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File: Cap-6 (bozza 2005) Data: 25/05/2006 6 CEMENTO ARMATO Questo capitolo è ampiamente tratto dal volume di Pietro Pedeferri e Luca Bertolini “La durabilità del calcestruzzo armato”, Ed. Mc Graw Hill, 2000. ( B O Z Z A ) 6.1 INTRODUZIONE 6.1.1 Cemento Portland Il cemento Portland viene ottenuto per sinterizzazione a circa 1400 °C di una miscela di argilla e calce nella quale il rapporto tra compenenti basici, CaO + MgO, e i costituenti acidi, SiO 2 + Al 2 O 3 , detto modulo di idraulicità, sia superiore a 1,7. Il prodotto sinterizzato (clinker) viene poi finissimamente macinato e mantenuto al riparo dall’unidità. I costituenti principali sono (Tabella 6.1): i silicati tricalcico, 3CaOSiO 2 , e bilcalcico, 2CaOSiO 2 ; gli alluminati e ferroalluminati di calcio, rispettivamente 3CaOAl 2 O 3 e 4CaOAl 2 O 3 Fe 2 O 3 ; il gesso, CaSO 4 2H 2 O. Il gesso viene aggiunto per controllare la velocità di reazione di formazione dell’alluminato tricalcico. Nella chimica del cemento si ricorre alle abbreviazioni: CaO = C; SiO 2 = S; Al 2 O 3 = A; Fe 2 O 3 = F; H 2 O = H; SO 3 = S Silicato tricalcico 3CaOSiO 2 C 3 S 45-60% Silicato bicalcico 2CaOSiO 2 C 2 S 5-30% Alluminato tricalcico 3CaOAl 2 O 3 C 3 A 6-15% Ferroalluminato tetracalcico 4CaOAl 2 O 3 Fe 2 O 3 C 4 AF 6-8% Gesso CaSO 4 2H 2 O C S 3-5% Tabella 6.1. Principali costituenti di un cemento portland e percentuali in peso. L’idratazione di C 3 S e C 2 S danno luogo a un prodotto colloidale indicato con la sigla C-S-H (calcio silicato idrato), di composizione non ben definita 1 (peraltro tendente, a idratazione completa, a corrispondere alla formula C 3 S 2 H 3 , di solito utilizzata per i calcoli stechiometrici) e a cristalli esagonali di idrossido di calcio, Ca(OH) 2 , portlandite. Le reazioni di idratazione possono essere schematizzate nel modo seguente: 2C 3 S + 6H = C 3 S 2 H 3 + 3Ca(OH) 2 2C 2 S + 4H = C 3 S 2 H 3 + Ca(OH) 2 1 Al variare del grado di idratazione, del rapporto acqua/cemento e della temperatura, il rapporto C/S può passare da 1,5 a 2; analogamente variano i rapporti C/H e S/H.

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6 CEMENTO ARMATO

Questo capitolo è ampiamente tratto dal volume di Pietro Pedeferri e Luca Bertolini “La durabilità del

calcestruzzo armato”, Ed. Mc Graw Hill, 2000.

( B O Z Z A ) 6.1 INTRODUZIONE 6.1.1 Cemento Portland Il cemento Portland viene ottenuto per sinterizzazione a circa 1400 °C di una miscela di argilla e calce nella quale il rapporto tra compenenti basici, CaO + MgO, e i costituenti acidi, SiO2 + Al2O3, detto modulo di idraulicità, sia superiore a 1,7. Il prodotto sinterizzato (clinker) viene poi finissimamente macinato e mantenuto al riparo dall’unidità. I costituenti principali sono (Tabella 6.1):

– i silicati tricalcico, 3CaO⋅SiO2, e bilcalcico, 2CaO⋅SiO2;

– gli alluminati e ferroalluminati di calcio, rispettivamente 3CaO⋅Al2O3 e 4CaO⋅Al2O3⋅Fe2O3;

– il gesso, CaSO4⋅2H2O. Il gesso viene aggiunto per controllare la velocità di reazione di formazione dell’alluminato tricalcico. Nella chimica del cemento si ricorre alle abbreviazioni: CaO = C; SiO2 = S; Al2O3 = A; Fe2O3 = F; H2O = H; SO3 = S

Silicato tricalcico 3CaO⋅SiO2 C3S 45-60%

Silicato bicalcico 2CaO⋅SiO2 C2S 5-30%

Alluminato tricalcico 3CaO⋅Al2O3 C3A 6-15%

Ferroalluminato tetracalcico 4CaO⋅Al2O3⋅Fe2O3 C4AF 6-8%

Gesso CaSO4⋅2H2O CS 3-5%

Tabella 6.1. Principali costituenti di un cemento portland e percentuali in peso. L’idratazione di C3S e C2S danno luogo a un prodotto colloidale indicato con la sigla C-S-H (calcio silicato idrato), di composizione non ben definita1 (peraltro tendente, a idratazione completa, a corrispondere alla formula C3S2H3, di solito utilizzata per i calcoli stechiometrici) e a cristalli esagonali di idrossido di calcio, Ca(OH)2, portlandite. Le reazioni di idratazione possono essere schematizzate nel modo seguente:

2C3S + 6H = C3S2H3 + 3Ca(OH)2

2C2S + 4H = C3S2H3 + Ca(OH)2

1 Al variare del grado di idratazione, del rapporto acqua/cemento e della temperatura, il rapporto C/S può passare da

1,5 a 2; analogamente variano i rapporti C/H e S/H.

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I prodotti ottenuti sono gli stessi, ma le proporzioni sono diverse. Il rapporto tra C-S-H e portlandite, passando dall’idratazione del C3S a quella del C2S varia da 61/39 a 82/18, l’acqua consumata scende dal 23 % al 21 %. C-S-H rappresenta circa il 50-60 % del volume in una pasta completamente idratata. È costituito da particelle colloidali di dimensioni estremamente ridotte che tendono ad aggregarsi per dar luogo a formazioni con dimensioni di qualche µm, caratterizzate da pori o da spazi interstrati molto ridotti (< 2 nm) e da un’area superficiale molto elevata2. I cristalli di portlandite hanno una dimensione dell’ordine di qualche µm. Sono in generale presenti in tenori compresi tra il 20 e il 25% e sono molto importanti per quanto riguarda la protezione delle armature, in quanto impartiscono un pH alcalino e quindi caratteristiche passivanti al calcestruzzo. L’idratazione di C3A e C4AF danno luogo, in presenza di gesso, rispettivamente a solfoalluminati idrati di calcio o di calcio e ferro. 6.1.2 Porosità della pasta di cemento idratata La struttura della pasta idratata presenta tre tipi di pori (Figura 6.1): – i pori nel gel C-S-H hanno un volume pari a circa il 28% del gel e dimensioni da qualche

frazione di nm a qualche nm; sono troppo piccoli per influenzare la durabilità del calcestruzzo o le sue proprietà protettive nei confronti delle armature;

– i pori capillari hanno diametri da 10 a 50 nm, se il calcestruzzo è ben idratato e prodotto con bassi rapporti acqua/cemento, ma possono arrivare fino a 3-5 µm se il calcestruzzo è ottenuto con alti rapporti a/c o presenta un basso grado di idratazione;

– i pori o vuoti dovuti all’inglobazione d’aria: questi vuoti possono essere introdotti accidental-mente per effetto di vortici durante la miscelazione o in seguito a difettoso costipamento e allora possono avere dimensioni fino a qualche mm. Viceversa possono essere aggiunti intenzionalmente con l’ausilio di agenti tensioattivi all’impasto in modo da conferire al calce-struzzo resistenza all’azione del gelo/disgelo; in questo caso risultano di circa 0,05-0,2 mm di diametro.

X

Spaziatura

tra gli stratidel C-S-H

Vuoti capillari

Cristalli esagonali diCa(OH)2 o bassi solfati

nella pasta cementizia

Vuoti d'aria

intrappolata

Bolle di aria intrappolata

Massima dimensionedell'aria intrappolata

per la resistenza

all'azione del geloAggregati diparticelle C-S-H

.

0,001 µm

1 nm

0,01 µm

10 nm

0,1 µm

100 nm

1 µm

103 nm

10 µm

104 nm

0,1 mm

105 nm

1 mm

106 nm

10 mm

107 nm

Figura 6.1. Dimensioni dei pori e di alcuni costituenti all’interno della pasta cementizia [1]. Per quanto attiene la durabilità del calcestruzzo e la protezione che può esercitare nei confronti delle armature, sono molto importanti i pori capillari.

2 100-700 m2/g: questa elevata superficie specifica spiega come le forze di attrazione di van der Waals possano

conferire al C-S-H una notevole resistenza meccanica.

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6.1.2.1 Porosità capillare Durante l’idratazione del cemento, il volume dell’impasto praticamente non cambia per cui il volume iniziale, pari alla somma dei volumi dell’acqua (Va) e del cemento (Vc) miscelati, risulta uguale al volume del prodotto indurito. Questo è costituito, come indicato in Figura 6.2, dalla somma dei volumi del cemento che non ha ancora reagito (Vcnr), dei prodotti solidi di idratazione (Vpi) e dell’acqua in essi contenuta (Vag), dell’acqua che riempie i pori capillari (Vac) e anche da eventuali vuoti capillari non pieni d’acqua (Vvc). I pori capillari sono costituiti dallo spazio non riempito dai componenti solidi della pasta idratata (Vac+Vvc in Figura 6.2). Poiché il volume dei prodotti di idratazione è circa doppio di quello del cemento da cui provengono, durante l’idratazione avviene una sostituzione con i prodotti di idratazione dello spazio occupato dal cemento che si è idratato e di parte dello spazio circostante inizialmente occupato dall’acqua.

Pori capillari

vuoti

Acqua neipori capillari

Acqua nel

gel C-S-H

Prodotti solidi

di idratazione

Cemento non

idratato

Acqua

Cemento

Va

Vc

Vvc

Vac

Vag

Vpi

Vcnr

Poricapillari

(Vpc)

Cemento .

idratato

Prima dell'idratazione Durante l'idratazione Figura 6.2. Rappresentazione delle proporzioni volumetriche in una pasta di cemento prima e durante l’idratazione. Pertanto, al procedere dell’idratazione il volume dei solidi (costituito dal cemento che non ha reagito e dai prodotti di idratazione) cresce e di conseguenza il volume dei pori capillari diminuisce. Il valore che quest’ultimo raggiunge a idratazione completa è ovviamente tanto maggiore quanto maggiore è la distanza iniziale tra le particelle di cemento e quindi la quantità d’acqua utilizzata per l’impasto. In conclusione: il volume dei pori capillari, cioè la porosità nella pasta cementizia, cresce con la quantità d’acqua utilizzata per l’impasto e quindi con il rapporto acqua/cemento (a/c) e diminuisce con il grado di idratazione (h). 6.1.2.2 La distribuzione dimensionale dei pori capillari Nel definire la resistenza al degrado di un calcestruzzo e la sua capacità protettiva nei confronti delle armature, non è soltanto importante la porosità capillare totale, ma anche la distribuzione dimensionale dei pori. Anch’essa varia con il rapporto a/c e con la stagionatura (e quindi con il grado di idratazione), come illustrato in Figura 6.3.

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In particolare, è opportuno distinguere tra i pori capillari di grandi dimensioni (> 50 nm) detti macropori e i pori di dimensioni minori, detti micropori.

0,9

0,8

0,7

0,6

0,5

0,4

0,3

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

1101001000

Diametro dei pori (nm)

Vo

lum

e cu

mu

lati

vo

dei

po

ri (

cm3/g

)

Stagionatura: 28 giorni

rapporto a /c :

(a )

28 giorni

90 giorni1 anno

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

1101001000

Diametro dei pori (nm)

Vo

lum

e cu

mu

lati

vo

dei

po

ri (

cm3/g

)

rapporto a /c = 0,7Stagionatura:

(b )

Figura 6.3. Influenza del rapporto acqua/cemento (a) e della stagionatura (b) sulla distribuzione dimensionale dei pori in una pasta cementizia.

Si osservi nella figura come, al diminuire del rapporto a/c o al crescere del tempo di sta-gionatura e quindi del grado di idratazione, la riduzione di porosità derivi quasi esclusivamente dalla diminuzione dei pori di dimensioni maggiori che risultano riempiti o segmentati dal gel C-S-H formatosi al loro interno. La diminuzione di porosità aumenta la resistenza meccanica e ral-lenta la cinetica dei processi di penetrazione degli agenti aggressivi all’interno della pasta e quindi anche i conseguenti fenomeni di degrado. Nel far aumentare la resistenza meccanica risulta importante sia la porosità derivante dai macropori che quella dei micropori. Nel rallentare la cinetica dei processi di penetrazione degli agenti aggressivi, invece, l’influenza delle dimensioni dei pori dipende dal meccanismo di trasporto. 6.2 CORROSIONE DELLE ARMATURE. ASPETTI GENERALI

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6.2.1 Le armature nel calcestruzzo In soluzioni alcaline con pH > 11,5 e in assenza di cloruri, il ferro si ricopre di un sottilissimo film di ossido, il cui spessore è di pochi strati molecolari; in queste condizioni, che sono dette di passività, la sua velocità di corrosione è praticamente nulla. Un calcestruzzo, correttamente confezionato e messo in opera, si comporta come una soluzione alcalina e quindi passiva perfettamente le armature: infatti nei pori della sua pasta cementizia è contenuta una soluzione, principalmente di idrossido di sodio e di potassio, di pH compreso tra 13 e 14. 6.2.1.1 Caratteristica anodica La caratteristica anodica di un’armatura a contatto con una soluzione satura di idrossido di calcio, rappresentativa di calcestruzzo non carbonatato e senza cloruri, è schematizzata in Figura 6.4.

Figura 6.4. Andamento schematico della caratteristica anodica dell’acciaio in calcestruzzi non carbonatati e non contenenti cloruri.

Si possono fare le osservazioni seguenti: – il ferro presenta una tendenza a passare allo stato ossidato a potenziali superiori al

potenziale di equilibrio della reazione Fe = Fe2+ + 2e, pari a −1 V SCE. Al di sotto di −1 V le armature si trovano in condizioni di immunità;

– nell’intervallo di potenziali compreso tra circa −800 mV e +600 mV la corrente scambiata in senso anodico è molto bassa (≈0,1 mA/m2) in quanto le armature sono ricoperte da un sottilissimo film di ossido che le protegge perfettamente. Pertanto in questo intervallo di potenziali la velocità di dissoluzione del ferro è del tutto trascurabile (cioè ≈0,1 µm/anno)3. Queste condizioni sono dette di passività e il loro intervallo di esistenza intervallo di passività.

– Nell’intervallo di potenziali compresi tra il valore di equilibrio e circa −800 mV, il film

3 A una velocità di dissoluzione di 0,1 mA/m2 corrisponde una velocità di penetrazione di circa 0,1 µm/anno.

Occorrono cioè 10.000 anni per portare a penetrazione di un millimetro; velocità di corrosione così ridotte possono di essere misurate solo con le tecniche elettrochimiche.

E (mV SCE)

i (mA/m2)

-1000

-500

0

+500

intervallo di pratica assenza di corrosione

0,1 1 10 100

zona di transpassività con sviluppo di ossigeno

zona di immunità zona di possibile

sviluppo di idrogeno

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protettivo non si forma. In questo intervallo, detto di attività, le armature possono teoricamente corrodersi; tuttavia, data la vicinanza delle condizioni di equilibrio, la velocità dell’attacco risulta ancora trascurabile. Per sottolineare il fatto che si tratta di condizioni di attività caratterizzate da basse velocità di corrosione in quanto prossime alle condizioni di equilibrio, sono anche dette di quasi immunità;

– al di sopra dell’intervallo di passività, cioè per potenziali superiori a circa 600 mV, le armature si portano in condizioni dette di transpassività: alla loro superficie si può sviluppare ossigeno secondo la reazione anodica 2H2O → O2 + 4H

+ + 4e- che produce acidità. 6.2.1.2 Caratteristica catodica La cinetica del processo di riduzione di ossigeno è illustrata dalla caratteristica catodica a in Figura 6.5. Anche se il potenziale di equilibrio per la riduzione di ossigeno all’interno del calcestruzzo (cioè a pH intorno a 13) vale circa +200 mV SCE, la reazione si produce con velocità apprezzabili solo per potenziali inferiori a circa 0 mV SCE. La velocità tende a un valore limite che misura, in unità elettrochimiche, la massima velocità con cui l’ossigeno può pervenire alla superficie delle armature. Questo valore (detto corrente limite di diffusione di ossigeno) diminuisce al crescere del contenuto d’acqua nel calcestruzzo e si riduce anche di 2-3 ordini di grandezza passando da calcestruzzi in equilibrio con atmosfere con umidità relativa (UR) attorno al 70 % a calcestruzzi saturi (nei quali la corrente limite di diffusione di ossigeno scende a valori indicativamente compresi tra 0,2 e 2 mA/m2, in funzione di spessore di copriferro e qualità del calcestruzzo).

Figura 6.5. Andamento schematico della caratteristica catodica in calcestruzzo alcalino: (a) aerato; (b) bagnato; (c) completamente saturo di acqua.

Per potenziali più negativi di −900 mV accanto al processo di riduzione di ossigeno si produce anche quello di sviluppo di idrogeno, per cui la densità di corrente catodica riprende a crescere. Se il calcestruzzo è completamente saturo di acqua e quindi non c’è ossigeno, l’unico processo catodico possibile è lo sviluppo di idrogeno e la caratteristica catodica è la curva b.

E (mV SCE)

i (mA/m2)

-1000

-500

0

+500

0,1 1 10 100

sviluppo di idrogeno

a

b

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6.2.1.3 Condizioni di corrosione Dalle curve caratteristiche catodica e anodica, si ricavano le condizioni di corrosione delle armature nelle varie situazioni operative (Figura 6.6). Infatti, nel caso la caduta ohmica relativa al passaggio della corrente nel calcestruzzo dall’area anodica a quella catodica si possa ritenere trascurabile, la velocità di corrosione (icorr) e il potenziale di corrosione (Ecorr) sono individuati dal punto di incontro delle caratteristiche anodica e catodica. In Figura 6.4 sono indicati i punti di incontro delle caratteristiche per il calcestruzzo esposto all’atmosfera, le cui armature operano in genere a potenziali compresi tra +100 e −200 mV SCE.

Figura 6.6. Schematizzazione delle condizioni di corrosione delle armature in calcestruzzo non contenente cloruri per diverse condizioni di apporto di ossigeno.

Per calcestruzzo immerso in acqua o comunque saturo d’acqua, il ridotto apporto di ossigeno alla superficie delle armature può portare il potenziale a valori minori di −400 mV SCE. Infine, in condizioni di totale assenza di ossigeno (peraltro molto difficili da raggiungere anche in laboratorio) il potenziale può scendere anche a valori inferiori a −900 mV SCE e il processo catodico è quello di sviluppo di idrogeno. In tutte queste condizioni le armature sono soggette a velocità di corrosione praticamente nulla. Il potenziale di corrosione delle armature passive (Ecor) è quindi determinato dal potere ossidante dell’ambiente. Si noti come nelle diverse condizioni ambientali, i valori massimo e minimo di potenziale che possono assumere le armature passive siano rispettivamente +100 mV in calcestruzzo aerato e −1 V in totale assenza di O2. Ciò significa che nel calcestruzzo le armature non possono operare nelle condizioni di immunità (come nel caso di metalli più nobili, ad esempio il rame) e neppure in quelle di transpassività, a meno che non vengano polarizzate imponendo una circolazione di corrente esterna. 6.2.2 Innesco e propagazione della corrosione

E (mV SCE)

i (mA/m2)

-1000

-500

0

+500

0,1 1 10 100

Ecor e icor in calcestruzzo aerato

Ecor e icor in totale assenza di ossigeno

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Nel tempo, il calcestruzzo può perdere le sue caratteristiche protettive; questo si verifica essenzialmente per tre motivi: – partendo dagli strati più esterni e passando via via a quelli più interni, l’alcalinità del

calcestruzzo può essere neutralizzata dall’anidride carbonica proveniente dall’ambiente esterno, per cui l’estratto acquoso del calcestruzzo passa da pH>13 a pH<9 (a questo processo si dà il nome di carbonatazione);

– a contatto con ambienti contenenti cloruri, nel calcestruzzo possono penetrare questi anioni fino a raggiungere le armature; se alla superficie delle armature si supera un tenore critico di cloruri (indicativamente dell’ordine di 0,4 ÷1 % del contenuto in peso di cemento) il film protettivo può rompersi localmente;

– nel caso di strutture interessate da campi elettrici e quindi percorse da correnti disperse (o vaganti) che interferiscono con le armature il film protettivo può venir distrutto nelle zone in cui la corrente esce dalle armature.

La distruzione del film protettivo è la precondizione necessaria perché la corrosione possa avvenire. Una volta distrutto il film, la corrosione si produce solo se alla superficie delle armature sono presenti acqua e ossigeno oppure, nel caso di correnti disperse, se l’interferenza continua nel tempo. La depassivazione avviene solo sulle armature raggiunte dal fronte di carbonatazione o dal tenore critico di cloruri, per cui in genere interessa solo una parte delle armature. Si può pertanto formare una macrocoppia fra le armature che si corrodono e le restanti ancora passive (in generale collegate elettricamente alle precedenti). In condizioni particolari, questa può aumentare la velocità con cui si produce l’attacco sulle armature che già si stanno corrodendo. Nella vita delle strutture in cemento armato si possono individuare due fasi nettamente distinte (Figura 6.7): una fase di innesco della corrosione, in cui si producono i fenomeni che portano al venir meno delle condizioni di passività, cioè alla distruzione locale o generalizzata del film protettivo, e una fase di propagazione più o meno veloce dell’attacco, a partire dal momento in cui il film protettivo viene distrutto.

Figura 6.7. Periodo di innesco e periodo di propagazione della corrosione in una struttura in cemento armato (modello di Tuutti).

penetrazione della corrosione

tempo

penetrazione massima accettabile

innesco propagazione

vita utile della struttura

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6.2.3 Morfologia La carbonatazione, là dove raggiunge le armature, distrugge completamente il film passivo; i cloruri ne provocano, invece, una “rottura” localizzata, a meno che non siano presenti in tenori molto elevati; le correnti disperse lo distruggono laddove lasciano le armature per entrare nel calcestruzzo. Pertanto: – la corrosione da carbonatazione si presenta uniformemente distribuita sulla superficie

dell’armatura;

– la corrosione da cloruri risulta in generale di tipo localizzato con attacchi penetranti, ciascuno di limitata estensione, che si configurano come veri e propri crateri (pit), circondati da zone non corrose (a questo tipo di corrosione si dà il nome di pitting); solo nel caso di elevati tenori di cloruri (soprattutto al diminuire del pH) il film può essere distrutto su ampie zone delle armature per cui la corrosione appare di tipo generalizzato;

– la corrosione da correnti disperse si localizza nelle zone dove la corrente lascia le armature. Su armature ad alta resistenza per strutture in cemento armato precompresso (ma non per le comuni armature per cemento armato), in condizioni ambientali, di potenziale, metallurgiche e meccaniche molto specifiche, è possibile che si sviluppino cricche di corrosione sotto sforzo indotte dall’idrogeno, in grado di portare a rottura “fragile” il materiale. I fenomeni corrosivi risultano spesso segnalati dalla comparsa alla superficie esterna del calcestruzzo di macchie di ruggine oppure da danneggiamenti del copriferro provocati dall’azione espansiva dei prodotti di corrosione (Figura 6.8). Questi occupano infatti un volume molto maggiore rispetto a quello del ferro da cui provengono4. Tuttavia, nei casi di attacco corrosivo localizzato, il calcestruzzo può presentare anche una superficie esterna integra.

Cricca

Spalling

Delaminazione

.

Figura 6.8. Tipici danneggiamenti prodotti dalla corrosione delle armature nelle strutture in cemento armato.

4 Il volume dei vari ossidi che la corrosione produce può essere da 2 a 6 volte maggiore del volume del ferro da cui

provengono, a seconda della loro composizione e del grado di idratazione. Ad esempio, il volume degli ossidi Fe2O3, Fe(OH)2, Fe(OH)3, Fe(OH)3⋅3H2O risulta rispettivamente circa 2, 3, 4 e 6 volte superiore a quello del ferro da cui provengono. In generale il volume dei prodotti di corrosione, che risultano formati da una miscela di questi ossidi, si può ritenere 4 volte superiore a quello del ferro.

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6.2.4 Conseguenze strutturali Sebbene i fenomeni corrosivi sulle armature siano spesso confinati a ridotte porzioni delle strutture, le loro conseguenze sono notevoli e riguardano non soltanto gli aspetti funzionali o lo stato esteriore delle opere interessate dal processo, ma anche gli aspetti strutturali e quindi le condizioni di sicurezza. Le principali conseguenze strutturali dell’attacco corrosivo (Figura 6.9) sono connesse con: la riduzione della sezione resistente delle armature e di conseguenza l’abbassamento del loro carico portante e della loro resistenza a fatica; la formazione di prodotti di corrosione che possono provocare fessure nel copriferro, una sua locale espulsione o una sua totale delaminazione; la riduzione di aderenza delle armature, che può addirittura causare la perdita di ancoraggio con gravissime conseguenze; infine, in condizioni molto particolari e solo con acciai ad elevato limite di snervamento, con cedimenti improvvisi per infragilimento da idrogeno.

Riduzione della

sezione dei ferri

Resistenza a rottura

Pericolo disancoraggioarmature

Aumento dellavelocità di corrosione

Distacco calcestruzzo

Rottura fragiledelle armature

Fenomeni diinfragilimento

da idrogeno e dicorrosionesotto sforzo

Fessurazione delcalcestruzzo

Proprietà dideformazione

Resistenza a fatica

Effettidella

corrosione

ruggine

.

Figura 6.9. Conseguenze strutturali della corrosione delle armature nelle opere in cemento armato.

6.2.5 Meccanismo elettrochimico e processi controllanti Una volta venute meno le condizioni di passività, il processo corrosivo delle armature può aver luogo se nel calcestruzzo a contatto con la loro superficie sono presenti ossigeno e acqua, secondo la reazione:

ferro + ossigeno + acqua = prodotti di corrosione

Questa reazione è di natura elettrochimica ed è costituita da quattro processi parziali: – la reazione di ossidazione del ferro (processo anodico) che rende disponibili elettroni nella

fase metallica e dà luogo alla formazione di prodotti di corrosione (Fe = Fe2+ + e-), la cui idrolisi produce acidità (Fe2+ + 2H2O = Fe(OH)2 + 2H

+);

– la reazione di riduzione dell’ossigeno (processo catodico) che consuma tali elettroni e

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produce alcalinità: O2 + 2H2O + 4e = 4OH-;

– il trasporto degli elettroni all’interno del metallo dalle regioni anodiche dove vengono resi disponibili a quelle catodiche dove sono consumati (poiché gli elettroni sono cariche di segno negativo, questo dà luogo alla circolazione di una corrente convenzionale in senso opposto),

– e infine, perché il circuito si possa chiudere, la circolazione di corrente all’interno del calcestruzzo dalle regioni anodiche a quelle catodiche (questa volta trasportata dagli ioni perché il calcestruzzo, in presenza di acqua, è un elettrolita).

Questi quattro processi sono complementari cioè devono prodursi con la stessa velocità. La velocità di corrosione è quindi determinata dal più lento dei quattro processi parziali. In effetti la resistenza elettrica dell’armatura è sempre trascurabile rispetto a quella del calcestruzzo. Pertanto, il trasporto di corrente all’interno dell’armatura non è mai un processo lento e quindi non contribuisce mai a ridurre la velocità di corrosione. Ciascuno degli altri tre processi, invece, in specifiche condizioni del calcestruzzo può prodursi con velocità inapprezzabile e divenire quindi il processo cineticamente controllante. Più precisamente, la velocità di corrosione risulta trascurabile quando si verifica anche solo una delle seguenti condizioni: – il processo anodico è lento perché le armature sono passive, come avviene in calcestruzzo

non carbonatato e non contenente cloruri;

– il processo catodico avviene lentamente perché la velocità con cui l’ossigeno riesce a pervenire alla superficie delle armature è bassa, come nel caso dei calcestruzzi saturi d’acqua;

– la resistività elettrica del calcestruzzo è elevata, come nel caso di strutture operanti in ambienti secchi o comunque a bassa umidità relativa.

Nel primo caso si parla di controllo cinetico di passività, nel secondo di controllo di diffusione di ossigeno, nel terzo di controllo ohmico. La velocità di corrosione è invece elevata nei casi in cui risultino verificate contemporaneamente le tre condizioni seguenti: le armature non sono più in condizioni di passività; l’ossigeno può arrivare alle armature con relativa facilità; la resistività del calcestruzzo risulta bassa (ad esempio, inferiore a 20.000 Ω·cm). L’umidità del calcestruzzo è il principale fattore di controllo della velocità di corrosione. Nel caso di calcestruzzi a bassa porosità, il contenuto d’acqua a cui corrisponde la velocità di corrosione massima è quello di equilibrio con atmosfere di umidità relativa attorno al 95%5. Per calcestruzzi meno compatti, invece, è quello di equilibrio con atmosfere di umidità relativa appena più elevata, ma non sature. Se ci si allontana da questi valori di umidità, in un senso o nell’altro, la velocità di corrosione diminuisce. Infatti (come si vedrà meglio nel capitolo 3) nei calcestruzzi a più alto tenore d’acqua (cioè vicini alla saturazione), caratterizzati da conducibilità elevata e da velocità di apporto di ossigeno ridotta, la velocità di corrosione viene a dipendere solo dalla velocità di apporto di ossigeno e quindi, come questa, diminuisce al crescere del contenuto d’acqua, fino quasi ad annullarsi in condizioni di saturazione. Viceversa, nei calcestruzzi a più basso tenore d’acqua, caratterizzati da velocità di apporto di ossigeno elevate e da conducibilità tanto più modeste quanto più basso è il tenore d’acqua, essa viene a dipendere solo dalla conducibilità del calcestruzzo e quindi, come questa, diminuisce al diminuire del contenuto d’acqua, fino a divenire trascurabile quando è in equilibrio con atmo-

5 Il contenuto d’acqua del calcestruzzo viene qui correlato, e lo sarà anche in seguito, con l’umidità relativa

dell’atmosfera esterna supponendo che questa e il calcestruzzo siano in condizioni di equilibrio. È forse opportuno ricordare che nelle strutture reali questa ipotesi si può ritenere tuttalpiù verificata alla superficie del calcestruzzo ma non certamente al suo interno. Pertanto, in generale, non si può quantificare il contenuto d’acqua nel calcestruzzo a contatto con le armature in base all’umidità dell’atmosfera esterna. Siccome il calcestruzzo tende ad assorbire l’acqua più velocemente di quanto non la rilasci, normalmente il contenuto d’acqua a livello delle armature risulta mediamente più elevato di quello prevedibile dall’umidità dell’atmosfera supponendo raggiunte le condizioni di equilibrio. Inoltre, almeno nei casi di copriferro elevato, le variazioni di umidità nelle parti esterne del calcestruzzo sono molto più forti di quelle che si riscontrano a livello delle armature (che più interessano ai fini della corrosione).

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sfere di umidità relativa inferiore rispettivamente al 50-60 % nel caso di calcestruzzo inquinato da cloruri e al 70 % nel caso di calcestruzzo carbonatato. 6.2.6 Velocità di corrosione La velocità di corrosione è di solito espressa come velocità di penetrazione e viene misurata in µm/anno. Raramente si esprime come perdita di massa per unità di superficie e di tempo; in questo caso l’unità di misura è g/m2

⋅anno. I corrosionisti, specialmente in prove di laboratorio, esprimono spesso la velocità di corrosione in unità elettrochimiche, cioè in mA/m2 o in µA/cm2. A 1 mA/m2 corrisponde, nel caso dell’acciaio, una perdita di massa pari a circa 9 mg/m2

⋅anno e una velocità di penetrazione pari a 1,17 µm/anno. Finché la velocità di penetrazione si mantiene al di sotto di circa 1,5-2 µm/anno, sia l’attacco sulle armature che le sue conseguenze sono trascurabili. Quando invece supera i 2 µm/anno, i prodotti di corrosione si accumulano all’interfaccia armatura/calcestruzzo provocando dapprima una riduzione di aderenza e poi, una volta che l’attacco è penetrato di uno spessore compreso tra i 20 e 200 µm (a seconda delle caratteristiche del copriferro, del diametro delle armature, delle condizioni ambientali, del tipo e della velocità di corrosione, della natura dei suoi prodotti, ecc.), danneggiamenti anche nel calcestruzzo. Indicativamente si può parlare di velocità di corrosione trascurabile se è inferiore a 2 µm/anno, bassa tra 2 e 5 µm/anno, moderata da 5 a 10 µm/anno, intermedia tra 10 e 50 µm/anno, alta tra 50 e 100 µm/anno, elevatissima per valori superiori a 100 µm/anno. La Figura 6.10 riporta le velocità con cui si producono i fenomeni corrosivi in alcune situazioni tipiche.

1000

100

10

1

vcorr

(µm/anno)

trascurabile .

Calcestruzzo moltocontaminato da cloruri e 95-98% UR

Calcestruzzo contaminatoda cloruri e 90-95% UR o carbonatatocon 95-98% UR

Calcestruzzo contaminato

da cloruri e 80-90% UR o carbonatatocon 90-95% UR

Calcestruzzo contaminatoda cloruri e 50-80% UR o carbonatatocon 70-90% UR

Calcestruzzo carbonatato o contaminato

da cloruri, saturo d'acqua oppure secco:UR<50% (cloruri), UR<70% (carbonatato)

Calcestruzzo non carbonatato

e senza cloruri0,1

.

Figura 6.10. Indicazione approssimata della velocità di corrosione in diversi calcestruzzi e in diverse condizioni ambientali (ripreso da [3], modificato).

6.2.7 Comportamento di altri materiali metallici L’alluminio a contatto con calcestruzzo fresco reagisce rapidamente sviluppando idrogeno. Una volta che il calcestruzzo è indurito il processo rallenta, per bloccarsi addirittura in calcestruzzo secco, ma basta che questo si impregni d’acqua perché la velocità torni elevata.

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Anche il piombo ha un cattivo comportamento. La sua reattività iniziale è meno forte di quella dell’alluminio. Peraltro l’attacco corrosivo in calcestruzzi umidi continua, perché l’ambiente impedisce la formazione del film di carbonato di piombo basico che invece è presente alla superficie del piombo esposto in atmosfera o a contatto a contatto con acque dolci. Il rame e le sue leghe non vengono corrosi, se non in presenza di composti ammoniacali; in quest’ultimo caso si possono verificare fenomeni di corrosione sotto sforzo. Il titanio risulta perfettamente passivo in tutti i tipi di calcestruzzo (con o senza cloruri, carbona-tato o meno) anche a potenziali molto alti; per questo viene utilizzato come base per anodi per la protezione catodica delle armature. Ottimo è infine il comportamento del nichel e delle sue leghe, anche in presenza di cloruri e in calcestruzzo carbonatato. 6.3 CORROSIONE DA CARBONATAZIONE 6.3.1 La carbonatazione L’anidride carbonica presente nell’atmosfera (in generale, in tenori variabili da 0,04 % in ambiente rurale a 0,2 % in ambiente urbano)

quando viene a contatto con il calcestruzzo tende

a neutralizzare, a partire dagli strati più esterni, i suoi componenti alcalini6. Questi componenti sono presenti nella soluzione all’interno dei pori (e sono costituiti da idrossidi prevalentemente di sodio e di potassio) ma anche nella matrice cementizia sotto forma di idrossido di calcio, di silicati di calcio idrato e di solfo-alluminati di calcio o di calcio e ferro. La reazione di carbonatazione che schematicamente si può scrivere come:7

H2O, NaOH

CO2 + Ca(OH)2 → CaCO3 + H2O Per effetto di questa reazione il pH dell’estratto acquoso si riduce dai valori usuali, compresi tra 13 e 14, a valori vicini alla neutralità, cioè ben al di sotto di pH 11,5, minimo valore necessario per assicurare, in assenza di cloruri, le condizioni di passività. Una seconda conseguenza è che i cloroalluminati eventualmente presenti si dissociano e liberano cloruri rendendo ancor più aggressivo l’ambiente. In conclusione, questo significa che l'acciaio nel calcestruzzo carbonatato si corrode come se fosse a contatto con acqua praticamente pura. D’altra parte, la carbonatazione non provoca danni di tipo meccanico, anzi, almeno nel caso di calcestruzzi ottenuti con cemento portland, riduce la porosità e porta a una maggiore resistenza meccanica. La determinazione dello spessore carbonatato si effettua in modo semplice spruzzando su una superficie di rottura del calcestruzzo una soluzione alcoolica di fenolftaleina. Le zone a pH superiore a 9 assumono la colorazione rosa tipica della fenolftaleina in ambiente basico, mentre le altre non vengono colorate. La prova deve essere effettuata subito dopo la rottura del

6 Anche altre sostanze acide, ad esempio l'anidride solforosa (presente anche in tenori di 5-10 mg/l nelle pioggie

acide) o gli ossidi di azoto, possono neutralizzare l'alcalinità del calcestruzzo, ma la loro azione risulta in genere tra-scurabile rispetto a quella della CO2.

7 Più precisamente la reazione di carbonatazione si produce in soluzione acquosa attraverso le seguenti reazioni:

CO2 + 2NaOH → Na2CO3

Na2CO3 + Ca(OH)2 → CaCO3 + 2NaOH

3Na2CO3 + 3CaO⋅2SiO2⋅3H2O → CaCO3 + 6SiO2 + 6NaOH + 4H2O

Na2CO3 + CaO⋅Al2O3⋅8H2O → CaCO3 + 2Al(OH) + 2NaOH + 4H2O + 3CaSO4

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calcestruzzo, in quanto nel tempo lo strato esterno di calcestruzzo tende a carbonatarsi (vedi Figura 6.11) La reazione di carbonatazione inizia alla superficie esterna e poi interessa le regioni più interne. L’andamento della penetrazione è dato da:

s = K ⋅ t1/n dove: – s è lo spessore dello strato carbonatato e t il tempo; quindi la velocità di penetrazione, ds/dt

= (K/n)⋅t(1-n)/n, tende a diminuire nel tempo.

– n: in calcestruzzi porosi n vale circa 2 e quindi s = K⋅ t per cui l’andamento è parabolico. In calcestruzzi compatti, la diminuzione nel tempo della velocità di carbonatazione è più alta, per cui n > 2. In calcestruzzi molto impervi la velocità tende praticamente ad annullarsi.

– K: La costante K dipende dalle condizioni ambientali; particolarmente importante è l’effetto dell’umidità relativa, meno marcati ma non trascurabili sono anche quelli derivanti dalla concentrazione di CO2 e dalla temperatura. Inoltre dipende dalla capacità del calcestruzzo di fissare la CO2 e impedirne la penetrazione, cioè dall’alcalinità e dall’impervietà del calce-struzzo e quindi dal tipo e dalla quantità di cemento, dal grado di idratazione, dal rapporto acqua/cemento, dalla compattazione e dalla maturazione del getto.

Figura 6.11. Test con fenolftaleina in carota prelevata nel copriferro. 6.3.1.1 Carbonatazione e umidità relativa La cinetica del processo di carbonatazione varia con l’umidità del calcestruzzo per due motivi. Anzitutto, come si è già visto, il trasporto dell’anidride carbonica all’interno di questo materiale ha luogo facilmente attraverso i pori riempiti d’aria, cioè in fase gassosa, mentre avviene molto lentamente in quelli riempiti d’acqua (il rapporto tra le velocità di diffusione nelle due condizioni è di circa 104). Di conseguenza la velocità di diffusione della CO2 diminuisce al crescere dell’umidità relativa (più marcatamente al di sopra dell’80 %) fino praticamente ad annullarsi in calcestruzzo saturo. Questo significa che quando il calcestruzzo è bagnato, la penetrazione della CO2 cessa. D’altra parte la reazione di carbonatazione vera e propria si produce soltanto in presenza d’acqua per

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cui, di fatto, per umidità inferiori al 40% non avviene con velocità apprezzabile. Per questi due opposti motivi, l’intervallo di umidità relativa più pericoloso per la carbonatazione è compreso tra 50 e 80% (Figura 6.12). Il valore di K, dipendendo dall’umidità presente nel calcestruzzo e dalle caratteristiche del calcestruzzo, cambia nel tempo (ad esempio perché la struttura è soggetta a bagnamenti e asciugamenti), da una zona all’altra della costruzione (ad esempio, passando da una zona riparata dalla pioggia a una esposta o da una zona in corrispondenza alle riprese di getto a una più lontana, la velocità di penetrazione può risultare notevolmente inferiore), passando dagli strati più esterni a quelli più interni del calcestruzzo (gli strati più esterni risultano più secchi di quelli interni nelle fasi di asciugamento, mentre il contrario succede nella fase di bagnamento; pertanto la pelle del calcestruzzo ha caratteristiche diverse dalla zona più interna) oppure passando da una regione piovosa o ad alta umidità a una secca.

0 20 40 60 80 100

Umidità relativa (%)

Velocità di

carbonatazione

Figura 6.12. Andamento qualitativo della velocità di carbonatazione al variare dell’umidità relativa.

0

5

10

15

20

0 5 10 15 20

Tempo (anni)

Pro

fon

dit

à d

i ca

rbo

nat

azio

ne

(mm

)

20°C e 65%UR

esterno (riparato)

esterno (superficie piana)

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Figura 6.13. Penetrazione della carbonatazione nel calcestruzzo in funzione del microclima [3]. Si sottolinea l’estrema importanza, nelle situazioni concrete, del microclima. Ad esempio, nel caso di una parete esterna di un edificio, in una zona schermata dalla pioggia la velocità di penetrazione è sempre molto più elevata che non nelle zone protette. In particolare, la velocità di penetrazione della carbonatazione all’esterno di un edificio in una zona non schermata dalla pioggia risulta inferiore che non all’interno (Figura 6.13). Gli aumenti di temperatura, a parità di altre condizioni e in particolare del tenore di umidità che in genere è il parametro più importante, fanno crescere la velocità di penetrazione. La capacità di un calcestruzzo di fissare la CO2 è proporzionale all’alcalinità presente nella sua pasta cementizia e quindi dipende linearmente dalla quantità di cemento utilizzato. L’alcalinità dipende poi anche dal tipo di cemento. Nel portland circa il 64% del peso di cemento è costituito da CaO e circa 0,5-1,5% da Na2O e da K2O

8. La capacità invece di rallentare la penetrazione della carbonatazione dipende dalla impervietà del calcestruzzo e quindi dai parametri che la determinano, in particolare dal rapporto acqua/cemento, a/c (Figura 6.14) e dalla maturazione.9

0

5

10

15

20

25

30

35

40

0.3 0.5 0.7 0.9 1.1 1.3

Rapporto a /c

Pro

fon

dit

à d

i ca

rbo

nat

azio

ne

(mm

) Condizioni di maturazione prima

dell'esposizione a 20°C e 50% UR1 giorno nel cassero

+ 27 giorni in acqua

1 giorno nel cassero

Figura 6.14. Influenza del rapporto a/c e delle condizioni di maturazione sulla profondità di carbonatazione (calcestruzzi di cemento Portland).

6.3.2 Aspeti elettrochimici L’ambiente vicino alla neutralità, proprio del calcestruzzo carbonatato, impedisce la formazione del film protettivo sulle armature e quindi l’instaurarsi di condizioni di passività. Pertanto la curva anodica presenta l’andamento illustrato in Figura 6.15, curva a. In scala semilogaritmica (E, logi), in un ampio intervallo di densità di corrente, la caratteristica anodica è rettilinea con una pendenza compresa tra 60 e 120 mV/decade.

8 La quantità di CO2 (peso molecolare 44) che può essere fissata da un calcestruzzo prodotto con 300 kg/m3 di

cemento portland, essendo il materiale alcalino presente nel portland e quindi nei suoi prodotti di idratazione costituito per il 64% da CaO (peso molecolare 56), vale: 300·0,64·44/56 ≈ 160 kg/m3.

9 Siccome anche la resistenza a compressione del calcestruzzo dipende dagli stessi parametri, ne deriva che al crescere di questa cresce anche la resistenza alla penetrazione della CO2.

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Per quanto riguarda le caratteristiche catodiche, le correnti limite sono analoghe a quelle viste precedentemente per calcestruzzo alcalino, in particolare le leggi di dipendenza dal tenore di umidità del calcestruzzo sono le stesse. Le curve, però, risultano spostate in alto perché il potenziale di equilibrio da cui partono le caratteristiche risulta circa 200 mV più elevato in ambiente neutro rispetto a quello in ambiente alcalino. La combinazione, per ogni condizione ambientale, delle caratteristiche anodica e catodica determina le condizioni di corrosione. Per contenuto d’acqua superiore a quello di equilibrio con atmosfere a umidità relativa maggiore di 95-98 %, la velocità di corrosione delle armature è determinata praticamente solo dalla velocità di apporto di ossigeno e può raggiungere diverse decine di mA/m2 proprio in corrispondenza al contenuto d’acqua sopra indicato. Essa diminuisce se il tenore d’acqua cresce al di sopra di questo valore, fino a divenire trascurabile una volta raggiunte le condizioni di saturazione del calcestruzzo. Il potenziale delle armature si mantiene tra −300 e −500 mV, e si porta a valori più bassi solo alle condizioni di saturazione. Quando il contenuto d’acqua nel calcestruzzo scende al di sotto dei valori precedenti, è necessario tener presente anche gli effetti di caduta ohmica relativi al passaggio della corrente nel calcestruzzo dall’area anodica a quella catodica10. Al diminuire dell’umidità del calcestruzzo i contributi dissipativi di tipo ohmico divengono dapprima confrontabili e poi assolutamente preponderanti rispetto ai contributi dissipativi legati al processo di diffusione di ossigeno. Le condizioni di corrosione si possono ancora ottenere dalle curve caratteristiche; la velocità di corrosione è individuata dalla densità di corrente in corrispondenza alla quale la differenza tra il potenziale catodico e quello anodico è pari alla caduta ohmica. In pratica, passando dal contenuto d’acqua che dà luogo alla velocità di corrosione massima (definito da umidità relative di equilibrio comprese, come si è visto, tra il 95 e il 98 %), a tenori d’acqua più bassi corrispondenti all’equilibrio con umidità relative comprese tra il 80 e 90 % e a tenori ancora più bassi corrispondenti a umidità relative inferiori al 70 %, la velocità di corrosione indicativamente scende rispettivamente di 1 e 2 ordini di grandezza. Per quanto riguarda il potenziale, in questo caso non si parla di potenziale di corrosione ma di potenziale della regione anodica e di quella catodica. Il potenziale delle armature (cioè il valore misurato rispetto a un elettrodo di riferimento posto nel calcestruzzo) si mantiene intermedio tra il potenziale anodico e quello catodico, all’interno dell’intervallo −300 ÷ −500 mV.

10 I contributi di tipo ohmico non si possono trascurare come nel caso delle armature passive discusso in precedenza

perché le correnti in gioco in presenza di fenomeni corrosivi sono più alte (e, per di più, il calcestruzzo carbonatato ha una resistività maggiore del calcestruzzo alcalino).

E (mV SCE)

i (mA/m2)

-1000

-500

0

+500

0,1

1

10

100

95 %

UR

80 %

UR

70 %

UR

EC

EA

EA

EC

ECOR

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Figura 6.15. Condizioni di corrosione delle armature in calcestruzzo carbonatato, in funzione dell’umidità.

6.3.3 Tempo di innesco In pratica, una previsione accurata dello spessore carbonatato e quindi del tempo di innesco della corrosione è complessa soprattutto perché la costante K, come si è visto, cambia nel tempo, passando dagli strati esterni a quelli interni del calcestruzzo e, inoltre, da una zona all’altra di una stessa struttura. La formula più usata per effettuare previsioni della vita di servizio è quella parabolica:

s = K ⋅ t che dà risultati abbastanza accurati per calcestruzzi porosi, ma tende a sovrastimare, almeno per tempi lunghi, la penetrazione nel caso di calcestruzzi compatti ottenuti con cementi Portland. I valori di K trovati per le strutture reali esposte all’atmosfera protette dalla pioggia variano da 2 a 15 mm/anno½ e più precisamente: 2 < K < 6 per calcestruzzi di elevata compattezza (cioè con basso a/c e ben costipati e maturati) con contenuto di cemento superiore a 350 kg/m3; 6 < K < 9 per calcestruzzi di media compattezza; K > 9 per calcestruzzi porosi di bassa qualità con contenuto di cemento minore di 250 kg/m3. Dalla Figura 6.16, che riporta l’andamento nel tempo dello spessore carbonatato per diversi valori di K, si può vedere come il fronte carbonatato risulti inferiore a 20 mm (spessore minimo di copriferro in molte strutture) dopo 50 anni, solo se K risulta inferiore a 2,82.

0

20

40

60

80

100

120

0 10 20 30 40 50

Tempo (anni)

Pro

fon

dit

à d

i ca

rbo

nat

azio

ne

(mm

)

K = 2,82

K = 7

K = 15

Figura 6.16. Profondità del fronte carbonatato, calcolata con la funzione semplificata s = K⋅t½, in funzione del tempo e di K.

Ciò significa che, in zone riparate dalla pioggia, 2 cm di copriferro portano a un periodo di innesco superiore a 50 anni solo con calcestruzzi molto compatti. Dalla stessa figura si osserva invece come già per K = 7, cioè per un calcestruzzo di media compattezza, lo spessore di carbonatazione dopo 50 anni sia superiore a 50 mm. Naturalmente questo vale per calcestruzzi al riparo dalla pioggia, perché, laddove i risultassero esposti, la penetrazione della carbonatazione sarebbe notevolmente più lenta.

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In quest’ultimo caso la valutazione di K risulta complessa, in quanto dipende dalla frequenza e dalla durata dei periodi di pioggia e dalle caratteristiche dell’ambiente esterno (UR, esposizione solare, vento, temperatura, ecc.). 6.3.4 Velocità di avanzamento Una volta che il fronte carbonatato ha raggiunto le armature, depassivandole, la corrosione può aver luogo se sono presenti acqua e ossigeno. Nel caso di strutture aeree, se si escludono le condizioni di completa saturazione del calcestruzzo, l’ossigeno è sempre presente in quantità tali per cui il suo apporto alle armature non costituisce un fattore cineticamente controllante. Il processo corrosivo è quindi sotto controllo ohmico. In Figura 6.17 è riportata la dipendenza della velocità di corrosione dalla resistività elettrica del calcestruzzo. Per questo motivo, il contenuto d’acqua è determinante mentre passano in seconda linea (anche se rimangono significative nell’intervallo di umidità relativa compreso fra 60 e 90%, Figura 4.9) le caratteristiche del calcestruzzo e quindi i fattori che le determinano (tipo di cemento, rapporto a/c, maturazione, ecc.) che sono invece importanti nel determinare la velocità di penetrazione della carbonatazione e quindi il tempo di innesco.

Resistività del calcestruzzo (Ω.cm)

101

1

2

10-1

10-2

103 104 105 106 107

102

Velocità dicorrosione

(mA/m2)

Figura 6.17. Dipendenza della velocità di corrosione per carbonatazione dalla resistività del calcestruzzo.

Poiché, almeno con calcestruzzi di buona qualità, la velocità di corrosione risulta trascurabile per umidità relative minori di 80 % spesso si introduce il fattore tempo di bagnato (ω, cioè la frazione di tempo in cui l’umidità relativa risulta superiore al 80%) per esprimere la penetrazione dell’attacco (p) nel tempo t. Si suppone cioè che la corrosione propaghi solo durante il tempo di bagnato. Inoltre si è osservato che la velocità di corrosione tende ad aumentare nel tempo. Infatti i prodotti di corrosione, ancorché non in grado di passivare le armature, interferiscono con il processo corrosivo riducendone la velocità. La velocità di corrosione da carbonatazione più severe si osservano nelle situazioni caratterizzate da alternanza di condizioni di umidità bassa con altre ad alta umidità, come succede nel caso di calcestruzzo esposto alla pioggia.

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La situazione risulta molto più grave rispetto a quella sopra descritta se nel calcestruzzo sono presenti cloruri anche in piccoli tenori, cioè anche in tenori insufficienti per creare di per sé condizioni di corrosione11. Ad esempio in Figura 6.18 è riportato l’andamento della velocità di corrosione all’interno di un calcestruzzo carbonatato artificialmente soggetto a corrosione uniforme in assenza e in presenza di cloruri. Si può notare come, per rendere la velocità di corrosione trascurabile sia necessario operare a umidità relative esterne inferiori rispettivamente a 75%, 60% e addirittura a 40% quando il contenuto di cloruri passa da 0 a 1%.

0.1

1

10

40 50 60 70 80 90 100

Umidità relativa (%)

Vel

oci

tà d

i co

rro

sio

ne

(mA

/m2)

0%Cl-

0,4%Cl-

1%Cl-

Figura 6.18. Relazione tra umidità relativa e velocità di corrosione in malte carbonatate in assenza e in presenza di piccoli tenori di cloruri.

6.4 CORROSIONE DA CLORURI La distruzione del film protettivo provocata dai cloruri ha luogo, almeno in condizioni di pH elevato, in forma localizzata, per cui è localizzato anche l’attacco conseguente. Le zone dove il film viene a mancare funzionano da anodo (zona attiva) rispetto a quelle circostanti su cui, invece, ha luogo la riduzione di ossigeno (zona passiva). La morfologia dell’attacco è quella tipica della forma di corrosione localizzata del pitting (Figura 6.21).

11 La presenza di piccoli tenori di cloruri nel calcestruzzo può essere dovuta sia all'impiego di materie prime (acqua,

aggregati) contenenti questi ioni, sia alla penetrazione di questi ioni dall'ambiente esterno (ambiente marino, sali antigelo). Molte costruzioni degli anni ’60 e ’70, soprattutto nei paesi freddi, risultano inquinate con piccoli tenori di cloruri per la pratica, molto frequente in quegli anni nei mesi invernali e per le strutture prefabbricate, di aggiungere al calcestruzzo additivi acceleranti a base di cloruro di calcio.

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Figura 6.19. Attacco localizzato da cloruri. Il passaggio di corrente dalle aree anodiche a quelle catodiche circostanti contribuisce ad aumentare ulteriormente l’aggressività nella zona anodica, in quanto l’arricchisce in cloruri (che giungono in questa regione trasportati dalla corrente), e ne abbassa l’alcalinità: per idrolisi dei prodotti anodici, il pH all’interno di un pit può scendere in certi casi a valori inferiori a 3. Vice-versa, rafforza il film protettivo nella zona catodica in quanto produce alcalinità, tende ad allontanare i cloruri e abbassa il potenziale (Figura 6.20). Queste circostanze prima stabilizzano il funzionamento anodico e catodico delle aree rispettivamente attive e passive e poi accelerano il processo corrosivo (meccanismo autocatalitico del pitting), che può raggiungere velocità di penetrazione molto elevate (fino a 1 mm/anno).

H2O

Cl-

H+

Fe++

Acciaio

Film dipassività

Cl-

e-

H2O, O2 OH-

pH > 12,5

Zona attiva (pit)pH < 5

Calcestruzzo

.

Figura 6.20. Schema di un attacco di tipo pitting. Le condizioni di insorgenza dell’attacco dipendono dalle caratteristiche del calcestruzzo e dall’esposizione ambientale. Nelle strutture aeree, per le quali le armature sono caratterizzate da potenziali vicini a 0 V SCE, l’innesco ha luogo al di sopra di un tenore critico di cloruri In pratica, con calcestruzzi non carbonatati (pH>13) ottenuti con normali cementi portland, il rischio di corrosione è basso per tenori di cloruri inferiori a 0,4% (in peso rispetto al contenuto di cemento) ed elevato per tenori

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superiori a 1%. Il limite critico tende verso valori più alti nel caso di calcestruzzi poco permeabili e con aggiunte pozzolaniche o di scoria d’altoforno. In realtà, risultano pericolosi solo i cloruri disciolti nell’acqua presente nei pori della matrice cementizia, ma non quelli legati chimicamente ai costituenti dell’impasto in forma di sali insolubili (come, ad esempio, i cloruri che si legano all’alluminato tricalcico per dare cloroalluminati). Poiché tra i cloruri disciolti e quelli legati chimicamente esiste sempre un equilibrio, variando la composizione del calcestruzzo e quindi la sua capacità legante, si può variare il tenore di cloruri in soluzione anche se si mantiene invariata la loro concentrazione totale. La capacità di legare i cloruri dipende soprattutto dal contenuto di alluminato tricalcico nel cemento. Ad esempio, con i cementi solfato-resistenti (caratterizzati da un basso tenore di alluminato tricalcico) il rischio di corrosione, a pari contenuto totale di cloruri, è più elevato che con i comuni cementi portland. Nel caso di strutture immerse in acqua o comunque prossime alla saturazione, le cui armature sono caratterizzate da potenziali molto negativi, ad esempio compresi fra −400 e −600 mV SCE, il tenore critico di cloruri risulta notevolmente più elevato, potendo raggiungere anche valori di un ordine di grandezza superiore a quello delle strutture aeree. 6.4.1 Aspeti elettrochimici La presenza di cloruri nel calcestruzzo fa variare il comportamento anodico delle armature, modificandone la caratteristica anodica nel modo indicato in Figura 6.21. L’intervallo di passività viene ridotto perché il suo limite superiore, Epit detto potenziale di rottura o potenziale di pitting viene abbassato al crescere del loro tenore e passa da circa +600 mV SCE in calcestruzzo non contaminato a valori inferiori a −500 mV in calcestruzzo molto inquinato. La presenza di cloruri produce, a potenziali più positivi di Epit , la distruzione locale (rottura) del film che protegge le armature e quindi l’attacco del metallo sottostante. Per potenziali inferiori a Epit, la loro azione è, invece, in prima approssimazione, trascurabile. A parità di contenuto di cloruri, Epit diminuisce al diminuire del pH dell’estratto acquoso del calcestruzzo e all’aumentare della temperatura e della porosità del calcestruzzo. Epit dipende anche dalle modalità di misura perché queste provocano alla superficie delle armature sensibili variazioni di pH e di tenori di cloruri. Il più alto tenore di cloruri che per ogni potenziale delle armature è compatibile con le condizioni di passività è detto tenore critico di cloruri a quel potenziale. Per strutture aeree (le cui armature operano a un potenziale non distante da 0 V SCE) il tenore critico è indicativamente compreso nell’intervallo 0,4%÷1% del contenuto di cemento. Per strutture immerse in acqua (le cui armature operano invece ad un potenziale molto più basso indicativamente attorno −400 ÷ −500 mV SCE) o comunque se le armature sono per qualsiasi motivo polarizzate catodicamente, i tenori critici risultano molto più elevati. Una volta che l’attacco è iniziato, nella zona anodica progressivamente si produce acidità e aumenta il tenore di cloruri finché si raggiungono condizioni stabili12. La velocità di penetrazione della corrosione può superare anche il mm/anno nelle condizioni più critiche, che si hanno per alti tenori di cloruri e per contenuti d’acqua prossimi alla saturazione. Man mano che diminuisce il contenuto d’acqua, aumenta la resistenza ohmica e la velocità si riduce fino a divenire trascurabile quando l’umidità assume un valore inferiore a quello di equilibrio con atmosfere di UR del 40-50%.

12 La corrente che circola dalle zone anodiche (che si corrodono) alle zone catodiche (passive) induce un trasporto di

cloruri in senso opposto (in quanto sono ioni di carica negativa). Nella zona in cui avviene l’attacco si concentrano quindi i cloruri. Inoltre, per idrolisi dei prodotti anodici, nella stessa zona ha luogo produzione di acidità. Di conseguenza l’ambiente diviene progressivamente più aggressivo. Con il tempo si raggiunge una condizione di “propagazione stabile” in corrispondenza alla quale vi è equilibrio fra i cloruri portati dalla corrente e quelli che si allontanano per diffusione e tra gli idrogenioni prodotti nella zona anodica e quelli che si allontanano.

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Figura 6.21. Andamento schematico della caratteristica anodica per diversi tenori di cloruri. 6.5 INFRAGILIMENTO DA IDROGENO Le armature ad alta resistenza di strutture precompresse possono essere soggette a cedimenti causati da idrogeno atomico, per qualsiasi motivo prodotto alla loro superficie. Il cedimento può aver luogo in modi diversi: lo sviluppo di idrogeno atomico può provocare la formazione e la propagazione di cricche che partono dalla superficie esterna del materiale, soprattutto in presenza di intagli; in altri casi l’idrogeno atomico penetra all’interno delle armature, si accumula nelle regioni soggette ai massimi sforzi di trazione, soprattutto in corrispondenza a difetti reticolari, e le porta a frattura fragile a partire da uno di questi siti d’accumulo. Il cedimento provocato dall’idrogeno, che rientra nella famiglia di fenomeni detti di corrosione sotto sforzo, viene spesso detto infragilimento da idrogeno perché porta a una rottura apparentemente fragile del materiale, o anche rottura differita (delayed fracture) perché non si produce nel momento dell’applicazione del carico, ma si manifesta dopo un ritardo, detto tempo di incubazione, variabile da qualche giorno a molti anni, in funzione delle caratteristiche del materiale, dello sforzo applicato e del contenuto di idrogeno. L’infragilimento interessa soprattutto gli acciai ferritici ad alta resistenza impiegati nelle strutture in cemento armato precompresso; non si produce invece sugli acciai utilizzati per le comuni armature per cemento armato. La quantità di idrogeno necessaria per provocare l’infragilimento diminuisce al crescere delle caratteristiche meccaniche dell’acciaio. Ad esempio per infragilire acciai con un carico di rottura superiore 1800 MPa bastano tenori inferiori a 1 ppm, mentre sono necessari tenori anche di un ordine di grandezza più elevati se il carico di rottura scende a 1200 MPa. Peraltro, a parità di resistenza meccanica, la quantità di idrogeno necessaria per provocare l’infragilimento varia con la loro struttura e con i trattamenti termici e meccanici utilizzati per conferire loro le caratteristiche meccaniche richieste, cioè in definitiva con il tipo di processo impiegato per produrli. In pratica la produzione di questi acciai può avvenire: per trafilatura a

E (mV SCE)

i (mA/m2)

-1000

-500

0

+500

0,1 1 10 100

senza cloruri

0,2-0,4 % Cl- 1 % Cl-

4 % Cl-

con basso pH

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freddo seguita da distensione; per laminazione a caldo seguita da deformazione a freddo e distensione; per tempra seguita da rinvenimento. Gli acciai ottenuti per tempra e rinvenimento sono senza dubbio i più suscettibili di infragilimento. La microstruttura martensitica prodotta dalla tempra presenta sforzi interni non sempre completamente rimossi dal rinvenimento e un numero relativamente ridotto di dislocazioni, per cui la quantità di idrogeno necessaria per interferire con il loro movimento e causare l’infragilimento risulta bassa. Gli acciai lavorati a caldo sono meno suscettibili all’infragilimento dei precedenti. Come indicazione di larga massima si può sostenere che in pratica gli acciai temprati e rinvenuti sono da considerare potenzialmente suscettibili se la loro resistenza a rottura supera i 1600 MPa, mentre quelli trafilati a freddo se supera i 1800 MPa. Condizione necessaria per il prodursi dell’infragilimento è che la superficie dell’acciaio si ricopra di uno strato di idrogeno atomico adsorbito. L’idrogeno atomico si può formare per riduzione di idrogenioni (H+ + e- → Had) oppure per decomposizione dell’acqua (H2O + e- → Had + OH-). Lo sviluppo di idrogeno è reso possibile in corrispoindenza di attacchi localizzati in presenza di cloruri: nelle aree anodiche si verifica infatti acidificazione dell’elettrolita con possibile riduzione di ioni idrogeno. La successione dei fenomeni che possono seguire l’innesco di corrosione per pitting sono illustrati nella Figura 6.22 per due acciai, A e B, di diversa tenacità.

Figura 6.22. Altre situazioni di possibile sviluppo di idrogeno si riscontrano quando: − le armature sono soggette a corrosione acida in strutture carbonatate; − sono protette catodicamente; − sono accoppiate con un materiale meno nobile; − sono soggette all’azione di correnti disperse; − hanno subito particolari processi di lavorazione o di finitura (decapaggio, zincatura, ecc.). L’infragilimento da idrogeno non si produce su armature realizzate con acciai con resistenza a rottura inferiore a 700 Mpa.

profondità dell’attacco

tempo ti tr,A tr,B

A B

dcr,A

dcr,B

pitting

corrosione

sotto sforzo

propagazione

instabile

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6.5.1 Acciai per cemento armato Le norme italiane ed europee13 per armature per strutture in cemento armato prescrivono i requisiti meccanici di resistenza e di tenacità, attraverso i valori caratteristici della tensione di rottura (ftk) e di snervamento (fyk) a trazione e in base all’allungamento percentuale (A) a rottura (oppure, ad esempio per l’Eurocodice 2, in base all’allungamento in corrispondenza al carico massimo εu). Per quanto riguarda la composizione chimica, invece, sono posti dei vincoli sul contenuto di determinati elementi (C, P, S, Mn, ecc.) solo se è richiesta la saldabilità. In funzione delle caratteristiche superficiali, le armature vengono divise in barre lisce e ad aderenza migliorata. In Tabella 6.2 sono riportate la classificazione e le prescrizioni attualmente vigenti in Italia. Sono disponibili vari processi di produzione delle armature, che portano a prodotti con proprietà diverse, ma nel rispetto delle prescrizioni delle norme. In passato si ricorreva semplicemente alla laminazione a caldo, per cui le caratteristiche meccaniche erano ottenute utilizzando acciai con tenori di elementi di lega relativamente elevati (C fino a 0,5% e presenza di Mn e Si). Negli ultimi anni, oltre alla necessità di garantire maggiori resistenze, è sorta l’esigenza di garantire migliori proprietà di saldabilità, per consentire le operazioni di saldatura in cantiere o la realizzazione di reti elettrosaldate.

Tipo di acciaio fyk

(MPa)

ftk

(MPa)

A

(%)

Acciai in barre tonde lisce:

- Fe B 22 k ≥ 215 ≥ 335 ≥ 24

- Fe B 32 k ≥ 315 ≥ 490 ≥ 23

Acciai in barre ad aderenza migliorata:

- Fe B 38 k ≥ 375 ≥ 450 ≥ 14

- Fe B 44 k ≥ 430 ≥ 540 ≥ 12

Fili acciaio trafilato (φ = 5-15 mm) ≥ 390 ≥ 440 ≥ 8

Reti e tralicci elettrosaldati ≥ 390 ≥ 440 ≥ 8

Tabella 6.2. Classificazione e caratteristiche degli acciai per armature (D.M. 14-2-1992). Sono stati così sviluppati nuovi processi produttivi che consentono di ottenere caratteristiche meccaniche conformi alle norme, utilizzando acciai a basso contenuto di carbonio e di elementi di lega (C ≈ 0,2%) che garantiscono adeguate proprietà di saldabilità. Questi si basano su tre principi: deformazione a freddo di un acciaio di base a basso contenuto di elementi di lega; aggiunta di microelementi di lega (vanadio o niobio) che provocano un indurimento per precipitazione durante laminazione a caldo; raffreddamento controllato (in acqua e poi in aria) in uscita dal laminatoio a caldo. 6.5.2 Acciai per precompressione La principale caratteristica degli acciai per cemento armato precompresso (fili, barre, trecce, trefoli) è l’elevato valore del carico di snervamento; tuttavia deve essere garantita anche una

13 In Italia, attualmente, è in vigore il D.M. LL.PP. 14-2-1992: “Norme tecniche per l’esecuzione delle opere in cemento

armato normale e precompresso e per le strutture metalliche”. A livello europeo i codici principali sono l’Eurocodice 2: “Design of concrete structures” e il CEB-FIP Model Code 1990.

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ragionevole duttilità. Secondo l’Eurocodice 2 vengono classificati in base al valore caratteristico del carico di snervamento allo 0,1% (fp0,1k) e del carico di rottura (fpk) e in base al compor-tamento a rilassamento14. Anche per gli acciai per precompressione esistono diversi processi produttivi. I meccanismi di rafforzamento sono analoghi a quelli visti per gli acciai per armature; in questo caso, però, vengono ottenuti incrementi di resistenza molto più elevati. Inoltre non è necessario garantire proprietà di saldabilità, per cui si utilizzano tenori di carbonio più elevati. Le caratteristiche meccaniche degli acciai per armature di precompressione possono variare a seconda della tecnologia produttiva, della composizione chimica dell’acciaio, delle dimensioni e della geometria. Indicativamente, con barre di diametro 12-40 mm si può ottenere una resistenza a trazione nominale di 900-1400 MPa; con fili trafilati a freddo (di diametro 3-12 mm) si ottengono valori di 1500-1800 MPa; con trefoli a 7 cavi di diametro 7-18 mm si può arrivare a 1700-2000 MPa. 6.5.3 Comportamento corrosionistico Per quanto concerne il comportamento corrosionistico, è necessario distinguere tra acciai per strutture precompresse e acciai per strutture in cemento armato solo per quanto riguarda l’infragilimento da idrogeno che, come si è visto interessa solo i primi. Per tutto il resto è possibile un discorso unitario. In calcestruzzo non carbonatato e non contenente cloruri, le condizioni di passività che si producono alla superficie degli acciai basso legati non risentono in maniera apprezzabile della loro composizione, struttura o condizione superficiale. Pertanto eventuali trattamenti termici o meccanici subiti dalle armature o la rugosità della loro superficie sono ininfluenti. Nemmeno la presenza di magnetite (scaglia di laminazione) che su acciai a contatto con soluzioni neutre, come ad esempio le acque dolci o di mare, può essere causa di pericolosi attacchi localizzati, rappresenta un fattore aggravante. Infatti il calcestruzzo in queste condizioni passiva anche le superfici non coperte dalla magnetite e quindi rende uniforme dal punto di vista elettrochimico l’intera superficie. I film di ossido, se sono aderenti, non creano problemi. Gli strati di ruggine non aderente, invece, vanno eliminati, di solito mediante semplice spazzolatura, soprattutto perché possono ridurre l’aderenza tra acciaio e calcestruzzo. Naturalmente se la ruggine contiene cloruri, perché ad esempio si è formata in ambiente marino, è necessario eliminarla accuratamente. Anche una volta che l’armatura viene attivata perché il calcestruzzo si è car-bonatato o si è contaminato con cloruri, l’influenza sulla velocità di corrosione delle condizioni di composizione, strutturali e di superficie è trascurabile perché il controllo cinetico del processo di corrosione è di tipo ohmico o di diffusione di ossigeno e quindi dipende dalle caratteristiche del calcestruzzo (in particolare dalla sua umidità), piuttosto che da quelle del metallo. 6.6 FATTORI CONTROLLANTI LA CORROSIONE E PREVENZIONE 6.6.1 Spessore del copriferro L’aumento dello spessore del copriferro comporta diversi effetti benefici. Anzitutto diminuisce la permeabilità alle varie specie aggressive e allunga il tempo necessario per l’innesco dei fenomeni corrosivi, se pur con legge diversa in dipendenza delle caratteristiche del calcestruzzo e a seconda che questi siano provocati da carbonatazione o da cloruri. A questo proposito si ricorda che lo spessore interessato alla penetrazione della carbonatazione assume nel tempo valori uguali o (su tempi lunghi) inferiori a quelli espressi dalla legge s = k⋅t1/2. Pertanto se lo spessore di copriferro in alcune zone della struttura risulta ad esempio dimezzato rispetto a quello nominale, in queste zone il tempo di innesco si riduce a

14 Il rilassamento è misurato dalla riduzione percentuale del carico in un provino a cui viene imposta una deformazione

costante per un tempo prefissato (es. deformazione corrispondente al 70% di fpk per 1000 ore).

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meno di un quarto di quello previsto (Figura 6.23). Considerazioni analoghe valgono anche nel caso il calcestruzzo risulti contaminato da cloruri. D’altra parte gli aumenti di spessore del copriferro ritardano la fessurazione del calcestruzzo causata da sforzi indotti dai prodotti di corrosione delle armature e, nel caso di strutture immerse in acqua di mare, fanno aumentare la resistenza elettrica attorno alle armature, deprimendo l’attività di eventuali macrocoppie. Al crescere dell’aggressività ambientale è in teoria possibile attraverso un aumento dello spessore di copriferro, mantenere costante il grado di affidabilità delle strutture. In pratica, però, gli spessori non possono superare certi limiti per motivi meccanici ed economici.

2 5 10 15 25 50 1000

10

20

30

Tempo (anni)

Penetrazione(mm)

Spessore copriferro nominale

Spessore copriferrodimezzato

Figura 6.23. Riduzione del tempo di innesco della corrosione per riduzioni locali dello spessore del copriferro. 6.6.2 Fessure In ogni caso le fessure riducono notevolmente il tempo di innesco in quanto risultano vie pre-ferenziali per l’ingresso della carbonatazione o dei cloruri (Figura 6.24). Peraltro si osserva che se le dimensioni delle fessure sono modeste (ad esempio se la loro apertura è inferiore a circa 0,3-0,5 mm), dopo l’innesco dell’attacco corrosivo i prodotti di corrosione possono riuscire dapprima a sigillare le fessure, almeno nella zona più vicina alle armature, e poi addirittura a ripristinare il film protettivo di ossido.

Fessura

Avanzamento nel tempodel fronte di depassivazione

Corrosione

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Figura 6.24. Illustrazione dell’avanzamento nel tempo del fronte di depassivazione (per carbonatazione o per penetrazione dei cloruri) in calcestruzzo fessurato [2].

6.6.3 Condizioni di aggressività L’aggressività ambientale è funzione di numerosi fattori tra loro non indipendenti, anzi con effetti sinergici vistosi e complessi legati sia al macroclima sia alle condizioni microclimatiche locali che la stessa struttura contribuisce a creare, quali: l’umidità dell’ambiente e la sua variabilità nel tempo, la presenza di cloruri, di ossigeno e la temperatura. Un quadro riassuntivo dell’aggressività ambientale nelle principali condizioni di esposizione, è il seguente. – L’ambiente non è aggressivo quando è sufficientemente secco. Nel caso il calcestruzzo sia

carbonatato ma non contenga cloruri, l’umidità relativa dell’atmosfera (UR, espressa come umidità relativa percentuale) al di sotto della quale la velocità di corrosione diviene trascurabile è pari a circa 70 % e 60 % rispettivamente in climi temperati e tropicali; nel caso invece contenga cloruri, si riduce al 60 % o persino, se il loro tenore è elevato, a meno del 50 %.

– L’ambiente non è aggressivo, anche in presenza di cloruri, se mantiene il calcestruzzo in condizioni di totale e permanente saturazione e al suo interno non sono presenti moti convettivi, perché in queste condizioni l’ossigeno non può praticamente raggiungere la superficie delle armature.

– In assenza di cloruri, per UR>70 %, costante o con variazioni modeste, poco frequenti o che comunque non portano, se non occasionalmente, a formazione di condense, l’ambiente è moderatamente aggressivo in paesi temperati e aggressivo in paesi tropicali o equatoriali.

– In assenza di cloruri, per UR>70 % con ampie e frequenti variazioni o se alla superficie del calcestruzzo si producono condense o si alternano condizioni asciutto-bagnato, l’ambiente è aggressivo in climi temperati e molto aggressivo in climi caldi.

– In assenza di cloruri, per umidità compresa tra il 70 % e il 95 % la velocità di corrosione risente notevolmente della qualità del calcestruzzo (Figura 4.9) la quale invece ha un’influenza modesta per UR<70 % o UR>95 %.

– In presenza di cloruri, l’ambiente può essere aggressivo se UR si mantiene al di sopra di 50 % (o al 40 % per tenori molto elevati e presenza di cloruri igroscopici come quelli di magnesio o di ammonio). L’aggressività cresce con l’umidità (fino a raggiungere un massimo per UR attorno al 90-95 % per calcestruzzi compatti e 95-98 % per calcestruzzi più porosi), con il tenore di cloruri e con la temperatura.

– Le condizioni di esposizione all’atmosfera marina, anche se non a contatto diretto con l’acqua, sono aggressive.

– Le condizioni di contatto con l’acqua di mare e di successivo asciugamento, come nella zona degli spruzzi di strutture marine, oppure quelle che si verificano sulle solette di viadotti sui quali vengano cosparsi sali antigelo, sono molto aggressive.

– Infine, le condizioni su superfici orizzontali o soggette a ristagno nelle zone degli spruzzi di strutture marine o di strutture su cui si spargono sali antigelo sono estremamente aggressive.

Queste condizioni di aggressività sono in parte recepite dalle normative. Ad esempio, nelle norme UNI 9858 [3] e ENV 206 [4] l’aggressività ambientale è definita dalle 5 classi di esposizione riportate in Tabella 6.3. I principali limiti di questa classificazione sono legati al fatto che si riferiscono a condizioni medie e non alle condizioni microclimatiche locali, create anche dalla stessa struttura, dove l’aggressività può risultare completamente diversa rispetto a quella media. Ad esempio, sull’impalcato di un viadotto dove si spargono sali antigelo la situazione è più aggressiva nelle zone dove l’acqua tende a ristagnare (e ad accumulare i cloruri) o dove viene convogliata e

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quindi in corrispondenza ai giunti, ai cordoli, nella zona vicino all’intradosso di una curva, laddove i drenaggi non funzionano, ecc. Oppure all’interno di una abitazione, dove pure il fronte di carbonatazione può raggiungere le armature in tempi relativamente brevi, la velocità di corrosione è in genere trascurabile perché l’umidità relativa è bassa; ma là dove dovesse ve-rificarsi una qualsiasi perdita d’acqua o comunque frequenti e abbondanti condense l’attacco corrosivo può invece manifestarsi con una velocità tutt’altro che trascurabile. E così pure, all’esterno di un edificio la situazione cambia passando da zone schermate ad altre esposte alla pioggia. Si accenna infine al fatto che situazioni di aggressività elevata possono essere causate dalla presenza simultanea di fattori ambientali che singolarmente presi non portano a corrosione. Classe di esposizione Esempi di condizioni ambientali

1) Ambiente secco interni di abitazioni o uffici*

2) Ambiente umido a) senza gelo

interni con umidità elevata (UR>70%) elementi strutturali esterni elementi strutturali in acqua o in terreni non aggressivi

b) con gelo

elementi esterni esposti al gelo elementi in acqua o in terreni non aggressivi, ma esposti al gelo elementi interni con umidità elevata ed esposti al gelo

3) Ambiente umido con gelo e agenti disgelanti elementi esterni esposti al gelo e ai sali antigelo: viadotti autostradali, solette da ponte, aeroporti, ecc.

4) Ambiente marino a) senza gelo

elementi parzialmente o completamente sommersi in mare o situati nella zona di battigia elementi in aria ricca di salsedine (zone costiere)

b) con gelo

elementi parzialmente o completamente sommersi in mare o posti nella zona di battigia, esposti al gelo elementi in aria ricca di salsedine ed esposti al gelo

Le seguenti classi possono presentarsi da sole o assieme alle precedenti

5) Ambiente chimicamente aggressivo **

a) ambiente debolmente aggressivo (gas liquidi o solidi) atmosfera industriale aggressiva

b) ambiente moderatamente aggressivo (gas, liquidi o solidi)

c) ambiente fortemente aggressivo (gas liquidi o solidi)

* Questa classe di esposizione resta valida se, prima che la costruzione sia terminata, la struttura o i componenti non si trovino esposti a condizioni più severe per un prolungato periodo di tempo.

** Gli ambienti chimicamente aggressivi per la presenza di solfati e di CO2 sono classificati nella UNI 8981 (per la UNI 9858) e nella ISO 9690 (per la ENV 206).

Tabella 6.3. Classi di esposizione legate alle condizioni ambientali. 6.6.4 Prevenzione in sede di progetto La prevenzione della corrosione delle armature si colloca in sede di progetto dell’opera e si sviluppa quindi nelle successive fasi di realizzazione con la preparazione, la messa in opera, la costipazione e la maturazione del calcestruzzo e con l’eventuale applicazione di misure speciali di prevenzione aggiuntiva. Continua infine per tutta la sua vita operativa con interventi programmati di ispezione e manutenzione. Il progetto dei dettagli costruttivi deve evitare geometrie complesse, spigoli vivi, addensamenti di armature; in merito occorre ricordare che giunti di dilatazione, appoggi e ogni zona di pos-sibile ristagno d’acqua costituiscono punti deboli della struttura dal punto di vista corrosionistico. La Figura 13.1 illustra alcuni dettagli costruttivi che l’esperienza ha indicato essere causa frequente di insuccessi e propone alcune alternative corrette.

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6.6.5 Qualità del calcestruzzo Il manifestarsi di fenomeni di degrado precoce e inaspettato su strutture in cemento armato che al momento della costruzione si ritenevano di durata pressoché illimitata, ha portato a introdurre, negli anni ‘70, il concetto di durabilità e a definire la vita utile o vita di servizio. Si definisce vita utile di una struttura il periodo di tempo in cui è in grado di mantenere i requisiti previsti di sicurezza, stabilità, funzionalità, senza richiedere costi straordinari di manutenzione e di ripristino. I metodi utilizzati per definire le specifiche di un calcestruzzo durevole nei confronti dei diversi tipi di degrado, compresa la corrosione delle armature, si basano sulla norma ENV 206 [2] (o la corrispondente UNI 9858 [3] che in Italia ha valore di legge perché è stata recepita dal decreto ministeriale del 14/2/92) e sull’Eurocodice 215 [4]. Queste norme definiscono le classi di esposizione ambientale e, all’aumentare dell’aggressività esterna, impongono vincoli via via più stretti per il rapporto a/c, il dosaggio di cemento, la lavorabilità del calcestruzzo, le modalità con cui viene messo in opera e maturato, lo spessore di copriferro; inoltre per le condizioni che possono provocare degrado da gelo-disgelo e attacco solfatico impongono quantitativi minimi di aria e specifici tipi di cemento. Nel caso della grande maggioranza delle strutture esposte all’atmosfera le specifiche impon-gono caratteristiche del calcestruzzo e di spessore del copriferro sicuramente adeguate per garantire vite di servizio di almeno 50 anni. Pertanto il semplice rispetto di queste norme eliminerebbe la grande maggioranza delle forme di degrado, corrosione compresa, che oggi si riscontrano e che sono legate a errata scelta o messa in opera dei materiali. Peraltro, in relativamente poche, ma molto importanti, condizioni di esposizione ambientale, soprattutto connesse con la presenza di cloruri e quindi raggruppabili nelle classi di esposizione 3 e 4, le normative non sono adeguate.16 Ad esempio, in Tabella 6.4 è riportato il tempo di innesco della corrosione nelle parti più critiche di una struttura operante in ambiente marino, valutato per diversi spessori di copriferro in base ai coefficienti di diffusione dei cloruri (Dce) determinati su strutture realizzate con due tipi di calcestruzzo con 420 kg/m3 di cemento portland, immerse per 16 anni nel Mare del Nord [5]. Si può notare come una vita di servizio di 30 anni è garantita da un rapporto a/c pari a 0,4 e uno spessore copriferro pari a 70 mm.

15 La prima affermazione dell’Eurocodice 2 riguarda proprio la durabilità: “Una struttura deve essere progettata e

costruita in modo che con accettabile probabilità rimanga adatta all’uso per il quale è prevista, tenendo conto della sua vita prevista”.

16 Calcestruzzi e copriferri a norma possono portare a livelli di corrosione inaccettabili in tempi molto brevi nel caso di strutture esposte all’atmosfera che operino in condizioni di particolare aggressività (come ad esempio le torri di raffreddamento di centrali termiche) oppure di strutture che vengono pesantemente contaminate da cloruri (come le solette di ponti su cui si spargono sali antigelo o strutture o parti di strutture marine che operano nelle zone degli spruzzi o le cui superfici vengano a contatto, non permanente, con acqua di mare, come può avvenire all’interno di serbatoi, nel caso di bacini galleggianti, ecc.).

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Acqua Acqua

Armature rinnovabilio protette

Protezione dellasuperficie delcalcestruzzo

Protezione dellearmature

Vita negli spigoli = 1/2 vita superfici piane

Drenaggio

.

Figura 6.25. Esempi di corretta e non corretta progettazione e alcuni suggerimenti relativi a posizioni vulnerabili in particolari di ponti (ripreso con modifiche da [1]).

Si tratta di valori ben più restrittivi dei limiti imposti da ENV 206 e Eurocodice 2, che prevedono per questo ambiente (classe di esposizione 4a): a/c massimo di 0,55, contenuto minimo di cemento pari a 300 kg/m3 e spessore di copriferro minimo di 40 mm. Per contro, nella stessa tabella si osserva che con un calcestruzzo e un copriferro che rispettano le prescrizioni delle

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citate norme (in quanto caratterizzata da un rapporto a/c pari a 0,54 e uno spessore di 50 cm) la vita utile risulta inferiore a 10 anni.

rapporto a/c 0,40 0,54

Dce (cm2/s⋅⋅⋅⋅10

-8) 2 3

copriferro (mm) tempo di depassivazione (anni)

30 5 4

50 15 10

70 30 20

Tabella 6.4. Tempo di innesco della corrosione per diversi spessori di copriferro e rapporti a/c, calcolati in base ai coefficienti di diffusione dei cloruri (Dce) determinati su due calcestruzzi (con 420 kg/m3 di cemento portland e con a/c pari a 0,4 e 0,54) rimasti 16 anni di immersione nel Mare del Nord. 6.6.6 Prevenzione secondo le norme Le norme vigenti (si fa riferimento a ENV 206 e Eurocodice 2) definiscono diverse classi di aggressività ambientale (Tabella 6.3) e per ciascuna classe indicano i valori massimi per il rapporto a/c e minimi per il dosaggio di cemento e lo spessore di copriferro (Tabella 6.5).

Classi di esposizione Prescrizioni

1 2a 2b 3 4a 4b 5a 5b 5c(1)

Rapporto a/c massimo(2) - calcestruzzo normale - calcestruzzo armato - calcestruzzo precompresso

-

0,65 0,6

0,7 0,6 0,6

0,55 0,55 0,55

0,5 0,5 0,5

0,55 0,55 0,55

0,5 0,5 0,5

0,55 0,55 0,55

0,5 0,5 0,5

0,45 0,45 0,45

Copriferro minimo (mm) secondo l’Eurocodice 2: - calcestruzzo armato - calcestruzzo precompresso

15 25

20 30

25 35

40 50

40 50

40 50

25 35

30 40

40 50

1) In aggiunta, il calcestruzzo deve essere protetto dal contatto diretto con mezzi aggressivi mediante rivestimenti, tranne nel caso in cui questa protezione non sia ritenuta necessaria.

2) Per quanto riguarda il contenuto minimo di cemento e il massimo rapporto a/c stabiliti dalla norma ENV verranno presi in considerazione esclusivamente i tipi di cemento previsti dalla norma ENV 197 o dalle norme di legge nazionali finché vigenti. Quando si effettuano delle aggiunte pozzolaniche o ad idraulicità latente, le norme e i regolamenti nazionali in vigore nel luogo di utilizzo del calcestruzzo possono stabilire se e come è consentito modificare rispettivamente i valori minimo o massimo.

Tabella 6.5. Requisiti di un calcestruzzo durevole secondo ENV 206 e Eurocodice 2 per le diverse classi di aggressività ambientale riportate in Tabella 11.1. Lo sviluppo della resistenza meccanica è definito in base alla classe del cemento e al rapporto a/c (Tabella 13.3). È prescritto un tempo di stagionatura minimo in funzione dello sviluppo di resistenza, della temperatura e delle condizioni ambientali durante la stagionatura (Tabella 13.4). Per quanto concerne la protezione del getto durante la stagionatura, sono previsti: la conservazione del getto nei casseri, la sua ricopertura con teli di plastica, lo spruzzo di acqua per mantenerne bagnata la superficie oppure l’applicazione di appositi prodotti per formare una membrana antievaporante.

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6.7 MISURE DI PROTEZIONE AGGIUNTIVA In particolari situazioni o condizioni caratterizzate da: aggressività molto elevata, impossibilità di avere spessori di copriferro adeguati, indisponibilità di calcestruzzi di qualità oppure vita di servizio particolarmente lunga, può risultare opportuno o necessario aumentare la durabilità della struttura, rispetto a quella ottenibile seguendo le norme, facendo ricorso a specifiche misure di prevenzione basate su interventi che modificano le caratteristiche del calcestruzzo, delle armature, dell’ambiente esterno o della struttura stessa. A volte le misure di prevenzione sono applicate solo a parti critiche della struttura (giunti, appoggi, ancoraggi o, comunque, zone in cui l’aggressività è più elevata) oppure solo alle armature più esterne (armature “di pelle”). Le misure preventive, spesso dette di protezione aggiuntiva, operano impedendo che le specie aggressive raggiungano le armature oppure controllando il processo corrosivo attraverso il blocco del processo anodico o della circolazione di corrente nel calcestruzzo.

Strutture offshore 40

King Fahd Causeway (Arabia Saudita - Bahrain) 75

Tejo River Bridge (Portogallo) 99

Great Belt Link (Danimarca) 100

Tunnel nel porto di Sidney (Australia) 100

Øresund link (Danimarca-Svezia) 100

Tunnel della Manica (Francia-Inghilterra) 120

Ponte di Messina (Italia) 200

Biblioteca Alessandrina (Egitto) 200

Delta Storm Barrier (Olanda) 200

Biblioteca Nazionale Londra 250

Tabella 6.6. Vita di servizio (anni) prevista per alcune opere in cemento armato.

Natura del materiale (es. impiegandoacciai inossidabili)

Metallurgiche e/o meccaniche (es. perridurre la suscettibilità all'infragilimentoda idrogeno degli acciai da precompressione) .

Rivestimenti metallici (zinco)

Rivestimenti organici (epossidiche)

Prevenzione catodica (varia il potenziale)

Fisiche (es. aumento di D, K, S, ρ)

Chimiche (es. con inibitori)

Impermeabili alla CO2

Impermeabili ai cloruri

Idrorepellenti

Intrinseche

Di superficie

Intrinseche

Di superficie

Controllo dell'umidità atmosferica, di CO2, dei cloruri

Controllo della quantità e tipo dei sali antigelo

In sede diprogetto

Sovraspessore di copriferro

Monitoraggio

In sede di manutenzione

Della struttura

Dell'ambienteesterno

Del calcestruzzo

Delle armatureProtezioniaggiuntive basate

sul controllo dellecaratteristiche

Tabella 6.7. Classificazione dei metodi di protezione aggiuntiva.

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Non è invece possibile impedire il prodursi della reazione catodica (nessuna tecnica oggi disponibile riesce ad annullare l’apporto di ossigeno alle armature, a meno che non si possa mantenere completamente e permanentemente satura d’acqua la struttura). 6.7.1.1 Misure di prevenzione in presenza di cloruri I limiti di impiego delle varie misure di prevenzione sono diversi. In Figura 6.26 sono confrontate le concentrazioni massime di cloruri che le principali tecniche di prevenzione possono sopportare

Figura 6.26. Valori indicativi del tenore massimo di cloruri (% in peso rispetto al contenuto di cemento) raggiungibile alla superficie delle armature per alcuni metodi protezione aggiuntiva. Per quanto riguarda il costo delle diverse misure di prevenzione sono disponibili solo indicazioni di larga massima e comunque incomplete, anche perché il costo effettivo varia da un’applicazione all’altra e comunque le prestazioni non sono confrontabili. Ciò premesso, rispetto alle normali armature di acciaio al carbonio, le armature zincate e quelle rivestite con resine epossidiche hanno un costo circa doppio, mentre le armature in acciaio inossidabile circa 8-10 volte maggiore. L’impiego degli inibitori nei dosaggi più elevati raddoppia circa il costo del calcestruzzo. 6.7.2 Inibitori di corrosione Gli inibitori di corrosione sono composti chimici che vengono aggiunti al calcestruzzo in tenori molto modesti (in genere in concentrazione 10-3 molare) per controllare la velocità di corrosione. Esistono inibitori anodici che consentono il mantenimento alla superficie delle armature di condizioni passive, inibitori catodici che riducono la velocità della reazione catodica di riduzione di ossigeno e inibitori misti che agiscono sia sul processo catodico che su quello anodico. Gli inibitori più efficaci in mezzi neutri o alcalini, e quindi nel calcestruzzo, sono quelli anodici. L’efficienza di un inibitore dipende: dalla sua concentrazione alla superficie delle armature, dal fatto che queste siano passive o invece stiano già corrodendosi, dalla permeabilità del calcestruzzo, dal pH del suo estratto acquoso, dalla temperatura, dal tenore di cloruri e di altri anioni, dal tenore di ossigeno. Diversi composti sia organici che inorganici e loro miscele hanno proprietà inibenti nei confronti della corrosione delle armature. Alcuni di questi presentano anche effetti negativi sulle caratteristiche meccaniche o su altre proprietà del calcestruzzo o altri effetti collaterali non accettabili (di inquinamento ambientale, di tossicità, ecc.) e quindi non possono essere utilizzati. L’inibitore di corrosione di più lunga tradizione e più utilizzato rimane comunque il nitrito di calcio, NaNO2. Il nitrito di calcio è un inibitore anodico impiegato fin dagli anni ‘70. La sua

acciaio al C

0,4 – 1 %

inox ferritico

12 % Cr

1,5 – 2 %

acciaio

zincato

1 – 1,5 %

inibitore di

corrosione 1 – 3 %

rivestimenti

epossidici

inox austenitico

AISI 304

3,5 – 5 %

inox austenitico

AISI 316

3,5 – 8 %

inox ferritico

12 % Cr

1,5 – 2 %

inox altolegati

cresce con % Cr e Mo

protezione

catodica

qualsiaisi %

tenore di cloruri (% in peso rispetto al contenuto di cemento)

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presenza nel calcestruzzo contribuisce a rafforzare il film protettivo alla superficie delle armature e a mantenerlo stabile in presenza tenori di cloruri rilevanti. Viene aggiunto durante il confezionamento del calcestruzzo in forma di una soluzione diluita al 30 % che può contenere anche altri prodotti in grado di neutralizzare gli effetti, peraltro modesti, che il nitrito potrebbe avere sui tempi di presa e, in generale, sulla perdita nel tempo di lavorabilità dell’impasto. L’aggiunta di nitrito fa aumentare il tenore critico dei cloruri dal valore di 0,4-1 % rispetto al cemento fino a circa il 3%, in corrispondenza al massimo dosaggio di inibitore consigliato. Il tenore di inibitore necessario dipende dalla quantità di cloruri che si prevede possa raggiungere la superficie delle armature, come mostrato in Tabella 14.3.

Nitrito di calcio (L/m3 di soluzione al 30%)

Contenuto di cloruri (kg/m3 di calcestruzzo)

10 15 20 25 30

3,4 5,8 7,7 8,9 9,4

Tabella 6.8. Dosaggio di inibitore in funzione del contenuto di cloruri. Il mantenimento dell’azione inibente del nitrito non è assicurato in calcestruzzi di qualità scadente. Pertanto questo inibitore viene impiegato solo con calcestruzzi di buona qualità, così specificati: rapporto a/c preferibilmente pari 0,4 (mai superiore a 0,5), contenuto minimo di cemento preferibilmente 350 kg/m3 (e comunque non minore di 300 kg/m3), copriferro prefe-ribilmente pari a 38 mm (ma non minore di 30 mm). 6.7.3 Trattamenti superficiali La penetrazione degli agenti aggressivi può essere impedita applicando un rivestimento superficiale impermeabile (idealmente senza difetti). Tuttavia, la presenza di tale strato non consente l’evaporazione dell’acqua presente nel calcestruzzo al momento del trattamento. Questa situazione può portare a problemi di adesione al calcestruzzo e quindi di perdita di efficacia del rivestimento stesso. I trattamenti più diffusi sono quelli che bloccano o riducono l’ingresso dell’acqua dall’esterno, ma consentono l’evaporazione dell’acqua presente all’interno, per cui il calcestruzzo può raggiungere più bassi valori di umidità in equilibrio con l’atmosfera in cui si trova. É così possibile prolungare il periodo di innesco della corrosione oppure ridurre la velocità di propagazione se l’attacco è già iniziato. Come illustrato in Figura 6.27, è possibile individuare quattro classi principali di trattamenti superficiali del calcestruzzo: (a) rivestimenti organici che formano un film continuo; (b) trattamenti idrorepellenti che contrastano l’assorbimento dell’acqua; (c) trattamenti che ostruiscono i pori e (d) rivestimenti con strati cementizi di elevato spessore.

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Strato idrorepellenteche ricopre lasuperficie esterna delcalcestruzzo e quellainterna dei pori

Strato cementiziospesso e impervio

Pori delcalcestruzzo

Filmcontinuo

Prodotti direazione cheostruiscono

i pori

(a) (b)

(d)(c) .

Figura 6.27. Illustrazione schematica dei diversi tipi di trattamento superficiale del calcestruzzo: (a) rivestimenti organici, (b) trattamenti idrorepellenti, (c) che portano al blocco dei pori, (d) strato cementizi. In Tabella 14.4 sono elencati i principali tipi di trattamenti superficiali.

Trattamenti superficiali

Acrilici

Butadiene copolimero

Gomma clorurata

Resine epossidiche

Oleoresinosi

Resine poliestere

Polietilene copolimero

Poliuretano

Che ricoprono il calcestruzzo

Vinile

Siliconi

Silossani Adsorbiti alla superficie dei pori con caratteristiche idrorepellenti

Silani

Silicati Che portano al blocco dei pori

Silicofluoruri

Basati su materiali cementizi Materiali cementizi con o senza polimeri

Tabella 6.9. Classificazione di alcuni trattamenti superficiali. 6.7.4 Armature resistenti a corrosione In condizioni di aggressività ambientale assai elevata, di vita di servizio molto lunga o di eccezionale importanza dell’opera, può risultare opportuno ricorrere ad armature resistenti alla corrosione. Queste sono essenzialmente di acciaio inossidabile e di acciaio zincato o rivestito

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con resine epossidiche. Possono essere utilizzate anche per il ripristino o il recupero di strutture già soggette a corrosione nelle zone in cui l’aggressività è particolarmente elevata oppure in situazioni in cui non è possibile assicurare adeguati spessori di copriferro. 6.7.4.1 Acciai inossidabili Gli acciai inossidabili sono una numerosa famiglia di materiali con proprietà di resistenza alla corrosione, meccaniche, di saldabilità e di costo diverse. Gli acciai inossidabili impiegati per armature possono essere divisi in base alla loro struttura in tre gruppi: ferritici, austenitici e duplex (o austenoferritici). Gli acciai ferritici contengono dal 12 al 17% di cromo; quelli austenitici 17-19 % di Cr, 8-13 % di Ni ed eventualmente 2-3 % di Mo; gli acciai austenoferritici 22-26 % di Cr, 4-8 % di Ni ed eventualmente Mo. Per poter trovare applicazione, le armature di acciaio inossidabile devono presentare una resistenza allo snervamento almeno dello stesso ordine di quella delle comuni armature in acciaio al carbonio e per questo vengono sottoposte a particolari trattamenti termomeccanici. In assenza di cloruri o finché il loro tenore non raggiunge un valore critico, le armature in acciaio inossidabile rimangono in condizioni di passività in calcestruzzo sia alcalino che car-bonatato. In presenza di cloruri nel calcestruzzo, le armature in acciaio inossidabile possono invece essere soggette ad attacco localizzato per pitting quando il tenore di cloruri supera determinati valori critici che dipendono dal tipo di acciaio e dalle sue condizioni superficiali, dal pH del calcestruzzo e dal potenziale delle armature. Nel caso degli acciai austenitici e duplex, l’aumento del tenore di cromo e l’aggiunta di nichel e molibdeno, rende più stabile il film protettivo e ne aumenta la capacità di ricicatrizzarsi se local-mente danneggiato. Aumentano così le condizioni di aggressività in cui può essere utilizzato (minore pH, tenore di cloruri e potenziali più elevati). In generale, almeno in ambienti neutri, la capacità di un acciaio inossidabile di contrastare l’attacco da cloruri è quantificata dal cosiddetto indice di pitting: PRE = %Cr + 3,3⋅%Mo + 16⋅%. Nell’ambiente alcalino tipico del calcestruzzo l’indice di pitting perde in parte di validità. In particolare l’effetto del molibdeno sulla resistenza al pitting risulta meno importante che non in ambienti neutri e di conseguenza anche le differenze di comportamento tra gli acciai AISI 304 e 316 si riducono notevolmente, fino anche a scomparire. Inoltre in condizioni di temperatura tipiche dei climi equatoriali il tenore di nichel ha una certa incidenza. L’indice di resistenza al pitting riacquista invece di validità se il calcestruzzo è carbonatato e contiene cloruri o se è alcalino ma fortemente fessurato, oppure per le parti fuoriuscenti dal calcestruzzo. In questi casi l’acciaio inossidabile austenitico AISI 316 è da preferire all’AISI 304. L’attacco per pitting si innesca se, per un certo potenziale, il tenore di cloruri nel calcestruzzo risulta superiore a un tenore critico o, viceversa, se per un certo tenore di cloruri il potenziale risulta superiore al potenziale di pitting. Queste due grandezze (potenziale di pitting e tenore di cloruri critico) sono tra loro legate e dipendono dal tipo di acciaio, dalle sue condizioni superfi-ciali e dalle caratteristiche del calcestruzzo. Nel calcestruzzo carbonatato il tenore critico di cloruri risulta nettamente ridotto rispetto ai valori precedenti [2]. La scelta del tipo di acciaio va effettuata in base all’indice di pitting, utilizzando gli stessi criteri adottati per le soluzioni acquose con pH vicino alla neutralità. Fortunatamente situazioni di presenza contemporanea di calcestruzzo carbonatato e di alti tenori di cloruri sono rare17.

17 Situazioni di questo tipo si possono verificare, ad esempio, all’interno di tunnel stradali sia a causa

dell’inquinamento dovuto al traffico sia ai cloruri, usati come sali antigelo e trasportati all’interno dal movimento degli autoveicoli. Ad esempio: nel tunnel del Montebianco sono state misurate penetrazioni della carbonatazione fino a 30 mm e tenori di cloruri, a profondità di un centimetro, anche pari a circa 0,75-0,8% rispetto al peso di calcestruzzo cioè circa 3,5-4% rispetto al peso di cemento.

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6.7.4.2 Acciaio zincato L’impiego di armature zincate è uno dei metodi di protezione aggiuntiva per prevenire o ritardare la corrosione in costruzioni di cemento armato soggette a carbonatazione o blandamente inquinate da cloruri: ciminiere, substrutture di ponti, edifici civili. Il comportamento dell’acciaio zincato è in primo luogo legato al contenuto di alcali del calcestruzzo che, come è noto, determina il pH della soluzione contenuta nei pori. A contatto con soluzioni alcaline e fintanto che il pH rimane inferiore a 13,3, la superficie dello zinco, dopo una iniziale corrosione, tende a ricoprirsi di cristalli di idrossido e ossido di zinco che possono promuoverne la passivazione. Il pH della soluzione nei pori del calcestruzzo si mantiene di solito inferiore al valore di 13,3 durante le prime ore dopo il getto, per la presenza di gesso come regolatore di presa. Può au-mentare solo successivamente quando i solfati scompaiono dalla soluzione per la reazione con gli alluminati. È quindi possibile la formazione di uno strato protettivo, tanto più stabile quanto maggiore è il tempo durante il quale il pH si mantiene basso. In ambienti come l’atmosfera la struttura del rivestimento ha un effetto poco importante e la durata della protezione é in primo luogo legata allo spessore del rivestimento. Nel calcestruzzo, invece, le proprietà protettive della zincatura sono dovute in massima parte allo strato esterno di zinco puro, poiché é solo in sua presenza che si può formare il film passivo. In effetti, nel caso di rivestimenti ricotti (che sono in pratica costituiti da leghe zinco-ferro, a seguito della diffusione del ferro verso la superficie), la velocità di corrosione si mantiene elevata come mostrato nella Figura 15.2. Lo strato di zinco puro deve avere uno spessore sufficientemente elevato. Infatti, a causa della corrosione che avviene prima della passivazione, si viene inizialmente ad assottigliare con una perdita di spessore di circa 10 µm cosicché, se lo spessore é insufficiente, risultano esposti gli strati sottostanti di lega Zn-Fe, che non si passivano. Il film protettivo che si forma sullo zinco non solo riduce il processo anodico di dissoluzione, ma ostacola anche quelli catodici di riduzione dell’ossigeno e, nelle condizioni in cui è possibile, di sviluppo di idrogeno. In condizioni di passività, il potenziale di corrosione delle armature zincate è pertanto molto più basso di quello delle armature in acciaio. Tipicamente si misurano valori tra −600 e −500 mV SCE rispetto ai valori superiori a −200 mV di solito rilevati sulle armature in acciaio non zincato.

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Figura 6.28. Velocità di corrosione di armature zincate e non zincate in calcestruzzo integro e carbonatato misurati mediante misure di polarizzazione lineare (da Maahn e Sorensen, 1986) [11]. Le armature zincate hanno un buon comportamento in calcestruzzo carbonatato grazie alla stabilità del film protettivo che rimane tale anche in ambienti debolmente acidi. Per questo la velocità di corrosione in calcestruzzo carbonatato rimane a valori molto bassi, di gran lunga inferiori a quelli che si osservano sulle armature non zincate (Figura 15.2) e tale buon comportamento si ha anche se sono presenti cloruri in tenori non troppo elevati. In presenza di cloruri nel calcestruzzo alcalino, il rivestimento di zinco può essere soggetto a un attacco localizzato per pitting. Le armature zincate rimangono comunque più resistenti all’attacco da cloruri delle normali armature in acciaio. In generale si può assumere un tenore di cloruri critico pari a 1-1,5 % a fronte del tenore di 0,4 % per le armature in acciaio al carbonio. Anche se non costituisce un problema nel caso di armature ad aderenza migliorata, l’aderenza tra calcestruzzo e le armature zincate é inferiore a quella delle normali armature in acciaio. In condizioni ambientali aggressive, l’aderenza viene però mantenuta per un periodo di tempo più lungo grazie al miglior comportamento alla corrosione18. La zincatura può rendere possibile lo sviluppo di idrogeno anzitutto durante i trattamenti di decapaggio prima dell’applicazione della zincatura e, poi, nelle prime ore dopo il getto e, infine, in esercizio in condizioni di assenza di ossigeno. è pertanto sconsigliabile ricorrere alla zincatura per proteggere materiali suscettibili di infragilimento da idrogeno. 6.7.4.3 Rivestimento con resine epossidiche Il rivestimento delle armature con resine epossidiche è una tecnica di protezione sviluppata in Nordamerica e introdotta successivamente in Europa. I risultati di laboratorio e gli studi effettuati su strutture reali confermano l’efficacia, nella grande maggioranza dei casi, nel contra-stare la corrosione delle armature in calcestruzzi carbonatati o contaminati da cloruri. Di recente, sono state però sollevate diverse perplessità riguardo alla loro durabilità a lungo termine in ambienti molto aggressivi, suffragate soprattutto dall’esperienza negativa avuta su strutture in ambiente tropicale. La protezione mediante rivestimenti organici si basa sul principio di isolare l’armatura e proteggerla dagli agenti aggressivi che penetrano nel copriferro. L’applicazione di questa tecnica non richiede sostanziali variazioni nel progetto strutturale e nelle diverse fasi costruttive. Al rivestimento è richiesto di: essere di facile ed economica applicazione; ricoprire l’armatura in modo uniforme; essere tenace e aderire bene; essere abbastanza flessibile da consentire una facile piegatura e posa in opera delle armature; essere stabile e sopportare le sollecitazioni trasmesse dal calcestruzzo e dalle armature; resistere agli agenti corrosivi per l’intera vita di progetto. Di tutti i tipi di rivestimenti organici, solo quelli realizzati con resine epossidiche sono in grado di soddisfare queste condizioni. Altri tipi di rivestimento garantiscono solo alcuni dei requisiti. Ad esempio: le armature rivestite con PVC, pur essendo caratterizzate da un comportamento alla corrosione simile a quello delle armature rivestite con epossidiche, hanno una scarsa aderenza al calcestruzzo e pertanto non sono in generale adatte.

18 L’effetto sull’aderenza é dovuto alla corrosione dello zinco durante la fase di presa del calcestruzzo a seguito del

prodursi di bolle dovute al processo catodico di sviluppo di idrogeno e dalla formazione di prodotti di corrosione dello zinco (ossidi e zincati) che rallentano i processi che determinano l’aderenza. Tali effetti possono però essere controllati mediante sostanze inibenti la corrosione. Fino ad oggi sono stati utilizzati soprattutto i cromati sia come trattamento di cromatazione delle armature zincate effettuato al termine della zincatura, con una tempra in una soluzione di almeno 0,2% di bicromato di sodio, sia come aggiunta all’acqua di impasto (50-70 ppm). Va osservato che il cemento spesso contiene già una certa quantità cromati, di per sé sufficiente se superiore a 200 ppm.

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Oltre a una buona adesione del rivestimento alla superficie dell’acciaio, necessaria al fine di garantire sia una adeguata resistenza alla corrosione sia la possibilità di sagomare le armature rivestite senza che subiscano danni, anche l’aderenza tra l’armatura rivestita e il calcestruzzo è di cruciale importanza. Infatti, per evitare modifiche alle soluzioni strutturali tradizionali, è necessario che anche in presenza del rivestimento si possano ottenere livelli di aderenza paragonabili a quelli di armature nude. È stato dimostrato che, con spessori del rivestimento inferiori a 300 µm, la riduzione di aderenza al calcestruzzo delle armature ad aderenza migliorata rivestite con resine epossidiche rispetto alle stesse armature non rivestite è molto limitata, almeno per diametri di uso comune, e non supera mai il 20% [14]. Le specifiche tecniche per le armature rivestite con resine epossidiche sono riportate in diverse norme e raccomandazioni internazionali; la prima risale al 1981 (ASTM A775-81) e ad essa si rifanno le più recenti norme europee, anche se impongono dei requisiti molto più ristretti. Pur non essendo del tutto impermeabili a ossigeno, acqua e cloruri, i rivestimenti epossidici possono essere in grado di garantire una buona protezione dalla corrosione delle armature in calcestruzzi contenenti cloruri, che può essere considerata analoga a quella offerta dalla zincatura. Ovviamente, la presenza di difetti ne diminuisce l’efficienza. Le proprietà protettive del rivestimento dipendono in primo luogo dal suo spessore. In generale possono essere migliorate aumentandolo; esiste però un limite superiore fissato dalla necessità di avere comunque una adeguata aderenza al calcestruzzo. Le normative prevedono spessori compresi fra 0,1 e 0,3 mm. L’efficacia della protezione dipende in massima parte dall’integrità del rivestimento; infatti il danneggiamento della resina espone il metallo nudo all’ambiente aggressivo. La situazione è critica nel caso di calcestruzzo inquinato da cloruri perché, l’attacco, oltre ad avanzare con velocità elevate, tende a penetrare al di sotto del rivestimento e allargare la zona interessata. In calcestruzzo carbonatato l’attacco tende invece a rimanere circoscritto nella zona del difetto. La penetrazione della corrosione al di sotto del rivestimento dipende anche dalle caratteristiche di quest’ultimo e in particolare dalla sua adesione al metallo sottostante. Velocità di corrosione molto elevate in corrispondenza dei difetti del rivestimento si possono avere in presenza di macrocoppie. Una situazione tipica si verifica in solette nelle quali si hanno armature rivestite a contatto con calcestruzzo inquinato da cloruri e collegate con armature non rivestite immerse in calcestruzzo non inquinato o con un tenore di cloruri inferiore a quello cri-tico. In questo caso, le armature non rivestite possono costituire un efficace catodo di estensione di gran lunga maggiore delle aree anodiche in corrispondenza dei difetti e quindi determinare un rapporto molto sfavorevole tra aree anodiche e catodiche. I fenomeni corrosivi potranno poi essere particolarmente intensi se la resistività del calcestruzzo risulterà bassa. Di conseguenza, bisogna prestare attenzione nei casi in cui, per motivi di convenienza economica, le armature rivestite vengono utilizzate solo nelle zone più critiche della struttura, come ad esempio nella parte superiore delle solette dei ponti e delle autorimesse oppure nelle zone in cui si può avere ristagno d’acqua, e prevedere, nel caso, l’isolamento elettrico tra i due tipi di armature. Tuttavia in alcuni casi le macrocoppie possono avere conseguenze non rile-vanti. Ad esempio, la macrocoppia tra armature di pelle rivestite e armature principali non rivestite può accentuare la corrosione localizzata sulle armature di pelle, nelle zone di discontinuità del rivestimento, ma ciò non è, in genere, in grado di causare una estesa fessurazione del copriferro. Negli ultimi anni si sono avuti alcuni gravi insuccessi in strutture realizzate in zone con climi tropicali dove, a pochi anni dalla realizzazione della struttura, sono stati riscontrati profondi attacchi sulle armature rivestite. Seri dubbi sono stati espressi sul fatto che il rivestimento epossidico, anche in assenza di danneggiamenti, sia in grado di assicurare la protezione su tempi molto lunghi in ambienti fortemente contaminati da cloruri, soprattutto in presenza di continui o frequenti bagnamenti del calcestruzzo.

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L’assenza di contatto elettrico fra le barre rivestite non consente, nell’eventualità dovesse venir meno la protezione del rivestimento, di ricorrere alla protezione catodica, l’unica tecnica in grado di contrastare la corrosione già in atto in presenza di cloruri. E anche la misura del poten-ziale di corrosione, che è la sola tecnica elettrochimica di diagnosi della corrosione attualmente diffusa in campo risulta di difficile applicazione. Infatti, quando le armature vengono poste in opera rivestite singolarmente, l’assenza di contatto elettrico richiederebbe il collegamento dello strumento di misura ad ogni singolo ferro e ciò rende di fatto impossibile la rilevazione del potenziale nelle diverse zone della struttura.