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CULTURA E MODELLI ORGANIZZATIVI DELL’IMPRESA COOPERTATIVA
Filippo BattagliaOrganizzazione Aziendale – Facoltà di Economia – Roma 3
1 INTRODUZIONE2 LA COOPERAZIONE IN ITALIA3 OGGETTO DELLA RICERCA
3.1 Le ipotesi 4 METODOLOGIA
4.1 Ciclo di vita dell’impresa cooperativa4.2 L’approccio teorico e la rappresentazione grafica4.3 I Casi di studio: l’esperienza organizzativa per fase e per settore
1 INTRODUZIONE
La cooperazione è spiegata dai suoi protagonisti dalla tendenza naturale degli uomini ad
associarsi allo scopo di affrontare e superare le difficoltà che incontrano per vivere, ed è
anche così che i manuali spiegano la nascita dell’organizzazione.
Le prime documentazioni sulla presenza di cooperative risalgono a Babilonia; in Italia
sappiamo con certezza che cooperative di muratori e portuali lavoravano ad Ostia
(Antica) prima di Cristo; lo sviluppo massimo comincia in Europa a metà
dell’Ottocento con l’intento di correggere squilibri che si creano all’interno
dell’economia di mercato. Gli obiettivi, gli utili economici e sociali di queste aziende, di
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volta in volta, riguardano le facilitazioni dell’ingresso nel mercato del lavoro, un miglior
posizionamento dei prodotti sul mercato, il godimento di servizi in qualità e quantità
superiori a quelli permessi dai normali meccanismi di mercato.
Oggi nei paesi dell’Unione Europea l’impresa cooperativa costituisce una parte
significativa dell’economia. Sono imprese che operano in diversi settori, anche in
posizioni di eccellenza: dalla grande distribuzione al credito, dall’agroalimentare
all’abitazione. Le cooperative contribuiscono alla produzione di ricchezza dell’Europa e
alla vivacità e all’articolazione pluralistica del mercato.
In questi paesi le cooperative contano 80 milioni di soci e danno lavoro a 3,5 milioni di
persone.
2 LA COOPERAZIONE IN ITALIA
Le cooperative in Italia rappresentano il 6,3 % del PIL , sono 85.000 di cui 40.398
aderenti alle principali organizzazioni rappresentative nazionali.
I soci sono 8.517.744. Nei settori consumo, costruzioni ed agroalimentare abbiamo oltre
l’80% dei soci e circa il 40 % degli addetti. Queste tre aree realizzano il 70 % del
fatturato e rappresentano l’80 % del patrimonio.
Come ci ricorda Marshall: "Alcuni movimenti hanno un elevato scopo sociale,
altri invece un fine economico; solamente le cooperative li hanno entrambi”, la società
cooperativa è una iniziativa economica a fine mutualistico che mira ad ottenere un
vantaggio per i soci, vantaggio che non è necessariamente monetizzabile dal punto di
vista patrimoniale e che è di volta in volta diverso in funzione delle tipologie di
cooperative ed è specificato dallo statuto che i cooperatori si danno. Si può andare dalla
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ricerca del posto di lavoro nelle cooperative di produzione e lavoro, fino
all’affermazione della dignità umana nelle cooperative sociali. Abbiamo così
cooperative:
- di distribuzione (tra dettaglianti - tra consumatori);
- di produzione e lavoro (edilizie - manifatturiere - progettazione);
- agroalimentari (per il conferimento - per la trasformazione);
- di abitazione;
- di servizi (tra cui le cooperative sociali);
- della pesca;
- di credito;
- miste.
Ultimamente, la varietà dell’universo cooperativo è cresciuta ancora con la legge n. 266
del 1997 che ha introdotto e regolamentato la piccola società cooperativa.
3 OGGETTO DELLA RICERCA
Il motivo che spinge i ricercatori ad uno studio su cultura e modelli organizzativi
dell’impresa cooperativa è dato dallo sviluppo dell’attività di formazione che coinvolge
quadri e dirigenti di queste imprese. Negli ultimi anni, infatti, la partecipazione di
questo personale alle attività offerte dal sistema formativo è andata via via aumentando,
di pari passo con l’aumentata complessità della gestione aziendale. Un bisogno, questo,
che sembra essere sentito in maniera particolare da aziende che sovente hanno avuto
storie gestionali diverse da quelle delle altre aziende e quindi hanno realizzato politiche
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di gestione e sviluppo delle risorse umane del tutto particolari e legate al particolare
rapporto esistente fra queste aziende ed i loro lavoratori.
Per quanto riguarda il “saper fare” molte imprese cooperative hanno imparato, come le
altre aziende dello stesso settore, ad utilizzare le opportunità presentate sul mercato
della formazione. Più complicata, più delicata, è invece, l’utilizzazione del livello
superiore di formazione, quello che mira al “saper essere”.
Per “saper essere” quadro o dirigente di una particolare azienda non basta studiare le
metodologie e le tecniche che si insegnano nelle attività di addestramento o nelle
business school. E’ necessaria un’immersione nella cultura della propria azienda:
metodologie e tecniche da manuale vanno studiate ed apprese attraverso il
coinvolgimento nella missione della propria organizzazione ed il consenso su strategie
ed obiettivi.
E’ per andare in questa direzione che sempre più spesso aziende cooperative
inseriscono nel curriculum formativo di quadri e dirigenti programmi di formazione
realizzati ad hoc, progettati e confezionati su misura per il sistema cooperativo.
Per lo stesso motivo anche alcune Università (fra cui Roma Tre) hanno introdotto nella
loro offerta formativa attività didattiche di diverso tipo dedicate all’esperienza
cooperativa.
Succede così che, per alimentare la didattica, anche sedi universitarie che
tradizionalmente non avevano mai studiato le esperienze cooperative hanno individuato
temi interessanti e importanti attività di ricerca, da quelle sul controllo di gestione a
quelle sull’organizzazione.
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3.1 Le ipotesi
Sull’organizzazione dell’impresa cooperativa, così come sulle altre sfaccettature
dell’esperienza aziendale, esiste una posizione che è diffusa in molti ambienti – dalla
Confindustria fino al Governo – che considera l’esperienza cooperativa come una
normale esperienza “for profit” coerente con l’economia di mercato. Da questa
posizione discende che il controllo di gestione, o l’organizzazione, di un’impresa
cooperativa devono trovare le loro soluzioni ‘normalmente’ come per qualsiasi impresa
‘normale’ che opera in questa economia capitalista. Se i manuali non sono in grado di
prescrivere la soluzione organizzativa migliore, vorrà dire che ogni singola azienda
dovrà mettere a punto quella soluzione in grado di permettere di ottimizzare l’uso delle
risorse, raggiungere gli obiettivi, realizzare le strategie, …, esattamente come devono
fare tutte le altre aziende.
L’ipotesi che sta a base di questa ricerca si fonda sulle ricerche sulle culture aziendali e
sostiene che il movimento cooperativo italiano ha elaborato un apparato culturale di
base specifico che caratterizza profondamente tutti gli aspetti della vita aziendale.
Quando il prodotto finale dell’impresa cooperativa appare analogo a quello della
corrispondente azienda capitalista è inevitabile pensare che anche il core business sia
sostanzialmente analogo. Ma non è così. Quel prodotto che sembra analogo è il risultato
di una processo di azioni che parte da una missione molto diversa. All’interno
dell’economia di mercato la missione che la comunità che dà vita all’impresa vuole
realizzare è più ampia di quella dell’impresa che sembra realizzare lo stesso prodotto. E’
più ampia e più ricca, cioè diversa, perché fondata sull’ideale mutualistico e sui valori
della solidarietà.
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La diversità parte dunque dalla missione e genera inevitabilmente conseguenze su tutta
la vita dell’azienda, anche se a molti il prodotto può sembrare analogo.Il modello
cooperativo richiede infatti un rapporto diverso con il cliente che deve essere messo in
grado di distinguere e apprezzare la diversità.
Da questa ipotesi discende che i soci imprenditori che hanno dato vita all’impresa
cooperativa (o che devono gestirla) realizzano un processo strategico che coincide solo
in parte con quello delle aziende che operano nello stesso settore e che quindi può
essere supportato solo in parte dalla letteratura o dalle best practices.
Un’impostazione strategica “diversa” sarà portata ad individuare un set di fattori critici
di successo piuttosto diverso da quello abituale, che presumibilmente richiederà un
assetto organizzativo particolare, fortemente caratterizzato e condizionato dalla
specificità ideologica e culturale che ha dato vita all’impresa.
Se questa impostazione è vera ne discende che le aziende cooperative hanno un modello
organizzativo che le caratterizza.
La ricerca si propone di rilevare se esiste un modello organizzativo specifico delle
aziende aderenti alla cooperazione italiana e quindi di confrontarlo con quello delle
aziende capitaliste. Se il risultato sarà positivo una seconda parte della ricerca prevede
di confrontare le esperienze organizzative rilevate con quelle delle altre aziende
cooperative europee.
Data la complessa articolazione dell’inserimento delle aziende cooperative nel sistema
economico italiano (come si è visto poco sopra) la ricerca segue questa articolazione
studiando le esperienze organizzative all’interno di una tipologia di situazioni che tiene
conto:
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Del tipo di cooperativa;
Dell’impostazione ideologica, politica, religiosa, culturale,.. che caratterizza la
proprietà;
Del settore;
Della dimensione;
Della collocazione territoriale;
Dell’articolazione in socio ordinario o socio sovventore introdotta dalla L.59/92.
Delle posizioni e delle relazioni di rete o di filiera che caratterizzano la cooperativa.
Se nonostante tutte queste sfaccettature e diversità di partenza la ricerca evidenzierà
omogeneità significative dal punto di vista organizzativo, è segno che la cultura della
cooperazione italiana influenza decisamente l’esperienza organizzativa delle aziende. E’
comunque più probabile che le somiglianze si riscontrino fra le aziende che condividono
la stessa matrice ideologica e culturale, (cioè appartenenti alla stessa Centrale), così
come fra quelle che appartengono allo stesso settore merceologico.
Dal dibattito politico ed economico che negli ultimi anni si è sviluppato intorno alla
condizione della cooperazione italiana è emerso come la situazione non sia così
dicotomica come potrebbe sembrare dalla indicazione delle due posizioni
precedentemente descritte. Le facilitazioni fiscali e le semplificazioni gestionali di cui
ha potuto godere la cooperazione grazie ai suoi fini di interesse più generale, che sono
addirittura protetti dalla Costituzione italiana, hanno fatto sì che in termini quantitativi
si sia determinato – in alcuni settori – un indebito sviluppo delle iniziative. Sono
iniziative non originate da una missione mutualistica e solidaristica, e quindi, fanno
parte della esperienza cooperativa italiana solo dal punto di vista formale. Su di esse
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non avrebbero senso le ipotesi della ricerca che, quindi, non si occupa di queste
iniziative, dando per scontato un inevitabile assorbimento di queste esperienze di
comodo all’interno dei settori ‘normali’.
Ragionamento analogo dovrebbe essere compiuto nei confronti di quelle cooperative
che hanno esaurito la spinta iniziale e si sono via via trasformate in aziende normali,
continuando però a godere di condizioni particolari. Tutto questo verrà approfondito,
come si vedrà più sotto, con l’approccio del ciclo di vita dell’organizzazione
cooperativa.
I risultati della ricerca potranno contribuire alla dibattuta e discussa riforma del diritto
cooperativo, fornendo indicazioni a quanti chiedono se sia corretto sottrarre la tutela
costituzionale e i benefici fiscali alle imprese cooperative di grandi dimensioni che
hanno gradualmente perso nella loro “vita” tratti caratteristici del movimento
cooperativo. Ovvero i risultati potranno mostrare se le grandi cooperative conservano la
propria identità e con essa le caratteristiche che la Costituzione Repubblicana, 53 anni
fa, ha inteso proteggere.
Se la ricerca fornirà risultati utili all’individuazione di una specificità di modelli
organizzativi per le aziende cooperative, potrà essere progettato un seguito dedicato
allo studio delle risorse umane chiamate a realizzare la missione con quei modelli
organizzativi. L’obiettivo sarebbe quello di verificare se a missione diversa dell’azienda
cooperativa corrisponde necessariamente non solo una organizzazione particolare ma
anche uno specifico ruolo di manager.
Anche in questa fase la ricerca studierà i casi aziendali analizzando il ruolo del
management nel ciclo di vita dell’impresa. Il punto di snodo di questo studio sarà infatti
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il passaggio dalla solidarietà meccanica, caratteristica dello start up, alla crescita
dimensionale, e quindi all’esigenza di consolidamento di una tecnostruttura
professionale.
4 METODOLOGIA
4.1 Ciclo di vita dell’impresa cooperativa
I primi passi della ricerca mostreranno come l’assetto organizzativo, la dotazione
culturale, i processi operativi e di governance impostati in fase di costituzione sembrano
mutare lungo la dimensione temporale e/o dimensionale: con la crescita della
dimensione, e/o della complessità strategica e operativa, lungo il ciclo di vita
dell’impresa sembrano osservabili trasformazioni comuni all’intero fenomeno
cooperativo, perlomeno a parità di settore industriale.
E’ nostro intento osservare empiricamente almeno un paio di imprese per settore e
verificare se l’approccio del ciclo di vita risulta significativo, cioè, emblematico di
quella tipologia di impresa cooperativa. Lungo la variabile temporale e/o dimensionale
dovremmo osservare movimenti omogenei delle dimensioni organizzative distintive del
fenomeno cooperativo. Verificheremo su un campione qualitativamente e
quantitativamente adeguato la correlazione tra “età” dell’organizzazione e intensità
delle variabili organizzative tipiche.
Dapprima si analizzeranno le imprese a parità di settore, per capire se tutte hanno
“vissuto” le stesse fasi. Successivamente, a parità di fase, osserveremo trasversalmente
l’intero campione per verificare la differenza dei cicli di ciascun settore.
Le Classificazioni in genere prevedono 4 fasi: Nascita; Sviluppo; Maturità; Declino.
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Alcuni lavori, nella prospettiva del cambiamento organizzativo (Greiner, 1972) (Quinn -
Cameron, 1983), parlano di 4 stadi (imprenditoriale; della collettività; della
formalizzazione; di elaborazione) e di tre possibili evoluzioni dell’ultima fase: Declino;
Maturità Continuata; Snellimento. Il tutto viene rappresentato su due dimensioni
mettendo in evidenza le fasi di transizione, crisi, e la necessità di cambiamento
organizzativo.
Altri, nell’ottica dell’approccio strategia - struttura (Rebora, 2001), schematizzano
evoluzione organizzativa e complessità, oppure rappresentano le opzioni organizzative e
le discontinuità ambientali in un grafico rassomigliante a un diagramma a flusso
(Scarpa, Fiorentini, 1998). Il concetto e la rappresentazione grafica del ciclo di vita è
molto utilizzato nel Marketing a proposito di prodotti e servizi. L’utilizzo in teoria
organizzativa per rappresentare la vita di un’impresa è meno diffuso ma comunque
presente.
L’approccio del ciclo di vita applicato alle imprese cooperative è stato utilizzato in
letteratura da Zan (Zan, 1982), Meister (Meister, 1971), Panati e Roncaccioli (Panati -
Roncaccioli, 1984), Carbognin e Masiero (Carbognin - Masiero, 1985), e altri.
4.2 L’approccio teorico e la rappresentazione grafica
Utilizzare l’approccio del ciclo di vita impone una semplificazione: classificare un certo
numero di fasi, dar loro un nome e costringere in queste caselle artificiali il nostro
campione di imprese. Le “fasi” del ciclo vengono impostate in letteratura sulla base di
differenti variabili e dimensioni del tipo: “autogestione”; democrazia interna;
“autosfruttamento”; “atmosfera” ideologico – culturale,...
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L’evoluzione di una dimensione organizzativa, o perlomeno dell’intensità con cui si
manifesta, provoca il movimento di almeno un’altra dimensione organizzativa.
Dobbiamo cioè osservare, comprendere e rappresentare più grandezze e la relazione di
trade off che le caratterizza.
Le principali dimensioni che vogliamo prendere in esame sono:
- specializzazione;
- efficienza;
- alienazione.
Si ipotizza che le variazioni che intervengono su queste dimensioni possano influire
direttamente su:
- democrazia;
- ideologia;
- autosfruttamento.
+/- Democrazia versus -/+ Specializzazione
L’esperienza imprenditoriale cooperativa nasce solitamente da un gruppo coeso di
persone che condividono fortemente una missione e un set culturale - ideologico.
L’organizzazione del lavoro è inizialmente caratterizzata da assenza di specializzazione.
Le decisioni sono condivise informalmente. Al crescere delle dimensioni e della
complessità ambientale il carattere democratico dei processi decisionali gradualmente si
trasformerebbe in gestione organica e specialistica.
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+/- Ideologia versus -/+ Efficienza
E’ osservabile una relazione analoga tra le dimensioni organizzative Ideologia ed
Efficienza. La prima è molto forte in fase di costituzione e avvio dell’esperienza
cooperativa. Potrebbe però perdere di intensità, ricchezza e condivisione col passare del
tempo, allorché l’organizzazione accoglie nuovi membri (non necessariamente
caratterizzati dallo stesso background culturale) oppure perdere la memoria storica dei
soci fondatori. La dimensione efficienza, invece, ha un andamento opposto. Cresce con
l’aumento della specializzazione, dell’organicità della struttura, della formalizzazione.
+/- Autosfruttamento versus -/+ Alienazione
La dimensione Autosfruttamento rappresenta lo sforzo, il sacrificio, il sovrappiù di
impegno che il socio ideologizzato è disposto a profondere nel lavoro. E’ un patrimonio
immateriale delle organizzazioni ideologiche o comunque caratterizzate da forte carica
culturale. Questa dimensione in genere sopperisce alla mancanza di efficienza organica
e permette di raggiungere buone performance a piccole e/o giovani cooperative.
L’alienazione è, ovviamente, bassissima nelle organizzazioni ideologiche. All’insorgere
di fenomeni di alienazione verrà meno la spinta all’autosfruttamento.
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fig. 1- Relazione tra alcune variabili organizzative
La figura 1 rappresenta schematicamente la differente relazione di alcune dimensioni
organizzative con la variabile tempo / dimensione / complessità.
L’esistenza di interazione tra le variabili, oltre che tra queste e il tempo, ci hanno
suggerito di impostare un modello di rappresentazione grafica a tre dimensioni.
fig. 2
La figura 2 cerca di evidenziare la correlazione esistente tra X e Z, tra Z e Y, e tra X e
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Y.
4.3 I Casi di studio: l’esperienza organizzativa per fase e per settore
La nostra indagine empirica potrà esplorare soltanto alcune delle molte aree
imprenditoriali coperte dall’esperienza cooperativa. Osserveremo i settori più importanti
e quelli più singolari del movimento. Nella filiera agroalimentare, le cooperative di
conferimento e quelle di trasformazione. Nel settore del credito l’esperienza della
finanza etica, quella del credito cooperativo e del microcredito. Tra le cooperative di
Produzione e Lavoro la cantieristica, la fonderia e i servizi High Technology. Nella
distribuzione osserveremo sia la cooperazione al consumo che quella tra dettaglianti.
Intervisteremo le figure chiave dell’organizzazione e osserveremo artefatti e prodotti
per trarne indicazioni sul patrimonio culturale organizzativo. Ricostruiremo la storia
delle aziende e della loro organizzazione, l’evoluzione delle strategie, dei processi, degli
organigrammi.
Rilevata l’esperienza organizzativa delle imprese cercheremo di schematizzarne gli
aspetti quantitativi e qualitativi. Con l’ausilio di tabelle e del modello grafico di ciclo di
vita dovrebbe essere agevole un rapido confronto intra - infra settoriale.
L’osservazione dei cicli di vita che riusciremo a “rappresentare” si presterà a due ordini
di considerazioni:
1) quali che siano le direzioni osservate, movimenti e periodi omogenei proveranno
la particolarità del fenomeno cooperativo. Da qui si dovrà partire per ulteriori
considerazioni sulla generalità del movimento, alla ricerca di tratti comuni esistenti
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nonostante la diversità di età, settore, area;
2) ci si dovrà interrogare se l’eventuale diluizione nel tempo delle peculiarità
cooperative rappresenti un degrado, una patologia, o invece non si tratti di una
ineluttabile e, forse, positiva forma di adeguamento alla realtà ambientale.
BIBLIOGRAFIA
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