5. MANUALE PERSONAL TRAINER 2006 -...
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Contro la cultura del doping!
a cura di Claudio Tozzi
TESTO UFFICIALE DEL CORSO DI III° LIVELLO RIVOLTO
AGLI ASPIRANTI PERSOAL TRAIER DELLA
atural Body Building Federation
Contributi di: Claudio Tozzi, Prof. Carmelo Bosco*, Dott. Franck Guillon-Xenard,
Dott. Stefano Tricarico, Dott .ssa Francesca Colecchia, Prof. Roberto Sciarra, Dott. Paolo
Tommasini, Prof .ssa. Carla Filippucci, Daniele Zamò, Dott. Pablo Fèrnandez Gàlvez
(Spagna). * In memoria
Nuova edizione aggiornata
www.nbbf.it www.olympian.it
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PERSOAL TRAIER:
ISTRUZIOI PER L’USO Di Claudio Tozzi
Presidente della a.s. Natural Body Building Federation
L’allenatore personale è una figura professionale che nel
fitness si è sviluppata negli anni 80’ soprattutto negli Stati Uniti. A
differenza del normale istruttore di palestra, che segue (o dovrebbe
seguire) tutti, il Personal trainer si occupa solo di un allievo per
volta, aumentando così l’efficienza e la precisione dell’ allenamento.
In Italia il P.T. si sta diffondendo da pochi anni e potrebbe
migliorare sia la qualità della preparazione della clientela e sia
portare ad un aumento dell’offerta lavorativa professionale ed ad
alta remunerazione nell’ambito lavorativo legato al body building e
al fitness.
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Normalmente, quando ci si iscrive ad una palestra italiana, soprattutto se non si avuto
mai a che fare con i pesi, ci si presenta ad uno degli istruttori, che avrà il compito di
insegnarci quali attrezzi usare e come. Tuttavia, passata la prima fase, in cui dobbiamo essere
forzatamente seguiti passo passo, in seguito il nostro istruttore ci consegna la nostra scheda, e
da quel momento in poi dovremmo cavarcela da soli in quanto non è ovviamente possibile per
lui seguire tutti gli iscritti della palestra tutti in giorni in quel modo. Specialmente in certe ore
(per esempio dopo le 18:00 del lunedì) è assolutamente impossibile, anche per il più bravo e
volenteroso degli istruttori, seguire tutti per ogni minuto della seduta. Da qualche anno però si
sta diffondendo anche nella nostra penisola, sempre di più la figura del personal trainer,
letteralmente “allenatore personale”, cioè una persona di elevata specializzazione che segue
solo un allievo per ogni minuto della seduta. In questo modo i risultati dovrebbero essere
maggiori, in quanto le qualità professionali del personal trainer sono interamente riversate su
un solo soggetto e non forzatamente spezzettate su centinaia di soci della palestra.
Questa figura, che si è affermata in tempi recenti, tuttavia non è completamente nuova,
se si considera che sono stati trovati dei manuali di allenamento di origine greca e latina, di
cui il più famoso è quello del greco Filottete, dove vi erano anche consigli nutrizionali.
Anche nel medioevo e nel rinascimento molti erano i testi di allenamento, riguardanti
soprattutto le tecniche di scherma. In epoca moderna il personal trainer si sviluppò soprattutto
negli anni 50’, in particolar modo a Los Angeles, in quanto la vicina Hollywood forniva molte
persone che avevano il bisogno primario di stare in forma. Non è caso che la figura del
personal trainer si sviluppi in aeree con un elevato benessere economico, in quanto essendo
un libero professionista ad elevata qualificazione, richiede tariffe che vanno dalle 30 ai 100
Euro l’ora. L’esplosione avvenne però negli anni 80’, un decennio in cui il body building
ebbe la maggiore espansione mondiale, compresa l’Italia; mi ricordo che
in quel periodo si apriva una palestra ogni 50 metri. Però, come quasi
tutte le cose che vengono importate dagli Stati Uniti, il personal trainer
nel nostro paese dovrà comunque aspettare soprattutto la seconda metà
degli anni ‘90 per diffondersi e tuttora siamo in questa fase, in quanto non
tutti conoscono questa figura. Tuttavia non è così rose e fiori, in quanto
proprio la relativa gioventù di questa professione, ha creato molti
problemi. Infatti, allettati dall’alta remunerazione, molti normali istruttori
hanno pensato che per diventare personal trainer, bastava scrivere queste
due parole sul biglietto da visita. In realtà non è proprio così, in quanto
essere personal trainer (quello vero) è indispensabile avere conoscenze
di:
Tabella 1 Aspetti del personal training -------------------------------------------------------------------- -Marketing - Responsabilità legali -Aspetti commerciali - Gestione aziendale -Psicologia - Didattica -Comunicazionne - Etica e responsabilità -Insegnamento professionali -Preparazione professionale -Qualifiche -Capire la materia -Pianificazione dell' allenamento del personal training -Sicurezza -------------------------------------------------- (tratta da “Il personal training come attività professionale”
- Sandro Ciccarelli Editore – Adattamento per l’edizione italiana di Claudio Tozzi- 2002)
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Obiettivamente, non molti istruttori
di palestra, anche i più bravi, formati con i
normali corsi, hanno queste conoscenze e
quindi molti sono andati allo sbaraglio alla
ricerca del guadagno facile, pur non
avendone le basi. Il risultato è stato che
molti clienti, pur pagando molto di più, si
sono trovati ad avere un normale istruttore al
prezzo di un personal trainer, restando
ovviamente insoddisfatti. Io lavoro ancora
come personal trainer (soprattutto nella
palestra di un famoso albergo a Roma, dove
ci sono molti P.T. o presunti tali), in quanto
mi piace riversare la mia esperienza personale su gli allievi della mia scuola e vi posso
assicurare che solo il 10%-20% di essi è competente o segue le direttive del vero
professionista. Per esempio ho visto solo due di loro segnare su carta le prestazioni dei loro
clienti, mentre il resto si limita guardare passivamente l’esercizio che hanno assegnato. Un
errore grave, perché se è vero che annotare tutti i dati dell’allenamento di ogni allievo di una
palestra come istruttore è impossibile (ma comunque deve essere educato a farlo
autonomamente il socio), nel personal trainer è un obbligo imprescindibile e vengono pagati
molto di più proprio per il maggior servizio offerto. Anche l’ immagine è importante, ho
visto solo pochissimi personal trainer attrezzarsi con una felpa o t-shirt con scritto personal
trainer o altro indumento che possa conferire una certa presenza.Ho visto persone seguire i
propri clienti con indosso letteralmente con la prime cose che avevano nell’armadio.
Addirittura ho notato un “personal trainer” svolge il proprio lavoro con sciarpa, cappotto e
mocassini in palestra! Nonostante ritenga la preparazione tecnica enormemente primaria
rispetto al resto, dobbiamo pur renderci conto che il target medio del personal trainer è il
mondo dei professionisti (imprenditori, avvocati, notai, attori, ecc.), a volte con meno pretese
dell’utente medio della palestra, ma con l’attenzione rivolta anche molto alla cura
dell’immagine. Tra l’altro secondo un'altra indagine, il cliente medio dei personal trainer ha
un età media di 41 anni e quindi se calcoliamo che la nostra popolazione si stà invecchiando
progressivamente (tabella 2),
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l’esigenza di una maggiore professionalità sia qualitativa che quantitativa sta diventando un
vero problema.
A questo proposito, ritengo che una delle problematiche più grosse nell’ ambito del personal
trainer, oltre alla sua formazione, è essenzialmente una: trovare i clienti!
Infatti il target medio-alto a cui si rivolge questo servizio, si trova essenzialmente in
particolari aree “ad alta densità di reddito”, come Roma, Milano, Montecarlo, Porto cervo ecc.
Questo presuppone che, al di fuori di queste zone è quasi impossibile trovare clienti, e quindi
chi aspira a fare il personal trainer dovrò forzatamente risiedere in tali città. Un’altra
possibilità e quella di non cercare il cliente da solo, ma affidarsi ad una agenzia di personal
trainer che trova lavoro per conto terzi. In questo caso bisogna essere quasi sempre reperibili e
accettare di guadagnare di meno, in quanto un parte del compenso finisce all’agenzia che ti
procura i clienti. A Roma esiste la ONEONE, condotta da Roberto Sciarra e Paolo
Tommasini, tra l’altro miei partner tecnici e docenti del corso NBBF di Personal Trainer.
Fino a qualche anno fa procacciare clienti erano molto più difficile, in quanto la gente
non sapeva nemmeno che cos’era un personal trainer e quindi anche chi poteva, era anche
difficile fargli comprendere i vantaggi. Da qualche tempo la situazione è radicalmente
cambiata, i personal trainer vanno di moda, trainati dalla fama dei VIP che preparano, fino
addirittura ad arrivare anche a diventare compagni di vita, come Pamela Prati con il suo P.T..
Anche un recente sondaggio di www.canalefitness.it (un nuovo portale sul fitness, con cui ho
iniziato una collaborazione editoriale) ha dimostrato che sono sempre di più le persone che
usufruiscono o vorrebbero farlo di un allenatore personale:
Ti alleni con un personal trainer ?
Si, regolarmente 12% Si, qualche volta 6% No, ma vorrei provare 37% No, non mi interessa 45%
Da questi dati si deduce che il 18% ha un personal trainer e il 37% vorrebbe averlo;
una quota che rappresenta più della metà dei navigatori del sito.
Siamo quindi in una fase in cui la gente richiede sempre di più il P.T. e quindi bisogna
essere pronti ad attrezzarsi sia tecnicamente, sia a livello organizzativo. Considero il corso
attuale la “prima fase” del fenomeno personal trainer italiano, cioè il ciclo in cui tutti gli
istruttori, bravi o meno bravi, si buttano sul fenomeno per sfruttarlo commercialmente. Il
cliente, in questo caso, non ha scelta, in quanto non essendo capace di notare differenze, si
accontenta di quello che passa il convento e non sa se è seguito bene o male. A questo si
aggiunge il fatto che la capacità tecnica del personal trainer delle palestre IN (cioè frequentate
da persone con benessere economico) e quelle di periferia è praticamente la stessa. L’unica
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cosa che ho notato in alcuni istruttori “di alto bordo” è l’estrema capacità di imbambolare con
la parlantina (tipo “ho fatto le gare”;) e la conoscenza dell’inglese (nemmeno sempre).
Naturalmente esistono delle eccezioni positive, ma in generale la situazione è questa. Io credo
invece che fra poco verrà la “seconda fase” personal trainer, cioè finalmente la selezione da
parte del cliente che avrà una maggiore scelta di professionisti e quindi avverrà una
scrematura verso l’alto. Per fortuna anche in Italia, da qualche anno, sono nati diversi corsi di
personal trainer, e questo modo si spera che possano formare adeguatamente per il futuro i
P.T. “seconda fase”. Essendo anche organizzatore di corsi per personal trainer, non sono la
persona più indicata per consigliare a quale iscriversi, ma obiettivamente una buona scuola
dovrebbe avere i seguenti requisiti:
1) data la vastità dei campi di cui deve occuparsi un Personal Trainer, è bene controllare
che non abbia poche ore di lezione.
2) Diffidate dai corsi dove ci sono i soliti campioni di body building raccontano la loro
esperienza di personal trainer. A parte poche eccezioni, sono lontani anni luce dalla
mentalità giusta per fare questo lavoro.
3) Ricordatevi che in Italia non esiste ancora nessuna obbligatorietà di certificazione
(esistente invece negli Stati Uniti), quindi cercate di non scegliere specchietti per
allodole, ma guardate solo la qualità tecnica dei docenti; vi devono insegnare a
diventare Personal Trainer e non darvi solo un pezzo di carta. State alla larga dai
“diplomifici”.
4) Il materiale didattico non deve essere di poche fotocopie raccogliticce.
L’auspicabile aumento della qualità globale
dei personal nostrani può essere utile non solo
alle persone danarose, ma anche ad atleti con
disponibilità economiche limitate.
Per esempio potrà chiedere di fare solo una seduta
settimanale con il tecnico, in modo da avere una
persona a completa disposizione per spiegare con
calma e tempo ogni dettaglio relativo alla scheda;
in questo modo le altre sedute si possono svolgere
da soli senza ulteriore esborso economico.
Questa, per esempio, può essere la soluzione
giusta per imparare il B.I.I.O da uno dei nostri istruttori certificati, senza tirare fuori cifre
assurde. In questo particolare caso, si può chiedere il personal trainer solo all’inizio di ogni
nuova tabella B.I.I.O (cioè quando cambiano i sistemi di intensità e/o altri parametri),
riducendo in questo modo il numero delle sedute e dei soldi, ma portando al minimo il rischio
di errori nel processo di allenamento.
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Un’altra possibilità è data un sondaggio condotto dall’IDEA (un associazione
americana per la formazioni di istruttori), da cui si ricava che il 42% delle palestre statunitensi
offrirebbe personal trainer che seguono contemporaneamente due clienti;
il 33% invece propone tecnici che seguono gruppi da tre a 10 persone. In totale il 46% del
campione sondato offre qualche forma di personal training collettivo sette giorni a settimana.
Secondo l’IDEA (si pronuncia “aidia”), Con questo sistema sia il cliente, sia il
professionista hanno dei vantaggi:
Vantaggi clienti:
1) Proporre il servizio di personal trainer a gruppi di persone, anziché a singoli, consente
di ridurne il costo, decisamente troppo costoso per un ampia fascia di utenza che
frequenta le palestre.
2) Una supervisione ravvicinata rafforza il senso di appartenenza dei soci del club e
incrementa la loro soddisfazione nei confronti dell’attività svolta poiché facilità il
raggiungimento degli obiettivi prefissati.
3) Sono numerosi gli individui che apprezzano l’attenzione personale e l’interiazione
sociale che coesistono all’interno dei piccoli gruppi.
Vantaggi Personal Trainer:
1) Incrementa il potenziale guadagno poiché la retribuzione oraria è direttamente
proporzionale al numero di persone seguite.
2) Allarga il bacino di utenza. All’interno dei gruppi allenati aumenta la possibilità di
conoscere persone che desiderano acquistare lezioni singole, configurate su misura.
3) Lavorare allo stesso tempo con più persone può essere più impegnativo ma dà
maggiore soddisfazione poiché consente di raggiungere più risultati nello stesso lasso
di tempo.
Con queste novità anche il normale istruttore di palestra, che per problemi economici a
volte è costretto a fare un secondo lavoro, potrà avere il giusto apporto retributivo, sia per
vivere tranquillo, sia per aver i mezzi necessari per l’aggiornamento. Infatti molte volte, ho
parlato con istruttori che venivano pagati così poco, che aveva appena i soldi per andare
avanti con bollette a affitto, altro che libri e corsi di aggiornamento! Naturalmente chi pagava
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questa situazione? Il socio della palestra , che si ritrovava un tecnico demotivato e a lungo
andare poco competente. Proprio per questo motivo ho provveduto a dotare a tutti gli iscritti
ai corsi NBBF l’abbonamento annuale a APPLIED METABOLICS, una rivista con tutte le
nuove acquisizioni sul training e la nutrizione.
Insomma, in pochi anni da professione sconosciuta e comunque rivolta a pochi eletti, il
personal trainer si appresta a diventare in pochi anni un figura decisamente più popolare nelle
nostre palestre. Se la nuova generazione di personal trainer sarà capace di supportare
adeguatamente il cliente, (la “prima generazione” non mi garba per niente), finalmente le
nostre palestre sapranno dare la giusta e completa professionalità, che in molti casi è
forzatamente mancata.
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atural Body Building Federation
Corso di III° livello (Personal Trainer)
L’APPARATO CARDIO -
RESPIRATORIO
A Cura del Dott. Franck Guillon -Xenard
WWW.BBF.IT WWW.OLYMPIA.IT
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APPARATO CARDIO-RESPIRATORIO Gli apparati respiratorio e cardiovascolare sono le strutture deputate al rifornimento di
carburante e ossigeno a tutti i tessuti. Li studiamo nello stesso capitolo in quanto il loro
funzionamento è intimamente legato sia a riposo che in situazione di stress come può essere
una prestazione sportiva.
APPARATO RESPIRATORIO
Fig. 1: Albero tracheobronchiale dopo demolizione di parte del parenchima
polmonare per seguirne la distribuzione intrapolmonare.
La maggior parte dei processi biochimici che consentono la vita del nostro organismo
necessitano di ossigeno (O2) presente nell’atmosfera. Attraverso la respirazione avviene
l’assunzione di O2 (inspirazione) e la eliminazione di CO2 (espirazione).
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L’apparato respiratorio è composto da un insieme di canali (vie respiratorie) e dai
polmoni (organi parenchimatosi dove avvengono gli scambi gassosi fra aria e sangue).
Le vie aeree si distinguono in superiori ed inferiori:
Le vie aeree superiori permettono l’ingresso dell’aria nell’albero respiratorio e sono
costituite dalle cavità nasali e paranasali e dalla prima porzione della faringe (rinofaringe).
Le cavità nasali hanno la funzione di veicolare, filtrare e riscaldare l’aria (oltre la funzione
olfattiva). Le cavità paranasali hanno una funzione pneumatica nella modulazione dei suoni.
La faringe è un organo in comune fra gli apparati respiratorio e digerente. Si trova
posteriormente alle cavità nasali e buccale, si dirige inferiormente dove vi originano la laringe
anteriormente e l’esofago posteriormente. E’ inoltre in comunicazione con l’orecchio medio
attraverso le due tube di Eustacchio. E’ inoltre un organo molto importante dal punto di vista
immunologico in quanto sede di numerosi aggregati linfoidi (es: tonsille palatine...)
Le vie aeree inferiori sono formate dal condotto laringotracheale (laringe e trachea) e
dai bronchi i quale si dirigono dalla biforcazione della trachea ai polmoni, all’interno dei
quali si distribuiscono con rami di calibro progressivamente decrescente.
La laringe è l’organo devoluto alla formazione dei suoni. E’ visibile esternamente
come una sporgenza nota come “pomo di Adamo”. Possiede una valvola di chiusura
(epiglottide) che impedisce il passaggio di sostanze solide o liquide verso i polmoni. Diversi
muscoli e legamenti, tra i quali anche le corde vocali, delimitano un orifizio chiamato glottide
che si trova subito inferiormente all’epiglottide. Le corde vocali permettono di variare
l’apertura della glottide e quindi il flusso di aria che passa attraverso la laringe. Questo
fenomeno è alla base della fonazione.
La trachea è un canale di forma cilindrica lungo 10-14 cm, sempre pervio per la
presenza nella sua parete di anelli cartilaginei a forma di ferro di cavallo. Si divide nei dui
bronchi principali (destro e sinistro) i quali entrano rispettivamente nei polmoni destro e
sinistro dove si suddividono in rami bronchiali sempre più piccoli.
I polmoni sono organi pari di forma conica dove possiamo distinguere una base, un
apice e tre facce: toracica, mediastinica e diaframmatica. Sono rivestiti dal sacco pleurico
formato da due foglietti, aderenti uno al polmone e l’altro alla parete toracica. Tra i due
foglietti esiste uno spazio virtuale che permette lo scivolamento dei foglietti uno sull’altro. E’
proprio l’espansione della cavità toracica che permette, per mezzo della pleura, l’aumento di
volume del polmone e quindi l’afflusso di aria. Se non ci fosse la pleura che mantiene i
polmoni aderenti alla parete toracica, avrebbero tendenza a collassare e sarebbero grandi
come un pugno chiuso. E’ quello che avviene quando per un trauma dell’aria entra fra i due
foglietti pleurici e quindi viene a mancare l’aderenza fra i due foglietti che è quella che
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mantiene il polmone pervio accostato alla parete toracica. Questa evenienza patologica si
chiama pneumotorace.
Il polmone è suddiviso in lobi polmonari (3 a destra e due a sinistra) a loro volta divisi
in segmenti indipendenti sia per l’irrorazione che per la ventilazione.
E’ un organo che per la sua notevole elasticità, è spesso paragonato ad una spugna
anche perché è formato da un insieme di microscopiche cavità piene d’aria chiamate alveoli
polmonari. La parete degli alveoli è tanto sottile da permettere il passaggio dei gas respiratori
(CO2 e O2) da e verso i capillari che si trovano fra le cavità alveolari. Gli alveoli non sono
altro che il termine delle numerose suddivisioni a cui va incontro il bronco principale dopo il
suo ingresso nel polmone.
Il bronco principale si divide in bronchi di I ordine (lobari) dai quali nascono i bronchi
di II ordine (zonali e segmentali) che danno a loro volta origine ai bronchi di III ordine
(lobulari) ciascuno dei quali fa capo ad un lobulo. All’interno del lobulo, i bronchi lobulari si
ramificano ripetutamente ed i loro rami di IV e V ordine prendono il nome di bronchioli
terminali e provvedono alla ventilazione degli alveoli. L’insieme delle ramificazioni
bronchiali all’interno del lobulo costituiscono il parenchima polmonare.
L’apparato respiratorio è quindi così costituito:
Naso esterno
aso Cavità nasali (con annesse le cavità
paranasali)
Faringe
Laringe
Trachea
Bronchi
Polmoni
Pleure
La ventilazione è quel ritmico alternarsi di inspirazione - espirazione che permette
all’aria di raggiungere gli alveoli polmonari e la sua eliminazione nell’ambiente esterno.
I polmoni sono adesi alla parete toracica tramite l’interposizione della pleura. I
muscoli inspiratori permettono l’espansione del torace aumentandone il volume; i polmoni,
seguono i movimenti toracici, si espandono anch’essi creando un richiamo d’aria verso gli
alveoli (la pressione intrapolmonare diventa inferiore alla pressione atmosferica). Il
rilasciamento dei muscoli inspiratori permette ai polmoni di tornare al loro volume di
partenza esercitando a loro volta una trazione sulla parete toracica. In questo modo la
pressione intrapolmonare aumenta, tanto da diventare superiore alla pressione atmosferica e
permettere la fuoriuscita dell’aria (espirazione). Questo meccanismo non richiede contrazione
muscolare in quanto è dovuto alla elasticità delle strutture respiratorie per lo meno nella
respirazione tranquilla; mentre nella espirazione forzata, con l’ausilio dei muscoli espiratori si
riduce ulteriormente il volume della cavità toracica in modo da espellere un ulteriore volume
d’aria che non verrebbe mai espulso con la respirazione tranquilla.
A riposo vengono compiuti 12 - 15 atti respiratori al minuto, ognuno dei quali
permette l’ingresso di 500 ml d’aria (volume corrente). In un minuto respiriamo quindi 6 - 8
litri d’aria (respirazione tranquilla). Con una sola inspirazione forzata si possono introdurre
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fino a 3,3 litri d’aria (0,5 l del volume corrente più 2,8 l nell’uomo e 1,9 l nella donna). Con la
espirazione forzata invece, si possono espellere, dopo la espirazione tranquilla, un ulteriore
litro d’aria circa. Alla fine di una espirazione forzata rimarrà comunque sempre aria nei
polmoni (volume residuo ˜ 1 litro) che non viene mai espulsa. Il massimo volume d’aria
espulso dopo una inspirazione forzata è la capacità vitale (˜ 5 litri) che cambia in rapporto a:
sesso, età, costituzione fisica, allenamento. Si intende infine per capacità polmonare tutta
l’aria che può contenere il polmone al termine di una inspirazione forzata (capacità vitale +
volume residuo).
Durante l’esercizio fisico, si ha un immediato aumento della ventilazione in rapporto
all’intensità dell’esercizio, per un aumentato fabbisogno di O2 a livello muscolare.
Aumentano sia la frequenza degli atti respiratori che la loro profondità con il risultato che
l’aria ventilata al minuto aumenta passando dai 6 - 8 l/min. ai 50 - 80 l/min. fino a 150 l/min.
nei soggetti ben allenati.
Ricordiamo che l’aria atmosferica a livello del mare contiene il 21% di O2 mentre
l’aria espirata ne contiene circa il 16%. Ne consegue che non tutto l’ O2 inspirato passa nel
sangue. Questo perché comunque quando l’aria entra nell’albero respiratorio si mescola con
l’aria povera di ossigeno già presente nelle vie aeree e nei polmoni e comunque non tutta
riuscirà a raggiungere gli alveoli polmonari.
Altri fattori come pervietà delle vie aeree, spessore della parete degli alveoli, numero
dei globuli rossi e quantità di emoglobina contenuta nei globuli rossi sono in grado di
influenzare l’ossigenazione del sangue.
Definizioni
Volume corrente: volume in- od espiratorio con i normali atti respiratori a riposo.
Volume di riserva inspiratoria: volume che può essere introdotto a partire dalla fine
di una inspirazione tranquilla eseguendo una massima inspirazione.
Volume di riserva espiratoria: volume che può essere espulso con una espirazione
massima a partire dalla fine di una espirazione tranquilla.
Volume residuo: volume che rimane nei polmoni alla fine di una espirazione
massima.
Capacità vitale: volume che viene espirato a partire da dalla massima inspirazione
eseguendo una espirazione massima, è la somma di volume corrente più volume di
riserva inspiratoria più volume di riserva espiratoria.
Capacità inspiratoria: volume che può essere introdotto con una massima
inspirazione a partire dalla fine di una espirazione normale, è la somma di volume
corrente più volume di riserva inspiratoria.
Capacità funzionale residua: volume presente nei polmoni alla fine di una
espirazione tranquilla, è la somma di volume di riserva espiratoria più volume residuo.
Capacità polmonare totale: volume presente nei polmoni alla fine di una
inspirazione massima.
Eupnea: respirazione normale, cicli ritmici ripetuti di inspirazione espirazione senza
pausa espiratoria o inspiratoria ; l’inspirazione è attiva mentre l’espirazione è passiva.
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Iperpnea: respirazione aumentata, riferita generalmente ad un aumento del volume
corrente, con o senza aumento della frequenza.
Polipnea / Tachipnea: aumentata frequenza della respirazione.
Bradipnea: diminuzione della frequenza degli atti respiratori.
Iperventilazione: ventilazione alveolare aumentata in eccesso rispetto alle effettive
necessità metaboliche.
Ipoventilazione: ventilazione alveolare diminuita rispetto alle necessità metaboliche.
Dispnea: difficoltà della respirazione con sensazione di mancanza del respiro avvertita
dal soggetto.
Apnea: assenza dei movimenti respiratori; vi è un apnea post-inspiratoria e post-
espiratoria.
Apneusi: cessazione della respirazione in posizione inspiratoria.
Respirazione apneustica: apneusi che interrompe periodicamente gli atti respiratori.
SAGUE
Il sangue è composto da una parte corpuscolata (ematocrito) e da una parte liquida
(plasma). La parte corpuscolata è formata da cellule e detriti cellulari e rappresenta il 43 - 48
% del volume ematico. Il plasma è costituito da proteine in soluzione, zuccheri, grassi, ioni e
acqua.
Cellule del sangue
♦ Eritrociti o globuli rossi: sono cellule prive di nucleo. Contengono l’emoglobina
ed hanno il compito di trasportare O2. L’emoglobina è una cromoproteina formata
da quattro anelli porfirici al centro di ognuno dei quali si trova un atomo di ferro
(Fe++
) in grado di legare l’O2. Si capisce quindi come carenze di emoglobina o di
ferro possano inficiare la prestazione sportiva diminuendo la capacità di legare O2
al globulo rosso. I globuli rossi oscillano da 4500000 / mm3 nella donna a 5500000
/ mm3 nell’uomo.
♦ Leucociti o globuli bianchi: sono le cellule del sistema immunitario (˜ 6000 /
mm3). Si dividono in:
a) linfociti (20 - 40 %). Ne esistono di vari tipi a seconda dei compiti. Si
dividono in due grandi famiglie (linfociti B e linfociti T). I primi possono
maturare e diventare plasmacellule (deputate alla produzione di anticorpi).
b) monociti (1- 4 %) ne troviamo pochi circolanti in quanto la maggior parte
stazionano nei tessuti. Sono più grosse delle altre cellule immunitarie ed
hanno la capacità di trasformarsi in macrofagi e di bloccare e distruggere i
microrganismi patogeni.
c) granulociti polimorfonucleati (˜ 68%) così chiamati per la forma del loro
nucleo. Si dividono in tre tipi cellulari:
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◊ neutrofili: aumentano rapidamente in caso di necessità Sono di gran
lunga i più numerosi,
◊ basofili: in circolo ce né sono pochissimi (˜ 1%), hanno scarsa
proprietà immuniologica, contengono istamina,
◊ eosinofili o acidofili: anche questi, in condizioni normale sono poco
rappresentati (2 - 4 %), aumentano in caso di reazione allergica.
♦ Trombociti o piastrine: (250000 / mm3) sono in realtà frammenti di cellule più
grandi (megacariociti) quindi sono sprovvisti di nucleo. Sono, insieme alla fibrina,
gli elementi fondamentali della formazione del coagulo.
Tutti questi diversi tipi cellulari originano nel midollo osseo da una unica cellula
staminale totipotente che dà origine alle varie linee di differenziazione che portano alla
formazione delle cellule mature.
Solo i linfociti, una volta abbandonato il midollo subiscono una ulteriore maturazione
e differenziazione nei linfonodi1 e nel timo
2.
1 I linfociti B
2 I linfociti T
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Fig 2: Disegno illustrante la differenziazione della cellula staminale totipotente
Compiti del sangue
⇒ Funzioni di trasporto (gas, metaboliti, ormoni,...)
⇒ Funzione di “mezzo interno”: manternere l’omeostasi ossia la costanza su larga
scala della concentrazione delle sostanze in soluzione, della temperatura, e del
pH.
⇒ Funzione antiemorragica.
⇒ Funzione immunitaria.
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CUORE
Fig. 3: Struttura interna del cuore
Dagli alveoli polmonari , l’O2 passa al sangue tramite il quale raggiunge i tessuti spinto dalla
pompa cuore. E’ il sistema cardiocircolatorio.
Il cuore è un organo cavo, muscolare, che ha il compito di mantenere il movimento
della corrente circolatoria. Funziona come una pompa che si riempie e con le contrazioni delle
sue pareti imprime una spinta alla massa ematica mettendola in movimento.
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Si trova al centro dell’apparato cardiovascolare, nel torace, tra i due polmoni,
appoggiato sul diaframma, posteriormente allo sterno.
Fig. 4: Piccola e grande circolazione
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Presenta una parete interna (setto) che divide il cuore in una metà destra (dx) ed una
metà sinistra (sin) con funzioni ben specifiche tanto da poter parlare di cuore dx e cuore sin.
Ciascuna metà è formata da una cavità superiore (atrio) e da una inferiore più ampia
(ventricolo). Gli atrii comunicano con i sottostanti ventricoli tramite un’apertura atrio-
ventricolare corredata da una valvola atrio-ventricolare.
Ai due atrii arrivano le vene. Dai ventricoli, attraverso un orifizio munito di valvola si
diparte un grosso vaso arterioso.
Il cuore dx riceve il sangue povero di O2 (venoso) refluo dai tessuti e lo spinge verso i
polmoni dove il sangue si arricchisce di O2 e ritorna al cuore sin. Dal ventricolo sin, il sangue
(arterioso) viene distribuito a tutti i tessuti.
Distinguiamo una piccola ed una grande circolazione:
⇒ La piccola circolazione è quella parte di circolo che compresa tra il ventricolo dx e
l’atrio sin dove sono intercalati i polmoni. Viene anche chiamata circolazione
polmonare. Qui il sangue si carica di O2 e si libera di CO2.
⇒ La grande circolazione, si tratta dei vasi compresi tra ventricolo sin e atrio dx, è
anche chiamata circolazione sistemica. Qui il sangue ricco di O2 lo cede ai tessuti
dai quali riceve in cambio CO2.
Il sangue arriva all’atrio dx tramite le vene Cave inferiore e superiore, da qui,
attraverso la valvola tricuspide, passa nel ventricolo dx e raggiungere i polmoni tramite
l’arteria Polmonare. Dai polmoni, il sangue torna all’atrio sin quindi al ventricolo sin
(attraverso la valvola mitralica) da cui viene espulso tramite l’arteria Aorta nella circolazione
sistemica in modo da portare O2 a tutti i tessuti.
Le arterie nascono dal cuore, si ramificano in arterie di calibro via via inferiore fino ad
arrivare ai tessuti, veicolando sangue dal cuore verso la periferia. Nei tessuti, le arterie
perdono le loro caratteristiche per organizzarsi in una fitta rete di capillari i quali hanno una
parete tanto sottile da permettere scambi con l’ambiente extracircolatorio. Sull’altro fronte
della rete capillare nascono le vene che si raccolgono in vene di calibro sempre maggiore per
portare il sangue dalla periferia verso il cuore.
Ciclo cardiaco
Il ciclo cardiaco è caratterizzato da due periodi:
♦ contrazione (sistole), si ha l’espulsione del sangue ventricolare verso le arterie Aorta e
Polmonare.
22
♦ rilasciamento (diastole), le fibre muscolari si rilasciano; prima quelle delle cavità atriali e
poi quelle delle cavità ventricolari.
Una volta riempito il ventricolo, comincia la sistole atriale che corrisponde alla
contrazione delle fibre muscolari della parete atriale in modo da spingere nel ventricolo (a
forza) un ulteriore volume di sangue1. Quando i ventricolo sono colmi, si chiudono le valvole
atrio-ventricolari2 e comincia la sistole ventricolare con la successiva apertura delle valvole
aortica e polmonare che permetteranno il deflusso rispettivamente in Aorta e nell’arteria
Polmonare.
Durante la sistole ventricolare comincia già il rilasciamento (diastole) delle fibre atriali
in modo da permettere il riempimento dell’atrio che provvederà a sua volta al riempimento
del ventricolo nel momento in cui, finita la sistole inizierà la diastole ventricolare.
Prima della eiezione del sangue dal ventricolo verso i vasi arteriosi, all’inizio della
sistole ventricolare c’è un periodo in cui si contrae la muscolatura della parete ventricolare ma
non avviene fuoriuscita di sangue. Questo periodo chiamato sistole isometrica ha lo scopo di
aumentare la pressione vigente nel ventricolo in modo da vincere la pressione che si trova
nell’Aorta, solo a questo punto si avrà l’apertura delle valvole ventricolari.
1 Circa il 30 %
2 Tricispide a destra e Mitralica a sinistra
25
Frequenza cardiaca
Il ciclo cardiaco sopra descritto ha la durata di 0,8 secondi ed equivale ad una
frequenza cardiaca (FC) di 75 battiti al minuto (se ogni ciclo dura 0,8 secondi si fanno 75 cicli
in 60 secondi). La frequenza cardiaca a riposo può però variare ampiamente entro limiti
fisiologici (40 - 100 bat/min.). La FC di un individuo a riposo può essere influenzata da
molteplici fattori come età, sesso, postura, stati emotivi, digestione, temperatura corporea,
condizione fisica,... L’allenatore deve tenere presente le possibili variazioni in funzione
dell’età, a questo scopo può essere utile la seguente tabella ricordando che i valori elencati
sono suscettibili di variazioni individuali.
Età in anni Pulsazioni a riposo (frequenza cardiaca)
1 135
2 110
3 108
5 103
7 97
10 95
15 80
20 ed oltre 75
Si vede come una FC a riposo di 100 bat/min. è un’evenienza del tutto normale in un
bambino mentre non lo è più in un giovane di 20 aa. Nella donna la frequenza è generalmente
più alta di 5 - 10 bat./min. rispetto all’uomo. La FC può essere accelerata:
♦ in posizione eretta
♦ durante l’inspirazione
♦ durante stati febbrili
♦ per l’azione di alcuni ormoni
♦ durante il lavoro muscolare
♦ in seguito a stati emotivi
mentre può essere rallentata:
♦ in posizione orizzontale
♦ durante l’espirazione
♦ per emozioni intense (paura)
♦ grado di allenamento fisico
Gittata sistolica
Per gittata sistolica si intende la quantità di sangue che ad ogni sistole viene spinta in
circolo da ciascun ventricolo. Normalmente essa è di 70 - 90 ml e rappresenta circa il 50%
26
dell’effettiva quantità di sangue che riempie il ventricolo ossia, un cuore normale a riposo
espelle ad ogni sistole solo la metà del suo contenuto. La quantità di sangue che rimane nel
ventricolo viene definita volume telesistolico e rappresenta in ultima analisi, una riserva che
può essere immessa in circolo quando aumenta l’energia di contrazione dei ventricoli.
Questo fenomeno si verifica di regola nel corso dell’esercizio fisico che comporti una
certa attività muscolare.
Gittata cardiaca
Per gittata cardiaca o volume / minuto s’intende la quantità di sangue che in un minuto
viene spinta in circolo da ciascun ventricolo. E’ quindi il prodotto della gittata sistolica per la
FC ed in genere oscilla intorno ai 5 - 6 litri per un uomo medio, a riposo, in posizione supina.
Passando alla posizione eretta, la gittata cardiaca diminuisce leggermente a causa del
rallentato ritorno venoso dagli arti inferiori.
Naturalmente la gittata cardiaca aumenta durante l’attività muscolare e può
raggiungere 25 litri / min. in individui non preparati atleticamente fino a 40 liti / min. in atleti
ben allenati.
L’aumento della gittata cardiaca durante l’attività sportiva può essere dovuto:
♦ all’aumento della FC
♦ all’aumento della gittata sistolica.
I due meccanismi vengono messi in atto a seconda che maggior richiesta di sangue in
circolo avvenga in un individuo non allenato od in un atleta. Il primo farà fronte alle nuove
esigenze soprattutto con l’aumento della frequenza mentre l’atleta presenterà un aumento
della gittata sistolica. Il risultato sarà che sotto sforzo massimale, a parità di tachicardia il
volume / min. dell’individuo allenato sarà maggiore ed essendo di conseguenza i suoi muscoli
meglio irrorati egli potrà prolungare il periodo di attività muscolare.
Cenni di istologia
Il cuore è formato da tre strati ben definiti:
♦ l’endocardio è il tessuto formato da cellule epiteliali che tappezza le pareti interne del
cuore un po’ come la carta da parati tappezza l’interno di una stanza,
♦ il miocardio è la parte più voluminosa del cuore soprattutto del ventricolo sin. E’ formato
da fibre muscolari ed è responsabile delle contrazioni cardiache,
♦ il pericardio è l’involucro esterno del cuore, è formato come la pleura da due foglietti di
cui uno è aderente al miocardio. Fra i foglietti vi è uno spazio virtuale che mantiene li
mantiene aderenti l’uno all’altro e permetto loro di scivolare e quindi l’espansione
27
cardiaca. Se venisse a mancare questa capacità di scivolamento1 il cuore non potrebbe più
espandersi durante la diastole e potrebbe andare incontro a strozzamento.
Coronarie
Il cuore non potendo nutrirsi col sangue che passa per le sue cavità2 possiede un
sistema arterioso proprio che penetra nello spessore del miocardio in modo da portare O2 alle
fibre muscolari. Questo gruppo di arterie prende il nome di coronarie del cuore, originano
dall’Aorta subito dopo la valvola aortica.
Le coronarie penetrando nello spessore del miocardio vengono però schiacciate dalle
fibre muscolari contratte durante la fase sistolica e per di più la loro origine è ostruita dal
lembo valvolare della valvola aortica aperta. In queste condizioni si capisce come il cuore non
può ricevere nutrimento durante la sistole. E’ in effetti la fase diastolica il periodo che
corrisponde al nutrimento cardiaco.
1 per esempio in caso di cicatrici dovute a pericarditi.
2 Solo l’endocardio ne trae nutrimento mentre miocardio e pericardio no.
29
Ciclo cardiaco sotto sforzo
Aumentando la FC si accorcia il ciclo cardiaco.
Se a riposo abbiamo 75 pulsazioni (75 / 60 = 0,8)
e sotto sforzo 180 (180 / 80 = 0,3)
E’ evidente che ogni ciclo cardiaco deve essere più corto sotto sforzo che a riposo per
poter avere 180 cicli in un minuto!
Siccome però la durata della sistole deve mantenersi più o meno costante in quanto
bisogna sempre spingere sangue fuori dal ventricolo, si capisce come sia il tempo di diastole
che viene notevolmente accorciato per raggiungere quelle pulsazioni. Ma ricordiamo come la
diastole sia il periodo in cui il cuore viene nutrito attraverso la circolazione coronarica. Sotto
sforzo si riduce quindi drasticamente il tempo di nutrimento del cuore. Questo fenomeno non
è un problema in un soggetto sano ma in condizioni di sofferenza coronarica può diventare
difficile nutrire il cuore quando la frequenza aumenta. E’ per questo motivo che i cardiopatici
devono effettuare solo una blanda attività fisica e non sottoporre il cuore a frequenze troppo
elevate.
Distribuzione del sangue
A riposo, i muscoli, come tutti gli altri organi ricevono una quantità nota di sangue al
minuto. A seconda delle variazioni delle condizioni fisiche, questa distribuzione ematica può
subire variazioni ad esempio:
30
1. durante la digestione, parte del sangue viene dirottato da organi non impegnati in lavoro
(es: muscoli scheletrici) verso il distretto intestinale,
2. durante l’attività fisica il muscolo riceve circa 20 volte più sangue al minuto rispetto al
riposo. Questo fenomeno è determinato da una parte dall’aumento della FC ma anche dal
fatto che una notevole quantità di sangue viene dirottata verso i muscoli.
Questi due esempi spiegano perché non è compatibile l’attività fisica intensa durante
la digestione.
Tab. 1: Distribuzione del flusso ematico a riposo e durante esercizio massimale Riposo Esercizio Organo % Litri / min. % Litri / min.
Osso 5 0,3 0,5 0,15
Cervello 15 0,9 4 1,2
Cuore 5 0,3 4 1,2
Rene 25 1,5 2 0,6
Fegato 25 1,5 3 0,9
Muscolo 15 0,9 85 25,5
Cute 5 0,3 0,5 0,15
altri 5 0,3 1 0,3
Totale 100 6,0 100 30
Pressione arteriosa
La pressione arteriosa (PA) è la pressione che il sangue esercita sulle pareti delle
arterie, è il risultato dell’equilibrio del sistema cuore - vasi - sangue.
Cuore: è al centro del sistema dell’apparato cardiocircolatorio. Aumentando la
pressione con cui il cuore effettua la funzione sistolica, al sangue viene viene impressa
maggiore forza per uscire dal ventricolo.
Vasi: possono costringersi o dilatarsi provocando un aumento (costrizione) o una
diminuzione (dilatazione) della PA.
Sangue: maggiore è la quantità di sangue maggiore sarà la pressione. Dopo una
emorragia la PA diminuisce. Nell’arteriosclerosi, la PA tende ad aumentare poiché il lume dei
vasi è ristretto e la parete dei vasi è meno elastica.
Si definisce pressione sistolica (massima) la pressione che si riferisce al massimo della
forza impressa al sangue durante la sistole ventricolare.
Si definisce pressione diastolica (minima) la pressione che vige nell’Aorta durante la
fase di diastole, quando quindi la valvola aortica è chiusa. La pressione diastolica corrisponde
quindi alla pressione che deve superare il ventricolo sin per permettere l’apertura della valvola
aortica e l’espulsione del sangue dal ventricolo. Quando aumenta la pressione diastolica,
31
aumenta anche di conseguenza lo sforzo che deve compiere il ventricolo sin per espellere il
sangue. Alla lunga questa condizione può portare ad una sofferenza del cuore ed a un
ingrassamento del ventricolo sin1.
L’OMS2 ha stabilito seguenti parametri:
PA < 140 / 90 normoteso
PA > 160 / 90 iperteso
PA ˜ 140-160 / 90-95 border line
SPORT E GRAVIDAZA
Spesso ci si trova dinanzi al quesito, da parte di donne che dedicano il proprio tempo
libero allo sport, se possono continuare a praticare l’attività e con quali limitazioni, quali
precauzioni adottare e se è vantaggiosa per la propria performance ostetrica.
Cercheremo di fare un quadro generale di quali e quante variazioni anatomico-
metaboliche una donna subisce in uno stato gravidico e come esse possano essere affrontate in
relazione ad una eventuale attività sportiva.
La gravidanza induce modificazioni anatomo-funzionali rilevanti a carico di tutto il
sistema cardiovascolare; il cuore, i vasi ed il sangue circolante. Il cuore va incontro ad una
reazione gravidica che si stabilisce gradualmente: assai modesta nei primi mesi diviene più
evidente nella seconda metà della gestazione, raggiungendo la sua massima espressione alla
fine del IX mese ed è caratterizzata dall’aumento di peso e volume con accrescimento dello
spessore della parete e dell’ampiezza della cavità: Si verifica, inoltre, un aumento del volume
minuto (gittata cardiaca); questo per garantire la perfusione della più estesa rete vascolare
rappresentata dall’aggiunta dell’area placentare, la dilatazione dei vasi uterini e dall’aumento
della pressione addominale. L’aumento della gittata cardiaca non distribuisce uniformemente
la maggiore quantità di sangue ai vari organi della gestante: il flusso epatico e cerebrale
risultano invariati, il flusso renale ed uterino è aumentato in tutta la gravidanza ma in special
modo nei primi mesi. L’aumento del 40% della gittata cardiaca è rappresentato in gran parte
da componente plasmatica, non altrettanto dai globuli rossi, con il risultato di una
1 Ricordo come il ventricolo dx lavori a pressioni nettamente inferiori ed è quindi il ventricolo sin a subire le
conseguenze di una ipertensione cronica. 2 Organizzazione Mondiale per la Salute.
32
emodiluizione e di una anemia. La pressione sistolica rimane stabile mentre la diastolica tende
a calare nel primo trimestre per poi tornare a livelli normali negli ultimi mesi di gravidanza.
Nell’insieme possiamo asserire che il cuore di una gestante sana sopperisce con la
propria energia di riserva al plus lavoro indotto dalla gravidanza. In letteratura non si trovano
risultati univoci sull’influenza dell’esercizio fisico in gravidanza sulla gravidanza stessa.
La maggior gittata cardiaca, o la sua distribuzione, sono di fondamentale importanza
per il benessere fetale. La maggior richiesta ematica da parte dei muscoli impegnati
nell’esercizio può raggiungere la condizione di sottrarre sangue all’utero con conseguente
stress sul feto. Nell’unico lavoro trovato durante un’attività sportiva moderata, il flusso
uterino è stato riscontrato ridotto del 25 % in donne in stato di gravidanza avanzato ed in
buona salute. Anche le concentrazioni nella placenta di glicogeno non sono risultate
differenti. E’ stato dimostrato da alcune ricerche che il modesto esercizio non modifica il
flusso ematico uterino nelle pecore, mentre uno sforzo prolungato lo riduce del 28 %.
In gravidanza avanzata diminuisce la gittata cardiaca per un ostacolo di ritorno venoso
dovuto alla compressione della vena cava da parte dell’utero gravidico specie in posizione
supina, via via che l’esercizio aumenta di intensità compaiono significative riduzioni della
frequenza cardiaca.
Risulta evidente che un migliore adattamento allo sforzo fisico si ha nelle gravide che
praticano attività fisica al di fuori del periodo gestazionale. La gravidanza comporta
modificazioni anatomico-meccaniche, nonché chimico-funzionali anche a carico dell’apparato
respiratorio.
La mucosa che tappezza le vie respiratorie diventa iperemica e turgida, la congestione
interessa il setto nasale, il turbinato inferiore, la faringe ed i bronchi.
Il diaframma, con l’aumento dell’altezza dell’utero gravido, risulta spostato verso
l’alto con una conseguente diminuzione dell’ampiezza delle sue escursioni. La forma della
gabbia toracica si modifica per la riduzione del diametro antero-posteriore e per l’aumento di
quello trasversale, anche i polmoni subiscono uno spostamento dei margini mettendo
maggiormente allo scoperto il cuore.
Le modificazioni circolatorie sono caratterizzate da una tendenza alla stasi. Il tipo di
respirazione costo-diaframmatica diviene prevalentemente costale superiore; aumenta la
frequenza degli atti respiratori.
La ventilazione polmonare è accresciuta del 30 % nel polmone entrano in funzione
anche gli alveoli di riposo.
Per azione del progesterone è ridotto il grado di sensibilità del centro respiratorio alla
CO2. Questo spiega l’insorgere della dispnea di frequente riscontrata negli ultimi mesi al
minimo sforzo. La dispnea è presente anche nei primi mesi ed è legata alle modificazioni
emodinamiche del I trimestre che comportano una diminuzione della quantità di sangue
circolante nel torace rispetto alla circolazione generale.
Il nuoto, per lo spostamento della massa fetale determinata dalla pressione idrostatica,
induce un aumento della ventilazione che si realizza con una maggiore frequenza respiratoria.
Nella gravidanza ci sono numerose variazioni a livello endocrino e di produzione ormonale,
quelle di particolare rilievo sono sicuramente l’aumento del livello di insulina nel sangue che
non comporta però modificazioni per la glicemia della gravida per un contemporaneo
aumento delle resistenze periferiche all’insulina.
La placenta produce un ormone denominato lattogeno che oltre ad essere responsabile
della diminuzione della sensibilità periferica all’insulina esercita un’azione lipolitica sul
33
tessuto adiposo. L’attività fisica determina un sensibile aumento dell’adrenalina e della
noradrenalina con possibili ripercussioni sulla contrattilità uterina.
La gravidanza è caratterizzata dalla prevalenza nell’organismo materno di fenomeni
metabolici, dei quali l’aspetto più appariscente è l’incremento del peso corporeo, valutato
fisiologicamente intorno agli 11-12 Kg al termine della gestazione. Il metabolismo basale
aumenta di + 2% nel I trimestre, + 16%- 20 % nel III trimestre. Il metabolismo minerale si
caratterizza per una ritenzione di Sodio, Potassio, Calcio, ed altri sali mentre a diminuire
notevolmente è il Ferro. La fondamentale modificazione del metabolismo dei lipidi in
gravidanza è costituito dall’alto consumo per le richieste fetali e dalle variazioni con riduzione
del quoziente proteico.
Durante l’attività sportiva i muscoli aumentano il oro metabolismo glucidico da 7 a 20
volte, in parte attingono dal loro glicogeno il glucosio, ma in parte lo sottraggono dal glucosio
circolante. Per risparmiare glucosio l’organismo sottoposto a lavoro muscolare utilizza i lipidi
in particolare gli acidi grassi con conseguente diminuzione del grasso corporeo.
Risposta organica all’attività fisica materna
Un’attività fisica che comporta sforzi eccessivi teoricamente può causare
malformazioni fetali, ritardo di crescita intrauterino, parti pretermine e sofferenza fetale.
L’attività muscolare determina via via che si fa più intensa una riduzione della perfusione del
distretto splancnico e quindi dei flussi uterini con ipossiemia secondaria.
Solo dopo esercizi fisici impegnativi sono stati riscontrati degli aumenti delle
resistenze dei vasi uterini, mentre per esercizi lievi e moderati non si evidenzia nessuna
variazione degli indici sisto-diastolici dell’arteria uterina, ombelicale ed aorta discendente
fetale.
E’ stato riscontrato che un’attività sportiva continua ed impegnativa in gravidanza
comporta un minor guadagno del peso corporeo materno e feti 300-500 gr più piccoli alla
nascita. L’attività fisica può comportare un’elevazione della
temperatura corporea materna che può risultare teratogenetica.
Studi eseguiti su animali riportano che temperature
maggiori di 39 °C determinano un aumento dei difetti di
formazione del tubo neurale. Tuttavia durante l’attività fisica
che fa aumentare la temperatura del corpo di 1-2 ° C non si
hanno ripercussioni fetali. Per la sua collocazione nel corpo
materno il feto ha difficoltà ad eliminare calore. In condizioni
di riposo l’aumento di 1,5-2° C della temperatura materna
comporta un aumento di velocità del 36 % della corrente sanguigna del funicolo che
costituisce la via più importante del feto per disperdere calore.
Il periodo di massimo rischio di malformazioni fetali indotte dall’ipertermia si
riscontra nel primo trimestre di gestazione, in particolare i difetti a carico del sistema nervoso
centrale.
Sembra logico che un’attività fisica intensa possa provocare parti pretermine o aborti,
il rischio è provocato dall’aumento della produzione di norepinefrina che può scatenare un
travaglio pretermine e alla liberazione delle catecolamine che stimolano il miometrio a
contrarsi.
34
L’attività fisica comporta come abbiamo detto un consumo di glucosio da parte dei
muscoli impegnati, con conseguente riduzione del livello glicemico della gestante e quindi di
apporto di glucosio al feto. Questo fenomeno se ripetuto e costante nel tempo può determinare
un difetto di nutrizione del feto.
Conclusioni
In sostanza l’attività sportiva abituale può continuare durante la gravidanza o può
essere consigliata alla donna che non la praticava.
Molti sports durante il primo trimestre, quali la corsa, il nuoto, il tennis, lo sci o
l’equitazione possono essere praticati semmai ad un livello minore. Nel primo trimestre
l’utero è protetto dalle ossa pelviche e quindi è impossibile un traumatismo diretto. Durante il
II e III trimestre si deve esercitare una maggiore cautela, sports che comportino rischi di
cadute o contusioni addominali devono essere evitati. Alle gestanti non use, al di fuori della
gravidanza, a praticare sports possono essere consigliati nuoto, jogging e la bicicletta, da
praticare comunque con moderazione.
L’American College of Obstetrician and Ginecologist della Queen’s University
dell’Ontario (Canada) offre suggerimenti per quanto riguarda l’attività sportiva in gravidanza
per donne in buona salute :
1. Durante la gravidanza l’attività sportiva può essere continuata. Per ricavare benefici
dagli esercizi questi devono essere praticati con regolarità almeno due o tre volte la
settimana. Una pratica più intermittente risulta meno vantaggiosa.
2. Sono da evitare esercizi praticati in posizione supina dopo il I trimestre. Tale
posizione comporta una diminuita gittata cardiaca. E’ sconsigliato mantenere a
lungo la stessa posizione.
3. La diminuita riserva cardiaca e polmonare consiglia una riduzione graduale
dell’attività fisisca con il progredire della gravidanza. Le gestanti dovrebbero
interrompere l’attività prima di giungere all’esaurimento dell’energia.
4. Il diminuito equilibrio della statica corporea , specie nel III trimestre, fa
sconsigliare esercizi che comportino il rischio di cadute. Parimenti sono sconsigliati
gli esercizi che impegnano eccessivamente la muscolatura addominale.
5. All’attività fisica consegue un dispendio maggiore di energia quindi, per garantire
l’omeostasi metabolica, occorre aumentare l’apporto calorico.
6. Nel I trimestre di gravidanza per opporsi all’elevazione della temperatura corporea
la gestante deve introdurre una maggiore quantità di liquidi, evitare saune, bagni
35
turchi, idromassaggi o pratiche sportive che tendono ad aumentare eccessivamente
la temperatura corporea (si noti che la temperatura rettale di una maratoneta
raggiunge una T di 39° C dopo la prima ora di attività).
7. Le modificazioni che la gravidanza comporta sull’organismo materno persistono
per 4-6 settimane dopo il parto, quindi l’attività fisica va ripresa gradualmente
adattandola alle capacità fisiche individuali.
LO SPORT I ETÀ AVAZATA
L’invecchiamento
Un dato di fatto certo è che la popolazione sta
invecchiando. Mentre alla fine del secolo scorso la
speranza di vita era di circa 40 aa, ai giorni nostri è
di circa 80 aa ! ! ! questo fenomeno ha portato alla
costituzione di un fascia di età che prende il nome
di terza età1.
L’allungamento della vita media dell’uomo
è una delle evoluzioni più importanti del nostro
secolo e rappresenta la sintesi dei progressi ottenuti
in ogni settore della scienza. Infatti il
miglioramento generale delle condizioni igieniche
ed i progressi della medicina in campo sia
diagnostico che terapeutico hanno fatto si che la
fascia di popolazione superiore ai 65 aa in Italia sia
passata da meno di sei milioni, all’inizio degli anni
sessanta, agli attuali dieci milioni che
rappresentano ormai il 18% della popolazione con
1 Si considera terza età dopo i 60 anni.
36
una previsione del 29% per il 2010. Tale andamento è comune a tutte le società più evolute.
Purtroppo, all’aumento dell’età media fanno riscontro fenomeni fisiologici legati
all’invecchiamento che viene definito “un lungo e costante processo biologico della riduzione
graduale delle possibilità funzionali di tutti gli organi e sistemi”.
Col tempo è apparso che le persone non invecchiano tutte allo stesso modo ed alla
stessa velocità. E’ quindi nato il concetto di età biologica ed età cronologica (anagrafica). Si
distinguono due tipi di invecchiamento:
1. invecchiamento naturale, dovuto alle variazioni graduali e fisiologiche che riducono
progressivamente le capacità di adattamento dell’anziano. L’età biologica e cronologica in
questo caso si equivalgono,
2. invecchiamento precoce, riscontrabile quando l’età biologica supera l’età cronologica.
Questo fenomeno può essere dovuto a fattori genetici, a condizioni sfavorevoli di vita e di
lavoro, all’inquinamento, ad errori alimentari, fumo, abuso di alcool o di medicinali oppure
storie di malattie croniche.
Molti autori hanno dimostrato che chi ha praticato attività sportiva (ex atleti) oppure anziani
che continuano a praticarla hanno tendenza ad avere l’età biologica inferiore all’età
cronologica. Ossia invecchiano meno rapidamente e meglio rispetto ad un soggetto che ha
sempre fatto vita sedentaria. Dice
Kaiser: “lo sport è il mezzo
migliore per invecchiare
conservando la salute”.
Nel mondo occidentale ma
soprattutto nelle regioni più
industrializzate si è potuta
osservare una entità nosologica che
nel 1961 fu definita da Krauss e
Rabb “malattia ipocinetica”. E’
una patologia che comporta il
deterioramento delle capacità
funzionali nei soggetti anziani con
il conseguente impatto a livello
sociale, economico ed
assistenziale. Insorgenge più frequentemente nell’anziano in cui l’inattività fisica rappresenta
una condizione dominante alla quale vanno aggiunte le modificazioni fisiologiche
dell’invecchiamento.
La validità e l’abilità di un individuo anziano possono essere desunte dal grado delle
sue capacità di attendere alle comuni occupazioni, intendendo per esse, gesti o composizioni
di movimenti semplici come alzarsi dal letto, curare la propria igiene, compiere i routinari
lavori domestici, salire e scendere le scale...In Gran Bretagna, per valutare l’autosufficienza di
un anziano si usa cronometrare il tempo impiegato per attraversare un passaggio pedonale.
Tutte le azioni sopra elencate hanno in comune il fatto che si tratta di movimenti
complessi ed intensi la cui effettuazione corretta e redditizia presuppone il possesso da parte
del soggetto di una adeguata potenza istantanea e di una sufficiente forza isometrica, in
37
mancanza delle quali egli non può essere considerato abile. In questo ambito l’esercizio fisico
riveste un ruolo fondamentale non solo per mantenere ma anche per aumentare le capacità
funzionali dell’individuo e proteggerlo da eventuali processi morbosi.
Decadimento dei parametri fisici Con l’avanzare dell’età il decadimento organico è generale, cerchiamo qui di
analizzare come avviene per quei parametri per noi importantissimi come forza, potenza e
velocità.
Riduzione della forza
Grimby e Saltin ( 1983-1986 ) dimostrarono attraverso i loro studi che la forza
muscolare, sia statica che dinamica, diminuisce leggermente fino all’età di 45 aa ; da questo
periodo in poi il decremento è pari al 5 % per ogni decade così che, a 65 aa, la diminuzione
della forza risulta essere pari al 25 %.Gli autori osservarono che la principale causa del
decadimento muscolare nell’anziano era determinata da una riduzione della massa muscolare
di tipo quantitativo e non qualitativo.
Altri autori confermarono questa teoria valutando il numero di fibre del vasto laterale
in cadaveri. Dimostrarono che nell’arco della vita, dai 20 agli 80 aa, si ha una riduzione
dell’area muscolare del 40 %. La perdita di forza muscolare statica e dinamica si
verificherebbe più o meno con lo steso ritmo della diminuzione, dovuta all’età, della massa
muscolare magra, suggerendo una relazione tra indebolimento muscolare e diminuzione della
massa magra.
Riduzione della velocità
Nel 1990 Klitgaard e collaboratori hanno dimostrato una maggiore velocità di
movimento in anziani che praticavano un regolare allenamento di forza con pesi rispetto a
soggetti di pari età sedentari come pure rispetto ad anziani nuotatori e corridori. Tali autori
hanno messo in relazione questa riduzione della velocità alle differenze corrispondenti nella
distribuzione nei vari tipi di fibre e alla composizione delle catene pesanti della miosina. E’
stato osservato in un gruppo di anziani non praticanti esercizio fisico, nei nuotatori e nei
corridori, un più alto contenuto di miosina e tropomiosina lenta, rispetto a coloro che avevano
eseguito un allenamento di forza. Questa differenza è dovuta ad una maggiore area occupata
dalle fibre di Tipo I indotta dall’atrofia selettiva delle fibre di Tipo II. Un maggior contenuto
di miosina e tropomiosina lenta è stato trovato nel muscolo vasto laterale degli anziani
corridori ( corsa di resistenza ), mentre il gruppo di anziani allenati per la forza avevano una
composizione di miosina e tropomiosina identica a quella del gruppo di soggetti giovani.
Questo studio trasversale suggerisce che un regolare allenamento della forza, durante
l’invecchiamento, possa contribuire al mantenimento delle caratteristiche morfo-funzionali
delle fibre veloci del muscolo.
38
Riduzione della potenza
Skelton e collaboratori nel 1992 dimostrarono che nell’arco di tempo compreso tra i
65 e gli 84 aa, sia negli uomini che nelle donne, si assiste ad un decadimento della potenza di
circa 3,5 % per anno di età. In uno studio più recente condotto su una popolazione di donne
sane di età maggiore di 75 aa, gli stessi autori, hanno dimostrato che dopo 12 settimane di
allenamento si è verificato u incremento medio del 13 - 30 % della forza isometrica del
quadricipite, del bicipite femorale e della potenza degli arti inferiori. Modificazione che non si
è verificata nel gruppo di controllo non sottoposto ad allenamento.
Nel 1996 De Vito e collaboratori hanno evidenziato, in un gruppo di anziani di età
compresa tra i 59 ed i 74 aa, sottoposto ad un programma di allenamento non specifico, un
miglioramento sia della forza isometrica che della massima potenza istantanea ( W ) negli arti
inferiori rispetto al gruppo di controllo. Le misurazioni vennero effettuate utilizzando la
piattaforma di forza e gli esercizi descritti da Bosco. I dati ottenuti sono in accordo con quelli
riportati da altri autori.
Da ulteriori studi è emerso che il decremento della potenza, legato all’età, è più sensibile
rispetto alla forza. Il motivo di questo fenomeno sembra imputabile ad una riduzione del
numero delle fibre veloci. Tutti gli autori concordano che con l’avanzare dell’età si ha un più
lento decadimento della potenza nelle donne rispetto agli uomini.
Il decremento del picco di potenza è particolarmente evidente dopo i 50 aa ; questo
dato non sarebbe strettamente correlato alle variazioni di ATP o della sezione trasversa del
muscolo, ma piuttosto sembra derivare dalla alterazione di altre funzioni quali il reclutamento
massimo delle unità motorie e la degenerazione degli a-motoneuroni ( secondari alla perdita
di unità motorie selettiva per le fibre di Tipo II ).
Effetti dell’allenamento con pesi nella terza età
Considerazioni generali
Tutti gli studi concordano nell’attribuire all’attività fisica nelle persone anziane, un
ruolo fondamentale nel miglioramento nella qualità e nella quantità di vita.
Negli anni sono state analizzate le specialità più disparate ma solo relativamente di
recente è stato posto l’accento sull’allenamento sistematico con pesi nelle persone anziane
alla ricerca del connubio forza e salute.
In studi effettuati nell’arco di diversi anni, il dott. Dobrev rilevò notevoli e
miglioramenti dei principali parametri fisiologici anche in individui molto avanti con l’età che
praticavano questo tipo di attività fisica. Sono stati rilevati miglioramenti significativi dei
seguenti sistemi:
♦ locomotore, con miglioramento oltre che della forza e della potenza, anche della mobilità
articolare,
♦ cardiocircolatorio, con diminuzione della FC e della pressione (sia sistolica che diastolica),
♦ respiratorio con l’aumento della circonferenza toracica e della capacità vitale,
39
♦ nervoso probabilmente perché l’attività muscolare è uno stimolo a migliorare la
trasmissione sinaptica.
L’attività con i pesi offre vantaggi innegabili rispetto ad altre attività:
1. ci si allena in palestra quindi senza subire le
modificazioni climatiche,
2. il tipo stesso di allenamento con serie e ripetizioni
permette, durante le pause, di socializzare, fatto che deve
essere preso in grande considerazione quando si parla di
persone anziane,
3. l’aumento del tono e della forza muscolare può essere
specifico a seconda delle esigenze personali, soprattutto
estetiche il che contribuisce al miglioramento dell’aspetto
psicologico dell’anziano infondendo maggior sicurezza ed
autostima con effetti positivi sul carattere e sull’umore.
4. grande versatilità per una personalizzazione dell’allenamento in funzione delle possibilità
del soggetto.
E’ facilmente intuibile come il miglioramento del tono muscolare possa migliorare il
portamento di tutto il nostro sistema di sostegno (osteo-muscolo-articolare) ma non si deve
dimenticare come i visceri sono intimamente rapportati alle strutture di sostegno beneficiando
quindi anch’essi dei miglioramenti di queste strutture.
Effetti psicologici
Secondo Petrov e di seguito diversi altri autori, l’allenamento con i pesi può diventare
una vera e propria terapia favorendo la soluzione di problematiche psicologiche legate all’età
ed al decadimento fisico. La ridotta funzionalità cardiocircolatoria conseguente all’inattività
sembra essere una delle cause principali della progressiva atrofia ed indebolimento dei vari
organi ed apparati fino ad arrivare alla già citata malattia ipocinetica.
Versatilità e personalizzazione della metodica di allenamento con pesi
Riprendendo qui il quarto punto dell’elenco precedente vediamo come in questa
disciplina sono esattamente determinabili le variabili volume ed intensità di lavoro. E’ quindi
facile applicarle in modo estremamente personalizzato. La quantità di esercizi, la possibilità di
variare l’intensità, il volume e soprattutto i tempi di recupero ci mette in condizione di poter
40
stabilire in ogni momento e per qualunque individuo il lavoro ottimale per stimolare i processi
di adattamento, sempre presenti, anche se in forma ridotta, anche in età avanzata. Il dott.
Dobrev dell’Università di Sofia (Bulgaria) sosteneva già negli anni ’80 che in un futuro non
lontano potremmo avere dei centenari con parametri fisiologici dei sessantenni di allora. A
tutt’oggi (20 aa dopo) possiamo sicuramente affermare che molti ottantenni attuali hanno la
stessa vitalità dei sessantenni di vent’anni fa.
41
BIBLIOGRAFIA
♦ “Corpo movimento prestazione“; Istituto della enciclopedia italiana - CONI
♦ Autori vari, “Anatomia umana“, Edi-ermes
♦ Beraldo, Zanetti, “Sport e terza età: manuale di metodologia
dell’allenamento con i pesi di persone della terza età”, Centro studi FILPJK
♦ Bonsignore, “Appunti medico sportivi”, CONI - FIN
♦ Bosco, “Gli aspetti fisiologici della preparazione fisica del calciatore”,
Società Stampa Sportiva - Roma
♦ Bosco, “La valutazione della forza con il test di Bosco”, Società Stampa
Sportiva -Roma
♦ Caruso, Mancini, Puddu, “Patologia da sport“, Concepta
♦ Cecchetti, ardi, Bianchi, Iavazzo, Gaudino, Parisi, “Utilizzazione del test
da sforzo massimale nella concessione dell’idoneità agonistica ad atleti in età
medio avanzata”, Medicina dello sport, p.91-96, Edizioni Minerva Medica
♦ Cerretelli, “Fisiologia del lavoro e dello sport“, Società editrice Universo
♦ D’Andrea, “Il sollevamento dalla sedia come test di valutazione della
potenza muscolare nell’anziano”, Tesi di specializzazione
♦ Ferretti, “Traumatologia dello sport“, Casa editrice scientifica internazionale
♦ Goglia, “Anatomia e fisiologia“, Piccin
♦ Grieve, Tyldesley, “Muscoli, nervi e movimento - Kinesiologia applicata”,
Raffaello Cortina Editore
♦ Heipertz, “Medicina sportiva, per medici, allenatori e sportivi”, Edizioni
Mediteranee
42
♦ Manno, “L’allenamento della forza”, Società Stampa Sportiva - Roma
♦ Merni, icolini, “preparazione fisica di base”, CONI - Scuola dello sport
♦ Michelini, “Handicap e sport: Medicina sportiva per disabili”, Società
Editrice Universo
♦ Monesi, “Istologia“, Piccin
♦ Morehouse, Miller, “fisiologia dell’esercizio”, Il pensiero scientifico editore
♦ Palleschi, “Geriatria”, Società Editrice Universo
♦ Puddu, Cerullo, “La patologia del legamento crociato anteriore: diagnosi e
trattamento“, Il pensiero scientifico editore
♦ Schmidt, Thews, “Fisiologia umana“, Idelson
43
atural Body Building Federation
Corso di III° livello (Personal Trainer)
L’APPARATO
OSTEO-ARTICOLARE
A Cura del Dott. Franck Guillon-Xenard
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GEERALITA’ SULLE ARTICOLAZIOI
Le articolazioni sono dispositivi giunzionali che riuniscono le ossa in quel complesso
architettonico che è lo scheletro.
Distinguiamo essenzialmente due tipi di articolazioni: le diartrosi, caratterizzate dal
fatto che il contatto tra le cartilagini è mantenuta da complessi legamentosi avvolgenti a
manicotto le estremità ossee; e le sinartosi dove troviamo interposizioni di tessuti connettivi
che riempiono lo spazio tra le estremità articolari.
• Sinartrosi1
Articolazioni
• Diartrosi2
• Suture: tra ossa piatte e tessuto connettivo
denso (ossa del cranio)
• Sincondrosi: tessuto cartilagineo ialino Sinartrosi (articolazione sterno-I costa)
• Sinfisi : tessuto fibrocartilagineo interposto a
capi articolari rivestiti di cartilagine ialina. ( Articolazione corpi vertebrali, ossa del pube)
Diartrosi: in questo tipo di articolazioni devono essere presi in considerazione diversi
elementi: capi articolari, superfici articolari, capsula articolare, strati fibroso e sinoviale ,
legamenti di rinforzo, cercini articolari, menischi, sinovia.
1 Sono articolazioni immobili o semi mobili.
2 Sono articolazioni mobili
45
• Artodie: superfici articolari piane, scivolano
sul piano poiché vincolate dai mezzi di unione
pertanto non possono effettuare movimenti
angolari.
• Enartrosi: superfici sferiche contrapposte
(cava e piena) che ruotano reciprocamente e
quindi compiono movimenti angolari su tutti i
piani
Diartrosi
• Condiloartrosi: superfici contrapposte
concava e convessa (condilo), i movimenti
angolari sono limitati ai piani ortogonali
corrispondenti ai due assi principali.
• Articolazioni a sella : le superfici articolari
sono concave e convesse, le superfici
articolari si incastrano reciprocamente ed i
movimenti sono biassiali con un certo grado
di rotazione assiale.
• Ginglimi: presentano un segmento cavo ed
uno concavo, il movimento è rotatorio sul
proprio asse. Ne esistono di due tipi: laterale
ed angolare.
46
1. Artrodia
(faccette
articolari
vertebrali)
2. Enartrosi (art.
coxo-femorale)
3. Condiloartrosi
(art. temporo-
mandibolare)
4. Articolazione a
sella (art. carpo-
I metacarpo)
5. Ginglimo
laterale (art.
radio-
ulnare)(gomito)
6. Ginglimo
angolare (art.
trocleare)
7. (gomito)
48
Superfici articolari
Solitamente le superfici articolari concordano e combaciano per tutta la loro
estensione; qualora si presentino invece disarmoniche e le superfici articolari non entrano in
contatto in tutti i loro punti entrano a far parte dell’articolazione delle formazioni cartilaginee:
i menischi che si presentano quindi come degli spessori interposti tra le superfici articolari.
Tali strutture permettono lo scarico gravitazionale reciproco tra le due componenti articolari a
favore di una minore usura delle superfici articolari.
Alla forma delle superfici articolari è legata la direzione dei movimenti che è indicata
dall’asse attorno al quale hanno luogo. L’asse del movimento coincide con uno degli assi
fondamentali del corpo.
• Asse trasversale • Flessione
• Estensione
• Asse sagittale
(anteroposteriore)
• Arti superiori • Adduzione
• Abduzione
• testa e tronco • Inclinazioni laterali
Assi fondamentali del corpo
• Asse verticale • Torsione ( Rachide )
• Rotazione ( Arti ) • Intrarotazione
• Extrarotazione
↓
• Mano, Avambraccio • Pronazione
• Supinazione
49
Traumi articolari • Contusioni : Effetto del trauma diretto contro il corpo che produce sofferenza della pelle e
dei tessuti sottostanti. Il trauma determina una rottura dei capillari ed un infiltrato
emorragico seguito da edema e reazione infiammatoria. Il risultato è una tumefazione
locale dolorosa a causa dell’irritazione delle terminazioni nervose sensitive. Distinguiamo contusioni superficiali (che interessano solamente cute e sottocutaneo) e
contusioni profonde (interessamento del piano muscolare e, talvolta, del periosto).
• Distorsioni : Trauma che sollecita l’articolazione al di là dei gradi fisiologici di
movimento.
I grado: Legamento allungato oltre la sua normale riserva di elasticità.
II grado: Rottura di più fibre e strati della compagine legamentosa, la
continuità del
legamento è integra ma la capacità meccani ca è ridotta.
III grado: Legamento rotto e continuità delle fibre interrotta a tutto spessore.
• Lussazioni : Perdita totale e permanente dei rapporti tra due capi articolari. Solitamente
conseguenti a traumi distorsivi violenti, a seguito dei quali oltre alla distorsione il trauma
prosegue fino a far uscire uno dei due capi ossei della lesione capsulo-legamentosa dalla
capsula articolare stessa. Eccezione è fatta per i soggetti con iperelasticità legamentosa costituzionale nei quali una
lussazione può verificarsi a seguito di traumi non particolarmente violenti.
• Fratture : Qualunque perdita della continuità di un osso. Si verificano solitamente in
conseguenza a traumi diretti o indiretti di particolare violenza Possiamo classificare le fratture in diversi modi:
Complete: Soluzione di continuo di tutto il segmento osseo.
Incomplete: o infrazioni, quando interessato è solo una parte del segmento.
Composte: Se i monconi ossei rimangono perfettamente allineati.
Scomposte: Se i monconi ossei si spostano reciprocamente.
Chiuse: Se non vi è una soluzione di continuo della cute.
Esposte: Quando il focolaio di frattura è a contatto con l’ambiente esterno.
50
• Sindromi compartimentali : Sindromi dolorose legate ad uno squilibrio tra masse
muscolari ipertrofizzate dall’ allenamento. La mancata estensibilità delle fasce muscolari
di contenzione in particolari circostanze, può portare ad una costrizione dei muscoli
limitando il flusso ematico proprio nel momento di massima necessità di apporto di
ossigeno.
GIOCCHIO
Le componenti articolari del ginocchio sono: • Porzione distale del femore • Porzione prossimale della tibia • Rotula o patella
Articolazione del ginocchio
• Il femore partecipa all’articolazione del ginocchio con la superficie patellare
anteriore (a forma di troclea) e con le superfici articolari dei condili. I due versanti
della troclea posteriormente divergono e dalla gola fa seguito una incisura
intercondiloidea.
• La tibia partecipa all’articolazione con l’estremità superiore e oppone ai condili femorali
le due cavità glenoidee presenti sui condili tibiali interno ed esterno. Le due cavità
glenoidee sono separate dall’eminenza intercondiloidea.
• La rotula, o patella, partecipa all’articolazione del ginocchio con la sua faccia
posteriore che corrisponde alla troclea femorale.
51
L’armonia tra le superfici articolari femorali e tibiali è stabilita dall’interposizione dei
due menischi : mediale e laterale. Il menisco laterale forma un anello pressoché completo
mentre, quello mediale è interrotto sul lato interno a formare una C. Le estremità dei menischi
(o corna) si fissano sulla porzione intercondiloidea della tibia (Fig. 1)
Nonostante le superfici articolari sembrino consentire un’estesa libertà di movimento
essi sono nella realtà limitati alla flesso estensione dalla presenza dell’apparato legamentoso.
I mezzi di unione del ginocchio sono rappresentati infatti dalla capsula articolare e dai
legamenti di rinforzo.
I legamenti crociati sono intracapsulari e si trovano tra i condili femorali.
Legamento anteriore (o legamento rotuleo o patellare) è il tratto sotto patellare del
tendine quadricipitale.
Legamento posteriore è formato dai gusci dei condili e dal legamento mediano, questo
occupa lo spazio intercondiloideo dalla superficie posteriore dell’eminenza intercondiloidea
alla faccia laterale del condilo mediale femorale.
Compartimento interno è composto dalle seguenti strutture:
♦ legamento collaterale superficiale
♦ legamento posteriore obliquo
52
♦ legamento collaterale profondo (costituito dai legamenti menisco-femorale e
menisco-tibiale.
Compartimento esterno è composto da:
♦ legamento capsulare antero-esterno
♦ legamento collaterale esterno
♦ tendine del muscolo popliteo
♦ legamento popliteo obliquo
♦ legamento arcuato.
I movimenti di intrarotazione sono limitati dai legamenti crociati, i movimenti di
extrarotazione sono invece limitati dai collaterali e dai menischi.
Sono possibili dei leggeri movimenti di rotazione e di inclinazione laterali della gamba.
Inoltre si noti che nei movimenti idi flesso-estensione l’asse di rotazione non è
costante ma muta secondo le posizioni ed è obliquo rispetto al piano frontale; quindi la
flessione è sempre accompagnata da una rotazione interna.
55
Traumi e lesioni del ginocchio
Lesioni legamentose
Iperestensione: trauma raro, può verificarsi negli sport di contrasto nel caso di
sollecitazioni in estensione che vincano la resistenza delle strutture deputate alla stabilità del
ginocchio.
Si può verificare una rottura del LCP alla quale può essere associata una lesione della capsula
posteriore.
In altri casi invece può essere interessato il LCA che subisce un meccanismo a
ghigliottina nella gola femorale , tale lesione può essere associata ad una rottura della capsula
articolare.
Iperflessione : Spesso associata a torsione comporta frequentemente la lesione del
corno posteriore del menisco mediale.
Qualora il soggetto per evitare la caduta contragga il quadricipite si può verificare una rottura
del LCA.
Traumi diretti in direzione antero-posteriore : Evenienza caratteristica di traumi
diretti, quali quelli provocati da incidenti stradali, che porta alla lesione del LCP. Nello sport
si possono riscontrare lesioni legamentose provocate da questo tipo di traumi nei praticanti di
sport particolarmente violenti quali il football americano o negli sport motoristici.
Se a questi traumi è associata una componente rotatoria si possono riscontrare, oltre
alla lesione del LCP, anche un danno nel complesso postero-laterale che impedisce non solo
un’attività atletica ma anche la normale vita di relazione del paziente.
Per le lesioni del ginocchio possiamo stilare una classificazione relativa allo spazio
temporale intercorso dal momento del trauma al momento della considerazione del danno
provocato dal trauma stesso. Distinguiamo quindi lesioni :
a) Acute : Entro due settimane dall’evento traumatico
b) Subacute : Dopo la fase acuta m prima della ripresa dello sport o de4ll’attività del
soggetto e comunque entro 3 mesi dal trauma.
c) Croniche : Dopo il trauma il soggetto ha ripreso o tentato di riprendere le sue normali
attività.
57
Lesioni meniscali
I meccanismi traumatici più frequenti responsabili di lesioni meniscali sono i traumi
distorsivi, l’estensione del ginocchio dalla posizione accovacciata ed i calci a vuoto.
Distinguiamo le lesioni meniscali in:
♦ Longitudinali :Paralleli all’asse maggiore dei menischi
♦ Radiali :Perpendicolari al medesimo asse
♦ Orizzontali : Paralleli al piano dei piatti tibiali
Possiamo distinguere le lesioni meniscali anche secondo il rapporto intercorso tra la dinamica
del trauma e la conseguente lesione
:
♦ Pure : Trauma diretto che provoca la lesione meniscale
58
♦ Combinate traumatiche : Qualora la lesione meniscale sia correlata alla rottura del LCA
♦ Degenerative : Dovute alla diminuzione della resistenza cartilaginea
61
Lesioni particolari
Una lesione singolare è la sindrome di Osgood-Schlatter la quale consiste in una
tendinite calcifica dell’inserzione del tendine rotuleo che si manifesta in atleti adolescenti ove
l’allenamento fosse troppo intenso. La lesione è dovuta ad una sproporzione fra la crescita
muscolare (retto femorale) e la crescita tendinea.
Questa sindrome è stata studiata per la prima volta nella ex Republica democratica
tedesca (DDR) quando giovani ragazze venivano sottoposte a carichi di lavoro molto elevati
soprattutto in ginnastica e tennis.
Particolare nota merita il menisco discoide, una malformazione meniscale che può
risultare asintomatica ed essere reperto occasionale di un esame artroscopico o diagnostico
eseguito per altri scopi, oppure provocare blocchi o scatti dolorosi articolari in adolescenti che
iniziano un’attività sportiva con una certa continuità.
62
SPALLA
Le componenti articolari della spalla sono :
• Scapola • Clavicola • Testa omerale
Scapola
Osso piatto, sottile, di forma triangolare. Vi si descrivono due facce una anteriore
dove presenta una leggera concavità (fossa sottoscapolare), ed una posteriore ove troviamo
un’eminenza trasversale (spina della scapola). La spina della scapola si innalza procedendo
verso l’esterno per continuarsi in un robusto processo, l’acromion, sul margine del quale si
trova una faccetta articolare di forma ovale che si mette in giunzione con la clavicola.
Il margine vertebrale della scapola dà attacco ai muscoli provenienti dal torace e dalla
colonna vertebrale mentre, il margine ascellare, presenta una tuberosità denominata
infraglenoidea dove ha origine il tricipite brachiale.
Nel margine superiore scapolare troviamo l’incisura della scapola che con un
legamento forma il foro di passaggio del plesso brachiale; all’esterno dell’incisura troviamo il
processo coroideo all’apice del quale si fissano il muscolo coracobrachiale, il capo breve del
bicipite brachiale ed il piccolo pettorale.
Lateralmente, nel margine ascellare, la scapola presenta la cavità glenoidea dove si
articola l’omero.
In corrispondenza del polo superiore della cavità glenoidea si trova la tuberosità
sovraglenoidea dove ha origine il capo lungo del bicipite brachiale.
Clavicola
Osso allungato a forma di S che si estende dal manubrio sternale all’acromion della
scapola.
Nonostante la forma la clavicola non si può considerare un osso lungo poiché la
conformazione interna e modalità di formazione sono proprie delle ossa piatte.
La clavicola è formata da un corpo e da due estremità: quella sternale (mediale) e
quella acromiale (laterale). Il corpo presenta una doppia curva una concava (mediale) ed
una convessa (laterale).
La faccia superiore del corpo dà attacco ai muscoli trapezio e deltoide mentre
medialmente dà origine al capo clavicolare del muscolo sternocleidomastoideo.
63
La faccia inferiore presenta la tuberosità coracoidea dove si impianta il legamento
coracoclavicolare; alla tuberosità coracoidea fa seguito il solco del muscolo succlavio,
medialmente al quale troviamo la tuberosità costale .
Il margine anteriore dà origine ai fasci del muscolo gran pettorale e all’attaccatura del
deltoide.
Il margine posteriore dà origine al muscolo trapezio.
L’estremità acromiale presenta la faccetta articolare acromiale che si articola con la
faccetta acromiale della scapola.
L’estremità sternale termina con una faccetta articolare sternale che mette in giunzione
la clavicola con lo sterno; questa estremità dà origine ai fasci del muscolo sternoideo.
Omero
Osso lungo che si articola con la scapola prossimalmente e con radio ed ulna
distalmente.
E’ formato da un corpo e da due estremità.
Il corpo dell’omero presenta 3 facce:
• Anterolaterale sulla quale si inserisce il muscolo deltoideo .
• Anteromediale sulla quale troviamo l’inserzione del muscolo coracobrachiale
• Posteriore dove originano i capi mediale e laterale del tricipite.
Il margine mediale termina con l’epitroclea, il laterale, interrotto dal solco del nervo
radiale, termina con l’epicondilo.
Il margine anteriore si biforca delimitando la fossa coronoidea.
L’estremità posteriore dell’omero fa seguito al corpo omerale in corrispondenza del
collo chirurgico. Presenta un’ampia superficie articolare, la testa dell’omero rivestita di
cartilagine. La testa dell’omero presenta un restringimento, il collo anatomico, nei pressi del
quale troviamo la piccola e la grande tuberosità.
La grande tuberosità presenta tre faccette:
• Superiore: che dà attacco al muscolo sovraspinato
• Media: che da attacco al muscolo infraspinato
• Inferiore: che da origine al muscolo piccolo rotondo
La piccola tuberosità invece dà attacco al muscolo sottoscapolare.
Dallle due tuberosità si distaccano due creste dette della piccola e della grande
tuberosità. Tra le due tuberosità e le due creste corrispondenti troviamo il solco bicipitale
dell’omero ove passa il tendine del capo lungo del bicipite e dove si inseriscono i muscoli
gran pettorale, gran dorsale e gran rotondo .
64
L’estremità dfistale dell’omero è slargata e alle sue estremità troviamo l’epicondilo
(lateralmente) e l’epitroclea (medialmente) . Sull’epitroclea si trova il solco per il nervo
ulnare.
Tra l’epicondilo e l’epitroclea si trovano le superfici articolari per le ossa
dell’avambraccio e precisamente la troclea per l’ulna ed il condilo per il radio.
Sulla faccia anteriore dell’estremità distale si trova la fossa coronoidea nella quale,
durante la flessione dell’avambraccio sul braccio, si pone il processo coronoideo dell’ulna.
Sulla faccia posteriore si trova la fossa olecranica che accoglie appunto l’olecrano
dell’ulna durante il movimento di estensione dell’avambraccio.
La fossetta radiale si trova anteriormente sopra il condilo ed è l’alloggiamento del
capitello radiale nella flessione dell’avembraccio.
Articolazione
La stabilità dell’articolazione scapolo omerale, la più mobile del corpo umano, è
affidata più alle parti molli che alle strutture scheletriche.
Il fatto che la cavità glenoidea sia poco profonda e che la testa omerale, di
conseguenza, vi alloggi per circa un terzo comporta una minima stabilità intrinseca
(geometrica) dell’articolazione stessa. Intervengono quindi come elementi fondamentali per la
stabilità dell’articolazione quelli che vengono denominati elementi stabilizzatori della spalla.
• Cercine glenoideo: inserito sul contorno della cavità glenoidea è di struttura fibro-
cartilaginea ed ha come funzione principale quella di rendere più congruenti le superfici
articolari, ciò comporta un incastro meccanico più valido e quindi una maggiore stabilità .
• Capsula articolare: rinforzata anteriormente da tre legamenti gleno omerali (superiore,
medio ed inferiore) e dal tendine del muscolo sottoscapolare che finisce per fondersi alla
capsula stessa così da rivestire il ruolo sia dello stabilizzatore passivo, per il rinforzo della
capsula, che di stabilizzatore attivo, in quanto collegato al muscolo omonimo la cui
contrazione aumenta la resistenza e diminuisce la possibilità di dislocazione della testa
omerale.
• Stabilizzatori dinamici: Cuffia dei rotatori e capo lungo del bicipite che tendono a
compattare la testa omerale nella cavità glenoidea durante i movimenti trasmessi
all’omero da potenti gruppi muscolari più periferici la cui azione, se non adeguatamente
bilanciata, tenderebbe a creare pericolose sollecitazioni sublussanti.
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A braccio addotto la stabilità della spalla è affidata prevalentemente al deltoide, al
sovraspinoso ed al legamento gleno omerale; nei movimenti di abduzione invece prevalgono
il legamento gleno omerale medio e sottoscapolare.
Nell’abduzione uguale o maggiore ai 90 gradi la stabilità è affidata essenzialmente al
legamento gleno omerale inferiore.
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Lussazione
E’ la più frequente tra le lussazioni che si verificano nell’apparato locomotore.
Distinguiamo lussazioni:
• Acute: riconosciute e trattate entro 24 ore dal trauma
• Inveterate: diagnosticate dopo più di 24 ore dall’evento traumatico
Inoltre possiamo distinguerle come lussazioni:
• Recidivanti: episodi di lussazioni verificatisi a distanza di tempo ma sempre conseguenti
ad un episodio traumatico
• Abituali: quando il ripetersi della lussazione si verifica per episodi traumatici lievi o
persino per movimenti banali.
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Con il termine di Instabilità di spalla si intende invece una situazione nella quale la
testa dell’omero presenta un lieve aumento della motilità rispetto alla glena, questo fenomeno
può dipendere da fattori costituzionali o a conseguenze traumatiche. Non va dimenticato
tuttavia che esistono situazioni nelle quali tale condizione è da imputarsi a dei micro traumi
ripetuti che portano alla progressiva distensione delle strutture capsulo-articolari; è il caso per
esempio dei giocatori di baseball o dei lanciatori in genere impegnati quindi in attività fisiche
che impegnano l’articolazione a sollecitazioni massimali in abduzione, rotazione esterna ed
estensione .
Un soggetto che presenti un’instabilità di spalla anche se non va incontro a lussazione
può comunque presentare fenomeni dolorosi, blocchi articolari o episodi di cedimento del
braccio che possono essere identificati come sublussazioni istantanee.
Le lussazioni possono essere:
• Traumatiche conseguenti quindi ad un episodio traumatico.
• Atraumatiche dovute a fattori costituzionali.
Possiamo distinguere le lussazioni secondo la dislocazione della testa omerale in:
• Anteriori sono le più frequenti.
• Posteriori.
• Multidirezionali, la testa dell’omero in questi casi può dislocarsi anteriormente,
posteriormente o inferiormente.
Il meccanismo traumatico della lussazione è solitamente rappresentato da un trauma
indiretto trasmesso dalla mano messa in atteggiamento di difesa del corpo. Solitamente la
lussazione anteriore si ha quando la sollecitazione della spalla avviene in abduzione,
estensione e rotazione esterna. La lussazione posteriore si ha invece quando la sollecitazione
avviene in adduzione, flessione e rotazione interna.
68
BIBLIOGRAFIA ♦ Anatomia e fiosiologia, Goglia; Piccin
♦ Anatomia umana, autori vari; edi-ermes
♦ Corpo movimento prestazione; Istituto della enciclopedia itraliana - CONI
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♦ Istologia, Monesi; Piccin
♦ La patologia del legamento crociato anteriore: diagnosi e trattamento, Puddu,
Cerullo; Il pensiero scientifico editore
♦ Patologia da sport, Caruso, Mancini, Puddu; Concepta
♦ Traumatologia dello sport, Ferretti; Casa editrice scientifica internazionale
69
atural Body Building Federation
Corso di III° livello (Personal Trainer)
LA VIBRAZIOE
Intervista di Claudio Tozzi al Prof. Carmelo Bosco* *(n memoria al grande Maestro)
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70
LA VIBRAZIOE
Intervista di Claudio Tozzi al Prof. Carmelo Bosco
Prof. Bosco, può spiegare esattamente in che cosa consiste questa “vibrazione”?
Quando noi allniamo i muscoli mandiamo una domanda al sistema nervoso centrale, che
viene completamente riorganizzata dai nostri propriocettori sia come risposte sia come
variazioni. Ora se noi subiamo una perturbazione esterna abbiamo i nostri propriocettori che
si informano, e cercano di “aggiustrarci”.
Ma aggiustarsi come? Proprio aumentando la forza. Se io stò per cadere il
propriocettore mi informa e aumento la forza istantaneamente delle gambe , o sbaglio? Quindi
se io induco un soggetto a vibrazione non farò altro che produrre delle condizioni di
perturbazione per cui l’organismo reagisce con un potenziamento. In pratica si può
migliorare la propria potenza, resistenza, velocità facendo esercizi su una pedana che vibra a
frequenze predeterminate.
Ma anche curare gli anziani, infortunati, dai postumi di fratture e dall'avanzare
dell'osteoporosi, senza dover ricorrere a lunghe rieducazioni.
La vibrazione della lunghezza d'onda adatta stimola i "pressorecettori", strutture
ancestrali nel fisico umano, non usate solitamente dall'uomo, eredità di una antica natura
acquatica della nostra specie (tant’è che sono tuttora osservabili nei pesci, dove hanno una
funzione fondamentale); strutture capaci di registrare le variazioni di pressione ambientale e
produrre una reazione di adattamento ad esse.
La pedana quindi vibra e sollecita una risposta elevatissima dei pressorecettori,
che moltiplica l'effetto allenante dell'esercizio e dello stimolo elettrico muscolare.
Quindi una iper-supercompensazione?
No, una iper-superstimolazione! Non solo il trattamento della vibrazione non deve
essere molto lungo, perché potrebbe portare ad un forte affaticamento.
Si potrebbe dire (casualmente..) breve e intenso?
Il concetto è esattamente identico a quello dell’allenamento. Se è lungo e pesante,
sono stressato e devo recuperare tre giorni, questo lo sanno tutti i sollevatori di pesi (ma non i
bodybuilder, mi sembra di capire…n.d.r.) , se invece è un allenamento normale dopo un certo
periodo di riposo posso riprendere l’attività.
Può darci qualche altro dettaglio?
71
Il sistema muscolo-scheletrico per poter svolgere e realizzare le varie
richieste funzionali, cambia continuamente struttura e metabolismo, rispondendo all’uso con
modificazioni sia nella forma, sia nella forza. preposta alla locomozione umana. I due sistemi
sono strutturati per poter sostenere lo stesso livello di tensione a cui viene sottoposta la
73
struttura ossea. Un “sovraccarico” costante che assicura uno stimolo biologico attraverso
fattori strutturali e metabolici, mantenendo i tessuti, sia delle ossa, sia dei muscoli, dentro un
limite di sicurezza funzionale.
Un periodo di riposo prolungato a letto o di immobilizzazione causata da infortuni può
indebolire le sue strutture tanto da limitarne le funzioni. Qualche malattia comune, come
osteoporosi o le miositi, riduce la qualità e la quantità delle strutture ossee e muscolari con la
relativa degenerazione che si manifesta con sintomi clinici. Quando i carichi giornalieri da
sostenere sono drasticamente ridotti, ne scaturisce una rimarchevole atrofia muscolare la cui
semi - vita dura circa 8-10 giorni, con un degrado selettivo della struttura proteica che forma
la componente contrattile del muscolo, specialmente a carico delle fibre lente.
Questa è la causa principale che favorisce la disfunzione e la diminuzione della forza
sia delle ossa, sia di muscoli con il sopraggiungere della vecchiaia.
Gli esercizi di piccola durata ma di altissima intensità producono effetti positivi sulle strutture osseo-muscolari e articolari; tanto che sia la massa sia la forza sono
mantenute ad un livello elevato in risposta a questi sforzi ciclici. Ma normalmente l’uomo è
sedentario, specie se avanti con gli anni. E, spesso, la sua attività fisica, si riduce alla semplice
locomozione per le normali funzioni quotidiane.
La locomozione umana che si realizza giornalmente rappresenta lo stimolo meccanico
minimo che assicura il tono muscolare di base. Ecco perché è consigliato ai vecchi di
camminare molto. Questo stimolo, che generalmente viene richiesto per vincere la forza di
gravità, è appena sufficiente per proteggere le ossa dalle fratture. Infatti, durante la
locomozione, al momento dell’impatto al suolo, un treno di onde d’urto viene generato e
trasmesso lungo tutto il corpo.
Queste vibrazioni vengono trasmesse attraverso il piede, la gamba, la colonna
vertebrale e il collo. Tutto ciò rappresenta un forte stimolo per la formazione delle ossa
durante la vita dell’uomo.
Sfortunatamente la moderna concezione della vita limita fortemente l’attività di
movimento, con un forte incremento dell’ipocinesia e quindi ciò si risolve in un effetto
negativo sul sistema muscolo-scheletrico. Per compensare la mancanza di movimento sono
stati
pianificati diversi progetti per stimolare ed indurre la popolazione ad aumentare l’attività
fisica, purtroppo per mancanza di attrezzature e per uno stile di vita errato tutto ciò non
avviene. Questo nuovo metodo di allenamento che utilizza come fattore di stimolo gli effetti
indotti dalla vibrazione meccanica ha dimostrato che rappresenta un forte stimolo per l’intero
organismo e specialmente per il sistema neuro-muscolare e scheletrico.
A quali atleti è stata applicata la vibrazione?
E' stato sperimentato dagli astronauti della NASA, dall'agenzia spaziale russa, dalla
squadra di football Usa dei Chicago Bulls, alcune squadre di pallavolo, da dalla nazionale di
sci e di pugilato, e anche del calcio maggiore, fra le quali la Roma sotto la guida del
preparatore atletico Pincolini.
74
Ma è applicabile solo a quel tipo di atleti o anche ai bodybuilder?
Sì, può essere utilizzato anche ai bodybuilder perché stimola l’ormone della crescita e
sappiamo anche il perché.
Dopo questa intervista il professore mi ha chiesto se potevamo iniziare una collaborazione
atta a sperimentare la vibrazione ed altre cose sui natural bodybuilder.
Naturalmente ho risposto dì, sperando che il professor Bosco possa trovare il tempo
per questo. Se infatti date un occhiata al suo curriculum, capirete che potrebbe non essere
facile! Se questa collaborazione sarà possibile, potremo vedere fino a che punto questa
vibrazione potrà essere efficace nei nostri allenamenti di forza mirati al bodybuilding. Nel
frattempo posso dire che l’idea è decisamente innovativa ed interessante.
Per avere un quadro più chiaro della situazione riporto anche alcuni studi per esteso
che riguardano la vibrazione, presentati proprio al congresso.
L’EFFETTO COMPLESSIVO DEL TRATTAMETO ACUTO DELLA VIBRAZIOE CORPOREA SULLA POTEZA MECCAICA, L’ELETTROMIOGRAFIA E IL PROFILO ORMOALE I ATLETI MASCHI.
C. Bosco, M. Iacovelli, O. Tsarpela, M. Cardinale, R. Manno, J. Tihanyi, A. Viru.
Università di Roma “Tor Vergata” e fondazione Don Gnocchi, Centro studi e ricerche FIDAL
e università “La Sapienza” di Roma; Dipartimento di biomeccanica, Università ungherese di
educazione fisica, Budapest, Ungheria; Istituto di biologia dell’esercizio, Università di Tartu,
Estonia.
E’ stato dimostrato che un unico intenso allenamento di resistenza può indurre un drammatico
cambiamento di entrambi i sistemi neuro-muscolari e endocrini in atleti allenati.
Tuttavia alcuni autori hanno dimostrato che i pesanti allenamenti di forza,
incrementano il testosterone sierico (T) (e.g. Weiss e altri, 1983), mentre altri studi hanno
dimostrato che la perdita di forza relativa e ormonale decresce durante una sessione di
esercizio acuto (e.g. Hakkinen and Pakarinen, 1995; Bosco e altri, 1999a).
Chi è Carmelo Bosco: Nato a Militello val di Catania il 4 luglio 1943, è diplomato all’ISEF, è laureato in scienze
naturali e in biologia in Finlandia. Autore di 150 ricerche e di 7 libri è attualmente docente di fisiologia dello sport
alle università Ungheresi, Finlandesi e Italiane (Tor Vergata – Roma). Ha condotto molte ricerche anche sulla
creatina nei calciatori e studi sui bodybuilder.
75
In questa relazione è stato dimostrato che sette minuti di trattamento di vibrazione
corporea completa abbassa i livelli sierici di testosterone e di cortisolo ( C ) (Bosco e altri,
1999b). così come il negativo effetto nelle performance neuromuscolari.
Si speculò che le risposte indotte dai sette minuti di trattamento di vibrazione corporea
nel comportamento neuromuscolare, era simile a quelli trovati dopo una singola sessione di
un pesante allenamento di resistenza. Infatti sia la sessione di allenamento di forza o sette
turni di trattamento con vibrazione induce una forte pertubazione del profilo ormonale e del
comportamento meccanico dei muscoli delle gambe.
La conclusione era che sette turni di trattamento di vibrazione era troppo stressante per
il sistema biologico. Così lo scopo della presente investigazione era di verificare che il
trattamento della vibrazione inducesse in assoluto il decremento del profilo ormonale o se
quelle risposte potevano essere cambiate a seconda il tipo di vibrazione somministrata.
A questo scopo sono stati studiati quattordici soggetti maschi, età 25,1 +-4,6 anni
(media +-SD). I soggetti erano sottoposti al trattamento completo di vibrazione corporea
verticale sinusoidale (WBV), 10 volte per 60 secondi alternati a 60 secondi di pausa tra le
serie di vibrazione (dopo 5 serie di vibrazioni, la pausa era di 6 minuti). Prima e
immediamente dopo il WBV veniva esaminato un campione di sangue venoso per il dosaggio
degli ormoni.
Prima e immediatamente dopo il WBV i soggetti effettuarono anche prove di salti (CMJ) e di
massimali dinamici alla pressa per le gambe con sellino a carrello mobile con un peso
aggiuntivo del 160% della massa corporea del soggetto (5 prove con un minuti di pausa).
La media della velocità, accellerazione, la forza media e la potenza era calcolata
usando un dinamometro dinamico chiamato Muscle-lab Bosco System ®, (per dettagli vedere
Bosco e altri, 1999c).
L’elettromiografie dei muscoli vasti laterali e dei retti femorali erano registrati
durante le misurazioni della pressa per le gambe. Il risultati del WBV dimostrarono un
significativo incremento dei livelli ematici di testosterone del 7% (P 0.03) e del 460%
dell’ormone della crescita (P 0.014), mentre i livelli di cortisolo diminuirono del 32%
(P 0.03). La performance nei salti, dopo il trattamento WBV, anche fu migliorata solo del
4%, ebbe una significatività statitistica molto alta (P 0.01). La potenza meccanica di uscita
nei muscoli estensori delle gambe incrementarono, dopo WBC, del 7% (P 0.003), mentre
l’attività elettrica dei muscoli era ridotta del 10% (P 0.008).
Il rapporto elettromiografia e la potenza diminuì dopo il trattamento WBC (P 0.001)
dimostrò un incremento dell’efficienza neuromuscolare. In conclusione l’effetto acuto del
trattamento della vibrazione stimola un incremento dei livelli di testosterone e dell’ormone
della crescita che era parallelo intensificazione del comportamento neuromuscolare, causati
dalla stimolazione delle reazioni dei propriocettori sull’attivazione del sistema nervoso.
I risultati presentati indicarono che secondo la lunghezza del trattamento di WBV, le
risposte biologiche sono differenti, che se questo periodo di applicazione è troppo lungo,
entrambi i profili neuromuscolari e ormonali diminuiscono, mentre un appropiato periodo di
trattamento di WBV, le risposte biologiche possono dare grandi benefici ai comportamenti
muscolari e ai profili ormonali.
Effetti della vibrazione sul sistema biologico
Studi di base sugli effetti della vibrazione a livello Biologico.Incrementando la
frequenza della vibrazione, da 5 Hz a 30 Hz, venne dimostrato un aumento della
76
concentrazione plasmatica di cortisone nel cervello del ratto, nello stesso tempo venne
osservato con l’aumentare dell’accelerazione una correlazione positiva tra il 5-HT ed il
cortisone (r=93, P meno di 0.01) (Ariizumi e Okada, 1983).
Alcuni autori hanno suggerito che le vibrazioni inducono un forte potenziamento
dell’attivazione di nervi motori attraverso il riflesso miotatico (riflesso di stiramento) (Lebedev
e Poliakov). E’ stato dimostrato che nell’uomo le vibrazioni attivano connessioni
monosinaptiche e polisinaptiche.
Queste ultime sono preposte a generare contrazioni riflesse, mentre le prime influenzano
solamente i pattern temporali dei treni d’impulso delle vie nervose motorie (Burke e Schiller,
1976).
Studi sulle vibrazioni applicate in campo sportivo.
E’ stato dimostrato che trattamenti con vibrazioni incrementarono il volume
respiratorio ed il volume/minuto ventilatorio. Queste risposte, con molta probabilità, sono da
attribuirsi a riflessi vibratori segmentali risalenti a muscoli inspiratori ed espiratori (Homma e
coll.1981). Un miglioramento meccanico dei muscoli estensori delle gambe (potenza
meccanica sviluppata
durante esercitazioni alla pressa con carichi di 70-140 kg.) è stato notato in alcune pallavoliste
di livello nazionale dopo la somministrazione acuta di soli 10 minuti di vibrazioni. Questi
trattamenti vibratori furono somministrati in due set di cinque minuti in cui, ad un periodo di
un minuto di vibrazioni, venne fatto rispettare un minuto di pausa. Ogni set durò cinque
minuti effettivi di vibrazione.
Le atlete venivano sottoposte a trattamenti di vibrazione totale mentre si trovavano in
posizione di mezzo-squat sopra una piattaforma vibratoria che oscillava ad una frequenza di
30 Hz circa (Bosco e coll. 1999a).
In un successivo esperimento è stato osservato un incremento della potenza muscolare
durante la prestazione di salti dopo solo 10 giorni di trattamento con stimoli vibratori applicati
solo per 10 minuti al giorno su atleti ben allenati (Bosco e coll.1998).
Una somministrazione acuta di cinque minuti effettivi di vibrazione, alternando un
minuto di trattamento vibratorio ad uno di riposo, applicato al braccio mostrò un incremento
statisticamente significativo della potenza muscolare dei muscoli flessori del braccio (bicipite
omerale e brachio radiale)
su alcuni pugili di livelli internazionali (Bosco e coll. 1999b). E’ stato notato un incremento
della potenza meccanica durante l’esecuzione di 30 ripetizioni di flessione dell’avambraccio
sul braccio con un manubrio, sottoposto a vibrazione, di 2,8kg. Il miglioramento venne
attribuito al potenziamento indotto dalla vibrazione sul sistema nervoso (Bosco e coll.1999c).
Inoltre sembrerebbe che le vibrazioni inducano ad un’alterazione dei sistemi inibitori
che generalmente sono presenti durante l’esecuzione di movimenti volontari causati da una
riduzione degli stimoli che partono dal SNC verso i nervi motori (Davies e Bailey 1997).
Infine si deve ricordare che l’esposizione a vibrazioni induce alla stimolazione di
alcuni ormoni. In studi recentissimi è stato osservato che in risposta a solo dieci minuti di
vibrazioni esiste un incremento statisticamente significativo sia dell’ormone della crescita, sia
del testosterone. Questo incremento risulta essere parallelo all’aumento della potenza
muscolare sviluppata durante esercitazioni svolte con carichi molto elevati.
77
Studi sull’effetto della vibrazione in riabilitazione e atrofia muscolare.
Studi clinici condotti su pazienti con traumi dei nervi periferici e contratture articolari
hanno dimostrato l’efficacia del trattamento con vibrazione accompagnato a metodi di
trazione classica (Levitskii e coll.1997). Recentissimi esperimenti hanno evidenziato un
rimarchevole miglioramento della flessibilità della colonna vertebrale e dei muscoli flessori
delle gambe dopo trattamento vibratorio.
Questo metodo, in modo inequivocabile, si è dimostrato essere di gran lunga più
efficace dei metodi tradizionali, quale quello balistico, l’allungamento passivo, quello statico
ed il PNF (Bosco e coll. In preparazione 1999).
La stimolazione vibratoria ha fatto registrare un miglioramento del dolore sul 69% dei
pazienti trattati. Il tempo di applicazione si aggirava sui 24-25 minuti, mentre risultava essere
più efficace applicando anche un peso di 1 kg. Trattamenti con vibrazioni ad alta frequenza
sembrano indurre uno stress minore sia ai tendini sia ai muscoli (Park HS e Martin BJ, 1993).
E’ stato suggerito che non solamente i tessuti nervosi vengono fortemente influenzati dalla
vibrazione ma anche il tessuto muscolare.
A tale proposito 5 ore / die per due giorni furono sufficienti ad indurre un incremento
della sezione sia delle fibre muscolari lente sia veloci di ratti sottoposti a due differenti
frequenze di trattamenti vibratori (Necking LE e coll.1996).
Studi sulla vibrazione applicata in geriatria ed in osteoporosi.
Anche se gli studi rivolti all’applicazione della vibrazione per migliorare l’osteoporosi
(osteopenia) sono difficili da reperire nella letteratura internazionale, si può fortemente
affermare che queste nuove metodologie presentano indicazioni senza dubbio efficaci.
Queste affermazioni sono suffragate dal fatto che l’evidente miglioramento delle
funzioni muscolari indotte dalla somministrazione di trattamenti vibratori producono
sollecitazioni efficacissime sulle funzioni biologiche delle ossa su cui si inseriscono.
Queste sollecitazioni si evidenziano specialmente sull’asse trasversale, che è quello
più debole e quindi più soggetto a fratture (Bosco 1999).
78
COSI' VARIA LA POTENZA CON LE VIBRAZIONI
Variazione della potenza muscolare in funzione dell'età. In soggetti sedentari ed allenati la
massima espressione di potenza muscolare si nota verso l'età di 20-30 anni, dopo si riscontra
un decremento che corre quasi parallelo all' invecchiamento. Con l'allenamento è possibile
rallentare il decremento indotto dalla vecchiaia. Gli effetti della vibrazione provocano
ulteriori miglioramenti non solo in soggetti sedentari ma anche in soggetti allenati (Bosco e
coll. 1998-9a,b ; Bosco e Komi , 1980)
79
BIBLIOGRAFIA
Ariizumi M. and Okada A. Eur J Appl Physiol, 52,1:15 - 19, 1983.
Bosco C e Konii PV. Eur J AppI Physio, 45: 209 -219,1980.
Bosco C e coll. Biology of Sport, 15, 3: 157-164, 1998
Bosco C e coll . Clinical Physiology 19: 1-6, 1999a.
Bosco C e coll . Eur J Appl. Physiol , 79, 4:306-11, 1999b.
Burke D. and Schiller HH . J Neurosurg Psychiatry , 39 (8): 729-741,1976.
Davis, J.M. e Bailey, S.P. Med. Sci. Sp. Exer. 29 (1): 45-57.. (1997).
Homma et al. , J Appl Pysiol, 50,1 : 107 -111, 1981.
Lebedev MA,PoliakovAV. Neirofiziologiia,23,1:57-65,1991.
Levitskii e coll. , Vopr Kurotol Fizioter Lech Fiz Kult, 5: 26-28, 1997.
Necking LE e coll. Scand. J. Plast. Reconstr. Surg. Hand Surg. 3 0: 99, 1996
Park HS e Martin BJ . Scand J Work Environ Health, 19, 1 : 3 5 - 42, 1993.
81
atural Body Building Federation
Corso di III° livello (Personal Trainer)
LE POPOLAZIOI SPECIALI
A cura del Dott. Stefano Tricarico
WWW.BBF.IT WWW.OLYMPIA.IT
82
POPOLAZIOI SPECIALI.
Ipertensione
E’ indubbio che oggigiorno, con spazi di tempo sempre
più ristretti lasciati liberi dal lavoro, dalla famiglia, da un
tenore di vita in genere stressante, il potenziale cliente del
Personal Trainer (PT) è una persona che vuole mettere a
frutto al massimo il tempo dedicato all’attività fisica.
Il target di riferimento appartiene ad un ceto sociale
medio-alto, persone perlopiù in carriera, che hanno trascurato
lo sport nel passato, perchè studiavano, perchè pigri, per
problematiche diverse, ed ora, raggiunta magari una discreta e
soddisfacente posizione sociale, si dedicano al “recupero” delle
cose lasciate indietro.
Avremo quindi, persone abituate ad ottenere quello che
vogliono, ad averlo subito e nel modo migliore possibile.
Si profila una certa linea di condotta del PT che, se da un lato dovrà essere “al
servizio” del cliente, dall’altro dovrà imporre le sue scelte operando sempre e in ogni caso
nell’interesse dello stesso.
Le problematiche fisiche del cliente a volte possono andare oltre la semplice
“pancetta”, e l’obiettivo prefisso comprendere più di un addome piatto o due rampe di scale
senza “fischietto”, abbracciando alcune delle più comuni cause d’ipotonia muscolare o
ipocinesia che portano ad un rapido e deleterio decadimento fisico.
Quindi non soltanto esercizio fisico per persone in buona salute, ma anche per
portatori d’alcune patologie croniche ai quali, un buon programma d’attività fisica non potrà
che apportare numerosi vantaggi.
Approssimativamente, possiamo tracciare un profilo d’identificazione del potenziale
cliente collocandolo, per difetto, nella fascia d’età compresa fra i 35 ed i 55 anni; ed a
maggiori valori anagrafici e di “trascuratezza” in senso generico (alimentare, fisico, psichico
et.), corrisponde una maggior incidenza di problematiche legate alla salute.
Qui di seguito proveremo a trattarne alcune delle più diffuse.
L’argomento che trattiamo per primo e le problematiche correlate, è uno dei capitoli più
frequenti che vi capiterà di incontrare: l’IPERTESIOE (IP). Cominciamo allora col definire il concetto di IP.
83
“…elevazione cronica dei valori sistolici e/o diastolici rispetto a quelli considerati
normali…”
Secondo l’American National Committee on Detection, Evalutation and Treatment of
High Blood Pressure i pazienti possono essere distinti in tre categorie secondo i valori
pressori diastolici (PAD)
• Ipertensione lieve (PAD compresa tra 90 e 104 mmHg)
• Ipertensione moderata (PAD compresa tra 105 e 114 mmHg)
• Ipertensione grave (PAD maggiore di 115 mmHg)
La pressione arteriosa dipende da numerose variabili quali, oltre all’età comprendono il
peso, l’eccesso di sodio nella dieta, il consumo d’alcool, situazioni di stress psicofisico o
emotivo, alterazioni del ritmo sonno-veglia e patologie organiche.
Vengono considerati ipertesi gli individui che registrano valori di PAS >160 e di PAD
>95; successive suddivisioni di controllo si sono rese necessarie in virtù del fatto che l’IP è
considerata fra i principali fattori di rischio per malattie cardiovascolari e morte improvvisa.
Ma, soltanto una minima parte della popolazione ipertesa (5-10%) è caratterizzata da una
ben precisa patologia di natura organica, vale a dire malattie in grado, con il loro decorso, di
influenzare i valori pressori; tra le più importanti segnaliamo l’IP di Goldbatt (stenosi di una
o entrambe le arterie renali) e la Sindrome di Cusching (ipersecrecrezione di glucocorticoidi
da parte della corteccia surrenalica per iperplasia dei surreni).
Il restante 90% è costituito da persone con elevati valori pressori senza riconoscere
un’anomalia organica evidente. Da un punto di vista epidemiologico è dimostrato che circa il
25% della popolazione adulta dei paesi occidentali risulta ipertesa (PAD >90) e che per il
60% risulta una familiarità per IP.
E’ importante notare che il rischio di infarto è tre volte maggiore negli uomini piuttosto
che nelle donne (anche se questi dati stanno rapidamente cambiando per l’aumento delle
donne fumatrici e in carriera), considerando valori pressori > di 160/95, mentre con valori di
PAD più elevati di 5 mmHg c’è un aumento del 34% di rischio di ictus.
Il ruolo del PT in tutto questo è costituire protocolli di lavoro mirati e supportati da
programmi di educazione alimentare per il miglioramento della salute del cliente e della
qualità della vita.
E’ stato visto che un miglioramento del quadro clinico del paziente iperteso è direttamente
collegato a:
• Miglioramento della compliance (o capacitanza) arteriosa
• Diminuzione del BMI (Body Mass Index)
• Aumento della capillarizzazione (% delle fibre di tipo I)
E’ dimostrato il benefico effetto dell’esercizio fisico regolare sui valori di pressione
arteriosa (PA), in relazione ad una diminuzione dell’assunzione calorica giornaliera e ad un
diminuito valore di BMI, con benefici effetti sulla riduzione della frequenza cardiaca.
Ogni protocollo di lavoro dovrà tenere conto di eventuali visite mediche o indicazioni
specialistiche, valutando sempre individualmente le capacità del cliente, con particolare
84
riguardo ai valori di pressione a riposo, durante il lavoro muscolare ed al terzo minuto di
recupero.
I nostri obiettivi saranno orientati verso:
• Training di tipo dinamico-aerobico personalizzato, autodeterminazione alla cura e
motivazione al rinnovamento dello stile di vita; queste sono le finalità da porsi in stretto
contatto con il medico specialista.
• Un protocollo di lavoro diviso in tre fasi consequenziali con volume allenante crescente,
sempre subordinato al quadro clinico del paziente.
• Esercizi di ginnastica a corpo libero e calistenici, esercizi di mobilità articolare,
educazione respiratoria, training con attrezzi isotonici
• 3 mesocicli di allenamento consequenziali, ognuno della durata di 4 settimane (3 sedute
settimanali)
• I primi due microcicli d’ogni mesociclo hanno caratteristiche di volume ed intensità
identiche con una durata dai 30’ della prima seduta ai 60-90’ della terza fase.
A monte di tutto questo va ricordato che il lavoro del PT deve scorrere sempre e soltanto sotto la supervisione del medico specialista e mai sostituito a lui.
Sarà opportuno, prima dell’inizio di ogni protocollo terapeutico, far eseguire all’atleta-
cliente una serie di analisi diagnostico-strumentali mirate a stabilire il perimetro di azione
entro il quale muoversi.
Un ecocardiogramma ed un’analisi del fundus oculi, ci diranno se il cuore del
paziente è preparato ad una terapia fisica e che il grado di IP non presenti, da un punto di
vista strutturale, una compromissione che esula dal contesto del lavoro del PT.
Lo studio ecocardiografico del muscolo cardiaco ci dirà se le sue pareti sono
preparate allo sforzo. Il ventricolo sinistro ipertrofico, presente anche nel “cuore d’atleta”,
necessita di maggior irrorazione.
Nei soggetti ipertesi si evidenzia un’alterazione del rilasciamento del miocardio
ventricolare e dunque una riduzione della funzione diastolica. In sostanza nella cardiopatia
ipertensiva si verifica un’ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro; nel tempo, con le
anomalie della funzione diastolica, s’instaura una progressiva dilatazione del ventricolo
sinistro senza segni apparenti di scompenso cardiaco mentre, successivamente, appariranno
insufficienza ventricolare e riduzione della contrattilità.
85
L’esame del fondo dell’occhio invece, mira ad evidenziare eventuali stenosi delle
arteriole secondarie sintomatiche per IP; il quadro clinico che avremo di fronte, pur non
escludendo comunque l’attività fisica del cliente, delimita di molto il lavoro del PT, in
funzione soprattutto delle direttive del medico specialista.
Vediamo comunque una proposta di protocollo lavorativo.
I fase (4 settimane, 3 sedute settimanali a gg. alterni)
• Presentazione e valutazione parametri PA e FC (da ripetere ad ogni inizio seduta)
• Riscaldamento generale (10’ circa)
5’ esercizi a corpo libero
5’ stretching
• Allenamento (30’circa)
30’ di training aerobico con alternanza tra due macchine cardio fitness (es.15’treadmill,
15’bike)
• Defaticamento (10’circa)
tecnica respiratoria, stretching
II fase (4 settimane, 3 sedute settimanali a gg alterni)
• Riscaldamento generale (15/20’)
5’ esercizi a corpo libero calistenici
10’ stretching
5’educazione respiratoria
• Allenamento (45’circa)
15’ treadmill in leggera pendenza
15’ Bike
10’ ergometro a braccia
5’ stretching
• Defaticamento (10’circa) 8/10’ rilassamento e respirazione
III fase (4 settimane, 3 sedute settimanali a gg alterni)
• Riscaldamento generale (15/20’) come II fase
• Allenamento (45’circa)
20’ treadmill
20’ Bike
10’ ergometro braccia
approccio ad esercizi isocinetici (circuit training) evitando quegli esercizi che possano
favorire l’aumento della P interna
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Esempio Circuit Training
Leg Press 1 x 20 40% (M) -30% (F)
Peck Deck 1 x 20 30/40% 20/30%
Alzate laterali 1 x 15 4/10 Kg 2/5 Kg
Lat Machine 1 x 15 20 Kg 10/15 Kg
Pulley 1 x 15 15/20 Kg 5/10 Kg
Curl manubri 1 x 20 3/4 Kg . 2/3 Kg
Distensioni Triceps 1 x 20 3/4 Kg . 2/3 Kg
Stretching 5’ minuti
Particolare attenzione andrà prestata a quei pazienti in cura farmacologica; tenendo
presente l’influenza di alcuni farmaci sulla qualità della vita del cliente (es. farmaci
simpaticolitici o antiadrenergici, vasodilatatori, calcio-antagonisti), sarà sempre opportuno
interpellare il medico specialista prima di iniziare qualsiasi protocollo lavorativo.
L’intensità di lavoro dei protocolli isocinetici andrà impostata intorno al 70% massimo
teorico, e in rapporto alla frequenza cardiaca per i lavori aerobici.
Lombalgia
a lombalgia (L) è una delle problematiche più
frequenti nella fascia d’età compresa dalle persone al di
sotto dei 50aa.
E’ stato stimato che almeno una volta nella vita
tutti abbiamo sofferto di L, ed è una delle cause più
frequenti di assenza dal lavoro e di impedimento fisico
nelle attività quotidiane non lavorative o ludiche.
Studi recenti hanno calcolato che solo negli
USA sono stati spesi per il trattamento medico ed altro
correlato 11,1 miliardi di dollari, mentre recentemente
l’Agenzia per la Salute Europea ha considerato la L, subito dopo lo stress e prima del cancro, tra le patologie
da tenere sotto osservazione.
87
Ne soffre dal 5 al 7% della popolazione, con una predominanza femminile nella fascia
d’età al di sopra dei 60aa., ma L, purtroppo non riguarda solamente la popolazione adulta; nel
20% dei bambini in età scolare è stata riscontrata L spesso associata a fattori psicologici, che
incrementa con l’età e che le protrusioni discali, una forma di “cedimento” della struttura del
disco intervertebrale, sono più frequenti nelle femmine rispetto ai maschi.
La L è presente anche in alcune sue complicazioni associate. Ad esempio, nella
spondilolistesi (spesso associata a spondilolisi), malattia acquisita da frattura della pars
interarticularis vertebrale da insufficienza dell’osso di fronte ad un’abnorme sollecitazione
cronica, i fattori di rischio sono costituiti da cause genetiche quali sviluppo della crescita
troppo repentina e da microtraumi sportivi; in particolare è stata associata la pratica sportiva
per più di 15 ore settimanali ad un aumento dell’incidenza di spondilolisi.
Il rachide vertebrale va considerato come un complesso dinamico costituito da singole
“unità funzionali”, in cui le varie strutture anatomiche (due metameri contigui separati da un
disco intersomatico) sono strettamente interconnesse ed interdipendenti.
Risulta chiaro che se qualcuna di esse non funziona, viene compromessa la funzione
meccanica e sì da luogo ad una progressiva usura (degenerazione).
Questo processo degenerativo, così innescato, provoca la progressiva fibrotizzazione
del disco intervertebrale, le cui alterazioni nel tempo portano ad una disco-artrosi e possono
complicarsi in un’ernia del disco, l’estrusione del nucleo polposo, che caratterizza il disco
intersomatico, all’interno del canale midollare.
Il picco d’incidenza dell’ernia discale è compreso tra i 25 e i 50 anni, ed è spesso
riscontrata nei lavoratori che sottopongono costantemente il sistema vertebro-discale a
sollecitazioni (manovali, sportivi, etc.). L’ernia del disco è
più rara nell’anziano per l’invecchiamento del nucleo
polposo che, disidratandosi, si riduce di volume.
Numerosi studi dimostrano una relazione fra L e
stress. In particolare, la percezione individuale del dolore
(soglia) e la capacità psicologica dell’individuo di reagire ai
rapporti causa-effetto stressanti sono in relazione alla
tendenza a sviluppare nevrosi.
In una concezione olistica del nostro organismo la
schiena risulta il punto di scarico di molte ansie e
preoccupazioni quotidiane. Il compito del PT sarà quello di
individuarle, o comunque a sollecitarne l’individuazione
della componente psicologica dei disturbi, onde evitare
inutili e dannosi trattamenti. Sono ovviamente dimostrate
relazioni fra attività lavorativa e L, parleremo quindi di
“malattia professionale” in quelle persone che svolgono un
lavoro pesante o costretti ad una postura sbagliata
(meccanici, carrozzieri, operai edili) i quali sviluppano algie
spesso in relazione con atteggiamenti sbagliati. Anche nello sportivo (lotta, pesi, tennis),
come già visto sopra, esiste la possibilità di sviluppare L e come precedentemente notato la
spondilolisi è stata associata ad una frequenza sportiva elevata.
Vediamo inoltre in quali casi può essere associata l’insorgenza di L:
• sovrappeso
• ernia discale
88
• osteoporosi, artrite
• scoliosi
• senescenza
Nel paziente sovrappeso, si accentuano quelle componenti che portano ad un sovraccarico
funzionale dei metameri ossei, con accelerazione dei fenomeni usuranti, che possono sfociare
in un’ernia del disco.
Molto importante, e qui riguarda da vicino il lavoro del PT, è la valutazione del trofismo
muscolare dei muscoli estensori.
E’ stata riscontrata una relazione fra L e un diminuito grado di forza degli estensori nei
confronti dei muscoli flessori.
Numerosi studi hanno dimostrato l’inutilità dell’immobilizzazione a letto per un periodo
superiore ai due gg nel trattamento della L; circa il 95% dei casi trattati non ha avuto
giovamento dall’allettamento.
L’orientamento terapeutico sarà incentrato sia sul controllo dei fattori stressanti
(psicofisici) sia sul potenziamento dei muscoli estensori. Rilevanti miglioramenti clinici sono
stati riscontrati, in uno studio durato un anno condotto su circa 300 pazienti tutti affetti da L
cronica, con l’uso di tecniche di rilassamento, streching, potenziamento della muscolatura
addominale e ginnastica posturale.
Nell’iniziare il cliente al lavoro muscolare va necessariamente eseguita una anamnesi
generale e specifica onde valutare il giusto programma di lavoro.
Esempio di protocollo lavorativo:
Ia fase (4 settimane, 3 sedute settimanali, durata 60’circa)
• esercizi antalgici
• esercizi di stretching
• ginnastica posturale
• training aerobico (70% del max)
IIa fase (4 settimane, 3 sedute settimanali, durata 90’circa)
• 5’ riscaldamento alla Bike
• 10’ esercizi antalgici e ginnastica respiratoria
• 15’ “interval training”
• 30’ esercizi isotonici verificando l’equilibrio dei muscoli agonisti-antagonisti
• 15’ stretching
• 15’ ginnastica respiratoria
Successivamente, costatato il miglioramento clinico del cliente, lo si può indirizzare verso
un graduale innalzamento dei carichi di lavoro e ad un graduale ritorno alla fase di
potenziamento muscolare.
Nell’ambito dello studio della lombalgia abbiamo menzionato alcuni fattori caratteristici
che possono accentuare l’acutezza del dolore quali l’artropatia (osteoartrosi, artriti etc) e
l’osteoporosi, le quali vanno considerate patologie a se stanti e data la loro incidenza sulla
popolazione sarà molto facile incontrarle nel lavoro del PT.
89
Vediamo più da vicino le caratteristiche di quella di più frequente riscontro delle due
patologie.
Osteoartrosi
E’ un termine generico per indicare una patologia, acuta o cronica, localizzata in una o
più articolazioni, a carico sia della cartilagine articolare, sia dell’osso condrale.
Artropatie
Artrosi (meccanica) Artriti (infiammatoria) Processo degenerativo cronico primitivo (40aa circa)
Secondario a trauma (più precoce)
Artriti sieronegative artriti sieropositive
Artrite reumatoide gotta
Artrite psoriasica cppd
Infettive (disciti,
bisturi)
Vediamo nel dettaglio.
La parola artropatia, deriva dal Greco arthros (articolazione) ed indica un gruppo di
“malattie delle articolazioni”, indotte da un processo patologico a carico della cartilagine
articolare e da alterazioni del tessuto osseo sottostante.
Si tende schematicamente a distinguere artriti ed artrosi; nelle prime predominano
fenomeni di natura infiammatoria a carico della membrana sinoviale a causa della sua ricca
vascolarizzazione.
Nelle seconde, invece, predominano i fenomeni di natura degenerativa a carico
soprattutto della cartilagine articolare.
La gran parte delle artropatie sono facilmente classificate in base alla loro
eziopatogenesi, alla sede ed ai loro effetti. Ad esempio, le artriti colpiscono le mani in
maniera bilaterale con una incidenza che varia tra l’80 ed il 90%, mentre il coinvolgimento di
alcune articolazioni di maggiori dimensioni può spesso orientare la diagnosi e quindi il
protocollo terapeutico, verso una artropatia degenerativa , quale l’artrosi. L’artrosi (A) colpisce tutti i vertebrati. Infatti è stata osservata non solo in animali
terrestri (cane, cavallo), ma anche in animali acquatici (balena, delfino) e nei volatili.
Nell’uomo la frequenza della malattia è molto elevata, tanto che segni radiologici di A sono
evidenziati in più dell’80% dei soggetti tra i 50 ed i 65 aa, ed è presente, sempre in questa
fascia d’età nel 20% delle femmine e nel 15% dei maschi.
Si distinguono schematicamente tre condizioni sulla base dell’eziopatogenesi
predominante.
A primaria. Derivata da un difetto costituzionale condizionato geneticamente verosimilmente
di natura metabolica.
90
A dismetabolica. In cui è certa la genesi dismetabolica e nel cui ambito rientrano l’A microcristallina (gotta) per deposito di cristalli di urato e quella condrocalcinosa per deposito
di cristalli di calcio pirofosfato (CPPD).
A secondaria. La forma più comune e quindi più frequente nel lavoro del PT, viene distinta in
A strutturale e A meccanica. Nella prima la cartilagine viene danneggiata da cause note (per
es. da traumatismi diretti sull’osso o sulla cartilagine). Nella seconda la cartilagine è sana e, in
seguito a sollecitazioni abnormi (sovraccarico ponderale, lavoratori professionalmente
esposti, sportivi avanzati/agonisti) si ammala, determinando l’insorgere della patologia.
Il meccanismo va ricercato nelle caratteristiche della cartilagine articolare: è noto che i
condrociti si nutrono con un meccanismo di imbibizione da parte del liquido sinoviale, ricco
di proteoglicani e glucosamine; in particolare, nel nucleo polposo del disco intervertebrale, il
70-80% è costituito da unità proteoglicaniche costituite da glicosaminoglicani (condroitinsolfato e condroitinsolfato) che tanta curiosità stanno destando nell’ambito
dell’integrazione con
supplementi alimentari.
Un’ alterazione
cartilaginea diretta risulta
pertanto di difficile riparazione
per l’organismo a causa della
sua scarsa vascolarizzazione.
Inoltre, con il passar del tempo,
si riduce la percentuale di acqua
che compone la cartilagine
stessa, inducendone un più
veloce invecchiamento ed una
conseguente minore elasticità.
Caratteristicamente quindi,
si riconoscono nell’A, due
differenti picchi d’incidenza.
Essa colpisce tutte le articolazioni dell’organismo, anche se mostra maggiori effetti a livello
delle grandi articolazioni, ed in particolare:
• ginocchio
• anca
• spalla
• colonna lombo-sacrale
Semeiologicamente si riconosce per un restringimento dello spazio articolare, sclerosi (ispessimento o addensamento) della struttura ossea sottocartilaginea ed in ultimo il tentativo
di stabilizzare (alleggerire) l’articolazione provoca la formazione di osteofiti marginali, che
sono presenti sui versanti fuori carico.
La malattia artrosica si evidenzia clinicamente attorno ai 40aa ed è leggermente più
frequente nel sesso femminile.Indipendentemente dalla localizzazione l’A si manifesta con
sintomi clinici abbastanza costanti.
Il sintomo cardine è il dolore. La caratteristica principale di tale sintomatologia è che
compare con la funzione e scompare o si attenua di molto con il riposo.
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Si delinea un ruolo molto particolare da parte del PT; da un lato, il cliente artropatico
trova giovamento nel riposo, dall’altro, una immobilità articolare è sicuramente da evitare, in
quanto si arresterebbe il ciclo nutritivo della cartilagine con conseguente rigidità articolare e
difficoltoso ripristino della mobilità (anchilosi).
Anche sovraccarichi funzionali sono da evitare; abbiamo visto come la rima articolare
(distanza) si assottigli per effetto degenerativo, l’uso di carichi di lavoro eccessivi
(bodybuilding) possono accentuare questo stato peggiorando lo stato clinico del cliente.
Il nuoto, grazie alla riduzione dell’effetto gravitazionale, risulta essere l’esercizio di
elezione, affiancato da esercizi isotonici e stretching per ripristinare l’escursione articolare
ridotta.
Vediamo:
• intensità del lavoro dosata in base al grado di tolleranza del dolore e mai nei periodi acuti
• evitare l’esecuzione rapida degli esercizi
• ripristino dell’escursione articolare mediante stretching
• potenziamento dei muscoli stabilizzatori
• ripristino del rapporto muscolo agonista/antagonista
• durata della seduta non superiore ai 30/45 minuti a gg alterni
Questo l’approccio iniziale, di concerto con il medico specialista il PT doserà
gradualmente il carico di lavoro sempre e comunque cercando di non affaticare le
articolazioni coinvolte.
Diabete E’ una malattia del ricambio che consiste
soprattutto in un’alterazione del metabolismo degli
zuccheri. La carenza più o meno grave d’insulina
secreta dal pancreas non permette al paziente di
utilizzare gli zuccheri ricavati dagli alimenti, che in tal
modo restano in circolo e causano l’aumento del tasso
glicemico nel sangue. Anticamente, il diabete è noto
da duemila anni, la diagnosi veniva fatta assaggiando
92
le urine del paziente, il sapore dolce diagnosticava l’insorgenza della malattia (mellito).
Un’indagine epidemiologica condotta su 32.000 donne negli Stati Uniti e nel Canada ha
confermato la prevalenza statistica di aumenti consistenti di diabete in relazione sia
all’aumento dell’obesità sia alla componente familiare (ereditarietà). Appare chiaro che
l’alimentazione gioca un ruolo di primaria importanza nella cura e prevenzione del diabete.
Ad esempio, dopo decenni di osservazione nei villaggi rurali dei paesi africani, si è notato che
il diabete mellito era sempre stato raro in Africa, fino agli anni Sessanta, quando gli africani
emergenti delle città, dimenticando tuberi e granaglie grezze dei tempi delle capanne (alimenti
ricchi di carboidrati complessi e fibre), cominciarono a seguire una dieta moderna, ricca di
carboidrati semplici e povera di fibre, simile cioè a quella nordoccidentale, ricca di zucchero e
povera di cereali integrali, legumi, frutta e verdura.
Il diabete viene così principalmente classificato:
• insulino dipendente • non insulino dipendente
Nella forma di diabete più diffusa, il tipo 2 non insulino dipendente caratteristico degli
adulti, gli errori dietetici sono precedenti l’insorgenza del diabete, che compare generalmente
in soggetti già obesi o in forte sovrappeso.
Le errate abitudini alimentari, la ridotta attività fisica e talvolta anche i tentativi falliti di
dimagrimento portano alle estreme conseguenze. Il diabete di tipo I insulino dipendente,
giovanile, compare invece in soggetti generalmente normopeso
e compare improvvisamente nella vita del paziente. Entrambe
le due caratteristiche coinvolgono la sfera nutrizionale,
manifestandosi con l’aumento dell’appetito e iperfagia,
aumento della sete e poliuria, astenia e conflitti psicologici
generati da errori dietetici ripetuti. Le cause del diabete, ancora
non del tutto chiarite, comprendono fattori genetici, familiari,
ambientali, immunitari, ormonali. Essendo una malattia
degenerativa, nel lungo periodo può portare a complicazioni
gravi come danni alla retina, ai reni, al sistema nervoso periferico, aggravamento di problemi
arteriosclerotici, salvo che lo scompenso glicidico non sia perfettamente compensato.
L’alimentazione e l’esercizio fisico, costituiscono quasi sempre la terapia fondamentale, da
sola o associata ai farmaci. E’ noto che l’attività fisica abbassi la glicemia e migliori la
sensibilità all’insulina. La pratica sportiva inoltre, permette un controllo del peso ponderale,
ed un’efficace azione preventiva. Il PT terrà conto dei clienti in terapia insulinica, evitando
l’esercizio durante il picco di attività del farmaco e lontano dalla sua somministrazione.
L’intensità consigliata è moderata- alta (65/80%), frequenza minima di tre giorni a settimana
della durata di 30 – 60 minuti. Fino a poco tempo fa venivano sconsigliati gli esercizi di forza,
ma studi recenti permettono anche ai portatori di questa malattia la possibilità di eseguire
allenamenti di potenziamento muscolare.
Uniche raccomandazioni:
• eseguire controlli del diabete prima di eseguire l’attività fisica
• mantenere alto l’apporto idrico
93
• ridurre il dosaggio di insulina di 1 – 2 UI (sempre in accordo col medico curante)
• aumentare la quantità di carboidrati complessi nella dieta in funzione dell’allenamento
• conoscere e prevenire i segnali di ipo – iperglicemia.
94
BIBLIOGRAFIA “Patologia discale del rachide” Rodriguez y Baena, Mille, Gaetani
“Ortopedia e traumatologia” Monticelli, Bocchi, Letizia, Mollica
Romanini, Spinelli
“La colonna vertebrale” Università di Chieti. Estratti
“Fitness terapia” D. Girola
“Studio funzionale del rachide” S. Urso, E. Pacciani et alii.
“Manuale di terapia con gli alimenti” N. Valerio
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atural Body Building Federation
Corso di III° livello (Personal Trainer)
ASPETTI LEGALI
DELLA PROFESSIOE DI
PERSOAL TRAIER (uovi aggiornamenti 2004)
A CURA DI: Dott.ssa Francesca Colecchia
Viale Carducci 40, 40125 Bologna
[email protected] www.arseasrl.it
96
WWW.BBF.IT WWW.OLYMPIA.IT
Premesse
La presente dispensa ha l’obiettivo di definire la figura del personal trainer, individuare le possibili modalità attraverso le quali organizzare il lavoro, analizzare la responsabilità in cui può incorrere nello svolgimento della sua attività.
SOMMARIO
Chi è il Personal Trainer 97 L’organizzazione del lavoro 99 LA DEFINIZIONE DEL RAPPORTO TRA P.T. E CENTRO SPORTIVO 100
GLI ISTRUTTORI SPORTIVI ED IL RAPPORTO CON ASSOCIAZIONI E SOCIETÀ SPORTIVE DILETTANTISTICHE. 100 La collaborazione occasionale 103 La collaborazione coordinata e continuativa a progetto. 104 Il contratto di associazione in partecipazione 107
La definizione del rapporto diretto tra P.T. e cliente. 115 L’esercizio dell’attività libero professionale. 115
La responsabilità dell’operatore. 117 La responsabilità dell'istruttore sportivo 120 Il danno da attività pericolosa. 123 Il danno da cose in custodia. Attenzione agli attrezzi. 125 Quando il Personal Trainer collabora con un centro sportivo. 126 La tutela sanitaria 129
97
Chi è il Personal Trainer
Ai fini del presente lavoro per “Personal Trainer” intendiamo un soggetto che, professionalmente, svolge consulenza di attività motorie personali.
Non essendo tale tipo di attività, ad oggi, tipicizzata, se ne deduce che il Personal Trainer non è tenuto ad iscriversi ad un albo professionale e non è assoggettato ad una disciplina di settore.
Da ciò consegue che, al fine di definire gli aspetti giuridici che connotano l’attività dal medesimo posta in essere, sarà necessario valutare figure professionali analoghe (quale quella dell’istruttore sportivo), individuare le diverse modalità con cui il Personal Trainer può svolgere tale attività (prestazione di lavoro autonomo, associazione professionale, organizzazione in forma societaria), considerando le peculiarità dell’attività posta in essere, ovvero, la preparazione atletica personalizzata.
In assenza di un albo professionale ci s’interroga sull’esistenza o meno di criteri che dovrebbero condizionare l’accesso a tale professione, con particolare riferimento a quella preparazione professionale minima necessaria per poter garantire l’utenza
In realtà, pur in assenza di una disposizione normativa che imponga un percorso formativo ed un esame di abilitazione, l’orientamento è rivolto ad una sempre maggiore, ed indispensabile, professionalizzazione di chi opera nel settore sportivo.
E’ in tal senso che si può leggere la creazione dell’Istituto Universitario di Scienze Motorie che va a sostituire l’ISEF con l’obiettivo di conferire precisa identità e dignità agli studi nel campo delle attività motorie.
Il decreto legislativo che disciplina l'organizzazione dell’Istituto è stato emanato in base alla delega prevista dalla c.d. legge Bassanini bis (L.127/97 art.17 comma 115 ) e alla sua stesura hanno tra l’altro collaborato varie associazioni, tra le quali l’ANISEF (Associazione nazionale Istituti Superiori di educazione fisica ) ed il CONASI (Coordinamento Nazionale Studenti ISEF ).
Dalla sua analisi emerge la volontà di offrire una preparazione concorrenziale rispetto alle professionalità già esistenti nella maggior parte dei paesi europei.
L’accesso al corso, di durata quadriennale, risulta infatti a numero programmato per garantire il rapporto tra studenti e strutture nonché attrezzature didattiche, scientifiche e sportive disponibili.
Risulta inoltre necessario dimostrare di essere in possesso di quell’idoneità fisica funzionale all’espletamento delle discipline a prevalente contenuto tecnico – sportivo.
Rispetto alla formazione garantita dall’ISEF, che nasce per preparare esclusivamente gli insegnanti d’educazione fisica nelle scuole di ogni ordine e grado, la nuova facoltà prevede anche la formazione dei soggetti che si occuperanno della prevenzione e dell’educazione motoria adattata, finalizzata a soggetti di diversa età e a soggetti disabili, degli istruttori che si dedicheranno alla didattica delle varie discipline sportive nonché ai futuri manager delle strutture sportive.
98
A questo scopo la facoltà nasce per garantire un approfondimento delle scienze dell’attività motoria, delle discipline sportive nonché l’acquisizione di strumenti manageriali per la gestione dell’impiantistica sportiva.
Si affiancano così ai tradizionali studi di medicina, psicologia ed elementi di diritto, lo studio di materie quali le metodologie dell’allenamento, l’organizzazione degli organismi sportivi, il marketing e la metodologia della comunicazione sportiva.
L’importanza di acquisire professionalità nell’erogazione dei servizi sportivi è avvertita anche dalle Regioni: la rispettiva legislazione di settore da un lato prescrive, infatti, che gli impianti sportivi si debbano avvalere di personale qualificato, facendo espresso riferimento ai diplomati ISEF, dall’altro prevede la presenza di rappresentanti dell’Istituto Superiore di Educazione Fisica nella Consulta dello Sport, organo consultivo e propositivo della Giunta Regionale. Ciò si traduce nella necessità di valutare l’opportunità di acquisire una particolare qualifica professionale in considerazione del fatto che in futuro potrebbe diventare obbligatorio per la totalità delle Regioni essere in possesso di quella qualifica per poter svolgere consulenza d’attività motoria.
Una novità è stata introdotta per i dipendenti pubblici dalla finanziaria 2003.
Ai sensi del comma 23 dell’articolo 90 “i dipendenti pubblici possono prestare la propria attività, nell'ambito delle società e associazioni sportive dilettantistiche, fuori dall'orario di lavoro, purché a titolo gratuito e fatti salvi gli obblighi di servizio, previa comunicazione all'amministrazione di appartenenza. Ai medesimi soggetti possono essere riconosciuti esclusivamente le indennità e i rimborsi di cui all'articolo 81, comma 1, lettera m), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.”
Viene meno pertanto il divieto di svolgere detta attività in relazione alla quale il dipendente può percepire i c.d. compensi sportivi nelle forme di seguito descritte.
99
L’organizzazione del lavoro
In via del tutto teorica, le tipologie di rapporto di lavoro che potrebbero qualificare il Personal Trainer sono potenzialmente tutte.
Questi potrebbe essere infatti assunto - come dipendente - da un centro sportivo per il quale espletare una attività di allenamento personalizzato in favore dei clienti del centro sportivo, più ricorrenti sono invece i rapporti di carattere autonomo o parasubordinato nella forma della
Collaborazioni con associazioni e società sportive dilettantistiche in relazione alle quali l’istruttore percepisce compensi sportivi,
prestazione professionale,
collaborazione occasionale,
collaborazione coordinata e continuativa.
Il centro sportivo potrebbe offrire al Personal Trainer la possibilità di organizzare la propria attività presso la propria struttura, stipulando un accordo di associazione in partecipazione.
L’attività potrebbe inoltre essere organizzata dal singolo, senza che questi si avvalga di una struttura: si pensi all’ipotesi di allenamento al domicilio del cliente. In questo caso l’istruttore dovrebbe provvedere all’apertura della partita IVA, sempreché non lavori in esclusiva per un soggetto o due, nel qual caso ci sarebbero gli estremi per la costituzione di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (detto anche lavoro parasubordinato).
Più operatori sportivi potrebbero - infine - decidere di costituire una società per erogare in coordinamento tra loro il servizio.
Contatto diretto con il
cliente ↓
1. PRESTAZIONE
PROFESSIONALE
Rapporto con un centro
sportivo ↓
DIPENDENTE
PERCETTORE
COMPENSI SPORTIVI
COLLABORATORE
OCCASIONALE
COLLABORATORE
COORDINATO E
CONTINUATIVO
PRESTAZIONE
PROFESSIONALE
ASSOCIAZIONE IN
Costituzione di una
società
100
LA DEFINIZIONE DEL RAPPORTO TRA P.T. E CENTRO SPORTIVO
Il Personal Trainer può creare forme di collaborazione anche con un centro sportivo.
Tale collaborazione può assumere le seguenti caratterizzazioni
1. l’istruttore sportivo percepisce compensi sportivi
2. l’istruttore sportivo ha un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto
3. l’istruttore sportivo svolge occasionalmente attività per il centro sportivo
4. il centro stipula con PT un contratto di associazione in partecipazione. L’istituto in esame, disciplinato dagli artt.2549 e seguenti del codice civile, viene definito come il contratto con il quale un soggetto, l'associante, attribuisce ad un altro soggetto, l'associato, una “partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto”.
GLI ISTRUTTORI SPORTIVI ED IL RAPPORTO CON ASSOCIAZIONI E SOCIETÀ SPORTIVE DILETTANTISTICHE.
Il nostro ordinamento riconosce un particolare regime alle associazioni sportive dilettantistiche e alle società sportive dilettantistiche.
La materia è stata recentemente interessata dalle novità introdotte dall’art.90 della legge finanziaria 2003 (L.27-12-2002 n. 289) la quale ha esteso le agevolazioni previste per le associazioni sportive dilettantistiche, dalla legge 398/1991, alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro.
1. Cosa deve intendersi per associazione e società sportiva dilettantistica.
Per associazioni e società sportive dilettantistiche devono intendersi i sodalizi che presentano i seguenti requisiti:
indicazione nella denominazione sociale della finalità sportiva e la ragione o la denominazione sociale dilettantistica;
costituzione nelle seguenti forme:
a) associazione sportiva priva di personalità giuridica disciplinata dagli articoli 36 e seguenti del codice civile;
b) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361;
c) società sportiva di capitali costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro.
Svolgimento delle seguenti attività
“organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l'attività didattica per l'avvio, l'aggiornamento e il perfezionamento nelle attività sportive”
Rispetto dei seguenti principì generali che troveranno concretizzazione in disposizioni dettate da decreti attuativi ancora da approvare:
101
1) in relazione ai contenuti dello statuto e dell'atto costitutivo delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche:
1) assenza di finalità di lucro;
2) rispetto del principio di democrazia interna;
3) organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l'attività didattica per l'avvio, l'aggiornamento e il perfezionamento nelle attività sportive;
4) disciplina del divieto per gli amministratori di ricoprire cariche sociali in altre società e associazioni sportive nell’ambito della medesima disciplina;
5) gratuità degli incarichi degli amministratori;
6) devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento delle società e delle associazioni;
7) obbligo di conformarsi alle norme e alle direttive del CONI nonché agli Statuti e ai regolamenti delle Federazioni sportive nazionali o dell'ente di promozione sportiva cui la società o l'associazione intende affiliarsi;
b) modalità di approvazione dello statuto, di riconoscimento ai fini sportivi e di affiliazione ad una o più Federazioni sportive nazionali del CONI o alle discipline sportive associate o a uno degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, anche su base regionale;
c) provvedimenti da adottare in caso di irregolare funzionamento o di gravi irregolarità di gestione o di gravi infrazioni all'ordinamento sportivo.
Sono fatte salve le disposizioni relative ai gruppi sportivi delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, di cui all'articolo 6, comma 4, della legge 31 marzo 2000, n. 78, firmatari di apposite convenzioni con il CONI.
Presso il CONI sarà istituito, anche in forma telematica e senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato, il registro delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche
2. Cosa sono i c.d. compensi sportivi e quali agevolazioni sono previste.
Le associazione e società sportive dilettantistiche possono erogare i c.d. “compensi sportivi”. Tali compensi sono assoggettati, ai sensi dell’art.37 della L.21.11.2000) ad un particolare regime agevolato in forza del quale
1. le indennità, i rimborsi forfettari, i premi e i compensi erogati nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto", non concorrono a formare il reddito per un importo non superiore complessivamente nel periodo d'imposta a € 7.500 (importo così ridefinito dall’art.90 della legge finanziaria 2003). Non concorrono, altresì, a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all'alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale;
2. quando l’istruttore percepisce un compenso sportivo superiore a 7.500 euro, le società e gli enti eroganti operano, con obbligo di rivalsa, una ritenuta nella misura fissata per il
102
primo scaglione di reddito, maggiorata delle addizionali di compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche. La ritenuta è a titolo d'imposta per la parte imponibile dei suddetti redditi compresa fino a lire 40 milioni;
3. quando l’istruttore percepisce un compenso sportivo superiore l’ente erogante applica un ritenuta a titolo di imposta per l’importo compreso fino ai 40 milioni ed una ritenuta a titolo di acconto per la parte imponibile che eccede i 40 milioni di lire. Ai soli fini della determinazione delle aliquote per scaglioni di reddito di cui al predetto articolo 11 del citato testo unico, la parte dell'imponibile assoggettata a ritenuta a titolo d'imposta concorre alla formazione del reddito complessivo.
I percettori di compensi sportivi non devono versare contributi previdenziali (INPS) né contributi assicurativi (INAIL) in relazione a questo tipo di introiti.
Da segnalare che tale regime è stato esteso anche a chi svolge attività di carattere amministrativo – gestionale presso i centri sportivi che presentino i requisiti prima indicati. Tali collaborazioni coordinate e continuative non rientrano nella disciplina dettata dalla c.d. legge Biagi e sono assimilate ai compensi sportivi sotto il profilo del regime fiscale (art.90 legge finanziaria 2003), previdenziale (come chiarito dalla circolare INPS n.42 del 26 febbraio 2003,) e assicurativo (così si è espresso l’INAIL con la nota del 19 marzo 2003).
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La collaborazione occasionale
Per prestazione occasionale si deve intendere il rapporto “di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro”.
Cosa succede se si superano i tetti?
Entrambi i tetti sono riferiti al medesimo committente.
Ciò significa che un personal trainer potrà continuare ad emettere ricevute per prestazione occasionale per più committenti (palestre o centri sportivi che non riconoscano o non possano riconoscere compensi sportivi).
Non è stato invece chiarito quando una persona sia tenuta ad aprire la partita IVA, è stato esclusivamente chiarito che superato il tetto dei 5mila euro il collaboratore sarà comunque tenuto a versare i contributi previdenziali presso la gestione separata INPS (di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335).
L’articolo 44 del decreto legge 269/03 – come modificato dalla legge di conversione – prevede infatti che “a decorrere dal 1 gennaio 2004 i soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale (…) sono iscritti alla gestione separata (…), solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore ad euro 5.000. Per il versamento del contributo da parte dei soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale si applicano le modalità ed i termini previsti per i collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla predetta gestione separata”.
Nell’ipotesi in cui uno dei tetti venga superato nei confronti del medesimo committente, il rapporto sarà considerato come collaborazione coordinata e continuativa o rapporto di lavoro subordinato laddove non sia possibile individuare un progetto o fase di progetto cui sia legata la prestazione.
Riflessi fiscali e previdenziali.
Chi effettua una prestazione di lavoro autonomo occasionale è tenuto ad emettere una ricevuta assoggettata a marca da bollo quando il compenso sia superiore a € 77,47 nella quale evidenziare che la prestazione non è soggetta ad IVA per carenza del presupposto soggettivo ex articolo 5 DPR 633/1972
Il trattamento fiscale e previdenziale varia a seconda che
a) la collaborazione occasionale presenti le caratteristiche della collaborazione coordinata (si definisce occasionale solo perché realizzata al di sotto dei tetti previsti, come chiarito dalla circolare del ministero del lavoro n.1/2004).
In questo caso il collaboratore deve iscriversi alla gestione separata Inps (in base ai chiarimenti della circolare Inps n°9 del 22.1.2004) ed il committente dovrà operare le ritenute previdenziali pari al 17,80% ovvero al 18,80% a seconda degli scaglioni di reddito.
Sotto il profilo fiscale il compenso viene qualificato come reddito assimilato a quello dipendente (ex art.50 comma 2, lett. c-bis del TUIR) e pertanto si
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applicheranno le ritenute nei termini previsti per le collaborazioni coordinate e continuative
b) la collaborazione sia una collaborazione occasionale vera e propria, ossia una prestazione dove non si riscontra coordinamento e continuità (secondo la definizione offerta con la circolare del ministero del lavoro n.1/2004).
Sotto il profilo previdenziale se il reddito annuo derivante da dette attività è inferiore a €5.000 non sono dovuti contributi INPS (ex art.44 l.24 novembre 2003, n. 326) ma se il reddito annuo supera i 5.000 euro – in relazione a queste attività – il prestatore dovrà iscriversi alla gestione separata INPS (ex art.44 l.24 novembre 2003, n. 326) e gli saranno applicate le ritenute pari al 17,80% ovvero al 18,80% a seconda degli scaglioni di reddito. Sotto il profilo fiscale il reddito si qualifica come reddito diverso ed è assoggettato esclusivamente alla ritenuta a titolo d acconto del 20% a cura del committente, salvo che chi usufruisce della prestazione sia una persona fisica.
La collaborazione coordinata e continuativa a progetto.
La collaborazione coordinata e continuativa rappresenta una ipotesi di lavoro autonomo caratterizzata dai seguenti elementi:
1. prestazione resa in modo prevalentemente personale;
2. attività resa senza vincoli di subordinazione;
3. riconducibilità della prestazione ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente;
4. gestione del progetto o programma di lavoro o fase del programma di lavoro da parte del collaboratore in autonomia e in funzione del risultato;
5. attività di coordinamento con la organizzazione del committente;
6. incarico che prescinde dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.
L’individuazione del progetto o programma di lavoro o fase di esso costituisce l’elemento cardine della collaborazione coordinata e continuativa nella sua nuova formulazione. L’eventuale carenza di questo presupposto comporta l’automatica trasformazione del rapporto in lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di sua costituzione.
Analogamente avviene quando il giudice valuti che il rapporto abbia acquisito di fatto i connotati del lavoro subordinato. In questo caso l’attività accertativa si limita a verificare la sussistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso, non potendosi estendere nel merito di valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive, in ogni caso di esclusiva del committente.
La riforma interviene inoltre nel riconoscere diritti e doveri in capo al collaboratore quali
1. il diritto a percepire un corrispettivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro espletato, tenendo conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione dell’incarico;
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2. il diritto del collaboratore di svolgere altre prestazioni lavorative, salvo diverso accordo tra le parti;
3. il divieto in capo al prestatore di svolgere attività in concorrenza con il/i committente/i;
4. l’obbligo di riservatezza in capo al prestatore;
5. il diritto del collaboratore di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto;
6. la garanzia che il rapporto non si estingue ma si sospende – senza erogazione di corrispettivo – in caso di gravidanza, malattia e infortunio. In questi ultimi due casi però la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza, salva diversa previsione del contratto individuale. Il committente può comunque recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile. In caso di gravidanza, la durata del rapporto e' prorogata per un periodo di centottanta giorni, salva piu' favorevole disposizione del contratto individuale;
7. applicazione delle norme sulla sicurezza e igiene del lavoro (ex DLgs n. 626 del 1994) quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente;
8. applicazione delle norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Non rientrano in questa nuova disciplina i seguenti soggetti:
1. i collaboratori amministrativo gestionali dei sodalizi sportivi, come individuati e disciplinati dall’art.90 della legge 27 dicembre 2002 n°289;
2. le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
3. i componenti gli organi di amministrazione e controllo di società;
4. i partecipanti a collegi e commissioni;
5. i percettori pensione di vecchiaia;
6. i collaboratori di amministrazioni pubbliche.
Come si instaura un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa A PROGETTO.
Il contratto deve essere redatto per iscritto e deve contenere i seguenti elementi:
a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;
b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuato nel suo contenuto caratterizzante, al quale viene ricondotta la prestazione oggetto del contratto;
c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese;
d) le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa;
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e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando che quando la prestazione sia resa presso il committente troveranno applicazione le disposizioni di cui al Dlgs 626/1994.
Cosa succede se non viene individuato uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso.
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto. Si tratta di una presunzione che può essere superata qualora il committente fornisca in giudizio prova della esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo. Qualora invece, in corso di rapporto, venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato sia venuto a configurare un contratto di lavoro subordinato per difetto del requisito dell'autonomia, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti. Il controllo giudiziale è limitato esclusivamente all'accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente.
Detto controllo, inoltre, concerne in entrambi i casi l'esistenza nei fatti di un progetto e non la sua mera deduzione nel contratto in quanto la sua mancata indicazione in contratto implica esclusivamente l’impossibilità di provare l’esistenza del progetto attraverso testimoni.
Come si estingue il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa A PROGETTO.
I contratti si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l'oggetto. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale.
ATTENZIONE: Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate – prima del 24 ottobre - ai sensi della disciplina allora vigente, che non possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre il 24 ottobre 2004.
Riflessi fiscali
La legge 289 del 2002 (finanziaria 2003) ha introdotto delle novità in tema di tassazione dei redditi delle persone fisiche che interessano anche i compensi corrisposti per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, in particolare trovano applicazione le disposizioni previste per il lavoro dipendente in quanto ad esso assimilati sotto il profilo fiscale.
Ai collaboratori spettano pertanto le deduzioni per assicurare la progressività dell’imposizione nella stessa misura prevista per i lavoratori dipendenti.
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Il contratto di associazione in partecipazione
1. CHE COS’È IL CONTRATTO DI ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE E COME SI DISTINGUE RISPETTO AGLI ALTRI “RAPPORTI DI LAVORO”
Ai sensi dell’articolo 2549 del codice civile, “con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto”. Tale apporto può essere di qualsiasi natura, purché strumentale allo svolgimento dell’impresa o dell’affare e può consistere nella realizzazione di una prestazioni di lavoro. Viene qui preso in esame il contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro. A titolo esemplificativo si può qualificare tale – se così è espressa la volontà delle parti – il rapporto tra una associazione sportiva ed una persona che assume la gestione del bar interno al sodalizio. L’associazione diventa l’associante in capo al quale permane la titolarità dell’attività, il “collaboratore” che di fatto cura la gestione del bar circolistico assume invece la qualifica di associato e percepisce – di norma – una percentuale sugli utili prodotti da tale attività. In questo caso la prestazione resa dall’associato si distingue dal rapporto di lavoro subordinato, in considerazione della circostanza che l’associato si obbliga a prestare non una collaborazione ma solo il lavoro nei limiti del valore attribuito all’apporto e non in subordinazione ad un datore di lavoro, ma soltanto alle direttive dell’associante al quale non competono quei poteri disciplinari e di controllo spettanti al datore di lavoro anche in assenza di specifica disposizione contrattuale. Il rapporto in esame si distingue inoltre dalla collaborazione coordinata e continuativa in ragione del fatto che in capo all’associato non si configurano le condizioni tipiche del rapporto di parasubordinazione: l’associato non ha diritto ad una retribuzione periodica prestabilita (fatto salva la diversa volontà delle parti: in tal senso Cassazione, sentenza n.3075 del 24.11.1952) ma l’associato può offrire all’associante – a differenza di quanto si verifica nel rapporto di collaborazione – anche apporti diversi rispetto alla prestazione lavorativa quali conferimenti di beni e/o di denaro.
Le peculiarità del contratto sono quindi il contributo patrimoniale dell'associato all'impresa o all'affare nonché‚ la partecipazione di quest'ultimo agli utili ed, eventualmente, alle perdite. Trattasi, quindi, di un contratto oneroso ed aleatorio (seppur ad alea limitata) per il soggetto associato in quanto:
1) dalla partecipazione può anche non conseguire utile;
2) la partecipazione alle perdite non può superare il valore dell'apporto. L'indeterminatezza del rischio che l'associato si assume con la previsione di partecipare alle perdite in misura illimitata, e comunque superiore all'apporto, è, infatti, contraria ai presupposti ed alla struttura essenziale di tale contratto. In esso l'associato è un creditore, normalmente fuori della gestione, al quale viene attribuita dall'associato una partecipazione agli utili che comporta un'assunzione di rischio commisurata al valore dell'apporto che la stessa legge definisce "determinato". L'inciso "salvo fatto contrario", contenuto nell'art. 2553, si riferisce, infatti, esclusivamente alla prima parte della norma concernente la normale eguaglianza della misura di partecipazione sia alle perdite che ai guadagni.
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Il rapporto si distingue infine dalla prestazione di carattere professionale. In tal senso si è di recente espresso il legislatore (legge finanziaria 2003 come modificata dalla legge di conversione 21 febbraio 2003, n. 27) introducendo il principio in base al quale gli associati in partecipazione che apportano solo lavoro non dovranno essere più assoggettati ad IVA in quanto considerate – come le collaborazioni coordinate e continuative – prestazioni di servizi non rientranti nell’esercizio di arti e professioni.
La novità normativa risolve definitivamente una situazione di incertezza interpretativa generata dalla risoluzione ministeriale 252/E del 30.7.2002, con la quale il Ministero aveva ricondotto la prestazione in esame nell’ambito delle prestazioni soggette ad IVA per la sussistenza sia del requisito soggettivo (esercizio per professione abituale di una attività di lavoro autonomo) che del requisito oggettivo (l’apporto costituisce adempimento di un’obbligazione di fare, rientrante nelle prestazioni di servizi). Con la riforma la prestazione non si considera più effettuata nell’esercizio di arte e professione.
2. COME SI STIPULA IL CONTRATTO DI ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE.
Per quanto riguarda l’obbligo di registrazione del contratto scritto, l’Agenzia delle Entrate (circolare 50/E/2002) si è espressa affermando che l’associante può portare in diminuzione dal proprio reddito d’impresa le quote di utili spettanti agli associati in partecipazione esclusivamente se – fra l’altro – il contratto di associazione in partecipazione risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. La circolare ha aggiunto che anche la scrittura privata registrata costituisce documento idoneo a provare l’esistenza dell’associazione in partecipazione, atteso che la registrazione attribuisce data certa all’atto e, quindi, ha effetto anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Il contratto dovrà contenere la specificazione dell’apporto e qualora esso sia costituito da prestazioni di lavoro, gli associati non dovranno essere famigliari dell’associante.
L’imposta di registro sarà assolta a tassa fissa versando 129,11 euro nelle ipotesi di apporto di lavoro ( ex art.10, tariffa - parte II - Dpr n. 131/1986) e nei casi di apporto di beni diversi dai beni immobili o dai diritti reali ( ex art.2, comma 2 - parte II - della tariffa allegata al Dpr n. 131/1986).
Di diverso avviso l'Associazione dottori commercialisti di Milano che ritiene la forma scritta solo eventuale, potendosi considerare comunque il rapporto validamente instaurato quando siano individuabili gli elementi distintivi della fattispecie e quando il rapporto di lavoro risulta concretamente configurato in maniera tale da escludere che la natura dello stesso possa essere ricondotta nell'ambito di altre categorie contrattuali. I commercialisti milanesi fondano la propria posizione sulla considerazione che per la valida costituzione di un rapporto di associazione in partecipazione la forma scritta non è esplicitamente richiesta né dalla legislazione civilistica, né dal legislatore tributario.
L’esigenza – manifestata dall’amministrazione finanziaria – di formalizzare il rapporto con contratto quanto meno registrato che descriva con precisione e certezza le caratteristiche dell'apporto di lavoro dell’associato dovrebbe consentire però ai committenti (o meglio associanti) una riduzione del rischio di vedersi applicata la nuova normativa antielusiva, in tema di associazioni fittizie, disciplinata dall'articolo 86 del Dlgs n.276/2003 (riforma Biagi), e
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dovrebbe permettere anche agli organi verificatori fiscali e previdenziali di avere mezzi più efficaci nell'individuazione di quegli elementi che consentano di riconoscere la sussistenza, o meno, di un contratto di lavoro subordinato diversamente titolato, e sicuramente di evitare la stipula della particolare tipologia di "contratti di associazione in partecipazione decorrenti dall'accesso dei verificatori" per giustificare la presenza nei luoghi dell'impresa di lavoratori più in "nero" che associati.
3. LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO
Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di associazione in partecipazione, le parti possono ottenere – ai sensi dell’art.75 del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n.276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30” - la certificazione del contratto secondo la procedura volontaria.
La procedura di certificazione assolve anche funzioni di consulenza e assistenza effettiva alle parti contrattuali, sia in relazione alla stipulazione del contratto di lavoro e del relativo programma negoziale sia in relazione alle modifiche del programma negoziale medesimo concordate in sede di attuazione del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla disponibilita' dei diritti e alla esatta qualificazione dei contratti di lavoro.
In breve.
CHI È ABILITATO ALLA CERTIFICAZIONE
LE COMMISSIONI DI CERTIFICAZIONE ISTITUITE PRESSO:
A) GLI ENTI BILATERALI COSTITUITI NELL'AMBITO TERRITORIALE DI RIFERIMENTO OVVERO A LIVELLO NAZIONALE QUANDO LA COMMISSIONE DI CERTIFICAZIONE SIA COSTITUITA NELL'AMBITO DI ORGANISMI BILATERALI A COMPETENZA NAZIONALE;
B) LE DIREZIONI PROVINCIALI DEL LAVORO E LE PROVINCE, SECONDO QUANTO STABILITO DA APPOSITO DECRETO DEL MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI ENTRO SESSANTA GIORNI DALLA ENTRATA IN VIGORE DEL PRESENTE DECRETO;
C) LE UNIVERSITA' PUBBLICHE E PRIVATE, COMPRESE LE FONDAZIONI UNIVERSITARIE, REGISTRATE CON APPOSITO DECRETO NELL'ALBO ISTITUITO PRESSO IL MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, ESCLUSIVAMENTE NELL'AMBITO DI RAPPORTI DI COLLABORAZIONE E CONSULENZA ATTIVATI CON DOCENTI DI DIRITTO DEL LAVORO DI RUOLO AI SENSI DELL'ARTICOLO 66 DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 11 LUGLIO 1980, N. 382.
COME SI CERTIFICA
LA PROCEDURA E' VOLONTARIA E CONSEGUE OBBLIGATORIAMENTE A UNA ISTANZA SCRITTA COMUNE DELLE PARTI DEL CONTRATTO DI LAVORO INOLTRATA ALLA COMMISSIONE DI CERTIFICAZIONE NELLA CUI CIRCOSCRIZIONE SI TROVA L'AZIENDA O UNA SUA DIPENDENZA ALLA QUALE SARÀ ADDETTO IL LAVORATORE.
LE PROCEDURE DI CERTIFICAZIONE SONO DETERMINATE ALL'ATTO DI COSTITUZIONE DELLE COMMISSIONI DI CERTIFICAZIONE E SI SVOLGONO NEL RISPETTO DEI CODICI DI BUONE PRATICHE
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EFFICACIA DELLA CERTIFICAZIONE
GLI EFFETTI DELLA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO PERMANGONO, ANCHE VERSO I TERZI, FINO AL MOMENTO IN CUI SIA STATO ACCOLTO, CON SENTENZA DI MERITO, UNO DEI RICORSI GIURISDIZIONALI ESPERIBILI, FATTI SALVI I PROVVEDIMENTI CAUTELARI.
RIMEDI ESPERIBILI NEI CONFRONTI DELLA CERTIFICAZIONE
LE PARTI E I TERZI NELLA CUI SFERA GIURIDICA L'ATTO STESSO E' DESTINATO A PRODURRE EFFETTI, POSSONO PROPORRE RICORSO, PRESSO L'AUTORITA' GIUDIZIARIA DI CUI ALL'ARTICOLO 413 DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE, PER ERRONEA QUALIFICAZIONE DEL CONTRATTO OPPURE DIFFORMITA' TRA IL PROGRAMMA NEGOZIALE CERTIFICATO E LA SUA SUCCESSIVA ATTUAZIONE. SEMPRE PRESSO LA MEDESIMA AUTORITA' GIUDIZIARIA, LE PARTI DEL CONTRATTO CERTIFICATO POTRANNO IMPUGNARE L'ATTO DI CERTIFICAZIONE ANCHE PER VIZI DEL CONSENSO.
4. LA CONVERSIONE DEL RAPPORTO
Al fine di evitare fenomeni elusivi della disciplina di legge e contratto collettivo, in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi senza una effettiva partecipazione e adeguate erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attivita', o in mancanza di contratto collettivo, in una corrispondente posizione secondo il contratto di settore analogo, a meno che il datore di lavoro, o committente, o altrimenti utilizzatore non comprovi, con idonee attestazioni o documentazioni, che la prestazione rientra in una delle tipologie di lavoro disciplinate nel presente decreto ovvero in un contratto di lavoro subordinato speciale o con particolare disciplina, o in un contratto nominato di lavoro autonomo, o in altro contratto espressamente previsto nell'ordinamento.
5. LA QUALIFICAZIONE FISCALE DEL REDDITO PRODOTTO
I redditi derivanti da un contratto di associazione in partecipazione sono considerati redditi da lavoro autonomo (ex art.49, comma 2 lett.c del TUIR), se l’apporto è costituito esclusivamente da lavoro autonomo.
Qualora l’associante si avvalga di un collaboratore coordinato e continuativo, l’associante non potrà dedurre il compenso corrisposto al collaboratore in ragione del fatto che qualificandosi il suo reddito come lavoro autonomo trova applicazione l’articolo 50, COMMA 8, del TUIR ai sensi del quale
“le partecipazioni agli utili costituiscono reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta”.
6. L’ISCRIZIONE ALL’INPS
Il DL 269/2003 all’art. 43 ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 2004 i soggetti che nell’ambito dell’associazione in partecipazione conferiscono prestazioni lavorative i cui compensi sono qualificati come redditi da lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 49, comma 2, lettera c del Testo Unico delle imposte sui redditi, sono tenuti, con esclusione degli iscritti agli albi professionali, all’iscrizione in un’apposita gestione previdenziale, istituita presso
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l’INPS, finalizzata all’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.
L’assetto organizzativo e funzionale della nuova gestione INPS sarà definito con decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Obiettivo di tale gestione è l’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti.
Quanto dovranno versare
Il contributo alla gestione è pari al contributo pensionistico corrisposto alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.335, dai soggetti non iscritti ad altre forme di previdenza (pari per il 2004 al 17,39% prima fascia e 18,39 la seconda).
Diversamente da quanto previsto per le collaborazioni coordinate e continuative, il committente (associante) assumerà il 55% del contributo mentre il 45% è posto a carico dell’associato.
Il contributo è applicato sul reddito delle attività determinato con gli stessi criteri stabiliti ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, quale risulta dalla relativa dichiarazione annuale dei redditi e dagli accertamenti definitivi. Il versamento è effettuato sugli importi erogati all’associato anche a titolo di acconto sul risultato della partecipazione, salvo conguaglio in sede di determinazione annuale dei redditi.
Come e dove versare
Per il versamento del contributo INPS si applica, coma per i collaboratori coordinati e continuativi, il criterio di cassa ed il versamento del contributo avviene mediante il consueto modello F24 entro il 16 del mese successivo a quello di riferimento.
Quale copertura garantisce
Al regime previdenziale si applica esclusivamente il metodo contributivo. Ciò significa che i trattamenti pensionistici saranno basati sul montante contributivo individuale e sul coefficiente di trasformazione relativo all’età raggiunta al momento del pensionamento.
I contributi devono superare il minimale di reddito stabilito dall’articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233, e successive modificazioni e integrazioni. In caso contrario i mesi di assicurazione da accreditare sono ridotti in proporzione alla somma versata.
I contributi come sopra determinati sono attribuiti temporalmente all’inizio dell’anno solare fino a concorrenza di dodici mesi nell’anno
Adempimenti
Gli associati in partecipazione sono chiamati ad iscriversi presso l’apposita gestione previdenziale istituita presso l’INPS e sono tenuti a comunicare all’INPS - entro il 31 marzo 2004 ovvero dalla data di inizio dell’attività lavorativa, se posteriore - la tipologia dell’attività medesima, i propri dati anagrafici, il numero di codice fiscale e il proprio domicilio.
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7. L’ISCRIZIONE ALL’INAIL
Qualora l'associato svolga una delle attività pericolose e rientranti tra quelle indicate dal DPR 30 giugno 1965 n. 1124, è obbligatoria l'iscrizione all'INAIL (circolare n. 28/74 del 7 maggio 1993 e 55 del 26 gennaio 1994).
In tal senso si è espressa anche la Corte Costituzionale con la sentenza n°332 del 2-15 luglio 1992 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale -Serie speciale- n.31 del 22 luglio 1992), ai sensi della quale “a parita' di esposizione al rischio di infortunio sul lavoro, deve corrispondere parita' di tutela assicurativa, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto in base al quale il lavoro e' prestato”. In particolare “ai fini dell'obbligo di assicurazione I.N.A.I.L., la posizione del socio d'opera e dell'associato d'opera e' analoga - in quanto entrambi prestano lavoro sotto altrui direttive - e comporta un'eguale esposizione al rischio di infortunio, talche' l'inclusione dell'uno e non anche dell'altro nell'elenco degli assicurati viola il principio di eguaglianza (art. 3, comma primo Cost.) e, insieme, l'art. 38, comma secondo, Cost.. Va quindi dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art. 4, d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui non prevede tra le persone assicurate gli associati in partecipazione i quali prestino opera manuale, oppure non manuale alle condizioni di cui al n. 2 del medesimo art. 4. - V. massima precedente”.
Su chi grava l’onere
L’onere dell’assicurazione grava sull’associante in quanto l’associato che svolge attività lavorativa è assimilato al socio d’opera e pertanto la titolarità dell’impresa rimane al primo. L'individuazione in tale figura di colui che è obbligato agli adempimenti tipici dell'assicurante discende dalle considerazioni svolte dalla stessa Corte Costituzionale che ha assimilato la posizione dell'associato-lavoratore a quella del socio d'opera di cui all'articolo 4, n. 7 del citato Testo Unico e dal fatto che la titolarità dell'impresa, pur in presenza dello specifico contratto in esame, rimane dell'associante sul quale deve, quindi, gravare l'onere dell'assicurazione contro il rischio derivante dall'attività svolta.
Quanto si versa
Il regime contributivo è quello ordinario con conseguente calcolo del premio in relazione alla retribuzione cosiddetta di ragguaglio di cui all'articolo 30, 4° comma, del suddetto Testo Unico e cioè in relazione alla retribuzione dei prestatori d'opera della stessa qualifica e professione e della stessa località.
Ovviamente la retribuzione di ragguaglio non deve essere inferiore ai minimali di retribuzione imponibile giornaliera, stabiliti per legge ed annualmente aggiornati in rapporto alla variazione percentuale dell'indice del costo della vita.
In tal senso si è espresso anche l’INAIL con la circolare n°28 del 7 maggio 1993.
L'attività economica posta in essere (e, quindi, le conseguenti problematiche a carattere contabile e fiscale) resta dell'associante (per esempio la palestra) il quale ne continuerà a rispondere direttamente nei confronti di terzi che, a loro volta, avranno rapporti solamente con lui.
L'apporto dell'associato (il Personal Trainer) consisterà, nella fattispecie più comune, nel conferimento esclusivo della propria forza lavoro.
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A fronte dell’apporto conferito dall’associato lo stesso acquisirà un diritto di credito a partecipare ad eventuali utili e, contestualmente, salvo patto contrario, parteciperà alle perdite che, in ogni modo, non potranno superare il valore del proprio apporto.
Ciò significa che non viene costituita una società né, tanto meno, si configura un regime di comunione di beni: la struttura rimane in capo all’associante ed i beni strumentali conferiti eventualmente dall’associato rimangono, salvo diverso accordo, in capo allo stesso ovvero vengono trasferiti nella proprietà dell’associante.
L'associato detiene un potere di controllo sulla gestione dell’attività nei limiti e secondo le modalità espressamente definite dal contratto ma, in ogni caso, gli deve essere riconosciuto il diritto ad avere dall'associante il rendiconto annuale della gestione. Per quanto possa essere limitata per l’associato la possibilità di intervenire nella gestione dell’attività non è in ogni caso possibile per l’associante attribuire ad altri partecipazioni per la stessa impresa senza il consenso dell’associato.
Il contratto in esame non deve necessariamente risultare per iscritto ma la forma scritta, in particolare la redazione nella forma di atto pubblico o scrittura privata registrata, risultano requisiti indispensabili affinché l’associante possa dedurre la quota di utili spettante all’associato.
Qualora si ricorra alle forme sopra indicate il contratto sarà assoggettato ad imposta di bollo nella misura pari a £ 20.000 (€10,33) per ogni quattro facciate e ad imposta di registro che sarà assolta in misura fissa pari a £ 250.000 (€129,11).
Un aspetto interessante del contratto in esame è che il medesimo non configura un rapporto di lavoro subordinato perché vi fa difetto il vincolo di dipendenza e la garanzia di un guadagno: l'associato agisce svincolato da ogni rapporto gerarchico con l'associante e senza garanzia di retribuzione, pertanto il rapporto di collaborazione tra associante ed associato si configurerà, a seconda dei casi, come collaborazione coordinata e continuativa ovvero come prestazione professionale.
Ai fini fiscali in capo ai due soggetti, associante ed associato, si configurano due distinti tipi di reddito
L’associante percepirà reddito d'impresa.
L’associato, qualora il proprio apporto consti nella esclusiva prestazione di lavoro, percepirà invece reddito di lavoro autonomo.
L’associante potrà pertanto dedurre la quota di utile spettante all’associato dall’IRPEG ( ex art. 62 comma 4 T.U.I.R. ) in base al principio di competenza.
La possibilità di apportare tale deduzione è condizionata alla sussistenza di requisiti quali la redazione del contratto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, la quantificazione dell’apporto e la circostanza che detta quantificazione trovi una obiettiva giustificazione economica nella prestazione effettuata nonché la circostanza che l’associato non sia un famigliare dell’associante.
Non sarà possibile invece dedurre l’importo corrisposto all’associato che apporti esclusivamente la propria prestazione di lavoro dalla nuova imposta regionale sulle attività produttive - IRAP- ( ex art.4 comma 2° del D.Lgs. n°446 del 15/12/97 ).
Il reddito di lavoro autonomo percepito dall’associato sarà tassato secondo il principio di cassa, senza dedurre le spese sostenute e le eventuali perdite sopportate ( ex art.50 comma
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8 del TUIR ) e sarà soggetto a ritenuta a titolo di acconto operata dall’associante, sostituto d’imposta, del 20%.
Uno dei problemi che spesso si presenta nella configurazione di tale tipo di rapporto è dato da quale tipologia di costi debba essere imputata alla gestione del ramo d’azienda condotto in associazione in partecipazione, considerato che, nella quasi generalità dei casi, il centro offre molteplici prestazioni.
Sarà pertanto necessario inserire, nel contratto, il modo di determinazione dei costi inerenti l’attività in oggetto sulla base dei quali redigere il rendiconto e quindi calcolare la percentuale in favore del fisioterapista.
Il contratto potrà prevedere anche la corresponsione di acconti periodici al prestatore d’opera con conguaglio finale in sede di rendicontazione: tali acconti, ovviamente, dovranno essere assoggettati alla disciplina fiscale sopra ricordata.
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La definizione del rapporto diretto tra P.T. e cliente.
L’esercizio dell’attività libero professionale.
La prestazione del Personal Trainer è di norma riconducibile nell’ambito delle attività di lavoro autonomo ovvero, sotto il profilo civilistico, nella categoria dei contratti d’opera.
E’ opportuno precisare che nel genus contratto d’opera è rinvenibile la specie contratto d’opera intellettuale in considerazione al disposto dell’art.2229 c.c..
Il rapporto contrattuale che viene ad instaurarsi con il committente si configurerà proprio ai sensi dell’art.2229.
L’autonomia del Personal Trainer dovrà essere intesa da un lato come autorganizzazione della propria attività, secondo criteri tecnici discrezionalmente valutati e idonei al raggiungimento di un determinato risultato e dall’altro come autonomia gerarchica nei confronti del proprio cliente.
Sulla base di questi elementi la sua naturale collocazione è nella categoria degli esercenti arti e professioni e si può ritenere che sia un libero professionista.
Il rapporto professionale e di lavoro di un personal trainer viene definito da un contratto che può essere stipulato oralmente (ipotesi più frequente) o per iscritto. Obiettivo è rendere chiaro e trasparente il rapporto che si crea, onde evitare equivoci ed incomprensioni.
Qualora si decida di definire per iscritto gli accordi con il proprio cliente, sarà in ogni caso necessario definire i c.d. elementi essenziali dell’accordo ovvero
1. identità delle parti, cioè il personal trainer e il cliente (accordo delle parti);
2. lo scambio di una prestazione professionale dietro il pagamento di un corrispettivo (la causa)
3. l’individuazione della prestazione che offrite al cliente, l’entità del corrispettivo richiesto, ecc. (l'oggetto).
La qualificazione ai fini fiscali La configurazione del rapporto come prestazione d’opera determina precise conseguenze di natura fiscale. Ai fini IRPEF sono considerati redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. La locuzione arti e professioni non va intesa in senso restrittivo nel senso che prestatori di lavoro autonomo sono soltanto coloro che risultano iscritti in appositi albi o elenchi. Non vi è dubbio che l’effettivo volere del legislatore sia quello di ricomprendere attività per le quali non sono previste iscrizioni in albi o elenchi ma che sono caratterizzate da una completa autonomia del soggetto che ne beneficia. Questi elementi caratterizzano sicuramente la figura del Personal Trainer. Infatti i proventi conseguito dall’esercizio della propria attività sono, ai fini IRPEF, redditi di lavoro autonomo la cui determinazione risulta dalla contrapposizione tra compensi da una parte e dall’altra le spese sostenute nell’esercizio dell’attività (art.50 T.U.I.R.). Nel momento in cui si intraprende l’attività, il Personal Trainer è tenuto entro 30 giorni a farne dichiarazione all’ufficio IVA in duplice esemplare conformemente al modello ministeriale. L’Ufficio attribuisce al contribuente un numero di partita IVA (il relativo codice attività è 92.62.B - attività
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professionali sportive svolte da allenatori, istruttori e insegnanti) che deve essere indicato nelle dichiarazioni e in ogni altro documento destinato all’Ufficio. E’ pertanto evidente come al termine della prestazione dovrà essere emessa fattura gravata da IVA al 20%.
La scelta societaria
Si ritiene opportuno evidenziare come la scelta di ricorrere allo strumento societario debba essere operata laddove sussista un vantaggio economico a non svolgere l’attività in via individuale che può essere rappresentato anche dall’opportunità di convogliare, all’interno, competenze diverse e complementari. Si può pertanto verificare la possibilità che un fisioterapista, un estetista, un Personal Trainer, svolgano in comune l’attività economica attraverso la costituzione della società. Si può ritenere che, in un determinato contesto ambientale, offrire congiuntamente diversi servizi possa maggiormente attrarre l’utente: rimangono in ogni caso considerazioni che possono essere effettuate solo se contestualizzate in un determinato ambito. A parere della scrivente, non esistono infine modelli societari che presentano in astratto connotati tali da meglio prestarsi all’organizzazione del servizio in questione essendo, anche in tale ipotesi, necessario valutare il singolo caso.
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La responsabilità dell’operatore.
L’importanza di un’adeguata preparazione e aggiornamento è da sottolineare in considerazione delle responsabilità che il Personal Trainer assume nell’espletamento della sua attività.
Vengono qui prese in considerazione le eventuali responsabilità
penali,
civili, di fonte contrattuale ed extracontrattuale.
tenuto conto del fatto che a volte la violazione può avere contemporaneamente carattere civile e penale con il conseguente sommarsi delle sanzioni; altre volte rivestono soltanto il carattere civile o il carattere penale.
La responsabilità penale.
L'illecito penale si verifica quando l'ordinamento qualifica la violazione di una legge come reato e non può essere punito quando si dimostra che l'azione o l'omissione che lo hanno causato sono state compiute con il consenso dell'avente diritto o nell'esercizio di un diritto o per legittima difesa o nel caso di necessità.
Il codice penale contempla alcuni reati che possono interessare chi opera nel settore sportivo
abbandono di persone minori o incapaci (ex art.591 c.p.),
"Chiunque abbandona una persona minore degli anni 14, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni".
lesioni personali colpose (ex art.590 c.p.),
Questa ipotesi si può configurare, per esempio, quando l'istruttore di freeclimbing decida di intraprendere un percorso che richieda particolari abilità tecniche e gli atleti, inesperti, causino a sé o ad altri lesioni o addirittura la morte: l'istruttore sarà perseguibile per lesioni colpose od omicidio colposo.
Esercizio abusivo della professione, come disciplinato dall’art.348 del codice penale.
“Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una specifica abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a un milione”. Ricorre questa quando il Personal Trainer effettua accertamenti sanitari (riservate ai medici) ovvero prestazioni fisioterapiche o massioterapiche (riservate a chi abbia conseguito la relativa laurea breve) essendo irrilevanti la perizia, la capacità, l’abilità nonché l’esito positivo delle cure praticate dalla persona non abilitata. La Giurisprudenza è unanime inoltre nello stabilire che ricorre lo svolgimento abusivo dell’attività medica, tutte le volte in cui si compia una valutazione sullo stato fisico dell’utente.
L'istruttore sportivo può essere responsabile per l'illecito del proprio allievo?
La responsabilità penale si configura anche in capo a chi non ha commesso il fatto ma aveva l'obbligo giuridico di vigilare su chi stava svolgendo la pratica sportiva.
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A titolo esemplificativo, nell'ipotesi in cui degli atleti di scherma si esercitino sprovvisti delle obbligatorie protezioni ed uno di loro rimanga ferito, l'istruttore sarà chiamato a rispondere penalmente del reato di lesioni colpose, da solo o in concorso con l'autore del fatto qualora questi abbia più di 14 anni e sia ritenuto dal giudice psichicamente in grado di rendersi conto della pericolosità del suo comportamento.
Posso liberarmi da responsabilità rilevando la circostanza che l'atleta era comunque a conoscenza dell'eventualità di subire un danno svolgendo quella determinata pratica sportiva acconsentendo, di fatto, a questa eventualità?
Quando la responsabilità penale consegue allo svolgimento della pratica sportiva entra in "gioco" il rapporto tra le regole sportive ed il diritto penale.
Di particolare interesse una recente sentenza relativa al calcio. "Negli sport a violenza eventuale, come il calcio, i regolamenti determinano il "quantum" di violenza tollerabile, ossia il limite in cui le conseguenze della violenza, anche in termini di eventuali lesioni personali, sono scriminante dal consenso; ove se ne esorbiti, per le lesioni personali subite da uno dei partecipanti ad opera di altro partecipante alla gara, la scriminante non è ravvisabile e va affermate la responsabilità penale, ancorché l'azione lesiva avvenga nello svolgimento della competizione e questa non ne costituisca soltanto l'occasione colta per l'aggressione, ben potendosi rispondere anche a titolo di dolo eventuale quando durante il gioco sia adottato un contegno vietato dalle regole, del quale sia coscientemente accettato il rischio di provocare lesioni all'avversario".
Nella specie, è stato condannato per lesioni gravissime il giocatore che nel corso di una azione di gioco con una gomitata inferta ad un avversario ne aveva causato la perdita della milza.
In ambito sportivo assumono pertanto importanza i limiti di applicazione della scriminante del consenso dell'avente diritto (ex art.50 c.p.), ovvero la possibilità di non essere perseguiti perché il comportamento qualificato come reato è stato posto in essere con il consenso di chi ne ha subito le conseguenze.
In merito la giurisprudenza si è espressa affermando la non applicabilità della citata scriminante "quando si travalichi il dovere di lealtà sportiva e si ponga scientemente a repentaglio l'incolumità fisica del partecipante, esponendolo ad un rischio superiore a quello consentito in quella determinata pratica sportiva ed accettato dal partecipante medio.
La responsabilità civile.
Come precedentemente evidenziato, la responsabilità civile può avere fonte contrattuale
p.e. il Personal Trainer si impegna ad allenare l’atleta per un mese e dopo una settimana non si presenta più agli allenamenti: in questo caso l’atleta potrà chiedere l’adempimento ovvero chiedere la restituzione della somma versata in base agli accordi stipulati con l’allenatore oltre all’eventuale risarcimento per il danno subito dall’inadempimento;
ovvero avere natura extracontrattuale, e fondarsi pertanto su un fatto illecito dell’istruttore.
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La responsabilità extracontrattuale.
Il Personal Trainer, come l’istruttore sportivo e l’allenatore, è equiparato, per quanto riguarda la responsabilità, a coloro che insegnano un mestiere o un'arte; pertanto risponde, ai sensi dell'art.2048 c.c., del danno cagionato dal fatto illecito commesso dai propri allievi, nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Tale disposizione impone a chi abbia in affidamento persone con mansioni di insegnamento nei loro confronti, in primo luogo di vigilare affinché questi non rechino danni a terzi ovvero non restino essi stessi danneggiati da fatti o atti compiuti da loro stessi o da terzi; in secondo luogo di impartire agli allievi una giusta preparazione tecnica attenendosi alle regole della comune prudenza così da evitare eventi dannosi ed a predisporre misure organizzative idonee a mantenere la disciplina fra gli allievi.
Infatti, in certi casi, l'atto dannoso può ricondursi non all'omessa vigilanza, o non esclusivamente ad essa, bensì alle erronee tecniche impartite.
Ciò vale di norma per gli allenamenti dove il Personal Trainer dovrà verificare l'efficienza delle attrezzature e dovrà controllare lo stato fisico dell'atleta, arrivando ad interromperli o impedirli qualora lo stesso sia in condizioni fisiche precarie.
Gli istruttori sono liberati da responsabilità soltanto se riescono a provare di non aver potuto evitare il fatto; la responsabilità civile è fondata sulla cd. Culpa in vigilando consistente nella colposa inosservanza dell’obbligo di sorveglianza adeguata alle circostanze o nell'imperizia dimostrata nello svolgimento dell’attività disciplinare e di controllo.
Si deve però aggiungere che in molti casi l'attività sportiva viene considerata dalla giurisprudenza come esercizio di un'attività pericolosa (es. sci, equitazione, alpinismo, automobilismo) e pertanto, in tali casi, si deve applicare il dettato dell'art.2050 c.c., che prevedendo una presunzione di responsabilità a carico di chi le esercita, non ritiene sufficiente la prova negativa della mancanza di colpa, essendo invece richiesta la prova positiva di aver adottato le misure offerte dalla tecnica e le cautele idonee per evitare la produzione del fatto dannoso (Cass.10.2.1981 n.826; 27.3.1984 n.2027; Cass.21.11.1984 n.5960; Cass.29.4.1991 n.4710).
La pericolosità insita in una determinata attività non viene meno in virtù della preventiva volontaria accettazione dei rischi da parte dei partecipanti (Trib. Perugia 26.5.1995; in Giust. Civ. Rep. 1995, 4126).
Si ricorda che in ogni caso, ai sensi dell’articolo 1229 del codice civile, è nullo qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave: ne consegue che le eventuali clausole dichiarative di esonero delle responsabilità avranno efficacia limitata a normali e prevedibili rischi inerenti l’attività, ma non potrà mai stendersi alle responsabilità per danni che derivano da imprudenza, negligenza, imperizia che viola il principio di “neminem laedere”, di cui all’art.2043 c.c.
L’applicabilità della norma in questione presuppone l’esercizio di attività pericolosa così qualificata dalla legge di pubblica sicurezza, da leggi speciali, ovvero di attività che per sua natura, per caratteristiche dei mezzi adoperati o per la spiccata potenzialità offensiva, comporti una rilevante possibilità del verificarsi di un danno (Cass.21.12.1992, n.13530; Cass.16.2.1996, n.1192; Cass.9.12.1996,n. 10951).
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Tale forma di responsabilità viene denominata “responsabilità extracontrattuale” e l’obbligazione che ne deriva è quella di risarcire il danno causato appunto con il fatto illecito, essa si estrinseca in un’obbligazione di dare, avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro che è l’equivalente monetario del danno cagionato
La responsabilità dell'istruttore sportivo
La responsabilità dell'istruttore sportivo può nascere in due distinte ipotesi:
a) danni che gli allievi producono a terzi durante lo svolgimento dell'attività sportiva;
b) danni che gli allievi producono a se stessi.
La responsabilità derivante dal fatto illecito posto in essere dall'allievo.
Una ipotesi speciale di responsabilità si configura in capo all’istruttore sportivo per i danni conseguenti al fatto illecito commesso dai propri allievi nel tempo in cui sono sotto la propria vigilanza essendo equiparati - per quanto riguarda la responsabilità - a coloro che insegnano un mestiere o un'arte.
Ai sensi dell'art.2048 del codice civile infatti "i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate da responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto".
La disposizione in esame impone a chi svolge attività di insegnamento di vigilare i propri allievi affinché questi non rechino danni a terzi e questa attività di controllo si estrinseca non solo nell'attività di mera vigilanza ma anche nell'impartire una giusta preparazione tecnica e nel predisporre misure organizzative idonee a mantenere la disciplina fra gli allievi.
E' importante sottolineare che si tratta di responsabilità concorrente con quella dell'atleta ed eventualmente dei genitori relativamente ai minori, quando sia accertata a loro carico una educazione inadeguata del minore alla vita di relazione. Ciò significa che saranno chiamati a risponderne sia i genitori (o l'autore del danno se maggiore di età) che l'istruttore per l'omessa vigilanza: ciascuno sarà chiamato a risarcire il danno in ragione della gravità della rispettiva colpa (secondo i criteri fissati dall'art.2055 c.c.) e nessuno potrà addossarla integralmente all'altro.
Sono responsabile per i fatti illeciti posti in essere da tutti gli allievi o solo da quelli minorenni?
Il secondo comma dell'art.2048 c.c. non contiene alcuna precisazione con riguardo all'età dell'autore del danno.
La giurisprudenza ha escluso che i precettori debbano rispondere del danno cagionato da un allievo maggiorenne facendo leva sulla circostanza che la corresponsabilità delle persone di cui all'art.2048 c.c. con l'autore del fatto illecito trova giustificazione nel particolare dovere di sorveglianza che su costoro incombe nei confronti di soggetti che - incapaci di intendere e di volere per la loro età immatura - necessitano di particolare guida e sorveglianza.
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Una parte della dottrina si è espressa in senso opposto distinguendo tra illeciti che hanno diretto riferimento all'attività educativa svolta dal precettore, dove la maggiore età non escluderebbe la responsabilità del vicario, e gli illeciti che paiono collegati con l'attività didattica da un rapporto di occasionalità, casi in cui il precettore andrà esente da ogni responsabilità per il danno prodotto da un allievo maggiorenne. Secondo questa interpretazione sarebbe pertanto configurabile la responsabilità dell'istruttore anche per il fatto illecito dell'atleta maggiorenne quando questo consegue all'espletamento dell'attività sportiva effettuata sotto la vigilanza dell'istruttore.
La responsabilità per il danno che l'atleta provoca a se stesso.
Durante lo svolgimento di una lezione di pallavolo un allievo può provocarsi una lesione a causa del mancato riscaldamento. In questa ipotesi l'istruttore potrebbe essere chiamato a risponderne (quindi a risarcire gli eventuali danni) in quanto inadempiente rispetto all'obbligazione contrattuale (è infatti tenuto a preparare gli allievi) ed in quanto ha cagionato un danno ingiusto per sua negligenza: si configurano pertanto forme di responsabilità contrattuali ed extracontrattuali.
L'allievo potrà esercitare alternativamente una delle due azioni per ottenere il risarcimento del danno subito (per la differenza delle due azioni vedi par.2.1.).
Quale norma applicare relativamente alla responsabilità extracontrattuale?
Secondo l'orientamento giurisprudenziale minoritario l'art.2048 c.c. troverebbe applicazione esclusivamente al caso di danno causato dall'allievo ad un terzo e non invece per le lesioni procurate a se stesso. Tale conclusione trae fondamento dal dato letterale: la norma in esame prevede la prova liberatoria da opporre al terzo danneggiato, non invece all'allievo che si sia cagionato da solo il danno. In questo caso sarebbe pertanto applicabile l'art.2043 c.c. con la conseguenza che chi ha subito il danno dovrà dimostrare il comportamento doloso o colposo dell'istruttore.
L'indirizzo maggioritario ritiene invece che i precettori rispondano dei danni provocati dagli stessi atleti a loro stessi in quanto l'obbligo di vigilanza dell'insegnante è posto anche a tutela degli allievi che gli sono affidati. Seguendo questa interpretazione sarà l'istruttore a dover dimostrare di non aver potuto impedire il fatto o, addirittura, secondo l'interpretazione giurisprudenziale più recente, di aver adottato tutte le misure per evitarlo.
Se l'istruttore partecipa direttamente all'attività sportiva e un atleta subisce un danno può essere considerato negligente?
E' necessario verificare caso per caso la dinamica dell'infortunio ma esiste un precedente interessante che riconosce la negligenza dell'istruttore sulla base del fatto che la partecipazione diretta all'attività sportivo-ricreativa lo aveva posto nella condizione di non poterla controllare e dirigere anche con gli avvertimenti necessari ad evitare possibili incidenti.
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Come può liberarsi dalla responsabilità l'istruttore?
Gli istruttori sono liberati da responsabilità soltanto se riescono a provare di non aver potuto evitare il fatto; la responsabilità civile è fondata sulla cd. culpa in vigilando consistente nella colposa inosservanza dell’obbligo di sorveglianza adeguata alle circostanze o nell'imperizia dimostrata nello svolgimento dell’attività disciplinare e di controllo. In realtà la nozione adottata in concreto dalla giurisprudenza risulta essere più amplia richiedendo, ai fini liberatori, la prova positiva di aver posto in essere tutte le misure possibili per prevenirlo.
Non ogni evento dannoso può essere però attribuito all'istruttore non sussistendo responsabilità quando il danno è prodotto del rischio normale insito nell'attività sportiva praticata. A titolo esemplificativo non viene considerato responsabile l'allenatore dei danni subiti dal minore che partecipa ad una competizione quando la lesione sia causata dalla spinta degli altri partecipanti, in quanto la caduta viene considerata un effetto della stessa partecipazione alla gara ed è riconducibile al rischio compreso nell'attività sportiva praticata.
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Il danno da attività pericolosa.
Ai sensi dell'art.2050 del codice civile, "chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno".
Quali attività sportive sono considerate pericolose?
Non esiste una elencazione delle attività considerate pericolose ma è necessario pervenire ad un giudizio che consideri probabile, e non semplicemente possibile, il verificarsi di un evento dannoso in ragione della natura o anche dei mezzi impiegati nello svolgimento di quella determinata pratica sportiva.
La giurisprudenza si è espressa in merito alla pericolosità delle seguenti attività sportive:
1. attività venatoria: è stata considerata pericolosa in relazione all'utilizzo delle armi da fuoco (la norma si applica anche se la vittima sia un soggetto che partecipa all'attività medesima);
2. gestione di una pista di go-karts: è stata considerata pericolosa;
3. gestione di uno stadio: è stata considerata pericolosa;
4. gestione di un maneggio: è stata qualificata come attività pericolosa quando l'infortunio avviene al di fuori del maneggio ed il cavaliere sia inesperto o riguardi partecipanti ad un corso che siano giovani ed inesperti;
5. sci: in merito si registrano sentenze che lo configurano come attività pericolosa, altre ne negano la pericolosità;
6. sci nautico: la Corte di Cassazione lo ha qualificato come attività pericolosa;
7. alpinismo: alcune pronunce lo descrivono come attività pericolosa (corso per guida alpina),
8. gestione di una piscina: in merito la giurisprudenza non ha assunto un indirizzo concorde pronunciandosi per l'applicabilità e per la non applicabilità della norma.
E' necessario sottolineare come in ogni caso il concetto di attività pericolosa previsto dall'art.2050 del codice civile non valga ad individuare immutabilmente e definitivamente una categoria bene precisa di attività, ma comprende o quelle espressamente previste come tali dal legislatore o quelle che, in concreto e caso per caso, siano riconosciute tali dal giudice in quanto comportanti la rilevante possibilità del verificarsi di danni in relazione alla loro stessa natura o per la caratteristica dei mezzi adoperati. Le attività precedentemente indicate potrebbero pertanto non essere considerate pericolose nel caso concreto e - viceversa - attività non segnalate come tali potrebbero essere qualificate come attività pericolose.
Come può liberarsi dalla responsabilità il sodalizio sportivo?
Quando una attività viene considerata pericolosa chi subisce un danno conseguente al suo svolgimento per ottenere il risarcimento deve provare esclusivamente di aver svolto una attività sportiva considerata (o da considerare) pericolosa (ad esempio la circostanza di svolgere attività di equitazione per la prima volta senza alcuna forma di addestramento da parte dell'istruttore), il danno da lui subito (attraverso i referti medici risulta la fratturazione
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del braccio conseguente alla caduta da cavallo) ed il rapporto di causalità tra attività e danno subito.
Sarà il gestore del centro ippico, nel caso ipotizzato, a dover provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno e, quindi, eventualmente, l'assenza di tali possibili misure, non essendo sufficiente dimostrare di non aver violato alcuna norma di legge o di comune prudenza.
La prova liberatoria "non riguarda le modalità del fatto che ha cagionato il danno ma le modalità di organizzazione dell'attività pericolosa che devono apparire idonee a prevenire l'eventualità di eventi dannosi".
Può succedere che la vittima del danno abbia in qualche modo concorso con la sua condotta al verificarsi dell'evento: anche in questo caso sarà chiamato a risponderne il centro sportivo salvo il caso in cui il fatto del danneggiato (o del terzo) abbiano escluso in modo certo il nesso causale tra l'attività pericolosa e l'evento.
Permane invece la responsabilità dell'associazione quando questi comportamenti concorrano alla produzione del danno inserendosi una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l'insorgenza a causa dell'inidoneità delle misure preventive adottate.
Se gli allievi vengono messi a conoscenza dei rischi che possono incorrere nello svolgimento di quella pratica sportiva e ciò nonostante decidono di praticarla, l'associazione può ritenersi libera da eventuali responsabilità?
Ci si chiede se la preventiva accettazione dei rischi da parte dei partecipanti all'attività sportiva possa far venir meno la pericolosità insita in una determinata attività: in merito esistono pronunce difformi.
Il Tribunale di Perugia, si è infatti espresso in senso negativo mentre la Corte di Cassazione, relativamente all'attività agonistica, ritiene che il suo esercizio "implica l'accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni da essi eventualmente sofferti rientranti nell'alea normale ricadono sugli stessi, onde è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi".
Chi organizza l’attività (singolo professionista/centro sportivo) si libera da responsabilità se appone nei locali in cui viene svolta l'attività dei cartelli con cui espressamente si esenta da ogni responsabilità derivante dall'esercizio della pratica sportiva?
La Corte di Cassazione ha affermato che l'eventuale clausola di esonero della responsabilità per danni a favore del centro sportivo sarebbe efficace solo ed esclusivamente se inserita nel contratto stipulato tra il centro e l'atleta e specificatamente approvato per iscritto ai sensi dell'art.1341 c.c.
Si ritiene in ogni caso che una clausola del genere abbia una validità molto limitata in quanto la salute è un diritto di cui l'individuo non può disporre liberamente: secondo la Costituzione si tratta , infatti, di un "fondamentale diritto dell'uomo" ed un "interesse della collettività".
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E' infine importante sottolineare come detta clausola non possa esonerare da responsabilità il sodalizio per comportamenti imputabili a dolo o colpa grave.
Se il Personal Trainer lavora per un centro sportivo, questo può rivalersi sul proprio collaboratore?
No. La responsabilità ex art.2050 non è una responsabilità indiretta ma una responsabilità che investe direttamente il sodalizio. Dalla qualificazione di una attività come pericolosa consegue l'impossibilità per l'associazione di esercitare azione di regresso nei confronti dell'autore materiale del fatto dannoso (per esempio l'istruttore di alpinismo).
Il danno da cose in custodia. Attenzione agli attrezzi.
Diversa dalla responsabilità per le cose in custodia è quella derivante da un danno da cose in custodia disciplinata dall'art.2051 del codice civile ai sensi del quale "ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito".
In questo caso non ci troviamo di fronte ad una responsabilità contrattuale ma extracontrattuale derivante dal danno prodotto da una cosa quando "esiste una relazione tra la cosa ed il soggetto tale per cui si possa ritenere che a quest'ultimo incomba un dovere di controllo sulla stessa".
La responsabilità nasce in presenza dei seguenti presupposti:
1) il danno si deve verificare nell'ambito del dinamismo connaturato alla cosa o nello sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa;
2) deve sussistere un potere fisico di un soggetto sulla cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi.
Una volta dimostrata la presenza di questi presupposti, incombe su chi ha l'onere di custodire il bene una forma di responsabilità oggettiva.
Quale tipo di cosa può provocare il danno?
Purtroppo in materia non c'è uniformità di interpretazione.
C'è chi sostiene infatti che il bene deve avere una intrinseca attitudine a produrre danni mentre altri autori non attribuiscono valore alla distinzione tra cose pericolose e non pericolose. In ogni caso il danno deve essere causato dal dinamismo connaturato alla cosa o all'insorgere in essa di un evento dannoso perché non si configura questo tipo di responsabilità quando derivi dall'utilizzo della cosa da parte del custode né, tantomeno, quando derivi da un suo comportamento doloso o colposo (in questi casi troverà applicazione l'art.2043).
Cosa significa avere una cosa in custodia?
Il legislatore ha inteso responsabilizzare tutti i soggetti che - a qualunque titolo - hanno la disponibilità di un bene affinché si assicurino che la cosa non provochi danni a terzi.
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La responsabilità nasce in ragione della mera situazione del soggetto rispetto alla cosa.
È opportuno infine sottolineare come l'onere di custodia non varia in relazione alla natura del bene. Proprio in riferimento agli impianti sportivi si è espressa la Cassazione nell'affermare che "è giuridicamente irrilevante la affermata modestia dell'impianto sportivo, poiché l'obbligo di custodia o sussiste o non sussiste, non potendosi interpretare la norma nel senso che l'obbligo si affievolisce, fino ad annullarsi, in rapporto alle caratteristiche intrinseche della cosa". Ciò significa che l'onere di mantenere in buono stato un impianto sportivo prescinde dalla sua dimensione.
Come mi posso liberare dalla responsabilità?
Quando il soggetto leso dimostra il danno e la relazione tra il danno e la cosa in custodia sorge, in capo al custode, una responsabilità oggettiva. In particolare il custode potrà liberarsi da responsabilità (quindi non pagare) quando dimostrerà il caso fortuito ovvero "un fatto imprevisto ed imprevedibile, fuori dalle facoltà di conoscenza e controllo dell'uomo comprensivo anche della forza maggiore". Nell'ambito del concetto di "caso fortuito" viene fatto rientrare anche il fatto del terzo e del danneggiato. Il custode si libera pertanto dalla responsabilità anche quando la colpa sia da attribuire esclusivamente al danneggiato. Il comportamento del danneggiato deve costituire però causa esclusiva e deve interrompere il nesso di causalità tra la cosa - come viene custodita - ed il danno prodotto.
Se per esempio un giocatore di tennis mentre disputa una partita inciampa in una buca presente sul campo provocandosi una lesione, la presenza della buca dimostrerà una negligente custodia dell'impianto sportivo a nulla rilevando la circostanza che il giocatore avrebbe potuto facilmente constatare la sua presenza ed evitarla: in questo caso la condotta ha concorso alla realizzazione del danno ma non riveste il carattere dell'eccezionalità (il sodalizio poteva facilmente presumere che in presenza di una buca in un campo qualche giocatore sarebbe potuto cadere) e non interrompe il rapporto di causalità.
Quando il Personal Trainer collabora con un centro sportivo.
È prevista una particolare responsabilità in capo al centro sportivo per i danni conseguenti al comportamento doloso o colposo di un proprio collaboratore: è la c.d. una responsabilità solidale di cui all'art.2049 del codice civile.
La norma in esame prevede, infatti, che "i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti".
Detta responsabilità indiretta si configura in presenza dei seguenti presupposti:
a) deve sussistere un rapporto di occasionalità tra le incombenze assegnate ai collaboratori ed il loro illecito: ciò significa che l'illecito deve essere posto in essere nello svolgimento dell'attività che costituisce oggetto del rapporto con l'ente. Ci si interroga sulla possibilità di riconoscere la responsabilità indiretta quando il comportamento del collaboratore sia stato doloso: secondo alcuni autori tale circostanza farebbe venir meno il rapporto di occasionalità ma esiste un orientamento giurisprudenziale (attualmente prevalente) che la ritiene sussistente anche "in presenza
127
di una condotta dolosa del dipendente, che abbia deviato dalle mansioni o istruzioni assegnate".
b) deve sussistere un rapporto di preposizione tra l'associazione ed il collaboratore. Detto rapporto sussiste nell'ipotesi di lavoro subordinato ma anche nel caso di lavoro autonomo quando, però, il collaboratore sia mero esecutore di un incarico affidato dal committente. Tale presupposto sembrerebbe richiedere l'instaurazione di un rapporto di lavoro tra l'ente e colui che pone in essere la condotta illecita ma alcune sentenze ritengono sussistente detta responsabilità anche quando non ci sia un rapporto contrattuale ma un semplice rapporto di fatto che leghi i due soggetti purché l'adempimento dell'incarico abbia reso possibile o comunque abbia costituito occasione per la produzione del danno e purché ci sia una forma di controllo da parte di chi viene assimilato al datore senza che rilevi la natura o la qualifica del rapporto effettivamente intercorrente tra il sodalizio e l'istruttore.
Tutto ciò premesso, il centro sportivo potrà essere chiamato a rispondere nell'ipotesi in cui qualcuno subisca un danno conseguente al comportamento negligente (o anche doloso) dell'istruttore in solido con lo stesso..
Il centro sportivo è responsabile anche quando la condotta dell'atleta abbia concorso in qualche modo alla produzione del danno?
Ci si interroga sulla possibilità o meno per il sodalizio di non dover risarcire il danno provocato per esempio al socio che partecipa al corso di tennis quando questo dipenda in qualche misura dalla condotta imprudente del ragazzo.
In merito è interessante la pronuncia del Tribunale di Roma la quale riconosce una responsabilità in capo ad una associazione per i danni subiti da un minore affidato ad un istruttore preposto allo svolgimento di attività parascolastiche di natura educativa e sportiva, rientrante nello scopo sociale dell'associazione, anche se i danni stessi siano dipesi da un comportamento imprudente dello stesso minore, sempre che sia ravvisabile una colposa omissione di sorveglianza da parte dell'istruttore.
Il sodalizio è responsabile per i fatti illeciti posti in essere dai propri collaboratori anche quando non esiste un rapporto di lavoro - subordinato o autonomo - tra il sodalizio ed il collaboratore e questi percepisce il semplice rimborso delle spese?
La risposta potrebbe essere affermativa qualora prevalesse la tesi secondo la quale la responsabilità di cui all'art.2049 si fonda sul rapporto di fatto che lega sodalizio a collaboratore per cui questi opererebbe nell'interesse del sodalizio svolgendo una prestazione lavorativa gratuita.
Alcune sentenze hanno evidenziato come essenziale sia la sussistenza di un potere di controllo e di vigilanza: il Tribunale di Monza, per esempio, ha affermato oltre la responsabilità del maestro di tennis quella solidale del gestore del centro sportivo in quanto questi, oltre ad essere l'organizzatore del corso di tennis, richiedeva all'istruttore una relazione mensile sull'attività espletata esercitando così un potere di vigilanza.
128
Come può liberarsi da responsabilità il sodalizio sportivo?
Il sodalizio sportivo per potersi liberare dalla responsabilità derivante da illecito posto in essere da proprio collaboratore dovrà dimostrare l'inesistenza dei presupposti di applicazione dell'art.2049 c.c.. Sarà pertanto onere dell'associazione provare che il vincolo tra il sodalizio e l'agente non abbia costituito occasione per la produzione dell'evento dannoso e che il fatto sia stata espressione dell'autonomia privata dell'agente.
Come può tutelarsi il sodalizio sportivo?
La responsabilità prevista dall'art.2049 del c.c. ha carattere di responsabilità oggettiva: il sodalizio è gravato dall'obbligo di risarcire il danno a prescindere da una sua colpa in virtù della circostanza che un proprio collaboratore ha posto in essere una condotta dannosa in costanza ed in occasione del rapporto di collaborazione. Il sodalizio - risarcito il danno - ha però la possibilità di esercitare azione di regresso nei confronti del collaboratore. Ciò significa che potrà richiedere a questi la restituzione - anche integrale - di quanto versato.
129
La tutela sanitaria
Sul fronte della tutela sanitaria nell’esercizio dell’attività sportiva, bisogna rilevare l’assenza di un obbligo generalizzato a sottoporsi ad una visita medica intesa ad accertare lo stato di salute in relazione all’attività sportiva che si intende praticare.
Il nostro legislatore, infatti, contempla esclusivamente i seguenti adempimenti:
1. obbligo di sottoporsi ad accertamenti clinici e diagnostici per coloro che partecipano ai Giochi della Gioventù nella fase nazionale nonché, semestralmente, per gli sportivi professionisti, ovvero “gli atleti (..) che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal C.O.N.I. e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI” (ai sensi della Legge n°91 del 23.03.1981),
2. obbligo di sottoporsi, con periodicità annuale, a visita medica intesa ad accertare il buon stato di salute per gli alunni che svolgono attività organizzate dagli organi scolastici nell’ambito delle attività parascolastiche, per coloro i quali svolgono attività organizzate dal CONI o da società sportive affiliate alle Federazioni sportive nazionali o agli Enti di promozione sportiva riconosciute dal CONI nonché per coloro che partecipano ai Giochi della Gioventù nelle fasi precedenti quella nazionale (ai sensi del Decreto del Ministero della Sanità 28.02.1983).
L’attività del Personal Trainer si connota per la personalizzazione della prestazione e quindi per la possibilità di operare una seria ed attenta valutazione del percorso di training da adottare riguardo alle esigenze dell’utente ed alle condizioni fisiche del medesimo. Risulta però indispensabile ricordare che l’accertamento delle condizioni fisiche non dovrà mai tradursi nell’esercizio di attività medica (essendo riservata, quest’ultima, esclusivamente a liberi professionisti iscritti all’albo ovvero a dipendenti di pubblica amministrazione o altro ente), e l’esercizio dell’attività non potrà mai includere prestazioni fisioterapiche o massioterapiche (essendo riservate a chi abbia conseguito la relativa laurea breve). Nell’ipotesi in cui ciò si verifichi troverà applicazione l’art.348 del codice penale ai sensi del quale “chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una specifica abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a un milione” essendo irrilevanti la perizia, la capacità, l’abilità nonché l’esito positivo delle cure praticate dalla persona non abilitata. La Giurisprudenza è unanime inoltre nello stabilire che ricorre lo svolgimento abusivo dell’attività medica, tutte le volte in cui si compia una valutazione sullo stato fisico dell’utente.
Fatte queste premesse, si ritiene opportuno avvalersi della collaborazione di un medico sportivo per operare una valutazione diagnostica sullo stato di salute dell’utente affinché sia garantita l’idoneità del singolo al percorso di training e la strumentalità dell’attività ad un miglioramento delle condizioni fisiche del medesimo.
atural Body Building Federation
Corso di III° livello (Personal Trainer)
AALISI CLIICHE
A cura Tecnico di laboratorio e preparatore atletico del team
YAMAHA De Carli Racing Daniele Zamò
WWW.BBF.IT WWW.OLYMPIA.IT
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131
AALISI CLIICHE
Le nuove tecniche di allenamento, l'alimentazione sempre più curata, l'integrazione in
continua evoluzione, hanno aiutato tutti noi a raggiungere una forma migliore e una salute con
fondamenta più solide.
Questo per la stragrande maggioranza delle persone è tutto quello che serve per curare il
proprio aspetto e condurre una vita migliore, ma a volte per professionisti di qualsiasi sport o
amatori di livello superiore o soltanto per persone più scrupolose di altre, "guardare" il
proprio corpo dall'interno diventa una esigenza di fondamentale
importanza. Le analisi del sangue eseguite regolarmente possono
dare delle chiarissime indicazioni sullo stato del nostro corpo e
di conseguenza ci dicono se il nostro programma di
allenamento-alimentazione-integrazione, ci stà portando
nella giusta direzione o no.
Lasciando sempre decidere quali analisi fare e la loro
interpretazione al proprio medico di fiducia, è possibile
indicare quali sono i dosaggi di routine più comuni e basilari
per gli sportivi dividendoli in tre tipologie:
Principiante: l'atleta amatore all'inizio del suo programma di allenamento o persone che si
allenano in modo leggero e infrequente e che si alimentano in maniera tradizionale.
Avanzato: l'atleta che si allena pretendendo dei risultati evidenti dal proprio programma di
allenamento e che fa uso di integratori alimentari.
Professionista: L'atleta che fa del suo sport un lavoro, che vive per migliorare la propria
performance allenandosi intensamente e curando la propria alimentazione e integrazione
esclusivamente per raggiungere il massimo risultato.
.
132
Questi sono dei protocolli indicativi sulle analisi da fare:
Analisi cliniche consigliate per atleti di livello Principiante
Ematologia:
• Emocromo completo
• Sideremia
• Ves Prove di funzionalità epatica
• Bilirubina totale
• Bilirubina diretta
Esami enzimatici
• Transaminasi GOT
• Transaminasi GPT
• Gamma Gt
Esami ematochimici
• Azotemia
• Glicemia
• Creatinina
• Uricemia
• Proteine Totali Elettroliti
• Sodio
• Potassio
• Cloro
Quadro lipidico
• Colesterolo totale
• Trigliceridi Urine
• Esame urine completo
.
133
Analisi cliniche consigliate per atleti di livello Avanzato
Ematoloqia:
• Emocromo completo
• Sideremia
• Ves
• Transferrina totale
Metabolismo del ferro
• Ferritina Prove di funzionalità epatica
• Bilirubina totale
• Bilirubina diretta
Esami enzimatici
• Transaminasi GOT
• Transaminasi GPT
• Gamma gt
• CK-NAC
• LDH-L
• Amilasi
• Fosfatasi alcalina
Esami ematochimici
• Azotemia
• Glicemia
• Creatinina
• Uricemia
• Proteine totali
• Protidogramma
Elettroliti
• Sodio
• Potassio
• Cloro
• Calcio
• Fosforo
• Magnesio
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Quadro lipidico
• Colesterolo totale
• Trigliceridi
• Colesterolo HDL
• Colesterolo LDL
• Esame urine completo
Analisi cliniche consigliate per atleti di livello Professionista
Ematologia: • Emocromo completo
• Sideremia
• Ves
• Transferrina totale
Metabolismo del ferro
• Ferritina
Prove di funzionalità epatica
• Bilirubina totale
• Bilirubina diretta
Esami enzimatici
• Transaminasi GOT
• Transaminasi GPT
• Gamma gt
• CK-NAC
• LDH-L
• Amilasi
• Fosfatasi alcalina
Esami ematochimici
• Azotemia
• Glicemia
• Creatinina
• Uricemia
• Proteine totali
• Protidogramma
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Elettroliti
• Sodio
• Potassio
• Cloro
• Calcio
• Fosforo
• Magnesio
Quadro lipidico
• Colesterolo totale
• Trigliceridi
• Colesterolo HDL
• Colesterolo LDL
Esami Ormonali • FSH
• L H
• Testosterone
• Prolattina
• Insulina
• D4 androstenedione
• DHEA-S
• GH
• Cortisolo
• T3
• T4
• TSH
• Ft3
• Ft4
Urine • Esame urine completo
Nel caso in cui l'atleta debba assumere grandi quantità di carboidrati ad alto indice
glicemico (Creatina con sistema di trasporto ), è consigliabile approfondire il profilo
glicemico ed insulininemico. Una rapida descrizione della funzione di queste analisi chiarirà
molto la loro importanza:
L’ Emocromo o esame emocromocitometrico, consiste nella conta e nello studio delle
cellule che compongono il sangue e il loro rapporto con la parte liquida dello stesso (Plasma).
.
136
Con questo esame riusciamo a vedere la situazione dei Globuli Rossi, Emoglobina, Globuli
Bianchi, Piastrine, Ematocrito.
Questi sono i parametri dell'emocromo che ci interessano di più:
I globuli rossi, se troppo bassi, indicano sicuramente una stato di forma non buona, molto
spesso accompagnati da un calo di emoglobina e di ematocrito (rapporto tra cellule e plasma).
l calo di questi parametri è molto spesso dovuto ad una scarsa alimentazione o ad un
eccesso di allenamento non integrato a dovere.
La patologia legata al questi fattori ma con un considerevole calo della Sideremia
(ferro) si chiama Anemia e i suoi sintomi sono molto chiari: calo generale delle prestazioni
dell'atleta, svogliatezza e deconcentrazione. Il calo di emoglobina non permettendo un buono
scambio di ossigeno essendo
proprio questo il suo compito,
accentua molto il calo
prestazionale quindi una
alimentazione ricca proteine e di
ferro è un buon consiglio per chi
soffre di anemia, ma anche una
buona integrazione con vitamina C
e B12 aiuta molto.
La Ves o velocità di
eritrosedimentazione indica se c'e
in atto uno stato infiammatorio.
Passando alla funzionalità epatica,
cruccio di tutti gli atleti, partiamo
dalla Bilirubinache indica un’
eccessiva circolazione di bile e
quindi uno stato di disagio da parte
del fegato. Arrivando alle
importantissime Transaminasi e
Gamma gt: Le Transaminasi GOT
o Aspartato Aminotrasnferasi (AST) è un enzima largamente diffuso nei nostri tessuti in
questo ordine di concentrazione: il miocardio, il cervello, il fegato, il muscolo scheletrico, nei
globuli rossi e in quantità piccolissima nel plasma.
La localizzazione della Ast spiega come questo enzima aumenti nel siero (le analisi si
eseguono quasi tutte sul siero escluso I'emocromo ), talvolta in modo notevolissimo nelle
affezioni interessanti miocardio e il fegato, soprattutto se queste affezioni sono caratterizzate
da necrosi cellulare e quindi nell’ infarto e I' epatite virale.
Ma aumentano anche in caso di lesione muscolare essendo presente in buona
concentrazione anche nei muscoli, un pesante allenamento prima delle analisi può falsare
questo valore. Le Transamina GPT o Alanina aminotransferasi (ALT) è molto simile alla Ast
ma molto più concentrata nel fegato, quindi mette in luce anche un piccolo danno epatico.
La Gamma Gt o Gamma Glutammil transpeptidasi è sempre un enzima presente nel
fegato reni ed aumenta nel siero sempre nelle affezioni epatiche.
.
137
Tra gli esami chimici troviamo poi I' Azotemia, Glicemia, Creatinina. Con il termine
Azotemia si intende la quantità di azoto non proteico presente nel plasma o nel siero; un
aumento di questo parametro indica che i reni non riescono ad eliminare l'azoto e di
conseguenza si concentra nel sangue. Il suo aumento nel sangue è poi favorito da tutte quelle
circostanze nelle quali viene esaltato il catabolismo proteico (liberazione di azoto).
La creatinina è un prodotto del metabolismo del tessuto muscolare viene eliminata con
le urine e fa parte delle sostanze azotate non proteiche, la sua indicazione è simile a quella
dell'azotemia. La Glicemia è la quantità ai glucosio nel sangue, importantissimo per valutare
il metabolismo glucidico dell'atleta.
Nell'alimentazione e nell'integrazione questo valore è di fondamentale importanza per
raggiungere il target desiderato. Anche il valore delle Proteine Totali è molto indicativo per lo
stato di nutrizione.
Attenzione tutti questi valori possono alterarsi anche per gravissime patologie,
quali leucemie o tumori, quindi se vi chiedono di leggere le analisi evitatelo e
indirizzateli alloro medico di fiducia perche’a volte delle minime sfumature
impossibili da notare per una persona normale, un medico può notare e
prevenire o curare problemi a volte anche molto gravi.
Tornando ai nostri atleti, se tutti questi valori sono nella norma, possiamo proseguire
con uno studio degli elettroliti (sodio,potassio,magnesio ecc.) di fondamentale importanza
nella contrazione muscolare e per le funzioni nervose. Anche questi valori se sbilanciati
indicano un problema renale e alimentare. Il quadro lipidico è ottimo per valutare i rischi
cardiovascolari o bilanciare l’ alimentazione.Spostandoci sull’ atleta professionista entrano in
gioco delle analisi molto importanti e a volte più costose, che ci servono per valutare
esattamente il suo livello di performance. Il CPK o creatina fosfochinasi è un enzima entra in
gioco nella produzione energetica ed è presente in grandissima quantità nel tessuto muscolo-
scheletrico; un suo aumento è normale In caso dl Integrazione con creatina o in presenza di
allenamento ad alta intensità con grave danneggiamento delle cellule muscolari, in mancanza
di questi fattori è indicativo di un danno muscolare generico e se si tratta di una persona che
si allena a bassissima intensità indica un danno cardiaco (a volte è l'unico modo per
individuare un piccolo infarto silente ).
Arriviamo ora all'apparato endocrino del nostro atleta; come sappiamo gli ormoni
sono quelle sostanze che regolano e condizionano tutte le funzioni del nostro corpo, dalla
crescita fisica a quella genitale, dal nostro ritmo metabolico alla utilizzazione di sostanze
nutritive (zuccheri). Questi valori possono subito farci rendere conto delle potenzialità o della
predisposizione genetica dell’atleta. Il testosterone e LH sono due ormoni importantissimi per
ogni atleta, l’ Lh è prodotto dall' ipofisi e stimola i testicoli nell' uomo e le ghiandole surrenali
nella donna a produrre testosterone, ormone di conosciuta importanza per lo sviluppo della
forza e della massa muscolare. Nella donna il discorso è molto più complesso visto che la loro
produzione ormonale varia in base al periodo del ciclo. La giusta quantità di testosterone oltre
che a regolare le funzioni dell'apparato riproduttore ci aiuta a recuperare più in fretta dopo un
allenamento e quindi ci porta indubbiamente verso una performance migliore. Assumere
testosterone sbilancia o sopprime del tutto la nostra produzione ormonale rendendo molto
saltuaria e poco duratura la nostra forma fisica oltre che ad essere tra i principali incriminati di
sterilità e tumori (n.d.a.). Il Cortisolo, altro importantissimo ormone, è di grosso aiuto per
valutare lo stato di stress del nostro corpo, esso infatti aumenta negli stati di
superallenamento fungendo al contrario del testosterone da ormone catabolico distruggendo
tutto il lavoro fatto. Anche gli ormoni tiroidei sono molto indicativi dello stato del nostro
metabolismo, infatti il T3 e il Tsh sono molto influenzati dalla nostra vita, una alimentazione
.
138
ridotta ad esempio porta ad una diminuzione delle nostre funzioni tiroidee diminuendo il
consumo energetico e prevenendo un eccessivo catabolismo. Un buon allenamento, meglio se
intenso, stimola questa produzione, aiutandoci a mantenerci energici e scattanti.
Infine l’ insulina amata e odiata per le sue funzioni anaboliche in tutti i sensi (anche
per il grasso) è indispensabile per la sintesi degli zuccheri, permette il trasporto di questi
ultimi proprio nella cellula dove vengono utilizzati a scopo energetico. Grazie ad essa
riusciamo ad allenarci intensamente ma di contro ha il fatto che alti livelli di insulina rendono
vano ogni tentativo di perdita di grasso proprio perche finche le nostre cellule ricevono grazie
a lei zuccheri, il nostro corpo non ha bisogno di scomporre il grasso per vivere. La
produzione di insulina viene infatti stimolata dall'assunzione di carboidrati, molto se sempljci,
poco se complessi. Questo meccanismo è importantissimo da conoscere per raggiungere un
qualsiasi risultato in fatto di perdita di grasso. Questa piccola spiegazione sulle analisi deve
essere di aiuto per comprendere meglio il funzionamento del nostro corpo e per evitare di
consigliare persone con elevati livelli di glicemia ad assumere creatina - con destrosio, le
uccideremmo! Niente di più... le cose difficili lasciamole a chi sa molto più di noi.
N.B.: l valori normali delle analisi spesso variano tra un laboratorio e un altro, quindi
ricordate sempre di controllarli per evitare di interpretare alterato un valore perfettamente
nella norma!
Alcuni utili consigli:
Per quanto riguarda persone sane e senza patologie in atto un aumento dell’ Azotemia
può essere causato da un' eccessiva assunzione proteica, basterà ridurla e bere di più per
ripristinare i valori normali. Per il Cpk e creatinina in fase di uso di creatina e normale un
leggero aumento iniziale che si stabilizza in pochi giorni comunque su un valore medio alto,
sospendetela ogni circa otto settimane per almeno due o tre. Una carenza di ferro se non
patologica può essere migliorata assumendo Vitamina C con un pasto proteico. Se i vostri
elettroliti sono bassi bevete un'acqua ricca di sali minerali, e' comunque cambiatela ogni circa
due mesi eviterete di andare in carenza di qualche elettrolita solo perchè quel tipo di acqua ne
contiene poco, un'altra ne conterrà di più. Se il vostro Cortisolo è alto... RIPOSATEVI! Se il
vostro testosterone è basso non assumetene, peggiorerete la situazione, allenatevi
intensamente. ..molto intensamente. ..salirà. Se il vostro T3 è sotto le scarpe, mangiate ogni
tanto dei carboidrati!!! Se il vostro fegato è pezzi...i motivi potrebbero essere molti...forse
mangiate da Mac Donald? Bevete alcolici? Non fatelo! Lo stesso se il problema se il
problema è il colesterolo.
Se è tutto nella norma buon allenamento e buone analisi!
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atural Body Building Federation
Corso di III° livello (Personal Trainer)
PICCOLI ATTREZZI PER IL PERSOAL
TRAIER
A cura della Prof. Carla Filippucci
WWW.BBF.IT WWW.OLYMPIA.IT
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140
Spesso un Personal Trainer deve esser in grado di padroneggiare con sufficiente disinvoltura
sia l'allenamento in sala pesi che quello con l'utilizzo dei piccoli attrezzi. Scopo di questo
paragrafo è appunto quello di dare delle nozioni di base
sull'utilizzo di quelli che vengono chiamati gli attrezzi
dell'HOME FITNESS. Spesso come PT ci troviamo di fronte a
persone alle volte intimorite dalla sala pesi, o a persone che
hanno paura a fare "pesi" o ancora a persone così a digiuno di
allenamento che hanno bisogno di risvegliare la muscolatura
con attività meno traumatiche dei pesi. Alle volte è anche
possibile che vi si chieda una lezione in casa, e una delle
proprietà dei piccoli attrezzi è che sono facilmente trasportabili
e hanno un basso costo.
E' IMPORTANTE PER IL PT CONOSCERE
SIA L'ATTREZZO CHE IL SUO MODO DI
UTILIZZO. DEVE PROVARE PRIMA DI
PRESCRIVERE.
Solo in questo modo si potranno capire i
meccanismi, le precauzioni da prendere e i
benefici degli esercizi specifici.
Abbiamo una grande varietà di piccoli attrezzi:
-PICCOLI MANUBRI ( 1-3 KG. )
-BODY BAR
-TUBI ELASTICI
-DYNABAND
-CORDA DA SALTO
-CAVIGLIERE PESANTI
C'è un altro attrezzo che non viene catalogato tra
i piccoli attrezzi ma che tra gli attrezzi dell'home
fitness è molto usato: lo STEP .
Lo step è una pedana regolabile in altezza che
può essere utilizzata sia per introdurre un
allenamento di tipo cardiovascolare sia un
allenamento di forza o resistenza. Può essere
utilizzato con qualsiasi dei piccoli attrezzi che
abbiamo elencato, sia come attrezzo di riporto
( cioè usato non propriamente) sia come STEP
vero e proprio. Se i clienti che si allenano a casa
non hanno la possibilità di avere macchinari per
.
141
il cardiofitness, lo step può essere facilmente utilizzato allo scopo. In questo caso però ci sono
delle linee guida che si devono necessariamente conoscere prima di far salire il cliente
sull'attrezzo. ( Regolazione dell'altezza della pedane in base a quella della persona -Appoggio
corretto del piede - Movimenti controindicati -ecc. )
LA COREOGRAFIA SULLO STEP O E' L'OBIETTIVO DI U PT.
I movimenti di base spiegati uno ad uno si adattano meglio al lavoro del PT , Lo step può
anche essere usato come panca in tutti gli esercizi di tonificazione con i piccoli attrezzi in cui
necessita appunto l'aiuto di una panca
ELASTICI
Passiamo a esaminare ora il lavoro con gli elastici. Sono di gran lunga l'attrezzo più
economico e versatile nel panorama dell'home fitness e hanno il grande pregio di fare in modo
che sia il cliente stesso a regolare l'intensità e I'impostazione del carico. L'elastico si dimostra
quindi molto funzionale, adattabile
alla diverse esigenze e sicuro nella
prevenzione del sovraccarico ,
NON SI TRATTA QUINDI DI UNA
ATTREZZATURA ISOTONICA IN
QUANTO IL CARICO E'
PROGRESSIVAMENTE
CRESCENTE E COME DIRETTA
CONSEGUENZA
L'ACCELERAZIONE DEL
MOVIMENTO VIENE LIMITATA
FORTEMENTE.
AI contrario nel contromovimento si
verifica invece una progressiva
riduzione del carico e ne consegue
una decelerazione progressiva con
minimo sforzo muscolare di tipo
eccentrico.
La realizzazione di maniglie,
cavigliere e agganci permette
l'adattabilità completa a qualsiasi situazione e a qualsiasi ambiente per un serie pressochè
infinita di esercitazioni diverse.
La BODY BAR la possiamo trovare di diverse tipologie e diversi pesi, in genere va dai 2 ai 5
kg. E' una sbarra che ricorda un po' l'asta di un bilanciere e viene spesso usata proprio con
quei principianti che hanno bisogno di concentrarsi sulla tecnica .
.
142
I piccoli MAUBRI vengono usati negli esercizi
di tonificazione più comuni e possono diventare
parte integrante di un programma di allenamento
sia in casa che in palestra. E' da tener presente
come sia molto più facile apprendere corrette
tecniche di esecuzione con manubri più leggeri .
Esercizi per quasi tutti i gruppi muscolari possono
essere eseguiti con i piccoli manubri.
.
171
atural Body Building Federation
Corso di II° livello (Personal Trainer)
WWW.BBF.IT WWW.OLYMPIA.IT
IL CARDIOFITNESS
DOTT. Pablo Fernández Gálvez.DOTT. Pablo Fernández Gálvez.Laureato in "Ciencias de la Actividad Física y el Deporte” Laureato in "Ciencias de la Actividad Física y el Deporte”
Università di Granada (Spagna)Università di Granada (Spagna)--Specializzato in “Alto rendimento sportivo”Specializzato in “Alto rendimento sportivo”--Allenatore Nazionale di Atletica LeggeraAllenatore Nazionale di Atletica LeggeraMaster in Metodologia Dell’AllenamentoMaster in Metodologia Dell’Allenamento
.
172
1.- Principi generali del Cardiofitness.
La parola “Cardiofitness” è formata da due termini:
1. Cardio: si riferisce all’ apparato cardiovascolare ed alle sue due importantissime funzioni: la prima è quella di rifornire continuamente i tessuti di ossigeno e sostanze varie indispensabili al metabolismo, la seconda è quella di rimuovere i prodotti del metabolismo stesso.
2. Fitness: che vuol dire efficenza fisica; si ha quando il complesso delle capacità fisiche
dell’individuo gli permettono di sostenere un lavoro di una certa intensità.
Il Cardiofitness (CF) è pertanto tutto quel lavoro fisico sistematizzato, organizzato ed orientato al miglioramento della capacità cardiovascolare del nostro organismo, cioè al miglioramento della prestazione organica dell’individuo (Fernández Gálvez, P. 2002) Ciò si ottiene, in una prima fase, attraverso:
• esercizi di lunga durata • esercizi svolti a bassa intensità.
Il Cardiofitness viene usato principalmente per: a) Il Riscaldamento: perchè è un mezzo ottimo per preparare l’organismo a svolgere una successiva attività in palestra. b) La fase di defaticamento: dopo una seduta intensa di allenamento, per aiutare l’organismo a metabolizzare più velocemente l’acido lattico e i metaboliti prodotti durante essa. c) Il miglioramento della capacità aerobica: principalmente, attraverso il miglioramento dell’efficienza del sistema trasporto - utilizzo dell’ossigeno e della capacità ossidativa degli acidi grassi. d) Il miglioramento della capillarizzazione del muscolo: l’esercizio di bassa intensità e lunga durata, riesce ad aumentare i capillari sanguigni e quindi a migliorare l’efficenza del trasporto di ossigeno e dei nutrienti al muscolo. e) Il controllo della pressione arteriosa: è ormai noto che l’attività fisica e sopratutto quella aerobica siano il miglior mezzo per controllare ed abbassare significativamente la pressione arteriosa (soprattutto in soggetti ipertesi), tanto quella sistolica come quella diastolica, a riposo e sotto sforzo. Questo avviene grazie anche alla diminuzione della massa grassa nell’organismo. f) Il controllo della massa grassa corporea: poichè l’energia che utilizza il muscolo per svolgere questa attività deriva soprattutto dall’ ossidazione degli acidi grassi. g) Il dimagrimento: in quanto ci permette di bruciare molte calorie, in tempi prolungati, in particolare quelle che provengono dall’ ossidazione degli acidi grassi. h) La tonificazione: perchè è un’attività che comprende esercizi dove si stimolano grandi gruppi muscolari: ad esempio, tutti muscoli degli arti inferiori (il tappeto, lo step) o quelli degli arti superiori (Top, Row) oppure entrambi (simulatore dell’ arrampicata) i) Altri: svago e distensione mentale, socialilizzazione, aumento dell’ auto-consapevolezza e della fiducia in se stessi.
Inoltre, il Cardiofitness ha il vantaggio di tenere sotto controllo soggetti con patologie di tipo cardiovascolare, non solo per le caratteristiche già dette in precedenza ma anche perchè solitamente è svolto con apparecchiature che permettono il controllo della frequenza cardiaca (F.C.) al minuto, cioè
.
173
i battiti del cuore per minuto misurati in bpm. Così viene monitorizzato lo sforzo fisico e programmato in maniera individuale.
Il Cardiofitness quindi diventa un mezzo importantissimo di lavoro per qualsiasi tipo di obiettivo, offrendo sicurezza e mezzi efficaci di controllo dell’attività che allo stesso tempo stimolano e motivano durante la seduta di allenamento. 2.- Conseguenze del Cardiofitness sul piano fisiologico.
L’obiettivo principale dell’ allenamento è quello di indurre adattamenti biologici stabili nell’organismo. Questi adattamenti però si raggiungono seguendo programmi molto precisi e finalizzati. La prima caratteristica dell’allenamento di Cardiofitness è quella di essere di tipo aerobico orientato quindi al miglioramento dell’efficienza del sistema trasporto - utilizzo dell’ossigeno. Le principali modificazioni indotte dall’ allenamento “Cardiofitness” sono le seguenti: A) Adattamenti metabolici: miglioramento del metabolismo ossidativo attraverso:
• Aumento della dimensione e del numero dei mitocondri. • Aumento di circa il doppio della concentrazione degli enzimi nella via ossidativa. • Aumento della capacità del tessuto muscolare di mobilizzare, liberare e ossidare i grassi. • Maggior capacità di ossidare carboidrati. • Stimolo degli adattamenti metabolici in ogni fibra muscolare. • Sviluppo di un’ipertrofia specifica delle fibre sottoposte a sovraccarico funzionale da
allenamento aerobico. b) Adattamenti cardiovascolari e respiratori: i sistemi cardiovascolare e respiratorio sono funzionalmente connessi alla fase metabolica cellulare, pertanto non è sorprendente che si manifestino adattamenti specifici in seguito ad allenamento aerobico.
• Aumento della dimensione del cuore: peso e volume. • Aumento del volume plasmatico e quindi miglioramento della funzione di trasporto del sangue,
risultando utile nel processo di termoregolazione durante il lavoro muscolare. • Diminuizione della frequenza cardiaca con carichi di lavoro submassimali. • Aumento della gittata pulsatoria sia a riposo sia durante il lavoro muscolare. • Aumento della gittata cardiaca massimale • Aumento della capacità di estrazione dell’ossigeno dal sangue • “Regolazione distrettuale” del flusso di sangue: un soggetto allenato è in grado di sostenere un
lavoro submassimale con una gittata cardiaca inferiore rispetto al soggetto non allenato. • Aumento del flusso di sangue massimale nei muscoli durante lavoro. • Riduzione della pressione sistolica e diastolica per carichi di lavoro submassimali. • Aumento della capacità ventilatoria parallelamente al massimo consumo di ossigeno.
C) Altri Adattamenti:
• Variazioni della composizione corporea: induce infatti una riduzione della massa grassa e un aumento della massa magra.
• Rende la funzione di termoregolazione più efficente e più economica ed evita l’ipertermia. • Modificazioni prestazionali derivanti dalle modificazioni funzionali già descritte. • Vantaggi sul piano psicologico: riduzione dello stato di ansia, della depressione, degli
atteggiamenti neurotici ed è quindi un supporto nel trattamento medico della depressione; provoca un miglioramento dell’umore, dell’autostima e una riduzione dei vari indici di stress. (Tabella 1)
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3.- L’attrezzatura per il Cardiofitness.
La caratteristica più importante comune a tutti gli attrezzi di Cardiofitness è quella di essere dei simulatori di gesti motori ciclici, come per esempio per la corsa o per la camminata, senza tuttavia riprodurre il gesto motorio perfettamente. Altra caratteristica tipica comune è quella di “staticità” qui intesa come assenza di movimento nello spazio, non avendo gli attrezzi la capacità di muoversi, non sono soggetti a condizioni esterne come la resistenza dell’aria, la qualità del terreno, etc. Ecco perchè, l’attrezzatura per il Cardiofitness dovrà essere in grado di offrire una buona stabilità e robustezza per creare una solida base di appoggio al corpo in movimento. Gli attrezzi più in uso, per il Cardiofitness, si possono classificare in:
• Cicloergometro (o Bike) • Cicloergometro orizzontale (o Bike reclinata) • Nastro Trasportatore (o Tapis Roulant) • Simulatore di Scalini (o Step) • Vogatore (o Rowing Machine) • Altri
3.1.- Il Cicloergometro.
Si tratta del più comune fra gli attrezzi aerobici, inanzitutto perchè è quello di più facile approccio. Il Cicloergometro rappresenta l’attrezzo più adatto nelle fasi di avvicinamento al Cardiofitness poichè il gesto motorio del pedalare, risultando di semplice esecuzione, permette di concentrare l’attenzione sul ritmo e sulla giusta intensità. Inoltre permette di “scaricare” una parte del peso del corpo durante l’esercizio grazie alla posizione seduta; questa caratteristica unita alla semplicità del gesto, fa del Cicloergometro uno strumento efficacissimo per tutti coloro che abbiano problemi di peso, inattività o patologie varie. A livello muscolare, il Cicloergometro garantisce un discreto livello di tonificazione per la muscolatura degli arti inferiori (quadricipite, glutei, ischio-crurali, gastrocnemio, tibiali, tra i più importanti). E’ un attrezzo quindi che usato correttamente, nel rispetto della giusta postura e con l’adeguata intensità, ha pochissime controindicazioni rappresentate da quelle situazioni in cui il medico ne vieti l’utilizzo per motivi specifici. I principali gruppi di persone che possono trarre beneficio da un programma di Cardiofitness da svolgere sulla Bike sono:
• Tutti i soggetti che si trovano in uno stato normale di salute ed in discreta forma fisica. • Coloro il cui obiettivo sia il dimagrimento. • Persone con un livello di forma fisica molto basso. • Individui in forte sovrappeso. • Soggetti con problemi circolatori agli arti inferiori. • Soggetti che abbiano controindicazioni a lavorare con un carico completo (artrosi o instabilità
articolare a livello degli arti inferiori). • Persone con patologie che limitano l’autonomia nella deambulazione (es. soggetti molto
anziani) • Soggetti cardiopatici nei casi in cui sia consentita la pratica di attività aerobica da parte del
medico.
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175
90º
120º
270º
• Ciclisti in fase di preparazione invernale che necessitano di un’attività alternativa a quella all’aperto.
Come già abbiamo detto prima, tutti gli esercizi orientati al Cardiofitness presuppongono tempi prolungati di lavoro; ecco perchè si rende necessaria una postura che sia il più possibile corretta e funzionale. Gli aspetti più rilevanti al tal fine sono:
1. La posizione corretta della sella. 2. La posizione di appoggio sul manubrio.
La posizione corretta della sella permette una pedalata fluida, senza eccessivi sforzi a carico del ginocchio. Una posizione troppo bassa della sella (e quindi una pedalata a ginocchio troppo flesso) può risultare dannosa per il ginocchio stesso e produrre, inoltre, una perdita della efficacia della pedalata per due importanti motivi: il primo perché si oltrepassa i 90º ideali rispetto all’ angolo di massima spinta (figura 1a), e poi perché c’è un aumento notevole della fase negativa della pedalata (la “contrapedalata”; figura 1b). Al contrario, una sella troppo alta crea un eccessivo basculamento del bacino, con conseguente dannosa sollecitazione della fascia lombo-sacrale. In questo caso, la spinta massima si raggiunge prima dei 90º producendosi pertanto una perdità importante della eficaccia della pedalata (figura 2).
Figura 1a: Sella bassa Fig. 1b: Contrapedalata
Un’ altro aspetto molto importante da considerare nel posizionamento della sella è la distanza ottima fra “punta sella e asse di movimento”: una sella molto arretrata, oltre a anticipare l’angolo di massima spinta, provoca una pedalata più orizzontale (figura 3) che fa scivolare di più il bacino sulla sella, aumentando così la frizione di questa zona che può diventare, col tempo, molto dannosa per la prostata. Nel caso contrario di una sella molto avanzata (figura 4) ci trovaremo con un caso simile a quello che ci capitava con la sella molto bassa. Figura 2: sella troppo alta
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90º
120º
270º
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Per calcolare l’altezza giusta della sella, possiamo adottare il seguente sistema: pedaliamo all’indietro, fino a che la pedivella non sia verticale rispetto al terreno; in questa situazione il ginocchio dovrebbe essere quasi completamente esteso, con un angolo di flessione di circa 15-20°. Pedal Force Measurement
Anche la posizione di appoggio sul manubrio è importante: l’altezza giusta è quella che ci consente di mantenere comodamente l’impugnatura con i gomiti leggermente flessi, i muscoli del collo rilassati e la colonna vertebrale eretta, ma non rigida. È da evitare la posizione da ciclista, col corpo inclinato in avanti, giacchè non c’è necessità di ridurre l’attrito dell’aria con posizioni aerodinamiche.
3.2.- Il Cicloergometro orizzontale.
Si differenza dal normale Cicloergometro per il movimento di pedalata più orizzontale. L’impulso in avanti impresso al pedale è permesso dalla postura semisdraiata e dallo schienale leggermente inclinato all’indietro su cui appoggiarsi. Tuttavia, questo tipo di ergometro permette di tenere una maggior tonificazione della muscolatura delle gambe, un maggiore effetto sulla circolazione sanguigna e linfatica a livello degli arti inferiori. Per molti la presenza dello schienale rende la posizione sulla Bike reclinata preferibile a quella sulla normale Bike in caso di esercitazioni prolungate. La postura che questo tipo di cicloergometro consente, risulta ideale per l’allenamento aerobico di chi presenta una iperlordosi lombare o un dorso curvo. È invece da evitare in coloro che soffrono le posture in cifosi lombare; vale a dire in quelle posizioni in cui la zona lombare tende ad appiattirsi. In questi casi, la normale Bike risulta certamente più adatta.
Figura 3: sella arretrata Figura 4: sella avanzata
9
1
9
1120º 120º
+
-
90º
180º
contrapedalata
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Le controindicazioni all’uso di questo tipo di ergometro sono le stesse che per la Bike normale. È comunque importante sapere che a causa della maggiore azione contro gravità della pedalata, tale impegno risulta superiore rispetto alla normale bike. L’aspetto più rilevante della posizione su questo attrezzo riguarda la corretta stabilizzazione del tronco che consente alle gambe un’ azione fluida e costante. La posizione corretta per pedalare sulla Bike reclinata è quella che consente di estendere la gamba quasi completamente (15-20º di flessione del ginocchio). Molto valide al fine della stabilità del corpo durante la pedalata risultano essere in questi attrezzi le impugnature laterali a livello del sedile; queste consentono tra l’altro, di rilassare completamente l’ area cervicale e dorsale durante l’allenamento. 3.3.- Il Nastro Trasportatore.
Esso permette di riprodurre il gesto motorio della camminata, della marcia o della corsa. Il tapis roulant può essere considerato l’attrezzo aerobico per eccellenza poichè è molto completo dal punto di vista dello stimolo cardiorespiratorio e muscolare. A cosa serve il Tapis Roulant:
• Migliora la funzionalità del sistema aerobico stimolando in maniera massima l’apparato cardio-circolatorio e respiratoiro.
• Consente un elevato consumo calorico. • Migliora la tonicità della muscolatura degli arti inferiori ma ha anche un effetto positivo sulla
muscolatura degli arti superiori e sui muscoli erettori della colonna vertebrale.
• Migliora la coordinazione, il senso dell’equilibrio e del ritmo nella corsa, nella marcia e nel camminata.
Controindicazioni all’uso del Tapis Roulant:
• Forte sovrappeso. • Problemi osteo-articolari od osteo-muscolari. • Problematiche a carico della colonna vertebrale (ernie discali, lombosciatalgie, lombalgie ecc.). • Gravi problemi di equilibrio. • Gravi problemi di salute che precludano la pratica dell’esercizio fisico dal punto di vista medico.
La fase iniziale di approccio al Tapis Roulant è molto importante, perchè il movimento sebbene simile alla camminata, in realtà è molto diverso: sul Tapis Roulant non siamo noi a muoverci su una superficie ferma, ma è il terreno a muoversi sotto i nostri piedi. Gli errori più frequenti sono:
• Appoggio eccessivo sul tallone. • Esagerato appoggio sull’ avampiede.
Il primo caso riguardo persone molto pesanti oppure soggetti con piedi piatti molto accentuati: i rischi per la schiena in questo caso sono dovuti ai continui microtraumi causati dell’impatto pesante del tallone sul terreno.
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Il secondo caso interessa invece ai soggetti con piedi cavi oppure ragazze ai primi approcci con il tapis che spesso hanno la tendenza a correre sulle punte. Come conseguenza, tendiniti al tallone d’Achille sono la più comune fra le lesioni. A questo punto è lecito chiedersi se sia meglio camminare o correre sul Tapis Roulant; in linea di massima è preferibile camminare, poichè nella corsa aumentano i rischi di microtraumi sopratutto a livello della colonna vertebrale. In ogni caso, è importante sottolineare che i migliori ergometri hanno adottato degli accorgimenti al fine di assorbire l’impatto del tallone e di conseguenza le risposte vibratorie del sistema. Inoltre, una calzatura sportiva specifica per la corsa è in grado di ammortizzare ancora di più l’impatto col terreno e inoltre stabilizzare l’appoggio; ad esempio, correzione della pronazione o la supinazione (figura 5). Figura 5a: pronazione
Figura 5b: scarpa specifica per i pronatori
Figura 5c: scarpa specifica per i supinatori
L’ approccio sul Nastro Trasportatore dovrebbe rispettare la seguente progressione:
1. Salire sull’ attrezzo. 2. Appoggiare le mani sul corrimano frontale. 3. Impostare dati e parametri sulla console. 4. Premere “start” ed iniziare a camminare, ad una velocità iniziale di 3-3,5 km/h. 5. Mantenere un giusto assetto durante il cammino 6. Portare gradualmente la velocità fino a 4,5-5 km/h. 7. Abbandonare l’appoggio delle mani sul corrimano e lasciare oscillare naturalmente le braccia
durante il cammino. 8. Non correre mai nelle prime fasi di lavoro sul tapis roulant anche se siamo allenati nella corsa
a causa del differente adattamento che questo comporta dal punto di vista dell’equilibrio. 9. E’ molto importante accertarsi che il nastro si sia arrestato completamente, prima di scendere
dall’attrezzo al termine della seduta. 3.4.- Simulatori di Scalini.
O Step, è uno degli ergometri più impegnativi sia dal punto di vista muscolare che coordinativo, anche perchè il movimento che riproduce risulta meno biomeccanicamente naturale.
Infatti la pressione alternata dei piedi sull’ estremità delle leve provoca un effetto simile a quello che si avrebbe salendo i gradini ma senza spostamento del baricentro.
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Il meccanismo tradizionale di funzionamento dello Step prevede che quando un piede spinge in basso una leva, l’altra automaticamente salga verso l’alto con un’ intensità proporzionale. Alcuni Step offrono un’ alternativa a questo meccanismo, rappresentata da un effetto di “galleggiamento” dovuta all’azione indipendente delle due leve. Questa modalità comporta, tuttavia, un maggior dispendio energetico e delle capacità coordinative. Ecco perchè è adatto a soggetti più esperti ed allenati. A cosa serve lo Step:
• Sviluppa in maniera considerevole capacità e potenza aerobica. • Consente un notevole consumo calorico. • Agisce fortemente sulla muscolatura delle gambe, con prevalente azione su glutei e
quadricipiti. Se ne deduce, quindi, che lo Step è un potente mezzo di allenamento aerobico: nel Cardiofitness finalizzato al benessere è tuttavia consigliabile utilizzarlo solo in un secondo momento, quando cioè avremo acquisito un certa base aerobica, coordinativa e muscolare sul Cicloergometro e Nastro Trasportatore. Abbiamo detto che il movimento sullo Step è simile al salire i gradini di una scala; la differenza stà però nel fatto che in quest`ultimo caso la nostra energia viene spesa per sollevare il centro di massa del corpo verso lo scalino successivo, mentre sullo Step in realtà il corpo non viene sollevato, a causa dello sprofondamento del piede. L’esigenza principale nell’uso dello Step riguarda la giusta stabilizzazione del corpo sull’attrezzo, la quale una volta raggiunta, permette una coordinazione più efficace del movimento. Il sostegno del corrimano permette di “scaricare” la parte superiore del corpo e quindi rende più agevole e meno faticosa la coordinazione del movimento braccia-gambe. La posizione dei piedi è preferibilmente di appoggio completo sui poggiapiedi. La colonna si porta leggermente in avanti in modo che il baricentro del corpo stesso “cada” sugli avampiedi. I problemi più comuni sullo Step riguardano:
1. L’ampiezza di escursione del movimento. 2. La posizione della colonna vertebrale.
L’escursione del movimento dovrà consentire l’estensione del ginocchio (non l’iperestensione) evitando però un’ oscillazione troppo ampia. Una colonna vertebrale troppo rigida o verticale può causare un eccessivo carico sulla stessa, accentuando la lordosi lombare. L’inclinazione in avanti della colonna vertebrale con appoggio degli avambracci sul corrimano può risultare molto efficace, in quanto il peso del tronco può essere bilanciato tra spalle e bacino; infatti tale posizione rappresenta l’ideale per un efficace lavoro dei glutei. Controindicazioni all’uso dello Step: L’impegno per gli arti inferiori sullo Step, è davvero notevole e anche la colonna vertebrale subisce potenti sollecitazioni che ne sconsigliano l’utilizzo in caso di problematiche specifiche. Valgono quindi per lo Step, tutte quelle controindicazioni già menzionate per il Tapis Roulant. Approccio allo Step:
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L’approccio corretto diventa essenziale per non essere costretti ad interrompere l’esercizio in tempi brevissimi a causa dell’acido lattico accumulato; é consigliato :
1. Salire sull’attrezzo portando i poggiapiedi alla stessa altezza dal suolo (gambe parallele). 2. Mettere i piedi in completo appoggio su di essi. 3. Appoggiare le mani sui sostegni laterali o impugnare il corrimano. 4. Equilibrare il peso del corpo in modo da sentirsi a proprio agio. 5. Impostare dati e parametri. 6. Produrre una spinta alternata sui poggiapiedi eseguendo un’ oscillazione di circa 20-30 cm. di
escursione. 7. Importante! Evitare di affondare eccessivamente i piedi verso il suolo, per evitare traumi a
schiena e ginocchio. 3.5.- Il Vogatore.
È l’attrezzo che riproduce il movimento della voga e l’azione dinamica del canottiere sull’imbarcazione. Può essere dotato di remi separati, oppure avere un lungo cavo centrale con un’ unica barra all’estremità per la trazione simultanea di entrambe braccia. Il vogatore è dotato inoltre di un sedile in grado di scorrere e quindi consentire un’ azione coordinata di gambe e braccia. Il vogatore rappresenta uno degli attrezzi aerobici che più coinvolge gruppi muscolari (praticamente tutto il corpo). L’azione del corpo sul vogatore determina una complessa dinamica di interventi muscolari ed articolari coordinati al fine di rendere fluido il movimento della voga. Per semplificare, possiamo considerare l’ azione principale di tre distretti: 1) le gambe; 2) il tronco; 3) le braccia.
1. Grazie all’estensione delle gambe si realizza lo spostamento indietro del carrello (azione di quadricipiti e glutei).
2. La seconda fase inizia con la retroversione del bacino e prosegue fino alla completa estensione della colonna vertebrale (azione dei m.paravertebrali e il m. quadrato dei lombi).
3. Nella terza fase, che corrisponde alla trazione, avviene un coinvolgimento diretto delle spalle e braccia (m.trapezio, romboidi, gran dorsale, deltoidi posteriori, bicipiti, m.dell’avambraccio.)
Se questa sequenza di azioni non avviene in modo fluido, può verificarsi un ritardo nella successione delle fasi con conseguente enfatizzazione di alcuni “passaggi a rischio”; per esempio, eseguire la fase di trazione senza che l’estensione della colonna dorsale sia stata preceduta dalla retroversione del bacino e della colonna lombare, provoca l’accentuazione della lordosi lombare, ed è un’azione di sovraccarico molto pericolosa proprio sulle vertebre dell’ arco lombare. Se quindi, durante l’azione al vogatore cominciassimo a percepire un impegno esagerato della schiena, sarebbe consigliabile interrompere l’esercizio per evitare l’insorgere di fastidiose contratture lombari.
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A cosa serve il Vogatore:
• Aumentare la capacità e potenza aerobica. • Consentire un elevato dispendio calorico. • Ottenere una buona tonificazione muscolare di: cingolo scapolare e braccia, tronco e colonna
vertebrale ed arti inferiori. Controindicazioni all’uso del vogatore:
• Qualunque tipo di problema a livello della colonna vertebrale (ernie discali, lombalgie, lombosciatalgie, cifo-lordosi, artrosi, ecc.)
• Problemi articolari alle anche (cozartrosi, ecc.) • Problemi infiammatori alle braccia o alle mani.
3.6.-Gli altri attrezzi aerobici.
Gli ergometri che abbiamo analizzato finora sono di gran lunga i più diffusi nelle palestre ed i più utilizzati nell’home-fitness. A volte tuttavia, è possibile trovarsi con altri attrezzi che ora analizziamo brevemente di seguito:
• L’armoergometro (o Top):
Permette di compiere un esercizio cardiovascolare per la muscolatura di braccia e cingolo scapolare; tale attrezzo è tuttavia maggiormente utilizzato a fini riabilitativi, come ad esempio, in situazioni di limitazioni funzionali agli arti superiori, al fine di recuperare tonicità e mobilità in questo distretto. Può essere utile anche nei casi di paraplegia, oppure in seguito alla immobilizzazione forzata dovuta a traumi a carico degli arti inferiori.
• Cicloergometro da Spinning:
Strutturalmente è molto simile alla Bike, da cui si differenzia per la meccanica e la compattezza, ma sopratutto per la destinazione d’uso; la Spinning Bike ha caratteristiche tali da offrire il meglio di sé a livelli di intensità di esercizio molto elevate; per cui il suo utilizzo è indicato nei soggetti molto allenati e con elevate capacità coordinative.
• L’ergometro tipo “Rider”:
E’ un attrezzo in grado di mettere in azione arti superiori ed inferiori, muscolatura toracica e dorsale; il movimento è simile a quello del Vogatore, anche nel Rider l’azione del corpo è meno completa dal punto di vista muscolare ed articolare.
• Il Simulatore di arrampicata (Climber): Il termine indica la capacità dell’attrezzo di riprodurre il gesto dell’arrampicarsi. Consente quindi,
un’azione alternata di arti inferiori e superiori in modo tale che quando una metà del corpo è in fase di arrampicata, l’altra si trova nella fase di scarico. L’azione delle gambe si trasmette ai poggiapiedi così come avviene nello Step, mentre un sistema a doppia impugnatura consente l’oscillazione verticale degli arti superiori. Il Climber è in grado di garantire risultati sia dal punto di vista coordinativo che dello stimolo cardiovascolare. È tuttavia controindicato in caso di problemi di schiena, a causa dell’eccessivo basculamento del bacino e della mancanza di riferimenti stabili nel corso dell’esecuzione del gesto.
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• Simulatore di Sci da Fondo (Il Cross-Trainer): Simula l’azione di spinta dello sci di fondo e rappresenta un ottimo sistema per migliorare la coordinazione braccia-gambe, oltre che costituire un buon esercizio per migliorare la capacità e la potenza aerobica.
È costituito da un sistema di spinta per gli arti inferiori simile a quello dello step; tuttavia rispetto a quest’ultimo, la spinta dell’arto ha una maggiore componente orizzontale; l’oscillazione coordinata degli arti superiori è consentita da una coppia di leve dotate di impugnatura all’estremità. La possibilità di coinvolgere il corpo nella sua totalità garantisce una esercitazione aerobica completa, con un rischio ridotto a carico della schiena, grazie alla propulsione orizzontale (che riduce l’inclinazione della gravità) ed ad una buona stabilità del tronco durante l’azione.
• Lo Step a gradini:
È costituito da una struttura dotata di alcuni gradini e di un corrimano: al vertice della “scala” è in genere posizionata la console con tutti i parametri dell’allenamento. A differenza dello Step “classico”, su questo ergometro il centro di massa del corpo viene effettivamente sollevato ed abbassato, per cui l’azione muscolare è del tutto sovrapponibile all’atto del salire e scendere le scale. È un attrezzo poco diffuso nelle palestre e piuttosto impegnativo dal punto di vista muscolare e cardiovascolare.
• Ciclo-armoergometro: Su alcuni cicloergometri vi è la possibilità di associare alla pedalata un’azione coordinativa delle braccia. Questo tipo di attrezzo può aiutare in quelle situazioni dove è richiesto un recupero coordinativo dell’azione braccia-gambe, ma non garantisce un’azione aerobica più incisiva rispetto alla normali bike: inoltre, la mancanza di una forte stabilità di appoggio per le mani e conseguentemente per la parte superiore del corpo, rende meno efficace pedalare a ritmi sostenuti o con maggiore intensità di spinta. 3.7.-Suddivisione in ordine di intensità delle macchine d’allenamento di Cardiofitness. Riassumendo in ordine di intensità crescente, avremo:
1. Cicloergometro (pedalata verticale). 2. Cicloergometro orizzontale (pedalata orizzontale). 3. Camminata veloce sul nastro trasportatore. 4. Corsa sul nastro trasportatore. 5. Simulatore di salita scalini (Step). 6. Vogatore. 7. Simulatore di salita a scale.
4.- L’attività elettrica del cuore. Prima di spiegare i principi di funzionamento e applicabilità dei sistemi per valutare l’attività di Cardiofitness, è importante capire, anche se solo in modo generico, il sistema di regolazione cardiovascolare. Il cuore dispone di un sistema di regolazione della frequenza cardiaca. L’ autoritmicità è garantita da un gruppo di cellule differenziate che costituiscono il nodo senoatriale, localizzato nella parete posteriore dell’atrio destro, vicino al punto di inserimento delle vene cave. Queste cellule si depolarizzano spontaneamente, funzionando come da pacemaker fisiologico.
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Lo stimolo che nasce nel nodo senoatriale si propaga al miocardio atriale. Questo vuol dire che il miocardio atriale (atrio destro e sinistro) si contrae. Succesivamente lo stimolo investe il cosidetto nodo atrioventricolare, da cui parte il fascio atrioventricolare o di His. Esso successivamente si divide nelle due branche, destra e sinistra che a loro volta, per successive diramazioni, portano alle ultime propaggini del sistema di conduzione, distribuendosi tra le cellule del miocardio ventricolare che prendono il nome di diramazioni del Purkinje. L’attivazione del cuore raggiunge quindi i ventricoli attraverso le fibre del Purkinje. Lo schema generale di attivazione del cuore è quindi il seguente (figura 6): 1. Nodo senotriale 2. Muscolatura atriale 3. Nodo atrioventricolare 4. Fascio di conduzione 5. Fibre di Purkinje 6. Miocardio ventricolare. L’elettrocardiograma (ECG) è una registrazione dell’attività elettrica del cuore. Sul torace del paziente vengono disposti degli elettrodi (sopra la pelle) collegati con un apparecchio di registrazione. Un pennino disegna su una carta quadrettata delle onde; la carta quadrettata permette ad uno specialista di calcolare rapidamente la distanza fra le variazioni delle caratteristiche delle diverse onde, fornendo informazioni su possibili malattie cardiache. Mediante un ECG è possibile valutare:
• La frequenza cardiaca (FC) e la sua regolarità. • La presenza di ingrandimenti del cuore in toto o di alcune sue parti. • La comparsa di sofferenza ischemica (angina) di zone del cuore o la loro morte (infarto). • Livelli scarsi o eccessivi nel sangue di sostanze fondamentali per i nostri processi vitali. • L’origine di disturbi quali la palpitazione o la fugace perdita di conoscenza.
Quindi, un test sotto sforzo è un ECG in condizioni di sforzo fisico. Questo test non solo e´ importante per valutare diverse anomalie, ma permette anche di verificare e prevenire eventuali rischi durante le prove fisiche portate fino all’esaurimento. Le varie fasi dell’ elettrocardiograma normale, dalla depolarizzazione atriale alla ripolarizizzazione ventricolare sono le seguenti (figura 7):
1. L’ onda P, rappresenta l’attivazione (quindi la depolarizzazione) delle celule del miocardio atriale.
2. Dopo P c’’e un tratto isoelettrico che è il tempo che ci mette l’ impulso elettrico passando degli atri ai ventricoli (fra l’onda P e Q).
3. Il complesso QRS corrisponde all’ attivazione del miocardio ventricolare.
Figura 6: Andamento normale dell’ eccitazione nel miocardio.
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4. La ripolarizzazione delle celulle atriali (cui conrresponde il rilasciamento delle stesse) si manifesta con un fenomeno elettrico relativamente modesto in quanto mascherato dal complesso QRS.
5. La ripolarizzazione dei ventricoli si manifesta invece con l’onda T che che chiude la registrazione elettrocardiografica relativa a un ciclo cardiaco. L’ onda T si verifica ovviamente in diastole.
È interessante il fatto che nelle celulle cardiache la durata del fenomeno di depolarizzazione e ripolarizzazione è uguale alla durata del fenomeno meccanico della contrazione. 5.- Il Cardiofrequenzimetro. Il cardiofrequenzimetro è uno strumento che ci permette di monitorare la frequenza cardiaca in tempo reale e pertanto di ottenere preziose informazioni circa l’impegno metabolico richiesto dalle varie attività fisiche. Tutti i cardiofrequezimetri si bassano sul calcolo del tempo intercorrente tra i picchi R-R e la velocità e la precisione di risposta variano in funzione del numero di picchi (R-R) considerati (figura 8). Un cardiofrequenzimetro è costituito, nella sua struttura essenziale da due elementi:
Figura 7: ECG normale.
Figura 8: elettrocardiograma normale.
R R R R
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1. Un sensore (figura 9) che rileva la frequenza cardica e che la trasmette a un’ unità recivente.
Figura 9: sensori a
b
c
d
2. Un’ unità ricevente fornita generalmente di un poccolo monitor che si applica al poso (figura 10a)
Figura 10: unità recivente a
b
Il sensore, viene assicurato al torace e mantenuto in sede mediante l’uso di un’ apposita cinghia. Il sensore può essere anche applicato direttamente sulla cute, utilizzando degli elettrodi adesivi. Esistono comunque altri mezzi per il rilivamento della frequenza cardiaca, fundamentalmente sono:
• L’impugnatura a “sensori palmari” (figura 9c) • Tramite il rilevamento della FC a livello del lobo dell’ orecchio (figura 9d)
Attualmente, il più diffuso è quello che riguarda il rilevamento tramite fascia toracica (figura 9a, b) Al fine di consentire una corretta trasmissione degli impulsi all’unità recivente, si consiglia di rispettare i seguenti punti :
• Indossare la fascia direttamente sulla pelle, o al limite, sulla maglietta inumedita. • Posizionare il trasmettitore (sensore) in corrispondenza del cuore. • Assicurarsi che la polarità del trasmettitore sia rispettata. • Inumidire i contatti tra pelle e fascia a livello del cuore, in modo da aumentare la superficie di
contatto. A tal proposito, la successiva sudorazione prodotta durante l’esercizio garantirà di per
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sé una sufficiente aderenza tra pelle e fascia e di conseguenza una efficace trasmissione degli impulsi.
• Infine è necessario evitare di stringere eccessivamente la fascia, allo scopo di non avere limitazioni alla espansione fisiologica toracica durante l’ esercizio aerobico
I diversi modelli di cardiofrequenzimetri esistenti differiscono fra loro essenzialmente per ciò che riguarda il numero delle funzioni che sono in grado di svolgere e che nei cardiofrequenzimetri più completi, sono le seguenti:
1. Controllo in tempo reale della frequenza cardiaca, che appare espressa in battiti al minuto sullo schermo dell’ unità ricevente.
2. Possibilità di stabilire un livello di frequenza cardiaca al raggiungimento della quale viene attivato un sistema acustico di suoneria.
3. Memorizzazione dell’ andamento della frequenza cardiaca durante l’ effettuazione della prova. È inoltre possibile, nella maggior parte dei modelli, selezionare il tempo di campionamento della frequenza cardiaca: ogni 5, 15 0 60 secondi. Gli apparecchi dotati di memoria consentono di riversare i dati acquisiti su un computer e, mediante un software, è possibile esprimere graficamente l’andamento della frequenza cardiaca in funzione del tempo. 5.- L’allenamento specifico di C.F. Attraverso degli stimoli di intensità e frequenza giusti possiamo provocare delle modificazioni stabili negli organi e negli apparati dell’organismo e quindi raggiungere gli obiettivi prefissati. Le componenti dell’ allenamento di Cardiofitness sono:
1. Frequenza dell allenamento: quante sedute di allenamento si devono fare al giorno, alla settimana, al mese o all’anno.
2. Volume dell’ allenamento: ad esempio quanti chilometri o minuti deve durare la seduta. 3. Intensità dell’allenamento: che può essere misurata per esempio in velocità o frequenza
cardiaca. La conoscenza dell’ intensità dell’ allenamento è senza dubbio, il fattore individuale più importante in qualunque tipo di programma di Cardiofitness. Questo principio di solito, non è compreso bene da allenatori che ritengono che “più duro e più prolungato” sia sempre la cosa migliore . In poche parole, possiamo dire che allenarsi ad un’intensità non corretta porta ad una progressione scarsa, a sovrallenarsi o alla possibilità di lesioni . L’intensità si può misurare in diverse forme. Comunque sia, ci sono due tipi di misuratori di intensità:
• Misuratori Esterni: nel cicloergometro, la velocità o potenza; nel tapis roulant si può parlare di minuti per chilometro o chilometri per ora.
• Misuratori Interni: frequenza cardiaca, consumo di ossigeno, acido lattico e livelli di ammoniaca.
In pratica, si utilizza la frequenza cardiaca come una misura standar per l’intensità dell’allenamento, perchè questa sale direttamente in proporzione all’aumento dell’intensità (sempre e quando ci alleniamo sotto alla FC massima). La FC inoltre può essere un mezzo molto utile per:
• Controllare la progressione dell’allenamento. • Il suo ritmo di recupero. • Stabilire la fatica e il soprallenamento. • Ottimizzare le sedute per “bruciare grassi”.
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5.1.- Come calcolare la FC massima: Ci sono due metodi:
1. Metodo Indiretto: La massima frequenza cardiaca diminuisce con l’età e anche se con notevole variabilità individuale, data soprattutto dall’ allenamento, può essere individuata con precisione accettabile a livello teorico dalla formula standard: * FCmax teorica= 220 – l’ età. Oppure, per una stima più precisa in soggetti adulti, secondo studi recenti, dalla formula: * FC max: teorica= 210 – (0.5 x età) Possono essere tuttavia inesatta perchè non prende in considerazione che la FC cambia col tipo di attività che si svolge. Ad esempio, la FC massima nella corsa può essere diversa di quella nel ciclismo o nel nuoto. Questo metodo viene utilizzato soltanto con persone che non possono sottomettersi ad un test massimale. (Tabella 2)
2. Metodo Diretto: Se il soggetto ha oltre 35 anni o qualunque problema di salute, deve andare prima dal medico e farsi un esame completo prima di svolgere un test di FC massimale. È importante spiegare al medico il tipo di test che vogliamo fare. Protocollo generale di un test per calcolare la FC massimale:
• Il test deve essere svolto solo quando il soggetto si trova in un periodo di riposo totale e quindi aver recuperato completamente dall’ultima seduta d’allenamento.
• Indossare il cardiofrequenzimetro in modo corretto sul torace verificando che sulla console dell’ ergometro che si utilizza per il test, si possa visualizzare la FC.
• E’ molto importante fare un riscaldamento prima d’iniziare il test. Ad esempio sulla cyclette: pedalare 15-20 minuti fra 120 e 140 battute cardiache al minuto.
• Iniziare il test ad una velocità lenta (ad esempio sempre sulla cyclette a 25Km/h), durante il primo minuto. Poi aumentare 1km/h per ogni minuto successivo finchè il testante non riesce a mantenere la stessa velocità raggiunta precedentemente durante un minuto completo. Il test dovrebbe durare fra 8 e 12 minuti.
• Alla fine del test, leggere subito la FC sulla console dell’ergometro. Questa è la FC massima del soggetto. (Figura 11)
Figura 11: FC massima.
178178175
163159
139128
116104
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
1 2 3 4 5 6 7 8 9
Velocità
FC (ppm)
.
188
5.2.- Intensità d’allenamento in base alla FC massima:
Una volta che conosciamo la FC massima, possiamo stabilire 4 zone o intensità per l’allenamento di Cardiofitness:
• Resistenza 1 (E1): 65-75% della FC massima. È una zona di intensità molto bassa. Viene utilizzata nelle sedute di recupero attivo, riscaldamento, defaticamento dopo sedute dure d’allenamento. L’intensità è sicuramente molto bassa per provocare un effetto allenante sul sistema di energia aerobico (tranne per quei soggetti poco allenati); non avviene nessun accumulo di acido lattico oltre il normale in stato di riposo (<1,5 mM).
• Resistenza 2 (E2): Questa zona è divisa in due livelli. Il primo E2.A è il 75-80% della FC massima. È una zona dove si svolgono più sedute d’allenamento. Questa zona è anche chiamata “resistenza estesa”. Il secondo livello E2.B corrisponde al 80-85% della FC massima e i lavori svolti in questa zona si chiamano di “resistenza intensa”. In questa zona, si arriva più o meno ad una concentrazione di acido lattico di 2,5-3,5 mM. E2 ha quindi, molti effetti positivi. I più importanti sono: Aumento della potenza e capacità del sistema aerobico. Sviluppo della resistenza dei tessuti connettivi (legamenti e tendini), ciò per prevenire lesioni. Aumento della capacità dell’utilizzo di acidi grassi come fonte di energia, risparmiando glucosio nei muscoli.
• Resistenza 3 (E3): 85-92% della FC massima. Di solito è chiamata: soglia anaerobica, soglia dell’acido lattico oppure soglia anaerobica individuale. Comunque, quando ci alleniamo in questa zona, lavoriamo nella soglia anaerobica o molto vicina ad essa; cioè nel punto dove il corpo non può metabolizzare la maggior parte dell’acido lattico nel sangue. I livelli di acido lattico nel sangue arrivano fino 3,5-6,0 mM. Lavorare in questo livello migliora la capacità dell’organismo di trasportare ed utilizzare ossigeno ed allenerà aerobicamente quelle fibre muscolari che hanno più tendenza ad essere più anaerobiche per natura. In questa zona, l’organismo utilizza i carboidrati come fonte di energia. Quindi questa intensità non è adatta, se il nostro obiettivo è quello di bruciare grassi e quindi di dimagrire.
• Resistenza 4 (E4): >92% della FC massima. Allenarsi a questa intensità vuol dire avvicinarsi al consumo massimo di ossigeno (VO2max). Gli allenamenti in questa zona si svolgono di solito in serie (con un rapporto usuale di lavoro/riposo 1:1), con una FC molto vicina alla massima alla fine dell’intervallo e con livelli di acido lattico oltre 6,0mM. (Figura 12)
.
189
5.3.- Come trovare il rapporto giusto fra intensità e volume d’allenamento:
Cioè quanto tempo dell’ allenamento si deve svolgere in ogni zona? Questa è una domanda la cui risposta non è di così facile soluzione perchè ci sono situazioni molto diverse con cui ogni individuo si raffronta: come per esempio il livello di partenza, gli obiettivi, il tempo disponibile e così via. Comunque in tutte queste situazioni sicuramente la maggioranza dell’ allenamento di Cardiofitness dovrebbe essere svolto nella zona E2. Però se il nostro obiettivo è migliorare sempre di più la nostra prestazione, allenarsi nella zona E3 è la maniera più efficace di aumentare la velocità della soglia anaerobica . L’allenamento in E4 implica lavorare molto vicino al consumo massimo d’ossigeno (VO2max) e quindi deve essere utilizzato principalmente a livello agonistico. 5.4.- Come sviluppare programmi d’ allenamento di Cardiofitness.
Quasi tutte le persone hanno come problema principale un tempo limitato che possono dedicare all’allenamento; il tempo a disposizione deve essere quindi sfruttato al meglio ed il lavoro in ogni seduta ottimizzato e ciò può essere ottenuto grazie al controllo preciso e monitorizzato dell FC. Nella pratica i passi da seguire sarebbero grosso modo:
• Formulare in maniera operativa gli obiettivi. • Valutare il tempo a disposizione per gli allenamenti. • Stabilire il punto di partenza. • Determinare i macchinari che servono. • Stabilire i mezzi d’ allenamento per l’obiettivo scelto. • Valutazione e controllo dell’ allenamento. • Pianificare. • Programmare.
Formulare in maniera operativa gli obiettivi vuol dire proporre obiettivi raggiungibili e fattibili nel tempo. È proprio qui che il Personal Trainer dovrà valutare insieme al suo cliente le possibilità che potrà offrire un programma corretto d’allenamento.
Figura 12: Rapporto fra le zone d’allenamento, acido lattico e frequenza cardiaca.
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190
Le sedute da svolgere e il tempo impiegato per esse alla settimana dipende chiaramente della disponibilità che ha ogni persona. Comunque, 3 sedute di un‘ora e mezza alla settimana sono sufficienti per produrre adattamenti stabili nell’organismo. Stabilire il punto di partenza è ormai un punto indispensabile per poter iniziare qualunque tipo di programma. Vuol dire misurare, quantificare attraverso diversi test, la condizione dell’individuo e cioè il punto in cui si trova, attraverso:
• Valutazione sulla composizione corporea. • Valutazione della pressione arteriosa a riposo e sotto sforzo. • Test di FC massima. • Calcolo della soglia anaerobica. • Calcolo delle zone e intensità di allenamento. • Test per il consumo massimo di ossigeno.
Il determinare i macchinari di Cadiofitness che ci servono per raggiungere l’obiettivo scelto è anche un aspetto molto importante, perchè non tutti gli attrezzi disponibili in una palestra ci servono nella stessa maniera. Dobbiamo selezionarli in funzione delle caratteristiche individuali di ogni soggetto. Ad esempio, possiamo dire che per una persona che abbia come obiettivo il dimagrimento ed il punto di partenza (prestazione) molto scarso, la cosa migliore sarebbe farla lavorare inizialmente con la cyclette, per poi passare al tapis roulant (prima camminando e poi correndo). La stessa cosa va detta pure per i mezzi d’allenamento, che vengono scelti in funzione delle caratteristiche individuali di ogni soggetto. Nell’esempio di prima, utilizzeremo come mezzi d’allenamento il “lavoro continuo esteso” invece di un programma intensivo di Fartlek (adatto per un soggetto che ha una prestazione molto più elevata). La valutazione ed il controllo dell’allenamento servono ad indicarci fino a che punto gli allenamenti svolti raggiungono gli obiettivi prefissati. Gli stessi test utilizzati per stabilire il punto di partenza del soggetto, possono essere svolti periodicamente per questo scopo e quindi verificare:
• Perdita di massa grassa e aumento della massa magra. • Diminuzione della pressione arteriosa. • Aumento della FC massima. • Aumento della “velocità” della soglia anaerobica. • Modificazione delle zone d’ allenamento. • Miglioramento del consumo massimo d’ossigeno.
Pianificare vuol dire suddividere gli obiettivi in più fasi, stabilire i microcili di carico e di scarico, individuare il tempo necessario che ci occorre per ogni fase. Programmare va ancor di più nello specifico. Vuol dire fissare seduta per seduta gli esercizi da svolgere, facendo una descrizione dettagliata di ogni seduta. 5.5.- Considerazioni dell’allenamento di Cardiofitness: obiettivo B.I.I.O.
Spesso il Cardiofitness viene usato come mezzo per bruciare calorie. A questo scopo, è importante rendersi conto che il costo energetico della corsa è indipendente dalla sua velocità; cioè non perché si corre più veloce (nel nastro trasportatore), si ha un costo energetico più elevato. Se abbiamo due soggetti che debbono percorrere una distanza di cinque chilometri ed il primo ci impiega 20 minuti e il secondo 30 minuti, i due avranno prodotto lo stesso costo energetico alla fine del percorso.
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Altro aspetto molto importante è il fatto che camminare a una velocità molto elevata (nastro trasportatore) ha un costo energetico superiore a quello di correre, quindi si bruciano più calorie (figura 13). Inoltre, sappiamo che una persona non allenata inizia a bruciare prevalentemente grassi dopo 2 ore di esercizio a bassa intensità, mentre uno molto allenato (di livello agonistico) inizierà a farlo dopo i primi 30 minuti di esercizio ed con una intensità superiore. Ciò vuol dire che più si è in forma più si bruciano grassi, in quanto la persona allenata è in grado di compiere nello stesso tempo più lavoro (ad esempio più chilometri sul nastro trasportatore) e più efficentemente perchè utilizzerà prima i grassi come fonte d’energia, risparmiando il glucosio del muscolo allo stesso tempo e quindi con meno fatica. Ecco che allora che si ripropone le caratteristiche del B.I.I.O (di Claudio Tozzi) anche sul Cardiofitness. Perchè l’ideale sarebbe arrivare a svolgere:
• Sedute Brevi, non superiore all’ora di esercizio (in casi eccezionali un ora e mezza). • Sedute Intense quindi vicine alla soglia anaerobica od oltre. • Infrequenti: bastano 3-4 sedute svolte adeguatamente alla settimana per avere i migliori
risultati. • Ed Organizzate in una struttura logica, finalizzata e integrale, rispettando quindi, i principi dell’
allenamento. Altra idea molto importante da considerare, nell’ allenamento di Cardiofitness, se lo scopo fosse ancora quello di dimagrire è il fatto che un esercizio di tipo “Interval Training” e quindi un lavoro che se svolge sopra e sotto la soglia anaerobica, fa brusciare molte più calorie che un’altro lavoro più lungo ma sotto soglia; questo peché durante il periodo di recupero (dopo la seduta d’allenamento) l’organismo usa di più i grassi per ristabilire i musculi (ecco un’altra volta l’importanza della intensità del B.I.I.O.) Oltre a quanto detto bisogna tenere in considerazione il fatto che nell’eseguire un lavoro submassimale con le braccia (es. con l’armoergometro) c’è un consumo di ossigeno superiore rispetto ad un lavoro eseguito con le gambe. La differenza aumenta con l’aumentare della potenza meccanica. Un lavoro eseguito con entrambe gli arti superiori ed inferiori (Climber) comporta un consumo calorico ancora molto superiore ad uno eseguito solo con gambe o braccia. Ecco perché sarà importante compiere, sempre che sia possibile, esercizi che mobilizzano grandi gruppi muscolari; concetto comunque che si ritrova anche nel B.I.I.O nella sua metodologia. La progressione dell’allenamento dovrà quindi portare al raggiungimento di questo obiettivo, rispettando chiaramente le necessarie tappe intermedie.
Figura 13: Costo energetico
della deabulazione e della
corsa a diverse velocità.
0
10
20
30
40
Costo Energetico
.
192
6.- La Valutazione funzionale nel Cardiofitness.
L’esecuzione di test per valutare la funzionalità dei meccanismi aerobici è importantissima per chiunque svolga attività cardiovascolari, per due ragioni:
1. Valutare nella fase iniziale l’efficienza degli apparati che si vogliono allenare per poter stabilire un punto di partenza.
2. Verificare periodicamente che il processo di allenamento raggiunga gli obiettivi previsti. Ciò ci consente di individuare un valore di riferimento che rappresenterà il potenziale massimo del soggetto preso in esame in quel momento; in base a tale valore è poi possibile individuare un livello di difficoltà ideale su cui fare riferimento in base ai propri obiettivi. Nei soggetti normali (non atleti), è sempre consigliabile l’esecuzione di valutazioni di tipo submassimale, in grado cioè di “ipotizzare” un valore massimo teorico a cui il soggetto sarebbe arrivato se avesse eseguito il test. 6.1.- Le Valutazioni cardio – respiratorie.
Consistono nell’esecuzione di test in grado di valutare l’efficacia dei meccanismi impegnati nel trasporto e nell’utilizzo dell’ossigeno. I metodi principali sono:
1. La massima potenza aerobica (VO2max). 2. La soglia anaerobica.
6.1.1.- La massima potenza aerobica:
Viene chiamata anche Massimo Consumo di Ossigeno. Il suo valore rappresenta la più alta quantità di ossigeno che un determinato organismo è in grado di utilizzare durante l’ esercizio nell’unità di tempo. Il valore della VO2max è importante poichè essa è in grado di offrire un quadro generale dell’efficenza fisica del nostro organismo. È importante però, sapere che i valori del consumo massimo di ossigeno non cambiano tantissimo con l’allenamento perchè vengono definiti inanzittutto geneticamente. Si possono al massimo migliorare di circa un 7%. Comunque, è opportuno ricordare ancora che il VO2max non è la sola caratteristica da cui dipende una buona performance nelle prove di Cardiofitness. Intervengono infatti altri fattori come la massa corporea, la percentuale di grasso, l’economia di corsa e infine la capacità di mantenere per tutta la gara un consumo di ossigeno il più vicino possibile al VO2max.
Figura 14: Raggiungimento del valore di picco del VO2max.
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
VO2, L.min-1
Riposo
VO2max.
.
193
Per essere ragionevolmente sicuri che un soggetto abbia raggiunto il VO2max, occorre arrivare ad un punto, nella prova ergometrica a carico crescente(in un test massimale), dove si vede che il consumo di ossigeno non aumenta più oppure che la prova viene interrotta a causa della stanchezza muscolare (figura 14). La misura di VO2max richiede una strumentazione di laboratorio relativamente sofisticata e una grande motivazione da parte del soggetto. In base a queste considerazioni, sono stati ideati e messi a punto alcuni test che servono per calcolare il VO2max sulla base di prestazioni ottenute in un test di marcia o di corsa oppure prendendo in considerazione la FC. I test sono di facile esecuzione, possono essere usati per valutare un gran numero di soggetti e di solito sono submassimali, cioè non impegnano il soggetto sino all’esaurimento. A) Test di Marcia: Per calcolare il VO2max dalla velocità di marcia si può usare la seguente equazione: VO2max = 6.9652 + (0.02007 x M) – (0.0257 x Età) + (0.5955 x Sesso) – ( 0.224 x T1) – (0.0115 x HR1-4) Dall’equazione il VO2max risulta espresso in L.min-1. dove:
• “M” è la massa in kg; • L’età è espressa in anni; • Per il sesso si attribusce 0 alle donne e 1 agli uomini; • T1 è il tempo impiegato dal soggetto per coprire 1.6km (in minuti e centesimi di minuto) • HR1-4 è la frequenza cardiaca misurata alla fine della prova.
L’equazione per esprimere il VO2max normalizzato per unità di massa è la seguente: VO2max= 132.853 – (0.16954 x M) – (0.3877 x Età) + (6.315 x Sesso) – (3.2649 x T1) – (0.1565 x HR1-4). I dati seguenti si riferiscono come esempio, ad una donna di 30 anni: Massa corporea= 70.53 kg T1= 13.56 min HR1-4= 145 batt.min-1 Sostituendo nell’equazione che fornisce il VO2max normalizzato per unità di massa si avrà un valore di 42.3 mL.kg-1.min-1 B) Test del gradino (Test del Queens College): La frequenza cardiaca rilevata dopo un esercizio di salita e discesa da una gradino (opportunamente standardizzato) può servire per classificare (tabella 3) i soggetti in base alla capacità aerobica. Risulta infatti possibile calcolare il VO2max servendosi di equazioni che garantiscono un certo grado di precisione. L’altezza della gradinata dovrà essere tra i 40-50 cm. La salita e discesa sarà scandita in 4 tempi (su un piede, su l’altro, giù un piede giù l’altro). Alla fine del test i soggetti dovranno rimanere in piedi e la FC verrà misurata per 15 secondi durante il recupero. Com’è prevedibile, il VO2max è tanto maggiore quanto minore è la FC alla fine del test. Le equazioni che consentono di risalire al VO2max (espresso in mL.kg-1.min-1) sulla base della FC sono:
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194
Per i maschi: VO2max= 111.33 - 0.42 x HR Per le femmine: VO2max= 65.81 – 0.1847 x HR Ove HR è la FC registrata nei 15 s del recupero. I dati seguenti si riferiscono come esempio, ad un uomo di 25 anni: HR= 145 Sostituendo nell’equazione si ha un valore di 50.43 mL.kg-1.min-1. C) Test di Cooper: È uno dei più famosi e semplici test da campo. Il criterio di valutazione è espresso con un giudizio (da “molto scarso” a “eccellente) in basi ai metri percorsi. (Tabella 4) Il protocollo consiste nel percorrere la maggior distanza possibile correndo su terreno pianeggiante e omogeneo per 12 minuti. È stato messo a punto anche per il nuoto e per il ciclismo. Tramite una semplice formula si può anche calcolare con buona approssimazione il VO2 max espresso in mL/Kg/min.(Tabella 3): esiste infatti una accettabile correlazione tra i metri percorsi e la massima capacità aerobica: VO2max= -10.25 + (0.022 x metri di percorsi) Per concludere, il test di Cooper può essere un buon metodo per testare il fitness aerobico in soggetti praticanti ma non atleti, tenendo conto dell’età e del sesso. 6.1.2.- La soglia anaerobica:
La soglia anaerobica è rappresentata dall’ intensità dell’ esercizio oltre la quale i muscoli cominciano a produrre acido lattico in quantità maggiori a quelle che sono in grado di smaltire: l’acido lattico innalza l’acidità del sangue a livello tale che in breve, si è impossibilitati a continuare l’esercizio. A livelli inferiori a quelli della soglia ciò non avviene perchè l’apporto di ossigeno con la ventilazione, è sufficiente a smaltire l’acido lattico prodotto. Conoscere questo valore è assai importante per la programmazione dell’allenamento, perchè il punto della soglia anaerobica non dovrebbe essere superato(in una prima fase di allenamento), giacchè si entrerebbe nel metabolismo anaerobico con tutte le sue conseguenze, come per es. l’ utilizzare come fonte principale d’energia il glucosio muscolare invece dei grassi. Inolre, la conoscenza della soglia anaerobica ci serve per valutare la velocità di gara di un atleta di fondo, poichè l’ oltrepassare la soglia abbasserebbe la sua prestazione per acidificazione e nel rimanere molto sotto la soglia non approfitterebbe al massimo della sua prestazione. I valori di soglia anaerobica, possono aumentare significativamente con un programma di allenamento specifico. I valori di soglia risultano essere più elevati nei soggetti allenati. A) Test di Conconi: È un test progressivo che si può svolgere in quasi tutti gli ergometri: sul nastro trasportarore, sul cicloergometro, sullo step, sul vogatore ecc. (Tabelle 10, 11) È molto considerato da numerosi allenatori, soprattutto come test di verifica e quantificazione dei miglioramenti, piuttosto che come identificazione esatta della soglia anaerobica. Infatti si può dire che
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195
esiste una buona correlazione fra la velocità di deflessione della curva frequenza cardiaca - velocità, rilevata tramite il test e l’incremento della lattacidemia al di sopra dei valori basali; quindi tale velocità di deflessione viene assunta come velocità di soglia anaerobica. (figura 15) A) Test di Lattato: La soglia anaerobica si può anche misurare attraverso altri parametri come l’accumulo di acido lattico nel sangue venoso capillare. Questo sistema, anche se un po’ più costoso (materiale fungibile di laboratorio), è la maniera più precisa di stabilire la soglia anaerobica e le frequenze cardiche d’allenamento (figura 16). Figura 16: determinazione della soglia anerobica mendiante test di lattato in sangue.
Oggi ci sono apparechiatture molto operative per misurare lattato in tests da campo per il Personal Trainer (figura 17) Figura 17: Analizzatore portatile di lattato.
A
B
Figura 15: Determinazione della soglia anaerobica mediante test di Conconi nella cyclette.
Velocità (18Km/h)
FC = 147
Punto di diflessione
Potenz
.
196
C
Queste apparechiatture sono in grado di leggere i livelli di lattato in tan solo 60 secondi, sia su una piccola goccia di sangue sul dito (figura 17 b) che sul lobulo dell’ orecchio (figura 18) della persona. Figura 18: misura di lattato sul lobulo dell’orecchio di un ciclista.
Il tests di lattato ci permette di calcolare la soglia anaerobica di maniera precisa, oltre a valutare la prestazione organica del soggetto testato, le carestiristiche metaboliche e cardiovascolare. La prova consiste in un test progresivo in intensità (sul cicloergometro, nastro trasportatore, ecc.) dove si prendono i dati di FC e lattato alla fine d’ogni step fino ad una certa intensità dove già il lattato non rimana stabile, questo vuol dire che se manteniamo la stessa intensità, il lattato sempre tende a salire (figura 19). Figura 19: Delta lattato
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197
Se può vedere come il lattato del soggetto testato rimane stabilie fino a potenze di 300 Watt. Ad esempio, se misuriamo il lattato che produce questo sportivo a 300 Watt nel minuto 5 osserviamo che è di 2,2mM, se aspettiamo altri 5 minuti alla stessa potenza e misuriamo nuovamente lattato, abbiamo sempre 2,2mM (linea blu della figura 19) allora questo vuol dire che il lattato rimane sempre stabile e quindi che ci troviamo ancora sotto la potenza di soglia anaerobica. Vicerversa però se andiamo a controllare l’andamento del lattato a una potenza superiore (330 Watt.) Allora nei primi 5 minuti possiamo leggere un valore di lattato di 3,1mM, ma se ricontrolliamo il valore di lattato dopo altri 5 minuti alla stessa intensità, abbiamo una quantità di lattato maggiore, in questo caso di 3,4mM. Vuol dire che siamo già sopra la potenza di soglia anaerobica (linea marrone) e che i muscoli di questa persona cominciano a produrre acido lattico in quantità maggiori a quelle che sono in grado di smaltire. Se continuamo a salire l’intensità (linea nera) fino a 360 Watt, il delta lattato sempre diventarà maggiore. Riguardo alle frequenze cardiache d’ allenamento, si possono stabilire 4 categorie con questo sistema:
1. Allenamento di bassa intensità: stabilito ai 2mM di lattato. 2. Allenamento di media intensità: stabilito ai 3mM di lattato.
3. Allenamento di alta intensità: stabilito ai 4mM di lattato.
4. Allenamento di soglia: quindi al 100% della soglia anerobica.
6.2.- La Valutazione della Composizione Corporea.
Ormai abbiamo visto come l’ allenamento di Cardiofitness, se preciso, può essere un mezzo ottimo per raggiungere cambi significativi sulla composizione corporea e come queste variazioni portano ad una riduzione della massa grassa ed un aumento della massa magra, provocando a loro volta dei benefici per la salute integrale dell’ individuo. Inoltre la valutazione della Composizione Corporea assume un aspetto di massima importanza per tutti coloro che si sottomettono ad un programma di Cardiofitness, poiché ci serve da biofeedback per poter valutare e quantificare gli effetti dell’allenamento. La determinazione della composizione corporea consente di quantificare, principalmente in soggetto la componente:
• Muscolare. • Ossea. • Grassa.
Con i seguenti obiettivi:
• Determinare lo stato di salute. • Misurare e stabilire la condizione e la prestazione sportiva ed i miglioramenti raggiunti. • Relazionarla e indirizzarla allo sport più adatto. • Stabilire i punti di partenza degli allenamenti. • Valutare gli effetti degli allenamenti. • Controllare della sua prestazione
• Altri. I metodi più comuni per valutare la composizione corporea si basano sulla:
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• “Doppia pesata” in aria e in acqua. • Plicometria e circonferenza dei segmenti corporei. • Densità corporea. • Metodo impedenzometrico. • Ecografia. • Risonanza magnetica nucleare. • Tecnica di emissioni di raggi X.
Ovviamente, ogni tecnica offre vantaggi e limiti di applicabilità. In teoria, la cosa ideale sarebbe applicare sul soggetto tutte queste tecniche di misurazione, in modo di avere nell’ambito del possibile un’ accurata misura della composizione corporea. In pratica questo non è possibile per motivi, principalmente, economici e di tempo. Il metodo che vi offro si basa sull’analisi della composizione corporea attraverso: plicometria, cinconferenza di segmenti corporei, impedanza bioelettrica e densometria, applicata ad un sistema informatico per l’automatizzazione dei dati. Raccomandazioni generali prima di fare la valutazione:
1. Non ingerire liquidi ne alimenti per un periodo minimo di 4 ore. 2. Non realizzare esercizi fisici 12 ore prima della misurazione. 3. Non ingerire alcool 48 ore prima dell’analisi. 4. Non essere in trattamento farmacologico con diuretici nel momento della valutazione. 5. L’impedanza biolettrica non deve essere realizzata durante processi febbrili. 6. La temperatura della stanza dovrebbe essere al disotto dei 35º. 7. Prima della valutazione dovranno essere ritirati al soggetto tutti gli oggetti metallici cioè
orologi, braccialetti, gioielli, ecc. 8. Tutte le misurazioni si prenderanno dal lato destro del corpo (dal 1968 è stato stabilito ciò,
sebbene non sia il lato predominante) 9. Il soggetto dovrebbe restare scalzo e con il minor abbigliamento possibile.
Le pieghe cutanee (figura 20) sono:
1. Bicipitale 2. Tricipitale 3. Sottoscapolare 4. Soprailiaca 5. Coscia 6. Addome 7. Petto 8. Ascellare 9. Gamba.
Figura 20: pliche cutanee.
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199
Per quelli che riguardano le circonferenze (figura 21) sono:
A.Spalle B.Petto C. Bicipite rilassato D. Bicipite contratto E. Avambraccio
F. Polso G. Addome H. Basso addome
I-Anca J.Coscia K.Ginocchio
L.Polpaccio M. Caviglia. Figura 21: perimetri
I diametri (figura 22) che si misurano sono principalmente:
1. l’omero, 2. il femore e
3. il polso.
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200
Figura 22: diametri
I risultati che otterremo da queste misurazioni sono:
• % Grasso (tabelle 7, 8) • Kg Grasso • Calcolo della massa muscolare • Somatotipo e Somatocarta • IMC (indice di massa corporea) (tabelle 5, 6) • Massa magra • Massa corporea totale.
6.3.- La Valutazione della Pressione Arteriosa.
La pressione arteriosa è la spinta che il sangue offre alla parete della arteria. La pressione arteriosa è oscillante; raggiunge un valore massimo in sistole, cioè quando il ventricolo espelle il sangue e deforma elasticamente la parete delle arterie. Diminuisce e raggiunge un valore minimo in diastole: in questa fase il ventricolo non espelle sangue nel distretto arterioso. La pressione massima si chiama anche pressione arteriosa sistolica (PAS) e pressione arteriosa diastolica (PAD) quella mimima. La PAS in un individuo sano e normale è di circa 120 mmHg e la PAD è di 70-80 mmHg (Tabella 9). La parete delle arterie nei soggetti ipertesi (tabella 9) perde elasticità, in quanto va andata incontro ad un processo degenerativo, con modificazioni morfologiche e strutturali dovute al deposito di grassi e di tessuto connettivo, con perdita delle strutture elastiche. In soggetti ipertesi, la PAS può raggingere i 250-300 mmHg. L’ esistenza dell’ ipertensione arteriosa costituisce un sovraccarico di lavoro per il cuore ed è ovviamente un rischio molto importante per la salute. Inoltre, ricordiamo che l’attività fisica causa una riduzione della pressione arteriosa di almeno 6-10 mmHg. Quando facciamo un test per valutare la pressione arteriosa sotto sforzo, dobbiamo differenziare fra PAS e PAD perchè hanno una cinetica diversa:
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201
La PAS aumenta in maniera diretta coll’aumento dell’intensità dell’esercizio. La PAS che ha un valore di 120 mmHg a riposo, può andare oltre 200 mmHg dopo un test massimale. Figura 23: Andamento della PA.
60
80
100
120
140
160
180
200
1 3 5 7 9
11
13
Inclinazione dell' ergometro trasportatore, %
Pressione del sangue, m
mHg
Invece, la PAD cambia poco o nulla durante l’esercizio di resistenza indipendentemente dall’intensità di esso (figura 23). Nel caso ipotetico in cui la PAD aumentasse oltre 15 mmHg o più, si tratterebbe quindi di una risposta anomala all’esercizio e in questo caso dovremmo immediatamente fermare il test. I test per verificare il corretto andamento di questi parametri sono molto semplici: consistono nel disegnare la cinetica della pressione arteriosa (sistolica e diastolica) nel corso di un lavoro a carico progressivamente crescente; ad esempio aumentando l’ inclinazione dell’ergometro trasportatore oppure aumentando la resistenza sul cicloergometro.
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202
7.- Appendice.
• Tabella 1: Modificazioni delle abitudini di vita in relazione ai principali fattori di rischio coronarico.
• Tabella 2: Calcolo della frequenza cardiaca. • Tabella 3: Classificazione del fitness cardiocircolatorio. • Tabella 4: Test di Cooper. Indice di valutazione in base alla distanza percorsa. • Tabella 5: IMC (Indice di Massa Corporea) valori raccomandabili. • Tabella 6: IMC (Indice di Massa Corporea). Categoria della obesità rispetto all’IMC. • Tabella 7: Percentuali ideali di massa grassa. • Tabella 8: Percentuale medio in atleti. • Tabella 9: Categorie della pressione arteriosa. • Tabella 10: Test di Conconi Bicicletta. • Tabella 11: Test di Conconi Corsa. • Tabello 12: Esempio valutazione soglia anaerobica e della pressione arteriosa. • Tabella 13: Valutazione della composizione corporea. • Tabella 14: Test di lattato.
Dott. Pablo Fernández Gálvez Università di Granada, Spagna.
203
APPEDICE
Tabella 1: Modificazioni delle abitudini di vita in relazione ai principali fattori di rischio coronarico.
Esercizio fisico
Alimentazione corretta
Eliminazione del fumo
Riduzione dello stress
Ipertensione X X X X
Iperlipidemia e colesterolemia X X Fumo X Alterazioni del cuore X Obesità X X Stress X Vita sedentaria X Diabete X X Tabella 2: Calcolo della frequenza cardiaca.
Età Massimo 60% 65% 70% 75% 80% 85% 20 200 120 130 140 150 160 170 25 195 117 127 136 146 156 166 30 190 114 123 133 142 152 161 35 185 111 120 129 139 148 157 40 180 108 117 126 135 144 153 45 175 105 114 122 131 140 149 50 170 102 110 119 127 136 144 55 165 99 107 115 124 132 140 60 160 96 104 112 120 128 136 65 155 93 101 108 116 124 132 70 150 90 97 105 112 120 127
Tabella 3: Classificazione del fitness cardiocircolatorio.
Apporto massimo di ossigeno (ml/min/kg) ETÀ SCARSO DISCRETO MEDIO BUONO ALTO
DONNE 20-29 <24 24-30 31-37 38-48 49+ 30-39 <20 20-27 28-33 34-44 45+ 40-49 <17 17-23 24-30 31-41 42+ 50-59 <15 15-20 21-27 28-37 38+ 60-69 <13 13-17 18-23 24-34 35+
UOMINI 20-29 <25 25-33 34-42 43-52 53+ 30-39 <23 23-30 31-38 39-48 49+ 40-49 <20 20-26 27-35 36-44 45+ 50-59 <18 18-24 25-33 34-42 43+ 60-69 <16 16-22 23-30 31-40 41+
Nota. Dati da American Heart Association (1972, p.15).
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204
Tabella 4: Test di Cooper. Indice di valutaione in base alla distanza percorsa.
13-19 ANNI 20-29 ANNI 30-39 ANNI
VALUTAZIONE MASCHI Molto Scarsa, pessima <2000 <1960 >1900 Scarsa, mediocre 2000-2200 1960-2110 1900-2090 Sufficiente, discreta 2200-2500 2110-2390 2100-2330 Buona 2500-2770 2400-2640 2340-2510 Ottima 2780-3000 2650-2830 2520-2720 Eccellente, superiore >3000 >2830 >2720
VALUTAZIONE FEMMINE Molto Scarsa, pessima <1610 <1540 <1510 Scarsa, mediocre 1620-1890 1540-1780 1510-1690 Sufficiente, discreta 1900-2070 1790-1960 1700-1900 Buona 2080-2300 1970-2160 1910-2070 Ottima 2310-2430 2170-2350 2080-2230 Eccellente, superiore >2430 >2350 >2230 Tabella 5: IMC (Indice di Massa Corporea) valori raccomandabili.
IMC = [Peso (kg)/Altezza2 (m)]
ETÀ DONNE UOMINI
19-24 19-24 19-24 25-34 20-25 20 35-44 21-26 25 45-54 22-27 20-25 55-64 23-28 20-25 65+ 24-29 20-25
Tabella 6: IMC (Indice di Massa Corporea). Categoria della obesità rispetto all’IMC.
CLASSIFICAZIONE DONNE UOMINI
Non obeso >27 >25
Soprapeso 27-30 25-30 Peso >30 >30
Tabella 7: Percentuali ideali di massa grassa.
ETÀ M. BUONO BUONO MEDIO SCARSO M.SCARSO
UOMO 18/25 4-8 9-12 13-18 19-25 Oltre 26 26/35 8-13 14-17 18-22 23-27 Oltre 28
36/45 10-16 17-20 21-25 26-28 Oltre 29
46/55 12-18 19-22 23-26 27-30 Oltre 31
< 56 15-19 20-23 24-26 27-30 Oltre 31
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DONNA
18/25 13-18 19-22 23-26 27-30 Oltre 31
26/35 13-19 20-23 24-28 29-34 Oltre 35
36/45 15-20 21-25 26-30 31-35 Oltre 36
46/55 18-23 24-27 28-32 33-37 Oltre 38
< 56 18-24 25-29 30-34 35-37 Oltre 38
Nota. Dati da Hoeger (1989). Tabella 8: Percentuale medio in atleti.
SPORT UOMO DONNA TRIATLON 7-13 12-14
PALLAVOLO 11-13 17-25 CICLISMO 11-17 16-21 TENNIS 8-17 16-23 NUOTO 9-12 15-24
CORSA VELCITÀ 8-16 16-19 CORSA FONDO 6-11 15-19
SCI ALPINO 7-14 16-20 SCI FONDO 7-10 15-21
Nota. Dati da Meauring Body Fat Using Skinfolds by T.G. Lohman, 1987. Tabella 9: Categorie della pressione arteriosa.
CATEGORIA SISTOLICA mmHg DIASTOLICA mmHg
Normale <130 <85
Normale elevata 130-139 85-89
Ipertensione
Fase 1 (leve) 140-159 90-99 Fase 2 (moderata) 160-179 100-109
Fase 3 (grave) 180-209 110-119 Fase 4 (molto grave) ≥210 ≥120
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206
Tabella 10: TEST DI CONCONI – SOGLIA ANAEROBICA (Bicicletta)
FREQUENZA CARDIACA / MINUTO
215
210
205
200
195
190
185
180
175
170
165
160
155
150
145
140
135
130
125
120
115
110
105
100
20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50
VELOCITÀ (KM/H)
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Tabella 11: TEST DI CONCONI – SOGLIA ANAEROBICA (Corsa)
FREQUENZA CARDIACA / MINUTO
215
210
205
200
195
190
185
180
175
170
165
160
155
150
145
140
135
130
125
120
115
110
105
100
3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18
VELOCITÀ (KM/H)
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Nome: Data: 06/03/01 Età: 17
Sesso: ORA:Sonno B
S. affaticam B
203 T. sport: Motivazione R
Dietetica B
32
80
PAS ® 126 PAS (F) 139
PAD ® 61 PAD (F) 79
FC ® 43 FC (F) 152
umero Metri Tempo Velocità FC1 100 7 130
2 200 45´´ 8 145
3 300 39´´ 9 160
4 400 35´´ 10 162
5 500 33´´ 11 168
6 600 29´´ 12 172
7 700 28´´ 13 175
8 800 25´´ 14 180
9 900 24´´ 15 182
10 1000 22´´ 16 184
11 1100 21´´ 17 184
12 1200 18
13 1300 19
14 1400 20
15 1500 21
160
9
18
1km/hIncremento (v)
Stato animico
VALUTAZIONE DELLA SOGLIA ANAEROBICA
xxx
Parametri fisiologici
Ricp tra 1minutoV.S.Sforzo (%)
Body BuildingFC. massima teorica
Differenza fra PAD:
R E G I S T R O
Risultati Soglia
Battuta Cardiaca di:
Velocità di:
Velocità Iniziale
Incremento (m) Ogni 100m
Condizione del Test
5min. a 120 battute/min. Riscaldamento
UOMODONNAUOMODONNA
PRIMO POMERIGGIO dalle 1 fino alle 4
7km/h cioè 8min 35seg / km
50
70
90
110
130
150
170
190
210
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
Tempo
Scienza e SportScienza e SportScienza e SportScienza e Sport
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
Riposo
Dopo test
PAS FCPAD
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MATTIINA dalle 8 fino alle 11
TARDA MATTINATA dalle 11 fino alle 1
DATA: 6/3/001 PRIMO POMERIGGIO dalle 1 fino alle 4
POMERIGGIO dalle 4 fino alle 8
NOME: T.SPORT: SERA dalle 8 fino alle 12
ETA`: 17 ORA:
ALTEZZA:cm 170 SESSO:
PESO:kg 78 OMERO 5
FEMORE 8,9
L-Gamba D. 101 cm. POLSO 4
U/D(mm)
11,5 U/D
3 SPALLE 115
6 PETTO 98
9,5 BICIPITE R. 33,5
5 BICIPITE C. 38
11,5 AVAMBRA. 28,5
7 POLSO 16,5
3 ADDOME 78
5 Basso ADD. 80,5
TOTALE: 61,5 ANCA 98
COSCIA 63,5
GINOCCHIO 40,5
A.destro. POLPACCIO 41
CAVIGLIA 27
TOTALE 758
PAS 130 PAS 126
PAD 60 PAD 61
FC 43
%FAT(4): 17,2 %FAT MASS: 13,42 kg
IMC= 26,99
suma 7 47
Densità corp. 1,09 g/cm3
mujeres: 1,07397991
5,02 69,52 kg
12,12 10,82 kg
11,11 12,50 kg
I.EC.C.= 0,97
Endomorfo: 1,98 IP 39,79
Mesomorfo: 5,37 X -1,19
Ectomorfo: 0,79 Y 7,97
ARTO SUP. ARTO INF.Area Totale: 881,42 3166,93
Area Muscolare 205,90 1240,75
Area Grassa 675,51 1926,17
Body Building
SOMATOTIPO (CARTER)
CALCOLO MASSA MUSCOLARE(cm2)
DIAMETRI (cm)
P.C.GAMBA (esterno)
VALUTAZIONE COMPOSIZIONE CORPOREA
Massa Corporea Totale (Sloan):
Massa Grassa (Yuhasz):
Massa Magra (Benhke):% grasso per densitá (Siri)
AUTOMATICA
PIEGHE CUTANEE
IMPEDENZA BIOELETTRICA
PC.SOPRAILIACAPC.COSCIAPC.ADDOMEPC.PETTO
MANUALE
Media % Grasso:
xxx
PC.ASCELLARE
PERIMETRI (cm)
PC.BICIPITALE BRAC.PC.TRICIPITALE BRAC.PC.SOTTOSCAPOLARE
Media kg Grasso:
MISURAZIONE PRESSIONE ARTERIOSA
PRIMO POMERIGGIO dalle 1 fino alle 4
UOMO
DONNA
Livello
endoformo
Livello Mesoformo
Livello
ectomorfo
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210
Tabella 14: TEST DI LATTATO SUL CICLOERGOMETRO
A) Delta lattato.
B) Lactato / potencia & FC / potencia
8.- Bibliografia.
AMBY BURFOOT. Correr. ED. Manuales grandes espacios. AMERICAN COUNCIL EXERCISE (1991): Personal trainer manual. ANTONIO DAL MONTE ed altri: La valutazione dell’Atleta”. ED. Utet. ASTRAND, P.O. & RODAHL, K (1988). Fisiología del trabajo físico. 3º ed., Bogotá. ED. Panamericana, pág. 310 ASTRAND, P.O. & RODDAHLK. Fisiologia del ejercicio. Bases fisiológicas del ejercicio. Ed. MacGraw Hill. Nueva York. ASTRAND, P-0., y RODAHL, K. (1980) Precis de physiologie de l’exercice muculaire. ED. Mason. BAAK, M.A. VAN y BINKHORST, R.A.(1981): Oxygen consumption during outdoor recreational bicycling. Ergonomics, 24. BAKER, A. (2002): Medicina del ciclismo. Editorial Paidotribo. BARBANY, J.R. (1986): Fisiología del esfuerzo. Institut Nacional d’Educacio Física de Catalunya. BELLOTTI,P. (1989). Fondamenti dell’ allenamenti sportivi. Zanichelli, Bologna. Italia. BELLOTTI,P. y MATTEUCCI,E. (1999). Allenamento Sportivo. Utet, Torino, Italia. BLÁZQUEZ, T.O. (1990): Evaluar en educación física. ED. Inde. BOMPA, T.O. (1990): Valores de intensidad fisiologógica empleados para el entrenamiento de la resistencia. Revista de Entrenamiento Deportivo, Vol 4: 2-11. BOSCO, C. La valutazione della forza con il test di Bosco. Società stampa sportiva, Roma (Italia). BOSCO, C. y Viru: Biología del entrenamiento. Società stampa sportiva, Roma (Italia). BOSCO, C. La fuerza muscular. Aspectos metodológicos. INDE. BOSCO, C. La forza muscolare. Aspetti fisiologici ed aplicación prtiche. Società stampa sportiva, Roma (Italia). BOVE, A.A. y LOWENTHAL, D.T. (1987): Medicina a del ejercicio. ED. Ateneo. o BURFOOT, A. (2000): Correr. El libro completo de Runner’s World. Manuales grandes espacios. o CALZADA, A. (1999): Manual para la enseñanza: atletismo. Editorial Gymnos. o Catala, J.(1972): fÍsica general. ED. Saber. CHICHARRO, J. y Fernández, A. Fisiología del ejercicio. Panamericana. CIAMMARONI, E. (1992): Il biofeedback
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213
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215
atural Body Building Federation
Corso di III° livello (Personal Trainer)
PRIMO SOCCORSO &
DEFRIBILLATORE
A cura dell’ AMCO (Associazione azionale Medici Cardiologi Ospedalieri)
Il defribillatore usato nei corsi NBBF/ANMCO
WWW.BBF.IT WWW.OLYMPIA.IT
216
PRESENTAZIONE
Nei paesi industrializzati l’arresto cardiaco costituisce una delle più importanti cause
di mortalità ed è prevalentemente dovuto a cardiopatia ischemica. L’arresto cardiaco
extraospedaliero è responsabile del 60-70% di tutte le cause di morte cardiovascolare. La
raccolta dei dati di incidenza dell’arresto risente delle diverse casistiche e della modalità di
raccolta dei dati, essendo riportati valori compresi tra 0.36 e 1.28 per 1000 abitanti per anno.
Secondo i dati epidemiologici nordamericani e quelli della Organizzazione Mondiale
della Sanità l’arresto avrebbe un’incidenza pari a 1/1000 abitanti/anno. In Italia, secondo le
stime del’ ISTAT, le morti improvvise sarebbero circa 45.000 per anno, pari al 10% della
mortalità complessiva. Secondo i dati dello studio MONICA relativi all’area Brianza, l’arresto
cardiaco costituisce la causa terminale, diretta o indiretta, del 70% della mortalità coronarica.
Un’indagine prospettica multicentrica condotta in Friuli valuta l’incidenza d’arresto
extraospedaliero intorno a 0.95 per 1000 abitanti per anno. La probabilità di sopravvivenza
correla con la presenza di testimoni, presenti all’evento nel 65% dei casi, quanto al ritmo
riscontrato dai soccoritori prevalgono largamente i ritmi defibrillabili
(fibrillazione/tachicardia ventricolare), correlati ad una maggiore probabilità di
sopravvivenza.
L’evento che più frequentemente causa l’arresto cardiaco è la fibrillazione
ventricolare, indotta da eventi ischemici
acuti: essa provoca la cessazione del
circolo e porta inevitabilmente a morte;
se l’aritmia ipercinetica ventricolare non
viene interrotta, la possibilità di
sopravvivenza si riduce del 10% per ogni
minuto trascorso dall’esordio
dell’arresto. I primi 10 minuti vengono
pertanto considerati “d’oro” al fine di un
soccorso efficace. (Fig.:1)
Mentre la mortalità complessiva
per le malattie cardiovascolari si è ridotta
negli ultimi anni in Italia, un’analoga flessione non si è verificata per i decessi causati da
arresto cardiaco. Le drammatiche percentuali di sopravvivenza che troviamo in letteratura
variano dal 2% al 44% a seconda dell’adeguatezza e della rapidità dell’intervento terapeutico,
217
con una mortalità del 100% se il paziente non viene rianimato. La possibilità di sopravvivenza
è legata all’interruzione della aritmia, ottenibile nelle maggior parte dei casi con la
defibrillazione elettrica, cui consegue il ripristino della funzione sistolica.
L’impiego del defibrillatore
Per fronteggiare l’arresto cardiaco occorre addestrare e rendere operativo con la
massima rapidità il personale medico, paramedico e le persone comuni sottoposte ad
addestramento. La chiave di volta del sistema risiede nella diffusione dei defibrillatori e nel
loro uso corretto. La disponibilità delle apparecchiature automatiche di nuova generazione
(Defibrillatori Automatici Esterni, DAE) ne favorisce un impiego allargato. La semplicità del
loro impiego è tale che non solo gli adulti ma anche i bambini delle scuole elementari lo
apprendono con successo.
Se si attivassero le condizioni per attivare la rianimazione cardiopolmonare entro 3
minuti e la defibrillazione elettrica entro 6 minuti, le percentuali di resuscitazione
aumenterebbero considerevolmente. A tal fine è stata proposta la collocazione dei
defibrillatori esterni portatili in postazioni fisse: negli edifici pubblici, nei centri commerciali,
allo stadio, nei teatri, negli aeroporti ed anche nei caseggiati ad uso abitazione, ove i
defibrillatori dovrebbero essere collocati in parallelo ad altre apparecchiature per la sicurezza
come gli estintori ed i rivelatori delle fughe di gas. La diffusione del training in rianimazione
cardiopolmonare di base e l’accesso alla defibrillazione rapida erogata dai testimoni
contribuiranno a migliorare significativamente la sopravvivenza dopo un arresto.
In accordo con le linee guida dell’American Heart Association pubblicate fin dal 1992,
“tutto il personale che svolge un lavoro dovrebbe essere addestrato alla rianimazione
cardiopolmonare e all’uso del defibrillatore automatico esterno. L’American Heart
Association considera la defibrillazione precoce lo standard terapeutico di una comunità e
l’indisponibilità di un defibrillatore durante l’arresto cardiaco l’evenienza più grave da
combattere.
Il defibrillatore esterno in grado di riconoscere i ritmi defibrillabili e di interagire con
l’operatore fino all’erogazione della scarica è un dispositivo altamente affidabile. Si tratta di
apparecchiature dotate di un software, derivato dall’esperienza dei defibrillatori impiantabili,
capace di riconoscere automaticamente i ritmi defibrillabili e di istruire a viva voce
l’operatore sulla necessità o meno di premere il pulsante di defibrillazione. Le apparecchiature
più recenti erogano lo shock mediante onda bifisica: con tale innovazione è sufficiente una
minore disponibilità di energia, pertanto la riduzione del peso dei condensatori rende più
218
leggere le nuove apparecchiature, attualmente di circa 2 Kg. Sono in commercio defibrillatori
automatici altamente affidabili, di provata sensibilità e specificità, in ottemperanza con le
linee guida delle Associazioni Mediche internazionali. L’uso di questi dispositivi è talmente
semplice che i bambini delle scuole elementari, dopo un breve training, sono in grado di usarli
con la stessa efficacia del personale professionista. Poiché il ruolo dell’operatore resta
decisivo, si tratta in realtà di defibrillatori semiautomatici.
Nel 1995 l’ International Liaison Committee on Resuscitation (ILCOR) ha
raccomandato di incoraggiare il personale non medico all’uso del DAE, succesivamente in
USA sono state proposte apposite modificazioni legislative per favorirne l’impiego da parte
del personale “laico” adeguatamente addestrato.
La diffusione dei DAE è una scelta di prevenzione. La probabilità di sopravvivenza
dopo un arresto cardiaco è strettamente correlata alla tempestività del soccorso e
all’attivazione della catena della sopravvivenza, di cui la defibrillazione elettrica costituisce
un passaggio decisivo. Se i pazienti vengono soccorsi entro 1-2’, come avviene nei Centri di
Riabilitazione, la sopravvivenza può raggiungere 90%, se il soccorso tarda 6-7 minuti la
sopravvivenza scende al 35-45%. Sulla base di queste osservazioni si è proposto affidare la
defibrillazione precoce a figure laiche di primo soccorso. I First Responders allenatori in
tempi rapidi ed addestrati a eseguire la defibrillazione esterna, dovrebbero esser distribuiti nel
territorio in modo da giungere sul luogo dell’evento prima delle ambulanze attrezzate.
La concentrazione di DAE nei luoghi di alta frequentazione non è in grado di
dare una soluzione alla maggioranza delle aritmie defibrillabili, che avvengono a domicilio
(84%) ed in luoghi pubblici a bassa frequentazione. Per cercare di risolvere il problema, le
linee guida ILCOR hanno proposto di dotare di DAE le auto dei corpi dello Stato (Polizia
Municipale, Polizia Stradale, Vigili del fuoco ecc.) addestrandone i componenti, al fine di
creare una strada itinerante in grado di intervenire in tempi più brevi rispetto alle ambulanze
attrezzate. Nell’esperienza italiana ‘Progetto Vita’ realizzato a Piacenza vengono allertati “a
ventaglio”, mediante il 118, il personale della Polizia, dei Vigili del fuoco, della Guardia di
Finanza, ed i Volontari del Soccorso, ottenendo buoni risultati preliminari (30% di
sopravvivenza nei soccorsi con aritmie defibrillabili). Tale esperienza prevede anche la
dislocazione dei DAE in luoghi fissi, come farmacie, stazioni, uffici postali, stadio ed altri,
con persone addestrate e allertabili dal 118 e/o dai privati della zona.
La diffusione dei DAE dovrebbe essere ampia. Per ragioni di priorità, come suggerito da
IRCOL, oltre ai reparti ospedalieri e alle ambulanze, i defibrillatori andrebbero collocati sul
territorio a partire dalle sedi di maggior affollamento. La popolazione generale andrebbe
sensibilizzata già a livello scolastico. L’uso del defibrillatore dovrebbe essere conosciuto da
219
chi presta servizio nei luoghi dotati di DAE, dai conducenti di auto dotate di DAE ed, in
generale, dal maggior numero possibile di persone. In particolare andrebbero istruiti su cosa
fare in caso di arresto cardiaco i familiari conviventi con cardiopatici a rischio. Essi
dovrebbero saper palpare il polso, chiamare il 118, eseguire le prime manovre rianimatorie,
conoscere le sede della più vicina postazione fissa con defibrillatore e, all’occorrenza, saper
svolgere la funzione di “First Responder”.
L’iniziativa dell’Area Emergenza dell’ANMCO
L’iniziativa dell’Area Emergenza dell’ANMCO nel settore educazionale prevede che,
attraverso l’istituzione di Corsi BLSD ed ACLS per Provider e per istruttori, si consolidi
un’azione culturale di vasta portata finalizzata al miglioramento della risposta all’arresto
cardiaco sia all’interno delle mura dell’ospedale che fuori di esse, sul territorio. Non basta
all’arresto cardiaco una risposta di tipo meccanicistico, come bene sanno i Cardiologi la cui
competenza meglio di altre tende a collocare l’evento nel contesto della cardiopatia di base,
quasi sempre ischemica. La Cardiologia non viene confinata nelle UTIC, nei laboratori e negli
ambulatori, ma è protagonista nel soccorso e concorre alla programmazione ed alla gestione
delle condizioni di emergenza cardiovascolare in particolare quando si tratta di arresto
cardiaco e di dolore toracico.
Per L’ANMCO, che raduna circa 5000 cardiologi italiani, e per l’Area Emergenza, che da
anni si occupa del problema, si tratta di una questione ineludibile. L’ANMCO, innesta nella
Società Europea di cardiologia tramite la Federazione Italiana di Cardiologia, di cui è parte,
ha la forza culturale, scientifica ed organizzativa per corrispondere al diritto/dovere di fare
formazione in questo settore, seguendo l’esempio dell’American Heart Association.
Il gruppo di istruttori ANMCO ha carattere multidisciplinare, coinvolge prevalentemente
cardiologi ospedalieri, ma anche universitari, medici di altre discipline ed infermieri
professionali. Tutti gli istruttori hanno accumulato in questi anni una grande esperienza nell
settore della rianimazione cardiopolmonare, provenendo da formazioni qualificate anche se
diverse e, previa verifica e selezione, verranno ufficialmente riconosciuti come istruttori
ANMCO. Dopo la pubblicazione delle nuove Linee Guida ILCOR, avvenuta su Circulation
nell’Agosto 2000, essi hanno accettato di mettersi insieme, di rinnovare apprendimemto e
metodologia didattica e di preparare nuovi strumenti didattici, tra cui questo informale
manuale.
220
Si tratta della prima versione del Manuale BLSD ANMCO 2001, rivolta a operatori sanitari e
a laici, contenente gli elementi teorici necessari per comprendere i principi e le tecniche di
rianimazione cardiopolmonare. Questo manuale è uno strumento perfettibile, ma anche se
fosse perfetto non basterebbe ad insegnare il soccorso a una vittima di un arresto cardiaco. La
conoscenza teorica va infatti associata all’addestramento, l’esercitazione pratica è
indispensabile nel contesto del un Corso il cui corretto svolgimento garantisce l’acquisizione
delle abilità BLSD ed ACS.
Francesco Chiarella
222
NTRODUZIONE
Lo scopo del presente manuale (rivolto agli operatori sanitari) è quello di diffondere al
personale medico e paramedico le conoscenze e le abilità necessarie per gestire le situazioni
di arresto cardiorespiratorio (ACR). Secondo stime attuali una persona ogni mille abitanti è
colpita ogni anno (1/1000/anno) da arresto cardiocircolatorio (ACC) (in Italia circa 50.000
nuovi eventi ogni anno). L’evento che causa l’ACC è nell’85% dei casi circa un’aritmia
cardiaca incompatibile con la vita: la fibrillazione ventricolare (FV) e la tachicardia
ventricolare senza polso (TV);
queste sono aritmie che non consentono al cuore di mantenere una funzione di pompa valida
in quanto lo inducono a battere in modo inefficace. L’unico trattamento valido in questi casi,
per interrompere l’aritmia, è la defibrillazione elettrica. E’ stato provato da studi
internazionali che le percentuali di sopravvivenza in chi è colpito da ACC aumentano in modo
considerevole (dal 2%-6% al 30%-40%) se viene utilizzato un Defibrillatore Semiautomatico
entro 5 minuti.
Le linee guida recentemente pubblicate da AHA e ILCOR (Circulation-Resuscitation: Agosto
2000) sottolineano questo punto e raccomandano che in caso di ACC in Ospedale ciò sia
possibile entro 3 minuti e riconoscono nel BLS la sequenza di azioni intraprese nei primi
minuti di un’emergenza includendo:
a) Rapido riconoscimento ed azioni conseguenti prevenire l’arresto cardiorespiratorio in
condizioni di elevato rischio come le sindromi coronariche acute (IMA) e lo Stroke.
b) Ventilazione assistita per vittime di arresto respiratorio.
c) Compressioni toraciche esterne (CTE) per vittime di arresto circolatorio.
d) Defibrillazione con DAE in pazienti con arresto cardiorespiratorio da fibrillazione
ventricolare o tachicardia ventricolare senza polso.
e) Riconoscimento e soccorso per vittime di arresto respiratorio da ostruzione delle vie
aeree da corpo estraneo.
223
Da queste evidenze e da tali linee guida scaturisce la necessità di far entrare la Defibrillazione
Precoce nella struttura del BLS in modo che i primi tre anelli della Catena Della
Sopravvivenza vengano portati a termine dai primi soccorritori.
CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA
Il concetto di catena della sopravvivenza si pone ad utile metafora del sistema di emergenza
cardiaca; tale concetto sintetizza le attuali conoscenza sul migliore approccio al trattamento
delle persone soggette a morte per improvviso arresto cardiorespiratorio. I quattro anelli di
questa catena sono (Fig.: 2):
1) Il rapido accesso al sistema di emergenza
2) La rianimazione cardiopolmonare di base precoce (BLS)
3) La defibrillazione precoce (DP)
4) La precoce terapia cardiologica avanzata (ACLS)
I quattro anelli della catena sono strettamente collegati uno all’altro e dalla loro solidità
dipende la sopravvivenza del soggetto colpito da arresto cardiocircolatorio.
La catena della sopravvivenza deve essere ben radicata nella popolazione generale ed ancor
più negli operatori sanitari per poter ottenere i migliori risultati in termini di percentuali di
sopravvivenza in chi è colpito da ACC. La forza della catena della sopravvivenza è data dalla
solidità di ciascuno degli anelli e si interrompe dove c’è l’anello più debole.
224
DANNO ANOSSICO CEREBRALE
Ogni cellula del nostro organismo vive e svolge le proprie attività grazie ad un “carburante”
comune che è l’Ossigeno. In caso d’arresto cardiaco (da qualsiasi causa) manca la capacità di
diffondere l’Ossigeno ai tessuti con conseguente sofferenza cellulare.
Le cellule cerebrali, in conseguenza del mancato apporto d’ossigeno, subiscono un danno che,
reversibile nei primi minuti, diviene irreversibile dopo un periodo di ACR di circa 5-10
minuti.
Lo scopo del BLS, attraverso l’applicazione di manovre rianimatorie standardizzate come le
compressioni toraciche esterne e la respirazione assistita è quello di ritirare il più a lungo
possibile (comprare tempo) la progressione dei danni cerebrali dovuti alla sofferenza anossica
verso la condizione di irreversibilità.
CONCETTI GENERALI SULLA DEFIBRILLAZIONE PRECOCE
Abbiamo precedentemente detto che la fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare
senza polso sono le aritmie cardiache che più frequentemente (85%) sono responsabili
dell’arresto cardiaco. Queste aritmie inducono il cuore a battere in modo caotico la prima ed
in modo ritmico ma troppo veloce la seconda facendogli perdere la capacità di pompare
sangue e porterebbero rapidamente a morte se non intervenisse uno shock elettrico
(defibrillazione) ad azzerare per un momento tutti i potenziali elettrici del miocardio
interrompendo così l’artmia causa di arresto cardiaco e consentendo la ripresa di un ritmo
organizzato ed efficace. La defibrillazione elettrica è l’unica terapia efficace in questi casi. La
probabilità che la defibrillazione risulti efficace nell’interrompere la FV o la TV diminuiscono
rapidamente con il passare dei minuti ( -10% ogni minuto che trascorre) per arrivare ad essere
vicine allo zero dopo circa 10 minuti (Fig. 1). Per questo motivo il fattore tempo è l’elemento
determinante per il successo della defibrillazione che deve essere quindi il più precoce
possibile. Per eseguire la defibrillazione ci dobbiamo avvalere dell’utilizzo dei defibrillatori,
questi sono apparecchi in grado di erogare elevate “dosi” di corrente continua in brevissimo
tempo (millisecondi). I defibrillatori che si utilizzano nel BLS-D sono cosidetti Defibrillatori
semiAutomatici Esterni (DAE). Questi apparecchi, una volta collegati al torace del soggetto
mediante degli elettrodi adesivi, sono in grado di analizzare il ritmo cardiaco presente in
modo del tutto automatico, e in presenza di FV o di TV danno la notizia all’operatore,
225
caricando i propri condensatori e si pongono in attesa del comando di erogazione dello shock
che deve essere dato dall’operatore che li utilizza.
Esistono in commercio vari tipi di DAE in Italia
1) DAE a 3 tasti: l’operatore deve
a)accendere il DAE
b)premere il tasto analisi (caricamento automatico)
c)premere il tasto shock
2) DAE a 2 tasti: l’operatore deve
a)accendere il DAE (analisi e caricamento
automatici)
b)premere il tasto shock
3) DAE a 1 tasti: l’operatore deve
a)premere il tasto shock (accensione automatica
con
l’apertura dell’apparecchio)
Attualmente i DAE maggiormente utilizzati sono quelli a due ed a tre tasti. Quelli a due, di
più semplice utilizzo, sono particolarmente indicati nei programmi di defibrillazione precoce
nel territorio dove ad utilizzarli saranno soprattutto i soccorritori “laici”.
ELEMENTI DI DEFIBRILLAZIONE
Defibrillare quindi significa erogare (attraverso il defibrillatore) una “dose” di corrente
continua (misurata in Ampère) che attraversando in brevissimo tempo (4-20 millisecondi) il
cuore lo rende refrattario-ineccitabile alla fibrillazione ventricolare o alla tachicardia
ventricolare interrompendole o consentendo così il ripristino di un normale ritmo cardiaco.
Sono fondalmentamente 4 le costanti che intervengono a determinare l’efficacia della
defibrillazione: a) soglia di defibrillazione, b) livello di energia erogata, c) impedenza
transtoracica, d) forma d’onda utilizzata.
a)Soglia di Defibrillazione:
è determinata dallo stato metabolico del miocardio, dalla presenza di farmaci, dalla
temperatura, dalla patologia che ha causato la FV ma soprattutto dalla durata della FV
stessa.
b)Livello di energia erogate:
226
è il fattore più importante nel determinare il successo della defibrillazione: energie
troppo basse hanno minori possibilità di successo ma sono meno dannose per il
miocardio, livelli di energia alti hanno maggiori possibilità di successo
nell’interruzione dell’aritmia ma sono più dannose per il miocardio perché possono
provocare necrosi cellulari più o meno estese ed a volte possono convertire la FV in
asistolia; il livello di energia da erogare deve quindi essere un compromesso tra
efficacia e danno potenziale, generalmente i livelli di energia efficaci e meno dannosi
sono compresi tra 150 J e 320 J. Per convenzione si è deciso che la sequenza degli
shock in caso di ACC deve essere:
200 J – 200 J – 360 J.
EERGIA: l’energia (E – Joule) che si libera tra i due elettrodi è data dal prodotto
della potenza (Potenza – Watt) per il tempo (t – secondi). La potenza è data dal
prodotto della differenza di potenziale (V – volt) per la corrente (I – Ampère):
E= V x I x tJoule= Volt x Ampère x sec.
E= Potenza x t Joule= Watt x sec.
c) Impendenza transtoracica:
viene definita con tale nome la resistenza che si interpone al passaggio della corrente
ed è determinata da: grandezza degli elettrodi, numero e rapidità di esecuzione dei
precedenti shock, la fase della ventilazione, la distanza tra gli elettrodi (grandezza del
torace), l’interfaccia elettrodi cute.
La impendenza si misura in ohm (Ω) e per una persona di normali dimensioni può
variare tra 50 e 100 ohm. Maggiore è l’impendenza transtoracica maggiori devono
essere le energie per poter essere efficaci.
Posizione degli elettrodi: è importante perché da essa dipende il passaggio del
massimo flusso di energia attraverso il miocardio. La posizione migliore è quella che
si ottiene posizionando un elettrodo adesivo sotto la clavicola destra e l’altro all’apice
del cuore, alla sinistra del capezzolo in corrispondenza della linea ascellare anteriore.
In caso di portatori di pace-maker o AICD (defibrillatore impalpabile) si deve evitare
di porre gli elettrodi adesivi proprio al di sopra della cassa metallica degli stimolatori
perché all’erogazione dello shock si può causare una variazione nella programmazione
del dispositivo ed anche perché molta energia dello shock può venire assorbita dalla
cassa metallica del dispositivo, diminuendo così la probabilità di successo della
defibrillazione. Dopo la defibrillazione i pace-maker e gli AICD devono essere
sottoposti a riprogrammazione.
227
d)Forme d’onda:
Esistono attualmente in commercio DAE che erogano forme
d’onda di due tipi : Monofasiche e Bifasiche.
Il nome di mono o bifasica dipende sostanzialmente dalla
direzione dello shock nell’attraversare il miocardio: nella
monofasica questa direzione è unica da un elettrodo all’altro,
nella bifasica invece ad un certo punto la direzione dello shock
si inverte. Se volessimo rappresentare graficamente tali onde la
monofasica è rappresentata da un’unica fase al di sopra della linea di zero mentre la
bifasica è caratterizzata da una prima fase al di sopra dello zero e poi da una seconda
fase al di sotto dello zero. Le onde monofasiche sono di due tipi: MET (monofasica
esponenziale tronca) e MSA (monofasica sinusoidale attenuata o di edmark).
I DAE bifasici impiegano una forma d’onda cosiddetta esponenziale tronca (BET=
bifasica esponenziale tronca) ed hanno la capacità di variare la durata della prima e
della seconda fase dell’onda a seconda dell’impedenza transtoracica riscontrata
garantendo così un’ottimizzazione dello shock per ogni paziente.
DEFIBRILLAZIOE I ETA’ PEDIATRICA. Raramente la FV è la causa di ACR in età
pediatrica: perde quindi la precocità del trattamento col defibrillatore. ormalmente i livelli
di eneregia indicati nella defibrillazione in età pediatrica sono in relazione al peso del
soggetto e non superano i 2 J/Kg. I DAE attualmente in commercio sono programmati per
fornire energie di utilizzo a partire da 200 J e quindi non andrebbero usati in soggetti adulti
al di sotto dei 50 Kg. Le attuali linee guida per l’utilizzo dei DAE si riferiscono a soggetti
adulti (con più di 8 anni) e di peso superiore ai 50 Kg.
PROCEDURE OPERATIVE:
Le procedure di BLS-D descritte nel presente manuale sono applicabili a pazienti adulti (età
superiore ad 8 anni).
Il BLS consiste in una serie di manovre eseguite in sequenza. Tutte le azioni devono essere
precedute da fasi di attenta valutazione che sono di cruciale importanza. Nessun paziente deve
essere sottoposto a manovre invasive di RCP (Rianimazione Cardio Polmonare) se la loro
necessità non è stata prima stabilita da un’attenta fase valutativa:
quindi
Fasi del BLS semplice senza defibrillatore disponibile:
Valutazione ⇒⇒⇒⇒ Azione
228
A) Airway > Coscienza – Vie Aeree > Allertamento-Apertura delle vie aeree
B) Breathing > Respirazione > Ventilazione
C) Circulation > Circolazione > Compressioni Toraciche
A differenza del BLS dove ad ogni valutazione consegue una successiva azione nel BLS-D,
dove si presuppone l’immediata disponibilità del DAE, la fase C è di esclusiva valutazione
per arrivare nel minor tempo possibile alla fase D in cui si somministra lo shock se
necessario: le linee guida 2000 raccomandano infatti che il tempo che trascorre dal momento
dell’ACC al momento del primo shock erogato dal DAE non sia superiore ai 5 minuti se
l’evento occorre al di fuori dell’ospedale e ai 3 minuti se l’evento avviene in ospedale.
Le fasi del BLS-D si possono così schematizzare: (Fig.: 3 Algoritmo del BLS-D)
A) Airway > Valutazione coscienza e pervietà delle vie aeree (allertamento)
B) Breathing > Valutazione della presenza di attività respiratoria
> 2 ventilazioni di soccorso
C) Circulation > Valutazione di attività circolatoria valida
D) Valutazione del ritmo (da parte del DAE) e, se indicata ⇒
La squadra di soccorso per il BLS-D è in genere composta da due operatori sanitari ed i loro
compiti sono così individuati:
Il primo soccorritore si occuperà di iniziare la sequenza del BLS (valutazioni ABC) ed
allerterà la squadra ACLS al momento opportuno (con DAE immediatamente disponibile: al
momento della rilevazione dell’assenza di polso e con DAE non disponibile: appena rilevata
l’assenza di coscienza). Il secondo soccorritore si posizionerà con il DAE alla sinistra della
vittima con l’apparecchio posto all’altezza dell’orecchio sinistro, accenderà l’aparecchio,
posizionerà gli elettrodi adesivi sul torace del paziente nella posizione idonea e si terrà pronto
per avviare l’analisi dell’apparecchio e ad effettuare le compressioni toraciche esterne se
necessario assumendo la leadership.
Fase A
Valutazione della coscienza
Dopo aver determinato che il campo di azione sia sicuro (controllare che non vi siano
situazioni di rischio evolutivo come la presenza di carichi sospesi, fili di alta tensione
penzolanti, automobili che sfrecciano sulla carreggiata etc. : in tali condizioni il soccorritore
deve spostare il soggetto e porsi in una situazione d sicurezza per se e per la vittima.), i
soccorritori arrivati sul posto dell’accaduto, devono velocemente valutare ogni possibile
Valutazione Azione
DEFIBRILLAZIONE
229
danno e determinare se la vittima è cosciente (se non risponde a stimoli). Toccare e cuore
lievemente la vittima e gridare “Tutto bene?”. Se il soggetto ha ricevuto un trauma alla testa o
al collo, o se si sospetta che ci sia un trauma del collo, muovere l’infortunato solo se
strettamente necessario. Movimenti impropri possono causare un danno al midollo spinale
(Fig.: 4).
Un istruttore illustra l’uso del defribillatore durante un corso di terzo livello NBBF
231
Vie Aeree
Se la vittima non risponde il soccorritore deve valutare se
respira in maniera adeguata. Per valutare la respirazione, la
vittima deve essere supina (poggiando la schiena ) con le vie
aeree pervie.
Posizionamento della vittima
Affinchè siano validi i tentativi di rianimazione e la relativa
valutazione, la vittima deve essere supina su una superfice
stabile e piatta. Se la vittima giace prona (a faccia in giù),
ruotarla come se fosse un tutt’uno in modo che la testa, le
spalle ed il dorso si muovano simultaneamente senza curvarsi.
La testa ed il collo devono rimanere sullo stesso piano del
dorso, ed il corpo si deve mobilizzare in asse. Se la vittima
non respira, deve restare supina con le braccia lungo il corpo. Ora è pronta per la RCP.
Posizionamento del soccorritore
Il soccorritore esperto deve stare al lato del paziente, posizionandosi per eseguire sia la
ventilazione di soccorso, che la compressione del torace. Il soccorritore deve anticipare
l’arrivo di un DAE, se capace, e deve essere preparato ad agire appena esso arriva.
Aprire la vie aeree
Quando la vittima è priva di coscienza, è diminuito il
tono muscolare e la lingua e l’epiglottide possono
ostruire la faringe. La lingua è la causa più comune di
ostruzione delle vie aeree nelle vittima incosciente.
Poiché essa è attaccata alla mandibola, spostando la
mandibola verso l’operatore, si permetterà alla lingua
di spostarsi dalla zona posteriore della gola liberando
così le vie aeree. La lingua o l’epiglottide, o entrambe, possono creare un ostruzione quando
per lo sforzo inspiratorio spontaneo, si viene a creare una pressione negativa nelle vie aeree;
questo crea un meccanismo tipo a valvola che può occludere l’accesso alla trachea (Fig.: 5).
Se non ci sono segni di traumi alla testa con sollevamento del mento descritta sotto per aprire
le vie aeree. Rimuovere quindi il materiale estraneo o alimentare dalla bocca. Svuotare la
bocca dalle sostanze liquide o semiliquide usando guanti o pezzi di stoffa. Estrarre dalla bocca
232
possibili materiali solidi con il dito indice ad uncino, mentre la lingua e la mandibola sono
tenute con l’altra mano (Fig.: 19).
Manovra di iperestensione della testa (se non vi è trauma)
Per effettuare la manovra di iperestensione della testa, mettere una mano sulla fronte della
vittima e applicare una pressione costante con il proprio palmo, tenendo la testa piegata
indietro. Per completare tale manovra, mettere due dita dell’altra mano sotto la parte ossea del
bordo inferiore della mandibola vicino al mento. Sollevare la mandibola verso l’alto portando
così in avanti il mento e facendo occludere i denti. Questa manovra sostiene la mandibola e
facilita l’inclinazione posteriore della testa. Non premere in maniera eccessiva sui tessuti
molli sotto il mento, perché potrebbero ostruire le vie aeree. Non usare il pollice per sollevare
il mento (Fig.: 6).
Aprire la bocca della vittima per facilitare la
respirazione spontanea e per prepararlo alla
respirazione bocca a bocca. Se la vittima ha una
dentiera, la manovra di iperestensione della testa
permette di ottenere un solido contatto bocca a bocca.
Rimuovere la dentiera solo se non si riesce a
mantenerla in sede.
Manovra di sublussazione della mandibola
La manovra di sublussazione della mandibola per
mantenere le vie aeree pervie dovrebbe essere insegnate
sia ai primi soccorritori che agli assistenti sanitari.
Posizionare la mani sui lati della mandibola e sollevarli
con entrambe le mani. Se le labbra sono chiuse,
abbassare il labbro inferiore con i pollici. Questa tecnica
sebbene molto efficace per mantenere pervie le vie aeree, è faticosa e tecnicamente difficile
per il soccorritore (Fig.: 7).
La tecnica di sublussazione della mandibola senza inclinare la testa è un sicuro approccio
iniziale per aprire le vie aeree dell’infortunato con un sospetto trauma del collo, perché può
essere di solito eseguita senza far estendere il collo. Mantenere attentamente la testa senza
inclinarla indietro o ruotarla lateralmente.
233
Raccomandazioni per l’apertura delle vie aeree
La tecnica raccomandata per aprire le vie aeree deve essere semplice, sicura, facile da
apprendere ed efficace. Poiché questi criteri sono presenti nella manovra di iperestensione
della testa, dovrebbe essere la metodica di scelta per i primi soccorritori in corso BLS, che la
dovrebbero usare nei casi in cui non si sospetti un trauma. Sebbene a tutti i primi soccorritori
siano insegnate sia la manovra di iperestensione della testa, che la sublussazione della
mandibola per l’apertura delle vie aeree, i soccorritori professionisti (personale delle
ambulanze e di altri servizi sanitari) devono essere esperti di entrambe le manovre.
FASE B
Respirazione
Valutazione: verificare la respirazione
Per valutare la respirazione, mettere il proprio orecchio vicino alla bocca ed al naso del
soggetto mentre sono mantenute aperte le vie aeree. Quindi girarsi verso il torace della
vittima, 1) guardare le possibili escursioni del torace, 2) ascolterà il rumore dell’aria espirata,
e 3) sentire il flusso d’aria (G.A.S.: Guardo, Ascolto, Sento). Se il torace non sale e scende e
non c’è un flusso di aria esalata, l’infortunato non sta respirando. Questa procedura di
valutazione deve richiedere circa dieci secondi. La maggior parte delle vittime con arresto
cardiaco o respiratorio non presenta segni
nella respirazione anomala o inadeguata.
Alcune vittime mostrano sforzi respiratori
appartenenti con segni di ostruzione delle
vie aeree superiori.
Queste possono recuperare una
respirazione efficace all’apertura delle vie
respiratorie. Altre vittime hanno vie aeree
pervie, ma mostrano solo tentativi di respirazione deboli ed inadeguati. I tentativi riflessi di
respirazione tipo gasping (respirazione agonica) sono un’altra forma di respirazione
inadeguata, che può essere osservata precocemente in corso di un arresto cardiaco primitivo.
Una respirazione assente o inadeguata richiede nel BLS-D un immediato supporto ventilatorio
da parte dei soccorritori (due insufflazioni di soccorso) e la prosecuzione della valutazioni con
la verifica della presenza di polso carotideo per arrivare al minor tempo possibile alla
defibrillazione.
Se la vittima, pur rimanendo ancora incosciente, recupera un respiro normale e riacquista i
segni di circolo (polso, respiro normale, tosse o si muove) durante o dopo la rianimazione,
234
continuare a mantenere pervie le vie aeree dell’infortunato. Fargli assumere una posizione di
sicurezza qualora l’infortunato mantenga una regolarità respiratoria ed i segni di circolo.
Azione: Eseguire 2 Ventilazioni di soccorso
(per la tecnica di esecuzione delle ventilazioni vedi il capitolo relativo a pag. 19 e seg.)
Posizione di sicurezza
La posizione di sicurezza è da usarsi per le vittime incoscienti, ma che respirano e hanno
segni di circolo quando il soccorritore di deve allontanare. Quando una vittima incosciente
giace supina e respira in maniera spontanea, le vie aeree possono venire ostruite dalla lingua o
da secrezioni e vomito. Si possono prevenire questi problemi mettendo l’infortunato su un
lato, permettendo così ai fluidi di essere più facilmente drenati dalla bocca (Fig.: 9).
Sono necessari alcuni compromessi tra la posizione ideale delle vie aeree e la posizione
ottimale per monitorizzare il paziente e permettere un buon allineamento del corpo. Viene
usata una posizione laterale modificata in quanto una vera posizione laterale tende ad essere
instabile, a coinvolgere un’eccessiva flessione laterale della spina dorsale, comportando
peraltro un drenaggio dalla bocca non ottimale. Una posizione vicina a quella prona, d’altro
canto, può ostacolare una ventilazione adeguata, in quanto ostacola il diaframma e riduce la
compliance polmonare e toracica. Per la Posizione Laterale di sicurezza bisogna considerare
sei principi:
la vittima deve essere in una posizione pressoché laterale da permette un drenaggio
libero dei liquidi
la posizione deve essere stabile
evitare ogni pressione toracica che possa ostacolare la respirazione
deve essere possibile girare l’infortunato da un lato e riportarlo nella precedente
posizione facilmente ed in maniera sicura, evitando un danno cervicale
devono essere possibili una buona osservazione ed un buon accesso alle vie aeree
235
la posizione stessa non deve causare un danno all’infortunato.
E’ particolarmente importante evitare di arrecare danno alla vittima mentre si gira. Se è
presente o si sospetta un trauma, si deve muovere l’infortunato solo se le vie aeree non
possono essere mantenute in altro modo pervie. Questo potrebbe essere il caso, per esempio,
di un unico soccorritore che debba lasciare l’infortunato per andare a chiedere aiuto. Se la
vittima rimane nella posizione di sicurezza per più di trenta minuti, girarla dal lato opposto.
FASE C
Circolazione
Valutazione della presenza di Circolo
La ricerca di attività circolatoria valida deve
essere effettuata su arterie di un certo calibro
per la facilità di reperimento e perché l’impulso
sistolico in questi vasi si mantiene ed è
apprezzabile anche quando la pressione
arteriosa è molto bassa. Per questo motivo
l’operatore sanitario (per i laici le nuove linee
guida non richiedono la valutazione del polso
carotideo) deve ricercare la presenza di polso
carotideo. Per localizzare la carotide, mantenere
la testa iperestesa con una mano sulla fronte
della vittima e localizzate la trachea (la
cartilagine tiroidea) con due o tre dita dell’altra mano. Fate scivolare queste 2 o 3 dita tra la
trachea ed i muscoli al lato (dalla tua parte) del collo dove si può apprezzare il polso
carotideo. Si deve esercitare, nella ricerca del polso, solo una lieve pressione così da non
comprimere l’arteria. La ricerca del polso deve durare almeno 10 secondi (Fig.: 10).
A questo punto abbiamo due possibiltà:
Polso presente > si continua la respirazione assistita con una frequenza di 12 insufflazioni al
minuto (una ogni 5 secondi)
Polso assente > l’operatore con il DAE accende l’apparecchio, applica gli elettrodi, avvia
l’analisi del ritmo ed invita l’altro operatore ad allertare il sistema di emergenza avanzato (se
viene usato un cellulare od un radiotelefono ci si deve allontanare almeno di 2, 3 metri per la
possibilità di interferire con il DAE).
Attivare il sistema di Emergenza Avanzato
236
Attivare il sistema telefonando al servizio di emergenza sanitaria locale (interno od esterno).
La persona che chiama deve essere preparata a dare in maniera più possibile tranquilla le
seguenti informazioni:
- il luogo dell’emergenza (con il numero dell’ufficio, della stanza, della strada o
dell’incrocio,
se possibile)
- il numero di telefono da cui è stata fatta la chiamata
- l’accaduto (attacco cardiaco, incidente d’auto, etc.)
- il numero di persone che necessitano d’aiuto
- le condizioni della/e vittima/e
- quale aiuto è stato dato alla/e vittima/e (p.e. “si sta eseguendo la RCP” o “stiamo
usando il DAE”)
- ogni altra informazione richiesta. Al fine di evitare che il personale dell’emergenza
avanzata non abbia tutte le informazioni necessarie.
Qualora il DAE non fosse stato ancora disponibile i soccorritori avrebbero dovuto
allertare il sistema di emergenza interno o esterno dopo aver constatato la perdita di
coscienza ed iniziare la rianimazione cardiopolmonare secondo schema BLS alternando
15 CTE a 2 ventilazioni (nuove linee guida. Prima 5:1).
PROCEDURE CO IL DAE:
Abbiamo detto che constatata l’assenza di polso carotideo il primo soccorritore si allontana
per allertare il sistema di emergenza (interno o esterno) ed il secondo soccorritore con il
DAE a disposizione inizia una serie di manovre semplici e rapide che possono essere
riassunte nei seguenti punti:
Fase 1: Accendere il DAE
La prima fase nell’utilizzo del DAE è l’accensione. Questa dà il via a una serie di comandi
vocali che guidano il soccorritore attraverso le fasi successive. Per accendere il DAE, premere
il pulsante di accensione o alzare la protezione del monitor o dello schermo in posizione “up”.
Fase 2: Attaccare i cuscinetti degli elettrodi
Aprire e attaccare rapidamente i cuscinetti edesivi degli elettrodi monitor-defibrillatori
direttamente sulla pelle del torace della vittima. In alcuni modelli i cuscinetti e i cavi sono già
Riassumendo:
1) Polso assente e DAE disponibile ⇒⇒⇒⇒ Analisi del ritmo ⇒⇒⇒⇒ defibrillazione
2) Polso assente e DAE non disponibile ⇒⇒⇒⇒ Rianimazione Cardiopolmonare
237
connessi al DAE. Altri dispositivi potrebbero richiedere il collegamento del cavo al DAE, o
del cavo ai cuscinetti degli elettrodi.
Posizionare i cuscinetti degli elettrodi sul margine superiore dx dello sterno (direttamente
sotto la clavicola ) e a lato del capezzolo sx, con il margine superiore del cuscinetto
approssimativamente 7 cm sotto l’ascella. La posizione corretta dei cuscinetti degli elettrodi
spesso è illustrata sui cuscinetti stessi o sull’altra parte del DAE (Fig.: 11).
Interrompere la RCP appena prima di
attaccare i cuscinetti. Se la vittima è
significativamente bagnata di sudore,
asciugare il torace con un panno o un
asciugamano prima di attaccare i
cuscinetti degli elettrodi. Se la vittima
ha un torace villoso, i cuscinetti degli
elettrodi potrebbero attaccarsi ai peli
del petto, impedendo un contatto
efficace con la pelle del torace,
causando un’impendenza transtoracica
elevata, con conseguente messaggio
“controllare gli elettrodi” o controllare i cuscinetti degli elettrodi” da parte del DAE. Questo
problema può essere risolto radendo il petto prima di applicare gli elettrodi.
Fase 3: Analizzare il ritmo
Allontanare i soccorritori e astanti dalla vittima e assicurarsi che nessuno abbia con essa un
contatto fisico. Per prevenire errori di utilizzo, durante l’analisi del ritmo, evitare qualsiasi
movimento che coinvolga il paziente. In alcuni dispositivi l’operatore deve premere il tasto
“analyze” per avviare l’analisi del ritmo. Altri dispositivi avviano l’analisi del ritmo richiede
dai 5 ai 15 secondi, a seconda della marca del DAE. In partenza di VF, dispositivo lo
segnalerà per mezzo di un messaggio sul display, un allarme visivo o acustico, o un
messaggio vocale che ci avvisa sull’indicazione allo shock.
Fase 4: Allontanarsi dalla vittima e azionare il pulsante “shock”
Prima di azionare il pulsante “shock”, assicurarsi che nessuno sia in contatto fisico con la
vittima. Esclamare sempre ad alta voce un messaggio un messaggio del tipo “Allontanarsi
dalla vittima”, “Via io! Via tu! Via tutti!” Allo stesso tempo, effettuare un controllo visivo per
assicurarsi che nessuno sia a contatto col paziente. Nella maggior parte dei DAE i
condensatori caricano automaticamente quando si è in presenza di un ritmo trattabile. Un
238
tono, un messaggio vocale sintetizzato, o una luce, indicano che il caricamento è iniziato. Lo
shock dovrebbe essere dato solo dopo che la vittima è “libera”. Lo shock provocherà
un’improvvisa contrazione della muscolatura del paziente (come quella data dall’uso di un
normale defibrillatore). Dopo la prima scossa, non ricominciare con la RCP. Alcuni modelli
DAE richiedono che il soccorritore prema di nuovo il tasto “analyze”. In altri modelli di DAE
lo indicherà, e la sequenza “shock indicato” e “caricamento” verrà ripetuta una seconda, e se
necessario, una terza volta. Il DAE è programmato per rianalizzare il ritmo della vittima e
fornire una scossa nel più breve tempo possibile dopo ogni scossa, fino ad un totale di 3
scosse. L’obiettivo di questo insieme di 3 scosse è di identificare e di trattare nel minor tempo
possibile un ritmo trattabile con la defibrillazione. Per questo motivo, durante la serie di tre
scosse, per permettere 1 minuto di RCP. Per questo motivo, dopo le 3 scosse, per permettere 1
minuto di RCP. Per questo motivo, dopo le 3 scosse, controllare la circolazione e prepararsi
ad effettuare le compressioni toraciche, e a continuare le compressioni stesse e la ventilazione
per 1 minuto (vedi sotto).
Sicurezza durante l’utilizzo del DAE
Si vuole porre l’accento su questo argomento che riteniamo di particolare peso: durante le fasi
di valutazione e di erogazione dell’energia da parte del DAE l’operatore deve porre la
massima attenzione affinché nessuno si avvicini o tocchi la vittima; questo perché si
potrebbero avere, durante la fase di analisi del ritmo, dei falsi riconoscimenti o nella migliore
delle ipotesi dei ritardi nella definizione del ritmo; durante la fase di erogazione dell’energia
si potrebbero correre dei seri rischi di folgorazione se qualcuno si trova a contatto della
vittima. Esortiamo quindi alla massima attenzione in questa fase con un costante controllo
visivo dello scenario ( 360°) e con ripetuti avvisi vocali all’attenzione e subito prima dello
shock ripetere: “Via io! Via tu! Via tutti!” solo a questo punto premere il tasto shock.
Risultati ed Effetti di un Tentativo di Defibrillazione
Messaggio “Shock Indicato”: FV ricorrente
Se dopo 3 scosse non tornano segni di circolazione, soccorritori senza supporto ACLS devono
riprendere la RCP per 1 minuto. Dopo 1 minuto la maggior parte dei dispositivi suggerirà un
controllo della circolazione. Se la VF continua, fornire ulteriori cicli di 3 scosse seguite da 1
minuto di RCP finchè il DAE non dà un messaggio “shock non indicato”, o è disponibile
l’ACLS.
239
Non controllare la circolazione all’interno di un ciclo rallenterà notevolmente
l’identificazione e la risoluzione di una VF persistente. La sequenza rapida di scosse ha
l’ulteriore vantaggio di ridurre l’impendenza transtoracica; questa riduzione aumenterà
l’energia effettivamente fornita.
Messaggio “Shock non Indicato”
Segni di Circolazione Assenti
Quando il DAE, la prima volta che viene avviata l’analisi dà il messaggio “shock non
indicato”, iniziare la RCP e protrarla per 1 minuto. Dopo 1 minuto sospendere le manovre di
RCP controllare il polso ed avviare di nuovo l’analisi del DAE e comportarsi di conseguenza:
Shock indicato= ciclo di 3 shock e poi di nuovo controllo del polso ed analisi se polso
assente;
Shock non indicato= si prosegue ancora con un minuto di RCP, poi di nuovo controllo del
polso ed analisi del DAE. Tre messaggi di “scossa non indicata” suggeriscono la scarsa
probabilità di poter defibrillare con successo il ritmo. Per questo, l’analisi del ritmo dovrebbe
essere ripetuta solo dopo intervalli di 3 minuti di RCP. La RCP dovrebbe essere sospesa
durante l’analisi del ritmo. Nessuno dovrebbe toccare la vittima durante l’analisi. Si ricorda
che se il messaggio di shock non indicato avviene dopo una defibrillazione i cicli di RCP sono
della durata di un minuto.
Segni di Circolazione Assenti
Se sono presenti segni di circolazione, controllare la respirazione. Se la vittima non respira
effettuare la respirazione bocca a bocca a ritmo di 10-12 ventilazioni al minuto (una ogni 5
secondi). Se la vittima respira adeguatamente, porla in posizione di recupero. E’ consigliabile
lasciare sempre attaccato il DAE. Nell’eventualità di una ricorrenza di VF, la maggior parte
dei DAE suggerirà al soccorritore di controllare la circolazione (oppure “controllare il
paziente”). Il dispositivo caricherà poi automaticamente e consiglierà al soccorritore di fornire
un’ulteriore scossa.
MANOVRE DI RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE
Passiamo ora ad analizzare nel dettaglio come si effettuano le manovre di rianimazione
cardiopolmonare (RCP) e quali sono le procedure da effettuare per eseguire un corretto BLS.
240
Le fasi di rianimazione cardiopolmonare sono da inserire nell’argoritmo di trattamento del
paziente in arresto cardiorespiratorio del BLS-D tra cicli di defibrillazione o in sostituzione
quando questa non sia indicata ed avranno una durata di 1 minuto.
Le fasi di valutazione ed azione della fase A (Airway, Valutazione stato coscienza,
posizionamento della vittima, apertura delle vie aeree) sono state adeguatamente affrontate e
spiegate nella parte delle procedure operative del BLS-D.
Passiamo alle fasi B (Breathing) e C (Circulation).
Fase B.
(Breathing) Respirazione
Abbiamo visto la fase di valutazione
(G.A.S.: Guardo, Ascolto, Sento),
passiamo ora ad esaminare la tecnica della
respirazione assistita.
Manovre respiratorie
Durante le manovre respiratorie, bisogna
riempire adeguatamente i polmoni
dell’infortunato ad ogni atto respiratorio.
Respirazione bocca a bocca (Fig.: 12)
La respirazione bocca a bocca è un modo efficace e veloce per fornire ossigeno e ventilazione
alla vittima. L’espirazione del soccorritore contiene l’ossigeno sufficiente alle necessità della
vittima.
Per garantire l’efficacia della ventilazione di soccorso, mantenere aperte le vie aeree della
vittima e chiuso il naso e sigillare con la propria bocca le labbra dell’infortunato. Può essere
utile a questo scopo utilizzare le cosiddette “cannule orafaringee” che vanno posizionate nel
primo tratto delle vie aeree e aiutano a mantenerle pervie; esistono di varie misure e bisogna
scegliere quella più adatta.
Non devono mai essere usate se il paziente non è completamente incosciente perché
potrebbero provocare il riflesso del vomito. Con il palmo di una mano bloccare la fronte
dell’infortunato e chiuderne il naso con il pollice e l’indice della stessa. Mantenere il naso
chiuso fa sì che l’aria insufflata non esca. Prendere un respiro profondo e sigillare le proprie
labbra intorno alla bocca della vittima, creando un contatto a tenuta d’aria. Fare insufflazioni
della durata ciascuna di circa 2 secondi, prestando attenzione al movimento del torace che
deve sollevarsi ad ogni insufflazione. Dopo ogni insufflazione rilasciare le dita che tenevano
241
chiuse le narici e staccare le proprie labbra dalla bocca della vittima in modo da consentire
un’espirazione passiva. Prepararsi a fare 10-12 atti respiratori circa per minuto (1 ogni 4-5
secondi)se viene richiesta solo l’assistenza respiratoria.
Il numero degli atti respiratori necessari per iniziare un’assistenza respiratoria/ventilatoria
varia nel mondo, e non ci sono dati che suggeriscano la superiorità di un valore rispetto agli
altri. In assenza di dati sicuri sull’efficacia di un metodo rispetto ad un altro, è appropriato
fornire 2 atti respiratori secondo il protocollo ANMCO.
Durante la respirazione bocca a bocca, si può frequentemente avere un’insufflazione gastrica.
Questa può produrre gravi complicanze come rigurgito, aspirazione o polmonite; inoltre
aumenta la pressione intragastrica, alzando il diaframma, restringendo i movimenti polmoni e
diminuendo in tal modo la capacitanza del sistema respiratorio. L’insufflazione gastrica si
verifica quando la pressione nell’esofago supera la pressione di apertura dello sfintere
inferiore esofageo, causandone l’apertura, così l’aria insufflata durante la manovra
respiratoria entra nello stomaco invece che nei polmoni. Durante un arresto cardiaco, la
possibilità di un’insufflazione gastrica è aumentata per il fatto che si rilassa lo sfintere
inferiore esofageo. Tra i fattori che contribuiscono a dare un’alta pressione esofagea e quindi
un’insufflazione gastrica durante una manovra respiratoria di soccorso, vi sono un tempo di
insufflazione breve, un ampio volume corrente ed un’alta pressione di picco.
Le linee guida precedenti raccomandavano che gli atti respiratori di soccorso dessero un
volume corrente di 800-1200 ml, erogati in 1-2 secondi. Relativamente all’insufflazione
gastrica, un volume corrente sostanzialmente più piccolo potrebbe essere sicuro, ma non
efficace a mantenere una saturazione arteriosa d’ossigeno a meno che non sia rilasciato un
supplemento di ossigeno tramite una maschera facciale o un pallone autoespansibile (Ambu).
Per ridurre il rischio di insufflazione gastrica durante una ventilazione bocca a bocca, bisogna
fornire un volume tale da permettere un’elevazione del torace visibile mediante atti respiratori
lenti. Per la ventilazione bocca a bocca nella maggior parte degli adulti, questo volume è di
circa 10 ml/Kg (700-1000) ml circa) e deve essere somministrato in 2 secondi circa. (questa
raccomandazione rappresenta una misura del volume corrente leggermente minore rispetto
alle linee guida precedenti, adoperando il limite superiore del tempo inspiratorio indicato nelle
precedenti linee guida. Questa più recente raccomandazione tende a ridurre il rischio di
insufflazione gastrica (e delle sue gravi conseguenze), mantenendo allo stesso tempo una
saturazione arteriosa di ossigeno adeguata durante l’arresto cardiaco e respiratorio).
Se il soccorritore compie una respirazione profonda prima di ogni ventilazione, si può
ottimizzare la composizione di gas insufflati, migliorando per quanto possibile
l’ossigenazione della vittima. Il soccorritore sta garantendo una ventilazione adeguata se
242
osserva il torace della vittima assecondare i propri atti respiratori e sente l’aria uscire durante
l’espirazione. Quando possibile (p.e. in presenza di 2 rianimatori), si cerchi di mantenere le
vie aeree pervie per permettere un’espirazione non ostacolata tra gli atti respiratori.
Se non hanno successo i tentativi iniziali di ventilare la vittima (o i successivi), bisogna
riposizionare la testa della vittima e ritentare la manovra respiratoria. Una scorretta
iperestenzione della testa è le cause più comune di ostacolo alla ventilazione. Se non riesce a
ventilre l’infortunato dopo il riposizionamento della testa, si deve pensare ad un’ostruzione da
corpo estraneo e il soccorritore deve procedere con la manovra di soccorso per l’Ostruzione
delle vie Aeree da Corpo Estraneo (Manovra di Heimlich).
Respirazione bocca-naso (Fig.: 13)
Il metodo di ventilazione bocca-naso è
raccomandato quando non è possibile
ventilare attraverso la bocca della vittima,
oppure la bocca non può essere aperta
(trisma), o gravemente danneggiata, o un
contatto stretto bocca a bocca è difficile da
ottenere. La respirazione bocca-naso è il
metodo migliore per garantire la ventilazione
in acqua durante il soccorso di una vittima di
un’ immersione. Le mani del soccorritore
devono spesso essere usate per reggere la testa e le spalle della vittima durante il salvataggio.
La tecnica bocca-naso non può garantire al soccorritore la possibilità di cominciare la
manovra respiratoria di soccorso appena la testa della vittima sia fuori dell’acqua.
Per permettere la respirazione bocca-naso, estendere la testa della vittima con una mano sulla
fronte ed usare l’altra mano per sollevare la mandibola (come nella manovra di iperestensione
della testa) e chiudere la bocca della vittima. Il soccorritore deve fare un respiro profondo,
sigillare le proprie labbra attorno al naso della vittima, permettendo l’espirazione passiva. Può
essere necessario aprire ad intermittenza la bocca della vittima e separare le labbra con il
pollice per permettere una libera espirazione; ciò è particolarmente importante se è presente
una parziale ostruzione del naso.
Respirazione bocca-stoma
La tracheostomia è un’apertura permanente sulla parte anteriore del collo che si estende dalla
superficie della pelle fino alla trachea. Nel caso in cui una persona con tracheostomia abbia
243
necessità di un’assistenza respiratoria di soccorso, può essere eseguita una respirazione bocca-
stoma. Poggiando le proprie labbra sullo stoma, il soccorritore deve cercare una buona
aderenza con lo stoma e soffiare dentro lo stoma finché il torace non si solleva, quindi deve
rimuovere la bocca dal paziente, permettendo l’espirazione passiva.
Nello stoma tracheale può essere presente una cannula tracheostomica. Questo tubo deve
essere pervio sia per la ventilazione spontanea, che per la respirazione di soccorso se occorre.
Se il tubo non è pervio e non si è capaci di rimuovere l’ostruzione o l’altra secrezione,
bisogna rimuovere e sostituire la cannula. Se non si possiede un secondo tubo e l’originale è
ostruito, rimuovere il tubo e garantire una ventilazione di soccorso attraverso lo stoma. Se
durante la ventilazione attraverso la tracheostomia, un considerevole volume di aria esce dalla
bocca e dal naso dell’infortunato, chiudere la bocca ed il naso della vittima con la propria
mano o con una maschera facciale fortemente adesa. La fuga d’aria si riduce molto se si
mantiene la ventilazione attraverso un tubo tracheostomico cuffiato.
Respirazione bocca-maschera
Nella respirazione bocca-maschera viene utilizzata una maschera trasparente con o senza una
valvola unidireazionale. La valvola unidirezionale dirige il respiro del rianimatore verso la
vittima, l’aria espirata dalla vittima viene deviata lontano dal rianimatore. Alcuni modelli
includono un raccordo per l’ossigeno che permette un’ulteriore somministrazione di ossigeno.
La ventilazione bocca-maschera è particolarmente efficace perché permette al rianimatore di
usare entrambe le mani per far aderire la maschera. Ci sono due possibili tecniche per usare il
dispositivo bocca-maschera. La prima tecnica vede il rianimatore posizionato sopra la testa
della vittima (tecnica cefalica). Questa tecnica può essere usata da un singolo operatore
quando il paziente è in arresto respiratorio (ma non in arresto cardiaco), o durante una RCP a
2 soccorritori. Nelle seconda tecnica (tecnica laterale), il rianimatore è posizionato al lato
dell’infortunato e usa la tecnica dell’iperestensione della testa. La respirazione laterale è
ideale per eseguire una RCP da soli, poiché il rianimatore può mantenere la stessa posizione
sia per l’assistenza ventilatoria, che per la compressione del torace.
Tecnica cefalica (Fig.: 14)
Dopo essersi messi direttamente dietro la testa della
vittima, effettuare le seguenti fasi:
applicare la maschera alla faccia della vittima,
244
usando la radice del naso per un posizionamento
corretto
posizionare il pollice e l’eminenza tenar (porzione del palmo alla base del pollice)
lungo i bordi laterali della maschera
posizionare entrambi gli indici lungo i bordi laterali della maschera ed i medi e le
altre dita sotto la mandibola della vittima e sollevare la mandibola verso la
maschera; mentre si iperestende la testa dietro; (Posizione di indice e pollice a
“C”)
mentre si solleva la mandibola, premere la maschera con i pollici e le eminenze
tenar per ottenere un contatto molto stretto
fare manovre rianimatorie di respirazione lente (2 secondi) mentre si osservano i
movimenti del torace
Nelle vittime con un sospetto trauma della testa o del collo (danno midollare potenziale),
sollevare la mandibola sublussandola dagli angoli, ma non iperestendere la testa,
Tecnica laterale Il soccorritore si posiziona lateralmente alla testa della vittima con la possibilità di effettuare
sia la rianimazione respiratoria, sia la compressione toracica:
applicare la maschera alla faccia della vittima, usando la radice del naso per un
posizionamento corretto
far aderire la maschera posizionando l’indice ed il pollice della mano vicina alla
parte superiore
della testa della vittima lungo il bordo della maschera e posizionare il pollice
dell’altra mano lungo il margine inferiore della maschera
posizionare le rimanenti dita dell’altra mano lungo il margine osseo inferiore della
mandibola e sollevare la mandibola mentre si iperestende la testa
premere in maniera efficace e completa attorno al margine esterno della maschera
per garantire un’adesione completa
fare manovre rianimatorie di respirazione lente (2 secondi) mentre si osservano i
movimenti del torace
Un uso efficace della maschera prevede un’istruzione ed una capacità superiore. Durante una
RCP a due, la maschera può essere usata in diversi modi. Il metodo più appropriato dipende
dall’esperienza del personale e dall’attrezzatura disponibile. Le cannule orofaringee possono
essere usate con la respirazione bocca-maschera e con altra forma di ventilazione di soccorso.
Se l’ossigeno non è disponibile, il volume corrente e il tempo inspiratorio per la ventilazione
245
bocca-maschera devono essere uguali e quelli per la respirazione bocca a bocca (nell’adulto,
un volume corrente di circa 10 ml/Kg o 700-1000 ml erogati in 2 secondi, sufficienti a far
sollevare il torace in modo evidente). Se viene usato l’ossigeno con la maschera facciale, un
flusso di 10 L/min garantisce una concentrazione di ossigeno nell’aria inspirata del 40%. Se
viene rilasciato ossigeno, sono raccomandati volumi correnti minori (un volume corrente di 6-
7 ml/Kg dato in 1-2 secondi tanto da far sollevare il torace). Volumi correnti più piccoli sono
sufficienti a mantenere una saturazione arteriosa adeguata di ossigeno, in quanto viene
erogato ossigeno supplementare dal sistema, ma questi volumi più piccoli non mantengono la
normocapnia. Questi volumi però riducono il rischio di insufflazione gastrica e le sue gravi
complicanze.
Pallone autoespandibile (Ambu)
Il sistema pallone autoespansibile-maschera usato nell’emergenza pre-Ospedaliera ed
Ospedaliera consiste di un pallone autogonfiante e di una valvola “no rebreathing” connessi
alla maschera facciale.
Questo sistema è il metodo più comune di supporto ventilatorio a pressione positiva sia nella
fase extra che intra-ospedaliera. I palloni autoespansibili più disponibili sul mercato hanno
un volume approssimativamente di 1600 ml, che è di solito sufficiente a dare un adeguato
riempimento polmonare. In numerosi studi tuttavia, molti soccorritori non sono stati capaci
di rilasciare un adeguato volume corrente a manichini non intubati. Un sistema con pallone
per adulti dà un volume corrente minore della respirazione bocca a bocca o della bocca-
maschera perché un rianimatore da solo ha difficoltà ad ottenere un’adesione stretta con la
faccia della vittima mentre stringe il pallone e mantiene pervie le vie aeree. Vi sono vantaggi
considerevoli nell’usare volumi correnti minori durante una rianimazione. Infatti i volumi
minori riducono il rischio di insufflazione gastrica e le sue conseguenze, anche se c’è il
rischio di sviluppare ipossia ed ipercapnia con tutte le relative complicanze. E’ stato valutato
l’uso sia in laboratorio che nella clinica di volumi correnti minori associati ad un
supplemento di ossigeno. Con essi la pressione delle vie aeree non supera la pressione dello
sfintere esofageo inferiore, così volumi minori si accompagnano ad una riduzione
dell’insufflazione gastrica e delle potenziali conseguenze di rigurgito, di aspirazione e
polmonite. Una dose supplementare di ossigeno mantiene la saturazione di ossigeno con
volumi correnti minori. Se si eroga una dose supplementare di ossigeno (un flusso almeno di
8-12 L/min con una concentrazione di ossigeno del 40%), il rianimatore esperto nell’uso di
un pallone autoespansibile deve provare a rilasciare un volume corrente più piccolo
246
(6-7 ml o approssimativamente 400-600 ml) in 1-2 secondi. aturalmente nella clinica il
volume corrente è impossibile da determinare. Il volume corrente può essere titolato fino a
provvedere una saturazione di ossigeno e una espansione toracica adeguate. Esso deve esser
considerato sufficiente quando permette l’espansione del torace. E’ importante ricordare che
un volume corrente più piccolo si può associare allo sviluppo di ipercapnia. Se non è
disponibile l’ossigeno, il rianimatore deve tentare di fornire lo stesso volume corrente
raccomandato per la ventilazione bocca a bocca (10 ml/Kg, 700-1000 ml) per 2 secondi.
Questo volume dovrebbe essere sufficiente a permettere un’espansione toracica molto
evidente.
Un sistema con pallone per adulti deve avere le seguenti caratteristiche:
una valvola di ingresso rigida che permetta un flusso di ossigeno in entrata fino a 30
L/min
deve essere possibile escludere la valvola di sovrapressione nel caso in cui il sistema ne
sia dotato connessioni standard di 15/22 mm
un serbatoio di ossigeno per fornire alte concentrazioni di ossigeno ( reservoir)
una valvola di uscita “no rebreathing” che non possa essere ostruita da materiale estraneo
la possibilità di funzionare in maniera soddisfacente in presenza delle normali condizioni
ambientali ed atmosferiche
OSSIGE<O: Un’attenzione particolare deve essere riservata alla somministrazione di
Ossigeno quando possibile per l’elevata concentrazione di O2 che si riesce a realizzare con i
diversi sistemi di insufflazione. Con la respirazione bocca a bocca la percentuale di O2
nell’aria insufflata è < al 21%; con il sistema pallone-maschera : 21% di O2; pallone-
maschera collegato ad ossigeno: 60% circa: con reservoir 90% circa di O2.
Tecnica (fig.: 15). La tecnica
della ventilazione con pallone
richiede conoscenza e pratica. Il
rianimatore deve essere capace
di utilizzare l’equipaggiamento
in maniera efficace nelle diverse
situazioni. Se il soccorritore si
trova da solo a praticare la
ventilazione di soccorso, si deve
posizionare alla testa della vittima. Se non c’è segno o sospetto di trauma, inclinare indietro
la testa della vittima, così da ottenere la posizione migliore per respirare. Il soccorritore deve
applicare la maschera alla faccia della vittima con una mano, usando il ponte del naso come
247
guida per una corretta posizione; quindi posiziona il terzo, il quarto ed il quinto dito della
mano lungo il margine osseo della mandibola, e mette il pollice e l’indice della stessa mano
sulla maschera. Si deve mantenere la testa iperstesa e la mandibola sublussata per mantenere
pervie le vie aeree e attaccata alla maschera il soccorritore deve stringere il pallone con la
propria mano ed assicurarsi dei movimenti del torace relativi, come indice di adeguata
ventilazione; l’erogazione deve avvenire ogni 2 secondi (usare 1-2 secondi quando viene
erogato un volume corrente minore con il supplemento di ossigeno). Si può comprimere il
pallone contro il proprio corpo per ottenere il volume corrente desiderato. E’ di fondamentale
importanza mantenere la maschera adesa alla faccia della vittima. La tecnica per mantenere il
pallone è la stessa della tecnica bocca- maschera descritta in precedenza.
COMPRESSIONI TORACICHE ESTERNE: CTE (Massaggio Cardiaco Esterno)
Le compressioni toraciche (CTE) per la RCP consistono in una serie di applicazioni ritmiche
di pressione sulla metà inferiore dello sterno. Le compressioni creano un flusso sanguigno o
mediante l’incremento della pressione intratoracica o direttamente mediante la compressione
stessa del cuore. Grazie alle CTE e ad un’appropriata esecuzione della ventilazione, il sangue
circolante nei polmoni dovrebbe fornire un adeguato apporto di ossigeno al cervello e agli
altri organi vitali rallentando così la progressione del danno anossico cerebrale in attesa della
defibrillazione. I dati della letteratura, indicano che negli animali e nell’uomo è indicata una
frequenza di compressioni maggiori di 80 al min. per raggiungere un flusso sanguigno
ottimale durante RCP. Per questa ragione è raccomandata una frequenza di compressioni di
100 al min. La frequenza delle compressioni si riferisce alla velocità d’esecuzione delle
stesse e non all’effettivo numero di compressioni somministrate in un minuto. Considerando
che, il soccorritore deve interrompere le CTE per effettuare le insufflazioni, una frequenza di
circa 100 CTE al min. equivale all’effettiva somministrazione di meno 100 CTE in un
minuto. L’effettivo numero di CTE in un minuto dipende dalla frequenza delle CTE e dal
tempo che il soccorritore impiega nell’aprire le vie aeree e ad eseguire le insufflazioni.
La precedente versione delle linee guida BLS per gli adulti raccomandavano un rapporto di
15 CTE alternate a 2 ventilazioni nel caso di un soccorritore e un rapporto di 5 CTE ed 1
ventilazione nel caso di due soccorritori. Un rapporto 15:2 fornisce più CTE per min. circa
per 64 vs. 50 piuttosto che un rapporto di 5:1. Ci sono dati che indicano che nell’arresto
cardiaco nell’adulto, un più alto numero di CTE è da preferire anche se a scapito di un minor
248
numero di ventilazioni. La qualità della ventilazione di soccorso e delle CTE non è intaccata
dal rapporto ventilazioni/CTE.
Un altro motivo per effettuare più compressioni di seguito è l’evidenza che la pressione
perfusione coronarica si incrementa gradualmente con l’effettuazione della sequenza di
compressioni. Tale pressione è più alta dopo 15 CTE continue che non dopo 5. Perciò dopo
ogni pausa per la ventilazione è necessario effettuare una serie di CTE, affinché venga
ristabilito il flusso cerebrale e coronarico. Per queste ragioni un rapporto di 15:2 è
raccomandato nella tecnica sia ad uno che a due soccorritori finché la vittima non è intubata.
Una volta che si è intubato il pz., le CTE possono essere continue e le ventilazioni possono
essere asincrone con un rapporto di 5 CTE per una ventilazione. La vittima durante le CTE
deve essere posizionata in posizione supina su un piano rigido orizzontale, su una superficie
ferma, per ottimizzare l’efficacia delle CTE e il flusso sanguigno al cervello. Se la testa è in
posizione più elevata rispetto al cuore il flusso sanguigno al cervello è ridotto o abolito del
tutto. Se la vittima non può essere spostata dal letto, posizionare un piano rigido (tavola)
largo preferibilmente quanto il letto sotto la schiena della vittima per evitare una ridotta
efficacia delle CTE.
Tecnica delle Compressioni Toraciche Esterne (Fig.: 16 e 17)
Il soccorritore si deve porre al lato del torace della vittima, in ginocchio, con le
gambe lievemente divaricate:
A questo punto deve ricercare il punto esatto dove effettuare le CTE:
Far scorrere due dita lungo l’arcata costale (dal suo lato) fino ad incontrare il punto
di incontro con l’arcata costale controlaterale.
Porre due dita dell’altra mano sullo sterno al lato del punto precedentemente
individuato, in modo tale da individuare un secondo punto distante 4 cm. circa dal
primo che individuava la punta dello sterno.
249
Appoggiare l’eminenza tenar ed ipotenar (calcagno) della prima mano accanto alle
due dita avendo cura di appoggiare tale zona solo sullo sterno e non sulle costole
(pericolo di fratture).
Ora posare il palmo dell’altra mano sul dorso di quella appoggiata sullo sterno
avendo cura di tenere le dita sollevate per comprimere le costole.
Le compressioni devono essere effettuate con una forza tale da far abbassare lo
sterno della vittima di almeno 4-5 cm.
Ogni compressione deve essere seguita da una fase di completo rilasciamento
(senza sollevare le mani dal torace della vittima).
Le braccia e le spalle del soccorritore sono perpendicolari al punto di
compressione.
Le braccia devono essere tese ed i gomiti bloccati (evitare di fletterli) in modo da
conferire rigidità e di esercitare una forza con il peso di tutto il tronco che oscilla
facendo perno sull’articolazione dell’anca (fulcro).
Chi effettua le CTE conta ritmicamente ad alta voce fino a 15 e chi effettua le
insufflazione conta il numero di cicli (15 CTE / 2 insufflazioni) effettuati in modo
di valutare il tempo che trascorre. Ricordate che 4 cicli di 15 CTE e 2 insufflazioni
equivalgono approsimativamente ad 1 minuto di RCP.
RIVALUTAZIOI
La sequenza operativa con il DAE a disposizione è stata già esposta,
vediamo come si devono effettuare le rivalutazioni della presenza di
polso e respirazione in caso di DAE non disponibile: la rivalutazione
del polso va effettuata dopo il primo minuto (dopo 4 cicli di 15:2) e
successivamente ogni due tre minuti.
Se al momento della rivalutazione si riscontra:
1. Assenza di polso carotideo: si continua con la RCP
2. Presenza di polso carotideo: si deve controllare la presenza di
respirazione spontanea (GAS)
Se la vittima:
1. Non presenta respirazione spontanea i soccorritori devono continuare con la
respirazione artificiale con 12 insufflazioni al minuto (una ogni 5 secondi).
2. Presenta respirazione spontanea ma non è ancora cosciente si può utilizzare la
posizione laterale di sicurezza.
250
OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE
L’ostruzione completa delle vie respiratorie è un’emergenza che se non è trattata porta alla
morte im pochi minuti. La causa più frequente di ostruzione delle alte vie respiratorie è
l’ostruzione provocata dalla lingua durante la perdita di coscienza e l’arresto
cardiopolmonare. Un’ostruzione delle vie aeree può derivare da cause intrinseche (lingua ed
epiglottide) ed estrinseche (corpi estranei). La lingua può cadere indietro nella faringe,
ostruendo le alte vie respiratorie. L’epiglottide può bloccare l’entrata delle vie respiratorie in
vittime prive di coscienza. Anche il sangue proveniente da traumi cranici o facciali, o il
vomito possono ostruire le vie aeree, specialmente se la vittima è priva di coscienza.
L’ostruzione delle vie aeree è una causa rara ma prevenibile di arresto cardiaco. Questo tipo
di mortalità è molto meno frequente rispetto ad altre emergenze (1.2 morti per soffocamento
ogni 100.000 persone vs. 1.7/100.000 per annegamento, 16.5/100.000 per incidenti
automobilistici e 198/100.000 per arterosclerosi coronarica).
L’ostruzione delle vie aeree non è causa di morte tra le vittime d’immersione/annegamento.
L’acqua non si comporta come un corpo estraneo (solido) e non ostruisce le vie aeree. Le
vittime di (semiannegamento) necessitano dell’esecuzione immediata della RCP, in particolar
modo della respirazione di salvataggio, per correggere l’asfissia. Pertanto le manovre di
disostruzione delle vie aeree non sono raccomandate nel trattamento di vittime di
semiannegamento. Tali misure potrebbero produrre complicazioni ritardando l’inizio della
RCP, che rimane la misura principale nel trattamento delle vittime da immersione.
Cause e Precauzioni
L’ostruzione delle vie aeree dovrebbe essere presa in considerazione come evento casuale in
ogni vittima, soprattutto se giovane, che smetta improvvisamente di respirare, diviene
cianotica, e cade priva di coscienza senza apparente causa.
L’ostruzione delle vie aeree negli adulti si verifica in genere durante i pasti e la carne che è la
causa più frequente. Numerosi altri cibi e corpi estranei, comunque, hanno determinato
soffocamento in ragazzi e adulti.
Fattori comunemente associati con il soffocamento sono tentativi di ingoiare pezzi di cibo
grandi e poco masticati, elevati tassi alcolici nel sangue e le protesi.
I pazienti ansiosi con disfagia sono a rischio per OVA, e dovrebbero prestare molta attenzione
quando mangiano e bevono, le seguenti precauzioni potrebbero ridurre i rischi e prevenire la
OVA:
251
Taglia il cibo in piccoli pezzi e mastica lentamente e completamente, soprattutto se
sei portatore di protesi dentaria.
Evita di ridere e di parlare durante la masticazione e la deglutizione.
Evita l’assunzione eccessiva di alcool.
Non far camminare, correre o giocare i bambini quando hanno cibo in bocca.
Tieni lontano dalla portata dei bambini oggetti estranei.
Non dare cibi che devono essere masticati a lungo ai bambini piccoli.
Riconoscimento dell’ostruzione delle vie aeree
Poiché il riconoscimento dell’ostruzione delle vie aeree è la chiave per un esito favorevole, è
importante distinguere questa emergenza da altre come lo stroke, l’attacco cardiaco,
l’overdose da farmaci o da altre condizioni che possano causare un improvviso arresto
respiratorioma che richiedono un trattamento differente.
L’ostruzione delle vie aeree può essere:
a) parziale
b) completa
In caso di ostruzione parziale il flusso respiratorio può essere:
sufficiente
insufficiente
In caso di flusso respiratorio sufficiente, la vittima risponde ed è in grado di tossire con forza.
Fino a quando perdurano buoni scambi d’aria, incoraggiare la vittima a proseguire negli sforzi
per tossire spontaneamente e respirare. In questo momento il soccorritore non dovrebbe
interferire con i tentativi della vittima per espellere il corpo estraneo, ma dovrebbe starle
vicino e monitorare questi tentativi. Se l’ostruzione parziale persiste, attivare il Sistema di
Emergenza.
In caso di flusso respiratorio insufficiente i segni che lo possono far sospettare sono costituiti
da tosse debole ed inefficace, aumento della difficoltà respiratoria e una possibile cianosi.
Tratta una vittima con ostruzione parziale e flusso respiratorio insufficiente come se avesse
una ostruzione completa: si deve agire immediatamente.
In caso di ostruzione completa delle vie aeree la vittima non è in grado di parlare,
respirare,
tossire e potrebbe stringersi il collo con il pollice e le dita. Non vi è passaggio d’aria: si deve
agire immediatamente.
Se l’ostruzione completa delle vie aeree non è risolta, la saturazione di ossigeno della vittima
cadrà rapidamente poiché l’ostruzione delle vie aeree impedisce all’aria di entrare nei
252
polmoni. Se non hai successo nel rimuovere l’ostruzione, la vittima diventa incosciente e la
morte sopraggiungerà rapidamente.
Risoluzione dell’Ostruzione delle Vie Aeree
Nel mondo vengono utilizzate diverse tecniche per risolvere la OVA, ed è difficile
confrontare tra loro l’efficacia di questi metodi.
La manovra di Heimlich (conosciuta anche come colpi addominali sottodiaframmatici, o colpi
addominali) è raccomandata per soccorritori professionali per risolvere la OVA in vittime
adulte coscienti (≥ 8 anni). I colpi addominali di Heilmlich alzano il diaframma e aumentano
la pressione delle vie aeree spingendo l’aria dei polmoni. Ciò potrebbe essere sufficiente ad
indurre tosse artificiale ed espellere il corpo estraneo dai polmoni. I colpi addominali,
comunque, possono causare complicazioni. Per questa ragione la manovra di Heilmlich non
dovrebbe essere eseguita se non strettamente necessaria. Tra le complicanze della manovra di
Heilmlich vi sono danni ad organi interni, come rottura o lacerazione di organi addominali o
toracici. Pertanto, le vittime che ricevono tale manovra devono successivamente essere
visitate per escludere complicazioni minacciose per la vita. Per ridurre le possibilità di
complicazioni, non porre le tue mani sul processo xifoideo dello sterno o sul margine inferiore
della gabbia toracica. Le tue mani dovrebbero essere posizionate al di sotto di questa area, ma
sopra l’ombelico e sulla linea mediana. Alcune complicanze si possono verificare anche se la
manovra di Heilmlich é eseguita correttamente. In seguito ai colpi addominali si potrebbe
verificare rigurgito che potrebbe associarsi ad aspirazione.
La manovra di Heimlich con vittima cosciente in piedi o seduta (Fig.: 18)
Posizionati dietro la vittima, circondale completamente la vita con le braccia e procedi come
di seguito.
Con una mano fai un pugno contro l’addome della vittima,
nelle linea mediana, lievemente sopra l’ombelico e ben al
di sotto della punta del processo xifoideo. Afferra con
l’altra mano il pugno e con un colpo rapido sia verso
l’interno che verso l’alto. Ripeti i colpi fin quando la
vittima perde coscienza. Ogni nuovo colpo dovrebbe
essere un movimento separato e distinto effettuato con lo
scopo di rimuovere l’ostruzione.
253
Quando la vittima non risponde più, dovrebbe essere attivato il sistema di emergenza e il
soccorritore laico inizierà la CPR.
La manovra di Heimlich auto somministrata
Per trattare la propria OVA completa, la vittima con una mano fa un pugno ponendo la parte
con il pollice sull’addome sopra l’ombelico e sotto il processo xifoideo, afferra il pugno con
l’altra mano, ed infine, con un movimento rapido esercita una pressione verso l’interno e
verso l’alto in direzione del diaframma. In caso di insuccesso, la vittima dovrebbe schiacciare
(premere) rapidamente la parte superiore dell’addome contro una superficie stabile, come per
esempi lo schienale di una sedia, il fianco di un tavolo o la ringhiera di una veranda. Per
disostruire le vie aeree potrebbero essere necessari numerosi colpi.
Colpi toracici per vittime obese o donne in gravidanza (gestanti)
Nel caso la vittima sia negli ultimi mesi di gravidanza o sia particolarmente obesa, in
alternativa alla manovra di Heilmlich potrebbero essere utilizzati dei colpi toracici.
Posizionarsi dietro la vittima, con le braccia subito sotto le ascelle della vittima e circondatele
il torace. Posiziona un pugno dal lato del pollice sulla metà dello sterno della vittima, avendo
cura di evitare il processo xifoideo ed i margini delle costole. Con l’altra mano afferra il
pugno ed esegui dei colpi in direzione posteriore fino a che il corpo estraneo non sia espulso o
la vittima perda coscienza.
Se non riesci a circondare con le braccia la gestante o la persona estremamente obesa, puoi
eseguire dei colpi toracici con la vittima in posizione supina. Posiziona la vittima in posizione
supina ( con le spalle per terra) e inginocchiati vicino e di lato alla vittima. Il posizionamento
delle mani e la tecnica dei colpi toracici sono gli stessi delle compressioni toraciche esterne
durante CPR. Nell’adulto, ad esempio, il palmo della mano è a livello della metà inferiore
dello sterno. Dai ogni colpo con l’intento di rimuovere l’ostruzione.
Azioni del soccorritore laico per rimuovere la OVA nel caso di vittime prive di coscienza
L’insegnamento delle complesse tecniche (manovre) per la risoluzione della OVA nelle
vittima incosciente ad un soccorritore laico non è più raccomandata. Se la vittima di
soffocamento, durante i tentativi per risolvere la OVA, diviene priva di coscienza il
soccorritore laico, se solo, dovrebbe attivare il sistema di emergenza (o mandare qualcuno ad
attivarlo) e iniziare la CPR. Infatti, compressioni toraciche possono essere efficaci nel
rimuovere la OVA nelle vittima che non risponde. Il soccorritore laico dovrebbe attivare la
CPR con un’unica aggiunta; ogni volta che le vie aeree sono aperte, guardare se all’interno
254
vi sono corpi estranei nel fondo della gola. Se si vede un oggetto, lo si deve rimuovere.
Questa raccomandazione è stabilita per semplificare il training di CPR da parte di un laico e
assicurare l’acquisizione delle manovre essenziali di ventilazione, di salvataggio e di
compressione mentre si continua a fornire il trattamento per la vittima di OVA.
La manovra di pulizia con le dita dovrebbe essere effettuata in soggetti incoscienti con OVA
completa. Tale manovra non dovrebbe essere eseguita se la vittima risponde o sta perdendo
coscienza.
Con la faccia in alto, apri la bocca della vittima afferrando sia la lingua che la parte inferiore
della mandibola tra il pollice e le dita e sollevando la mandibola (sollevamento lingua –
mandibola). Questa azione solleva la lingua dal fondo della
gola e da un eventuale corpo estraneo che potrebbe essere
posizionato in tale sede (Fig.: 19).
Questa manovra da sola potrebbe essere efficace nel risolvere
un’ostruzione. Inserisci il dito indice dell’altra mano all’interno
lungo la parte interna della guancia e profondamente nella gola
della vittima, fino alla base della lingua. Successivamente con
un movimento ad uncino cerca il corpo estraneo e indirizzalo
nella bocca in modo che possa essere rimosso. A volte è necessario il dito indice per spingere
il corpo estraneo contro la parte opposta della gola per spostarlo e rimuoverlo. Presta
attenzione ed evita di spingere più in profondità l’oggetto nelle vie aeree.
Sequenza per la risoluzione della OVA nella vittima che non risponde
Le vittime di OVA potrebbero inizialmente essere coscienti e successivamente perdere
coscienza. In questo caso il soccorritore saprà che l’OVA è la causa della sintomatologia della
vittima. Le vittime OVA potrebbero essere coscienti dall’inizio. In questa circostanza il
soccorritore probabilmente non saprà che la vittima ha un’OVA fino a quando i tentativi
ripetuti di respirazione di salvataggio risulteranno inefficaci.
Risoluzione dell’OVA in una vittima che inizialmente è cosciente
Se siete testimoni del collasso della vittima e sapete che questo è causato dall’OVA, è
raccomandata la successiva sequenza di azioni:
Attivare il sistema di emergenza al tempo previsto della sequenza di RCP. Se è
presente un secondo soccorritore chiedetegli di attivare il sistema di emergenza
mentre voi rimanete con la vittima. Accertatevi che la vittima sia in posizione
supina.
255
Eseguite un sollevamento lingua-mandibola seguito dalla pulizia con le dita per
rimuovere l’oggetto.
Se non siete in grado di fornire ventilazioni efficaci (il torace non si espande)
anche dopo i tentativi di riposizionamento delle vie aeree, mettiti a cavalcioni sulle
cosce della vittima ed esegui la manovra di Heimlich per massimo 5 volte.
Ripeti la sequenza di sollevamento lingua-mandibola, pulizia con le dita, tentativi
(ripetuti) di ventilare, e manovra di Heimlich (punti da 2 a 4) fino a che
l’ostruzione scompare e il tiorace si espande con le ventilazioni o procedure
avanzate si rendano disponibili (es. pinze Kelli, forcipi di Magill ) per ripristinare
la pervietà delle vie aeree.
Se l’OVA è rimossa e le vie aeree sono pervie, controlla la respirazione. Se la
vittima non respira, esegui lente respirazioni di salvataggio. Successivamente
controlla i segni di circolazione (controllo del polso ed evidenza di respirazione,
tosse o movimento). Se non vi sono segni di circolazione le compressioni
toraciche.
Per eseguire i colpi addominali ad una vittima che non risponde o che è incosciente
mettiti cavalcioni sulle cosce della vittima e posiziona la parte inferiore di una mano
sull’addome della vittima, sulla linea mediana lievemente sopra l’ombelico e ben al di
sotto della punta dello xifoide. Metti la seconda mano direttamente sopra la prima.
Esercita una pressione sull’addome con entrambe le mani con colpi rapidi e diretti
verso l’alto. Se sei in una posizione corretta, sopra la porzione centrale dell’addome
dovrebbe essere poco probabile indirizzare i colpi a destra e a sinistra. Puoi utilizzare
il peso del tuo corpo per effettuare la manovra (Fig.: 20)
Risoluzione dell’OVA in una vittima
che inizialmente è incosciente
La sequenza delle azioni e delle
valutazioni è esattamente la stessa
descritta precedentemente.
Se il corpo estraneo è rimosso e le vie
aeree sono pervie, controlla il respiro.
Se la vittima non respira, esegui 2 respirazioni di salvataggio. Successivamente
controlla i segni di circolazione inizia le compressioni toraiche.
256
RCP IN SITUAZIONI PARTICOLARI
Spostamento durante l’esecuzione della RCP
Se il posto non è sicuro, come per esempio un palazzo in fiamme, sposta la vittima in
un luogo sicuro e inizia subito dopo la RCP.
Non spostare la vittima per motivi di convenienza da un posto ristretto o affollato fino
a che non hai eseguito una RCP efficace e la vittima presenta segni di circolazione o
fino all’arrivo dei soccorsi.
Ogni qual volta è possibile esegui la RCP senza interruzioni.
Scale: in alcune occasioni la vittima deve essere trasportata su o giù da un piano di
scale. E’ meglio eseguire la RCP all’inizio o alla fine delle scale e, ad un segnale
predeterminato, interrompere la RCP e spostarsi più velocemente possibile al livello
successivo, dove la RCP può venire ripresa. Le interruzioni dovrebbero essere bervi e
devono essere evitate se possibile.
Barelle: non interrompere la RCP mentre si sta trasferendo la vittima su un’ambulanza
o su un altro centro mobile di rianimazione. Se la vittima è posizionata in una barella
bassa a rotelle, il soccorritore può rimanere accanto in piedi, eseguendo le
compressioni toraciche in posizione bloccata. Se la vittima è posta su una barella alta
potrebbe essere necessario per il soccorritore inginocchiarsi davanti la vittima sulla
barella in quanto si sta procedendo all’intubazione tracheale da parte di personale
allenato, si sta applicando o utilizzando un DAE o un defibrillatore manuale o vi sono
problemi di trasporto. Se il soccorritore è da solo un ritardo nell’inizio della RCP è
necessario per attivare il sistema di EMS.
Errori e complicazioni del BLS
La RCP può sostenere la vita se è eseguita correttamente. Anche se correttamente
eseguita la RCP, comunque, può determinare delle complicazioni. Il timore di
complicazioni non dovrebbe bloccare il potenziale soccorritore dall’eseguire la RCP al
meglio delle sue capacità.
Complicazioni potenziali delle ventilazioni di salvataggio
La complicazione della ventilazione di salvataggio è distensione gastrica. Una marcata
distensione gastrica potrebbe indurre il vomito e ridurre il volume polmonare
257
determinando un’elevazione del diaframma. Se lo stomaco si distende durante la
ventilazione di salvataggio, ricontrolla e riapri le vie aeree e osserva i movimenti in
alto e in basso del torace. Evita i fattori (ventilazioni rapide, brevi tempi inspiratori,
ventilazioni forzate) che potrebbero contribuire allo sviluppo di elevate pressione nelle
vie aeree.
Continua nelle ventilazioni di salvataggio e non cercare di espellere il contenuto
gastrico. L’esperienza ha dimostrato che i tentativi di rimuovere la distensione gastrica
con l’applicazione della pressione manuale sulla porzione superiore dell’addome della
vittima, determinano pressoché costantemente vomito se lo stomaco è pieno. Se si
verifica il rigurgito, gira tutto il corpo della vittima di lato, pulisci la bocca e riporta il
corpo nella posizione supina, e continua la RCP.
Complicazioni potenziali delle compressioni toraciche
Un’adeguata tecnica di CPR minimizza la possibilità di complicazioni. Valuta la
presenza di degni di circolazione prima di eseguire le compressioni, ma concedi non
più di 10 secondi a tale valutazione. Se sei in dubbio, comportati come se non ci fosse
circolazione e fai le compressioni toraciche. Anche se eseguite correttamente, le
compressioni toraciche possono causare fratture costali nei pazienti adulti. Comunque,
le fratture costali e altri danni, raramente complicano la RCP nei bambini e nei
ragazzi. Altre complicazioni si possono verificare nonostante un’adeguata tecnica di
RCP, tra cui fratture dello sterno, separazione delle coste dallo sterno, pneumotorace,
emotorace, contusione toracica, lacerazione del fegato e della milza, emboli di grasso.
L’incidenza di queste complicazioni può essere ridotta dall’uso di una corretta
posizione delle mani durante le compressioni del torace, ma non possono essere
prevenute del tutto. Riguardo ai traumi che possono complicare la RCP questo non
dovrebbe impedire una pronta ed ebnergica esecuzione della RCP. La sola alternativa
alla tempestiva esecuzione di un’efficace RCP per la vittima di un arresto cardiaco è la
morte.
258
Un corsista NBBF prova le manovre di primo soccorso/defribillatore/pallone
ambu sul manichino didattico.
259
APPENDICE
Sicurezza dei soccorritori durante il training per la RCP e l’esecuzione della RCP
La sicurezza durante il training per la RCP e durante le situazioni di soccorso reale, ha
ottenuto sempre più attenzione. Le seguenti raccomandazioni dovrebbero ridurre il
possibile rischio di complicazioni infettive agli istruttori e agli studenti durante il
training di RCP e durante l’esecuzione reale della RCP. Le raccomandazioni per la
disinfezione del manichino e la sicurezza del soccorritore, furono originariamente
stabilite nel 1978 dal Center for Discase Control e sono state aggiornate due volte
dalla American Red Cross e dal Center For Discase Control and Prevention. Ulteriori
raccomandazioni per la disinfezione del manichino sono state prodotte da altre
organizzazioni come l’Australian National Health and Medical Research Counicil.
Trasmissione della malattia durante il training di RCP
Il rischio di trasmissione di malattia durante il training di RCP è estremamente basso.
L’uso dei manichini non si è mai dimostrato responsabile dell’insorgenza di
un’infezione e una ricerca in letteratura fino a marzo 2000 non ha rilevato documenti
di infezione associata con il training di RCP. Fino ad oggi, circa 70 milioni di persone
negli Stati Uniti hanno avuto un diretto contatto con il manichino durante i corsi di
training di RCP senza che siano state riportate complicazioni di tipo infettivo.
In certe circostanze le superfici del manichino possono rappresentare un rischio
molto piccolo di trasmissione di malattie. Pertanto, le superfici del manichino devono
essere pulite e disinfettate in modo valido dopo ogni uso del soccorritore e dopo ogni
corso.
Due importanti precauzioni sono necessarie per ridurre il rischio di trasmissioni di
agenti infettivi durante il training di RCP. In primo luogo i soccorritori dovrebbero
evitare ogni contatto con saliva o sangue eventualmente presenti sul manichino.
In secondo luogo, le parti interne del manichino, come i meccanismi a valvole
e i polmoni artificiali delle vie aeree del manichino, invariabilmente vengono
contaminati durante l’uso e devono essere accuratamente puliti nell’intervallo tra le
utilizzazioni. Un’ampia gamma di manichini sono disponibili in commercio, ed è
impossibile in questa sede entrare nel dettaglio della pulizia necessaria per i diversi
modelli e tipi.
Le agenzie di training e gli istruttori dovrebbero attentamente seguire le
raccomandazioni delle ditte produttrici per l’uso e la manutenzione dei manichini.
260
Fino ad oggi non vi è alcuna evidenza che il virus HIV può essere trasmesso
attraverso un contatto indiretto attraverso superfici inanimate o per via aerea. Il
principale agente retrovirale che causa la sindrome di immunodeficienza acquisita
(AIDS), HIV, è relativamente delicato ed è inattivato in <10 minuti a temperatura
ambiente da diversi disinfettanti tra cui gli agenti raccomandati per la pulizia del
manichino. Se le raccomandazioni correnti pubblicate dall’AAA e dalle ditte
produttrici di manichini per la pulizia e disinfezione sono attentamente seguite, il
rischi di trasmissione dell’HIV, del virus dell’epatite B (HBV), così come le infezioni
batteriche e fungine, dovrebbero essere ridotte al minimo.
Trasmissione delle malattie durante l’esecuzione reale della RCP
La maggior parte delle esecuzioni di RCP a livello internazionale sono effettuate da
parte di personale sanitario o di pubblica sicurezza, la maggior parte dei quali
assistono nella ventilazione vittime di arresto cardiaco e respiratorio sconosciute. Un
soccorritore laico ha una probabilità molto minore rispetto al personale sanitario di
eseguire una RCP ed è molto probabile che il soccorritore laico esegua la RCP a casa
dove si verificano il 70-80% di arresti cardiaci respiratori.
Il rischi reale di trasmissione di malattia durante la respirazione bocca a bocca è
abbastanza piccolo; soltanto 15 case reports di infezione collegate a RCP sono stati
pubblicati tra il 1960 e il 1998 e nessun case reports è stato pubblicato su un giornale
scientifico tra il 1998 e il marzo del 2000.i ricercatori hanno trovato che vi è poca
riluttanza da parte di soccorritori laici ad eseguire la RCP su membri della famiglia
anche in presenza di vomito o di alito alcolico.
Fino all’ultimo case reports (1998) i casi di trasmissione di malattia durante la RCP
comprendevano Helicobacter Pylori, Mycobacterium tubercolosis, Meningococcus,
Herpes Simplex, Shighella, Sterptococcus, Salmonella, e Neisseria Gonorrhae. Non vi
sono stati case reports di trasmissione di HIV, HBV, virus epatite o Cytomegalovirus.
Tuttavia, nonostante la possibilità che ciò avvenga sia remota, i tumori per una
trasmissione di malattia sono frequenti in questa era di precauzioni universali. In realta
non soltanto i soccorritori laici, ma anche i medici, gli infermieri e gli istruttori BLS
sono estremamente riluttanti nell’eseguire la ventilazione bocca a bocca. La causa più
frequentemente dichiarata per non eseguire la ventilazione bocca a bocca è la paura di
contrarre l’AIDS. In un’inchiesta soltanto il 5% su 975 intervistati ha dichiarato la
disponibilità ad eseguire ventilazioni bocca a bocca in uno sconosciuto, mentre il 68%
261
eseguirebbe soltanto le compressioni toraciche se fossero offerte come una tecnica
efficace alternativa alla RCP.
La disponibilità dei soccorritori che hanno già eseguito ventilazioni bocca a bocca è
molto diversa riguardo al timore di trasmissione di infezioni. In uno studio, il 92% dei
soccorritori che hanno già effettuato una RCP ha dichiarato che non hanno avuto
timore di trasmissione di infezione. Su 425 soccorritori intervistati in questo gruppo il
99,5% ha dichiarato che se necessario eseguirebbe nuovamente la RCP.
Il soccorritore che risponde ad un’emergenza, dovrebbe essere guidato da valori
individuali morali ed etnici e dalla conoscenza dei rischi che potrebbero esistere nelle
diverse situazioni di soccorso. Il soccorritore dovrebbe tenere in considerazione che
ogni situazione di emergenza, che comporta l’esposizione a fluidi corporei, ha il
rischio potenziale di trasmissione di malattia sia per il soccorritore che per la vittima.
Se il soccorritore non ha voglia o non è in grado di eseguire la ventilazione bocca a
bocca, dovrebbero essere utilizzate soltanto le compressioni perché ciò può aumentare
le probabilità di sopravvivenza (classe IIa). Ciò è vero soprattutto se il tempo per la
deflibrillazione è breve.
Le maggiori preoccupazioni circa il rischio di trasmissioni di malattia dovrebbero
riguardare le persone che eseguono frequentemente CPR come personale sanitario, sia
in sede ospedaliera che extraospedaliera.
La probabilità che un soccorritore (laico o professionista) si infetti con l’HIV o HBV
in conseguenza dell’esecuzione della CPR è minima. Non è stata documentata
trasmissione di infezione da HBV e HIV durante rianimazione bocca a bocca.
Il rischio teorico di infezioni è maggiore per la trasmissione tramite aerosol o saliva
dell’Herpes Simplex, della Neisseria Meningitidis e malattie trasmesse per via aerea
quali la tubercolosi e altre infezioni respiratorie.
Dopo avere eseguito una rianimazione bocca a bocca su una persona sospetta per avere
la tubercolosi il soccorritore dovrebbe essere sottoposto a test di screening per la
tubercolosi (test cutaneo).
L’esecuzione di rianimazione bocca a bocca o di procedure invasive può comportare
lo scambio di sangue tra la vittima e il soccorritore. Ciò è vero soprattutto in casi di
trauma o se la vittima o il soccorritore hanno dei tagli sulla cute o attorno alle labbra o
sui tessuti soffici della mucosa orale. Perciò un rischio teorico di trasmissione di HBV
o HIV durante la rianimazione bocca a bocca esiste.