miscelando oli di oliva raffinati e oli vergini, con acidità inferiore allo 1,5%; non è previsto un minimo di vergini da addizionare;

� l’Olio di sansa di oliva: ottenuto miscelando olio di sansa raffinato con oli vergini, con acidità inferiore al 1,5%; non è previsto un minimo di vergini da addizionare

Vengono riconosciute come "denominazioni di origine" le denominazioni relative agli oli extravergini di oliva prodotti in zone geografiche delimitate e le cui caratteristiche merceologiche derivano prevalentemente dalle condizioni proprie dell'ambiente di produzione e dalle varietà di olive impiegate. E’ l’esempio della “D.O.P. Val di Mazara” che interessa tutta la Provincia di Palermo ed alcuni Comuni della Provincia di Agrigento.

7.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco)

Al momento dell'acquisto è meglio preferire oli confezionati in bottiglie scure o ricoperte di carta dorata adatte a proteggere l'olio dalle alterazioni provocate da una esposizione eccessiva alla luce.

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Dallo scaffale evitare di prelevare le bottiglie che non siano state vicino a fonti di calore, come luci o faretti, capaci di rovinare la qualità dell'olio contenuto. E' molto importante anche un'attenta lettura dell'etichetta, facendo attenzione alla zona di produzione, all'origine delle olive utilizzate e ai metodi di lavorazione. (vedi etichettature degli alimenti). Per quanto riguarda l'olio extravergine, sull'etichetta dovrebbe essere riportato anche il valore dell'acidità libera, che se inferiore allo 0,3%, rappresenterà un ottimo livello qualitativo. Se un olio è stato riconosciuto dalla CEE come prodotto a DOP (Denominazione di Origine Protetta) o a IGP (Indicazione Geografica Protetta) riporterà sull'etichetta i dati relativi alla zona e alle modalità di produzione. Con l’invecchiamento l’olio peggiora ed è sempre buona regola consumarlo nella stesso anno della produzione; l’olio imbottigliato dovrebbe essere consumato entro 24 mesi dalla data di confezionamento anche se mantenendo la bottiglia sigillata ed al riparo, l’olio arriva senza problemi al secondo anno di invecchiamento, in quanto l’olio contiene delle sostanze antiossidanti che lo proteggono dall’irrancidimento; queste sostanze tuttavia affievoliscono la loro azione con il passare del tempo. In ogni caso, per conservare correttamente l’olio ed al fine di favorire l’azione delle sostanze antiossidanti bisogna:

� proteggere la bottiglia dalla luce diretta e dal calore; � richiudere con accuratezza la bottiglia o il contenitore dopo l’uso; � utilizzare i “dispensatori da tavola”, che sono tappi con un beccuccio di metallo,

solo se ben puliti e provvisti di chiusura ermetica, � non conservare in recipienti di plastica.

L'olio d'oliva è sempre stato soggetto a frodi e sofisticazioni per l'alto costo di produzione rispetto a tutti gli altri oli. In particolare le frodi più comuni sono: � Olio extravergine che contiene oli raffinati, sia di oliva che di semi; � Oli con tenori analitici non rispondenti ai requisiti previsti dai regolamenti

comunitari; � Oli di semi variamente coloratiche possono venire spacciati per oli di oliva. Si consiglia di controllare sempre le etichette e la tracciabilità e di diffidare di venditori occasionali privi di licenza che non rilasciano documenti di vendita.

7.2. Uso culinario

Gli oli di oliva vanno preferibilmente usati a crudo, ma si comportano ottimamente anche nelle cotture a fuoco moderato (ideale poiché riesce a trasferire il calore per gradi) e per friggere. L'olio extravergine di oliva è l'unico olio ottenuto integralmente dalla sola spremitura del frutto. A crudo l’olio può essere utilizzato come condimento per insalate, ma anche su minestre, verdure bollite, carni bianche. Al contrario di quanto molti pensano, l’olio

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extravergine è perfetto per emulsioni e salse (maionese), a patto di scegliere una qualità dolce e leggera. Non è neppure rara l’utilizzazione in sostituzione di altri tipi di grasso anche per torte e impasti dolci. Per friggere è buona norma:

� utilizzare oli idonei, più resistenti al calore; � aggiungere sale e spezie agli alimenti dopo la frittura, e non durante, in quanto

accelerano l'alterazione degli oli; � asciugare bene gli alimenti da friggere; � evitare temperature oltre i 180° C (punto di fumo nel quale l’olio perde le sue

caratteristiche), utilizzando friggitrici con termostato; � controllare lo stato dell'olio durante la frittura; le alterazioni sono evidenziate da

imbrunimento, aumento della viscosità, formazione di schiuma abbondante e produzione di fumo;

� evitare tassativamente la pratica della ricolmatura (aggiunta all'olio usato di olio fresco, che si altera molto più rapidamente).

7.3. I prodotti di qualità della Provincia di Palermo

Cenni storici (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) L’albero dell’olivo ed il suo prodotto trasformato, l’olio d’oliva, infatti (con l’altro prodotto universale: il vino) hanno scandito la stessa vita dell’uomo, nella storia, nella civiltà, nel mito, nella religiosità, nell’economia, nella scienza, nella tecnologia, nella alimentazione, aspetti tutti che hanno contrassegnato lo stesso essere dell’ambiente e della civiltà (o per meglio dire delle civiltà) del mediterraneo dai tempi dell’antichità più remota ai tempi della modernità dell’oggi. L’olivo e l’olio derivano i loro simboli di pace e di vittoria, di saggezza e di prosperità, di purificazione e di religiosità dalla molteplicità d’uso dei suoi prodotti nel corso dei millenni. La pianta fornisce infatti legna da ardere, legno e legname, materia prima per ebanisteria; l’olio d’oliva trova impiego, per le sue spiccate e particolari proprietà, oltre che nell’alimentazione, nella farmaceutica, nella cosmesi ed anche nella illuminazione. Le origini dell’olivo si fanno risalire a diverse migliaia di anni fa, poiché sono state rilevate impressioni delle fogli nelle rocce del Pliocene e perfino nelle masse argillose del Miocene. Dell’olivo è stato scritto nella Bibbia, nelle leggende mitologiche (era considerato dai greci pianta sacra a Minerva), nelle opere dei Greci (da Omero ed Erodoto), dai Romani (fra tutti si ricorda Columella). L’area di origine dell’Olea europea sativa si è individuata nell’area compresa fra il sud del Caucaso, gli altipiani dell’Iran, le coste mediterranee della Siria e della Palestina; nell’Asia Minore l’olivo selvatico era comunissimo, formando lunga la costa meridionale vere e proprie foreste.

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La coltivazione dell’olivo risale ad almeno 5000 anni fa nell’area siro-iraniana, affermandosi in Siria e Palestina; da qui, passa in Egitto e successivamente nelle isole greche (Cipro, Rodi, Creta), all’epoca dei Fenici (intorno al XVI sec. a.C.) e poi in Grecia (XIV-XII sec. a.C.). L’arte della spremitura delle olive era già conosciuta, come dimostra il codice di Hammurabi (XVIII sec. a.C.), il più antico documento disponibile, che detta norme sul commercio dell’olio. In Sicilia, l’olivicoltura arriva prima del regno di Tarquinio Prisco e secondo studi recenti addirittura tre secoli prima della caduta di Troia. La diffusione della coltivazione in Sicilia e nella Magna Grecia avviene ad opera dei Fenici e delle colonie greche, affermandosi poi in Italia ad opera dei Romani. Nel periodo imperiale, la coltivazione dell’olivo raggiunse la massima estensione e l’olio pressato non solo soddisfaceva la domanda interna, ma dava luogo anche a flussi esportativi. Nella storia d’Italia lo sviluppo e la diffusione della coltivazione dell’olivo viene influenzata da vicende climatiche e politiche (dominazioni barbare o civili). Durante la dominazione araba l’olivo in Sicilia attraversa un periodo di decadenza. Gli arabi pur nella loro grande opera di modernizzazione dell’agricoltura, non ebbero riguardo per due coltivazioni: la vite, per motivi religiosi, e l’olivo, per ragioni commerciali, essendo i loro paesi d’origine (Tunisia, Algeria, Libia e Marocco) forti produttori d’olio. L’olivo rifiorisce durante le dominazioni normanna e sveva; dopo ha avuto un lungo periodo di decadenza. Solo nel XVIII secolo l’olivo nei paesi mediterranei riprende la sua ascesa ed incomincia a conquistare altri continenti (America, Australia), Nel XIX secolo in Sicilia si stimavano oltre diciassette milioni d’alberi. La coltivazione dell’olivo in provincia di Palermo ha la stessa storia dell’isola, essendo Palermo parte sostanziale della storia della Sicilia. Nel territorio provinciale l’olivo si coltiva nelle aree di pianura, come in quelle di collina e di montagna, da sempre caratterizzando il paesaggio e difendendo il territorio dal dissesto idrogeologico e dagli incendi, come appunto dimostra la presenza assai frequente di alberi secolari in tutti gli ambienti della provincia. L’olivo, infatti è una pianta rustica capace di vivere nei suoli più difficili, avendo radici possenti ed ampiamente sviluppate ed avendo una spiccata capacità di ricaccio pollonifero che assicura il ripristino della copertura vegetale in tempi relativamente brevi nelle aree percorse dal fuoco degli incendi. La pianta dell’olivo è stata sin dalle origini quasi sempre presente nell’azienda agraria, come nell’appezzamento coltivato dal contadino, sia perché i suoi prodotti servivano all’autoapprovvigionamento di legna ed illuminazione (un tempo), sia perché l’olio prodotto serviva al consumo familiare annuo e l’eccedenza destinata al mercato locale. Sono questi i motivi per cui l’olivo nelle coltivazioni tradizionali si trova promiscuo nel seminativo con il mandorlo, con la vite, con il nespolo, con altri fruttiferi e financo con

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gli ortaggi, mentre nelle aree agrumicole nei limiti dell’appezzamento agrumetato ha funzione di frangivento. Struttura dell’oleicoltura provinciale (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) Nell’ultimo censimento dell’agricoltura del 2000 si sono rilevate ben 34.186 aziende con olivo per una superficie integrante di 25.376 ettari di oliveti; la dimensione media aziendale risulta di 0,74 ettari (l’82% delle aziende ha ampiezza inferiore a 5 ettari) dimostrando così una accentuata polverizzazione che serve a spiegare la duplice funzione produttiva ed ambientale dell’olivo. Se si considera che l’olivicoltura moderna ed intensiva è fenomeno recente (orientativamente il trascorso ventennio), la cui allocazione si ha in pianura e nella bassa collina, con coltivazione specializzata e tecniche innovative, ha una ampiezza per azienda superiore almeno ai 3 ettari, si evince che l’olivicoltura tradizionale viene praticata in grandissima prevalenza dalle piccole e piccolissime aziende, dove la superficie interessata dell’olivo può misurarsi in alcuni “tumuli” (vecchia misura terriera variabile secondo usanze da zona a zona, all’incirca da 1.000 a 1.500 metri quadrati) per azienda. Questa caratterizzazione strutturale che economicamente oggi costituisce una negatività per gli elevati costi di produzione, è servita nel trascorrere del tempo a salvaguardare e migliorare l’attuale grande patrimonio genetico olivicolo-oleario ed a conservare e migliorare le elevate proprietà organolettiche e qualitative dell’olio specifiche delle diverse aree della provinca in cui l’olivo si trova insediato. Nella provincia di Palermo l’olivicoltura nell’ambito dell’agricoltura assume rilevanza economica cospicua, seppure inferiore a quella della provincia di Agrigento e Messina; la superficie olivetata ragguaglia il 9% della superficie agricola utilizzata (assai vicina alla media regionale che registra l’11%), ed incide per il 14% sulla superficie olivetata regionale; la produzione di olive (mediamente 450.000 quintali) e di olio (mediamente 90.000 quintali, in gran prevalenza olio extravergine e vergine) ragguaglia rispettivamente il 17% della corrispondente produzione regionale. La molitura delle olive avviene nei frantoi (con impianti tradizionali ammodernati o moderni a ciclo continuo) nelle stesse aree di raccolta delle olive; la campagna olearia ha inizio verso la seconda metà di ottobre, con massima operatività verso la seconda metà di novembre e la prima metà di dicembre, e chiusura verso fine dicembre primi di gennaio, a seconda dell’abbondanza della produzione delle olive (annata di carica e scarica). Durante la campagna olearia molti consumatori, specialmente palermitani, si recano nelle diverse aree produttive e si approvvigionano direttamente presso i frantoi della quantità annuale di consumo familiare, un tempo utilizzando contenitori di varia natura (bidoni di plastica, damigiane in vetro, o fusti in acciaio inox), ed oggi prelevando i fustini di latta stagnata di 5 litri (come detta la recente norma sulla commercializzazione) presso i frantoi. L’ampliamento del mercato nazionale con maggiori consumi ed internazionale con nuovi consumatori, (nord Europa, Giappone, USA, Canada ecc.), le crescenti

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esigenze di qualità dietetiche e gastronomiche espresse dai consumatori italiani ed esteri e la diffusa conoscenza della dieta mediterranea, hanno spinto la produzione non solo ad aumenti quantitativi, ma soprattutto qualitativi. Poiché l’apprezzamento e la dimostrazione della qualità avviene per il tramite del confezionamento, che consente alle imprese olearie di attuare sui mercati finali di consumo politiche di marketing per meglio competere sul mercato nazionale ed internazionale con imprese di altre regioni e paesi produttori, molte imprese olearie del palermitano, sono passate dalla vendita del prodotto sfuso a quella del prodotto confezionato in bottiglia. Le imprese olearie produttrici e/o confezionatrici nella provincia sono circa una quarantina, seppur con diversa capacità di produzione dell’olio imbottigliato (poche superano le 50.000 bottiglie, molte invece sono quelle piccole con capacità attualmente inferiore alle 10.000 bottiglie) tutte imbottigliano olio extravergine, le cui caratteristiche organolettiche e qualitative sono quelle specifiche dei diversi areali di produzione determinati dalle condizioni ambientali e dalle varietà autoctone coltivate. Nella provincia, in tutte le diverse zone di produzione, le caratteristiche qualitative degli oli raggiungono specifici standard ottimali, come appunto dimostrano i numerosi riconoscimenti nazionali sulla qualità agli oli o alle imprese. Tali caratteristiche sono determinate dall’ambiente, dalla tecnologie produttive e di trasformazione, e soprattutto dalle cultivar autoctone di elevata potenzialità genetica per la qualità dell’olio, che trovano nella interazione fra cultivar, ambiente pedoclimatico, tecnologie di produzione e trasformazione, l’esaltazione degli aspetti specifici e tipici della qualità organolettica e dietetica. Le varietà coltivate in provincia di Palermo sono numerose, ma non tante quante si possa pensare seguendo la miriade di sinonimi indicanti l’olivo nelle diverse aree, zone, contrade di coltivazione e derivanti da fatti tradizionali locali. Le cultivar accertate geneticamente sono all’incirca una decina, ma sono soprattutto cinque a costituire il patrimonio produttivo dell’olio extravergine d’oliva della provincia, assolvendo le restanti varietà alla funzione impollinatrice. Alcune caratteristiche biomorfologiche e produttive delle cinque varietà più diffuse sono le seguenti: � Biancolilla (sinonimi: Biancuzza, Bianchetta, Bianculidda, Buscionetto, Ianculidda,

Napulitana, Signura, ecc.). E’ varietà diffusa nel territorio provinciale, anche se vi sono concentrazioni spinte in alcuni areali, probabilmente per la sua grande rusticità, per la buona resistenza al freddo ed una fase di impianto piuttosto breve rispetto ad altre varietà. Caratteristica peculiare della pianta è la fruttificazione a grappolo, con produzione alternante, ma eccezionale nelle annate di carica. La resa in olio si aggira intorno al 16%; le sue caratteristiche organolettiche la fanno classificare nella categoria dei fruttati di leggera- media intensità; il sapore non registra punte eccessive di amaro e di piccante, ma è piuttosto dolce; le componenti olfattive – gustative sono armoniche, con sentori di foglia, mandorla verde o altra frutta.

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� Cerasuola (sinonimi: Ogliara, Ugghiara, Purritara, Palermitana, Ugghiarola). In provincia è particolarmente presente nei territori dei comuni di Altofonte, Borgetto, Camporeale, Giardinello, Montelepre, Palermo, Partinico, Piana degli Albanesi, S.Cristina Gela, S. Giuseppe Jato, S. Cipirrello. Si adatta bene anche ai terreni poveri e resiste alla siccità. La maturazione della drupa è tardiva e scalare. Le olive essendo ricche di polpa sono apprezzate in ambito casalingo, con lavorazione in nero per la produzione di “passuluna”. La resa in olio è elevata ed in alcune annate con particolari climi può superare il 30% con drupe non disidratate. L’olio ha caratteri chimico-fisici ed organolettici eccellenti ed è classificato nella categoria dei fruttati di media intensità; le caratteristiche organolettiche sono armoniche nelle sensazioni di amaro, piccante, dolce con sentori di erba fresca, mandorla verde o foglia, mutevoli in relazione allo stato di maturazione della drupa.

� Ogliarola Messinese (sinonimi: Calamignara, Oliva di Termini, Oliva grassa, Oliva di Castru, Terminisa, Castriciana, ecc.). È diffusa lungo la fascia costiera della provincia; ha buona adattabilità a diverse situazioni pedologiche e buona prestazione produttiva, anche se altalenante. La resa in olio è elevata e fino al 25%. I caratteri organolettici sono armonici con poco amaro e piccante ed una punta di dolce; appartiene alla categoria dei fruttati di media intensità e con sentori di oliva verde e foglie. La drupa ha grande dimensione ed è utilizzata con lavorazione in verde per la produzione di olive da mensa.

� Nocellara del Belice (sinonimi: Nuciddara, Nebba, Tunna, Mazura, Aliva di Salari, Aliva Tunna). Nella provincia trova concentrazione nell’area suboccidentale ed in particolare nei comuni di Campofelice di Fitalia, Campofiorito, Corleone, Mezzojuso e Prizzi. La pianta preferisce terreni fertili, dove manifesta buona produttività, specialmente in presenza di idonei impollinatori. La sua resa in olio è intorno al 20% e l’olio presenta particolari caratteristiche organolettiche che la posizionano nella categoria dei fruttati di media intensità, con peculiari sentori di carciofo e pomodoro verde. Il fruttato d’oliva verde al gusto lascia una piacevole punta d’amaro e di piccante. E’ una varietà a duplice attitudine; avendo una drupa grossa fino a 18 mm di diametro, si presta alla trasformazione in olive da tavola, ma non nel palermitano.

� Giarraffa (sinonimi: Pizzu di corvu, Cacata di sciocca, Giarraffuna, Cefalutana, Giarraffella, Raffu). Nel palermitano, rispetto ad altre aree produttive dell’isola, ha buona rilevanza; in particolare si concentra nel territorio di Giuliana, dove si sono assunte iniziative per l’ottenimento della Denominazione di Origine Protetta “Giarraffa di Giuliana”. La produttività è piuttosto bassa, ma ha elevate capacità impollinatrici, specialmente per la Nocellara del Belice. La drupa è grossa (10-12 grammi) e si adatta alla preparazione di olive da tavola sia verdi che nere. La resa in olio si aggira intorno al 16-18%.

Le caratteristiche di qualità e di tipicità degli oli siciliani hanno consentito di ottenere il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta (DOP) per diverse aree territoriali, ciascuna evidenziando proprietà dell’olio diverse ed uniche, espresse dalla

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interazione tra cultivar ed ambiente proprie del territorio e dunque quasi sempre irripetibili. Marketing (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) Il recipiente in cui è confezionato l’olio ai fine dell’assunzione al consumo non può avere capacità superiore ai 5 litri e deve essere in vetro o in banda stagnata. Nell’etichetta è obbligatoria l’indicazione dell’anno della campagna oleicola di produzione delle olive da cui l’olio è ottenuto. Il Consorzio di tutela dell’olio extravergine di oliva a DOP Val di Mazara ha iniziato la sua operatività da qualche anno, ma è solo durante la campagna 2005-2006 che ha registrato un quantitativo di olio certificato di 8,1 q.li per un valore di 4.803 euro. L’esportazione all’estero di olio di oliva vergine ed extravergine dalla Sicilia non ha dato luogo a flussi quantitativamente significativi (l’incidenza della quantità esportata, prevalentemente in USA e Canada, sulla produzione regionale era appena dello 0,4% circa); solamente nel 2005, si registra un incremento relativo sostanziale con 6.010 tonnellate (l’incidenza sulla produzione è dell’1,5%) ed un valore di 20 milioni di euro. L’incremento ha interessato l’area del Nord America, ma è stato notevole nel flusso verso l’UE a 15 che si è quasi quintuplicato. La provincia di Palermo ha partecipato a questo flusso esportativo di olio extravergine di oliva con apporti relativamente significativi. Proprietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) Un ruolo fondamentale dell’olio d’oliva è quello esercitato nei confronti del colesterolo. Nel corpo umano importante funzione hanno le lipoproteine che lo trasportano. Le LDL (Low Density Lipoprotein) hanno il compito di trasportare il colesterolo dal fegato ai tessuti, dove viene utilizzato, mentre le HDL (High Density Lipoprotein) hanno la funzione opposta, in quanto prelevano il colesterolo dai tessuti e lo riportano al fegato. E' stato dimostrato che gli acidi grassi polinsaturi si limitano ad abbassare il colesterolo ematico, ma senza esercitare un’azione differenziata sulle LDL e le HDL. L'acido oleico, monoinsaturo, contenuto nell'olio d'oliva, possiede invece la capacità di agire selettivamente sui due diversi tipi di lipoproteina, riducendo con la sua presenza il livello di LDL e aumentando quello di HDL, costituendo quindi un efficace presidio contro l’insorgere delle patologie legate ad un eccesso del tasso di colesterolo. Un altro pregio nutrizionale dell'olio d'oliva è la presenza di vitamina E che ha poteri antiossidanti, ovvero che, contrastando i “radicali liberi"”, rallenta i processi responsabili dell'invecchiamento dell'organismo. Vi sono poi altri componenti minori come:

� COMPOSTI DEL CARBONIO: questi composti si formano come prodotti collaterali durante la sintesi degli acidi grassi, come lo squalene e in quantità minore ∆-carotene. Quest’ultimo è dotato di azione vitaminica A e anti-ossidante.

� STEROLI: sono composti simili al colesterolo e sono sintetizzati in natura a partire dallo squalene. La loro analisi permette di riconoscere la presenza

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nell’olio di olio di colza o cartamo modificati, aggiunti per frode.Oltre il 94-97% degli steroli è rappresentato da ∆-sitosterolo, valori più bassi indicano la presenza di oli di semi.

� PIGMENTI: sono carotenoidi e clorofilla. Sono circa 80 i composti ma in particolare sono presenti il ∆-carotene e la provitamina A.

� VITAMINE LIPOSOLUBILI: Sono presenti la protovitamina A (∆-carotene); vitamina F (acido linoleico + acido linolenico + acido arachidonico); vitamina E (∆-tocoferolo con azione antiossidante).

� POLIFENOLI: circa il 2-3% della polpa di olive sane e non danneggiate è rappresentato da sostanza fenoliche sotto forma di glucosidi e di esteri, importanti per la conservazione dell’olio avendo azione antiossidante.

� COMPOSTI AROMATICI: ci sono infine composti più o meno volatili responsabili dell’aroma, del sapore di fruttato e della palatabilità degli oli. In genere sono alcoli, aldeidi, esteri alifatici e aromatici.

Composizione chimica e valore energetico*

Energia 899 Kcal

Ac. Oleico 73.63 g

Ac. palmit ico 13 .67 g

Ac. Stear ico 2.23 g

Ac. L ino le ico 7.85 g

Ac. l ino lenico 0.99 g

Squalene 400-500 mg

Stero l i 110-265 mg

Vitamina E 100-250 mg

Caroteno id i 20-100 mg 20-100 mg

* D a t i d e l l ’ I s t i t u t o d e l l a N u t r i z i o n e r i f e r i t i a 1 0 0 g d i p r o d o t t o

7.3.1. Olio Dop Val di Ma zara (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

Nella provincia di Palermo si ha la DOP Val di Mazara che comprende l’intero territorio provinciale ed i territori dei comuni ricadenti nella parte nord occidentale della provincia di Agrigento (Alessandria della Rocca, Bivona, Burgio, Calamonaci, Caltabellotta, Cattolica Eraclea, Cianciana, Lucca Sicula, Menfi, Monteallegro, Montevago, Sambuca di Sicilia, Ribera, S. Margherita Belice, Sciacca, Villafranca Sicula).

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La denominazione Val di Mazara di quest’area risale al tempo dei Normanni, che divisero la Sicilia in tre giustizierati: Val di Mazara, Val di Noto, Valdemone. La denominazione è stata concessa con provvedimento 13 marzo 2001, pubblicato sulla GURI n° 73 del 28 maggio 2001 ed iscritta nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette ai sensi del Reg. CE n° 138/2001. La denominazione è riservata all’olio di oliva extravergine ottenuto per almeno il 90% con le varietà, da sole o congiuntamente, Biancolilla, Nocellara del Belice, Cerasuola; sono consentiti apporti inferiori al 10% di altre varietà presenti nella zona (come Ogliarola Messinese, Giarraffa e Santagatese) o piccole percentuali di cultivar locali. Le condizioni ambientali, le tecniche di coltivazione, i sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli tradizionali, caratteristici della zona e generalmente usati e comunque atti a non modificare le caratteristiche delle olive e dell’olio. Sono da considerarsi idonei gli oliveti situati fino a 700 m.s.l. i cui terreni risultino di medio impasto, profondi, permeabili, asciutti ma non aridi e siano caratterizzati da un clima mediterraneo sub-tropicale, semiasciutto. La produzione massima di olive negli oliveti specializzati non può superare gli 80 q.li/ha, in quelli promiscui 60q.li/ha; nelle annate eccezionali è consentito il superamento del limite di resa ma non oltre il 20%. La raccolta delle olive deve essere effettuata dopo l’inizio della invaiatura e finire entro il 30 dicembre della campagna, con mezzi meccanici o per brucatura. Le operazione di estrazione dell’olio e di confezionamento devono essere effettuate nell’ambito dell’area delimitata. La resa massima in olio non può superare il 22%.

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Le olive raccolte vengono conservati in recipienti rigidi ed aerati, fino alla fase di molitura, disposti in strati sottili ed in locali che garantiscono condizioni di bassa umidita' relativa (50 - 60%). Le olive devono essere molite entro i due giorni successivi alla raccolta. Per l’estrazione dell’olio sono ammessi solo processi meccanici e fisici che consentono all’olio di presentare il più fedelmente possibile le caratteristiche peculiari originarie del frutto. L'olio di oliva extravergine a denominazione di origine controllata "Val di Mazara" all'atto dell'immissione al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche:

• Colore: giallo oro con sfumature di verde intenso; • Odore: di fruttato e a volte anche di mandorla; • Sapore: fruttato, vellutato con retrogusto dolce; • Punteggio minimo al panel test: ≥ 6,5; • Acidità massima totale espressa in acido oleico, in peso, non eccedente

grammi 0,5 per 100 grammi di olio; • Numero perossidi: ≤ 1117 .

7.4. Valutazione nutrizionale dietetica del gruppo alimentare (a cura di Carlo Cannella e Giuseppina Colicci)

L’olio extra vergine di oliva non è solo un condimento, ma può essere considerato a buon diritto un alimento grazie alla sua composizione che, oltre a trigliceridi, acidi grassi essenziali e vitamina E, comprende una frazione minore nella quale sono state recentemente identificate sostanze quali i polifenoli ed i fitosteroli che esplicano azioni protettive per il nostro organismo. I grassi sono costituiti da trigliceridi che contengono per il 70% acido oleico, acido grasso monoinsaturo che stimola la secrezione biliare favorendo la digeribilità dell’olio; per il 10-15% circa da acidi grassi essenziali linoleico e linolenico (questi acidi grassi sono essenziali in quanto non vengono sintetizzati dall’organismo ed intervengono nella regolazione di numerosi processi fisiologici) e per il restante 10-15% da altri acidi grassi saturi. Le componenti minori dell’olio extra vergine di oliva sono la clorofilla, i polifenoli, i carotenoidi, i fitosteroli ed i tocoferoli (vitamina E); è questa la frazione responsabile delle proprietà organolettiche, cioè del gusto e dell’aroma, che conferiscono all’olio di oliva una appetibilità del tutto particolare a confronto degli altri oli vegetali. Polifenoli, carotenoidi e tocoferoli svolgono anche una funzione protettiva degli acidi grassi insaturi nei confronti degli agenti ossidanti. L’olio extra vergine ha quindi un sapore caratteristico che si apprezza

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è indice dello stato di ossidazione primaria dell’olio, la variazione del numero dei perossidi è causata dall’attività enzimatica delle lipossigenasi, presenti nell’oliva ed attiva a seguito delle lesioni cellulari della polpa della drupa, o da reazioni radicaliche, che interessano l’olio soprattutto nella fase successiva alla sua produzione in oleificio e, in particolare, durante la sua conservazione); K232 < = 2,10; K270 < = 0,15; Delta K < = 0,005( attraverso la misura di alcuni coefficienti K232, K270 e ∆K, la spettrofotometria esprime lo stato di ossidazione generale di un olio e quindi la sua freschezza); acido linolenico < = 0,9%; acido linoleico < = 10%.

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quando lo si utilizza per condire a crudo e la sua composizione in acidi grassi lo rende preferibile anche per cucinare grazie all’effetto antiossidante dei polifenoli. A conferma di quanto esposto recenti studi epidemiologici hanno dimostrato una stretta correlazione tra il consumo quotidiano di olio d’oliva e la riduzione dell’incidenza di disturbi cardiovascolari. L’effetto protettivo è attribuibile alla composizione dell’olio extra vergine di oliva che grazie all’acido oleico rende le lipoproteine ad alta densità più solubili aumentandone la capacità di rimuovere il colesterolo. Gli antiossidanti quali i polifenoli e i tocoferoli, invece, sembrano intervenire nella prevenzione delle malattie cardiovascolari riducendo il grado di perossidazione lipidica a carico delle lipoproteine a bassa densità. I fitosteroli a loro volta agiscono a livello intestinale riducendo l’assorbimento del colesterolo proveniente dagli alimenti di origine animale. Da queste osservazioni si deduce che l’olio extra vergine di oliva, oltre alle qualità organolettiche ed al potere nutritivo elevato, esercita un effetto favorevole nella protezione dal rischio di malattie cardiovascolari e rappresenta quindi un alimento fondamentale per una sana alimentazione.

7.5. Porzione di riferimento (a cura di Carlo Cannella e Giuseppina Colicci)

La porzione di riferimento (QB) è pari a 10 g (1 cucchiaio da tavola) e ne sono consigliati 2-3 QB al giorno; 10 g di olio extra vergine di oliva forniscono 90 kcal.

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8. IL VINO (a cura di Giuseppe Greco, Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

Il vino si differenzia da tutti gli altri prodotti agroalimentari (cibi) per essere una bevanda socializzante, che appaga il fisico e lo spirito dell’uomo; e per questo è molto probabile che sia la bevanda più antica al mondo e coinvolge tutti gli aspetti della vita sociale, civile, culturale, economica, scientifica dei paesi tradizionali e nuovi produttori e consumatori. Il vino è l’unico prodotto cibo-alimento che intercetta la valenza culturale e sociale dell’uomo. Sul vino, sulla vite e sulla sua coltivazione nel corso dei millenni infatti sono stati scritti tanti volumi da riempire intere biblioteche; il vino, coinvolgendo tutte le attività fisiche ed intellettuali dell’uomo, nel tempo ha scandito il ritmo, l’evoluzione, il modo di essere della sua vita (capacità fisica, capacità tecnologica, capacità creativa, capacità poetica, capacità mitica, capacità mistica). Il vino è il prodotto che si ottiene dalla fermentazione del succo dell'uva. La fermentazione consiste nella trasformazione dello zucchero del mosto in alcol e anidride carbonica; tale processo naturale avviene ad opera dei lieviti che si trovano a centinaia di milioni sulla buccia di ogni acino di uva matura. I processi di vinificazione dipendono dalle caratteristiche della materia prima e di quelle dei vini che si desidera ottenere: rossi, rosati, bianchi e spumanti. Dalla fermentazione successiva del mosto con o senza le vinacce, si ha la differenziazione della vinificazione in rosso o in bianco. I vini rossi pregiati vengono invecchiati in botti di legno, per lo più di rovere, da cui traggono gli aromi particolari che armonizzano i loro bouquet. l vino bianco non può essere invecchiato ma deve essere consumato in tempi relativamente brevi (max 3 anni). Per la commercializzazione si distinguono: - vini a denominazione d'origine controllata e garantita (D.O.C.G.); - vini a denominazione d'origine controllata (D.O.C.) . I vini DOCG e DOC sono vini

di qualità ottenuti da uve provenienti da zone particolarmente vocate e rispettando le disposizioni di specifici "Disciplinari di Produzione", che stabiliscono il nome, la tecnica colturale, gli uvaggi, le rese massime ottenibili (in uva ad ettaro; in vino dall'uva), la zona di vinificazione e le loro caratteristiche. Tutti i vini a DOCG e a DOC presentano disciplinari particolarmente rigidi, sono sottoposti ad esame chimico - fisico ed organolettico da parte di una Commissione di Degustazione ed ad altri controlli, necessari a garantirne la costante tipicità e la elevata qualità.

- vini ad indicazione geografica tipica (I.G.T.). I vini ad Indicazione Geografica Tipica (IGT) devono essere ottenuti, per almeno l'85%, da uve raccolte nella zona geografica di cui portano il nome;

- vini da tavola; - vini speciali, quali: vini liquorosi, vini spumanti, vini frizzanti e vini aromatizzati.

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In alcuni vini a DOCG, a DOC e a IGT il nome della zona di produzione si accompagna a quella di 1 o 2 Varietà di vite (es. trebbiano, pinot, sangiovese). I vini novelli vengono elaborati mediante la procedura della "macerazione carbonica" dell'uva intera, che permette di ottenere un vino con aromi e profumi particolari, e tale da renderlo adatto al consumo subito dopo la vendemmia (e comunque non prima del 6 novembre); per apprezzare il pregio di questo vino il consumo deve essere effettuato entro pochissimi mesi. Invecchiamento: non tutti i vini invecchiano bene: I vini bianchi sono sottoposti a rischio a differenza dei rossi, i quali possono migliorare. I vini liquorosi sono prodotti aventi una gradazione compresa tra 15 e 22 gradi alcolici. Fra questi i vini passiti, più o meno zuccherini, sono ottenuti da uve opportunamente appassite. I vini possono conservare più o meno gli zuccheri dell'uva, distinguendosi in dolci - amabili - abboccati o demi-sec; se invece la fermentazione è stata totale si avranno i vini denominati asciutti o secchi o dry; analogamente, gli spumanti vengono classificati in dolci - demi-sec o abboccati - secchi - extra-dry - brut - extra-brut - dosaggio zero. I vini spumanti ed i vini frizzanti sono prodotti caratterizzati dalla formazione di una caratteristica spuma (bollicine) derivata da anidride carbonica ottenuta da fermentazione naturale o da aggiunta (in questo caso in etichetta è presente la dicitura "gassificato"). Negli spumanti naturali la fermentazione avviene in bottiglia (metodo Classico) o in autoclave (metodo Charmat). I vini frizzanti hanno una sovrapressione inferiore rispetto agli spumanti.

8.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco)

Esistono vari modi di acquistare il vino. Direttamente dal produttore. Acquisto durante una visita alle cantine a prezzi

convenienti. Presso enoteche e negozi specializzati. Danno la sicurezza riguardo al modo di

conservazione delle bottiglie. Diffidare dall’acquisizione di vini costosi che siano stati esposti in vetrina o vicini a luci forti; bisogna esigere che vengano presi dalla cantina;

Presso la G.D.O.. La Grande Distribuzione organizzata fornisce l’imbottigliato al prezzo più basso normalmente reperibile sul mercato. Di facile reperibilità, sconta il problema della esposizione delle bottiglie alla luce continua dei neon, che ne pregiudicano la qualità. Risulta difficile, poi, reperire vini rari.

Le informazioni obbligatorie riportate nelle etichette per ogni tipo di vino sono: � denominazione di vendita e categoria (Vino da tavola, vino Doc, Docg ecc.).

L'etichetta di un vino da tavola (che non rientrano nelle precedente categorie) non può fare di un vitigno o di una zona geografica, né può recare marchi, disegni o parti di parole che contengano il nome di un V.Q.P.R.D. (vini di qualità prodotti in regioni determinate), né può contenere indicazioni concernenti un'origine geografica, una varietà di vite, un'annata di raccolta o riferimenti a qualità superiori;

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� nome e cognome o ragione sociale o marchio del produttore o imbottigliatore; � sede principale del produttore/trasformatore e dell’imbottigliatore (Comune e

Nazione); � gradazione alcolometrica espressa in percentuale di volume (es: 12,50% Vol); � quantitativo del prodotto, cioè il volume nominale della bottiglia, espresso in litri,

centilitri, o millilitri; � stato di origine (dal 1° gennaio 2003); va indicato con un’apposta menzione se il

vino, imbottigliato in Italia, proviene da un paese estero, se le uve sono state raccolte in uno stato e vinificate in un altro, se si tratta di una miscela di vini comunitari, se si tratta di una miscela di vini provenienti da paesi terzi, se miscela di vini comunitari ed extracomunitari;

� numero di partita o numero di lotto di appartenenza del vino; � la dicitura ecologica che inviti con un disegno o una scritta a non disperdere il

recipiente nell'ambiente dopo l'uso. Informazioni facoltative che si possono ritrovare in etichetta (di solito in controetichetta) riguardano: � marchio aziendale; � riconoscimenti attribuiti da un organismo ufficiale ad una partita di vino; � informazioni riguardanti la storia del vino e della ditta; � altri partecipanti al circuito commerciale (ragione sociale ed attività professionale):

ad esempio, "viticoltore", "raccolto da ...", "distribuito da ...", � la ragione sociale dell'imbottigliatore, dello speditore o di una delle persone che

hanno partecipato al circuito commerciale può essere accompagnata dai termini "fattoria", "tenuta", "podere", "cascina", "azienda agricola", "contadino", "viticoltore", soltanto se il vino è stato interamente ottenuto da uve raccolte nelle vigne facenti parte dell'azienda agricola, qualificate con uno dei termini suddetti e la vinificazione effettuata nella stessa azienda;

� raccomandazioni rivolte al consumatore per l'utilizzazione del vino (abbinamenti gastronomici, modalità di conservazione,..);

� tenore di zucchero residuo; � temperatura di servizio (es. 10°C); � menzioni tradizionali complementari...ecc.. Per conservare bene i nostri vini è bene: � inclinare le bottiglie; in tal modo il tappo umido non permette il passaggio dell’

ossigeno, causa della variazione dei caratteri organolettici del vino; � conservare a temperature vicine ai 14 °C e comunque in luogo fresco ed asciutto; � evitare di conservare vicino a fonti di calore; � preferire ambienti poco luminosi e se possibile addirittura bui; � conservare in portabottiglie di legno; questi riducono le vibrazioni che, altrimenti,

rischiano di alterare i caratteri organolettici del vino; � dedicare alla conservazione dei vini un luogo apposito perchè hanno la tendenza

ad assorbire gli odori esterni.

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Le frodi riguardano: - Vini ottenuti dalla fermentazione di zuccheri di natura diversa da quelli dell'uva

(pratica vietata in Italia, ma consentita in altri Paesi); - Aggiunta di sostanze non consentite: alcool, antifermentativi, aromatizzanti,

coloranti; - Messa in commercio di vini di qualità differente da quella dichiarata in etichetta; - Messa in commercio di vini non conformi alle norme (acescenti, con contenuto di

anidride solforosa eccessivo, o con gradazione alcolica inferiore a quella prevista). Il vino ha reso l'Italia famosa nel mondo per l'alto livello qualitativo raggiunto da alcune produzioni nazionali. Gli uffici dell'Ispettorato Centrale Repressione Frodi dispongono di laboratori d'analisi particolarmente attrezzati per il riscontro della genuinità e della qualità del vino. A tal fine l'ICRF utilizza anche strumentazione d'avanguardia (spettrometri NMR) per applicare la tecnica analitica della risonanza magnetica nucleare, con la quale da anni vengono testate tutte le produzioni vinicole nazionali per tutelare i consumatori ed i produttori dall'illegale aggiunta di zuccheri di varia origine nel vino.

8.2. Uso culinario

Il vino valorizza qualsiasi pietanza, tenendo sempre presente la qualità: un vino non buono da bere, non lo è neanche per soffritti e condimenti. Il vino bianco e lo spumante devono essere aperti nel momento stesso in cui saranno consumati, mentre il vino rosso prevede una stappature anticipata rispetto alla consumazione in modo da allontanare l’odore di chiuso dal vino (imbottigliato da molto tempo) e migliorare le sue caratteristiche organolettiche. Anche la temperatura di servizio svolge un ruolo fondamentale per godere al massimo della bontà del vino; i bianchi vanno serviti ad una temperatura bassa (bianco giovane: 10° circa, bianco dolce: 12° circa), mentre i rossi ad una temperatura più alta (rosso giovane: 16° circa, rosso robusto: 18 ° circa, lungamente invecchiato anche a 20°). Come regola generale in un buon abbinamento il vino non deve predominare sul piatto e viceversa: il corpo del vino deve essere adeguato alla struttura della pietanza. Un piatto dal sapore delicato richiede un vino "leggero", mentre un piatto ricco richiede un vino ben strutturato.

8.3. I prodotti di qualità della Provincia di Palermo (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

L’origine della vite risale a diversi millenni fa. In Italia sono stati trovati semi di Vitis silvestris risalenti all’età del bronzo ed è probabile che l’origine del vino sia databile verso la fine del neolitico per fermentazione casuale di uva di viti spontanee lasciata dall’uomo in rudimentali recipienti.

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Notizie certe sull’attività vinicola risalgono agli Egizi, che furono maestri delle tecniche vitivinicole. Il vino infatti veniva conservato in anfore chiuse da un tappo di argilla. Sono i Fenici a comunicare attraverso il commercio, la conoscenza della vite e del vino, trovando in Grecia il riconoscimento del suo grande valore. I Greci diffusero la vite e la sua coltivazione, il vino e le tecniche enologiche in tutto il mediterraneo. In Sicilia però le origini della viticoltura risalgono intorno alla fine del secondo millennio a.C. quando i Fenici vi portarono la Vitis Vinifera Sativa (vasi vinari risalenti a circa 2000 anni a. C. si sono rinvenuti in una tomba nei pressi di Siracusa). Ma sono i Greci, durante il periodo di colonizzazione, a far fiorire la civiltà del vino in Sicilia, trovando un seguito nel periodo della dominazione romana, che introducendo l’uso del legno e del vetro enfatizzarono i concetti d’annata agraria e di invecchiamento. Nell’VIII-VII secolo a.C. la coltivazione della vite in Sicilia era talmente diffusa che i Greci indicavano l’isola ed il meridione italiano con il termine di Enotria (terra del vino). La coltivazione della vite in Sicilia nel corso della storia ha avuto alterne vicende in relazione alle diverse dominazioni (così ad esempio non fu presa in considerazione dagli arabi, grandi modernizzatori dell’agricoltura, per motivi religiosi). La coltivazione della vite anche nei tempi antichi (specialmente in epoca romana) era specializzata quando il vino era destinato al commercio, mentre era promiscua o consociata (con olivo e piante erbacee) ed occupava piccole porzioni di superfici agricole aziendali quando il vino era destinato presumibilmente all’autoconsumo familiare. La coltivazione del vigneto in coltura specializzata si diffuse in tutta Italia nell’ottocento. Dopo l’unificazione del Regno d’Italia si ebbe una notevole diffusione anche in Sicilia (nel 1880 raggiunse addirittura i 320 mila ettari). Le superfici maggiori si riscontrano in diverse province siciliane, fra queste quella di Palermo, che ha seguito nel corso dei secoli le vicende della Sicilia. Negli anni 1870-74 la superficie vitata in provincia di Palermo assommava a 54 mila ettari e rappresentava il 26% della superficie vitata siciliana, seguita da Trapani e da Catania rispettivamente con il 18%. L’attacco della Fillossera iniziato nel 1880 distrusse gran parte dei vigneti in Sicilia, come in tutta Europa. La ristrutturazione che ne seguì in Sicilia guidata dal Vivaio Governativo di Viti Americane, che era stato istituito nel 1885 a Palermo con la direzione di Federico Paulsen, risollevò la viticoltura, anche se fu necessario pagare in termini di riduzione del patrimonio varietale il prezzo del vasto e fulmineo attacco del parassita. Comunque in Sicilia come a Palermo non fu più raggiunta l’estensione che la coltivazione aveva registrato nell’ottocento. Nel 1920, dopo che la infezione fillosserica fu debellata con l’innesto delle varietà autoctone su portainnesto di vite americana, la superficie vitata si era ridotta a 160 mila ettari in Sicilia ed a 22 mila ettari a Palermo. Questa estensione a Palermo si è conservata fino a pochi anni fa, anche se sono cambiate le zone di coltivazione, concentrando nell’area occidentale della provincia la gran parte della coltivazione.

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Un processo di rinnovamento la viticoltura lo registra a partire dal secondo dopoguerra, negli anni ‘50 e seguenti del secolo appena trascorso. Cambia la forma di allevamento della vite (si riduce l’allevamento ad alberello, si diffonde l’allevamento a controspalliera), si ha una introduzione massiccia della meccanizzazione nelle operazioni colturali (ultima nei tempi recenti la raccolta meccanica dell’uva), si introduce la pratica dell’irrigazione, si rivoluzionano le tecniche di vinificazione. Tutte le innovazioni comunque sono mirate ad aumentare le rese di uva nel vigneto, o la resa in vino in cantina, e la produzione di vini da taglio e con alta gradazione alcolica. Due fatti favoriscono questa iniziale impostazione produttiva: l’espansione del mercato e l’entrata in vigore (1 giugno 1970) dell’organizzazione comune di mercato (OCM) del vino nella Comunità Europea. Le distorsioni del mercato, in parte, vengono corrette dalla diffusione delle cantine sociali e i surplus produttivi dagli interventi comunitari. Negli anni ’80 del secolo appena trascorso, l’impostazione quantitativa della produzione vitivinicola in Sicilia entra in crisi essenzialmente per i seguenti motivi: la mancanza di sbocchi di mercato dovuta alla progressiva modifica della domanda nazionale ed europea di vino verso la qualità, con conseguente crollo del livello quantitativo del consumo pro capite (in Italia, nel 1970, era 110 litri pro capite, durante gli anni ’90 crolla al di sotto dei 50 litri pro capite); il processo di adeguamento dei paesi produttori concorrenti alle nuove esigenze del consumatore in termini di rinnovamenti delle tecnologie produttive nel vigneto e vinificatorie in cantina ed in termini di nuove strategie commerciali, basate essenzialmente su prodotto finito e confezionato coerentemente al diffondersi delle moderne organizzazioni distributive; l’elevato costo degli interventi comunitari per attenuare la pressione dell’offerta sul mercato (distillazioni, magazzinaggio dell’alcool e del vino). In Sicilia il grande fenomeno di ristrutturazione della vitivinicoltura verso la qualità inizia alla fine degli anni ’80 del secolo appena trascorso. Protagonisti di questo fenomeno sono alcuni imprenditori vitivinicoli insieme all’Istituto Regionale per la Vite ed il Vino (istituito a Palermo nel 1950, con legge regionale della Sicilia, giovane Regione Autonoma, per guidare i processi di ristrutturazione, di innovazione e di commercializzazione della vitivinicoltura regionale). Il processo di rinnovamento della vitivinicoltura negli ultimi anni è stato un continuo crescendo, come attestano i numerosissimi riconoscimenti (medaglie, menzioni, attestati, ecc.) che le aziende siciliane hanno ottenuto per le diverse e numerose tipologie di vino. In questo contesto la provincia di Palermo, con le sue imprese viticole e vitivinicole, si è adoperata attivamente e con prestigio.

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Struttura della vitivinicoltura provinciale (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) Nella provincia si contano al censimento 2000, 12.330 aziende viticole, equivalenti al 16% circa del totale regionale; la superficie vitata al 2005 si estende per 16.176 ettari, equivalenti al 14% circa della superficie vitata regionale. I vitigni più diffusi sono: il Catarratto (vitigno autoctono) con il 44% della superficie viticola provinciale ed il 17% di quella regionale; il Calabrese o Nero d’Avola (vitigno autoctono) con l’8% della superficie viticola provinciale ed il 7% regionale; il Merlot, il Cabernet Sauvignon, lo Chardonnay, il Syrah (tutti vitigni alloctoni e tutti con superficie pressochè equivalente) con il 17% della superficie viticola provinciale ed altrettanto della superficie a vitigni alloctoni della regione; significativamente presente nella provincia sono l’Ansonica o Inzolia, il Grecanico, il Nerello Mascalese, il Perricone (tutti vitigni autoctoni) con il 12% della superficie viticola provinciale ed il 7% della corrispondente superficie viticola regionale. Nella provincia è ancora relativamente diffuso il Trebbiano toscano, vitigno fortemente produttivo specialmente se allevato a tendone e in irriguo, impiantato circa trenta anni fa quando si perseguiva la finalità quantitativa della produzione; la sua produzione vinicola proveniente da 2.190 ettari è destinata alla commercializzazione come prodotto grezzo o alla distillazione, mentre solo la produzione proveniente da alcuni ambienti specifici partecipa come prodotto secondario alla composizione di uvaggi per vini di qualità. Comunque la superficie coltivata, con le ristrutturazioni sollecitate dalle politiche di intervento comunitario e regionali, è nettamente in calo. Nella provincia prevalgono i vitigni per uva bianca, con circa il 70% della superficie vitata, che producono circa l’80% della produzione di uva provinciale. La superficie vitata nella provincia si concentra nella parte occidentale, trovando la maggior diffusione nei territori dei comuni di Monreale, Partinico, Contessa Entellina, Camporeale, San Giuseppe Jato, Corleone, San Cipirello, Roccamena, Sclafani Bagni, Borgetto, Piana degli Albanesi, Santa Cristina Gela, dove il vigneto occupa l’area collinare e costituisce quasi un continum territoriale che caratterizza l’ambiente naturale ed agricolo. La produzione di mosto e vino nella provincia negli ultimi anni mediamente assomma a 1.082 mila ettolitri e corrisponde al 16% della produzione regionale. La produzione provinciale è costituita per il 35% da mosto e per il 65% da vino: la produzione di mosto presenta un’incidenza consistentemente più elevata rispetto alla media regionale (23%), la produzione di vino è costituita dal 69% di vini bianchi e dal 31% da vini rossi ed è in linea con la produzione regionale. Proprietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A) Nell’ultimo ventennio diversi studi hanno mostrato una significativa riduzione dell’incidenza delle malattie cardiovascolari da un moderato consumo di vino.

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In Francia, la cui popolazione si alimenta con una dieta a rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari (ricca di grassi saturi) si riscontra di contro una bassa incidenza di tali patologie, perché i francesi sono discreti consumatori di vino. La differenza tra il vino rosso e quello bianco consiste principalmente nel fatto che il primo contiene una maggiore concentrazione di composti polifenolici. Tra i polifenoli chimicamente più attivi ricordiamo: il trans-resveratrolo che è il rappresentante più noto di alcuni principi attivi individuati nel vino e nelle uve, chiamati stilbeni. Gli stilbeni vengono sintetizzati dalla vite sia nelle parti legnose( raspi, vinaccioli, tralci, fusti, radici), sia nelle parti morbide( foglie, bucce degli acini). La loro sintesi è associata a condizioni di stress, che possono essere dovuti sia a fattori biotici come le infezioni fungine (Botrytis cinerea, Plasmopara viticola, Rhizopus stolinefer, Oidium tuckeri), che abiotici (radiazioni UV, ozono, fertilizzanti,, ferite, caldo, etc). L‘interesse per il trans- resveratrolo è dovuto alla sua azione anti-aggregante piastrinica, anti-infiammatoria, vasodilatatrice ed infine all’attività preventiva nei confronti dei tumori. Dall’attività di ricerca del Co.Ri.Bi.A (Consorzio di Ricerca sul Rischio Biologico in Agricoltura) si è messo in evidenza per la prima volta nei vini siciliani la presenza di un particolare stilbene: il piceatannolo. Il piceatannolo è uno stilbene con una rilevante attività biologica simile a quella del resveratrolo, ma agisce a concentrazioni più basse e risulta molto attivo nei confronti delle leucemie. Particolare importanza, per la sua rilevanza tossicologica ,è stata rivolta ad alcune micotossine prodotte dal metabolismo secondario di funghi o muffe. Le micotossine sono sostanze tossiche per la salute umana che possono agire a livello dei vari sistemi ed apparati (epatico, renale, neurologico, gastrointestinale, immunologico) e possono avere azioni genotossiche, cancerogene e teratogene. Tra le micotossine riveste una particolare importanza, l’Ocratossina A (OTA), prodotta da funghi del genere Aspergillus e Penicillum, in particolare A. ochraceus e P. verrucosum.

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Composizione chimica e valore energetico *

acqua 89.8%

alcol 10.2 %

energia 70 kcal

sodio 4 mg

potassio 61 mg

ferro 1 mg

calcio 9 mg

fosforo 74 mg

tiamina 0.01 mg

riboflavina 0.05 mg

*Dati dell’Istituto Nazionale della Nutrizione riferiti a 100 g di prodotto

Marketing provinciale (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) La produzione media di vino bianco di 488 mila ettolitri è composta per il 70% da vino comune, per il 26% da vino IGT e per il restante 4% da vino DOC ed è in linea con la produzione regionale. La produzione media di vino rosso di 219 mila ettolitri è composta per il 26% da vino comune, per il 70% da vino IGT e per il restante 5% da vino DOC e si differenzia dalla produzione regionale per la maggiore consistenza del vino IGT (43% nella regione) e DOC (3% nella regione). Al 2005, le imprese vitivinicole nella provincia di Palermo risultano 52, equivalenti al 12% delle imprese vitivinicole regionali. Le imprese palermitane sono costituite da 4 organismi associativi (di cui 2 cantine sociali) e da 48 imprese singole. Tra le imprese singole si contano 5 imprese fra le 18 maggiori imprese vitivinicole siciliane. Queste imprese palermitane, fra le più prestigiose a livello internazionale, producono il 21% della produzione vinicola confezionata regionale, che complessivamente assomma a circa 1.100 mila ettolitri, mentre le 18 maggiori imprese vitivinicole siciliane, insieme producono il 62% del vino confezionato regionale. Nel complesso nella provincia di Palermo si registra rispetto alla elevata produzione di qualità della Sicilia, una performance delle imprese e della produzione migliore. La produzione a Denominazione di Origine Controllata (DOC) che per la provincia assomma a circa 30.000 mila ettolitri (18% della corrispondente produzione regionale) è costituita per il 60% da vino bianco e per il 40% da vino rosso. Palermo conta ben 4 vini DOC (rispetto ai 22 DOC regionali), 2 vini IGT zonali (rispetto ai 5 regionali) e l’IGT Sicilia. La produzione DOC provinciale maggiore si ha con l’Alcamo DOC con circa 8.000 ettolitri (nel complesso dell’area DOC circa 20.000 ettolitri), segue la DOC Contessa Entellina con circa 5.000 ettolitri, la DOC Monreale con circa 4.000 ettolitri e infine la Contea di Sclafani con poco meno di 4.000 ettolitri.

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La produzione IGT di poco meno di 280 mila ettolitri è quasi esclusiva della indicazione Sicilia, essendo le IGT Fontanarossa di Cerda e Valle Belice poco o nulla ancora utilizzate.

8.3.1. La D.O.C. Alcamo (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

La D.O.C. Alcamo è stata rivisitata nel disciplinare di produzione con decreto del Ministero per le Politiche Agricole il 30 settembre 1999; la sua istituzione però con decreto del Presidente della Repubblica risale al 1972. La denominazione Alcamo è riservata alle seguenti tipologie di vini: bianco, anche spumante, bianco classico, vendemmia tardiva, Catarratto, Ansonica o Inzolia, Grillo, Grecanico, Chardonnay, Müller Thurgau, Sauvignon, rosato, anche spumante, rosso, anche riserva e novello, Calabrese o Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah. La base ampelografica è costituita: per i vini bianchi, bianco spumante e vendemmia tardiva dai vitigni Catarratto per non meno il 60%, Ansonica o Inzolia, Grillo, Grecanico, Chardonnay, Müller Thurgau e Sauvignon, da soli o congiuntamente, fino ad un massimo del 40%, uno o più vitigni raccomandati o autorizzati per la provincia fino ad un massimo del 20%; per il vino classico dai vitigni Catarratto bianco comune e/o bianco lucido per non meno dell’80% e dai vitigni raccomandati o autorizzati per la provincia fino ad un massimo del 20%; per il vino rosato e rosato spumante con vinificazione in bianco dai vitigni Nerello Mascalese, Calabrese o Nero d’Avola, Sangiovese, Frappato, Perricone, Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah, da soli o congiuntamente; per il vino rosso, rosso novello e rosso riserva dal vitigno Calabrese o Nero d’Avola per non meno del 60%, dai vitigni Frappato, Sangiovese, Perricone, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, da soli o congiuntamente per non oltre il 40%, da uno o più vitigni raccomandati o autorizzati per la provincia fino un massimo del 10%; per i vini monovarietali Catarratto, Ansonica o Inzolia, Grillo, Grecanico, Chardonnay, Müller Thurgau, Sauvignon, Calabrese o Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah dai rispettivi vitigni per non meno dell’85%, da uno o più vitigni raccomandati o autorizzati per la provincia fino un massimo del 15%. La zona di produzione delle uve ricade nelle province di Trapani e Palermo e comprende i terreni vocati alla qualità di tutto il territorio di Alcamo e di parte dei territori dei comuni di Calatafimi, Castellammare del Golfo, Gibellina, in provincia di Trapani, e di Balestrate, Camporeale, Monreale, Partinico, San Cipirello e San Giuseppe Jato in provincia di Palermo.

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La resa massima di uva per ettaro di coltivazione specializzata ammessa per la produzione dei vini non deve essere superiore a 12 tonnellate per i vini bianchi e rosati, a 11 tonnellate per i vini rossi e 8 tonnellate per il vino di vendemmia tardiva. Nelle annate eccezionalmente favorevoli la resa può essere superiore fino ad un massimo del 20%. Il titolo alcolimetrico minimo dei vini bianchi e rosati è dell’11%, dei vini rossi dell’11,5%, ad eccezione dei tipi spumante per i quali è consentito il 9,5%, del vino vendemmia tardiva del 14%. Le operazioni di vinificazione, invecchiamento, arricchimento del titolo alcolimetrico e la spumantizzazione devono essere effettuate all’interno dei comuni ricadenti nella zona di produzione. La resa massima delle uve in vino, compresi gli arricchimenti, non deve essere superiore al 70% per tutti i tipi, ad eccezione dei rosati per i quali il limite è del 65% e della vendemmia tardiva per il quale è del 60%. Pertanto la resa massima di vino per ettaro non potrà superare gli 84 ettolitri per i tipi bianchi, 77 ettolitri per i tipi rossi, 78 ettolitri per i tipi rosati e 48 ettolitri per il tipo vendemmia tardiva. L’immissione al consumo dei vini va fatta esclusivamente in contenitori di vetro. L'Alcamo bianco si accompagna bene a minestre dense di verdura, paste asciutte con sughi di pesce, pesce azzurro e di lago al forno o alla griglia, frittate contadine e formaggi ovini freschi. Viene servito a 12-14°C, in un calice svasato in modo da permettere una maggiore concentrazione dei profumi e va consumato preferibilmente entro un anno dalla vendemmia. Il rosso va servito in calici per vini rossi giovani ad una temperatura di 16–18°C e bevuto entro due–tre anni dalla vendemmia. E' indicato assieme a formaggi stagionati, come il pecorino, a piatti a base di carne di agnello e a salumi.

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8.3.2. La D.O.C. Contessa Entellina (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

La D.O.C. Contessa Entellina è stata rivisitata nel disciplinare di produzione con decreto del Ministero Risorse Agricole del 19 agosto 1996, sostituendo il decreto istitutivo del 25 luglio 1995. La denominazione Contessa Entellina è riservata ai seguenti vini bianchi, rossi e rosati: bianco, Grecanico, Chardonnay, Sauvignon, Ansonica, rosso, Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot nero, rosso riserva, rosato, Ansonica vendemmia tardiva.

La composizione ampelografica è costituita: per il vino Contessa Entellina bianco dal vitigno Ansonica (o Inzolia) per non meno del 50%, dai vitigni, presenti in ambito aziendale, Catarratto bianco lucido, Grecanico dorato, Chardonnay, Müller Thurgau, Sauvignon, Pinot bianco, Grillo, da altri vitigni, presenti in ambito aziendale, raccomandati e/o autorizzati per la provincia fino ad un massimo del 15%; per i vini monovarietali Chardonnay, Grecanico, Sauvignon, Anzonica dai rispettivi vitigni per almeno 85%, dai vitigni raccomandati e/o autorizzati per la provincia fino ad un massimo del 15%; per il vino rosso e rosato dai vitigni Calabrese e/o Syrah per non meno del 50% e per la restante percentuale dei vitigni a bacca nera raccomandati e/o autorizzati per la provincia, presenti in ambito aziendale; per i vini monovarietali Cabernet Sauvignon, Pinot nero e Merlot dai rispettivi vitigni per non meno dell’85%, dai vitigni raccomandati e/o autorizzati per la provincia fino ad un massimo del 15%. Nei bianchi, il colore è giallo paglierino, ha profumo delicato, fruttato, caratteristico e sapore secco, vivace e fresco con gradazione alcolica minima di 11 gradi. I Rossi sono associati a preparazioni molto strutturate, ha colore rosso, profumo intenso, vinoso, caratteristico e sapore asciutto e vellutato con gradazione non inferiore agli 11,5 gradi. Il Rosato, infine, si sposa benissimo a salumi, primi e secondi di carne, verdure e formaggi poco stagionati; ha colore rosato tendente all'arancio, profumo fine, caratteristico e intenso con gusto asciutto, fragrante e vellutato con gradazione minima di 11 gradi. Per i vini rossi la fermentazione del mosto avviene a contatto con la vinaccia, che durante questa fase rilascia antociani e tannini, e può essere breve (2 o 3 giorni) per i

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vini rossi giovani o prolungata (oltre 15 giorni) per quelli di grande struttura destinati a un invecchiamento più o meno lungo. Seguono la fase della svinatura, con la separazione della vinaccia dal mosto, i travasi, l’affinamento e l’invecchiamento. Al termine di questo periodo, che può essere anche molto prolungato, vengono stabilizzati e, infine, imbottigliati. Il metodo di produzione dei bianchi è tecnicamente molto più delicato di quanto non sia la vinificazione in rosso, in quanto i vini bianchi sono più facilmente soggetti ad alterazioni microbiche e a fermentazioni anomale, nel caso che la loro fermentazione non sia correttamente eseguita. Generalmente essa mira alla fermentazione del mosto fuori dal contatto delle bucce. Il mosto subisce poi la sfecciatura, processo con cui si allontanano le particelle in sospensione; si procede quindi con la solfitazione del mosto, che viene lasciato a fermentare a una temperatura che non deve superare i 20°C. Al termine avviene la svinatura con i travasi che consentono l’illimpidimento del vino. Ultimati i travasi, il prodotto è pronto per l’imbottigliamento. La vinificazione del Contessa Entellina D.O.C. Rosato prevede la rottura dell’acino e non dei raspi, che arricchirebbero il mosto di quantitativi eccessivi di sostanze coloranti e tanniche. Il mosto ottenuto viene messo nei fermentini, dove subisce una breve macerazione e una modesta solfitazione. Al termine di queste operazioni, il vino viene separato dalle vinacce con la svinatura e sottoposto a travasi; viene quindi stabilizzato e passato all’imbottigliamento. La zona di produzione è il territorio del comune di Contessa Entellina. La resa massima di uve non deve essere superiore a 12 tonnellate per ettaro. La resa massima di uva in vino non deve essere superiore al 70%. Il titolo alcolimetrico minimo naturale è di 10,5 gradi per i vini bianchi e rosati e di 11 gradi per i vini rossi. I vini rossi possono essere qualificati con la menzione riserva se sottoposti ad un periodo di maturazione ed affinamento di 24 mesi di cui almeno 6 mesi in recipienti di legno. Il vino Anzonica proveniente da uve appassite sulla pianta e vinificate in recipienti di legno e affinate per almeno 6 mesi in fusti di legno della capacità di 500 litri può utilizzare la menzione vendemmia tardiva; il titolo alcolimetrico minimo naturale è di 13 gradi e la resa dell’uva appassita non deve essere superiore a 80 quintali per ettaro, mentre la resa dell’uva in vino non deve superare il 60%. Il vino non può essere immesso al consumo prima di 18 mesi a decorrere dal novembre dell’anno di vinificazione. Le operazioni di vinificazione, invecchiamento, affinamento, debbono essere effettuate nel comune di Contessa Entellina e nei territori dei comuni limitrofi, su autorizzazione del Ministero tali operazioni possono essere effettuate nel territoro del comune di Marsala. Le operazioni di imbottigliamento sono consentite nel territorio delle province di Palermo, Agrigento e Trapani.

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Per l’immissione al consumo i recipienti di vetro con capacità inferiore o uguale a 3 litri devono avere il tappo di sughero; è consentito il tappo a vite per le bottiglie con capacità inferiore o uguale a 0,375 litri; è vietato l’uso del tappo a corona.

8.3.3. La D.O.C. Contea di Sclafani (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

La D.O.C. Contea di Sclafani è stata riconosciuta con decreto del Ministero Risorse Agricole del 21 agosto 1996, modificato con decreto del 23 settembre 1996. La denominazione Contea di Sclafani è riservata ai seguenti vini bianchi, rossi e rosati: rosso, rosato, bianco, Ansonica o Inzolia, Catarratto, Grecanico, Grillo, Chardonnay, Pinot bianco, Sauvignon, Nerello Mascalese, Nero d’Avola o Calabrese, Perricone, Cabernet Sauvignon, Pinot nero, Syrah, Merlot, Sangiovese, dolce, dolce vendemmia tardiva e novello. La composizione ampelografica è costituita: per il vino bianco dai vitigni Catarratto, Inzolia (o Ansonica) e Grecanico congiuntamente o disgiuntamente per non meno del 50%, da vitigni raccomandati e/o autorizzati per la provincia per la restante percentuale; per il vino rosso dai vitigni Nero d’Avola e Perricone congiuntamente o disgiuntamente per non meno del 50%, dai vitigni raccomandati e/o autorizzati per le province di Palermo, Caltanissetta, Agrigento, per la restante percentuale; per il vino rosato dal vitigno Nerello Mascalese per almeno il 50%, dai vitigni raccomandati e/o autorizzati per le province di Palermo, Caltanissetta, Agrigento, per la restante percentuale; per i vini monovarietali Ansonica o Inzolia, Catarratto, Grecanico, Grillo, Chardonnay, Pinot bianco, Sauvignon, Nerello Mascalese, Nero d’Avola o Calabrese, Perricone, Cabernet Sauvignon, Pinot nero, Syrah, Merlot, Sangiovese, dai rispettivi vitigni per non meno dell’85%, dai vitigni raccomandati e/o autorizzati per le rispettive province per la restante percentuale. La zona di produzione in provincia di Palermo sono i territori dei comuni di Valledolmo, Caltavuturo, Alia, Sclafani Bagni, parte dei territori dei comuni di Petralia Sottana, Castellana Sicula, Castronovo di Sicilia, Cerda, Aliminusa, Montemaggiore Belsito, Polizzi Generosa; in Provincia di Caltanissetta l’intero territorio dei comuni di Vallelunga Pratameno e Villalba; in provincia di Agrigento, parte del territorio del comune di Cammarata.

Le rese massime per ettaro in uve ed in vino ed il titolo alcolimetrico minimo per i vini sono le seguenti: per il rosso 10 t/ha, 70 hl/ha, 11%; per il rosato 11 t/ha, 77 hl/ha, 10,5%; per il bianco 12 t/ha, 84 hl/ha, 10,5%; per i vini monovarietali Ansonica o

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Inzolia, Catarratto, Grecanico, Grillo 12 t/ha, 84 hl/ha, 10,5%; per i vini monovarietali Chardonnay, Pinot bianco, Sauvignon 10 t/ha, 70 hl/ha, 10,5%; per il Nerello Mascalese 11 t/ha, 77 hl/ha, 10,5%; per i vini monovarietali Nero d’Avola o Calabrese, Perricone, Cabernet Sauvignon, Pinot nero, Syrah, Merlot, Sangiovese, 10 t/ha, 70 hl/ha, 11%. Le operazione di vinificazione devono essere effettuate nell’ambito dei territori dei comuni facenti parte della zona di produzione. Per i vini rossi la fermentazione del mosto avviene a contatto con la vinaccia, che durante questa fase rilascia parte delle sostanze in essa contenute, quali antociani e tannini. Questa operazione può essere breve (2 o 3 giorni) per i vini rossi giovani o prolungata (oltre 15 giorni) per quelli di grande struttura destinati a un invecchiamento più o meno lungo. Seguono la fase della svinatura, con la separazione della vinaccia dal mosto, i travasi, l’affinamento e l’invecchiamento. Al termine di questo periodo, che può essere anche molto prolungato, i rossi vengono stabilizzati e, infine, imbottigliati. Il metodo di produzione dei bianchi è tecnicamente molto più delicato di quanto non sia la vinificazione in rosso, in quanto sono più facilmente soggetti ad alterazioni microbiche e a fermentazioni anomale, nel caso in cui la loro fermentazione non sia correttamente eseguita. Generalmente essa mira alla fermentazione del mosto fuori dal contatto delle bucce. Il mosto subisce poi la sfecciatura, processo con cui si allontanano le particelle in sospensione; si procede quindi con la solfitazione del mosto, che viene lasciato a fermentare a una temperatura che non deve superare i 20°C. Al termine avviene la svinatura con i travasi che consentono l’illimpidimento del vino. Ultimati i travasi, il prodotto è pronto per l’imbottigliamento. La vinificazione del Contea di Sclafani D.O.C. Rosato prevede la rottura dell’acino e non dei raspi, che arricchirebbero il mosto di quantitativi eccessivi di sostanze coloranti e tanniche. Il mosto ottenuto viene messo in recipienti detti fermentini, dove subisce una breve macerazione e una modesta solfitazione. Al termine di queste operazioni, il vino viene separato dalle vinacce con la svinatura e sottoposto a travasi; viene quindi stabilizzato e passato all’imbottigliamento. I vini rossi con un titolo alcolimetrico minimo di 12 gradi e invecchiati per oltre due anni possono fruire della menzione riserva. La denominazione può essere usata anche per vini spumanti. I vini ottenuti da uve appassite sulla pianta, con vinificazioni in recipienti di legno e con affinamento di almeno 6 mesi in fusti di legno di capacità massima di 500 litri possono utilizzare la menzione vendemmia tardiva. Il vino deve avere un titolo alcolimetrico minimo del 13% e non può essere immesso al consumo prima di 18 mesi. La resa di uva peraltro non può superare 80 quintali e la resa di uva non deve essere superiore al 60%.

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Il Contea di Sclafani Bianco e i vini monovarietali bianchi rientranti in questa D.O.C. si abbinano ad antipasti, piatti a base di pesce e a base di uova e vanno serviti a una temperatura di 8-12 °C in calici svasati. La versione Rosso e i vini monovarietali rossi vanno degustati assieme a preparazioni abbastanza strutturate, in particolare secondi di carne, grigliate, salumi piccanti e cacciagione e vanno serviti a una temperatura di 16 -18 °C in calici ballon, mentre la versione Rosato si accompagna bene con salumi, secondi di carne, verdure e formaggi freschi e va servito in calici ampi a una temperatura di 12-14 °C. Il Contea di Sclafani Spumante Bianco o Rosato si sposa perfettamente con ostriche e antipasti di pesce e si consiglia di servirlo a una temperatura di 8-10°C in bicchieri flûte. La tipologia Dolce e Dolce Vendemmia tardiva va servito a fine pasto in calici piccoli a 12-14°C. Il Novello infine va abbinato con primi, carni bianche, torte di verdura, salumi e formaggi freschi, servito in calici allungati a una temperatura di 14 -16 C°. La denominazione può essere utilizzata anche per i vini novelli. I vini confezionati in recipienti di vetro con capacità inferiore ai 3 litri devono avere il tappo di sughero; le bottiglie con capacità inferiore o uguale a 0,375 litri possono essere chiuse con il tappo a vite.

8.3.4. La D.O.C. Monreale (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

La D.O.C. Monreale è stata riconosciuta con decreto del Ministero Politiche Agricole del 2 novembre 2000. La denominazione Monreale è riservata ai seguenti vini bianchi, rossi e rosati: rosso, rosato, bianco, Ansonica o Inzolia, Catarratto, Grillo, Chardonnay, Pinot bianco, Pinot nero, Nero d’Avola o Calabrese, Perricone, Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot, Sangiovese, vendemmia tardiva, novello, rosso riserva, bianco superiore. La composizione ampelografica è costituita: per il vino bianco dai vitigni Catarratto e Ansonica o Inzolia per almeno il 50%, dai vitigni a bacca bianca raccomandati e/o autorizzati per la provincia per la restante parte, con un massimo per il Trebbiano toscano del 30%; per il vino rosso dai vitigni Calabrese o Nero d’Avola e Perricone per almeno il 50%, dai vitigni a bacca nera raccomandati e/o autorizzati per la restante percentuale; per il vino rosato dai vitigni Nerello Mascalese, Perricone, Sangiovese per almeno il 70%, dai vitigni a bacca nera raccomandati e/o autorizzati per la provincia per la restante parte; per i vini monovarietali Ansonica o Inzolia, Catarratto, Grillo, Chardonnay, Pinot bianco, Pinot nero, Nero d’Avola o Calabrese, Perricone, Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot, Sangiovese è riservata ai vini ottenuti dai vigneti composti dai rispettivi vitigni per almeno l’85%, dai vitigni a bacca di colore analogo raccomandati e/o autorizzati per la provincia per la restante percentuale. La zona di produzione è il territorio di Monreale fatta eccezione per alcune aree a nord ed a sud-est delimitate nel disciplinare, il territorio del comune di Piana degli Albanesi,

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fatta eccezione dell’area delimitata a nord, i territori dei comuni di Camporeale, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Santa Cristina Gela, Corleone e Roccamena. Le rese massime per ettaro in uve e in vino ed il titolo alcolimetrico minimo per i vini sono i seguenti: rosso t/ha 12, hl/ha 84, 11,5%; rosato, bianco, Ansonica o Inzolia, Catarratto, Grillo t/ha 12, hl/ha 84, 11%; Chardonnay t/ha 10, hl/ha 70, 12%; Pinot bianco t/ha 10, hl/ha 70, 11%; Pinot nero, Calabrese o Nero d’Avola, Perricone, Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot, Sangiovese t/ha 10, hl/ha 70, 12%; vendemmia tardiva t/ha 8, hl/ha 48, 13,5%. Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate nell’ambito delle zone sopra indicate; su autorizzazione del Ministero possono essere effettuate nell’ambito della provincia di Palermo. Le rese di uva in vino non devono essere superiori al 70%. I vini rossi provenienti da uve che assicurano un titolo alcolimetrico minimo naturale di 12,5% e con invecchiamento non inferiore a due anni possono utilizzare in etichetta la menzione riserva. I vini bianchi provenienti da uve che assicurano un titolo alcolimetrico naturale del 12,5% e sottoposti ad affinamento per almeno 6 mesi possono utilizzare in etichetta la menzione superiore. Il vino proveniente da uve bianche che abbiano subito un appassimento sulla pianta e sottoposto ad affinamento per almeno 6 mesi in fusti di legno di capacità massima di 500 litri può utilizzare la menzione vendemmia tardiva; le uve devono assicurare un titolo alcolimetrico minimo naturale di 13,5%. Il vino così ottenuto non potrà essere immesso al consumo prima di 12 mesi dal novembre dell’anno di vendemmia. La resa dell’uva appassita per ettaro non deve superare 8 tonnellate, per complessivi 48 ettolitri di vino finito. I vini con denominazione Monreale devono essere immessi al consumo in bottiglie di vetro con tappatura corrispondente ai tipi previsti dalle norme nazionali e comunitarie; per le bottiglie con capacità inferiore o uguale a 0,375 litri è consentita la chiusura con tappo a vite. La DOC Monreale ha operante il consorzio di tutela istituito con decreto MiPAF del 12 novembre 2004.

8.3.5. L’I.G.T. Sicilia (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

Poiché in provincia viene prodotta una consistente quantità di vino ad Indicazione Geografica Tipica (IGT) Sicilia, si riportano gli aspetti salienti del disciplinare che è stato approvato con decreto del Ministero delle Risorse Agricole del 10 ottobre 1995. L’indicazione Sicilia è riservata ai seguenti vini: bianchi, anche nelle tipologie frizzante e liquoroso; rossi, anche nelle tipologie frizzante, novello e liquoroso; rosati, anche nella tipologia frizzante. I vitigni devono essere quelli raccomandati e/o autorizzati nelle rispettive province della Sicilia. I vini monovarietali sono composti per almeno l’85% da uve dei corrispondenti vitigni e da uva di vitigni a bacca di colore analogo raccomandati e/o autorizzati fino ad un massimo del 15%.

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La produzione di uva per ettaro di vitigno specializzato non può superare 15 tonnellate per i vini bianchi e 13 tonnellate per i vini rossi e rosati. Il titolo alcolimetrico volumico naturale al minimo è del 10% per i vini bianchi e rosati, 10,5% per i vini rossi, 12% per i vini liquorosi. La resa massima dell’uva in vino finito e pronto per il consumo non deve essere superiore al 70% per i vini bianchi e rosati ed il 75% per i vini rossi. I vini ad IGT Sicilia all’atto dell’immissione al consumo devono avere il titolo alcolimetrico totale minimo di 10,5% per i vini bianchi e rosati, 12% per i vini rossi, 15% per i vini liquorosi. L’indicazione IGT Sicilia può essere utilizzata come ricaduta per i vini ottenuti da uve prodotte da vitigni iscritti negli albi dei vigneti dei vini a denominazione d’origine controllata.

8.3.6. L’I.G.T. Fontanarossa (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

L’IGT “Fontanarossa di Cerda” viene ottenuto nel comune di Cerda, in provincia di Palermo, ed è previsto nelle tipologie: bianco, rosso, rosato, Ansonica, Cabernet Sauvignon e Chardonnay, tutti anche nella tipologia frizzante, e novello per i rossi.

8.4. Valutazione nutrizionale dietetica del gruppo alimentare (a cura di Carlo Cannella e Giuseppina Colicci)

Il vino è un prodotto complesso, contenente numerosi composti (se ne conoscono più di 400), tra i quali il più abbondante è l’etanolo, molti dei quali vantano particolari funzioni fisiologiche e sono responsabili dell'aroma e del sapore di questa bevanda. Recentemente i polifenoli ed altre sostanze non nutrienti contenute nel vino (flavonoidi, tannini, stilbeni, catechine e antocianidine) sono state oggetto di studio per il loro potere antiossidante. L’effetto protettivo del vino è efficace solo se la dose di alcol non supera i 40 g al giorno per gli uomini (circa tre bicchieri) ed i 30 g per le donne (intorno ai 2 bicchieri) da bere durante i pasti. Il vino non è da sottovalutare dal punto di vista dell'apporto calorico: 100 ml di vino bianco apportano 70 kcal, di vino rosso 75 kcal e queste calorie derivano quasi esclusivamente dall'alcol. L’etanolo viene metabolizzato dal nostro fegato per produrre energia solo se è attivo il metabolismo del glucosio, per esempio dopo un pasto, altrimenti l’etanolo viene trasformato in grasso. La sensazione di calore conseguente all’ingestione di una bevanda alcolica è dovuta all’effetto vasodilatatore dell’alcool che esercita anche un’altra azione sul sistema nervoso ….. e se beviamo troppo vino, perdiamo il coordinamento motorio. Quindi il beneficio che l’uso moderato del vino arreca al nostro umore e alla percezione dei sapori dei cibi si trasforma negli effetti negativi della sbronza che in alcuni casi arrecano danno anche al nostro prossimo!

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8.5. Porzione di riferimento (a cura di Carlo Cannella e Giuseppina Colicci)

La porzione di riferimento (QB) è pari a 100 ml e se ne consiglia un consumo, sia per il vino che per la birra, di circa 7 QB settimanali, quindi un bicchiere di vino al giorno è concesso a tutte le persone adulte purché bevuto durante il pasto.

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9. IL MIELE (a cura di Giuseppe Greco)

Il miele è il prodotto alimentare che le api producono dal nettare dei fiori o dalla melata (secrezioni zuccherine originate dall'intervento degli insetti parassiti) che raccolgono, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell'alveare. In assenza di indicazioni specifiche di provenienza, il miele deve intendersi prodotto nei Paesi della Comunità Europea. Se l'origine del miele è totalmente o parzialmente di Paesi extracomunitari deve essere commercializzato riportando una delle seguenti diciture: "miele extracomunitario", "miscela di mieli comunitari ed extracomunitari", "miscela di mieli extracomunitari". Se il produttore vuole sottolineare che è di provenienza nazionale, può dichiarare "miele italiano". E' consentito completare la denominazione di vendita con un'indicazione relativa all'origine botanica. Il miele proveniente prevalentemente da un'unica specie botanica (monofloreale) potrà recare tale indicazione in etichetta ("miele di castagno", "miele di acacia", etc.); il miele proveniente da diverse specie botaniche potrà recare in etichetta l'indicazione "millefiori". Di seguito vengono elencati i principali tipi di miele e per ciscuno si riportano lo stato fisico, il colore, l'odore e il sapore. - Acacia: liquido trasparente; da bianco acqua a giallo paglierino chiaro; tenue

floreale; vellutato, di confetto, delicato, fine; - Agrumi: cristallizzato a granulazione variabile; bianco traslucido; caratteristico del

fiore di origine, fresco, penetrante; caratteristico e delicato, lievemente acidulo; - Castagno: liquido più o meno trasparente; da ambra ad ambra scuro con tonalità

rossastra; molto intenso, floreale balsamico caratteristico; forte, persistente, un po' tannico, retrogusto amaro;

- Colza: cristallizzato a granulazione fine, pastoso; bianco grigiastro o ambra chiarissimo; forte di idrogeno solforato (di cavoli); intenso, persistente, solforato;

- Corbezzolo: liquido o cristallizzato a granulazione fine, cremoso; ambra più o meno scuro con sfumature grigio verdastre; abbastanza forte, fresco, caratteristico di vegetale; intensamente amaro, persistente, fresco;

- Erica: cristallizzato a granulazione medio fine, per lo più denso; ambra aranciato più o meno intenso; floreale intenso caratteristico, fresco; forte floreale che ricorda l'anice, persistente;

- Eucalipto: cristallizzato fine, compatto, adesivo; da ambra chiaro ad ambra con tonalità grigio-verdastre; forte, caratteristico, pungente, intenso dei fiori; maltato, di cotto, aromatico persistente (effetto "mou");

- Fruttiferi (Prunus, Pirus, Malus): cristallizzato a granulazione fine, pastoso, fondente; ambra chiaro grigiastro o rossiccio; forte dei fiori di mandorle amare; fresco, intenso, leggermente amaro, caratteristico;

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- Girasole: cristallizzato a granulazione medio fine, compatto; giallo dorato più o meno intenso, vivace; leggero di vegetale che ricorda il polline fresco; neutro, asciutto, caratteristico aroma di polline;

- Lavanda: cristallizzato finissimo pastoso; ambra più o meno chiaro con riflessi giallognoli; intenso aromatico, fresco; caratteristico, fine, aromatico, leggermente vegetale;

- Leguminose (trifoglio, erba medica, lupinella, ginestrino): cristallizzato a granulazione fine, pastoso; da bianco opaco ad ambra chiaro; debole, leggermente floreale con qualche nota di fieno e/o di idrogeno solforato; delicato, abbastanza neutro, a volte acidulo e leggermente piccante in gola;

- Melata d'abete: liquido raramente cristallizzato; ambra scuro con riflessi rosso verdastri; intenso, balsamico-resinoso; forte, leggermente maltato, vellutato, balsamico-resinoso;

- Melata di latifoglie: cristallizzato a granulazione fine, ritardata; ambra-nocciola scuro opaco; forte, penetrante, a volte pesante; forte di vegetale fresco, caratteristico;

- Rosmarino: cristallizzato a granulazione medio fine; bianco o ambra chiarissimo; tenue ma caratteristico dei fiori di origine; molto fine, delicato, debolmente aromatico;

- Sulla: cristallizzato a granulazione fine, pastoso; bianco cera o ambra chiarissimo opaco; molto tenue, floreale, leggermente di fieno; neutro, senza alcun retrogusto;

- Tarassaco: cristallizzato a granulazione fine, compatto, adesivo; giallo limone vivo spesso con sfumature grigiastre; forte dei fiori, leggermente ureato, pungente; forte, persistente, piccante in gola, lievemente ureato;

- Tiglio: cristallizzato a granulazione fine, pastoso, un po' adesivo; da ambra giallognolo ad ambra scuro rossastro; forte, caratteristico, leggermente mentolato; balsamico, di mentolo, molto persistente.

9.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco)

La Separazione in fasi si manifesta nei mieli con elevato grado di umidità e/o in quelli conservati per troppo tempo e a temperatura troppo elevata: tale inconveniente si verifica quando la trama cristallina precipita verso il fondo del vasetto e affiora una fase liquida arricchita di acqua. Quando le Striature biancastre affiorano in superficie (schiuma) possono essere dovute alla risalita di minuscole bolle d'aria inglobate nella massa del miele durante la lavorazione oppure alla formazione di anidride carbonica. Mentre nel primo caso si tratta di un problema solo estetico, nel secondo questa formazione è indizio di un processo fermentativo in atto: il miele è in questo caso irrecuperabile. E' possibile distinguere tra i due tipi di difetti all'assaggio: un miele fermentato presenta al gusto un sapore leggermente acidulo. Se queste venature si notassero su tutta la superficie del

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vasetto sarebbe invece ipotizzabile l'avvenuta espulsione di aria in fase di cristallizzazione più o meno repentina (macchie di retrazione). Generalmente mieli sottoposti ad un riscaldamento eccessivo oppure conservati per troppo tempo e in condizioni non ottimali, tendono ad assumere un Cambiamento di colore ossia una colorazione più scura; gli aromi tipici si affievoliscono mentre compare l'odore e il sapore di caramello e un gusto più amaro dovuto alla degradazione del fruttosio. Si rilevano tre principali categorie di adulterazioni: o Aggiunta di zuccheri di altra origine; o Vendita di un miele di origine botanica diversa da quella dichiarata; o Vendita di mieli extracomunitari per mieli italiani.

9.2. I prodotti di qualità della Provincia di Palermo

La produzione del Miele delle Madonie è estremamente polverizzata con una prevalenza di aziende di piccole e medie dimensioni al cui interno vengono gestite tutte le fasi della filiera, dalla produzione, al confezionamento, alla commercializzazione del prodotto. Gli apicoltori locali sono semiprofessionisti ed hobbysti. La produzione delle aziende agricole dedite all’apicoltura è quasi esclusivamente focalizzata sulla produzione di miele. Tale scelta produttiva lascia inesplorate le potenzialità offerte da altri prodotti, come la pappa reale od il propoli, che, invece, potrebbero rappresentare interessanti opportunità da esplorare, sia per i volumi di domanda che per i prezzi. Ad una tale polverizzazione dell’offerta agricola si associa, spesso, la presenza di strutture produttive e dotazioni aziendali più votate alla naturalità degli esiti che ad una produzione di tipo industriale. Il comprensorio madonita riveste un ruolo fondamentale soprattutto nella produzione siciliana di miele di zagara, millefiori di agrumi ed aneto. Tali aziende sono per lo più ubicate nelle aree Parco più vicini alla costa (Cefalù, Collesano) o semplicemente agrumetate (Scillato). In questo caso l’apicoltura diventa importante anche per l’attività di impollinazione dei fiori di agrumi che riesce a garantire una migliore pezzatura dei frutti. Tale tendenza di servizio, con alveari destinati all’impollinazione, si è anche diffusa in zona. Il locale miele di zagara viene anche richiesto come miele da taglio. Molto pregiato è il miele di aneto di colore ambrato, la cui cristallizzazione tende al marrone, dal gusto abbastanza deciso è ricco di sali minerali. Esso si adatta per dolcificare le tisane. La pianta da cui deriva (Anethum graveolens) è di origine siciliana (anethum dal greco anethon, sta a significare probabilmente che questa pianta era originaria di Neto, in Sicilia, oggi chiamata Noto), erbacea annuale che può superare il metro d'altezza e che si adatta bene a tutti gli ambienti purchè al riparo dai forti venti, dalle gelate e dalle piogge persistenti.

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9.3. Valutazione nutrizionale dietetica del gruppo alimentare (a cura del Co.Ri.Bi.A.)

I componenti principali del miele sono il fruttosio, il glucosio, acqua, acidi organici, sali minerali, enzimi, aromi e molte altre. Contiene sostanze conservanti come: α-tocoferolo, ac. ascorbico, flavonoidi. Il miele è un alimento di elevato valore nutritivo, facilmente assimilabile. Il glucosio fornisce energia di immediato utilizzo, il fruttosio viene metabolizzato a livello epatico e costituisce una riserva energetica. Cento grammi di miele forniscono 304 Kcalorie ed un potere dolcificante elevato. Un’altra sua prerogativa è quella di avere un elevato potere dolcificante (superiore a quello del saccarosio) quindi a livello dietetico permette di realizzare un piccolo risparmio calorico. Il miele non è un alimento completo per la carenza di vitamine e protidi. Il miele appena estratto, possiede un'elevata gamma di fragranze ma tali peculiarità tendono a modificarsi nel tempo con l'insorgere di alcuni processi chimici accelerati dalla temperatura di conservazione. Nota da tempo è la sua azione antibatterica, dovuta alla sua elevata concentrazione zuccherina e al ph acido.

Composizione chimica e valore energetico *

* Dati dell’Istituto Nazionale della Nutrizione per 100 g di prodotto

Acqua 18 g

Proteine 0.6 g

Lipidi 0

Carboidrati 80.30

Zuccheri solubili 80.30

Fibre totali 0 mg

Sodio 11 mg

Potassio 51 mg

Ferro 0.5 mg

Calcio 5 mg

Fosforo 6 mg

Tiamina tracce

Riboflavina 0.04 mg

Niacina 0.30 mg

Vitamina C 1 mg

Energia 304 kcal

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10. L’ACQUA (a cura di Giuseppe Greco)

Gli esseri umani sono costituiti per 60-70% d’acqua e quindi una carenza di questo elemento potrebbe portare alla morte per disidratazione. Le acque naturali sono soluzioni saline, contengono, in altri termini, sali minerali la cui concentrazione è tanto maggiore quanto più prolungato è stato il contatto con le rocce. L'acqua minerale cosidetta "da tavola" deve essere imbottigliata così come fluisce dalla sorgente, deve essere microbiologicamente pura senza subire nessun trattamento fisico-chimico (filtrazione, clorazione, ozonizzazione), limpida, inodore, incolore e di sapore gradevole. In commercio si trovano: - Acque minimamente mineralizzate, con minor contenuto in sali per il rapido

assorbimento per via gastrica volta a favorire l’incremento della diuresi, l'eliminazione dell'acido urico e l'eliminazione dei prodotti di rifiuto del metabolismo;

- Acque oligominerali, con ridotta concentrazione di sali minerali, presenza in tracce di metalli pesanti, oligoelementi e quantità variabili di gas disciolti. Facilitano la diuresi, svolgono una funzione preventiva alla calcolosi renale ed un'azione locale sulla muscolatura delle vie urinarie favorendo il trasporto e l’espulsione di eventuali calcoli lungo le vie urinarie;

- Acque ricche in sali minerali, che per le peculiarità medicamentose (idropinoterapia), vanno assunte sotto il controllo medico al fine di evitare effetti indesiderati.

10.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco)

Tra i parametri di interesse chimico si annoverano il pH e la durezza. Il pH è il parametro che esprime rispettivamente l'alcalinità (>7) e l'acidità (<7); l'acqua ideale dovrebbe avere un pH neutro variando comunque di volta in volta in base alle necessità dell'organismo, ad es. per neutralizzare l'acidità gastrica sono consigliate acque con pH leggermente basico; comunque il valore di riferimento è compreso tra 6,5 e 7. La durezza si esprime quando i sali di calcio o di magnesio solubili, precipitano per ebollizione, sotto forma di carbonati insolubili. L'acqua dura non è adatta per la cottura dei legumi ma non si hanno prove che sia dannosa per l'organismo umano. Queste acque sono, al contrario, indicate nelle terapie contro l'osteoporosi infantile e senile. In commercio troviamo numerose acque minerali che possono avere composizione e caratteristiche diverse, è importante quindi scegliere l'acqua che più si adatta alle nostre esigenze. L’etichetta dell’acqua minerale deve pertanto contenere (vedi etichettatura degli alimenti): nome dell'acqua minerale naturale, luogo d’origine (imbottigliamento), termine minimo di conservazione, lotto; ed inoltre:

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- L’Analisi chimica per la definizione degli elementi caratteristici di ciascun acqua minerale naturale, espressi in milligrammi/litro;

- la Classificazione, in ragione del residuo fisso; - l’attestazione dell'assenza di germi pericolosi per la salute e degli indicatori

d’inquinamento per non esclude la presenza di una certa flora microbica naturale e tipica a dimostrazione che l'acqua minerale naturale non è stata trattata. Tale requisito è espresso nella dicitura “Microbiologicamente pura”;

- le Qualità salienti e cioè le proprietà favorevoli approvate dal Ministero della Salute; - il Contenuto ossidala quantità netta d’acqua minerale naturale nel contenitore. La

"e" sta ad indicare che si tratta di un volume a norma europea. - la Dicitura ambientale che invita con frase o disegno a non disperdere il contenitore

nell'ambiente dopo l'uso. - le Indicazioni per la corretta conservazione del prodotto. I contenitori delle acque minerali sono di tre tipi, vetro, plastica (PVC, PET), e poli-accoppiato o cartone politenato (brick). L’acqua è un prodotto le cui caratteristiche organolettiche possono mutare abbastanza facilmente; in particolare i contenitori, per lo più di PET, sono relativamente sensibili alle condizioni ambientali, per cui la luce, il calore, l’umidità, l’aria inquinata e un trasporto inadeguato, potrebbero modificare, anche considerevolmente, la qualità dell’acqua. Di conseguenza le istruzioni indicano che una buona conservazione si concretizza in un luogo fresco, pulito e privo di polvere, evitando: di poggiare per terra la bottiglia, la lunga esposizione alla luce solare, l’esposizione al calore ed i luoghi caldi, ambienti con aria inquinata, quali i garage. L’acqua minerale:

� va conservata al riparo dalla luce e da fonti di calore, in luogo fresco, asciutto, pulito, privo di odori e possibilmente sollevata da terra;

� va richiusa con cura , una volta aperta, la bottiglia, per mantenere le caratteristiche originarie;

� non va aggiunta al ghiaccio, che da un lato ne altera il gusto, dall'altro ne contamina la purezza originaria;

� non va travasata in caraffe o brocche, sia per ragioni igieniche, sia per non confonderla con quella di rubinetto.

L’acqua assume anche un ruolo importante nei seguenti diversi metodi di cottura: - il bagnomaria per ingredienti che soffrono il calore eccessivo e diretto. Si consiglia

l’acquisto di pentole apposite che possiedono le misure per incastrarsi perfettamente;

- la bollitura ossia la diretta esposizione al calore del fuoco che consente di evitare l'aggiunta di grassi di condimento, di aromatizzare i cibi con l'aggiunta d’odori e spezie nell'acqua di cottura;

- la cottura a vapore che è la variante della bollitura e cioè la trasmissione di calore per spostamento di un liquido o di un gas (come il vapore) che viene a contatto con il cibo. Favorisce il mantenimento di sali minerali e vitamine;

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- la salamoia che è una soluzione di acqua e sale che si usa per conservare ma anche per dare un sapore deciso ad alcuni alimenti;

- la salatura come nel caso della cottura della pasta: eccessive quantità di sale in acqua possono essere neutralizzate dalla cottura una patata che assorbe sale e aiuta a ripristinare il giusto equilibrio.

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11. LA PASTA (a cura di Giuseppe Greco)

La pasta è il prodotto che si ottiene da un impasto a base di semola o semolato di grano duro ed acqua che è sottoposto a processi di trafilatura oppure di laminazione e quindi a essiccamento. Esso è un prodotto alimentare che rappresenta sicuramente una caratteristica produzione italiana, nota ormai in tutto il mondo; tale fama è giustificata dalla eccellente qualità del prodotto nazionale, dall’esperienza dei nostri "maestri pastai" e dall’accostamento ai più svariati condimenti in grado di formare ricette apprezzate da tutti i consumatori. Le paste sono così classificate: Pasta di semola o di grano duro è la comune pasta secca che deriva dalle semole (o semolati) di grano duro ed acqua. In altri Paesi è consentito l'impiego di grano tenero: anche per questo motivo la pasta italiana è da considerarsi di maggior pregio. La pasta secca di buona qualità deve avere un colore giallo ambrato, spezzarsi con un suono secco mostrando una sezione non farinosa; osservata contro luce deve presentare colore omogeneo (assenza di punti neri, di punti bianchi, di bolle d'aria, di incrinature). Le Paste speciali sono prodotte esclusivamente con semole e ulteriori ingredienti alimentari consentiti, quali verdure (spinaci, pomodoro), malto o glutine, ripieni vari (ortaggi, carni, formaggi, uova, pesce,funghi); devono essere poste in commercio con la denominazione "pasta di semola di grano duro", seguita dalla specificazione degli ingredienti aggiunti. La Pasta all'uovo è prodotta esclusivamente con semole e con l'aggiunta di almeno 4 uova intere di gallina; devono essere poste in commercio con la sola denominazione di "pasta all'uovo". Le Paste dietetiche sono preparate con le stesse materie di base delle comuni paste, in parte sostituite con altri prodotti alimentari, spesso arricchite con vitamine e sali minerali; sono paste a ridotto contenuto o glucidico o proteico o calorico o in sodio, destinate a particolari soggetti (diabetici, intolleranti al glutine, malati di cuore). Le Paste fresche possono avere una umidità fino al 30% (anziché del 12,5%) e per esse è consentito l'uso di farina di grano tenero e di altri ingredienti (verdure e ripieni vari, come per le paste speciali secche); la pasta fresca all'uovo deve essere prodotta esclusivamente con uova fresche.

11.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco)

La pasta deve avere odore e sapore gradevoli, e non estranei (acidità, muffa, ecc..,); deve "tenere" la cottura, rimanendo consistente ed elastica (se il glutine è di buona qualità produce una rete attorno all'amido che altrimenti esce dalla pasta determinandone un aspetto colloso);deve assorbire acqua, aumentando di peso e di volume fino a due o tre volte, limitando le perdite nell'acqua di cottura.

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Esistono in commercio prodotti che, nell'aspetto sono del tutto simili alle normali paste (spaghetti, tagliatelle, rigatoni, ecc.) ma vengono denominati in etichetta come "preparati alimentari" o "specialità gastronomiche", senza riportare la menzione "Pasta". Si tratta di prodotti differenti dalla pasta, e pertanto non soggetti ai rigorosi requisiti qualitativi imposti dalla normativa per la produzione di questo alimento; perciò è bene stare attenti all'etichetta!!! Le paste all’uovo sono destinate però ad un pronto consumo perché di difficile conservazione; paste verdi confezionate con aggiunta di verdure passate; paste dietetiche con aggiunta di sostanze medicinali o ancora paste senza glutine destinate ai soggetti affetti da morbo celiaco. La pasta secca è un prodotto che, a causa della bassa quantità d’acqua contenuta, non presenta particolari problemi per la sua conservazione; la bassa quantità d’ acqua, infatti, è un deterrente alla proliferazione microbica. Al contrario, la conservabilità delle paste fresche varia tra i 3 - 4 giorni delle paste artigianali non confezionate ai 4 mesi di quelle industriali confezionate. Le paste fresche devono essere tenute in frigorifero ad una temperatura intorno ai 4°C. Ecco, di seguito, alcuni consigli per una corretta conservazione della pasta secca: � mantenere le confezione integra; � conservare in luogo fresco e privo di polvere; � evitare luoghi caldi; � controllare l’ eventuale presenza di insetti, all’interno; � la pasta delle confezioni, che si sono rotte in modo accidentale, può essere

conservata in un contenitore per alimenti, a chiusura ermetica; � gli avanzi cotti devono essere conservati, ben sigillati, a temperatura di frigorifero e

consumati entro le 24 ore successive; � in ogni caso la pasta fresca deve essere conservata a temperatura di frigorifero, in

confezioni integre o ben sigillate; � gli avanzi di pasta fresca cotta devono essere conservati con le stesse precauzioni

della pasta secca Le principali adulterazioni riguardano: � l’uso di farine di grano tenero: è la frode più comune e compromette le qualità

organolettiche della pasta,senza comportare implicazioni di carattere igienico-sanitario;

� l’impiego di altri cereali: tale frode può comportare un decadimento qualitativo, riducendo il costo di produzione;

� l’uso di semole di qualità scadente o avariate; � l’aggiunta di coloranti o di additivi chimici per imitare le paste speciali o le paste

all'uovo o per mascherare il tipo di sfarinato usato.

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11.2. Valutazione nutrizionale dietetica del gruppo alimentare

La pasta presenta un alto valore energetico, data l'elevata presenza di amido; un buon contenuto in proteine; una facile digeribilità e scarsità di scorie; un basso contenuto in grassi e vitamine; un eccesso di potassio, tra i sali minerali; un limitato contenuto di amminoacidi essenziali (lisina). La pasta di semola secca cruda contiene fino al 12,5% d’acqua e all’incirca il 61% d’amido, il 4% di zuccheri solubili, l’11% di proteine, l’1,4% di grassi e il 2,7% di fibra. Presenti alcune vitamine del gruppo B, in particolare la tiamina, la riboflavina e la niacina. Tra i minerali, elevato i livelli di potassio e fosforo, scarsi gli altri. Dal punto di vista energetico 100 grammi di pasta secca cruda equivalgono a circa 325 kcal. La pasta secca all’uovo fornisce una maggiore quantità di proteine (circa il 13%) e di grassi (circa 2,4%). L’apporto energetico supera le 360 kcal ogni 100 grammi. Dato che contengono più acqua, a parità di peso le paste fresche forniscono meno calorie delle versioni corrispondenti secche. I condimenti aggiunti integrano perfettamente le carenze del piatto di pasta base: l'aggiunta di condimenti (quali olio, burro, ecc.), copre la carenza di grassi; quella di formaggio porta gli amminoacidi essenziali ed il calcio carenti nella farina; il pomodoro o le verdure della salsa portano vitamine, specialmente se aggiunti crudi o appena sbollentati; ideale è l'abbinamento con le leguminose (pasta e ceci, pasta e fagioli, ecc.) in quanto queste apportano proprio gli amminoacidi essenziali e le vitamine mancanti nel frumento. Un miglioramento intrinseco si ha nelle paste all'uovo: si innalza il valore biologico delle proteine,aumenta il contenuto di calcio, ferro e fosforo, si incrementano i lipidi, il contenuto in vitamina B1 ed in vitamina A. Contrariamente a quanto spesso ritenuto, la pasta cotta "al dente" , cioè consistente in superficie ed all'interno, venendo masticata più a lungo risulta digerita più facilmente.

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12. IL RISO (a cura di Giuseppe Greco)

Il riso rappresenta l'alimento base nella dieta della maggior parte della popolazione mondiale. Esso prima di essere commercializzato subisce le sottostanti lavorazioni.

Si distinguono in: o Comuni, dai chicchi piccoli e tondi che richiedono una cottura di 12/13 minuti. Le

varietà di questa categoria sono: Originario, Balilla, Balilla grana grossa, Cripto (pregiata), Rubino;

o Semifini. Con chicchi tondi di media lunghezza o semi lunghi che richiedono una cottura 13/15 minuti si rilevano: Rosa Marchetti (pregiata), Lido (pregiata), Titanio, Monticelli, Italico, Maratelli, Piemonte, Padano, Romeo (pregiata), Vialone nano;

o Fini dai chicchi affusolati e semi affusolati cottura 14/16 minuti. Comprende le varietà: Ribe ( pregiata), Europa, R.B., Ringo, Romanico P. Marchetti, Radon, Veneria, Rizzotto, S. Andrea (pregiata), Vialone nero;

o Superfini con chicchi grossi lunghi e molto lunghi che esigono una cottura 16/18 minuti. Rientrano le varietà: Arborio, Redi, Volano, Roma, Razza 77, Baldo (pregiata), Carnaroli ( più pregiata in assoluto), Italpatna, Silla, Grinta.

12.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco)

L'etichetta di una confezione di riso riporta generalmente le seguenti indicazioni: - designazione (es. Riso); - classificazione (es. superfino); - varietà (es. arborio); - tasso di umidità (non sempre è

specificato); - informazioni sul trattamento e

modalità di impiego del prodotto

La consistenza (durezza) del chicco può essere riconosciuta esaminandone la superficie. Il riso presenta una macchietta bianca come incastrata nel chicco, che è invece lucido e quasi vitreo: più grande è la macchia (granuli di amido non cristallizzati

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che tendono a sciogliersi), più tenero è il riso (adatto per brodi, minestre e risotti); più piccola è la macchia, più duro è il riso (adatto quindi per insalate, piatti al forno, ecc.). Difendiamoci dalle frodi Le fordi che possono essere messe in atto riguardano: o Varietà diversa da quella indicata (di minor pregio); o Miscela di risi di diversa varietà; o Risi mal selezionati con percentuali elevate di chicchi rotti e elementi estranei; o Risi mal conservati o vecchi.

12.2. Valutazione nutrizionale dietetica del gruppo alimentare

Il riso è uno dei cereali più ricchi di amidi (oltre il 75%) e poveri di proteine (6-7%). Le proteine del riso hanno un discreto valore biologico (vanificato dalla scarsa quantità), contengono poca prolammina e quindi rendono impossibile la formazione del glutine e la conseguente lavorazione della farina. Il contenuto di lipidi è molto basso (3% nel riso integrale, ancora meno in quello bianco), come quello in vitamine e sali minerali, contenuti negli strati esterni che vengono asportati con la lavorazione. Il riso ha un indice di sazietà medio-basso, anche se maggiore di quello della pasta poiché, assorbendo una quantità di acqua maggiore, sviluppa un volume e un peso maggiore a parità di calorie.

Composizione chimica e valore energetico*

Parte edibile 100%

Acqua 12 g

Proteine 6,7 g

Lipidi 0,4 g

Carboidrati disponibili 80,4 g

Fibra totale 1 g

Energia in 332 Kal

Sodio 4 mg

Potassio 92 mg

Calcio 24 mg

Fosforo 94 mg

*Dati Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione per 100 g di parte edibile

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13. IL PANE (a cura di Giuseppe Greco)

Il pane è “il prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comune”. Il pane è detto comune se sono presenti solo gli ingredienti base e si differenzia in funzione della farina utilizzata: � pane di farina di grano tenero (nelle sue varianti 00, 0, 1, 2 e integrale); � pane di semola o semolato (o loro rimacine) di grano duro Il pane con ingredienti aggiunti rispetto a quelli base è definito speciale. Il pane prendere il nome del cereale aggiunto alla farina di grano tenero nel caso in cui sia stato preparato con miscele di farina d’altri cereali (soia, avena, segale, farro, orzo, mais, miglio). Per alcune varietà di pane s’impiega soltanto farina di cereali diversi dal grano. E’ permesso l’uso di un solo additivo, l’acido ascorbico.

13.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco)

Al giorno d'oggi veramente in pochi hanno il tempo di acquistare il pane ogni giorno o quasi, inoltre è sempre più difficile trovare del pane di qualità. Questo spinge i consumatori ad acquistare il pane in cassetta confezionato. In tali frangenti la forma di assunzione prevede l’acquisto in panifici di qualità e conservazione in congelatore. Il pane scongelato resta comunque buono, in alternativa si può conservare in frigo e riscaldare nel tostapane al momento del consumo. È bene scegliere un pane "comune", senza aggiunta di grassi. Minore è la popolazione che si avvia alla autoproduzione con macchina per il pane o a quella casalinga (manuale). E’ obbligatorio vendere il pane a peso, perciò la legge stabilisce per le diverse pezzature anche la quantità massima d’acqua che può essere presente a fine cottura Esiste in commercio il pane confezionato parzialmente cotto, anche in versione surgelata. Il pane è un alimento ricco d’acqua, pertanto, è possibile che, se non correttamente conservato, cambi facilmente i suoi caratteri organolettici principali ossia la consistenza e l’aroma, rendendolo da “gommosso”, fino a “duro”. In genere il pane è un alimento sicuro, in quanto alle temperature di cottura, con cui viene trattato in fase di preparazione, viene annullata la totalità degli agenti patogeni. Il pericolo deriva dalla probabile formazione di muffe, evento facile se il pane non è conservato correttamente. Il pane può essere conservato a temperatura ambiente, in luogo asciutto (evitare la formazione di muffe), ed è bene riporlo in appositi cestini o contenitori, al riparo dalla

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polvere e dagli insetti, eventualmente entro appositi sacchetti per alimenti, puliti, traspiranti fatti di carta per alimenti. E’ possibile, anche, conservarlo in frigorifero, dentro un sacchetto di carta traspirante, di quelli con microfori o comunque non chiuso ermeticamente. Nel caso di scorta di pane per più giorni si può congelare entro appositi sacchetti, in piccole quantità. E’ da evitare il congelamento del pane con molta aggiunta di grassi, scegliendo, quindi, un pane “comune”. Il pane può essere congelato una sola volta e deve essere scongelato in luogo pulito e non umido. Tanto il pane scongelato, quanto quello refrigerato, possono essere riscaldati nel tostapane al momento del consumo. Gli avanzi del pane, conservati con la cura appena descritta possono essere utilizzati per la produzione di molliche e di “farinature” superficiale.

13.2. I prodotti di qualità della Provincia di Palermo

Una tipicità dei pani della Provincia di Palermo è costituita dai quelli di grano duro. Tra questi si annoverano il Pane di Monreale ed il Pane di Piana degli Albanesi. Trattasi di pani caserecci di forma allungata (filone), ma è prodotta anche la forma rotonda. Le dimensioni sono di 35 cm lunghezza, 7-8 cm circa di altezza per il peso di Kg 1. La struttura finita del pane presenta una mollica compatta con piccoli alveoli omogeneamente distribuiti. L’impasto è realizzato con l’ausilio di lievito naturale (criscenti) ottenuto dall’impasto di semola, acqua, latte e succo di limone. La cottura avviene in forni a legna alimentati con rami ottenuti dalla potatura di alberi da frutto o con legna di ulivo, ilice e quercia. Ed ancora il Pane Nero di Polizzi Generosa. Realtà particolare è costituita dalla cv. Tumminia di colorazione nera, acquistata dai grossisti trapanesi per la fabbricazione artigianale del Pane nero del Belice.

grano duro della varietà Tumminia

Nei paesi della Valle del Belice si coltivava oltre alla "Russulidda" (tipico grano duro maggiormente in uso in tutta la Sicilia) proprio la "Tumminia" che ebbe una diffusione anche nel territorio polizzano. Questo grano era di piccole dimensioni, più scuro e con una bassa resa; il pane di "Tumminia" era di colore scuro ma era più gustoso e si

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manteneva morbido per parecchi giorni, per questo motivo le massaie preferivano panificare con questa farina durante il periodo estivo (le elevate temperature favoriscono infatti l'indurimento precoce del pane).

La panificazione con la farina di "Tumminia" è in disuso ma viene effettuata ancora con i metodi tradizionali grazie all'abilità di poche persone anziane.

13.3. Valutazione nutrizionale dietetica del gruppo alimentare

La composizione delle tipologie di pane presenta differenze più o meno rilevanti a seconda della farina e degli altri ingredienti presenti. Il grado di raffinazione della farina è il fattore determinante, almeno per il pane comune. Il pane comune fatto con la farina di grano più raffinata, quella 00, contiene circa il 59 % di amido, il 2% di zuccheri solubili, il 29% di acqua, l’8,6% di proteine, lo 0,4% di grassi e il 3,2% di fibra. La percentuale di sodio può variare. Rilevate anche piccole quantità di vitamine del gruppo B; molto scarsi i minerali. L’apporto calorico è pari a circa 290 kcal ogni 100 grammi. Il pane di farina integrale ha valori diversi: 48,5% di amido, 36,6% di acqua, 7,5% di proteine, 1,3 di grassi e il 6,5% di fibra. Il contenuto in vitamine del gruppo B e di minerali è maggiore rispetto al pane di farina 00 ma sempre basso. L’apporto calorico è pari a circa 240 kcal ogni 100 grammi. Il pane preparato con farine aventi un grado di raffinazione tra 00 e integrale presentano valori nutrizionali compresi tra quelli sopra indicati. Per quanto riguarda il pane speciale, va sottolineato che nei tipi all’olio, al burro, allo strutto e al latte il contenuto di grassi è ovviamente maggiore rispetto al pane comune. In questi casi l’apporto calorico per 100 grammi può essere solo moderatamente più elevato rispetto al valore del pane 00 poiché la percentuale d’amido presente risulta più bassa rispetto al pane comune.

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14. LE UOVA (a cura di Giuseppe Greco)

Le uova sono prodotte dalle ovaie e dalle ghiandole dell’ovidutto delle femmine di volatili e degli ovipari in genere. Un uovo di gallina ha un peso che mediamente si aggira intorno ai 60-62 g con oscillazioni molto ampie da meno di 45 g ad oltre 70 g. L'uovo è formato dal guscio, dall'albume e dal tuorlo. Le uova contengono circa due parti di albume e una parte di tuorlo. La maggior parte delle uova in commercio proviene da allevamenti intensivi specializzati, dove la gallina è mantenuta per tutto il ciclo produttivo in apposite gabbie, in cui si nutre e produce; questo permette una completa meccanizzazione, con risparmi in manodopera e riduzione delle superfici destinate alla produzione. Le uova possono però essere ottenute con sistemi di allevamento meno "industrializzati", di cui può essere fatta menzione sulla etichetta delle confezioni o addirittura sull'uovo. Le tipologie di allevamento individuate dalla norma e quindi utilizzabili nell'etichettatura sono in funzione dello spazio disponibile per l'animale e delle caratteristiche delle superfici ad esso destinate. Avremo pertanto uova di gallina allevate: - all'aperto con sistema intensivo 1 gallina per 10 metri quadrati terreno all'aperto

con vegetazione; - all'aperto 1 gallina per 2,5 metri quadrati terreno all'aperto con vegetazione; - a terra 7 galline per 1 metro quadrato terreno coperto di paglia o sabbia, ecc.; - in voliera 25 galline per 1 metro quadrato posatoi che offrono almeno 15 cm per

gallina. Le verifiche per il rilascio dell'autorizzazione alla iscrizione in etichetta delle forme di allevamento sopra descritte sono a cura dell'ICRF.

14.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco)

PROVE di FRESCHEZZA

Per un buono acquisto va letta bene l’etichetta. La Categoria A indica le uova fresche, in cui rientrano le Extra. La Categoria B le uova di seconda qualità. La Categoria C determina le uova declassate destinate all'industria.

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Relativamente al Peso abbiamo: - XL Grandissime 73 g. e più, - L Grandi 63 - 73 g; - M Medie 53 - 63 g; - S Piccole meno di 53 g. La freschezza si desume dalla data di preferibile consumo. La data indicata sugli imballaggi deve infatti essere al massimo di 28 giorni dalla data di deposizione. La data di deposizione si può esclusivamente indicare previa autorizzazione ministeriale. La dicitura "extra" sulle confezioni può essere usata solo per le uova di categoria A, commercializzate entro il settimo giorno dall'imballaggio. Può essere presente la data di deposizione sulle uova, tale indicazione è concessa solo a ditte autorizzate dal Ministero. È facoltativo, invece, riportare sulle etichette le seguenti indicazioni: il prezzo di vendita, il codice a barre, la data di imballaggio, la data di deposizione, l’origine delle uova indicazioni o simboli intesi a promuovere la vendita di altri prodotti, a condizione che non inducano in errore l’acquirente. Prima di consumare l’uovo è necessario accertarsi che sia fresco. L’uovo perde la sua freschezza perché il guscio lascia evaporare l’acqua dell’albume e del tuorlo determinando la diminuzione del peso e la formazione di una sacca piena d’aria. La presenza d’aria favorisce lo sviluppo di microrganismi che determinano il deterioramento delle sostanze nutritive. È possibile riconoscere la freschezza di un uovo, guardando attraverso la camera d'aria (che aumenta con il tempo), posta nell'estremità meno convessa, oppure, rompendo l'uovo in un piatto piano, per osservare eventuali variazioni del tuorlo e dell'albume o, infine attraverso l'osservazione di cui alla superiore figura. Ponendo in un bicchiere di litro d'acqua e 25 grammi di sale, immergendo l'uovo: 2. Uovo freschissimo (da bere): l'uovo si deposita sul fondo; 3. Uovo fresco (ha da 1 a 4 giorni): l'uovo galleggia sul fondo; 4. Uovo non fresco (ha circa 20 giorni): l'uovo galleggia in sommità, ma senza

affiorare in superficie; 5. Uovo vecchio (non commestibile): l'uovo galleggia in superficie. La corretta conservazione avviene: - conservando le uova in frigorifero, mantenendo l’imballo originale; - posizionandoli nei piani bassi del frigo; - avendo la massima cura dell’igiene dell’apposito vano, con sportello, destinato alle

uova; - utilizzandole prima possibile; - lavandole prima dell’ uso; - consumandole immediatamente per le preparazioni a “crudo”; - non mettendole a contatto con gli altri alimenti, cotti o crudi, presenti nel frigorifero.

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Le frodi che vengono esercitate riguardano naturalmente le alterazioni di alcuni parametri ricompresi nella etichettatura e cioè manipolazione della data di preferibile consumo; della categoria di peso; della freschezza (uova "frigo conservate"); vendute come fresche. Non è neanche rara la frode sulla presentazione del prodotto con la vendita di uova imbrattate e/o rotte.

14.2. Uso culinario

Utilizzato direttamente o nella preparazione di cibi più elaborati (dall'antipasto al dolce), ed anche nei liquori, l'uovo (di gallina) è da tempi remoti considerato un alimento completo. Le principali utilizzazioni culinarie sono: alla coque; bazzotte o mollette; sode; in camicia; strapazzate e Omelettes.

14.3. Valutazione nutrizionale dietetica del gruppo alimentare

Dal punto di vista nutrizionale l'uovo è un alimento fondamentale per l'elevato valore biologico (quantità di proteina sintetizzata dall'uomo partendo da 100 grammi di proteina ingerita) delle proteine in esso contenute (93 %) e per la presenza di grassi, di vitamine e di sali minerali. I pesi medi relativi alle varie parti dell'uovo sono i seguenti: tuorlo 17 g =29,8%: albume 33 g =57,9%; parte non edibile 7 g =12,3%. Il guscio è poroso ed è permeabile ai gas. Il guscio è la struttura più resistente dell'uovo, ed è costituito da carbonato di calcio (93,7%) e di fosforo sottoforma di anidride fosforica (0,8%) e da sostanze organiche (4,1%). Nel tuorlo sono contenute le proteine e i lipidi (colesterolo) mentre nell’albume sono presenti circa l’88% di acqua, numerose proteine, un piccolo quantitativo di sali minerali e carboidrati. L'albume è costituito principalmente da proteine, è sostanzialmente privo di grassi e contiene discrete quantità di vitamine del gruppo B, importanti per la produzione di alcuni enzimi, sostanze naturali che permettono o accelerano i processi di trasformazione dei nutrienti. Il bianco fornisce anche sodio e potassio, minerali che intervengono nei meccanismi di regolazione della pressione sanguigna e dell'equilibrio dei liquidi nei tessuti e nel controllo della contrazione muscolare. Per contro, è quasi privo di ferro e contiene pochissimo calcio. Il tuorlo contiene, oltre alle proteine e a differenza del bianco, anche i lipidi. vi sono anche vitamine e sali minerali, indispensabili per il corretto funzionamento dell'organismo. Tra le prime, la vitamina A che favorisce la crescita, la vitamina E e D, che svolgono un ruolo importante nel processo di assorbimento del calcio e della formazione delle ossa. Tra i minerali ci sono il fosforo, calcio e ferro. La digeribilità dell’uovo varia in funzione della cottura: - 1 ora e 45 minuti se preparate bollite alla "coque" (massimo 2 minuti dall'inizio del

bollore);

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- 2 ore e 15 minuti se ingerite crude; - 2 ore e 30 minuti se cotte al burro; - 3 ore per le uova sode o in frittata.

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15. LA MANNA DI POLLINA. UN PRODOTTO NATURALE D’USO FARMACEUTICO (a cura

di Giuseppe Greco)

La coltivazione del frassino da manna, le cui proprietà terapeutiche della stessa manna erano ben note al maestri della scuola salernitana del 1500, risale presumibilmente alla dominazione araba (IX-XI sec. d.C.). Il più antico documento in cui è menzionata la manna siciliana é un diploma del Vescovo di Messina del 1080. La manna - preparata come decotto, estratto fluido, infuso, polvere, tintura – presenta effetti lassativi, purgativi. espettoranti, facilitando la produzione e l’espulsione della bile. Il frassineto ha sempre assunto un ruolo rilevante nel territori collinari e montani del massiccio montuoso delle Madonie dove, secondo i dati del Verzera, nel 1925 erano coltivati 4.430 ettari in coltura specializzata. In tali zone, contrariamente a quanto è avvenuto nelle altre località, la produzione si è mantenuta stabile fino agli anni '50.

Successivamente la crisi innescata dall'immissione sul mercato della mannite ottenuta dai sottoprodotti degli zuccherifici, ha determinato anche in questa zona una drastica contrazione della coltura. Nel mondo attualmente, la coltivazione del frassino per la produzione della manna è limitata all'areale dei Comuni Castelbuono e Pollina in provincia di Palermo. Qui esiste l'ultima generazione di frassinicoltori, che ancora coltiva circa 200 Ha, mantenendo in vita il prezioso patrimonio colturale e culturale legato al mondo dell'antico mestiere dello "Ntaccaluóru". La manna di frassino si ottiene dalla coltivazione di due specie appartenenti al genere Fraxinus: il F. ornus, detto comunemente Orniello o Amolleo e F. angustifolia detto Ossifillo. Il Fraxinus ornus è un albero, spesso ridotto a cespuglio, che può raggiungere al massimo i 10 metri d'altezza. Le principali cultivar dell'orniello sono: Carabillò, Cicero, Minà. Il Fraxinus angustifolia è un albero che può superare i 20 metri d'altezza. Le principali cuitivars dell'ossifillo sono: Inziríddu, Macigna, Baciciu, Russu (varietà in declino per la bassa resa) e Verdello. Quest'ultima è la varietà più diffusa su tutto il territorio di

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Castelbuono e Pollina per le sue ottime caratteristiche di produttività, precocità e di qualità del prodotto. Il frassino da manna si propaga per seme o per polloni. La moltiplicazione per seme è preferita perché si ottengono piante più rustiche e con buone capacità pollonifere. Il seme viene prelevato nel mesi di settembre ottobre da soggetti che forniscono un prodotto abbondante e di qualità. Secondo la tradizione, le cure colturali nel primi anni dall'impianto si limitano ad una leggera zappettatura e scerbatura; a partire dal 3°- 4° anno, non appena le piantine hanno raggiunto 2-3 centimetri di diametro, si procede all'innesto. Le modalità d'innesto utilizzate sono: a scudetto (volgarmente detto "a pezza" o "a taccuni") per gli innesti realizzati alla fine del periodo primaverile; a spacco (a sciacca) per la realizzazione degli innesti invernali; a corona (a pinna o a brocca) per gli innesti effettuati in prossimità della ripresa vegetativa. Negli anni seguenti si praticano le operazioni di potatura, finalizzate all'ottenimento di un tronco privo di rami laterali e leggermente inclinato, per consentire la formazione dei pregiati cannoli di manna. Il frassineto è governato a ceduo, mediante l'effettuazione di un taglio a raso che permette l'emissione di nuovi polloni dalla ceppaia. Questi, opportunamente diradati, innestati ed allevati, rientrano in produzione dopo 3-5 anni e permangono nel periodo produttivo per 11-25 anni. Lo sfruttamento complessivo della ceppaia dura 80-100 anni. Le annuali pratiche colturali del frassineto sono: una leggera erpicatura in febbraio; una fresatura in aprile-maggio; la potatura verde all'inizio dell'estate e la potatura secca in autunno. La potatura secca ha lo scopo di esaltare il vigore vegetativo della pianta per evitare che questa vada in fruttificazione per favorire la formazione della manna. Non si effettua alcuna concimazione minerale; solo pochi frassinicoltori ricorrono al sovescio (favata), pratica colturale che, apportando un buon quantitativo d'azoto, favorisce lo sviluppo vegetativo della pianta. Nella prima decade di luglio si pratica la spollonatura e la nettatura dei tronco dal ramoscelli appena formati. Contemporaneamente si esegue la scalzatura (squasatura), operazione consistente nell'asportare la terra attorno al tronco fino a mettere a nudo la parte superiore delle radici più grosse per un raggio di 40 cm circa. Con l'esecuzione della scalzatura: si controlla se il terreno è sufficientemente asciutto; si predispone la superficie dove saranno posti i cladodi di ficodindia per la raccolta della manna; si agevola l'entrata della pianta in una condizione di stress idrico indispensabile ai fini della produzione. Di norma si pratica la prima incisione nella seconda-terza decade di luglio e, se l'andamento meteorologico è favorevole, la stagione produttiva si protrae fino alla seconda decade di settembre. Il momento idoneo per la prima incisione è individuato dal frassinicoltore esperto mediante l'esame di segni che evidenziano la maturità della pianta: terreno

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completamente asciutto e che si stacca dalle radici; foglie che virano dal verde intenso ad un verde tendente al giallo allaq,andosi e disponendosi in modo caratteristico. Inoltre, il frassinicoltore, per verificare l'effettivo stato di stress dell'albero, saggia con la mano la consistenza del fogliame, costatandone il grado d'appassimento. Quando la pianta è giudicata pronta, si pratica la prima incisione, operazione da eseguire con estrema perizia per non rischiare di compromettere la produttività della pianta. L'incisione interessa un quarto circa della circonferenza del tronco e si approfondisce per tutta la corteccia fino all'alburno. Per tale operazione si usa un particolare coltello chiamato “mannaruolu"; la pianta è incisa trasversalmente alla base del tronco a partire da 5- 10 cm dal suolo e ogni mattina si esegue una nuova ed identica incisione ad una distanza di circa 2 cm dalla precedente. Dalle incisioni fuoriesce la linfa elaborata, chiamata volgarmente 'Iagrima", di colore ceruleo e sapore amaro che, solidificando rapidamente al contatto con l'aria diviene dolciastra. La parte di liquido che non solidifica lungo il tronco cola fino a terra raccogliendosi nel cladodi di ficodindia appositamente predisposti.

La manna è classificata in base alle modalità di raccolta: - manna "cannolo", la più pregiata, simile

ad una stalattite, si forma dal gocciolamento della linfa lungo la corteccia dell'albero. I cannoli si raccolgono staccandoli con un attrezzo chiamato "archetto";

- manna "rottame”, costituita dalla linfa che scorre lungo la corteccia dei frassino; si stacca con la "rasula" e si raccoglie nella "scatula";

- manna "in sorte” formata dalla linfa che si accumula nel cladodi di ficodindia posti alla base del tronco.

La manna, una volta raccolta, è posta ad asciugare sugli “stinnituri" per le prime ventiquattrore all'ombra e successivamente in pieno sole per circa una settimana. Non appena il prodotto raggiunge il giusto tenore d'umidità (9% circa) è riposto in scatole conservate in ambiente asciutto. Poiché la categoria più pregiata è la "manna cannolo" è stato messo a punto un nuovo sistema di raccolta, al fine di aumentarne la quantità ottenibile. Tale sistema prevede l'uso di fili di nylon legati ad una piccola lamina d'acciaio posta subito sotto l'incisione. La linfa scorre lungo i fili e solidifica formando cannoli di lunghezza considerevole, che alla raccolta si separano con facilità dalla fibra sintetica.

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I cannoli prodotti si possono raccogliere anche ogni due giorni contrariamente al metodo tradizionale che prevede la raccolta settimanale. Esiste un Consorzio produttori di Manna, istituito dalla Regione Siciliana con L.R. n° 43 del 26/07/1957, associazione senza fini di lucro che ha lo scopo di tutelare i produttori con l’ammasso volontario e di pubblicizzare il prodotto, garantendone al contempo la qualità per i consumatori. Proprietà salutistiche La manna contiene mannite (mannitolo) uno zucchero naturale dolcemente lassativo. E' uno dei pochi lassativi benefici in natura al contrario della senna onnipresente in quasi tutti i lassativi vegetali in circolazione; la differenza fra i due lassativi è che la mannite agisce contro la stipsi perché attira acqua nell'intestino e quindi facilita lo svuotamento del colon; la senna o cassia agisce per irritazione.