42 8 SETTEMBRE - News in tempo reale - Le notizie e i...

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42 GIOVEDÌ 5 SETTEMBRE 2013 DI A R I O DI REPUBBLICA L’ “Otto settem- bre” cominciò verso l’imbruni- re ed era merco- ledì. «Alle 18,30 tornavo a casa da una piccola passeggiata quando Adelina mi ha detto di aver udito che è stato concluso l’armistizio con gli anglo-americani». Questa sono le semplici paro- le, senza altro commento, del diario di Benedetto Croce con una indicazione dell’ora che non corrisponde esattamen- te a quanto stava avvenendo. Croce non poteva sapere che l’armistizio era stato fir- mato cinque giorni prima e che l’annuncio ufficiale era stato dato poco prima delle 18 da Radio Algeri cogliendo di sorpresa Badoglio che era con il re al Quirinale insieme ai massimi responsabili mili- tari e al ministro degli Esteri Guariglia. Alla notizia era se- guito un minaccioso radio- gramma di Eisenhower che imponeva al governo italiano di annunciare subito l’armi- stizio sia per evitare ulteriori ambiguità verso i tedeschi sia perché non era stato possibi- le coordinare l’annuncio con lo sbarco di una divisione di paracadutisti americani a nord di Roma. Era fallita in- fatti la missione di due ufficia- li americani, il generale Tay- lor e il colonnello Gardiner, giunti segretamente nella ca- pitale la sera del 7 settembre per prendere visione degli ae- roporti e dare il via all’opera- zione per la mattina dell’8. I capi militari italiani li aveva- no dissuasi dicendo loro che non c’erano «forze sufficienti per garantire gli aeroporti». Taylor e Gardiner delusi la- sciarono Roma informando Eisenhower. L’unico a reagire allo stu- pore di quanti erano al Quiri- nale fu il ministro Guariglia: si doveva dare la notizia. Il co- lonnello Luigi Marchesi, ad- detto allo Stato maggiore, suggerì al maresciallo Bado- glio di recarsi subito all’Eiar. «Il maresciallo mi chiese di accompagnarlo. Uscii subito sul piazzale del Quirinale e chiesi ai due autisti del mare- sciallo se sapevano dove era la sede dell’Eiar. Non lo sape- vano. Poi si fece avanti un ser- gente che salì accanto all’au- tista. Il maresciallo ed io era- vamo soli. Rimase in silenzio finché giungemmo alla sede dell’Eiar in via Asiago verso le 18,50. Fummo introdotti in una saletta di trasmissione. se questa scelta, avvenuta senza che il governo e i capi militari organizzassero la di- fesa della capitale e lasciasse- ro ordini precisi ai nostri sol- dati sparsi sui vari fronti di guerra, abbia una spiegazio- ne razionale. La vicenda della colonna di auto che portò lungo la via Tiburtina la fami- glia reale e centinaia di uffi- ciali al seguito a Pescara e a Ortona, le scene penose del- l’imbarco sulle corvette della marina militare in attesa, in- somma “la fuga di Pescara” sono state ampiamente rac- contate e documentate. In quelle stesse ore Roma era di- fesa a Porta San Paolo, sulla via Ostiense da centinaia di soldati e di civili di ogni ceto sociale. Nasceva in questi luoghi di Roma la Resistenza e germina qui la nuova, vera Patria. Ma intanto lo Stato giungeva a Brindisi e “conti- nuava” a funzionare con il ri- conoscimento ufficiale della sua legittimità da parte degli ex nemici. Come giudicare allora que- sto scenario assolutamente inedito che si stava configu- rando in Italia? Cosa c’era in quella fuga di diverso da quanto era avvenuto nell’Eu- ropa del 1940? Il re del Belgio Leopoldo III, mentre il suo paese capitolava, era stato ar- restato e internato e il suo go- verno era fuggito a Londra. In Danimarca, il re e il suo go- verno erano agli ordini di Hi- tler. In Olanda la regina e il suo governo erano fuggiti a Lon- dra e qui si erano pure rifugia- ti il re di Norvegia Haakon VII e i suoi ministri. E potrebbe continuare l’elenco di sovra- ni, governi e capi politici (ba- sti ricordare il ruolo di De Gaulle a Londra) costretti alla fuga e all’esilio, ma determi- nati a combattere i nazisti. Al- l’Italia andò certamente me- glio e non è quindi più accet- tabile, sul piano storico e sto- riografico, sminuire il signifi- cato del Regno del Sud e ne- gare il ruolo che quello Stato ha svolto, anche sul piano del diritto internazionale, con- fermandosi nel territorio ita- liano come Stato sovrano, “cobelligerante” con quegli Stati che avrebbero avuto tut- to il diritto di fare del nostro paese una terra bruciata e di- visa. Come in Germania. Fu anche questo che ha determi- nato, settanta anni or sono, il risorgimento della Patria, non certo la sua fine. GIORGIO BOCCA Storia dell’Italia partigiana Feltrinelli 2012 La Repubblica di Mussolini Mondadori 1997 SERGIO LUZZATTO Partigia Mondadori 2013 M. CERVI I.MONTANELLI L'Italia della guerra civile Bur 2011 FRANCO MARCOALDI Benjaminowo padre e figlio Bompiani 2004 GIAN ENRICO RUSCONI Cefalonia 1943 Einaudi 2004 PIERO CALAMANDREI Uomini e città della Resistenza Laterza 2011 GIOVANNI GUARESCHI Il grande diario Bur 2011 GIAMPAOLO PANSA Il sangue dei vinti Sperling & Kupfer 2013 PASQUALE CHESSA Guerra civile Mondadori 2006 GERHARD SCHREIBER La vendetta tedesca Mondadori 2001 LIBRI I Diari online TUTTI i numeri del “Diario” di Repub- blica, comprensivi delle fotografie e dei testi completi, sono consultabili su In- ternet in formato pdf all’indirizzo web www.repubblica.it. I lettori potranno accedervi direttamente dalla homepa- ge del sito, cliccando sul menu “Sup- plementi”. Gli autori IL SILLABARIO di Beppe Fenoglio è tratto da Il partigiano Johnny (Einaudi). Lo storico Lucio Villari ha scritto L’insonnia del No- vecento (Bruno Mondadori). Marco Revel- li, storico e sociologo, è autore di I demoni del potere (Laterza). L’ultimo libro di Stefa- no Bartezzaghi è Il falò delle novità (Utet). Il giorno in cui gli italiani cambiarono guerra 8 SETTEMBRE J ohnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s’era pre- cipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo imprevisto rientro dalla tragica Roma fra le settem- plici maglie tedesche. Lo spettacolo dell’8 settembre locale, la resa di una caserma con dentro un intero reggimento davanti a due autoblindo tedesche, la de- portazione in Germania in vagoni piombati avevano tutti convinto che Johnny non sarebbe mai tornato. La città era inabitabile, la città era un’anticamera del- la scampata Germania, la città coi suoi bravi bandi di Graziani affissi a tutte le cantonate, la città con un drappello tedesco nel primario albergo, e continue ir- ruzioni di tedeschi da Asti e Torino su camionette che riempivano di terrifici sibili le strade deserte e grigie, proditoriate. Assolutamente inabitabile, per un sol- dato sbandato e pur soggetto al bando di Graziani. SILLABARIO 8 SETTEMBRE BEPPE FENOGLIO Settant’anni fa il paese apprende dell’armistizio. Nella notte il re abbandona Roma. I civili sparano contro i tedeschi. Una situazione senza precedenti, tra crollo dello Stato e voglia di riscatto La gente si riunì in capannelli nelle strade chiedendosi: “Cosa ha detto? È vero che ora siamo nemici della Germania?” Capannelli Un messaggio di Eisenhower imponeva di dare subito l’annuncio per evitare ambiguità Ambiguità LUCIO VILLARI Intanto l’usciere era andato a chiamare il direttore che giunse quasi subito. Lo infor- mai che il maresciallo inten- deva dare al più presto un messaggio alla nazione. Il di- rettore spiegò che diraman- dolo subito non sarebbe stato sentito da nessuno e consi- gliava di attendere l’inizio del programma delle 19,45. E alle 19,45 il maresciallo, con evi- dente sforzo lesse con voce chiara e ferma il proclama dell’armistizio». Tre minuti dopo gli italiani seppero tutto. «La gente – ri- corda Paolo Monelli – fece ca- pannelli nelle strade che già s’abbuiavano, i passanti si in- terrogavano l’un l’altro. “Co- sa ha detto? È vero che ha det- to che siamo in guerra con i te- deschi?”». Non era ancora ve- ro, ma quella domanda co- glieva nel segno. L’Italia usci- va da una guerra e entrava in un’altra. Su questa linea di confine maturò in Badoglio, nel re e in alcuni capi militari il progetto di lasciare la capi- tale e trasferire nel Sud libera- to le persone e i simboli dello Stato italiano per salvarli dal- la reazione tedesca. Da settanta anni si discute VIGNETTA Una vignetta satirica del settimanale francese “Le Rire” del settembre ’43, con Vittorio Emanuele III nelle mani degli Alleati © RIPRODUZIONE RISERVATA

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GIOVEDÌ 5 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

DIARIODI REPUBBLICA

L’“Otto settem-bre” cominciòverso l’imbruni-re ed era merco-ledì. «Alle 18,30

tornavo a casa da una piccolapasseggiata quando Adelinami ha detto di aver udito che èstato concluso l’armistiziocon gli anglo-americani».Questa sono le semplici paro-le, senza altro commento, deldiario di Benedetto Croce conuna indicazione dell’ora chenon corrisponde esattamen-te a quanto stava avvenendo.

Croce non poteva sapereche l’armistizio era stato fir-mato cinque giorni prima eche l’annuncio ufficiale erastato dato poco prima delle 18da Radio Algeri cogliendo disorpresa Badoglio che eracon il re al Quirinale insiemeai massimi responsabili mili-tari e al ministro degli EsteriGuariglia. Alla notizia era se-guito un minaccioso radio-gramma di Eisenhower cheimponeva al governo italianodi annunciare subito l’armi-stizio sia per evitare ulterioriambiguità verso i tedeschi siaperché non era stato possibi-le coordinare l’annuncio conlo sbarco di una divisione diparacadutisti americani anord di Roma. Era fallita in-fatti la missione di due ufficia-li americani, il generale Tay-lor e il colonnello Gardiner,giunti segretamente nella ca-pitale la sera del 7 settembreper prendere visione degli ae-roporti e dare il via all’opera-zione per la mattina dell’8. Icapi militari italiani li aveva-no dissuasi dicendo loro chenon c’erano «forze sufficientiper garantire gli aeroporti».Taylor e Gardiner delusi la-sciarono Roma informandoEisenhower.

L’unico a reagire allo stu-pore di quanti erano al Quiri-nale fu il ministro Guariglia: sidoveva dare la notizia. Il co-lonnello Luigi Marchesi, ad-detto allo Stato maggiore,suggerì al maresciallo Bado-glio di recarsi subito all’Eiar.«Il maresciallo mi chiese diaccompagnarlo. Uscii subitosul piazzale del Quirinale echiesi ai due autisti del mare-sciallo se sapevano dove erala sede dell’Eiar. Non lo sape-vano. Poi si fece avanti un ser-gente che salì accanto all’au-tista. Il maresciallo ed io era-vamo soli. Rimase in silenziofinché giungemmo alla sededell’Eiar in via Asiago verso le18,50. Fummo introdotti inuna saletta di trasmissione.

se questa scelta, avvenutasenza che il governo e i capimilitari organizzassero la di-fesa della capitale e lasciasse-ro ordini precisi ai nostri sol-dati sparsi sui vari fronti diguerra, abbia una spiegazio-ne razionale. La vicenda dellacolonna di auto che portòlungo la via Tiburtina la fami-glia reale e centinaia di uffi-ciali al seguito a Pescara e aOrtona, le scene penose del-l’imbarco sulle corvette dellamarina militare in attesa, in-somma “la fuga di Pescara”sono state ampiamente rac-contate e documentate. Inquelle stesse ore Roma era di-fesa a Porta San Paolo, sullavia Ostiense da centinaia disoldati e di civili di ogni cetosociale. Nasceva in questiluoghi di Roma la Resistenzae germina qui la nuova, veraPatria. Ma intanto lo Statogiungeva a Brindisi e “conti-nuava” a funzionare con il ri-conoscimento ufficiale dellasua legittimità da parte degliex nemici.

Come giudicare allora que-sto scenario assolutamenteinedito che si stava configu-rando in Italia? Cosa c’era inquella fuga di diverso daquanto era avvenuto nell’Eu-ropa del 1940? Il re del BelgioLeopoldo III, mentre il suopaese capitolava, era stato ar-restato e internato e il suo go-verno era fuggito a Londra. InDanimarca, il re e il suo go-verno erano agli ordini di Hi-tler. In Olanda la regina e il suogoverno erano fuggiti a Lon-dra e qui si erano pure rifugia-ti il re di Norvegia Haakon VIIe i suoi ministri. E potrebbecontinuare l’elenco di sovra-ni, governi e capi politici (ba-sti ricordare il ruolo di DeGaulle a Londra) costretti allafuga e all’esilio, ma determi-nati a combattere i nazisti. Al-l’Italia andò certamente me-glio e non è quindi più accet-tabile, sul piano storico e sto-riografico, sminuire il signifi-cato del Regno del Sud e ne-gare il ruolo che quello Statoha svolto, anche sul piano deldiritto internazionale, con-fermandosi nel territorio ita-liano come Stato sovrano,“cobelligerante” con quegliStati che avrebbero avuto tut-to il diritto di fare del nostropaese una terra bruciata e di-visa. Come in Germania. Fuanche questo che ha determi-nato, settanta anni or sono, ilrisorgimento della Patria,non certo la sua fine.

GIORGIOBOCCAStoria dell’ItaliapartigianaFeltrinelli2012

La Repubblicadi MussoliniMondadori1997

SERGIOLUZZATTOPartigiaMondadori2013

M. CERVII.MONTANELLIL'Italia dellaguerra civileBur2011

FRANCOMARCOALDIBenjaminowopadre e figlioBompiani2004

GIAN ENRICORUSCONICefalonia 1943Einaudi2004

PIEROCALAMANDREIUomini e città dellaResistenzaLaterza2011

GIOVANNIGUARESCHIIl grande diarioBur2011

GIAMPAOLOPANSAIl sangue dei vintiSperling & Kupfer2013

PASQUALECHESSAGuerra civile Mondadori2006

GERHARDSCHREIBERLa vendettatedescaMondadori2001

LIBRI

I Diari onlineTUTTI i numeri del “Diario” di Repub-blica, comprensivi delle fotografie e deitesti completi, sono consultabili su In-ternet in formato pdf all’indirizzo webwww.repubblica.it. I lettori potrannoaccedervi direttamente dalla homepa-ge del sito, cliccando sul menu “Sup-plementi”.

Gli autoriIL SILLABARIO di Beppe Fenoglio è trattoda Il partigiano Johnny (Einaudi). Lo storicoLucio Villari ha scritto L’insonnia del No-vecento (Bruno Mondadori). Marco Revel-li, storico e sociologo, è autore di I demonidel potere (Laterza). L’ultimo libro di Stefa-no Bartezzaghi è Il falò delle novità (Utet).

Il giorno in cui gli italianicambiarono guerra

8 SETTEMBRE

Johnny stava osservando la sua città dalla finestradella villetta collinare che la sua famiglia s’era pre-cipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo

imprevisto rientro dalla tragica Roma fra le settem-plici maglie tedesche. Lo spettacolo dell’8 settembrelocale, la resa di una caserma con dentro un interoreggimento davanti a due autoblindo tedesche, la de-portazione in Germania in vagoni piombati avevanotutti convinto che Johnny non sarebbe mai tornato.La città era inabitabile, la città era un’anticamera del-la scampata Germania, la città coi suoi bravi bandi diGraziani affissi a tutte le cantonate, la città con undrappello tedesco nel primario albergo, e continue ir-ruzioni di tedeschi da Asti e Torino su camionette cheriempivano di terrifici sibili le strade deserte e grigie,proditoriate. Assolutamente inabitabile, per un sol-dato sbandato e pur soggetto al bando di Graziani.

SILLABARIO8 SETTEMBRE

BEPPE FENOGLIO

Settant’anni fa il paese apprende dell’armistizio.Nella notte il reabbandona Roma. I civili sparano contro i tedeschi. Una situazionesenza precedenti, tra crollo dello Stato e voglia di riscatto

La gente si riunìin capannelli nellestrade chiedendosi:“Cosa ha detto?È vero che ora siamonemici della Germania?”

Capannelli

Un messaggiodi Eisenhowerimponevadi dare subitol’annuncio perevitare ambiguità

Ambiguità

LUCIO VILLARI

Intanto l’usciere era andato achiamare il direttore chegiunse quasi subito. Lo infor-mai che il maresciallo inten-deva dare al più presto unmessaggio alla nazione. Il di-rettore spiegò che diraman-dolo subito non sarebbe statosentito da nessuno e consi-gliava di attendere l’inizio delprogramma delle 19,45. E alle19,45 il maresciallo, con evi-dente sforzo lesse con vocechiara e ferma il proclamadell’armistizio».

Tre minuti dopo gli italianiseppero tutto. «La gente – ri-corda Paolo Monelli – fece ca-

pannelli nelle strade che giàs’abbuiavano, i passanti si in-terrogavano l’un l’altro. “Co-sa ha detto? È vero che ha det-to che siamo in guerra con i te-deschi?”». Non era ancora ve-ro, ma quella domanda co-glieva nel segno. L’Italia usci-va da una guerra e entrava inun’altra. Su questa linea diconfine maturò in Badoglio,nel re e in alcuni capi militariil progetto di lasciare la capi-tale e trasferire nel Sud libera-to le persone e i simboli delloStato italiano per salvarli dal-la reazione tedesca.

Da settanta anni si discute

VIGNETTAUna vignettasatirica delsettimanalefrancese“Le Rire”del settembre’43, conVittorioEmanuele IIInelle manidegli Alleati

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25 LUGLIO 1943Il Gran Consiglio del Fascismo costringeMussolini alle dimissioniIl generale Badogliodiventa capo del governo

L’8 settembre, giorno magnificoNoi soldati facevamo a garaa buttare armi e bandiere nel fangoLa pelle, 1949

Curzio Malaparte

L’8 settembre non fu la mortedella patria, ma la sua rinascitanel cuore degli italianiNon è il paese che sognavo, 2010

Carlo Azeglio Ciampi

L’8 settembre riemerge l’odio-pauracongenito, automatico, irrazionaledell’italiano per il tedescoStoria dell'Italia partigiana, 1966

Giorgio Bocca

Le tappe

8 SETTEMBREAlle 19:45 Badoglioannuncia l’armistizio in radio. Il Re e il governofuggono a Brindisi. Hitlerordina la rappresaglia

3 SETTEMBREA Cassibile (Siracusa) il generale italianoCastellano e quelloamericano Bedell Smithfirmano l’armistizio

1 SETTEMBREDopo il verticeportoghese, il re VittorioEmanuele III accettaformalmente l’armistizioimposto dagli Alleati

19 AGOSTODopo i bombardamentidegli Alleati, a Lisbona gli Stati Uniti dettano lecondizioni dell’armistizioall’Italia: resa immediata

VITTORIO FOALettere dellagiovinezza1935-1943Einaudi2010

Lavori in corso1943-1946Einaudi1999

CARLO A.CIAMPI(con RobertoOrioli)Non è il paeseche sognavoIl Saggiatore2010

ELENA AGA ROSSIUna nazioneallo sbandoIl Mulino2006

CLAUDIOPAVONEUna guerracivileBollati Boringhieri2006

CURZIOMALAPARTELa pelleAdelphi2010

GUIDOCRAINZL'ombra della guerraDonzelli2007

RENZO DE FELICERosso e neroDalai1995

E. GALLIDELLA LOGGIALa morte della patriaLaterza2003

M. GASPARINIC. RAZETO1943Castelvecchi2013

ADELCHIBATTISTAL’estate degli inganniGuanda2013

LIBRI

Dalle macerie alla nascita della Resistenza

IL MOMENTODELLE SCELTE

«Sembravano traversie ed eran in fatti oppor-tunità». Con questa citazione vichiana, scrit-ta come dedica sulla propria copia de Lascienza nova, Vittorio Foa aveva salutato il

proprio compagno di cella il 23 agosto del ’43, uscendo dalcarcere fascista dopo 8 anni di reclusione. Ed è forse la mi-glior sintesi, profetica, di quello che sarebbe stato, un paiodi settimane più tardi, l’8 settembre.

Esso fu, senza dubbio, una catastrofe istituzionale dienormi proporzioni in cui tutto “andò giù” e fece naufragioun’intera classe dirigente, con la “fuga ingloriosa” del Re ela sua Corte, e il dissolvimento di ogni autorità statale. Mafu anche un “punto di rimbalzo”: una grande opportunitàstorica di riscatto morale per una nazione che era affonda-ta nella vergogna del regime fascista. E lo fu perché proprioquel “vuoto istituzionale”, quell’assenza di ogni autoritàformale, rappresentano le condizioni essenziali di quelloche costituisce il nucleo fondativo di ogni genuino atto mo-rale: la scelta. La possibilità – e insieme la necessità – di sce-gliere, senza ordini né routine (non per nulla Claudio Pavo-ne apre il suo splendido saggio sulla “moralità della Resi-stenza” con un capitolo intitolato La scelta). E di spezzare,con quell’atto, una deriva storica degradata e degradante.

È ancora Foa a esprimere il concetto quando scrive, a li-

berazione non ancora avvenuta, che l’8 settembre fu in fon-do un gran bene per l’Italia, perché segnò «l’inizio di un pro-cesso rivoluzionario che ha coinvolto gli italiani in un in-granaggio vorticoso dal quale potranno uscire solo con leloro forze», combattendo, oltre all’occupante tedesco, an-che la parte peggiore di se stessi, quella che aveva credutonei miti imperiali e nell’“arido egoismo” del Regime. Ed è lostesso messaggio di un altro intellettuale d’eccezione, Giai-me Pintor, che poco prima di morire, fatta la propria scelta,scrisse che «questa prova può essere il principio di un risor-gimento soltanto se si ha il coraggio di accettarla come im-pulso a una rigenerazione totale; se ci si persuade che unpopolo portato alla rovina da una finta rivoluzione può es-sere salvato e riscattato soltanto da una vera rivoluzione».

Non sono voci isolate. Lo stesso spirito, di possibile ri-scrittura della propria biografia individuale e collettiva, losi ritrova in quasi tutti i protagonisti di allora. In MassimoMila, ad esempio, che in uno dei suoi Scritti civili attribuiràall’8 settembre il carattere catartico di un’improvvisa «rive-lazione a se stessi di una nuova possibilità di vita» come ac-cade, appunto, quando «tutto crolla rovinosamente all’im-provviso intorno a te e ti lascia solo, a cielo scoperto, decisoa passare i ponti col tuo passato civile ed a gettarti allo sba-raglio in un’avventura in cui tutto il tuo destino è impegna-to». O in Franco Venturi, il grande storico dell’Illuminismo,quando evoca il «senso di necessità che stava in fondo aquesta creazione di libertà, un senso di serena accettazio-ne del fatto di essere finalmente dei fuorilegge di un mon-do impossibile». O ancora in Giorgio Bocca, che nelle primepagine del suo Partigiani della montagna descrive il di-rompente senso di liberazione e di rinascita, per un giova-ne normalmente destinato a una vita banale e già decisa,quando «invece, d’improvviso, in un giorno del settembredel ’43, si ritrova totalmente libero, senza re, senza duce, li-bero e ribelle, con tutta la grande montagna come rifugio».

Può apparire un paradosso, ma fu allora, nel punto permolti aspetti più basso della nostra storia, che si formò e se-lezionò una delle classi dirigenti migliori della nostra na-zione.

MARCO REVELLI

Il “vuoto istituzionale”, l’assenza di ogni autoritàrappresenta la condizione essenziale del nucleofondativo di ogni atto morale: la possibilitàdi decidere liberamente senza ordini né routine

Vuoto istituzionale

Un evento storico divenuto un modo di dire

COME UNA DATASI FA SIMBOLO

Ibambini che seguivano Carosello, e magari era pro-prio il Sessantotto, si rallegravano con «È arrivato Lan-cillotto / or succede un quarantotto». La considerava-no come una filastrocca, dove “un quarantotto” era

come le tre civette sul comò o la palla di pelle di pollo, o co-me certi altri numeri misteriosi (Quarantasette, morto cheparla; cento, la toilette; fino a «Centocinquanta, la gallinacanta», di cui fece giustizia Achille Campanile). Non si ave-va insomma alcuna idea su cosa si dovesse intendere perquel numero, e perché. Giunti verso la fine del liceo alle ri-volte parigine, a molti tornò in mente Lancillotto: ecco acosa si riferiva “un quarantotto”! Rivolta e caos, un anno ditotale bagarre.

Con “otto settembre” va al contrario: si capisce subitoche è una data, ma è più difficile cogliere il senso generaledell’allusione. Anche lì si parla di battaglie, confusione e“smarrimento” (è la parola più usata dagli storici a propo-sito del periodo che si aprì con l’8 settembre 1943). Ma sequella data ha costituito uno dei Luoghi della memoria ita-liani recensiti da Mario Isnenghi (Laterza, 1997) è per unmotivo ulteriore: oltre al caos e al collasso sistemico c’è in-fatti l’intrico illogico, il paradosso. Lo ha ben formulatouna volta Emilio Lussu: «la guerra ufficialmente era finita,mentre continuava».

Il processo linguistico che sgancia una data dalla storiae ne fa un’espressione comune è a sua volta complesso.Ogni giorno è unico e irripetibile, e così è stato anche l’8 set-tembre del 1943. Ma per certi giorni speciali una primaoperazione retorica porta a usare la data per nominare ifatti che l’hanno resa memorabile. Facile esempio, l’11 set-tembre. Soltanto un imbecille, o un giovanissimo, senten-do nominare l’11 settembre potrebbe infatti chiedere: «Diche anno?» Ogni anno c’è un undici settembre, ma l’Undi-ci settembre, maiuscolo e inteso come atto di guerra terro-ristica inatteso e di mostruosa entità, è solo e per eccellen-za (o per “antonomasia”) quello del 2001. Non è facile im-maginare la catastrofe che potrebbe farci dire: «è stato unundici settembre».

Lo sbandamento, l’incomprensibilità, l’abbandonodelle autorità regnanti e governanti, la minaccia dell’inva-sore hanno colorato con le tinte più fosche la data dell’8settembre 1943 e l’hanno resa emblema e sigillo storica-mente memorabile di una specialissima evenienza italia-na. L’8 settembre è diventato un’ “antonomasia”: comequando di un cauteloso si dice che è “un don Abbondio” odi un distruttore che è “un Attila” o di una débâcle che è“una Caporetto” (per restare tra le onte italiane).

L’8 settembre ha di diverso una certa ambiguità. I luoghicomuni che riguardano rispettivamente don Abbondio,Attila e Caporetto sono univoci e chiari a tutti. Ma cosa in-tendiamo, quando diciamo “Otto settembre”, intendendoper eccellenza quello del 1943? E cosa intendiamo quandoritorniamo alla minuscola e diciamo che una vicenda po-litica (nel genere di scioglimenti di partiti e di governi, riti-rate paurose, vuoti di governance) ha costituito “un ottosettembre”? Non si tratta però di un’ambiguità irresistibi-le. La stessa natura caotica dei fatti dell’estate del 1943 e ildurevole sforzo storiografico di travisarli hanno provato arendere opaca l’etichetta: “8 settembre”; essa nondimenorisulta chiarissima e inequivocabile per chi la sappia leg-gere: è il giorno che in Italia rappresenta l’eterna, perchésempre possibile e sempre imminente, irresponsabilitàdel Potere.

STEFANO BARTEZZAGHI

Oltre al caos e al collasso sistemico c’è anchel’intrico illogico, il paradosso, sintetizzatoalla perfezione da Emilio Lussu: “Il conflittoufficialmente era finito, mentre continuava”

Paradosso

SBANDOSopra, un soldato italiano l’8 settembre fala guardia di un blindato fuori usoSotto, il generale Castellano con Eisenhower

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