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4. I FENOMENI SISMICI Dal XVIII secolo ad oggi la sismologia ha compiuto un lungo percorso, che da un lato ha permesso di inquadrare i fenomeni sismici nell’ambito di un processo di continua evoluzione del nostro pianeta, dall’altro ha consentito di ottenere preziose informazioni sulla struttura interna della Terra. Inoltre, fornendo chiavi di comprensione e, in qualche misura, di previsione su questo tipo di fenomeni, la sismologia è divenuta uno strumento di difesa dal rischio sismico: obiettivo, questo, di estrema importanza, visti gli sconvolgimenti che tali eventi possono determinare nelle società umane. 1) ORIGINE DEI TERREMOTI Contrariamente alla nostra percezione, i terremoti sono eventi tutt’altro che sporadici: la possibilità di effettuare registrazioni strumentali ha permesso di evidenziare come nel nostro pianeta i sismi si verifichino con una frequenza pari ad uno ogni trenta secondi. Fortunatamente solo pochi di questi sono percepiti dall’uomo e una parte ancora minore ha intensità sufficiente a causare danni. Un sisma (termine derivante dal greco seism s, «scossa») consiste in uno scuotimento del terreno che può durare da pochi secondi a qualche minuto, dovuto all’improvvisa liberazione di energia meccanica in qualche punto all’interno della Terra. L’interpretazione di questo fenomeno si deve a H.F. Reid, che, dopo il terremoto di San Francisco del 1906, in base a una serie di rilevazioni fatte sul territorio, elaborò la cosiddetta teoria del rimbalzo elastico. Dai suoi studi Reid concluse che le rocce, sottoposte a sforzo da movimenti in atto all’interno del pianeta, in un primo momento si comportano in modo elastico, deformandosi in misura proporzionale allo sforzo. Raggiunto il limite di rottura, al loro interno si origina una lacerazione e viene a generarsi una faglia lungo la quale i blocchi di roccia possono muoversi uno rispetto all’altro. A questo punto la roccia riacquista repentinamente la sua forma iniziale, liberando l’energia accumulata sotto forma di energia meccanica. Questa si propaga in tutte le direzioni sotto forma di vibrazioni elastiche (onde sismiche) e sotto forma di calore, che si sviluppa nell’attrito tra le due masse rocciose lungo il piano di faglia. Il punto in cui si innesca la lacerazione e da cui si libera l’energia è detto ipocentro del sisma e si trova all’interno della crosta terrestre, mentre il punto sulla superficie terrestre individuato dalla verticale passante per l’ipocentro è detto epicentro del sisma (fig. 1). Se il sisma ha luogo in corrispondenza di una faglia già esistente, come avvenne nel caso del terremoto di San Francisco, è l’attrito tra i due blocchi di roccia ad impedire il movimento e a determinare l’accumulo di energia meccanica; quando questa diviene superiore alla forza di attrito, la faglia si «riattiva» e può verificarsi un nuovo evento sismico. Una volta liberata l’energia, si giunge a un nuovo stato di equilibrio e, se persistono le forze tettoniche che hanno provocato il sisma, le rocce ricominciano ad accumulare energia, fino al raggiungimento di un nuovo limite e al verificarsi di un nuovo evento sismico. Tutto ciò ha aperto la strada al concetto di ciclo sismico, che può essere suddiviso in più stadi: stadio intersismico, in cui ha luogo l’accumulo di energia; stadio presismico, nel quale le rocce subiscono una progressiva deformazione e manifestano significative variazioni delle proprietà fisiche, utilizzabili come fenomeni premonitori del sisma; stadio cosismico, in cui l’energia accumulata viene liberata; stadio postsismico, nel quale, attraverso una serie di scosse di assestamento, la regione giunge a un nuovo stato di equilibrio, da cui il ciclo ricomincia.

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4. I FENOMENI SISMICI Dal XVIII secolo ad oggi la sismologia ha compiuto un lungo percorso, che da un lato ha permesso di inquadrare i fenomeni sismici nell’ambito di un processo di continua evoluzione del nostro pianeta, dall’altro ha consentito di ottenere preziose informazioni sulla struttura interna della Terra. Inoltre, fornendo chiavi di comprensione e, in qualche misura, di previsione su questo tipo di fenomeni, la sismologia è divenuta uno strumento di difesa dal rischio sismico: obiettivo, questo, di estrema importanza, visti gli sconvolgimenti che tali eventi possono determinare nelle società umane. 1) ORIGINE DEI TERREMOTI Contrariamente alla nostra percezione, i terremoti sono eventi tutt’altro che sporadici: la possibilità di effettuare registrazioni strumentali ha permesso di evidenziare come nel nostro pianeta i sismi si verifichino con una frequenza pari ad uno ogni trenta secondi. Fortunatamente solo pochi di questi sono percepiti dall’uomo e una parte ancora minore ha intensità sufficiente a causare danni. Un sisma (termine derivante dal greco seism s, «scossa») consiste in uno scuotimento del terreno che può durare da pochi secondi a qualche minuto, dovuto all’improvvisa liberazione di energia meccanica in qualche punto all’interno della Terra. L’interpretazione di questo fenomeno si deve a H.F. Reid, che, dopo il terremoto di San Francisco del 1906, in base a una serie di rilevazioni fatte sul territorio, elaborò la cosiddetta teoria del rimbalzo elastico. Dai suoi studi Reid concluse che le rocce, sottoposte a sforzo da movimenti in atto all’interno del pianeta, in un primo momento si comportano in modo elastico, deformandosi in misura proporzionale allo sforzo. Raggiunto il limite di rottura, al loro interno si origina una lacerazione e viene a generarsi una faglia lungo la quale i blocchi di roccia possono muoversi uno rispetto all’altro. A questo punto la roccia riacquista repentinamente la sua forma iniziale, liberando l’energia accumulata sotto forma di energia meccanica. Questa si propaga in tutte le direzioni sotto forma di vibrazioni elastiche (onde sismiche) e sotto forma di calore, che si sviluppa nell’attrito tra le due masse rocciose lungo il piano di faglia. Il punto in cui si innesca la lacerazione e da cui si libera l’energia è detto ipocentro del sisma e si trova all’interno della crosta terrestre, mentre il punto sulla superficie terrestre individuato dalla verticale passante per l’ipocentro è detto epicentro del sisma (fig. 1). Se il sisma ha luogo in corrispondenza di una faglia già esistente, come avvenne nel caso del terremoto di San Francisco, è l’attrito tra i due blocchi di roccia ad impedire il movimento e a determinare l’accumulo di energia meccanica; quando questa diviene superiore alla forza di attrito, la faglia si «riattiva» e può verificarsi un nuovo evento sismico.

Una volta liberata l’energia, si giunge a un nuovo stato di equilibrio e, se persistono le forze tettoniche che hanno provocato il sisma, le rocce ricominciano ad accumulare energia, fino al raggiungimento di un nuovo limite e al verificarsi di un nuovo evento sismico. Tutto ciò ha aperto la strada al concetto di ciclo sismico, che può essere suddiviso in più stadi: • stadio intersismico, in cui ha luogo l’accumulo di energia; • stadio presismico, nel quale le rocce subiscono una progressiva deformazione e manifestano significative variazioni delle proprietà fisiche, utilizzabili come fenomeni premonitori del sisma; • stadio cosismico, in cui l’energia accumulata viene liberata; • stadio postsismico, nel quale, attraverso una serie di scosse di assestamento, la regione giunge a un nuovo stato di equilibrio, da cui il ciclo ricomincia.

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La nozione di «ciclo sismico» è di notevole importanza per la previsione dei fenomeni sismici, poiché la registrazione dei tempi di ricorrenza dei terremoti in una certa regione può dare un’indicazione sulla probabilità che si verifichi un nuovo evento sismico. 2) REGISTRAZIONE DELLE ONDE SISMICHE La diffusione delle registrazioni strumentali ha costituito una svolta nella sismologia, consentendo da un lato l’acquisizione di una migliore conoscenza dei fenomeni sismici e la raccolta di innumerevoli dati, dall’altro l’identificazione di diversi tipi di onde sismiche che hanno fornito una sorta di radiografia del pianeta e hanno permesso di elaborare un modello della sua struttura interna. L’energia meccanica liberata dal sisma si propaga a partire dall’ipocentro in tutte le direzioni sotto forma di onde sismiche, ossia vibrazioni elastiche che si trasmettono da una particella a quella contigua attraversando l’intero pianeta. Nel loro percorso esse subiscono, al pari delle onde luminose, fenomeni di rifrazione e riflessione, cosicché nella zona vicina all’epicentro giungono contemporaneamente numerose onde che danno luogo a violente e complesse vibrazioni. Nelle zone più lontane dall’epicentro, invece, è possibile distinguere i diversi tipi di onde sismiche poiché, in virtù della loro diversa velocità di propagazione, queste giungono in tempi diversi. In tal modo è stato possibile identificare tre diversi tipi di onde: di compressione, trasversali e superficiali (fig. 2).

Le onde di compressione, dette anche onde longitudinali o onde P, sono prodotte da oscillazioni delle particelle nella direzione di propagazione dell’onda. Sono legate a variazioni di volume della roccia che si comprime e si dilata alternativamente e vengono dette «onde P» perché sono le più veloci e si registrano per prime. Hanno la caratteristica di propagarsi all’interno sia dei solidi che dei fluidi: possono quindi attraversare le rocce, i magmi, l’acqua e si propagano anche nell’aria. Il boato che talvolta annuncia l’inizio di un terremoto si deve all’oscillazione delle particelle d’aria provocata proprio dall’arrivo in superficie delle onde P. Le onde trasversali o di taglio, dette anche onde S perché vengono registrate per seconde, sono prodotte dallo scivolamento delle masse rocciose lungo il piano di faglia e determinano l’oscillazione delle particelle in un piano perpendicolare rispetto alla direzione di propagazione dell’onda. Tali onde, che provocano nella roccia variazioni di forma ma non di volume, possono propagarsi unicamente nei solidi, nei quali ogni particella trascina quella contigua nel proprio movimento. Nei fluidi, in cui le particelle non sono rigidamente vincolate le une alle altre, il trascinamento non può avvenire e quindi le onde S si smorzano rapidamente; al contrario, le onde P possono propagarsi (anche se più lentamente che nei solidi), poiché in questo caso ogni particella spinge la contigua. Le onde superficiali, infine, prendono origine dall’arrivo in superficie delle onde interne (P ed S). Si propagano dall’epicentro lungo la superficie e costituiscono onde più lente e più lunghe rispetto a quelle interne, ma possono percorrere lunghe distanze.

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Tra queste vi sono le onde di Rayleigh, dette onde R, in cui le particelle descrivono orbite ellittiche in un piano verticale lungo la direzione di propagazione, e le onde di Love, dette onde L, in cui le particelle oscillano orizzontalmente, in una direzione ortogonale a quella di propagazione dell’onda. In fig. 3 è mostrato un esempio di sismogramma in cui vengono evidenziati i tempi di arrivo delle onde P, S, L. Dal confronto dei tracciati, raccolti in stazioni diverse per uno stesso sisma, si può risalire a un gran numero di informazioni, come l’ipocentro e l’epicentro del sisma, la potenza e la durata del terremoto, l’orientamento e l’estensione della faglia, la direzione e l’ampiezza del movimento verificatosi.

In base alla profondità dell’ipocentro i sismi possono essere distinti in: superficiali (con ipocentro tra 0 e 70 km), intermedi (con ipocentro tra 70 e 300 km), profondi (con ipocentro oltre i 300 km). I dati raccolti in tutto il mondo hanno permesso di stabilire che il 75% dell’energia liberata dai sismi si deve a terremoti superficiali, il 22% a terremoti intermedi, il 3% a terremoti profondi.

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3) INTENSITÀ E MAGNITUDO Prima che si diffondessero i sismografi la valutazione della forza di un terremoto veniva effettuata in base agli effetti prodotti sul territorio, cioè attraverso i cosiddetti dati macrosismici. Nel tempo sono poi state costruite diverse scale di intensità e quella attualmente più utilizzata in Europa e in America è la Scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg), divisa in dodici gradi di intensità, a ciascuno dei quali corrisponde un insieme di effetti osservati.

SCALA MERCALLI

Grado Tipo di scossa I Strumentale: non avvertito. II Leggerissima: avvertito solo da poche persone in quiete; gli oggetti

sospesi esilmente possono oscillare. III Leggera: avvertito notevolmente da persone al chiuso, specie ai piani

alti degli edifici; automobili ferme possono oscillare lievemente. IV Mediocre: avvertito da molti all’interno di un edificio in ore diurne,

all’aperto da pochi; di notte alcuni vengono destati; automobili ferme oscillano notevolmente.

V Forte: avvertito praticamente da tutti, molti destati nel sonno; crepe nei rivestimenti, oggetti rovesciati; a volte scuotimento di alberi e pali.

VI Molto forte: avvertito da tutti, molti spaventati corrono all’aperto; spostamento di mobili pesanti, caduta di intonaco e danni ai comignoli; danni lievi.

VII Fortissima: tutti fuggono all’aperto; danni trascurabili a edifici di buona progettazione e costruzione, da lievi a moderati per strutture ordinarie ben costruite; avvertito da persone alla guida di automobili.

VIII Rovinosa: danni lievi a strutture antisismiche; crolli parziali in edifici ordinari; caduta di ciminiere, monumenti, colonne; ribaltamento di mobili pesanti; variazioni dell’acqua dei pozzi.

IX Disastrosa: danni a strutture antisismiche; perdita di verticalità a strutture portanti ben progettate; edifici spostati rispetto alle fondazioni; fessurazione del suolo; rottura di cavi sotterranei.

X Disastrosissima: distruzione della maggior parte delle strutture in muratura; notevole fessurazione del suolo; rotaie piegate; frane notevoli in argini fluviali o ripidi pendii.

XI Catastrofica: poche strutture in muratura rimangono in piedi; distruzione di ponti; ampie fessure nel terreno; condutture sotterranee fuori uso; sprofondamenti e slittamenti del terreno in suoli molli.

XII Grande catastrofe: danneggiamento totale; onde sulla superficie del suolo; distorsione delle linee di vista e di livello; oggetti lanciati in aria.

La raccolta dei dati macrosismici avviene attraverso la compilazione di appositi questionari in tutte le aree in cui il terremoto è stato percepito. Riportando in una carta i valori delle intensità assegnate nelle singole località è possibile tracciare delle curve, dette isosisme, che congiungono i punti in cui il sisma è stato percepito con uguale intensità. Le isosisme sono curve chiuse intorno all’epicentro del sisma, la più esterna delle quali rappresenta il limite al di fuori del quale il sisma non è stato avvertito, mentre le curve più interne racchiudono aree in cui il sisma è stato percepito con intensità progressivamente maggiore. La più interna individua l’area dell’epicentro e spesso accade che l’epicentro macrosismico non coincida con l’epicentro strumentale. Va sottolineato, infatti, che se il terreno intorno all’epicentro fosse omogeneo, le isosisme dovrebbero assumere l’andamento di circonferenze concentriche. In realtà il più delle volte queste si presentano come curve ellittiche o lobate, più fitte in alcuni punti, più rade in altri, segno che nel sottosuolo si trovano formazioni geologiche diverse, dotate di forma analoga a quella delle isosisme, all’interno delle quali le onde sismiche si propagano con velocità differenti e quindi vanno incontro a uno smorzamento più o meno rapido. Si comprende, dunque, come le rilevazioni macrosismiche costituiscano un potente strumento di indagine geologica e come la diffusione delle registrazioni strumentali non abbia sostituito la rilevazione macrosismica, in quanto le informazioni ottenibili nei due casi sono diverse e complementari tra loro. Nel 1935 il sismologo statunitense C.F. Richter propose di misurare la forza di un terremoto in base alla massima ampiezza delle oscillazioni registrate sul sismogramma. Si osserva, infatti, che per due terremoti distinti, aventi uguale epicentro, il rapporto tra le massime ampiezze delle oscillazioni registrate nei sismogrammi delle diverse stazioni di rilevamento rimane costante, per cui la massima ampiezza delle oscillazioni può costituire una misura della forza del terremoto.

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Richter definì magnitudo M di un terremoto il logaritmo in base 10 del rapporto esistente tra l’ampiezza massima A delle oscillazioni prodotte dal terremoto e l’ampiezza A0 della massima oscillazione che verrebbe prodotta da un terremoto standard alla stessa distanza dall’epicentro. Definì, inoltre, «terremoto standard» un sisma che produce su un sismografo standard a 100 km dall’epicentro un’oscillazione massima di 0,001 mm:

M = log (A/A0) L’utilizzo della scala logaritmica permette di esprimere la magnitudo attraverso numeri piccoli. Infatti, la massima ampiezza registrata per un sisma può arrivare anche a un miliardo di volte quella del terremoto standard. Inoltre, con l’ausilio di strumenti sempre più sofisticati è stato possibile rilevare anche terremoti con magnitudo negativa (-2 o 3), in cui la massima ampiezza è 100 o 1.000 volte inferiore a quella del terremoto standard. La magnitudo è correlabile all’energia liberata dal terremoto attraverso relazioni empiriche, valide per aree geografiche circoscritte. Per l’Italia, in particolare, tra l’energia espressa in Erg e la magnitudo si ha la relazione:

log E = 9,15 + 2,15M

È bene precisare che tra intensità e magnitudo non esiste una correlazione semplice: accade spesso, infatti, che sismi con differente magnitudo si manifestino con uguale intensità, o viceversa. Ciò deriva dal fatto che la magnitudo è una misura oggettiva e indipendente dal luogo di registrazione, mentre a parità di magnitudo l’intensità può cambiare notevolmente a seconda della distanza dall’epicentro, delle caratteristiche geologiche della regione, della profondità dell’ipocentro. Come per l’energia liberata, anche per l’intensità possono ricavarsi relazioni empiriche con la magnitudo, valide per una certa regione e per terremoti di profondità simile. 4) EFFETTI DEI TERREMOTI L’entità dei danni provocati da un sisma può variare notevolmente a seconda della forza e della durata del terremoto: generalmente le scosse sono di breve durata, ma quando si prolungano o si ripetono a distanza ravvicinata con intensità simile, investendo strutture già indebolite, possono provocare danni maggiori. Grande importanza riveste ovviamente la tipologia delle costruzioni e la natura geologica del territorio: ingenti danni possono essere provocati dalla costipazione di sedimenti incoerenti, dalla perdita di consistenza del terreno (liquefazione), dall’amplificazione delle onde sismiche che si verifica nel passaggio da rocce rigide a sedimenti non consolidati. I sismi sono in grado di causare anche deformazioni permanenti del territorio, come la formazione di faglie che possono arrivare ad emergere in superficie o rimanere confinate in profondità e manifestarsi in superficie come deformazioni regionali. Il movimento di una faglia può comportare sollevamenti, subsidenze o dislocazioni orizzontali variabili da pochi centimetri fino a diversi metri: in seguito al terremoto di San Francisco del 1906 le dislocazioni rilevate presso la faglia di San Andreas arrivarono fino a 6 metri. Quando l’epicentro del sisma si trova in mare o in aree costiere è possibile che si verifichino maremoti, indicati in campo internazionale col termine giapponese tsunami. In questi casi il movimento associato alla faglia può generare un’onda nella massa d’acqua sovrastante che procede a gran velocità (da 500 a 1.000 km/h) e che, avvicinandosi alle coste, col diminuire della profondità delle acque, cresce enormemente in altezza e si abbatte sul litorale con effetti devastanti. 5) DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI TERREMOTI Come osservato per i fenomeni vulcanici, anche i terremoti mostrano una distribuzione geografica non omogenea, evidenziando l’esistenza di aree dette sismiche, in cui si localizzano gli epicentri dei terremoti, ed aree asismiche, in cui possono risentirsi gli effetti dei sismi, ma non si originano mai terremoti. Dalla fig. 4 si evince che le fasce sismiche della Terra coincidono con il decorso delle dorsali oceaniche, dove la sismicità è poco intensa e con ipocentri superficiali, con le catene montuose di formazione recente, in cui la sismicità è più intensa, con ipocentri fino a 100 km di profondità, e con le fosse oceaniche, dove la sismicità è molto più intensa e libera circa l’80% dell’energia totale sprigionata dai sismi nel nostro pianeta.

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Presso le fosse oceaniche gli ipocentri dei sismi vanno da superficiali a molto profondi e sono distribuiti su superfici ideali che si immergono nella crosta terrestre fino a 700 km di profondità: tali superfici sono dette superfici di Benioff (fig. 5), dal nome del sismologo Hugo Benioff che le evidenziò per primo.

Vi sono, infine, fenomeni sismici associati alle eruzioni vulcaniche, ossia piccole scosse legate alla risalita dei magmi: questi tremori vulcanici, infatti, vengono monitorati come segni premonitori delle eruzioni.