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Azoto nel terreno Alessandro Masoni ( 1 ), Laura Ercoli ( 2 ) ( 1 ) Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema, Università di Pisa ( 2 ) Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa 1. AZOTO L’azoto è un gas inodore, incolore e insapore, con un punto di liquefazione di -196° C. Costituisce circa il 78% dell’atmosfera, nella quale è presente soprattutto in for- ma molecolare (N2). Il triplo legame della molecola elementare dell’azoto (NN) è uno dei più forti le- gami covalenti esistenti, e fa sì che l’azoto molecolare sia un gas praticamente iner- te e che molti dei suoi composti siano fortemente instabili e si decompongano fa- cilmente. Di conseguenza, l’azoto presenta una elevata elettronegatività ed è in grado di formare legami stabili con molti elementi chimici. Chimicamente può pre- sentare diversi numeri di ossidazione o valenze, comportandosi sia da donatore che da accettore di elettroni (Tab. 1). In natura l’azoto si trova comunemente sotto forma di: - azoto molecolare o elementare (N2), con numero di ossidazione 0; - azoto nitrico (NO3 - ), con numero di ossidazione +5; - azoto nitroso (NO2 - ), con numero di ossidazione +3; - azoto ammoniacale (NH4 + ), con numero di ossidazione -3; - azoto organico: nella sostanza organica l’azoto fa parte degli amminoacidi, nei quali si trova in forma amminica (NH2 - ) con numero di ossidazione -3. Queste caratteristiche fanno sì che i composti dell’azoto vengano diffusamente uti- 211

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Azoto nel terreno

Alessandro Masoni (1), Laura Ercoli (2)

(1) Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema, Università di Pisa(2) Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa

1. AZOTO

L’azoto è un gas inodore, incolore e insapore, con un punto di liquefazione di -196° C. Costituisce circa il 78% dell’atmosfera, nella quale è presente soprattutto in for-ma molecolare (N2).

Il triplo legame della molecola elementare dell’azoto (N≡N) è uno dei più forti le-gami covalenti esistenti, e fa sì che l’azoto molecolare sia un gas praticamente iner-te e che molti dei suoi composti siano fortemente instabili e si decompongano fa-cilmente. Di conseguenza, l’azoto presenta una elevata elettronegatività ed è in grado di formare legami stabili con molti elementi chimici. Chimicamente può pre-sentare diversi numeri di ossidazione o valenze, comportandosi sia da donatore che da accettore di elettroni (Tab. 1).

In natura l’azoto si trova comunemente sotto forma di:

- azoto molecolare o elementare (N2), con numero di ossidazione 0;

- azoto nitrico (NO3-), con numero di ossidazione +5;

- azoto nitroso (NO2-), con numero di ossidazione +3;

- azoto ammoniacale (NH4+), con numero di ossidazione -3;

- azoto organico: nella sostanza organica l’azoto fa parte degli amminoacidi, nei quali si trova in forma amminica (NH2-) con numero di ossidazione -3.

Queste caratteristiche fanno sì che i composti dell’azoto vengano diffusamente uti-

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lizzati dai microrganismi per ottenere l’energia necessaria per i loro processi vitali. Infatti, in presenza di ossigeno i composti ridotti dell’azoto possono essere ossidati con produzione di energia utile, mentre in assenza di ossigeno i composti ossidati dell’azoto possono funzionare da agenti ossidanti di composti organici e inorgani-ci, venendo ridotti con produzione di energia utile. Le reazioni di riduzione del-l’azoto, ossia di addizione di elettroni, liberano una quantità di energia più elevata di quelle di ossidazione.

2. RUOLO DELL’AZOTO NELLA PIANTA

Nei vegetali l’azoto entra a far parte della composizione di numerosi composti, fra cui le proteine, gli enzimi, gli acidi nucleici, la clorofilla e alcune vitamine, tutti es-senziali per lo svolgimento delle funzioni biologiche.

L’azoto costituisce mediamente l’1-3% della sostanza secca dei tessuti maturi e fino al 5-6% di quella dei tessuti giovani. Forti differenze (Tab. 2) esistono comunque tra le diverse famiglie botaniche, e al loro interno tra le diverse specie, in dipendenza della fase di sviluppo e dell’organo della pianta (radici, foglie, fusti, ecc.).

L’azoto è un nutriente ad azione plastica e occupa una posizione unica tra gli ele-menti essenziali per la crescita delle piante a causa della elevata quantità utilizzata. E’ un elemento nutritivo che viene assorbito durante tutto il ciclo biologico delle

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Tabella 1. Formula chimica e stato di ossidazione dei più importanti composti dell'azoto.

Composto Formula Stato di ossidazione

Ione nitrato NO3- + 5

Pentossido di diazoto N2O5 + 5

Biossido d'azoto NO2 + 4

Tetraossido di diazoto N2O4 + 4

Ione nitrito NO2- + 3

Anidride nitrosa N2O3 + 3

Ossido di azoto NO + 2

Nitrossile HNO + 1

Protossido di azoto N2O + 1

Azoto molecolare N2 0

Idrossilammina HONH2 – 1

Idrazina N2H4 – 2

Ione ammonio NH4+ – 3

Ammoniaca NH3 – 3

piante, con il massimo fabbisogno nei momenti di massimo accrescimento (ad esempio nella fase di levata dei cereali). Una volta assorbito, l’azoto è in parte uti-lizzato nelle radici e in parte trasportato verso la parte aerea (fusto, foglie, semi, ecc.). Per la maggior parte delle piante, le forme chimiche utilizzate per il trasferi-mento sono gli amminoacidi (acido glutammico e acido aspartico soprattutto) e le loro ammidi (glutammina e asparagina): in genere se la disponibilità di azoto è buona prevalgono le ammidi, mentre se è scarsa prevalgono gli amminoacidi.

L’azoto è uno dei più importanti fattori della produzione agraria. Normalmente, l’applicazione dei concimi azotati provoca uno spiccato aumento dello sviluppo vegetativo delle piante, una più intensa colorazione verde delle foglie e dei fusti, un maggior rigoglio vegetativo e, in definitiva, un consistente aumento della pro-duzione di biomassa. Tuttavia, un uso eccessivo dei concimi azotati deve essere assolutamente evitato sia perché provoca un consistente aumento dei costi della coltivazione sia perché può provocare gravi danni ambientali (inquinamento delle acque da nitrati).

L’insufficienza di azoto determina:

1. una scarsa produzione di clorofilla, con una conseguente riduzione della foto-sintesi, che si manifesta con un colore delle foglie verde chiaro o giallo(1);

2. un accrescimento stentato delle piante, che presentano dimensioni ridotte sia a livello radicale, con radici poco approfondite e poco ramificate, sia a livello del-la parte aerea, con foglie piccole e steli sottili;

3. la riduzione della fioritura;

4. la cascola dei frutti;

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(1) La decolorazione inizia dalla parte basale della pianta e sale fino alle zone apicali (anda-mento acropeto). Le prime foglie a ingiallire sono quindi quelle più vecchie e, solo dopo che la clorosi ha raggiunto uno stadio avanzato, si diffonde alle foglie più giovani. Nei casi più gravi le foglie adulte seccano, a partire dai bordi, e muoiono.

Tabella 2. Concentrazione di azoto delle foglie e degli steli di alcune piante coltivate.

SpecieFoglieFoglie

SteliSpecieGiovani Mature

Steli

N %N %N %

Frumento tenero 2,4 0,9 0,4

Frumento duro 2,4 0,9 0,7

Mais 3,3 1,0 0,8

Erba medica 5,0 3,0 2,0

Soia 4,8 2,8 1,8

Sorgo 3,7 1,0 1,0

5. la riduzione della lunghezza del ciclo biologico e una maturazione precoce;

6. una produzione ridotta e in alcuni casi una riduzione della sua qualità.

L’eccesso di azoto, invece:

1. rallenta lo sviluppo delle piante, provocando l’allungamento del ciclo biologico;

2. aumenta il consumo idrico;

3. riduce la resistenza dei fusti, favorendone la rottura e provocando fenomeni di allettamento (ad esempio nei cereali autunno-vernini);

4. riduce la resistenza alle avversità climatiche e parassitarie.

3. AZOTO NEL TERRENO

Nel terreno l’azoto si trova sia in forma organica, sia in forma inorganica o minera-le.

La forma organica (convenzionalmente indicata come -NH2) è costituita da tutti i composti organici contenenti azoto che si trovano all’interno del terreno. L’azoto presente nel terreno in forma organica è contenuto:

1. negli organismi viventi;

2. nella sostanza organica indecomposta e in via di decomposizione;

3. nell’humus e cioè nella sostanza organica umificata.

In forma organica l’azoto non è direttamente e immediatamente utilizzabile dalle piante. Nel tempo, attraverso il processo di mineralizzazione della sostanza orga-nica, l’azoto organico viene progressivamente trasformato in azoto ammoniacale e successivamente in azoto nitrico (assorbibile dalle piante).

Fisiologicamente, le radici delle piante hanno la capacità di assorbire l’azoto in forma nitrica, in forma ammoniacale e in forma di molecole organiche molto sem-plici, come l’urea e alcuni amminoacidi. Ovviamente, però, per poter estrinsecare questa capacità è necessario che le forme di azoto indicate siano effettivamente presenti sulla superficie radicale. Nel terreno, l’azoto ammoniacale, che è uno ione con carica positiva (NH4+), viene adsorbito e trattenuto sulle superficie delle argille e della sostanza organica, trovandosi così nella soluzione circolante del terreno in quantità molto ridotte e per tempi molto brevi. Di contro l’azoto nitrico, che è uno ione con carica negativa (NO3-), si trova quasi completamente disciolto nella solu-zione circolante del terreno, all’interno della quale si muove per flusso di massa e può raggiungere con estrema facilità la superficie delle radici ed essere quindi as-sorbito. Di conseguenza, in pieno campo, l’assorbimento dell’azoto da parte della vegetazione avviene quasi esclusivamente a carico della sola forma nitrica (Fig. 1).

Dopo l’assorbimento da parte delle radici i nitrati vengono ridotti con un processo che può avvenire sia nei cloroplasti delle foglie sia nelle radici e che si realizza in due fasi successive:

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1. passaggio del nitrato a nitrito, reazione catalizzata dall’enzima nitrato-riduttasi;

2. trasformazione del nitrito in ammonio, reazione catalizzata dall’enzima nitri-to-riduttasi.

L’azoto minerale del terreno è costituito quasi esclusivamente dall’insieme del-l’azoto presente sotto forma di ione nitrato NO3- (azoto nitrico), di ione ammonio NH4+ (azoto ammoniacale) e in misura nettamente inferiore di ione nitrito NO2- (azoto nitroso).

Le forme organiche sono presenti nel terreno in quantità enormemente più elevate di quelle inorganiche e in media rappresentano più del 95% dell’azoto totale pre-sente nel terreno.

La quantità di azoto inorganico del terreno dipende in gran parte dall’andamento nel tempo dei processi di mineralizzazione e di immobilizzazione microbica, che rappresentano rispettivamente i termini di passaggio dell’azoto dalla forma orga-nica a quella inorganica e viceversa (Fig. 2).

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Figura 2. Schema delle interazioni tra azoto organico e azoto inorganico del terreno.

N organico N

inorganico

Mineralizzazione

Immobilizzazione

Figura 1. Adsorbimento cationico e repulsione ionica.

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L’Unione Internazionale di Scienza del Suolo classifica i terreni sulla base della loro concentrazione di azoto totale come riportato in tabella 3.

Il contenuto di azoto totale dei terreni agrari, costituito dall’insieme delle forme organiche e inorganiche, varia ampiamen-te in dipendenza del loro contenuto di sostanza organica e quindi di tutte le con-dizioni intrinseche ed estrinseche al suolo che determinano la presenza della sostan-za organica nel terreno. I terreni sabbiosi, caratterizzati da una elevata macro-poro-sità con conseguenti situazioni di elevata areazione, elevata mineralizzazione della sostanza organica ed elevata lisciviazione dei sali, hanno sempre un contenuto di humus e di azoto più ridotti di quelli dei terreni di medio impasto e di quelli ten-denzialmente argillosi, nei quali la macro-porosità è nettamente più ridotta.

In termini quantitativi, un ettaro di terreno mediamente fornito di azoto, con un contenuto pari a 1 g kg-1, contiene 6.500 kg di azoto. Infatti, considerando un terre-no di medio impasto, con una densità apparente (Da) di 1,3 t m-3 e con un contenu-to di azoto totale di 1 g kg-1 ([NT]) la quantità di azoto (NT) presente in uno strato di 50 cm di profondità (h), che può essere considerata la profondità raggiunta dalle radici delle piante coltivate, è pari, per una superficie (S) di un ettaro, a:

NT = S × h × Da × NT⎡⎣ ⎤⎦

per cui:

N = 10.000 m2 × 0, 50 m × 1, 3 t m−3 × 1g kg−1

N = 6.500 t ha−1 × 1g kg−1

N = 6, 5 t ha−1 = 6.500 kg ha−1

Di questa quantità, però, il 95-98%, corrispondente a 6.175-6.370 kg ha-1 è presente in forma organica, e non è immediatamente utilizzabile dalle piante. Il restante 2-5%, corrispondente a 130-325 kg ha-1, è presente quasi completamente sotto forma di azoto ammoniacale che, essendo trattenuto dalle argille e dalla sostanza organi-ca, non è, neppure lui, assorbibile dalle colture. Di questa elevata quantità di azoto presente nel terreno, quindi, solo una percentuale minima, approssimativamente stimabile nell’1% del contenuto totale (65 kg ha-1 nel nostro esempio), può trovarsi sotto forma nitrica e cioè in una forma chimica assorbibile dalle piante. Tuttavia, l’azoto nitrico del terreno, oltre che dalle piante, viene fortemente richiesto da nu-merosi altri esseri viventi presenti nel suolo, che lo utilizzano per le loro necessità vitali, e alla fine per la formazione di humus (processo di immobilizzazione micro-bica o umificazione), diminuendone la quantità disponibile per le colture.

L’azoto ammoniacale del terreno è costituito quasi esclusivamente dallo ione am-

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Tabella 3. Classificazione agronomica dei terreni in base alla loro concentrazione di azoto totale.

Azoto totale Terreno

g kg-1

< 0,5 Molto povero

0,5 - 1 Povero

1 - 1,5 Mediamente fornito

> 1,5 Ben fornito

monio (NH4+), derivante dalla dissociazione in soluzione acquosa dell’idrossido di ammonio (NH4OH). Lo ione ammonio ha carica positiva e, sebbene sia solubile in acqua, nel terreno è trattenuto dal potere assorbente, venendo adsorbito dai residui di carica negativa presenti sulla superficie dei fillosilicati (-OH-) e della sostanza organica (-COO- e -OH-), per cui si trova nella soluzione circolante del terreno in quantità minime.

Più precisamente, in dipendenza del loro legame o meno con le diverse componen-ti del terreno, gli ioni ammonio vengono distinti in tre tipi diversi e precisamente in:

1. ioni ammonio fissati: sono quelli presenti negli spazi tra gli strati di alcuni fillo-silicati (vermiculiti e miche, soprattutto);

2. ioni ammonio scambiabili: sono quelli adsorbiti dal complesso di scambio del terreno (argille e sostanza organica);

3. ioni ammonio in soluzione: sono quelli disciolti nella soluzione circolante del terreno.

Nel terreno esiste un equilibrio tra ioni ammonio fissati, ioni ammonio in soluzione e ioni ammonio scambiabili, ma la velocità del passaggio degli ioni ammonio dagli spazi interstrato dei fillosilicati alla soluzione circolante si verifica con difficoltà e lentezza, mentre quello tra gli ioni adsorbiti dal complesso di scambio e la soluzio-ne circolante è facile e molto veloce (Fig. 3). Ne consegue che, nel breve-medio pe-riodo, l’ammonio fissato può essere considerato indisponibile per l’assorbimento delle piante.

L’azoto ammoniacale presente nel terreno va incontro ai seguenti possibili destini:

1. assorbimento da parte delle piante (assimilazione);

2. assorbimento da parte degli organismi del suolo (immobilizzazione);

3. ossidazione a nitrato (nitrificazione). Questa trasformazione è operata da alcuni microrganismi autotrofi, appartenenti prevalentemente al genere Nitrosomonas, che ricavano energia attraverso la chemiosintesi di composti inorganici;

4. trasformazione in ammoniaca.

L’azoto nitrico è rappresentato dallo ione nitrato (NO3-) e proviene dalla dissocia-zione completa dell'acido nitrico (HNO3) o dei nitrati disciolti in acqua. Lo ione nitrato è solubilissimo in acqua e, avendo carica negativa, non viene trattenuto dal potere assorbente del terreno, poiché le superfici dei minerali argillosi e della so-stanza organica presentano anch’esse cariche elettronegative (Fig. 1). Conseguen-

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Figura 3. Schema dell’equilibrio esistente tra ioni ammonio del terreno.

NH4+

Fissato

molto lento⎯ →⎯⎯⎯⎯← ⎯⎯⎯⎯⎯NH4

+

Soluzione

veloce⎯ →⎯⎯← ⎯⎯⎯NH4

+

Scambiabile

temente gli ioni nitrici sono estremamente mobili nel terreno, nel quale possiedono una velocità di movimento superiore a quella dell’acqua. Fanno eccezione i terreni acidi, nei quali si ha la formazione di cariche positive su alcuni composti inorganici e soprattutto sui fillosilicati del tipo 1:1 (gruppo delle caoliniti) e sugli ossidi in ge-nere (ossidi di ferro, di alluminio, ecc.), che possono conferire al terreno una certa capacità di trattenuta degli ioni nitrici (fino ad alcune centinaia di chilogrammi per ettaro).

L’azoto nitrico presente nel terreno (Fig. 4) può essere:

1. assorbito da parte delle piante (assimilazione), attraverso due diversi meccani-smi:

- il primo, detto penetrazione passiva, avviene quando la concentrazione di nitrati della soluzione circolante del terreno supera quella dello spazio libero della radice;

- il secondo, detto penetrazione attiva, avviene anche quando la concentrazio-ne di nitrati all’interno delle cellule radicali è superiore a quella esterna. Ri-chiede un sistema specifico di trasportatori (proteine) e consuma energia fornita dalla respirazione;

2. assorbito da parte degli organismi del suolo (immobilizzazione);

3. trasportato dalle acque di percolazione negli strati più profondi del terreno e infine nelle acque sotterranee (lisciviazione);

4. trasformato in azoto molecolare (denitrificazione).

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Figura 4. Destino dei nitrati presenti nella soluzione circo-lante del terreno.

Nitrati

Piante

Acque profonde

Sostanza organica

Atmosfera

Assorbimento Radici

DenitrificazioneMicrorganismi

Trasporto con acque di percolazione

Assorbimento Microrganismi

4. TRASFORMAZIONI DELL’AZOTO NEL TERRENO

Le caratteristiche chimiche dell’azoto e dei suoi composti, la loro possibilità di for-nire energia a numerose specie di microrganismi, le elevate quantità necessarie per l’accrescimento delle piante, le diverse forme chimiche presenti nel terreno e le sue interazioni con il ciclo della sostanza organica, fanno sì che le trasformazioni e il movimento dell’azoto e dei suoi composti all’interno del terreno agrario risultino particolarmente complessi.

Si deve innanzitutto sottolineare che in un terreno agrario parte dell’azoto in esso contenuto, e precisamente quella quantità che viene assorbita dalla coltura e imma-gazzinata nel prodotto utile, lascerà inevi-tabilmente e senza alcuna possibilità di ritorno il terreno stesso (Fig. 5). Ciò pro-voca, in qualsiasi terreno coltivato, una progressiva riduzione del contenuto di azoto che, se non contrastata in qualche modo, porterebbe alla sua completa per-dita di fertilità e capacità produttiva.

La situazione è ulteriormente aggravata da altre uscite senza ritorno dell’azoto dal terreno, uscite provocate ad esempio dal-la lisciviazione o dalla volatilizzazione. D’altra parte, le precipitazioni atmosferi-che e l’attività dei microrganismi azoto-fissatori provoca il passaggio di una certa quantità di azoto dall’atmosfera al terre-no, causando così un suo arricchimento di azoto che, almeno in parte, compensa le perdite.

Negli agroecosistemi la concimazione azotata ha il compito di assicurare che le piante coltivate trovino nel terreno una quantità di azoto utilizzabile sufficiente per il loro accrescimento in ogni momento del loro ciclo colturale e al contempo di ri-durre le perdite e di non impoverire né arricchire il terreno. La predisposizione di piani di concimazione accurati, che è condizione indispensabile per raggiungere questi obiettivi, deve imprescindibilmente tener conto dell’insieme delle trasfor-mazioni dell’azoto nel terreno che alla fine determinano la reale disponibilità di azoto utilizzabile dalle colture in ogni momento del loro ciclo colturale.

In maniera molto semplificata, ma sufficiente per gli scopi di questa trattazione, i processi fisici, chimici e biologici che interessano l’azoto in un agroecosistema (Fig. 6) possono essere raggruppati in:

1. processi di arricchimento del terreno, e cioè quei processi che aumentano il con-tenuto di azoto del terreno apportandone nuove quantità dall’esterno del siste-ma. Appartengono a questo gruppo:

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Figura 5. Movimento degli elementi nutri-tivi del terreno.

Concime

Terreno

Produzione vegetale

Centri abitati

DepuratoreDiscarica

Produzione animale

Elem

enti nutritivi

a. la fissazione atmosferica;

b. la fissazione biologica;

c. la concimazione azotata, sia minerale sia organica;

2. trasformazioni interne al terreno, e cioè le trasformazioni che modificano la forma fisica, chimica e biologica dei composti dell’azoto presenti nel terreno senza però modificarne la quantità totale. Appartengono a questo gruppo:

a. la mineralizzazione dell’azoto contenuto nella sostanza organica ad azoto ammoniacale;

b. la nitrificazione dell’ammonio a nitrato;

c. la immobilizzazione dei nitrati nella sostanza organica del terreno in via di umificazione;

d. l’assorbimento dell’azoto in quella parte delle piante coltivate che l’agricol-tore non può o decide di non asportare dal terreno (radici, paglie, ecc.);

3. processi di impoverimento del terreno, e cioè quei processi che portano a una diminuzione del contenuto di azoto del terreno facendo sì che una parte di que-sto esca dal sistema sfuggendo alla possibilità di assorbimento delle colture. Fanno parte di questo gruppo:

a. la produzione utile;

b. la denitrificazione;

c. la volatilizzazione;

d. la lisciviazione.

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Figura 6. Ciclo semplificato dell’azoto in un agroecosistema.

NH4+ NO3

-

Pianta

Residui organici

Produzione Concimi organici

Sostanza organica

Concimi minerali

N2

NH3

N2

Acque profonde

Nitrificazione

N2

Immobilizzazione Mineralizzazione

Denitrificazione

Fissazione atmosferica

Lisciviazione

Fissazione biologica

Volatilizzazione

Assorbimento Immobilizzazione

Nei paragrafi successivi saranno brevemente esaminati i processi sopra elencati, tralasciando la concimazione che costituisce l’oggetto di un capitolo successivo.

4.1. Fissazione

La fissazione dell’azoto è rappresentata da un qualsiasi processo chimico nel quale l’azoto molecolare (N2) dell’atmosfera viene trasformato in forma ammoniacale o in ossidi di azoto.

Per essere utilizzato dagli animali e dai vegetali l’azoto deve essere fissato e cioè legato a uno o a più elementi chimici, in modo da dar luogo a un composto. Prima di poter essere fissato l’azoto molecolare deve essere attivato, la molecola, cioè, de-ve venire scissa nei due atomi che la compongono, in modo da potersi poi legare ad altri elementi come l’idrogeno e l’ossigeno. La fase di attivazione richiede una quantità di energia pari a 160 kcal per mole di azoto fissato. Il problema principale della fissazione dell’azoto è quindi la rottura della molecola o meglio il reperimen-to della energia necessaria per la separazione dei due atomi.

La fissazione dell’azoto si verifica:

1. nell’atmosfera, grazie all’energia fornita dalla radiazione solare e dai fulmini (fissazione atmosferica);

2. nel terreno, a opera dei microorganismi azotofissatori (fissazione biologica);

3. negli impianti industriali, grazie all’impiego di energia elettrica (fissazione in-dustriale).

4.1.1. Fissazione atmosferica

Considerando che per gli agroecosistemi la fissazione atmosferica rappresenta un apporto di azoto al terreno che deve essere quantificato nei piani di concimazione, questo processo è agronomicamente definito come la quantità di azoto apportata al terreno con le precipitazioni atmosferiche in un determinato periodo di tempo.

La fissazione atmosferica consiste nella riduzione dell’azoto molecolare dell’atmo-sfera in azoto ammoniacale o in ossidi di azoto ad opera della radiazione solare e dei fulmini che forniscono l’energia necessaria per la rottura della molecola del-l’azoto. I due atomi risultanti sono estremamente reattivi e possono legarsi all’ossi-geno, formando ossidi di azoto, o all’idrogeno, formando ammoniaca, che, succes-sivamente, verranno trasportati al terreno con le precipitazioni atmosferiche.

Le precipitazioni, però, non trasportano al terreno soltanto i composti dell’azoto formatisi dall’azoto molecolare dell’atmosfera, ma tutti quelli che per cause diverse si trovano nell’atmosfera, tra i quali l’ammoniaca derivante dal processo di volati-lizzazione e gli ossidi di azoto derivanti dalla combustione dei materiali organici e soprattutto dei combustibili fossili (industrie, mezzi di trasporto, impianti di ri-scaldamento, ecc.).

La quantità di azoto apportata al terreno mediante la fissazione atmosferica in un

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determinato periodo di tempo dipende dell’entità delle precipitazioni e dalla loro concentrazione di azoto, parametri che presentano forti variazioni tra zone geogra-fiche e all’interno di queste durante l’anno. In genere, in Italia risultano più elevati nelle zone settentrionali che in quelle meridionali, a causa della maggiore presenza di industrie e di abitanti, e nel periodo invernale piuttosto che in quello estivo.

Nella Toscana litoranea la quantità di azoto apportata annualmente con le precipi-tazioni può essere mediamente considerata pari a 20 kg ha -1 derivante da una pre-cipitazione annua di 1.000 mm (pari a 10.000 m3 ha-1), che corrisponde a quella media di Pisa, e da una sua concentrazione di N di circa 2 mg L-1.

4.1.2. Fissazione biologica

La fissazione biologica consiste nella riduzione dell’azoto molecolare dell’atmosfe-ra in azoto ammoniacale ad opera dei microrganismi del terreno.

I microrganismi fissatori di azoto si dividono in:

1. microrganismi che vivono liberi nel terreno (fissazione non simbiontica);

2. microrganismi che vivono in simbiosi con le piante superiori (fissazione sim-biontica).

I primi fissano quantità di azoto nettamente inferiori a quelle dei secondi.

Fissazione non simbiontica

La fissazione non simbiontica consiste nella riduzione dell’azoto molecolare del-l’atmosfera in azoto ammoniacale ad opera di microrganismi che vivono liberi nel terreno. Questi dipendono indirettamente dai vegetali per l’apporto energetico op-pure, come nel caso dei batteri fotosintetici e delle alghe azzurre, ricavano energia direttamente dalla luce solare. I gruppi più importanti sono:

a. batteri eterotrofi:

- aerobi obbligati, dei generi Azotobacter, Azotomonas, Beijerinckia, Pseudomonas;

- anaerobi facoltativi, dei generi Klebsiella e Bacillus;

- anaerobi obbligati, dei generi Clostridium, Desulfovibrio, Methanobacillus;

b. batteri fotoautotrofi, sia aerobi che anaerobi, dei generi Rhodospirillum e Rho-dopseudomonas;

c. cianobatteri, sia aerobi che anaerobi, dei generi Nostoc e Anabaena;

d. funghi eterotrofi aerobi, dei generi Pullularia e Saccaromyces.

La quantità di azoto fissata dai microrganismi non simbionti è generalmente molto bassa, poiché l’attività dei microrganismi è limitata dalle disponibilità di energia e di carbonio (Tab. 4); raramente supera i 10 kg ha-1 per anno e mediamente viene considerata pari a solo 0,5 kg ha-1.

Le condizioni per una fissazione non simbiontica ottimale consistono nella presen-za di:

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1. un adeguato substrato energetico, costituito normalmente dalla presenza di re-sidui organici;

2. bassi livelli di azoto disponibile nel terreno;

3. un adeguato contenuto di elementi minerali;

4. un pH vicino alla neutralità;

5. una sufficiente umidità del terreno.

Fissazione simbiotica

La fissazione simbiontica consiste nella riduzione dell’azoto molecolare dell’atmo-sfera in azoto ammoniacale operata da alcuni microrganismi che vivono in simbio-si con gli organismi vegetali, normalmente piante superiori, dai quali ricevono energia e sostanze nutritive. Questi microrganismi riescono a rompere il triplo le-game covalente dell’azoto elementare (N2) grazie alla presenza dell’enzima nitro-genasi. Sono azoto-fissatori simbionti i batteri del genere Rhizobium e Actinomyces. In agricoltura le specie appartenenti al genere Rhizobium, simbionti delle legumino-se, sono gli azotofissatori più importanti (Tab. 5).

I microrganismi simbionti fissano, in particolari condizioni, quantità rilevanti di azoto (dell’ordine di grandezza di centinaia di kg ha-1) che cedono in massima par-te alla pianta (90%) che, a sua volta, li rifornisce di sostanze carboniose. La quantità di azoto che le colture leguminose riescono ad ottenere attraverso la simbiosi con i micorganismi azotofissatori variano ampiamente in dipendenza della specie e delle condizioni ambientali (Tab. 5).

In generale, la spiccata specificità esistente tra microrganismo azoto-fissatore e pianta ospite rende necessaria, per avere un’efficiente azotofissazione, che ciascuna specie leguminosa venga infettata dall’apposita specie di Rhizobium. Allo scopo di assicurare la presenza di una sufficiente popolazione di organismi fissatori di azoto

Azoto nel terreno

223

Tabella 4. Stima della quantità di azoto fissato biologicamente da organi-smi non simbionti.

OrganismoOrganismo Azoto fissato

kg ha-1 y-1

Microrganismi liberi

Cianobatteri 25

Microrganismi liberi Azotobacter sp. pl. 3Microrganismi liberi

Clostridium pasteurianum 0,1 - 0,5

Simbiosi piante-cianobatteri

Gunnera sp.12 - 21

Simbiosi piante-cianobatteri

Nostoc punctiforme12 - 21

Simbiosi piante-cianobatteri Azolla sp.

313

Simbiosi piante-cianobatteri

Anabaena azollae313

LicheniLicheni 39 - 84

intorno al seme in germinazione i batteri simbionti specifici per una data coltura vengono generalmente aggiunti al seme, in forma di polvere secca, poco prima del-la semina.

L’infezione della pianta ospite inizia con la penetrazione dei batteri nelle cellule dei peli radicali, dalle quali, attraverso i fili di infezione, i microrganismi si trasferisco-no nel tessuto corticale della radice. La proliferazione delle cellule corticali infette causa la formazione di caratteristici noduli, all’interno dei quali si trovano le colo-nie batteriche. La durata della vita di un singolo batterio è soltanto di poche ore, per cui i corpi di una porzione della popolazione batterica muoiono continuamen-te, si decompongono e rilasciano ioni ammonio e nitrati che vengono utilizzati dal-la pianta ospite e, in percentuale inferiore, dalle altre piante che le crescono vicine.

La relazione tra microrganismo e pianta ospite cambia nel tempo. Nei primi giorni dopo l’infezione di una giovane radice di una piantina, il batterio è completamente dipendente dalla pianta ospite. I noduli sono ricchi di amminoacidi solubili, che

Alessandro Masoni, Laura Ercoli

224

Tabella 5. Rizobio specifico e quantità di azoto fissata biologicamente da alcune legu-minose coltivate.

Specie Rhizobium Azoto fissato

kg ha-1 y-1

ArachideBradyrhizobium s.p.Rhizobium giardiniRhizobium tropici

120

Erba medica Rhizobium meliloti 300

Fagiolo Rhizobium leguminosarum bv phaseoli 40

Fava Rhizobium leguminosarum bv. viciae 210

Favino Rhizobium leguminosarum bv. viciae 210

Ginestrino Rhizobium loti 100

Lupinella Rhizobium hedisari 180

Lupino Rhizobium lupini 150

Pisello Rhizobium leguminosarum bv. viciae 90

Soia Rhizobium japonicum 100

Sulla Rhizobium hedisari 200

Trifoglio ibrido Rhizobium leguminosarum bv. trifolii 140

Trifoglio alessandrino Rhizobium leguminosarum bv. trifolii 180

Trifoglio incarnato Rhizobium leguminosarum bv. trifolii 160

Trifoglio sotterraneo Rhizobium leguminosarum bv. trifolii 140

Trifoglio pratense Rhizobium leguminosarum bv. trifolii 110

Trifoglio repens Rhizobium leguminosarum bv. trifolii 150

Veccia Rhizobium leguminosarum bv. viciae 170

Vigna sinensis Bradyrhizobium s.p. 80

sono utilizzati soprattutto per la crescita dei batteri. Nella fase seguente, che dura per tutta la fase vegetativa della pianta ospite, cioè fino alla fioritura, la maggior parte degli amminoacidi sintetizzati sono trasportati nella pianta. Infine, dopo la fioritura il trasferimento si interrompe. Il tasso di fissazione, quindi, non è costante durante il ciclo biologico della pianta ospite, ma aumenta progressivamente fino a raggiungere il massimo all’inizio della fase di fioritura, dopo la quale presenta una rapida diminuzione.

Per avere la massima fissazione di azoto da parte di una leguminosa, oltre alla pre-senza della specie di rizobio compatibile con la pianta ospite, si devono verificare alcune condizioni ambientali favorevoli, tra le quali:

1. pH vicino alla neutralità;

2. buona areazione del terreno;

3. temperatura del terreno sufficientemente elevata;

4. buona disponibilità di fosforo;

5. presenza di tracce di alcuni metalli pesanti (tra cui il molibdeno) che agiscono da catalizzatori del processo.

E’ infine da rilevare come la presenza nel terreno di quantità di azoto sufficienti per soddisfare le necessità della pianta deprime fortemente la funzionalità dei batteri, a causa del basso rapporto carboidrati/azoto che si viene a creare nella pianta stessa e che limita il rifornimento di carboidrati alle radici.

4.2. Immobilizzazione

L’immobilizzazione dell’azoto è definita come la trasformazione dell’azoto minera-le in azoto organico. Questa trasformazione è dovuta all’azione dei microrganismi del terreno che assimilano i composti inorganici dell’azoto e li trasformano in com-posti organici all’interno della loro biomassa. L’azoto viene così incorporato nella sostanza organica e sottratto all’assorbimento delle piante.

Sulla base del grado di alterazione, della stabilità chimica e delle funzioni che esplica, la sostanza organica del terreno può essere distinta in quattro classi princi-pali:

1. organismi viventi;

2. sostanze organiche non ancora decomposte e in via di decomposizione, costitui-te dai residui vegetali e animali e dai concimi organici;

3. sostanze organiche relativamente semplici derivanti dalla decomposizione dei residui organici;

4. humus, costituito da un insieme di numerose sostanze organiche aventi struttu-ra complessa e caratteristica.

La sostanza organica incorporata nel suolo con i residui vegetali e con i concimi organici va incontro al processo di umificazione, che la trasformerà in humus. Mol-to sinteticamente questo processo prevede la progressiva demolizione delle sostan-

Azoto nel terreno

225

ze organiche aggiunte al terreno e la costruzione, partendo dalle sostanze ottenute, di nuova biomassa, fino alla formazione dell’humus che costituisce il prodotto fi-nale dell’umificazione. Gli organismi viventi sono i responsabili di tutte le trasfor-mazioni che interessano la sostanza organica del terreno, sostanza organica che utilizzano come fonte di energia e di nutrienti necessari per il loro accrescimento e la loro riproduzione.

In genere durante l’umificazione:

- ⅔ del carbonio contenuto nei residui vegetali viene utilizzato come fonte ener-getica e rilasciato nell’ambiente sotto forma di CO2;

- ⅓ del carbonio contenuto nei residui vegetali viene utilizzato per costruire le cellule degli organismi umificatori o diventa parte della sostanza organica del terreno.

Diverso è il caso dell’azoto, le cui quantità assorbite dal terreno per l’umificazione non vengono utilizzate come fonte energetica ma come costituente delle molecole necessarie per la costruzione materiale della nuova sostanza organica.

L’immobilizzazione dell’azoto dovuta ai microrganismi durante l’umificazione della sostanza organica si compone di due fasi:

1. nella prima, l’azoto minerale presente nel terreno viene utilizzato per la costru-zione della biomassa microbica in accrescimento;

2. nella seconda, l’azoto minerale presente nel terreno viene, ad opera dei micror-ganismi, incorporato all’interno delle sostanze organiche non microbiche pro-dotte dall’opera dei microrganismi stessi (humus).

Perché un qualsiasi organismo possa utilizzare interamente un residuo come fonte di cibo questo deve presentare una composizione equilibrata e in linea con quella dell’organismo demolitore. La sostanza organica di partenza, i residui colturali e i concimi organici, e quella di arrivo, l’humus, presentano però delle importanti dif-ferenze di composizione chimica e tra queste anche della concentrazione di azoto. La relativa quantità di azoto disponibile in un materiale organico è indicata dal rapporto tra il contenuto di carbonio e quello di azoto (C/N) del materiale. Le cel-lule degli organismi viventi hanno un rapporto C/N pari a 8 e l’humus pari a 10-11. In linea generale se il materiale organico interrato ha un rapporto C/N:

- uguale a 24 le necessità degli organismi umificatori sono completamente soddi-sfatte e non si ha né rilascio né assorbimento di N;

- inferiore a 24 l’azoto contenuto nei residui eccede le necessità degli organismi umificatori e la parte eccedente verrà immessa nel terreno sotto forma di azoto minerale;

- superiore a 24 l’azoto contenuto nei residui è inferiore alle necessità degli orga-nismi umificatori che per il loro accrescimento utilizzeranno parte dell’azoto minerale presente nel terreno.

Ad esempio, i residui colturali dei cereali autunno-vernini, formati da culmi, foglie, pula e radici, contengono in media poco più dello 0,5% di azoto mentre l’humus ne contiene il 5%. Con l’interramento di 50 q ha-1 di paglia di frumento si immettono

Alessandro Masoni, Laura Ercoli

226

nel terreno circa 25 kg ha-1 di azoto. Ora, non tutta la sostanza organica interrata diventa humus ma una elevata percentuale di questa viene utilizzata dai microrga-nismi responsabili del processo, quantità che è mediamente pari a poco meno del 90%, per cui da 50 q di paglia si ottengono circa 6 q di humus che contengono 30 kg di azoto. In questo caso, quindi, si parte con un prodotto, le paglie, che contiene 25 kg di azoto e si arriva a un prodotto, l’humus, che ne contiene 30 kg; perché tutto il materiale interrato possa essere umificato sono quindi necessari altri 5 kg che i mi-crorganismi preleveranno dal terreno(2).

4.3. Mineralizzazione

La mineralizzazione dell’azoto consiste in una serie di reazioni mediante le quali l’azoto contenuto nella sostanza organica del terreno viene convertito in azoto inorganico, dapprima in forma ammoniacale e poi in forma nitrica, secondo lo schema:

NH2 → NH4+ → NO3

La maggior parte dell’azoto presente nel terreno si trova all’interno della sostanza organica, umificata e no, che in media contiene il 5% di azoto. La sostanza organica del terreno viene progressivamente decomposta e ossidata ad opera di microrgani-smi e agenti atmosferici, mediante il processo di mineralizzazione, liberando in forma minerale gli elementi nutritivi che contiene, compreso l’azoto, e rendendoli disponibili per l’assorbimento da parte delle piante.

Durante la degradazione nel suolo dei residui organici, l’azoto inorganico è immo-bilizzato nella biomassa microbica che viene in parte trasformata in sostanze umi-che di recente formazione e infine in sostanza umica stabile. In questo processo, parte del carbonio è liberato come anidride carbonica, determinando un abbassa-mento del rapporto C/N, e parte dell’azoto è convertito in forme più stabili.

La prima tappa della complessa catena di reazioni che formano la mineralizzazione dell’azoto prende il nome di ammonificazione e consiste nella trasformazione delle sostanze organiche contenenti azoto in idrato d’ammonio, mediante l’azione di diversi organismi saprofiti, tra i quali:

1. i batteri appartenenti ai generi Bacillus, Clostridium, Pseudomonas;

2. gli attinomiceti del genere Streptomyces;

3. i funghi dei generi Aspergillus, Penicillium e Fusarium.

Le tappe successive alla ammonificazione, che complessivamente prendono il no-me di nitrificazione, consistono nella progressiva ossidazione dell’ammonio così formato in due fasi, rispettivamente note come nitritazione e nitratazione, operate da alcuni batteri chemioautotrofi, ossia capaci di sfruttare l’energia immagazzinata nei composti chimici per fissare l’anidride carbonica presente nella soluzione circo-

Azoto nel terreno

227

(2) Per questo motivo è buona norma distribuire un chilogrammo di azoto per ogni 10 quin-tali di paglie da interrare.

lante del terreno.

Nella nitritazione i batteri nitrosi (Nitrosomonas, Nitrosococcus, Nitrosospira) ossida-no lo ione ammonio (NH4+) a ione nitrito (NO2-) secondo lo schema:

NH4+ → NH2OH → NOH → NO2

nella nitratazione i batteri nitrici (Nitrobacter, Nitrospira, Nitrococcus) ossidano lo ione nitrito a ione nitrato:

NO2− → NO3

Normalmente la velocità di svolgimento della seconda reazione è maggiore di quella della prima, per cui i nitriti sono presenti nel terreno solo in tracce.

Alcuni prodotti chimici, come ad esempio gli erbicidi, possono influenzare l’attivi-tà dei microrganismi nitrificanti, bloccando tutto il processo.

In linea generale, quando si parla di mineralizzazione si fa riferimento alla sostan-za organica del terreno, in quanto è questo materiale che viene mineralizzato ma, ovviamente, il risultato finale consiste nella trasformazione degli elementi nutritivi dalla loro forma organica a una delle loro forme inorganiche (ad esempio nel caso dell’azoto da proteine a ammonio o a nitrato), per cui il termine viene usato anche riferendolo ai singoli elementi nutritivi.

Ai fini pratici, l’aspetto che assume il maggior interesse è da ricercarsi:

1. nella quantità di sostanza organica del terreno che attraverso il processo di mi-neralizzazione viene demolita e quindi perduta;

2. nella quantità di un singolo elemento nutritivo che sempre attraverso la minera-lizzazione viene trasformato dalla forma organica, inutilizzabile da parte delle piante, a quella inorganica, utilizzabile da parte delle piante.

Nel primo caso la mineralizzazione porta a una riduzione del quantitativo di so-stanza organica del terreno e quindi a una diminuzione della sua fertilità e viene considerata un processo sfavorevole da contrastare. Nel secondo caso, invece, la mineralizzazione porta a un aumento delle quantità di elementi nutritivi utilizzabi-li dalle colture e potrebbe essere visto come un processo favorevole da agevolare. In realtà il processo di mineralizzazione della sostanza organica, dell’azoto, del fosforo, ecc., non sono separabili e solo demolendo la sostanza organica è possibile liberare le forme inorganiche degli elementi che essa conteneva e non è quindi pos-sibile considerare il processo una prima volta positivamente e una seconda volta negativamente.

Considerando che la presenza nel terreno della sostanza organica umificata riveste una serie importantissima di aspetti positivi per la coltivazione delle piante (Fig. 7), il processo di mineralizzazione deve essere sempre considerato come un processo che si ripercuote negativamente sulla conduzione dell’attività agricola e deve quindi essere contrastato e ridotto il più possibile. Allo stesso tempo, considerando che la mineralizzazione è un processo naturale non eliminabile e che presenta al-cuni aspetti positivi, come la liberazione di elementi nutritivi in forma assorbibile dalle piante, è indispensabile procedere a favorire il processo di umificazione e cioè

Alessandro Masoni, Laura Ercoli

228

di formazione della sostanza organica, in modo tale che il contenuto di sostan-za organica del terreno, quando consi-derato soddisfacente, non diminuisca nel tempo, e quando considerato carente venga aumentato nel tempo.

I più importanti fattori che influenzano la mineralizzazione della sostanza orga-nica e quindi dell’azoto sono le caratte-ristiche chimico-fisiche del terreno, e soprattutto la temperatura, la macropo-rosità e il contenuto di umidità. Più pre-cisamente la mineralizzazione della so-stanza organica del terreno è legata a:

1. temperatura: l’attività dei microrga-nismi responsabili della mineralizzazione della sostanza organica, e quindi del-l’azoto, si svolge con una temperatura compresa tra 5 e 40° C, con l’ottimo in-torno ai 30° C. L’intero processo è regolato dalla temperatura necessaria per la nitrificazione, il cui livello termico superiore (40° C) è inferiore a quello dal-l’ammonificazione (60° C);

2. presenza di ossigeno: la mineralizzazione della sostanza organica è un processo aerobico; per il suo svolgimento è quindi indispensabile la presenza di ossigeno. All’interno del terreno agrario la circolazione e il ricambio dell’aria dipende dalla presenza di macropori, per cui la mineralizzazione procede più veloce-mente nei terreni sabbiosi che in quelli di medio impasto e argillosi. Al riguardo una notevole importanza è assunta anche dalle lavorazioni del terreno e segna-tamente dall’aratura che, aumentando la superficie di terreno esposta all’aria e la macroporosità dello strato lavorato, aumentano l’entità della mineralizzazio-ne;

3. contenuto di umidità: questo parametro svolge una tripla azione, infatti la pre-senza di acqua nel terreno:

- è indispensabile per la vita dei batteri deputati alla mineralizzazione, per cui la sua mancanza riduce la velocità della mineralizzazione;

- quando comincia a occupare i macropori allontana l’aria e quindi l’ossigeno riducendo l’attività microbica;

- diminuisce la temperatura del terreno, riducendo la mineralizzazione nei periodi freddi e aumentandola in quelli caldi.

Il contenuto di umidità ideale per la mineralizzazione corrisponde alla capacità di campo, in corrispondenza della quale si ha una quantità di acqua tale (i mi-cropori sono pieni) da soddisfare le esigenze dei microrganismi e non ostacolare la circolazione dell’aria (i macropori sono vuoti) e quindi quella dell’ossigeno. Al di sopra e al di sotto di tale livello di umidità la mineralizzazione dell’azoto si riduce sensibilmente, nel primo caso per difetto di ossigeno e nel secondo per

Azoto nel terreno

229

Figura 7. Effetti dell'humus nel terreno.

1. miglioramento della struttura;2. aumento del potere assorbente;3. aumento del potere tampone;4. aumento della capacità per l'acqua;5. aumento della temperatura;6. resistenza al dilavamento;7. aumento dell’aereazione;8. solubilizzazione del fosforo ed altri

elementi;9. aumento delle attività biologiche del

terreno.

difetto di umidità;

4. pH: il pH ottimale per il processo di mineralizzazione dell’azoto è quello pros-simo alla neutralità.

Nei climi mediterranei la velocità del processo di mineralizzazione presenta varia-zioni stagionali di notevole entità, in dipendenza dei valori della temperatura e dell’umidità. Generalmente si hanno:

1. due momenti di massima produzione di azoto nitrico, il primo in corrisponden-za della stagione primaverile e il secondo di quella autunnale, in corrisponden-za dei quali si hanno umidità e temperatura del terreno vicine alle condizioni ottimali per la mineralizzazione della sostanza organica;

2. due momenti di minima produzione, il primo in estate, a causa soprattutto della mancanza di acqua nel terreno, e il secondo in inverno, a causa sia dell’eccessi-vo quantitativo di acqua presente nel terreno sia della ridotta temperatura.

Oltre che dai fattori pedoclimatici, il processo di mineralizzazione dell’azoto orga-nico è influenzato dalle pratiche agronomiche. Tra queste:

1. le lavorazioni del terreno che prevedono la rottura della massa terrosa con au-mento della macro-porosità e della superficie esposta all’aria, aumentano la presenza di ossigeno;

2. l’irrigazione, che apportando acqua al terreno ne innalza il contenuto idrico;

3. la concimazione azotata, che nel periodo immediatamente successivo alla di-stribuzione rallenta la mineralizzazione, in un primo tempo in quanto i micror-ganismi preferiscono utilizzare l’azoto prontamente disponibile fornito con il concime e in un secondo tempo a causa dell’aumento della popolazione batteri-ca.

Una certa influenza sulla mineralizzazione della sostanza organica è esplicata an-che dalla specie coltivata e precisamente:

- dalle specie leguminose, che fissando l’azoto atmosferico, riducono l’attività dei microrganismi ammonizzanti e quindi rallentano la mineralizzazione;

- dalle specie non leguminose che, invece, asportano l’azoto dal suolo e quindi, in assenza di concimazione, accelerano la mineralizzazione.

Per stimare la quantità di sostanza organica demolita dalla mineralizzazione e le quantità di elementi nutritivi liberati in forma inorganica viene comunemente uti-lizzato il coefficiente o tasso di mineralizzazione.

Il coefficiente di mineralizzazione della sostanza organica (km) è la quantità di so-stanza organica demolita dalla mineralizzazione durante un definito intervallo di tempo espressa in percentuale della quantità che viene mineralizzata. Allo stesso modo il coefficiente o tasso di mineralizzazione dell’azoto (kmN) è la quantità di azoto inorganico liberato dalla mineralizzazione della sostanza organica del terre-no durante un definito intervallo di tempo espresso in percentuale della quantità che viene mineralizzata. In termini matematici:

Alessandro Masoni, Laura Ercoli

230

km =

Q1 − Q2

Q1× 100

dove: Q1: quantità di sostanza organica o di un qualsiasi elemento chimico con-tenuto nella sostanza organica al tempo 1;

Q2: quantità di sostanza organica o di un qualsiasi elemento chimico con-tenuto nella sostanza organica al tempo 2.

Normalmente il tasso di mineralizzazione si riferisce a un intervallo di tempo di un anno.

Il valore del coefficiente di mineralizzazione è difficilissimo da determinare con precisione, per maggiori informazioni si rimanda al capitolo “La mineralizzazione del suolo”.

La sostanza organica del terreno è composta principalmente da materiali organici di vario tipo e con un diverso grado di decomposizione, da organismi viventi (animali e vegetali) e da sostanza organica umificata o humus. Quest’ultima costi-tuisce un termine intermedio essendo un prodotto tipico e particolare derivante dalla degradazione del materiale organico e dalla riaggregazione di parte del mate-riale risultante che in seguito verrà a sua volta degradato fino alla completa sepa-razione in elementi minerali, acqua e anidride carbonica.

Sulla base della stabilità chimica, la sostanza organica del terreno può essere distin-ta in quattro classi:

1. biomassa microbica;

2. frazioni organiche facilmente mineralizzabili;

3. frazioni organiche mediamente resistenti alla mineralizzazione;

4. frazioni organiche molto resistenti alla mineralizzazione;

ciascuna delle quali ha un suo tasso di mineralizzazione e quindi contribuisce alla mineralizzazione annua in maniera percentualmente diversa (Tab. 6).

Azoto nel terreno

231

Tabella 6. Principali pool dell’azoto organico nel terreno.

Pool Quantità Periodo di semi-trasformazione

Contributo alla mineralizzazione

% del totale anni %

Biomassa microbica 4-8 0,5 30

Frazioni organiche facilmente mineralizzabili 6-10 1,5 34

Frazioni di media stabilità 36 22 35

Frazioni molto resistenti 50 600 1

4.4. Denitrificazione

La denitrificazione consiste nella progressiva riduzione dei nitrati e/o dei nitriti che vengono trasformati in composti gassosi, come l’azoto molecolare (N2) o il pro-tossido d’azoto (N2O).

La denitrificazione prevede più tappe e precisamente:

NO3− → NO2

− → NO → N2O → N2

È un processo dovuto ad alcuni gruppi di batteri (appartenenti ai generi Agrobacte-rium, Azospirillum, Pseudomonas, Rhodopseudomonas, Thiobacillus e Flavobacterium), prevalentemente anaerobi facoltativi, che in condizioni di mancanza di ossigeno dell’aria utilizzano per la loro respirazione l’ossigeno dei nitrati, riducendoli a pro-tossido di azoto N2O e azoto elementare N2, i quali, trovandosi in forma gassosa, possono liberarsi nell’atmosfera.

I batteri denitrificanti possono essere autotrofi o eterotrofi. I primi comprendono Micrococcus denitrificans (autotrofo facoltativo) e Thiobacillus denitrificans. I secondi comprendono numerosi generi, tra i quali Micrococcus, Pseudomonas, Achromobacter, e Bacillus.

Le reazioni di denitrificazione riducono l’azoto dei nitrati, portando il numero di ossidazione da +5 a +1 (N2O) o a zero (N2) e liberando una quantità di energia ana-loga a quella della respirazione nella quale l’agente ossidante del glucosio è l’ossi-geno. La quantità di energia più ridotta viene prodotta dalle reazioni di nitrifica-zione, che ossidano l’azoto da numero di ossidazione 0 a -3), questa quantità è co-munque ancora sufficiente a consentire la vita di alcuni batteri.

Essendo un processo anaerobico, il principale fattore di controllo della denitrifica-zione è costituito dalla disponibilità di ossigeno, che a sua volta è influenzata da tutti quei fattori che determinano una bassa areazione del terreno. Nelle normali condizioni di coltivazione, la ridotta presenza di aria nel suolo è determinata da una ridotta capacità di sgrondo dei terreni in seguito a forti precipitazioni e ridotta evapotraspirazione, che fanno sì che per un periodo sufficientemente lungo l’acqua si accumuli nel terreno riempendone la macroporosità.

Determinante è anche la temperatura del terreno. La temperatura ottimale per lo svolgimento del processo di denitrificazione si aggira attorno ai 70° C; sotto i 20° C la velocità delle reazioni rallenta drasticamente, fino ad arrestarsi completamente a 2° C.

Una certa influenza è esplicata anche dalla reazione del terreno. L’attività più ele-vata dei microrganismi denitrificanti si verifica quando la reazione del terreno è prossima alla neutralità (pH=6-8) e si arresta con pH inferiore a 5.

La denitrificazione è quindi un processo che, nelle normali condizioni di coltiva-zione, si verifica raramente, in quanto nel periodo estivo è limitato dalla buona aereazione del terreno mentre nel periodo invernale è limitato dalla bassa tempera-tura. In ogni modo, una buona sistemazione idraulico-agraria dei terreni è da sola in grado di limitare le perdite per denitrificazione.

Alessandro Masoni, Laura Ercoli

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Nei suoli agrari italiani, salvo casi molto particolari come i suoli di risaia, la quan-tità di azoto perduto per denitrificazione può essere stimata intorno a 1-5 kg di azoto per ettaro e per ciclo colturale.

4.5. Volatilizzazione

La volatilizzazione dell’azoto è un processo nel quale l’azoto ammoniacale del ter-reno viene trasferito nell’atmosfera, sotto forma di ammoniaca.

Nel terreno l’ammoniaca si forma a causa dell’equilibrio esistente, in soluzione ac-quosa, con gli ioni ammonio, che può essere rappresentato dalla seguente reazione:

NH4+ NH3 + H+

L’ammoniaca disciolta in acqua può poi diffondere nell’atmosfera.

Perché la volatilizzazione possa avere luogo è necessario che nel terreno siano pre-senti ioni ammonio in soluzione, in quanto la reazione non si applica agli ioni am-monio adsorbiti dalla capacità di scambio cationico del terreno.

La concentrazione di ioni ammonio nella fase liquida del terreno è positivamente correlato con la capacità di scambio cationico e negativamente con il tasso di im-mobilizzazione dell’azoto del terreno.

Dato che gli ioni idrogeno sono la sorgente dell’acidità, nei terreni acidi (pH basso) sono presenti numerosi ioni idrogeno per reagire con l’ammoniaca e formare ioni ammonio, mentre nei terreni alcalini (pH alto) gli ioni idrogeno sono relativamente pochi e una percentuale elevata di ammo-nio è convertita ad ammoniaca (Tab. 7). La presenza di ammoniaca nel terreno dipen-de quindi dal pH, e precisamente:

1. a pH acido, e fino a che non raggiunge la neutralità, la presenza di ammoniaca è molto ridotta e a pH 7 rappresenta poco più dello 0,5% dell’azoto ammo-niacale presente;

2. quando il pH supera la neutralità la quantità di ammoniaca presente nel terreno aumenta rapidamente, tanto che a pH 8 rappresenta già più del 5% dell’azoto ammoniacale presente e a pH 9 su-pera il 36%.

La volatilizzazione dell’ammoniaca aumenta poi:

1. all’aumentare della temperatura, che sposta l’equilibrio della reazione sopra riportata verso la formazione di ammoniaca e provoca l’aumento della costante di volatilizzazione dell’ammoniaca;

2. all’aumentare della velocità del vento, che diminuendo la concentrazione di

Azoto nel terreno

233

Tabella 7. Influenza del pH sulla pre-senza di ammoniaca nel terreno.

pH del terreno

Azoto ammoniacaleAzoto ammoniacalepH del terreno NH3 (%) NH4OH+ (%)

6 0,058 99,94

7 0,57 99,43

8 5,4 94,6

9 36,5 63,5

ammoniaca nello strato di aria immediatamente a contatto del terreno ne favorisce il passaggio nell’atmosfera.

Nei terreni agricoli le perdite di am-moniaca per volatilizzazione sono solitamente di entità molto limitata e possono assumere qualche rilievo soltanto in terreni a reazione netta-mente alcalina.

Perdite importanti possono però veri-ficarsi in conseguenza dell’applica-zione di concimi ammoniacali (Tab. 8) a condizione però che vengano distri-buiti:

- su terreni alcalini;

- con una temperatura della superficie del suolo di 30° C o più;

- in presenza di umidità (è sufficiente anche la rugiada);

- senza interrarli.

In queste condizioni si produce ammoniaca dall’urea:

CO NH2( )2+ 2H2O ureasi⎯ →⎯⎯ 2NH4

+ + CO32−

CO32− + H2O → HCO3

− + OH−

NH4+ + OH− → NH3 + H2O

e dal solfato di ammonio:

NH4( )2SO4 + 3H2O + CaCO3 → 2NH4

+ + CaSO4 × 2H2O + HCO3− + OH−

NH4+ + OH− → NH3 + H2O

Fenomeni di volatilizzazione possono interessare anche l’apparato fogliare delle piante, soprattutto quando la temperatura è elevata e la traspirazione molto inten-sa. Più importante, tuttavia, appare l’effetto opposto: l’ammoniaca volatilizzata dal terreno può essere infatti immediatamente catturata dalle foglie. I fenomeni di vo-latilizzazione dell’ammoniaca dal terreno, in altre parole, possono ridursi anche a zero quando la copertura vegetale è molto folta.

4.6. Lisciviazione

La lisciviazione è il movimento dell’azoto, ad opera delle acque di percolazione, lungo il profilo del suolo fino a oltrepassare lo strato interessato dall’apparato radi-cale delle piante.

Alessandro Masoni, Laura Ercoli

234

Tabella 8. Perdite di azoto ammoniacale per volatilizzazione espresse in percentuale del-l’azoto apportato per concimi non interrati.

Tipo di concime N-NH4 volatilizzato (%)

Solfato ammonico 8-15

Nitrato ammonico 2-10

Urea 6-25

Fosfato biammonico 1-5

Fosfato monoammonico 4-5

Concimi composti 1-4

Calciocianammide 2-4

In conseguenza della lisciviazione, l’azoto viene sottratto all’utilizzazione da parte degli organismi vegetali e disperso nelle acque drenanti del terreno. Il processo rappresenta quindi:

1. una perdita nutrizionale, in quanto parte del concime azotato distribuito per soddisfare le necessità delle piante, in vista dell’ottenimento di una determinata produzione, viene sottratto alla disponibilità della coltura che, conseguente-mente, fornirà una produzione più ridotta;

2. una perdita economica sia diretta, dovuta al costo del concime distribuito ma non utilizzato dalle piante, sia indiretta, dovuta al mancato guadagno conse-guente la riduzione di produzione;

3. una fonte di inquinamento delle acque di falda e, a volte, delle riserve di acqua potabile.

Quest’ultimo aspetto, spesso sottovalutato, merita una particolare considerazione sia per i rischi che comporta nei riguardi della salute dell’uomo sia per il costo del-le operazioni di disinquinamento. L’assunzione da parte dell’organismo umano di un quantitativo elevato di nitrati può comportare l’insorgere di metaemoglobine-mia, cioè della riduzione della capacità del sangue di trasportare l’ossigeno, che può causare gravi problemi sanitari e in alcuni casi la morte e attraverso la loro trasformazione in nitrosammine, la formazione di tumori. I nitrati sono anche tra i responsabili dell’eutrofizzazione delle acque, che consiste in un abnorme sviluppo di piante acquatiche e alghe legato all’eccessiva disponibilità di nutrienti, che pro-voca danni più o meno gravi all’ecosistema interessato, fino a provocare la totale scomparsa di ogni forma di vita aerobica.

La lisciviazione dell’azoto interessa quasi esclusivamente la forma nitrica dell’ele-mento, e solamente nei terreni sabbiosi può interessare anche la forma ammoniaca-le. Quest’ultima, infatti, se presente nel terreno, è adsorbita dalle argille e dalla so-stanza organica, che la trattengono impedendone il movimento con le acque di percolazione. Lo ione NO3-, invece, avendo carica negativa, è soggetto a fenomeni di repulsione anionica da parte della fase solida del terreno ed è quindi sempre disciolto nella soluzione circolante del terreno con la quale può spostarsi verso gli strati più profondi. In pratica la lisciviazione dei nitrati è rapida e praticamente automatica quando la soluzione del terreno migra verso gli orizzonti inferiori. Fanno eccezione i terreni fortemente acidi e molto ricchi di superfici elettropositive alle quali i nitrati possono legarsi.

I fattori che influenzano la lisciviazione dell’azoto sono tutti quelli in grado di au-mentare la concentrazione di N-NO3 della soluzione circolante del terreno e la quantità di acqua percolata, dato che senza percolazione non ci può essere liscivia-zione. I fattori che maggiormente influenzano la lisciviazione dell’azoto sono quindi:

1. le caratteristiche climatiche, e in particolare l’entità delle piogge, la loro distri-buzione e la evapotraspirazione effettiva della coltura;

2. la pianta coltivata con particolare riferimento alla famiglia botanica e al periodo dell’anno durante il quale si svolge il suo ciclo colturale;

Azoto nel terreno

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3. le caratteristiche del terreno, e in particolare la sua tessitura e il suo contenuto di sostanza organica;

4. la tecnica colturale e in particolare la dose di concime azotato distribuita, il tipo di concime utilizzato e l’epoca della distribuzione.

4.6.1. Caratteristiche climatiche

L’acqua costituisce il veicolo mediante il quale l’azoto nitrico si sposta nel terreno, per cui la lisciviazione dell’azoto è un fenomeno che, a parità di nitrati presenti, è strettamente dipendente dal bilancio idrico del terreno stesso. Soltanto quando ha riempito completamente la microporosità di un determinato spessore di terreno (capacità di campo), infatti, l’acqua può cominciare a muoversi verso gli strati più profondi trascinando con sé parte dei nitrati presenti.

Tra i diversi elementi del clima che caratterizzano un agroecosistema, i più impor-tanti per la lisciviazione dell’azoto sono quindi quelli che influenzano il contenuto di umidità del suolo, aumentandola o diminuendola, e precisamente:

1. l’entità e la distribuzione delle piogge. Questi due parametri devono forzata-mente essere considerati insieme, basti considerare che una pioggia può non provocare percolazione dell’acqua se cade su terreno asciutto o provocare una percolazione anche di forte entità se cade su terreno già bagnato da piogge precedenti;

2. l’evapotraspirazione effettiva della coltura che a sua volta dipende, oltreché dalla specie coltivata e dal suo stadio di accrescimento, dalla radiazione solare, dall’umidità relativa dell’aria e dal vento.

In parte, anche la temperatura dell’aria può essere considerato tra gli elementi del clima che influenzano la quantità di azoto persa per lisciviazione, a causa del suo effetto sull’accrescimento delle piante e quindi sulla loro capacità di assorbire l’ac-qua e i nitrati in essa disciolti.

La lisciviazione dell’azoto è quindi un fenomeno strettamente legato alle variazioni climatiche stagionali con:

1. le maggiori perdite che si verificano nei periodi in cui le precipitazioni sono ele-vate e l’evapotraspirazione, la temperatura e l’assorbimento dell’azoto da parte delle piante sono minimi;

2. le minori perdite che si verificano nei periodi in cui le precipitazioni sono ridot-te e l’evapotraspirazione, la temperatura e l’assorbimento dell’azoto da parte delle piante sono elevati.

Nella situazione climatica media della regione toscana perdite elevate si possono avere nel periodo che va da ottobre-novembre fino a marzo-aprile. Nel frumento, ad esempio, l’azoto lisciviato nel solo mese di dicembre può rappresentare oltre il 70% della quantità lisciviata durante tutto il periodo di coltivazione. Per contro, nei cereali estivi, come ad esempio il mais, raramente si verificano perdite di azoto per lisciviazione elevate, come diretta conseguenza delle scarse precipitazioni che av-vengono in estate.

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Problemi minori o assenti si verificano ovviamente in climi meno piovosi e più cal-di, per il duplice motivo di avere una minore quantità di pioggia annuale e perché, a causa della temperatura più mite durante tutto l’anno, le colture rimangono in vegetazione e quindi consumano acqua per un periodo più lungo. Con stagioni particolarmente asciutte, si può anche verificare una risalita dell’acqua dagli strati profondi a quelli più superficiali, con un temporaneo ritorno in superficie dei nitra-ti.

In primavera aumenta il tasso di nitrificazione e vengono di norma applicati i ferti-lizzanti azotati; se si verificano delle forti piogge prima che le colture primaverili stiano crescendo vigorosamente, possono essere lisciviate elevate quantità di nitra-ti. Durante l’estate la lisciviazione è minima, poichè l’evapotraspirazione delle col-ture e quindi il tasso di assorbimento delle piante è elevato e di norma supera le precipitazioni.

4.6.2. Pianta coltivata

In linea generale, la presenza di una copertura vegetale, grazie ai processi di assor-bimento dell’acqua e dell’azoto, è in grado di limitare la lisciviazione. L’efficacia della riduzione è ovviamente funzione della specie vegetale come risultato della durata del ciclo colturale, dell’alternanza di periodi di presenza/assenza di coper-tura, nonché delle sue caratteristiche morfologiche e fisiologiche.

Negli ecosistemi agrari, un ruolo importante nei riguardi della lisciviazione del-l’azoto viene ovviamente giocato dalla specie oggetto di coltivazione, in parte per le sue caratteristiche morfologiche e biologiche, in parte per il periodo dell’anno durante il quale si svolge il suo ciclo colturale (Fig. 8).

In generale:

- le specie con un elevato vigore vegetativo, specialmente se accompagnato da

Azoto nel terreno

237

Figura 8. Azoto lisciviato da coltivazioni diverse. Il frumento e il lolium erano concimati con 150 kg ha-1 di azoto, il mais con 250 kg ha-1. I valori sono riferiti al ciclo colturale o all’anno.

0

10

20

30

40

50

60

Terreno nudo

Frumento duro

Lolium italicum

Trifoglio pratense

Erba medica

Mais

Azo

to l

isci

viat

o (

kg h

a-1)

una elevata superficie fogliare, presentano una elevata evapotraspirazione e una elevata capacità di assorbimento dell’azoto, con conseguente diminuzione della percolazione dell’acqua, e quindi dell’azoto lisciviato;

- le specie con un apparato radicale profondo esplorano uno spessore di terreno più elevato dal quale possono assorbire azoto altrimenti destinato alla liscivia-zione;

- le specie graminacee presentano una maggiore capacità di utilizzazione del-l’azoto rispetto alle specie leguminose, per cui a parità di azoto presente nel ter-reno le perdite sono più ridotte per le prime che per le seconde;

- le specie leguminose rilasciano nel terreno qualche decina di chilogrammi di azoto per anno, azoto che se non ha la possibilità di essere assorbito dalla vege-tazione o immobilizzato nella biomassa microbica, sarà libero di lisciviare;

- le colture annuali a ciclo primaverile-estivo, indipendentemente dalle loro carat-teristiche morfologiche e biologiche, occupando il terreno in un periodo con ridotte precipitazioni atmosferiche ed elevata evapotraspirazione, sono quasi completamente esenti da perdite di azoto per lisciviazione. Qualche rischio può esserci nelle prime fasi di crescita, quando le precipitazioni possono ancora sa-turare la microporosità del terreno e l’assorbimento dell’azoto è ancora ridotto; nessun rischio c’è, invece, nelle fasi finali del ciclo biologico, quando la coltura ha ormai asportato dal terreno tutti i nitrati presenti;

- le colture annuali a ciclo autunno-vernino e quelle poliennali leguminose pre-sentano il rischio più elevato di perdere azoto per lisciviazione (Fig. 8). In en-trambi i casi, infatti, nella maggior parte della Toscana, le piogge autunnali e quelle invernali provocheranno sicuramente la percolazione di elevate quantità di acqua che porterà con se la maggior parte dei nitrati presenti nel terreno;

- i terreni lavorati ma non coltivati rilasciano più azoto nitrico dei terreni con col-tura, in quanto manca l’assorbimento di azoto da parte delle radici delle piante;

- l’interramento dei residui colturali con basso rapporto C/N provoca l’immobi-lizzazione dell’azoto da parte dei microrganismi responsabili delle trasforma-zioni dei residui lignino-cellulosici in humus e quindi una riduzione delle per-dite per lisciviazione. Un opportuno interramento degli stocchi di mais, ad esempio, determina una riduzione della lisciviazione dell’azoto dal frumento che lo segue nell’avvicendamento di circa il 20%.

4.6.3. Caratteristiche del terreno

Nei riguardi della lisciviazione dell’azoto anche le caratteristiche fisico-meccaniche e chimiche del terreno svolgono un ruolo importante in quanto influenzano:

1. la quantità di azoto presente nel terreno, sia come azoto totale che come azoto nitrico che, in assenza di concimazione azotata, è strettamente dipendente dal contenuto di sostanza organica e di colloidi argillosi;

2. la quantità di acqua che un determinato spessore di terreno può immagazzina-re, che è strettamente dipendente dalla microporosità del terreno stesso e cioè

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dalla presenza di cementi organici e minerali.

La tessitura del terreno è il parametro che riveste la maggiore importanza in quan-to microporosità elevata e contenuto di sostanza organica elevato si hanno essen-zialmente nei terreni tendenti all’argilloso, mentre risultano sempre ridotti nei ter-reni sabbiosi.

I terreni più fertili, più ricchi di humus e quindi di azoto organico, sono quelli che potenzialmente, in assenza di concimazione azotata, presentano le perdite più ele-vate, in quanto sono quelli che attraverso il processo di mineralizzazione della so-stanza organica liberanno nel terreno le quantità più elevate di azoto nitrico. In assenza di concimazione azotata, ad esempio, un terreno di medio impasto tenden-te all’argilloso e ben dotato di sostanza organica (2%) può perdere, durante il pe-riodo interessato a una coltura di frumento, più di 40 kg ha-1 di azoto, che scendo-no a 20 kg ha-1 in un terreno sciolto e povero di sostanza organica.

Molto dell’azoto perduto dal terreno, inoltre, deriva dalla mineralizzazione della sostanza organica, soprattutto durante il periodo di tempo intercorrente tra due colture.

4.6.4. Concimazione

È bene precisare che la lisciviazione dell’azoto è un fenomeno ineludibile che si verifica anche in assenza di concimazione azotata in quanto un certo quantitativo di nitrati viene comunque prodotto, naturalmente, dalla mineralizzazione della sostanza organica e dall’ossidazione dello ione ammonio, in qualsiasi terreno. La dose di concime azotato impiegata ha però, ovviamente, una importanza particola-re. È comunque bene precisare subito che, mentre l’incremento della dose di con-cime azotato provoca aumenti consistenti della produzione e della quantità di azo-to assorbita dalle colture, tra dose di azoto applicata e quantità di azoto lisciviata non c’è nessuna correlazione e all’aumentare della prima non si hanno automatici incrementi della seconda, ma anzi se la concimazione è ben condotta possono veri-ficarsi delle diminuzioni.

Oltre alla quantità distribuita un ruolo determinate sull’entità delle perdite di azoto per lisciviazione è svolto dall’epoca della distribuzione del fertilizzante e dalla forma chimica utilizzata.

Sia per le colture a ciclo autunno-vernino, sia per quelle a ciclo primaverile-estivo, sia per quelle poliennali, le distribuzioni frazionate, effettuate in dosi minime nei periodi in cui la richiesta della pianta è ridotta e la probabilità di avere percolazio-ne dell’acqua (periodi piovosi e freddi) è minima e in dosi elevate nei periodi in cui la richiesta della pianta è elevata (periodi di più intenso accrescimento delle piante) e la probabilità di avere percolazione dell’acqua è ridotta, fanno sì che la liscivia-zione dell’azoto risulti sempre molto modesta e indipendente dalla dose di conci-me azotato distribuita.

Anche la forma sotto la quale l’azoto è somministrato al terreno influenza la quan-tità lisciviata. Infatti, considerando che nelle acque di percolazione lo ione nitrico rappresenta la quasi totalità dell’azoto totale contenuto, l’applicazione di fertiliz-

Azoto nel terreno

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zanti azotati in forma nitrica determina un più elevato grado di lisciviazione del-l’azoto rispetto alle forme ammoniacale o ureica (Fig. 9).

4.6.5. Lavorazioni del terreno

Le lavorazioni del terreno stimolano la ammonificazione dell’azoto organico e la seguente nitrificazione, inoltre lasciano il terreno senza copertura per un certo tempo creando le condizioni per una possibile perdita di nitrati.

Il quantitativo di azoto potenzialmente lisciviabile aumenta con l’aumentare della profondità di lavorazione del terreno, per effetto di una maggiore aereazione in un volume di terreno più elevato. Nei periodi più piovosi, le differenze di azoto nitri-co dovute alle lavorazioni tendono ad attenuarsi, mentre si esaltano nei periodi più siccitosi.

Se il terreno a prato viene successivamente arato, tuttavia, si hanno dei rilasci del-l’elemento notevoli. Questo è il problema che può presentarsi nella pratica del set-aside quando i terreni lasciati a riposo vengono nuovamente lavorati.

4.6.6. Riduzione della lisciviazione dell’azoto

La riduzione della lisciviazione dell’azoto passa attraverso il miglioramento della sua efficienza di utilizzazione. A tal fine le strategie da seguire prevedono:

1. la sincronizzazione della distribuzione dell’azoto con le necessità della pianta, in modo da mantenere ridotti livelli di N nel terreno nei momenti in cui anche le richieste della coltura sono ridotte (ridotto accrescimento);

2. l’eliminazione di appezzamenti senza coltivazione (terreno nudo), specialmente nel periodo di maggiori precipitazioni, utilizzando colture di copertura in grado di assorbire l’azoto presente;

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Figura 9. Azoto lisciviato da una coltura di frumento in dipendenza del concime utilizzato.

30

32

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36

38

40

42

Nitrato di calcio

Solfato di ammonio

Urea

Azo

to lis

civi

ato (

kg h

a-1)

3. l’utilizzazione di concimi azotati contenenti una forma chimica adatta all’an-damento climatico e alla crescita della coltura (ad esempio ammonio nei periodi umidi e nitrati nei periodi asciutti);

4. l’utilizzazione di fertilizzanti azotati a lento rilascio.

Alcuni semplici sistemi per aumentare l’efficienza di utilizzazione dell’azoto consi-stono anche:

1. nella ottimizzazione della geometria della distribuzione dei fertilizzanti e nel-l’aumento della uniformità di distribuzione, in modo da evitare una sotto-con-cimazione in alcune zone e un eccesso in altre;

2. nel mantenimento di una fascia libera da concimazione ai bordi degli appezza-menti, in modo da ridurre le perdite nelle scoline.

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