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ADVAITA VEDĀNTA L' Advaita Vedanta è probabilmente la più conosciuta fra tutte le scuole Vedānta della religione Induista. Letteralmente il termine Advaita significa "non duale", ma viene anche utilizzato per indicare il sistema monistico su cui si fonda il principio dell' indivisibilità del Sé o Ātman dall'Unità (Brahman). I testi fondamentali da cui derivano i Vedānta sono le Upaniad, o commenti ai Veda, e i Brahma Sutra, anche conosciuti come Vedānta Sutra, nei quali si concentra la discussione sulla natura intima delle Upanişad. ADI SHANKARACHARYA: I FONDAMENTI DELL'ADVAITA - Il primo grande codificatore dell'Advaita Vedānta fu Adi Shankara (788-820). La filosofia che propose fu potente e capitalizzò negli anni il monismo dormiente, e la conoscenza mistica dell'esistenza: proseguendo la linea di pensiero di alcuni rishi espressa nelle Upaniad e in particolare la testimonianza di Gaudapada, esposta nell'opera principale (la karika di commento alla Mandukya Upaniad), Shankara espose la dottrina dell'Advaita, che afferma la Realtà assoluta come unica realtà e la realtà fenomenica come continuo divenire. Quindi l'unica realtà possibile è quella non duale, mentre il mondo, soggetto al continuo divenire, ha una natura illusoria, in quanto impermanente. Egli definì meglio quanto già espresso nelle Upaniad: la Realtà assoluta o Brahman e la pura Realtà Ātman dell'essere individuato jivatman o anima individuale, sono la stessa ed unica cosa. Questa realtà è non duale, pertanto realizzabile solo rinunciando ai vincoli del contingente. I tre principali stati di consapevolezza (veglia, sogno e sonno profondo), infatti, sono espressione di un quarto stato trascendentale, conosciuto nelle Upaniad come ' turiya', coincidente con la Realtà assoluta o Brahman. La molteplice natura dei fenomeni e la loro ultima essenza è simboleggiata dal suono Aum, il più sacro fra i mantra induisti. Brahman è al tempo stesso immanente e trascendente, e non solo un concetto panteistico. Inoltre, oltre ad essere la causa materiale ed efficiente dell'intero universo, Brahman stesso non è limitato dalla sua auto- proiezione ed effettivamente trascende tutti gli opposti, tutte le dualità, soprattutto aspetti, quali la forma e l'essere; da sempre è incomprensibile alla mente umana. Molte testimonianze di queste esperienze sono state esaurientemente descritte in parecchie Upaniad. Tra il 1000 e il 1600 d.C., nella Brihadaranyaka, troviamo un dialogo tra Prajapati e Indra in cui si discute del Sé e dei diversi stati di consapevolezza; fu tuttavia Adi Shankaracharya che diffuse e sistematizzò il concetto di non dualismo come pratica religiosa in un lavoro coerente chiamato Vivekacūāmai, o Il gran gioiello della discriminazione. L'influsso di Adi Shankaracharya si fece non solo sentire nella meditazione Advaita, ma anche nella pratica e nella conoscenza Induista. I suoi lavori principali sono le Brahma Bhashyas, che rappresentano dei commentari alle Vedānta Sutra e alla Bhagavad Gita realizzate nello sforzo continuo di ricerca dello stato non-duale, ed infine il trattato sull'Advaita, il Vivekacūāmai. Inoltre questo maestro è più conosciuto come l'iniziatore della Bhakti o devozione altruistica, che nel sistema filosofico Advaita si può realizzare soprattutto mediante i bhajan, o canti devozionali, i più famosi dei quali sono il Bhaja Govindam, il Soundaryalahari e Sivanandalhari. MAESTRO DI MEDITAZIONE - I trattati sulle Upaniad, la Bhagavad Gita e i Vedānta Sutra, sono i testamenti di una mente acuta e intuitiva che non ammetteva dogmi; Adi Shankara affermava che un devoto, solo attraverso l'altruismo disinteressato e l'amore, governati dalla discriminazione (viveka) sia in grado di andare verso la liberazione (moksha) e di realizzare il Sé interiore, mentre il solo discernimento e l'astratto filosofeggiare non avrebbero portato a nessun risultato. L'accusa secondo la quale questa filosofia sia stata influenzata dal Buddhismo era infondata, dato che Shankara si oppose con veemenza alla negazione dell'essere Īśvara, affermando che il non-manifesto Brahman manifestava sé stesso come Īśvara, l'amante, l'essere perfetto, il divino, identificato poi come Vishnu o Shiva o qualunque cosa dettasse il cuore. Shankara inoltre sosteneva di aver viaggiato attraverso l'India, da sud a nord fino al Kashmir, pregando per la popolazione locale, dibattendo di filosofia con monaci e scolari, apparentemente con successo, anche se non esiste documentazione in proposito. La filosofia che proponeva Shankara era potente, in grado di risvegliare il monismo mistico dormiente dell'allievo, attraverso la conoscenza e la consapevolezza intima dell'esistenza. Inoltre affermava che, sia l'universo fenomenico, sia la nostra coscienza, sia il corpo, che le nostre esperienze, sono realtà illusoria anche se questo non significava negarle. In realtà la Verità Ultima era rappresentata da Brahman, situato al di là del tempo, dello spazio, al di là della causa e dell'effetto. Brahman è

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ADVAITA VEDĀNTA

L'Advaita Vedanta è probabilmente la più conosciuta fra tutte le scuole Vedānta della religione Induista. Letteralmente il termine Advaita significa "non duale", ma viene anche utilizzato per indicare il sistema monistico su cui si fonda il principio dell'indivisibilità del Sé o Ātman dall'Unità (Brahman). I testi fondamentali da cui derivano i Vedānta sono le Upaniṣad, o commenti ai Veda, e i Brahma Sutra, anche conosciuti come Vedānta Sutra, nei quali si concentra la discussione sulla natura intima delle Upanişad.

ADI SHANKARACHARYA: I FONDAMENTI DELL'ADVAITA - Il primo grande codificatore dell'Advaita Vedānta fu Adi Shankara (788-820). La filosofia che propose fu potente e capitalizzò negli anni il monismo dormiente, e la conoscenza mistica dell'esistenza: proseguendo la linea di pensiero di alcuni rishi espressa nelle Upaniṣad e in particolare la testimonianza di Gaudapada, esposta nell'opera principale (la karika di commento alla Mandukya Upaniṣad), Shankara espose la dottrina dell'Advaita, che afferma la Realtà assoluta come unica realtà e la realtà fenomenica come continuo divenire. Quindi l'unica realtà possibile è quella non duale, mentre il mondo, soggetto al continuo divenire, ha una natura illusoria, in quanto impermanente. Egli definì meglio quanto già espresso nelle Upaniṣad: la Realtà assoluta o Brahman e la pura Realtà Ātman dell'essere individuato jivatman o anima individuale, sono la stessa ed unica cosa. Questa realtà è non duale, pertanto realizzabile solo rinunciando ai vincoli del contingente.

I tre principali stati di consapevolezza (veglia, sogno e sonno profondo), infatti, sono espressione di un quarto stato trascendentale, conosciuto nelle Upaniṣad come 'turiya', coincidente con la Realtà assoluta o Brahman. La molteplice natura dei fenomeni e la loro ultima essenza è simboleggiata dal suono Aum, il più sacro fra i mantra induisti. Brahman è al tempo stesso immanente e trascendente, e non solo un concetto panteistico. Inoltre, oltre ad essere la causa materiale ed efficiente dell'intero universo, Brahman stesso non è limitato dalla sua auto-proiezione ed effettivamente trascende tutti gli opposti, tutte le dualità, soprattutto aspetti, quali la forma e l'essere; da sempre è incomprensibile alla mente umana.

Molte testimonianze di queste esperienze sono state esaurientemente descritte in parecchie Upaniṣad. Tra il 1000 e il 1600 d.C., nella Brihadaranyaka, troviamo un dialogo tra Prajapati e Indra in cui si discute del Sé e dei diversi stati di consapevolezza; fu tuttavia Adi Shankaracharya che diffuse e sistematizzò il concetto di non dualismo come pratica religiosa in un lavoro coerente chiamato Vivekacūḍāmaṇi, o Il gran gioiello della discriminazione. L'influsso di Adi Shankaracharya si fece non solo sentire nella meditazione Advaita, ma anche nella pratica e nella conoscenza Induista. I suoi lavori principali sono le Brahma Bhashyas, che rappresentano dei commentari alle Vedānta Sutra e alla Bhagavad Gita realizzate nello sforzo continuo di ricerca dello stato non-duale, ed infine il trattato sull'Advaita, il Vivekacūḍāmaṇi. Inoltre questo maestro è più conosciuto come l'iniziatore della Bhakti o devozione altruistica, che nel sistema filosofico Advaita si può realizzare soprattutto mediante i bhajan, o canti devozionali, i più famosi dei quali sono il Bhaja Govindam, il Soundaryalahari e Sivanandalhari.

MAESTRO DI MEDITAZIONE - I trattati sulle Upaniṣad, la Bhagavad Gita e i Vedānta Sutra, sono i testamenti di una mente acuta e intuitiva che non ammetteva dogmi; Adi Shankara affermava che un devoto, solo attraverso l'altruismo disinteressato e l'amore, governati dalla discriminazione (viveka) sia in grado di andare verso la liberazione (moksha) e di realizzare il Sé interiore, mentre il solo discernimento e l'astratto filosofeggiare non avrebbero portato a nessun risultato.

L'accusa secondo la quale questa filosofia sia stata influenzata dal Buddhismo era infondata, dato che Shankara si oppose con veemenza alla negazione dell'essere Īśvara, affermando che il non-manifesto Brahman manifestava sé stesso come Īśvara, l'amante, l'essere perfetto, il divino, identificato poi come Vishnu o Shiva o qualunque cosa dettasse il cuore. Shankara inoltre sosteneva di aver viaggiato attraverso l'India, da sud a nord fino al Kashmir, pregando per la popolazione locale, dibattendo di filosofia con monaci e scolari, apparentemente con successo, anche se non esiste documentazione in proposito. La filosofia che proponeva Shankara era potente, in grado di risvegliare il monismo mistico dormiente dell'allievo, attraverso la conoscenza e la consapevolezza intima dell'esistenza. Inoltre affermava che, sia l'universo fenomenico, sia la nostra coscienza, sia il corpo, che le nostre esperienze, sono realtà illusoria anche se questo non significava negarle. In realtà la Verità Ultima era rappresentata da Brahman, situato al di là del tempo, dello spazio, al di là della causa e dell'effetto. Brahman è

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immanente e trascendente, non solo come concetto panteistico e pur essendo Brahman la causa materiale del cosmo, esso non è limitato dalla sua proiezione, ma trascende la dualità e gli opposti, soprattutto nella forma e nell'essere, essendo la sua natura intima incomprensibile dalla mente umana.

Il compito supremo dell'essere umano è quello di penetrare il velo illusorio della realtà (Maya) per rivelare la vera natura, che non è perenne cambiamento tra vita e morte, ma perfezione assoluta e gioia eterna. Se noi conoscessimo i veri motivi che stanno dietro le nostre azioni e i nostri pensieri, diverremmo consapevoli della fondamentale unità dell'essere. Ma come può una mente limitata comprendere l'illimitatezza del Sé? In realtà non può, ma tuttavia è in grado di trascendere la mente e unirsi all'Assoluto.

MACROCOSMO E MICROCOSMO - La filosofia Advaita considera la natura e tutto il fenomeno dell'universo come una sovrapposizione che vela il suo immutevole, trascendente e intelligente Substrato. L'universo è in continuo divenire, è incostante ed impermanente, mentre l'Assoluto che è il substrato che lo sottende, non diviene, è costante e permanente. Secondo la sapienza upaniṣadica, l'errore di considerare reale ciò che è solo una sovrapposizione al Reale è simile allo scambiare la corda per il serpente, è l'illusione (Maya) determinata dall'ignoranza metafisica (avidya) da cui deriva il dolore dell'essere umano. Nella Tradizione Vedānta, questa illusoria percezione del divenire è attribuita all'identificazione con le forme manifeste che rende inconsapevoli e separati dal Reale e dalla sua serena immutabile stabilità. Tale identificazione, producendo l'illusione del mondo relativo, rende l'essere umano come il prigioniero della caverna del mito platonico, lontano dalla luce e immerso nelle ombre mutevoli ed ottenebranti di una pseudo realtà, separato dal suo Principio. Obiettivo dell'Advaita Vedānta è la disidentificazione dal relativo e la realizzazione dell'Assoluto. Questa Realtà sottesa ad ogni aspetto del mondo delle forme è, a livello microcosmico, l'Ātman o Sé individuale.

Da un punto di vista macrocosmico, invece, abbiamo una triade:

• Virat rappresenta la totalità degli esseri animati oggettivi, compreso il corpo umano. • Hiranyagarbha, la totalità delle anime manifestate, comprende il mentale cosmico. • Īśvara è il Dio personale universale e comprende la manifestazione intera, l'aspetto grossolano come

quello causale, l'individuale e l'universale. Da questo punto di vista il jīva è un momento coscienziale di Īśvara che è il Jiva universale.

Di là da queste triplicità esiste il sostrato di tutto chiamato Brahman.

SAGUNA BRAHMAN E NIRGUNA BRAHMAN - Un altro argomento di discussione nei Veda è se la realtà di Brahman sia "saguna" (con attributi) o "nirguna" (senza attributi). La fede nel concetto di Saguna Brahman portava ad una sviluppo delle facoltà devozionali e a una diffusa devozione per Vishnu e Shiva. Tuttavia dobbiamo ricordare che l'Advaita Vedānta non nega Saguna Brahman. In realtà, Shankara consigliava l'adorazione di Dio nella sua forma più pura e autentica, e lo affermava in diversi lavori nei quali disapprovava l'utilizzo dell'intelletto e della ragione, affermando che solo attraverso l'apertura del cuore si sarebbe trovato l'amore del Signore.

Advaita Vedānta è comunemente scambiata come una filosofia intellettuale, data la sua funzionale praticità, nel quale un insegnamento è in grado di "forgiare" il corpo e la mente in puro stato dell'essere. Sia Saguna Brahman che Nirguna Brahman sono comunque forme valide; dalla Coscienza Assoluta deriva sia il principio divino che la creazione. Nirguna Brahman (senza attributi) è la radice metafisica del Saguna Brahman (con attributi), così come lo Zero lo è dell'Uno. Quel Supremo Principio è inclusivo di tutti gli attributi degli esseri, e persino di quelli di Dio.

Dal nucleo della vita indifferenziata originano l'Uno ed il molteplice, il creatore e l'esistenza differenziata. In altre parole, il Principio Divino, i mondi celesti ed umani che comprendono l'universo, esistono sulla base di tale Assoluto onnipervadente che li contiene. Nella gerarchia dell'Esistenza, l'Assoluto precede l'universalità del Divino. Nello Spirito Supremo, Uno ed indivisibile, sono impliciti come propri riflessi il Padre e la Madre dell'Universo, l'energia vitale che alimenta le forme e le forme stesse. Questa è la spiegazione filosofica e metafisica del mistero dell'esistenza e dà misura della non-dualità della vita e dell'inscindibilità di tutte le sue dimensioni. In questa cosmogonia sacra, lo Spirito Assoluto, Dio, l'universo, il Sé dell'essere umano appaiono

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come un continuum, come parti di un sistema unitario dove ogni aspetto non può essere scisso o compreso senza l'altro.

Può darsi che l'Advaita sia stato insegnato meglio a partire dal XIX secolo da Shri Ramakrishna. Questo maestro ha paragonato l'infinito senza forma Nirguna Brahman ad un vasto oceano che, attraverso la fresca brezza dell'amore devoto, condensa la forma nella manifestazione. Ma poi, attraverso il calore della conoscenza del sole, il ghiaccio si dovrebbe sciogliere e il devoto realizzare sé stesso in una indifferenziata e perfetta beatitudine. La scuola Vishistadvaita e Dvaita credono nel Saguna Brahman, ossia in un Dio con attributi. Entrambe come l'Advaita sono scuole monistiche e panteistiche, ma differiscono nella definizione dell'ultima forma di Dio. È bene tenere a mente che quando si parla del Brahman si allude al Nirguna Brahman altrimenti noto come Parabrahman, Sat-Cit-Ananda, Uno senza secondo, Zero senza attributi, etc. Quando invece si parla di Brahma si intende il Saguna Brahman, ovvero Īśvara: l'Uno qualificato, con attributi.

ALCUNI INSEGNAMENTI DELL'ADVAITA VEDĀNTA - Vi sono altri testi, molto conosciuti, che hanno influenzato la scuola Vedānta, l'Ashtavakra Gita e l'Avadhuta Gita, scritti inizialmente da Ashtavakra e più tardi da Dattatreya.

Il venticinquesimo verso dell'Avadhuta Gita dice: Da tale sentenza "ciò che tu sei", il nostro Sé si afferma. Di ciò che è falso e composto di cinque elementi – le Sruti, le scritture dicono, "non questo, non quello, ( Neti, Neti )". Questo è un potente e coerente riassunto del sentiero dello Jñāna Yoga, di viveka o discriminazione. Eliminando la prospettiva di maya o dell'illusione, del mondo finito, discriminando tra ciò che è Brahman e ciò che non lo è, si giunge alla Verità. Brahman non è il corpo, non è la mente. Attraverso questo processo, l'aspirante o yogi, "presto" realizza che Brahman è il tutto, infinito Satcitananda (Assoluta Verità-Consapevolezza-Perfetta Beatitudine), e ottiene la moksha, la liberazione.

L'IMPATTO DELL'ADVAITA - La filosofia dell'Advaita Vedānta ha avuto una straordinario impatto sulla dottrina tantrica e ha fornito un valido appoggio alle considerazione del Sé ultimo sviluppate dagli Yogi, come Brahman, Ātman, l'essere Uno. L'Advaita ha rinnovato il pensiero Indù stimolando il dibattito sul Vishista Advaita, o non dualismo qualificato, e del Dvaita, o dualismo. Grazie all'Advaita la filosofia indù/Vedica ha avuto un forte impulso, il cui seme può essere riconosciuto nell'espressione: La Verità è Una, tuttavia il saggio la osserva come una moltitudine.

L'ADVAITA E LA SCIENZA - Diversi seguaci dell'Advaita ritengono che questa filosofia potrebbe rappresentare un punto di incontro tra la scienza e il mondo spirituale. Per giustificare questa ipotesi, essi fanno riferimento alle relazioni tra la massa, la frequenza e l'energia stabilite dalla fisica del XX secolo. Credono che queste relazioni, formalizzate in equazioni da Planck e Einstein, suggeriscano che tutta la struttura di questo Universo appaia come un'Unità che esibisca sé stessa come una moltitudine (energia, massa, onde eccetera) e che questo sia coerente con la visione Advaita in cui ogni cosa esiste ma è il risultato della manifestazione dell'"Unità", che è onnipresente, onnisciente e onnipotente. Inoltre correlano le onde materiali di De Broglie della meccanica ondulatoria al mantra Aum della dottrina indù.

ĀTMAN

Ātman è un termine sanscrito di genere maschile, che indica l'essenza. Tale termine compare per la prima volta nella letteratura vedica in un testo databile intorno al 1500 a.C. nel Rig Veda (I, 115,1), dove indica che l'essenza di ogni cosa è identificabile nel Sole (sans. surya): «Il Sole è l'essenza (atman) di ogni cosa. Sia essa animata che inanimata. È l'essenza di ciò che riempie l'aria, la terra e il cielo». Esso trae il significato dalle radici an (respiro) e at (muovere). In questo senso indica che il respiro soffia in ogni dove. Nel Sathapata Brahmana uno dei commentari dei quattro Veda probabilmente composti in un periodo compreso tra l'800 e il 600 a.C., questa descrizione del Rig Veda viene interpretata come una unità, trascendente ed immanente, di tutta la Realtà. La successiva riflessione delle Upanisad, intorno al IV secolo a.C., inizia a delineare l'atman come un Sé individuale distinto eppure inscindibile dal Sé universale (Brahman). L'identità tra Ātman e Brahman è enunciata nella celebre frase della Chandogya Upanisad (6,8,6-7): «Qualunque sia questa essenza sottile, tutto l'universo è costituito di

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essa, essa è la realtà di tutto, essa è l'atman. Quello sei tu ("Tat tvam Asi")». Da notare infatti che, a differenza del termina Atman, il termine Brahman è di genere neutro il che indica che esso non è riferito a qualcosa di particolare.

L'atman convive, nella riflessione vedica, con un termine apparentemente simile, jīva, il quale indica tuttavia la coscienza empirica ovvero l'insieme unitario delle percezioni sensoriali, mentre all'atman viene attribuito il significato di proprietà interente dell'individuo che pur non si discosta da quella universale (Brahman).

LA CRITICA DELL'ATMAN NEL BUDDHISMO E L'INSEGNAMENTO DELL'ANATMAN - In questo senso vi sarà la critica, nel Buddhismo dei Nikaya (IV secolo a.C.), dell' ātman (sans., atta, pāli) inteso come anima o Sè, riportata nell'insegnamento buddhista dell'anatman (sans., anatta, pāli). È da notare tuttavia che questa possibile assenza, negli insegnamenti buddhisti del sutra pitaka (sans., sutta pitaka, pāli) del canone buddhista (detti anche agama-nikaya), di una struttura portante nel continuum di consapevolezza e nella retribuizione karmica causerà, nello sviluppo del buddhismo, segnatamente nelle scuole Sarvastivada e Vatsiputriya, l'elaborazione di concetti in qualche modo analoghi a quello di atman: svabhava e pudgala[1]. Ciò sarà comunque oggetto di dibattito e critica tra le scuole buddhiste nel corso del loro sviluppo storico, anche se la scuola Pudgalavada si estinse in India con la scomparsa in quel sub-continente dello stesso Buddhismo.

SVILUPPO TARDO-VEDICO DEL TERMINE E INSEGNAMENTI DEL VEDANTA - Nel periodo post-vedico dei Purana (Bhagavata Purana, intorno al V secolo d.C.) l'atman viene incrociato con l'altro termine "tecnico" della riflessione vedica, lo jīva, generando il jivatman (anima individuale) che si distingue dal paramatman (anima cosmica). Alcune scuole del tardo Induismo, e in particolare nella filosofia Advaita, sottolineano questa interpretazione dell'Ātman: un Sé individuale identico al Sé universale escludendo quindi qualsiasi dualismo.

«Come l'aria racchiusa nella brocca non è una trasformazione, né una parte dell'aria esterna ad essa, così il Sé individuale non è né una trasformazione né una parte del Sé universale.»

Ma il velo di Maya porta ad una fallace rappresentazione dell'atman nella buddhi (intelletto superiore) immaginandolo quale jīva sperimentatore.

Nell'esempio precedente della brocca potremmo dire che l'aria esterna è il Brahman mentre quella interna è l'Ātman. Quando l'aria interna (ātman), per effetto di maya, rivolge l'attenzione al jīva-brocca sembrerà apparire essa stessa jiva-involucro, ma ciò non risponde a realtà perché l'autentica sua natura è sempre aria. Nell'Advaita Vedānta la distinzione tra ātman e jīva è di fondamentale importanza. Il jiva è il principio mediante il quale il sonno velante cade sulla natura del puro ātman. Lo stesso Iṡvara-Signore è il grande principio della vita, è il Jīva universale che manifesta con la sua potenza proiettiva (maya) i jīva individuali. L'ātman è al di là dei jīva, del grande Jīva e della stessa maya. L'ātman, come l'Assoluto, è non duale, non manifesto, privo di forma, di distinzione, di movimento e desiderio. Anch'Esso è della natura della pura Coscienza e Beatitudine e conferisce alle individualità una natura intelligente che anima il mondo della materia piuttosto che esserne un prodotto.

«L'ātman non è soggetto alla nascita, alla decrepitezza, alla malattia ed alla morte. Esso è Realtà della più intima natura umana e d'ogni altro essere e non nasce né viene distrutto quando il corpo viene ucciso.»

(Sarva-Vedanta-Siddhanta-Sarasangraha: s. 459)

Pur essendo fuori dal moto, l'ātman è ciò che permette il movimento all'essere umano.

BRAHMAN

Brahman, presso la filosofia Vedānta e successivamente nella scuola Yoga Induista, rappresenta l'aspetto di immutabilità, di infinito, di immanenza e di realtà trascendente, l'Origine Divina di tutti gli esseri. Viene

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considerato la sorgente, il substrato, l'autentica coscienza suprema, la somma di tutto l'universo, che, limitato dal tempo, dallo spazio e dalla causalità origina dal puro essere, un'estensione dell'"Anima mundi". Veniva così considerato come una sorta di super-sostanza dalla quale tutto ebbe inizio; L'Atharva Veda inizia con questi versi:

«Davvero grandi sono gli dei che sono nati da Brahman»

Tuttavia, dopo le prime Upaniṣad, le scritture Vedānta, che inizialmente servivano come commentari agli originali testi liturgici dei Veda, affermavano che il concetto di Brahman descriveva perfettamente la crescita della complessità nell'universo. Attorno al I millennio a.C. gli antichi scrittori delle Upaniṣad, consideravano Brahman, non solo come essere materiale, efficiente, causa di tutte le cose, ma anche una realtà immanente che andava oltre la materia, al di là dell'essere e del non-essere, rendendo così simile anche la parola Dio che il concetto di monismo esprime. Si dice che Brahman non possa essere conosciuto, né che si possa diventare consapevoli "di" lui, in quanto Brahman è la nostra autentica consapevolezza. Brahman non è limitato dall'ordinario significato di esistenza; in questo senso, attraverso l'illuminazione, la moksha, lo yoga, il samadhi e il nirvana, non solo si arriva a conoscere Brahman, ma si realizza l'unione, e ci si rende così conto di essere sempre stati Brahman.

ETIMOLOGIA E ORIGINE DEL NOME BRAHMAN - In Sanscrito Vedico, la parola bráhman (genere neutro) ha diversi significati: "crescita", "sviluppo", "rigonfiamento", "devozione" "adorazione", tutte parole derivanti dalla radice bṛh, derivante dalla parola "rigonfiamento". La parola brahmán (genere maschile) attualmente viene utilizzata per definire il brahmana, il sacerdote del Brahman, una delle caste presenti in India. Legato ai rituali dell'Induismo pre-vedico, la parola bráhman, ha il significato di potere della crescita, della capacità di modificare la realtà attraverso il rituale e il sacrificio, spesso visualizzando ciò che si desidera nelle scoppiettanti fiamme di un fuoco rituale. I Brahmini sono la casta più alta in India, e grazie alla virtù della purezza e del sacerdozio ottengo tale potere. Nella storia linguistica e nella comunità sanscrita esiste l'opinione minoritaria secondo la quale (come postulava Georges Dumézil) etimologicamente la parola latina flamen (sacerdote) derivi da brahman.

BRAHMAN SAGUNA E BRAHMAN NIRGUNA - I filosofi mistici delle Upaniṣad identificano Brahman come l'anima del mondo, con l'Ātman, l'essenza interiore dell'essere umano, dell'anima umana. Nel pantheon induista, Brahman non deve essere confuso con la prima divinità della Trimurti induista: Brahma, il creatore, Vishnu, il conservatore e Shiva, il distruttore. Brahma è come gli altri dei, Īśvara, o Brahman manifestato, fondamentalmente ego-consapevole, laddove Brahman, è privo di ego, privo e al di là dell'esistenza. Ishvara è anche conosciuto come Brahman Saguna, o dio con attributi personali.

La Verità Ultima si esprime come Brahman Nirguna, o dio senza forma, dio privo di attributi personali. Tutte le forme di dio, come Vishnu o Shiva sono aspetti differenti di dio nella Sua forma personale, o dio con attributi (Brahman Saguna, o Īśvara). L'energia Divina di Ishvara è personificata in Devi, la Madre Divina. Per i Vaishnava seguaci di Ramunjacharaya, Devi è Lakshmi, la Madre di tutte le cose, di fatto simboleggiando l'aspetto femminile della realtà. Per gli Shivaiti, Devi è Parvati. Per gli Shakta, adoratori di Devi, è la forma personale di dio che consegue l'aspetto impersonale di dio, l'Assoluto, mentre presso gli Śivaiti Shiva è personificato come dio privo di attributi. Presso la scuola Advaita, l'unica frase mistica per descrivere il solo modo possibile Brahman, (comunque in modo ancora inadeguato), è considerare che gli esseri umani, con un'anima e una mente limitate, possano viverlo attraverso uno stato interiore esprimibile con l'espressione Sat-Chit-Ananda. L'etimologia di questa parola sanscrita deriva da sat, chit e ananda, i cui significati sono rispettivamente: "essenza", "consapevolezza" e "beatitudine".

Un argomento di discussione nei Veda è se la realtà di Brahman sia "saguna" (con attributi) o "nirguna" (senza attributi). La fede nel concetto di Saguna Brahaman portava ad uno sviluppo delle facoltà devozionali e a una diffusa devozione per deità quali Vishnu e Shiva. Tuttavia dobbiamo ricordare che l'Advaita Vedānta non nega Brahman Saguna. In realtà, Adi Shankara consigliava l'adorazione di Dio nella sua forma più pura e autentica, e lo affermava in diversi lavori nei quali disapprovava l'utilizzo dell'intelletto e della ragione, affermando che solo attraverso l'apertura del cuore si sarebbe trovato l'amore del Signore. Sia il Brahman Saguna sia il Brahman Nirguna sono comunque forme valide; dalla Coscienza Assoluta deriva sia il principio divino che la creazione. Brahman Nirguna (senza attributi) è la radice metafisica del Brahman Saguna (con attributi), così come lo Zero lo è dell'Uno. Quel Supremo Principio è inclusivo di tutti gli attributi degli esseri, e persino di quelli di Dio. Dal

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nucleo della vita indifferenziata origina l'Uno ed il molteplice, il creatore e l'esistenza differenziata. In altre parole, il Principio Divino, i mondi celesti ed umani che comprendono l'universo, esistono sulla base di tale Assoluto onnipervadente che li contiene. Nella gerarchia dell'Esistenza, l'Assoluto precede l'universalità del Divino. Nello Spirito Supremo, Uno ed indivisibile, sono impliciti come propri riflessi il Padre e la Madre dell'Universo, l'energia vitale che alimenta le forme e le forme stesse. Questa è la spiegazione filosofica e metafisica del mistero dell'esistenza e da misura della non-dualità della vita e dell'inscindibilità di tutte le sue dimensioni. In questa cosmogonia sacra, lo Spirito Assoluto, Dio, l'universo, il Sé dell'essere umano appaiono come un continuum, come parti di un sistema unitario dove ogni aspetto non può essere scisso o compreso senza l'altro.

Può darsi che l'Advaita sia stato insegnato meglio a partire dal XIX secolo da Shri Ramakrishna. Questo maestro ha paragonato l'infinito senza forma (Brahman Nirguna) ad un vasto oceano che, attraverso la fresca brezza dell'amore devoto, condensa la forma nella manifestazione. Ma, poi attraverso il calore della conoscenza del sole, il ghiaccio si dovrebbe sciogliere e il devoto realizzare sé stesso in una indifferenziata e perfetta beatitudine. La scuola Vishistadvaita e Dvaita crede nel Brahman Saguna, ossia in un dio con attributi. Entrambe come l'Advaita sono scuole monistiche, ma differiscono nella definizione dell'ultima forma di dio. È bene tenere a mente che quando si parla del Brahman si allude al Brahman Nirguna altrimenti noto come Parabrahman, Sat-Cit-Ananda, Uno senza secondo, Zero senza attributi, etc. Quando invece si parla di Brahma si intende una forma del Brahman Saguna, ovvero Īśvara: l'Uno qualificato, con attributi.

ILLUMINAZIONE E BRAHMAN - Mentre Brahman giace dietro tutta la manifestazione, alcune menti umane indugiano nello spiegarlo solo con gli strumenti forniti dalla ragione. Brahman è al di là dei sensi, della mente, dell'intelligenza, e di qualsiasi immaginazione. In realtà, l'idea più elevata che si possa avere di Brahman è che esso è contemporaneamente esistenza e non-esistenza, colui che trascende e include il tempo, la causalità e lo spazio; di conseguenza non potrà mai essere conosciuto attraverso i sensi con i quali tradizionalmente "conosciamo" un dato concetto o oggetto. Gli Indù considerano Brahman come colui che pervade la consapevolezza che sta alla base di tutte le entità animate e inanimate. Credono inoltre che l'universo non esprime solo la coscienza, ma che l'universo è consapevolezza, e che questa consapevolezza è Brahman. Gli induisti inoltre ritengono che la consapevolezza umana abbia dimenticato e non sia più in grado di riconoscere la sua vera identità, cioè Brahman, come se un goccia d'acqua si fosse per sempre separata dal vasto oceano della Consapevolezza Assoluta, e che l'unico modo per fondersi nuovamente in esso consista in un cammino di devozione, di integrità morale ed etica, e di meditazione, attraverso diversi sistemi spirituali pratici come lo yoga.

Nella ricerca di Brahman, l'Ātman (o anima individuale) cerca la verità, e non ha importanza cosa sia. L'Ātman, accettando tutta la verità del suo ego è in grado di accettare il fatto che non è separato da tutto ciò che la circonda. Il passo successivo è l'Ātman permanentemente assorbito in Brahman, il modo per evitare la reincarnazione ed interrompere per sempre il ciclo nascita-morte (Saṃsāra).

KOSHA

Secondo la filosofia Vedānta, l'essenza spirituale dell'uomo (detta Ātman) è rivestita da cinque involucri o guaine, chiamati Kosha. Essi sono i corpi di cui è composto l'"io" fenomenico, che separano la coscienza (il proprio Ātman, il proprio Sè) dal Brahman indifferenziato. I cinque Kosha sono presenti in tutti i piani (grossolano, sottile e causale), partendo da quello più materiale per arrivare a quello più spirituale. Questo riflette la volontá Advaita (non duale) che non distingue fra fisica e metafisica, ma li considera gradazioni di un tutto.

ANNAMAYAKOSA - La prima guaina Annamayakosa è quella del corpo grossolano ed è così descritta:

«Questo corpo è il prodotto del cibo e costituisce la guaina del cibo. Vive a causa del cibo e muore se ne è privo. È un miscuglio di pelle, carne, sangue, ossa e altre relatività; così esso non potrà mai essere l'eternamente puro Ātman che non deve la sua esistenza a nessuno fuorché a sé stesso.»

(Vivekacūḍāmaṇi, sloka 154)

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La sua esistenza dipende dal prana (energia) assunto sottoforma di cibo, acqua e da prana più sottile assunto attraverso l'aria che respira. Il prana assunto attraverso la respirazione è la forma di energia più importante al corpo materiale, infatti senza cibo la sua sopravvivenza è possibile fino e oltre 6 settimane, senza acqua 3 giorni, senza aria, invece, la vita del corpo materiale cessa dopo soltanto 6 minuti. Il corpo fisico può essere armonizzato anche attraverso la pratica di posizioni mirate dette asana.

PRANAMAYAKOSA - La seconda guaina Pranamayakosa è quella dell'energia vitale.

Nella filosofia vedanta, con il termine prana si intende il soffio-energia vitale. Il cibo grossolano, come detto, è una sorta di prana cristallizzato. Questo corpo è simile per dimensione e forma a quello fisico e, come quello fisico ha una sua struttura fisiologica gestita da "centrali energetiche" dette chakra dalle quali scorre l'energia attraverso una sorta di rete sottile di "canali di collegamento", le nadi, la cui funzione è quella di distribuire il prana attraverso le varie strutture umane. Non esiste una sola particella dell'essere umano che non funzioni come organo di ricezione, trasformazione e trasmissione dell'energia sottile. Il corpo eterico, pur essendo puramente energetico, può essere influenzato dalle tecniche yoga di respirazione (pranayama).

MANOMAYAKOSA - Il terzo involucro Manomayakosa è quello che concerne il mentale ed in proposito è scritto:

«Gli organi di percezione, associati alla mente, formano la guaina fatta di mente. Essa è causa di distinzione [falsa rappresentazione del reale] e si esprime con le nozioni del "mio" e dell'"io". Essa, interpenetrando la guaina precedente, ha il potere di creare le differenziazioni.»

(Vivekacūḍāmaṇi, sloka 167)

Tutto l'universo di nomi e forme non è altro che il frutto di Manomayakosa. In altre parole, quello che noi chiamiamo "mondo reale" è frutto della proiezioni della mente esattamente come lo è il mondo onirico durante il sonno. Naturalmente entrambi i tipi di proiezione risultano reali fintantoché la conoscenza non sarà sufficientemente risvegliata.

Un elemento di particolare interesse lega quanto detto al ciclo di morte-rinascita (Saṃsāra).

Infatti per la metafisica Vedānta la trasmigrazione avviene per l'identificazione della coscienza con il mondo dei nomi e delle forme. L'identificazione con la realtà grossolana crea un moto che permette all'individualità di generare una forza che rende schiavi delle cose pur vivendo nell'illusione di possederle. Questa forza tenta disperatamente di sopravvivere, trasmigrando nei vari mondi, subendo il relativo karma di merito-demerito, attenuandosi e spegnendosi solo quando cessa quel moto di identificazione.

Fintanto che questo viene alimentato il ciclo morte-rinascita (e con esso la schiavitù metafisica) non sarà mai spezzato.

VIJNANAMAYAKOSA - La quarta guaina Vijnanamayakosa è detta guaina dell'intelletto.

Quello che rappresenta questo involucro è la cosiddetta buddhi. Potremmo intendere questo termine come la più alta facoltà discriminativa che l'individuo possegga, l'intelligenza sintetica capace di contemplare gli archetipi universali. Benché molto vicina all'Ātman riflettendone il cit, nonostante sia percezione intuitiva e discernimento immediato essa resta pur sempre un veicolo del sé ed è pertanto soggetta a trasmigrazione. Quindi se questa resta vincolata al complesso mentale e sensoriale favorisce l'espansione dell'ego; se viceversa risulta svincolata dal desiderio egoico essa favorisce l'amore e la comprensione universale.

ANANDAMAYAKOSA - L'ultima guaina è quella più interna, Anandamayakosa, relativa alla beatitudine.

Di essa si dice essere attiva nel sonno profondo mentre negli altri stati (veglia e sogno) lo è solo parzialmente. È sede della facoltà intuitiva ove si fa esperienza della divinità che vive nel profondo di ogni essere umano. Tale unità di coscienza rifrange senza riflettere la pura beatitudine dell'Ātman, in assenza di qualsiasi dualità. Questa

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guaina è composta di beatitudine non generata da alcun eccitamento né da stimoli sensoriali quindi non dipende da alcun condizionamento formale. Anche questo corpo causale va superato; esso non può essere il supremo sé in quanto ne è pur sempre rivestimento come lo sono le altre guaine-corpi.

Compresi e risolti i cinque involucri ovvero i tre corpi quello che resta è solo il testimone, il supremo Ātman.