4 allestimentie un progetto architettonico

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Progetto architettonico per una scuola elementare febbraio - luglio 2003 Allestimento espositivo per una mostra sul periodo parigino di Vasilij Kandinskij marzo - aprile 2003 Allestimento urbano per l'installazione di un internet point temporaneo nella piazzetta di Santa Felicita a Firenze febbraio - aprile 2004 Allestimento urbano per la riqualificazione di piazza Garibaldi a Lastra a Signa (Firenze) “Davvero una piazza”: Concorso di idee a livello nazionale per la sistemazione e riqualificazione complessiva della piazza Garibaldi a Lastra a Signa maggio - settembre 2004 Allestimento scenico per la realizzazione del cortometraggio “Disegni milanesi” settembre 2003 - novembre 2004 4 allestimenti e un progetto architettonico Marco Ferrara, lavori 2003 - 2004

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Marco Ferrara, lavori 2003 - 2004

Transcript of 4 allestimentie un progetto architettonico

Progetto architettonico per una scuola elementarefebbraio - luglio 2003

Allestimento espositivo per una mostra sul periodo parigino di Vasilij Kandinskij

marzo - aprile 2003

Allestimento urbano per l'installazione di un internet point temporaneo nella piazzetta di Santa Felicita a Firenze

febbraio - aprile 2004

Allestimento urbano per la riqualificazione di piazza Garibaldi a Lastra a Signa (Firenze)

“Davvero una piazza”: Concorso di idee a livello nazionale per la sistemazione e

riqualificazione complessiva della piazza Garibaldi a Lastra a Signa

maggio - settembre 2004

Allestimento scenico per la realizzazione del cortometraggio “Disegni milanesi”

settembre 2003 - novembre 2004

4 allestimentie un progetto architettonicoMarco Ferrara, lavori 2003 - 2004

La progettazione di una scuola

elementare (su una struttura in-

telaiata assegnata) è, come ogni

progetto, l'occasione di una ve-

rifica linguistica.

La ricerca di una soluzione

semplice, facilmente individua-

bile nell'uso di geometre nette,

pulite, si risolve in un disegno

degli spazi interni chiaro, carte-

siano. L'utilizzo rigoroso di una

maglia modulare fa, di ogni ele-

mento, un elemento misurabile

riconducibile ad un valore noto,

ad un numero finito.

La progettazione di una scuola

elementare può anche essere,

come ogni progetto, l'occasione

di una verifica metodologica.

viene in cantiere, poggia su altri

elementi, su altri strati cartacei.

Il disegno, il principale stru-

mento di progettazione, diventa

allora modello costruttivo, in

cui ogni elemento (un telaio in

calcestruzzo armato, una pavi-

mentazione, una serie di infissi,

un tramezzo) é depositato su

uno strato cartaceo e, come av-

É il modello dei layers, del di-

segno informatico vettoriale, da

cui il metodo compositivo mu-

tua concetti e tecniche.

Ma il disegno deve anche rap-

presentare la realtà affinché lo

spazio sia percepibile corretta-

mente e, ad esso, ci si possa ri-

ferire nella stessa progettazione.

Il segno manuale diviene, allo-

ra, il tramite per comunicare

questo senso del reale. Si tratta,

in pratica, di attuare un alter-

nanza tra mouse e matita che

consenta di sfruttare la potenza

e la rapidità del computer e, nel

contempo, di ottenere una rap-

presentazione spaziale non rea-

listica ma mentalmente tattile.

Inoltre, chinati sul foglio di

carta, a curare una sfumatura tra

un bianco e un'altro bianco, si

riesce a fare qualcosa che solita-

mente non avviene di fronte ad

un monitor: si pensa.

Pro

gett

o ar

chit

etto

nic

o p

er u

na

scu

ola

elem

enta

refe

bbra

io -

lug

lio

2003

La progettazione di una scuola

elementare (su una struttura in-

telaiata assegnata) è, come ogni

progetto, l'occasione di una ve-

rifica linguistica.

La ricerca di una soluzione

semplice, facilmente individua-

bile nell'uso di geometre nette,

pulite, si risolve in un disegno

degli spazi interni chiaro, carte-

siano. L'utilizzo rigoroso di una

maglia modulare fa, di ogni ele-

mento, un elemento misurabile

riconducibile ad un valore noto,

ad un numero finito.

La progettazione di una scuola

elementare può anche essere,

come ogni progetto, l'occasione

di una verifica metodologica.

viene in cantiere, poggia su altri

elementi, su altri strati cartacei.

Il disegno, il principale stru-

mento di progettazione, diventa

allora modello costruttivo, in

cui ogni elemento (un telaio in

calcestruzzo armato, una pavi-

mentazione, una serie di infissi,

un tramezzo) é depositato su

uno strato cartaceo e, come av-

É il modello dei layers, del di-

segno informatico vettoriale, da

cui il metodo compositivo mu-

tua concetti e tecniche.

Ma il disegno deve anche rap-

presentare la realtà affinché lo

spazio sia percepibile corretta-

mente e, ad esso, ci si possa ri-

ferire nella stessa progettazione.

Il segno manuale diviene, allo-

ra, il tramite per comunicare

questo senso del reale. Si tratta,

in pratica, di attuare un alter-

nanza tra mouse e matita che

consenta di sfruttare la potenza

e la rapidità del computer e, nel

contempo, di ottenere una rap-

presentazione spaziale non rea-

listica ma mentalmente tattile.

Inoltre, chinati sul foglio di

carta, a curare una sfumatura tra

un bianco e un'altro bianco, si

riesce a fare qualcosa che solita-

mente non avviene di fronte ad

un monitor: si pensa.

Pro

gett

o ar

chit

etto

nic

o p

er u

na

scu

ola

elem

enta

refe

bbra

io -

lug

lio

2003

Il tema del progetto è un allestimento

all'interno della stazione Leopolda a Fi-

renze.

L'esposizione riguarda l'ultimo periodo

della produzione pittorica di Vasilij Kan-

dinskij.

Il pittore russo viveva, allora, a Neuil-

ly-sur-Seine, nei pressi di Parigi, mentre

le truppe naziste occupavano la capitale

francese. Nelle tele dell'artista si avverte

un sentimento di rifiuto nei confronti

della drammatica situazione storica che

si traduce nella reinvenzione di mondi

nuovi, creature fantastiche e vivaci, navi,

animali, elementi organici irreali e colo-

rati, un vero e proprio universo ricreato.

Per raccontare tale universo si è fatto ricorso ad

un approccio meno legato ad una pratica stretta-

mente museografica: l'allestimento può essere ri-

compreso, piuttosto, nell'ambito della scenogra-

fia, della rappresenta-

zione teatrale e allego-

rica.

Gli elementi pittorici

kandinskijani sono stati

estrapolati, isolati dal

contesto, liberamente

trasformati. Una mani-

polazione deliberata,

forse poco rispettosa delle opere originarie, ma

dettata da una volontà di ricerca, di sperimenta-

zione linguistica e metodologica. Un gioco teso a

trovare ulteriori possibilità comunicative.

L'uso delle tecnologie digitali ha consentito di

mantenere questa prima fase di editing facile, leg-

gera e immediata, come l'idea che l'ha generata.

Successivamente le

immagini, fatte di pixel

impalpabili, sono dive-

nute "materia": carta,

cartone, inchiostro. La

tecnologia informatica

è messa al servizio di

una creatività non vin-

colabile all'esattezza

numerica. L'uso del

computer è posto a monte del processo creativo a

controllo del prodotto, ma è la manualità a garan-

tire la fondamentale libertà dell'imprecisione,

dell'approssimazione, dell'aggiustamento.

La realizzazione fina-

le prevede l'uso dei

materiali canonici della

scenografia tradiziona-

le: tela, cartapesta, ar-

gani che cigolano, im-

palcati echeggianti,

collanti che profumano

a completare una sug-

gestione sensoriale ben

più ampia di quella

unicamente audiovisi-

va.

in queste pagine:alcune foto del progetto di

allestimento espositivo.La progettazione è avvenuta

attraverso la realizzazione di un plastico in scala.

nella prima pagina:alcune tele di Vasilij Kandinskij

risalenti al periodo parigino, tema dell'allestimento.A

lles

tim

ento

esp

osit

ivo

per

un

a m

ostr

a su

l pe

riod

o pa

rigi

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di

Vas

ilij

Kan

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rile

200

3

Il tema del progetto è un allestimento

all'interno della stazione Leopolda a Fi-

renze.

L'esposizione riguarda l'ultimo periodo

della produzione pittorica di Vasilij Kan-

dinskij.

Il pittore russo viveva, allora, a Neuil-

ly-sur-Seine, nei pressi di Parigi, mentre

le truppe naziste occupavano la capitale

francese. Nelle tele dell'artista si avverte

un sentimento di rifiuto nei confronti

della drammatica situazione storica che

si traduce nella reinvenzione di mondi

nuovi, creature fantastiche e vivaci, navi,

animali, elementi organici irreali e colo-

rati, un vero e proprio universo ricreato.

Per raccontare tale universo si è fatto ricorso ad

un approccio meno legato ad una pratica stretta-

mente museografica: l'allestimento può essere ri-

compreso, piuttosto, nell'ambito della scenogra-

fia, della rappresenta-

zione teatrale e allego-

rica.

Gli elementi pittorici

kandinskijani sono stati

estrapolati, isolati dal

contesto, liberamente

trasformati. Una mani-

polazione deliberata,

forse poco rispettosa delle opere originarie, ma

dettata da una volontà di ricerca, di sperimenta-

zione linguistica e metodologica. Un gioco teso a

trovare ulteriori possibilità comunicative.

L'uso delle tecnologie digitali ha consentito di

mantenere questa prima fase di editing facile, leg-

gera e immediata, come l'idea che l'ha generata.

Successivamente le

immagini, fatte di pixel

impalpabili, sono dive-

nute "materia": carta,

cartone, inchiostro. La

tecnologia informatica

è messa al servizio di

una creatività non vin-

colabile all'esattezza

numerica. L'uso del

computer è posto a monte del processo creativo a

controllo del prodotto, ma è la manualità a garan-

tire la fondamentale libertà dell'imprecisione,

dell'approssimazione, dell'aggiustamento.

La realizzazione fina-

le prevede l'uso dei

materiali canonici della

scenografia tradiziona-

le: tela, cartapesta, ar-

gani che cigolano, im-

palcati echeggianti,

collanti che profumano

a completare una sug-

gestione sensoriale ben

più ampia di quella

unicamente audiovisi-

va.

in queste pagine:alcune foto del progetto di

allestimento espositivo.La progettazione è avvenuta

attraverso la realizzazione di un plastico in scala.

nella prima pagina:alcune tele di Vasilij Kandinskij

risalenti al periodo parigino, tema dell'allestimento.A

lles

tim

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L’architettura come praticabi-

le delle azioni umane.

Un insediamento di palafitte

costituisce lo spazio scenico. La

vita si svolge dentro, sotto, in-

torno, sopra. Le quinte urbane

sono fondale e ulteriore, più

grande, palcoscenico.

cosiddetti city users).

La macchina teatrale è svela-

ta, gli aspetti meccanici e tecni-

ci sono visibili e non predomi-

nanti. Se ne prevede un uso

familiare da parte degli attori (i

Il progetto lascia indefiniti al-

cuni aspetti. Si suggerisce

l’utilizzo di materiali poveri per

i tamponamenti (lamiera ondu-

lata, rete metallica, sughero,

cartone, compensato) ed even-

tualmente la campitura con co-

lori vivaci. Il disegno delle rin-

ghiere e delle scale potrà

avvalorare il senso

dell’operazione progettuale.

non lascia prevedere sviluppi

futuri. Io, comunque, immagino

la moltiplicazione abusiva delle

cellule, il loro adattamento ad

abitazione, panni stesi e fili che

corrono da un lato all’altro della

piazza, verande, comignoli e

antenne televisive, ponti e sca-

lette a congestionare definitiva-

mente lo spazio disponibile. E

poi, come fu per il piazzale de-

gli Uffizi e per piazza della Re-

La precarietà dell’intervento pubblica, verrà tutto demolito.

La lettura dei tracciati geometrici regolatori della piazzetta di Santa Felicita

parte dall’individuazione di una misura ordinatrice del-

la facciata architettonica-mente preponderante, ossia,

quella del corridoio vasa-riano.

La vecchia facciata della chiesa è riconducibile ad un

quadrato di 25 braccia su cui s’imposta la copertura a capriate. Lo spazio restante tra il fianco della chiesa e il lato nord della piazza misu-

ra 14 braccia.

metrica della facciata e del-la piazza attraverso una

successione ricorrente ba-sata sulla regola di Fibo-

nacci,

Dall’interpretazione di queste misure è possibile ri-leggere la costruzione geo-

u = u + un n-1 n-2in cui

u = 3 e u = 11.1 2La modulazione geome-

trica è pertanto commisura-ta alle

lunghezze: 3, 8 (11-3), 11, 14, 25, 39.

Il progetto insiste su un’area derivata dalla let-

tura dei tracciati regolatori individuati e sfrutta la mo-

dulazione geometrica quale regola dimensionale.

All

esti

men

to u

rban

o p

er l

'in

stal

lazi

one

di

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L’architettura come praticabi-

le delle azioni umane.

Un insediamento di palafitte

costituisce lo spazio scenico. La

vita si svolge dentro, sotto, in-

torno, sopra. Le quinte urbane

sono fondale e ulteriore, più

grande, palcoscenico.

cosiddetti city users).

La macchina teatrale è svela-

ta, gli aspetti meccanici e tecni-

ci sono visibili e non predomi-

nanti. Se ne prevede un uso

familiare da parte degli attori (i

Il progetto lascia indefiniti al-

cuni aspetti. Si suggerisce

l’utilizzo di materiali poveri per

i tamponamenti (lamiera ondu-

lata, rete metallica, sughero,

cartone, compensato) ed even-

tualmente la campitura con co-

lori vivaci. Il disegno delle rin-

ghiere e delle scale potrà

avvalorare il senso

dell’operazione progettuale.

non lascia prevedere sviluppi

futuri. Io, comunque, immagino

la moltiplicazione abusiva delle

cellule, il loro adattamento ad

abitazione, panni stesi e fili che

corrono da un lato all’altro della

piazza, verande, comignoli e

antenne televisive, ponti e sca-

lette a congestionare definitiva-

mente lo spazio disponibile. E

poi, come fu per il piazzale de-

gli Uffizi e per piazza della Re-

La precarietà dell’intervento pubblica, verrà tutto demolito.

La lettura dei tracciati geometrici regolatori della piazzetta di Santa Felicita

parte dall’individuazione di una misura ordinatrice del-

la facciata architettonica-mente preponderante, ossia,

quella del corridoio vasa-riano.

La vecchia facciata della chiesa è riconducibile ad un

quadrato di 25 braccia su cui s’imposta la copertura a capriate. Lo spazio restante tra il fianco della chiesa e il lato nord della piazza misu-

ra 14 braccia.

metrica della facciata e del-la piazza attraverso una

successione ricorrente ba-sata sulla regola di Fibo-

nacci,

Dall’interpretazione di queste misure è possibile ri-leggere la costruzione geo-

u = u + un n-1 n-2in cui

u = 3 e u = 11.1 2La modulazione geome-

trica è pertanto commisura-ta alle

lunghezze: 3, 8 (11-3), 11, 14, 25, 39.

Il progetto insiste su un’area derivata dalla let-

tura dei tracciati regolatori individuati e sfrutta la mo-

dulazione geometrica quale regola dimensionale.

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004

Piazza Garibaldi non è una piazza.

É, piuttosto, uno spazio di risulta compreso tra

l'ottocentesco fronte di Palazzo Baroncelli su via

dell'Arione, il lezioso prospetto dell' Arciconfra-

ternita della Misericordia, il retro di alcuni edifici

residenziali e il fianco mozzato dell'ex Ospedale

di Sant'Antonio.

Non a caso, dunque, il concorso di idee per la

sistemazione e riqualificazione di Piazza Garibal-

di a Lastra a signa (Firenze) è intitolato “Davvero

una piazza”, nella speranza che tale possa diveni-

re questo vuoto urbano situato in pieno centro

storico.

scita urbana autonomo, non predefinito e, almeno

in parte, casuale.

Il progetto consiste nel completamento del peri-

metro della piazza attraverso un processo di cre-

Un serie di edifici finti e anonimi rivolgono il

proprio retro sulla piazza, che, non più piazza, di-

venta cortile. Ovvero, un luogo privato, intimo,

personale. Uno spazio dove apparecchiare tavola-

te amicali, sbandierare linde lenzuola fresche di

bucato, organizzare oratoriali partite di pallone,

esibire tute stracolme di grasso in attività di ripa-

razione meccanica di bici e motociclette.

ferro, legno e pannelli leggeri ad accrescere il

senso di una precarietà coerente con la continua

trasformazione dell'organismo urbano.

Le finte case sono realizzate in

Progettata attraverso la realizzazione di un pla-

stico in scala, la nuova piazza risente notevol-

mente del carattere scenografico dell'allestimento.

Lo spazio urbano, teatro della vita cittadina,

predispone i palcoscenici dove inscenare il dram-

ma: la finzione è dichiarata, il linguaggio è reso

semplice e riconoscibile, la scena è povera,

rapidamente deteriorabile, pronta ad essere

smontata per la prossima rap-

presentazione.

All

esti

men

to u

rban

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2004

Piazza Garibaldi non è una piazza.

É, piuttosto, uno spazio di risulta compreso tra

l'ottocentesco fronte di Palazzo Baroncelli su via

dell'Arione, il lezioso prospetto dell' Arciconfra-

ternita della Misericordia, il retro di alcuni edifici

residenziali e il fianco mozzato dell'ex Ospedale

di Sant'Antonio.

Non a caso, dunque, il concorso di idee per la

sistemazione e riqualificazione di Piazza Garibal-

di a Lastra a signa (Firenze) è intitolato “Davvero

una piazza”, nella speranza che tale possa diveni-

re questo vuoto urbano situato in pieno centro

storico.

scita urbana autonomo, non predefinito e, almeno

in parte, casuale.

Il progetto consiste nel completamento del peri-

metro della piazza attraverso un processo di cre-

Un serie di edifici finti e anonimi rivolgono il

proprio retro sulla piazza, che, non più piazza, di-

venta cortile. Ovvero, un luogo privato, intimo,

personale. Uno spazio dove apparecchiare tavola-

te amicali, sbandierare linde lenzuola fresche di

bucato, organizzare oratoriali partite di pallone,

esibire tute stracolme di grasso in attività di ripa-

razione meccanica di bici e motociclette.

ferro, legno e pannelli leggeri ad accrescere il

senso di una precarietà coerente con la continua

trasformazione dell'organismo urbano.

Le finte case sono realizzate in

Progettata attraverso la realizzazione di un pla-

stico in scala, la nuova piazza risente notevol-

mente del carattere scenografico dell'allestimento.

Lo spazio urbano, teatro della vita cittadina,

predispone i palcoscenici dove inscenare il dram-

ma: la finzione è dichiarata, il linguaggio è reso

semplice e riconoscibile, la scena è povera,

rapidamente deteriorabile, pronta ad essere

smontata per la prossima rap-

presentazione.

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2004

"Costruimmo noi stessi dei riflettori di ferro

bianchi e dei reostati adeguati. La corrente era

fornita da una dinamo azionata da un motore

prelevato da un'automobile farman che aveva

avuto un incidente. Il laboratorio di sviluppo fu

collocato nella cucina di Raleigh, che si era

costruito da sé le vasche di legno e le intelaiatu-

re. Per i piani d'insieme montavamo gli scenari

sul palcoscenico del Vieux Colombier. Il risultato

fu La Petite Marchande d' Allumettes[...]"

(Jean Renoir, La mia vita, i miei film, Marsilio,

Venezia 1992, p. 57)

Scenografie di cartoneUn approccio sperimentale al gioco della messa in scena

Università degli Studi di Firenze

Facoltà di Architettura

Progettazione dell'architettura

a.a. 2003-2004

Relatore: Prof. Giulio Mezzetti

Correlatore: Dott. Vincenzo Valentini

Tesi di laurea di Marco Ferrara

- Mario Sironi, Il mito dell'architettura, Mazzotta, Padiglione

d'Arte Contemporanea di Milano 19 settembre - 4 novembre 1990

- Mario Sironi 1885-1961, Galleria Nazionale d'Arte Moderna,

Roma 9 dicembre 1993 - 27 febbraio 1994, Electa, Milano 1993

- Carlo Emilio Gadda, Accoppiamenti giudiziosi, Garzanti, Mila-

no 1963

- Carlo Emilio Gadda, L'Adalgisa, Garzanti, Milano 1988

- "...io sono un archiviòmane" Carte recuperate dal Fondo CAR-

LO EMILIO GADDA, mostra documentaria a cura di Paola Italia,

Firenze, Archivio contemporaneo "Alessandro Bonsanti" 14

novembre 2003 - 16 gennaio 2004

- Salvatore Guglielmino, Guida al Novecento, Principato Editori,

Milano 1986

- Cesare Segre e Clelia Martignoni, Testi nella storia - La lettera-

tura italiana dalle origini al Novecento, Mondadori, Milano 1992

- Jean Renoir, La mia vita i miei film, Marsilio, Venezia 1992

Bibliografia

"Costruimmo noi stessi dei riflettori di ferro

bianchi e dei reostati adeguati. La corrente era

fornita da una dinamo azionata da un motore

prelevato da un'automobile farman che aveva

avuto un incidente. Il laboratorio di sviluppo fu

collocato nella cucina di Raleigh, che si era

costruito da sé le vasche di legno e le intelaiatu-

re. Per i piani d'insieme montavamo gli scenari

sul palcoscenico del Vieux Colombier. Il risultato

fu La Petite Marchande d' Allumettes[...]"

(Jean Renoir, La mia vita, i miei film, Marsilio,

Venezia 1992, p. 57)

Scenografie di cartoneUn approccio sperimentale al gioco della messa in scena

Università degli Studi di Firenze

Facoltà di Architettura

Progettazione dell'architettura

a.a. 2003-2004

Relatore: Prof. Giulio Mezzetti

Correlatore: Dott. Vincenzo Valentini

Tesi di laurea di Marco Ferrara

- Mario Sironi, Il mito dell'architettura, Mazzotta, Padiglione

d'Arte Contemporanea di Milano 19 settembre - 4 novembre 1990

- Mario Sironi 1885-1961, Galleria Nazionale d'Arte Moderna,

Roma 9 dicembre 1993 - 27 febbraio 1994, Electa, Milano 1993

- Carlo Emilio Gadda, Accoppiamenti giudiziosi, Garzanti, Mila-

no 1963

- Carlo Emilio Gadda, L'Adalgisa, Garzanti, Milano 1988

- "...io sono un archiviòmane" Carte recuperate dal Fondo CAR-

LO EMILIO GADDA, mostra documentaria a cura di Paola Italia,

Firenze, Archivio contemporaneo "Alessandro Bonsanti" 14

novembre 2003 - 16 gennaio 2004

- Salvatore Guglielmino, Guida al Novecento, Principato Editori,

Milano 1986

- Cesare Segre e Clelia Martignoni, Testi nella storia - La lettera-

tura italiana dalle origini al Novecento, Mondadori, Milano 1992

- Jean Renoir, La mia vita i miei film, Marsilio, Venezia 1992

Bibliografia

sopra:Paesaggio urbano con camion, 1920;sotto:Periferia, 1920

in queste pagine alcune delle pri-me opere milanesi di Mario Sironi.In questa pagina, in alto a sinistra:Paesaggio urbano con cavalcavia, 1921 ca.;a fianco:Aereo e città, 1919-20;sopra:Motociclista, 1924

In questa pagina, in alto a sinistra:Paesaggio urbano, 1922;sopra a sinistra:Paesaggio urbano con tram, 1920-21;sopra:Paesaggio urbano, 1921-22 ca.

sopra a sinistra:Paesaggio urbano con vigile, 1920;sopra:Composizione - Architettura urbana, 1924

sopra a sinistra:Paesaggio urbano con carrozza, 1919-20;sopra:Paesaggio urbano con cavalcavia, 1921 ca.;sopra a destra:Paesaggio urbano con cupola, 1922-23 ca.

in alto a destra:Il camion, 1920;

sopra a destra:La cattedrale, 1921-23;

sopra:Paesaggio urbano, 1920-21 ca.

1 M. Sironi. Scritti editi e inediti, a cura di E. Camesasca, Feltrinelli, Milano 1980, p. 270citato in Mario Sironi. Il mito dell'architettura, catalogo della mostra omonima, Milano, Padi-glione d'Arte Contemporanea, 19 settembre 4 novembre 1990, Maz-zotta, p. 10.2 Ibidem, p. 272, citato in Sironi. Il mito... [op. cit.], p. 10

Il legame tra Sironi e la città meneghina si consolida velo-

cemente. Già durante la guerra il pittore, nato a Sassari ma

romano di fatto, aveva maturato importanti rapporti con

l'ambiente intellettuale milanese e, in particolare, con la

scrittrice Margherita Sarfatti.

Nella casa di quest'ultima a Corso Venezia o presso la Vil-

la del Soldo, dimora estiva della Sarfatti, si raccolgono,

oltre alla scrittrice e al pittore, figure come quelle di Ada

Negri, Massimo Bontempelli e altri importanti nomi

dell'intellighenzia milanese e nazionale: Marinetti, Borgese,

Notari, Mussolini.

cosa può darmi la città commerciante se

non il ribrezzo e il bisogno di difese con-

tro la sua stessa potenza? Certo meglio di 1Roma che è un bel sogno deplorevole” .

La scelta di stabilirsi definitivamente a Milano può, dun-

que, essere letta sotto la chiave, etica oltre che stilistica, del

rifiuto di un ritorno al classicismo metafisico e romano per

un recupero dei valori antichi attraverso forme e temi consi-

derati “moderni” nella città che maggiormente rappresenta

il progresso. Alla moglie Matilde Fabbrini, che rimarrà a

Roma, Sironi scrive: “Milano ronza intorno come quei

motori del dirigibile che ascoltavamo svegli appena [...] Che

La città, la sua periferia, le sue presenze

sono narrate attraverso uno sguardo grave,

spesso cupo, severo, ma non desolato. I

toni bruni e grigi, le forme compatte e

pesanti traducono il tentativo di esprimere

una volontà di ricerca ferma, determinata:

“Il mio desiderio dopo la guerra un biso-

gno sentito con una chiarezza e una forza

straordinaria: raccogliermi in un grande

silenzio in qualche anno di lavoro corag-2gioso e ostinato” .

Nell'estate del 1919 Mario

Sironi lascia Roma per trasferir-

si a Milano. Sono questi gli anni

in cui i paesaggi urbani diven-

gono un tema costante nella sua

produzione pittorica.

maestosa drammaticità che ren-

de univocamente riconoscibile

il segno sironiano.

Non è la prima volta che stra-

de cittadine, palazzi signorili,

casermoni e tram compaiono

sulle tele del pittore. Già prece-

dentemente, negli anni in cui

maggiore era l'influenza futuri-

sta (prima) o metafisica (dopo),

i temi urbani erano presenti tra i

soggetti ritratti. Solo adesso,

tuttavia, si delinea con maggio-

re forza il carattere di epica e

Tra il '19 e il '21 vengono fondati i Fasci da

Combattimento e il PCI, mentre nel '22 il fasci-

smo va al potere. Sono anni in cui si spera e si

crede nel possibile riscatto dopo la grande guerra.

Il 20 marzo 1920 la Sarfatti riesce ad organizza-

re una collettiva alla galleria Arte. Il direttore del-

la galleria detta anche degli Ipogei perché costi-

tuita da tre salette in un sotterraneo di via Dante è

Mario Buggelli, un critico ex-futurista. In questa

occasione Sironi espone i primi tre Paesaggi urba-

ni.

Il gruppo “Novecento” nasce sotto l'egida della

Sarfatti che aspira a ottenere, per questa corrente,

il primato di “arte nazionale”. Nelle intenzioni del

gruppo vi è la volontà di rappresentare ed espri-

mere i valori di rinascita e di vigore propugnati

dal regime e, in tal modo, contrastare l'affermarsi

dei romani “Valori plastici” (il “Manifesto contro

tutti i ritorni in pittura” firmato Sironi, Dudrevil-

le, Funi, Russolo è datato 11 gennaio 1920).

La prima mostra dei “Sette pittori del Novecen-

to” avviene presso la Galleria Pesaro ed è inaugurata dallo stesso duce nel

marzo 1923. Oltre a Sironi espongono anche Funi, Dudreville, Oppi, Marus-

sig, Malerba, Bucci.

I-4I-3I-2I-1

sopra:Paesaggio urbano con camion, 1920;sotto:Periferia, 1920

in queste pagine alcune delle pri-me opere milanesi di Mario Sironi.In questa pagina, in alto a sinistra:Paesaggio urbano con cavalcavia, 1921 ca.;a fianco:Aereo e città, 1919-20;sopra:Motociclista, 1924

In questa pagina, in alto a sinistra:Paesaggio urbano, 1922;sopra a sinistra:Paesaggio urbano con tram, 1920-21;sopra:Paesaggio urbano, 1921-22 ca.

sopra a sinistra:Paesaggio urbano con vigile, 1920;sopra:Composizione - Architettura urbana, 1924

sopra a sinistra:Paesaggio urbano con carrozza, 1919-20;sopra:Paesaggio urbano con cavalcavia, 1921 ca.;sopra a destra:Paesaggio urbano con cupola, 1922-23 ca.

in alto a destra:Il camion, 1920;

sopra a destra:La cattedrale, 1921-23;

sopra:Paesaggio urbano, 1920-21 ca.

1 M. Sironi. Scritti editi e inediti, a cura di E. Camesasca, Feltrinelli, Milano 1980, p. 270citato in Mario Sironi. Il mito dell'architettura, catalogo della mostra omonima, Milano, Padi-glione d'Arte Contemporanea, 19 settembre 4 novembre 1990, Maz-zotta, p. 10.2 Ibidem, p. 272, citato in Sironi. Il mito... [op. cit.], p. 10

Il legame tra Sironi e la città meneghina si consolida velo-

cemente. Già durante la guerra il pittore, nato a Sassari ma

romano di fatto, aveva maturato importanti rapporti con

l'ambiente intellettuale milanese e, in particolare, con la

scrittrice Margherita Sarfatti.

Nella casa di quest'ultima a Corso Venezia o presso la Vil-

la del Soldo, dimora estiva della Sarfatti, si raccolgono,

oltre alla scrittrice e al pittore, figure come quelle di Ada

Negri, Massimo Bontempelli e altri importanti nomi

dell'intellighenzia milanese e nazionale: Marinetti, Borgese,

Notari, Mussolini.

cosa può darmi la città commerciante se

non il ribrezzo e il bisogno di difese con-

tro la sua stessa potenza? Certo meglio di 1Roma che è un bel sogno deplorevole” .

La scelta di stabilirsi definitivamente a Milano può, dun-

que, essere letta sotto la chiave, etica oltre che stilistica, del

rifiuto di un ritorno al classicismo metafisico e romano per

un recupero dei valori antichi attraverso forme e temi consi-

derati “moderni” nella città che maggiormente rappresenta

il progresso. Alla moglie Matilde Fabbrini, che rimarrà a

Roma, Sironi scrive: “Milano ronza intorno come quei

motori del dirigibile che ascoltavamo svegli appena [...] Che

La città, la sua periferia, le sue presenze

sono narrate attraverso uno sguardo grave,

spesso cupo, severo, ma non desolato. I

toni bruni e grigi, le forme compatte e

pesanti traducono il tentativo di esprimere

una volontà di ricerca ferma, determinata:

“Il mio desiderio dopo la guerra un biso-

gno sentito con una chiarezza e una forza

straordinaria: raccogliermi in un grande

silenzio in qualche anno di lavoro corag-2gioso e ostinato” .

Nell'estate del 1919 Mario

Sironi lascia Roma per trasferir-

si a Milano. Sono questi gli anni

in cui i paesaggi urbani diven-

gono un tema costante nella sua

produzione pittorica.

maestosa drammaticità che ren-

de univocamente riconoscibile

il segno sironiano.

Non è la prima volta che stra-

de cittadine, palazzi signorili,

casermoni e tram compaiono

sulle tele del pittore. Già prece-

dentemente, negli anni in cui

maggiore era l'influenza futuri-

sta (prima) o metafisica (dopo),

i temi urbani erano presenti tra i

soggetti ritratti. Solo adesso,

tuttavia, si delinea con maggio-

re forza il carattere di epica e

Tra il '19 e il '21 vengono fondati i Fasci da

Combattimento e il PCI, mentre nel '22 il fasci-

smo va al potere. Sono anni in cui si spera e si

crede nel possibile riscatto dopo la grande guerra.

Il 20 marzo 1920 la Sarfatti riesce ad organizza-

re una collettiva alla galleria Arte. Il direttore del-

la galleria detta anche degli Ipogei perché costi-

tuita da tre salette in un sotterraneo di via Dante è

Mario Buggelli, un critico ex-futurista. In questa

occasione Sironi espone i primi tre Paesaggi urba-

ni.

Il gruppo “Novecento” nasce sotto l'egida della

Sarfatti che aspira a ottenere, per questa corrente,

il primato di “arte nazionale”. Nelle intenzioni del

gruppo vi è la volontà di rappresentare ed espri-

mere i valori di rinascita e di vigore propugnati

dal regime e, in tal modo, contrastare l'affermarsi

dei romani “Valori plastici” (il “Manifesto contro

tutti i ritorni in pittura” firmato Sironi, Dudrevil-

le, Funi, Russolo è datato 11 gennaio 1920).

La prima mostra dei “Sette pittori del Novecen-

to” avviene presso la Galleria Pesaro ed è inaugurata dallo stesso duce nel

marzo 1923. Oltre a Sironi espongono anche Funi, Dudreville, Oppi, Marus-

sig, Malerba, Bucci.

I-4I-3I-2I-1

da C. E. Gadda, L'Adalgisa. Disegni Milanesi, Garzanti 2001, pp. 24-26

dalla lettera del 12 Novembre 1931, Carteggio dell’ing. Carlo Emilio Gadda con l’«Ammonia Casale S. A.», a cura di Dante Isella, edizione non venale promossa dalla Ammonia Casale S. A., 1982citato in «...io sono un’archiviòmane» - Carte recuperate dal Fondo Carlo Emilio Gadda, mostra documentaria a cura di Paola Italia, Firenze, Archivio Contemporaneo «Alessan-dro Bonsanti» 14 Novembre 2003 - 16 Gennaio 2004 Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Viesseux, p. 111

da C. E. Gadda, Accoppiamenti giudiziosi, Garzanti 2001, p. 66-67

sopra:quattro fotogrammi del filmato di prova realizzato nel novembre 2003

sopra:i due dipinti di Mario Sironi da cui sono state tratte le due scenografie per il filmato di prova. Si tratta di Sintesi di paesaggio urbano, 1919-20 (so-pra) e Periferia industriale, 1922 (?); 1927 (sotto)

in questa pagina e in quella precedente alcuni tele milanesi di Mario Sironi.

Nella pagina precedente, sopra:Paesaggio urbano, 1924;

sotto:Il bevitore, 1923 ca.

In questa pagina, dall’alto verso il basso:Paesaggio urbano, 1920-21 ca.;

Il tram, 1920;La bella del Sestriere (Donna dal fiore), 1926

in questa pagina alcune tele espo-ste alla Prima mostra del Nove-

cento italiano, 1926.In alto a sinistra:

Massimo Campigli, Donna con le braccia conserte;

a destra:Francesco Trombadori, Donna

nuda;sopra:

Giuseppe Montanari, Il pomo;a fianco a sinistra:

Mario Sironi, Solitudine;a destra:

UIbaldo Oppi, Sera romagnola

Il 1931 è un anno di grandi difficoltà economiche per Carlo Emilio Gadda. L’attività letteraria dello scrittore è fervida ma gli esiti non sono tali da permettergli di soddisfare le necessità quotidiane. Benché com-battuto, Gadda, chiede di essere riassunto come ingegnere presso la Ammonia Casale che però non può esaudire la richiesta dello scrittore. L’interesse dimostrato dal gerente dell’Ammonia, Calissano, verso l’attività letteraria di Gadda è espresso con una nota di disillusione: “Purtroppo la letteratura, quando non si esprime in opere teatrali (per le quali la personale nota di malinconico umorismo, riconosciutale da tutti i suoi critici, dovrebbe tuttavia prestarsi assai bene) non dà che gioie spirituali, e queste non sono, per disgrazia degli umani, sufficienti a tut-te le necessità della vita.....”

“[...] E, infine, lamentati i mali del mondo, adempiuto il periplo delle cose che non vanno, ecco, alfine, «i mè bril-ànt!» La idea soprana e ossedente che i truci figuri del cre-puscolo, nella via solitaria, li avessero criminosamente con-cupiti all'incontro, almen quelli, i brillanti!

« I mè brilànt» e la paura-speranza di sentirseli un dì sra-dicar d'orecchio - con eventuale lacerazione del lobo da una mano virilmente predatrice, sono una delle più ghiotte, segrete immaginative della gentildonna che risfòlgora in brillanti; del suo narcisismo un po' masocone esasperato dal presagio della tenebra. Anche una sessantaseienne gode,

gode iteratamente ed a lun-go, al fabulare seco medesi-ma, al farneticare per interi pomeriggi che le verrà un giorno incontro, oh sì sì, certo, anche a lei, anche a lei, certo, il maschio repen-tino e brutale cont el züff süi oeucc: a farsi laceratore del dilicato e ben costruito suo lobo di «una povera donna», di una «creatura impotente a difendersi». Perchè secondo loro, pove-rine, si sentono anche «im-

potenti a difendersi», oltre tutto, se appena appena gli date spago. [...] Tuttodì recava notizia, il Corriere, di orecchini evulsi dai propri lobuli nelle vie solitarie, nell'ora che i veli della nebbia, impigliatisi ad alti scheletri di pioppi, ingarza-vano il crepuscolo di Via Pelizza (da Volpedo, pittore) d'una fabulosa malinconia cisalpina. Persa la scintilla bluastra d'ogni tram, di là dall'opaco essere del mondo. Quando la desolazione cimmeria occupava le strade della sera, ivi l'alito della tenebra aveva dato favore agli agguati.

Sicché vecchie in brillanti ci fantasticavano su tutta notte, su quel capocrònaca; previ-vevano nel sogno, smanian-done, la paventata e sperata effrazione. Deste, in una ruminazione di ore, farneti-cavano a se stesse parità di merito (e di brutti incontri) con le seviziate: non sof-frendo di ritenere che la sevizie avesse potuto predi-ligere altra vecchi, altri bril-lanti, altri lòbuli. Talora potenziavano il proprio orgasmo fino all'acme dello spasimo, romanzando il fat-

taccio di pimenti esterni, situandolo in congiuntura ferro-viaria: scompartimento di prima classe , erano sole, control-lore evaporato, entra un tipo: ma di quelli! «con voeunna de qui facc!»: siede rimpetto: guarda: guarda a lungo, «fissan-domi con una strana insistenza», «e specialmente i brillan-ti»: entra il treno, a sua volta, inn una galleria che nessuno se l'aspettava: eccetera eccetera. Non succede niente.

«Ma però poteva anche succedere».”

L'idea di trasporre su pellicola i racconti milanesi di Gadda in una Milano immaginata e descritta dalle tele di Sironi risale all'autunno 2003. La verifica della fatti-bilità del progetto è stata effettuata con un piccolo fil-mato di prova nel novembre dello stesso anno traendo spunto dalle prime pagine de L'Adalgisa e utilizzando due paesaggi urbani del pittore romano.

“San Giorgio in casa Brocchi” fa parte dei primi

tentativi da parte di Carlo Emilio Gadda di ridise-

gnare gli ambienti che

hanno segnato la sua

giovinezza. Siamo nel-

la prima metà degli

anni '30 e lo scrittore

mi lanese dopo un

decennio di peregrina-

zioni dovute al lavoro

(Argentina, Vaticano,

Lorena, Ruhr) decide

di abbandonare defini-

tivamente la professio-

ne di ingegnere per

dedicarsi unicamente alla scrittura.

Oltre al “San Giorgio” Gadda scrive

“L'incendio di via Keplero” (titolo originario:

“Studio 128 per l'apertura del racconto inedito:

L'incendio di via Keplero”) e traccia una prima

stesura di “Un fulmine sul 220”, romanzo che non

vedrà la luce se non nella forma conosciuta sotto

il nome de “L'Adalgisa. Disegni milanesi”.

L'autore restituisce la contrapposizione fra la

Milano altoborghese e aristocratica e quella popo-

lare e piccolo borghese. Ciò avviene anche attra-

verso esatti riferimenti

alla realtà urbana vera

e propria, fisica, topo-

nomastica: è la Milano

del parco Sempione e

d i v i a P o n t a c c i o ,

dell'Olona e del Seve-

so, del Giuseppe Verdi

e della biblioteca del

nòster Politèknik.

G a d d a e S i r o n i

ritraggono la stessa

Milano e, se gli sguardi possono divergere, il

risultato spesso può coincidere.

II-4II-3II-2II-1

“In quella sala, dove una nuova epoca s'era dunque iniziata per la storia del ritratto, l'audace distruttore-ricostruttore era stato incoronato d'alluminio; ma subito dopo un'altra “tendenza”, un'altra «revisione di valori» aveva occupato la sala, con un'altra esposizione; perchè lo slancio mistico della ricerca ha questo di buono che, come misticismo, è un misticismo a cui si aprono quarantaquattro possibilità. Così dopo il «pugno nello stomaco» de' Futuristi, vennero il San Giorgio e la Triennale Milanese: dove, contro gli ultimi ruderi d'un ritardatario Ottocento, caparbio e duro da morire, si levava con grido possente di vita, un caleidoscopico Novecento. In quel Novecento il conte Agamènnone Brocchi si trovò coinvolto, se pur suo malgrado, quale Membro del vasto comitato organizzatore: dove, figuran-dovi i più bei nomi della città, non poteva mancare proprio il suo. «... Per quanto, in camera charitatis... diciamolo pure qui fra di noi... hanno messo fuori delle cose.... vergognose», e intendeva vergognose, non nel senso dell'arte ma nel senso di casa Brocchi. Difatti la prima cosa che colpiva l'«intenditore», al primo mettere piede nella diabolica Esposizione, era una deplorevole mancanza di tutti que' panni, pannicelli, e lenzuoli, che svolazzavano con tanta intelligenza presso i classici della nostra pittura: e rendono, anche ai romantici, così delicati servigi. Trascinato alla presenza di quelle tele, il conte si accorse che le sue mascelle di pedago-gista non riuscivano più a chiudersi.

L'incubo di quelle tele finì per aggrava-re i suoi disturbi uricemici: talché un rincalzo di broccoli, di mandarini, di banane, fu la prima ingiunzione di Martuada estratta angosciosamente dal telefono: lo choc vitaminico a base B non era ancora di moda, né lo sgancio di titillazioni ultrasoniche nella regione lombosacrale: (a dirompere i più fetenti ciottolacci). «Un vero obbrobrio! un

oltraggio al buon nome della nostra vecchia Milano!...». Per tutte le

trentatrè sale, orde selvagge di cavalle dalle ginocchia tubolari galoppavano disfrenate verso nubifragi biblici, o ne rifuggivano pancia a terra, terrorizzate dai colori dell’arcobaleno, che erano diventati otto: in un angolo della sala numero 15 un centauro era però riuscito ad afferrarne una e, tra lui e la cavalla, avevano trasformato quella sala in una stazione di monta, due volte il vero, davanti gli occhi esterrefatti delle signorine del Lyceum. Altrove, alcune amazzoni dai piedi piatti si facevano delle spugnature in sul margine d’un fossatello: tutte all’inpiedi e tutte inclinate di una decina di gradi rispetto alla verticale. Il loro nudismo, per vero

dire, non arrivava ad offendere nessuno, dacchè la potente sintesi aveva rifiutato l’ingombro dei dettagli, tirandole giù bianche e piatte come sagome di tiro a segno, a latte di calce. Invece i grandi cerchi di oro, che appesantivano gli orecchi di una creola, non eran bastati a far dimenticare al pittore le lunghe mamme di capra: e tutti quei ciondoli si riflettevano in una fuga di millanta specchi, moltiplicati per mille volte millanta.

Sicchè la creola si poteva ammirarla cinquecento volte davanti e cinquecen-to volte di dietro.Le madornali natiche d’una meretrice boema, china a lisciarsi le caviglie cilindriche, erano state messa a dimora in un [...] ”

da C. E. Gadda, L'Adalgisa. Disegni Milanesi, Garzanti 2001, pp. 24-26

dalla lettera del 12 Novembre 1931, Carteggio dell’ing. Carlo Emilio Gadda con l’«Ammonia Casale S. A.», a cura di Dante Isella, edizione non venale promossa dalla Ammonia Casale S. A., 1982citato in «...io sono un’archiviòmane» - Carte recuperate dal Fondo Carlo Emilio Gadda, mostra documentaria a cura di Paola Italia, Firenze, Archivio Contemporaneo «Alessan-dro Bonsanti» 14 Novembre 2003 - 16 Gennaio 2004 Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Viesseux, p. 111

da C. E. Gadda, Accoppiamenti giudiziosi, Garzanti 2001, p. 66-67

sopra:quattro fotogrammi del filmato di prova realizzato nel novembre 2003

sopra:i due dipinti di Mario Sironi da cui sono state tratte le due scenografie per il filmato di prova. Si tratta di Sintesi di paesaggio urbano, 1919-20 (so-pra) e Periferia industriale, 1922 (?); 1927 (sotto)

in questa pagina e in quella precedente alcuni tele milanesi di Mario Sironi.

Nella pagina precedente, sopra:Paesaggio urbano, 1924;

sotto:Il bevitore, 1923 ca.

In questa pagina, dall’alto verso il basso:Paesaggio urbano, 1920-21 ca.;

Il tram, 1920;La bella del Sestriere (Donna dal fiore), 1926

in questa pagina alcune tele espo-ste alla Prima mostra del Nove-

cento italiano, 1926.In alto a sinistra:

Massimo Campigli, Donna con le braccia conserte;

a destra:Francesco Trombadori, Donna

nuda;sopra:

Giuseppe Montanari, Il pomo;a fianco a sinistra:

Mario Sironi, Solitudine;a destra:

UIbaldo Oppi, Sera romagnola

Il 1931 è un anno di grandi difficoltà economiche per Carlo Emilio Gadda. L’attività letteraria dello scrittore è fervida ma gli esiti non sono tali da permettergli di soddisfare le necessità quotidiane. Benché com-battuto, Gadda, chiede di essere riassunto come ingegnere presso la Ammonia Casale che però non può esaudire la richiesta dello scrittore. L’interesse dimostrato dal gerente dell’Ammonia, Calissano, verso l’attività letteraria di Gadda è espresso con una nota di disillusione: “Purtroppo la letteratura, quando non si esprime in opere teatrali (per le quali la personale nota di malinconico umorismo, riconosciutale da tutti i suoi critici, dovrebbe tuttavia prestarsi assai bene) non dà che gioie spirituali, e queste non sono, per disgrazia degli umani, sufficienti a tut-te le necessità della vita.....”

“[...] E, infine, lamentati i mali del mondo, adempiuto il periplo delle cose che non vanno, ecco, alfine, «i mè bril-ànt!» La idea soprana e ossedente che i truci figuri del cre-puscolo, nella via solitaria, li avessero criminosamente con-cupiti all'incontro, almen quelli, i brillanti!

« I mè brilànt» e la paura-speranza di sentirseli un dì sra-dicar d'orecchio - con eventuale lacerazione del lobo da una mano virilmente predatrice, sono una delle più ghiotte, segrete immaginative della gentildonna che risfòlgora in brillanti; del suo narcisismo un po' masocone esasperato dal presagio della tenebra. Anche una sessantaseienne gode,

gode iteratamente ed a lun-go, al fabulare seco medesi-ma, al farneticare per interi pomeriggi che le verrà un giorno incontro, oh sì sì, certo, anche a lei, anche a lei, certo, il maschio repen-tino e brutale cont el züff süi oeucc: a farsi laceratore del dilicato e ben costruito suo lobo di «una povera donna», di una «creatura impotente a difendersi». Perchè secondo loro, pove-rine, si sentono anche «im-

potenti a difendersi», oltre tutto, se appena appena gli date spago. [...] Tuttodì recava notizia, il Corriere, di orecchini evulsi dai propri lobuli nelle vie solitarie, nell'ora che i veli della nebbia, impigliatisi ad alti scheletri di pioppi, ingarza-vano il crepuscolo di Via Pelizza (da Volpedo, pittore) d'una fabulosa malinconia cisalpina. Persa la scintilla bluastra d'ogni tram, di là dall'opaco essere del mondo. Quando la desolazione cimmeria occupava le strade della sera, ivi l'alito della tenebra aveva dato favore agli agguati.

Sicché vecchie in brillanti ci fantasticavano su tutta notte, su quel capocrònaca; previ-vevano nel sogno, smanian-done, la paventata e sperata effrazione. Deste, in una ruminazione di ore, farneti-cavano a se stesse parità di merito (e di brutti incontri) con le seviziate: non sof-frendo di ritenere che la sevizie avesse potuto predi-ligere altra vecchi, altri bril-lanti, altri lòbuli. Talora potenziavano il proprio orgasmo fino all'acme dello spasimo, romanzando il fat-

taccio di pimenti esterni, situandolo in congiuntura ferro-viaria: scompartimento di prima classe , erano sole, control-lore evaporato, entra un tipo: ma di quelli! «con voeunna de qui facc!»: siede rimpetto: guarda: guarda a lungo, «fissan-domi con una strana insistenza», «e specialmente i brillan-ti»: entra il treno, a sua volta, inn una galleria che nessuno se l'aspettava: eccetera eccetera. Non succede niente.

«Ma però poteva anche succedere».”

L'idea di trasporre su pellicola i racconti milanesi di Gadda in una Milano immaginata e descritta dalle tele di Sironi risale all'autunno 2003. La verifica della fatti-bilità del progetto è stata effettuata con un piccolo fil-mato di prova nel novembre dello stesso anno traendo spunto dalle prime pagine de L'Adalgisa e utilizzando due paesaggi urbani del pittore romano.

“San Giorgio in casa Brocchi” fa parte dei primi

tentativi da parte di Carlo Emilio Gadda di ridise-

gnare gli ambienti che

hanno segnato la sua

giovinezza. Siamo nel-

la prima metà degli

anni '30 e lo scrittore

mi lanese dopo un

decennio di peregrina-

zioni dovute al lavoro

(Argentina, Vaticano,

Lorena, Ruhr) decide

di abbandonare defini-

tivamente la professio-

ne di ingegnere per

dedicarsi unicamente alla scrittura.

Oltre al “San Giorgio” Gadda scrive

“L'incendio di via Keplero” (titolo originario:

“Studio 128 per l'apertura del racconto inedito:

L'incendio di via Keplero”) e traccia una prima

stesura di “Un fulmine sul 220”, romanzo che non

vedrà la luce se non nella forma conosciuta sotto

il nome de “L'Adalgisa. Disegni milanesi”.

L'autore restituisce la contrapposizione fra la

Milano altoborghese e aristocratica e quella popo-

lare e piccolo borghese. Ciò avviene anche attra-

verso esatti riferimenti

alla realtà urbana vera

e propria, fisica, topo-

nomastica: è la Milano

del parco Sempione e

d i v i a P o n t a c c i o ,

dell'Olona e del Seve-

so, del Giuseppe Verdi

e della biblioteca del

nòster Politèknik.

G a d d a e S i r o n i

ritraggono la stessa

Milano e, se gli sguardi possono divergere, il

risultato spesso può coincidere.

II-4II-3II-2II-1

“In quella sala, dove una nuova epoca s'era dunque iniziata per la storia del ritratto, l'audace distruttore-ricostruttore era stato incoronato d'alluminio; ma subito dopo un'altra “tendenza”, un'altra «revisione di valori» aveva occupato la sala, con un'altra esposizione; perchè lo slancio mistico della ricerca ha questo di buono che, come misticismo, è un misticismo a cui si aprono quarantaquattro possibilità. Così dopo il «pugno nello stomaco» de' Futuristi, vennero il San Giorgio e la Triennale Milanese: dove, contro gli ultimi ruderi d'un ritardatario Ottocento, caparbio e duro da morire, si levava con grido possente di vita, un caleidoscopico Novecento. In quel Novecento il conte Agamènnone Brocchi si trovò coinvolto, se pur suo malgrado, quale Membro del vasto comitato organizzatore: dove, figuran-dovi i più bei nomi della città, non poteva mancare proprio il suo. «... Per quanto, in camera charitatis... diciamolo pure qui fra di noi... hanno messo fuori delle cose.... vergognose», e intendeva vergognose, non nel senso dell'arte ma nel senso di casa Brocchi. Difatti la prima cosa che colpiva l'«intenditore», al primo mettere piede nella diabolica Esposizione, era una deplorevole mancanza di tutti que' panni, pannicelli, e lenzuoli, che svolazzavano con tanta intelligenza presso i classici della nostra pittura: e rendono, anche ai romantici, così delicati servigi. Trascinato alla presenza di quelle tele, il conte si accorse che le sue mascelle di pedago-gista non riuscivano più a chiudersi.

L'incubo di quelle tele finì per aggrava-re i suoi disturbi uricemici: talché un rincalzo di broccoli, di mandarini, di banane, fu la prima ingiunzione di Martuada estratta angosciosamente dal telefono: lo choc vitaminico a base B non era ancora di moda, né lo sgancio di titillazioni ultrasoniche nella regione lombosacrale: (a dirompere i più fetenti ciottolacci). «Un vero obbrobrio! un

oltraggio al buon nome della nostra vecchia Milano!...». Per tutte le

trentatrè sale, orde selvagge di cavalle dalle ginocchia tubolari galoppavano disfrenate verso nubifragi biblici, o ne rifuggivano pancia a terra, terrorizzate dai colori dell’arcobaleno, che erano diventati otto: in un angolo della sala numero 15 un centauro era però riuscito ad afferrarne una e, tra lui e la cavalla, avevano trasformato quella sala in una stazione di monta, due volte il vero, davanti gli occhi esterrefatti delle signorine del Lyceum. Altrove, alcune amazzoni dai piedi piatti si facevano delle spugnature in sul margine d’un fossatello: tutte all’inpiedi e tutte inclinate di una decina di gradi rispetto alla verticale. Il loro nudismo, per vero

dire, non arrivava ad offendere nessuno, dacchè la potente sintesi aveva rifiutato l’ingombro dei dettagli, tirandole giù bianche e piatte come sagome di tiro a segno, a latte di calce. Invece i grandi cerchi di oro, che appesantivano gli orecchi di una creola, non eran bastati a far dimenticare al pittore le lunghe mamme di capra: e tutti quei ciondoli si riflettevano in una fuga di millanta specchi, moltiplicati per mille volte millanta.

Sicchè la creola si poteva ammirarla cinquecento volte davanti e cinquecen-to volte di dietro.Le madornali natiche d’una meretrice boema, china a lisciarsi le caviglie cilindriche, erano state messa a dimora in un [...] ”

l ' i d e a i l p r o c e s s o

l a r e a l i z z az i o n e l e r i p r e s e

sopra:Mario Sironi, bozza per la scenografia de I lombardi alla prima crociata, 1948.É l'unica ambientazione sironiana presente nel film a non appartenere alla serie dei paesaggi urbani del periodo 1919-1926.É l'atrio della casa di Elsa

in alto e in basso a sinistra, e sopra alcune immagini delle riprese del film.Dovendo disporre di spazi ampi e omogenei, le riprese sono state effettuate in una grande distesa verde a 10 km da Firenze.Al centro:modello 3D del plastico della scena iniziale

in alto i due dipinti sironiani utilizzati per realizzare la camera di

Elsa.Sopra:

Venere, 1921-23;sotto:

Solitudine, 1925-26

sopra, a sinistra e a destra, alcune immagini delle riprese del film.

In alto, un'immagine del plastico della fermata del tram. Per realizzarlo si sono utilizzati due

dipinti di Sironi:Paesaggio urbano, 1921-22 ca., (vedi pag. I-2);Paesaggio urbano, 1920-21 ca., (vedi pag II-3)

sopra alcune immagini della realizzazione dei plastici.Sulla struttura, in cartone rigido, sono state incollate le stampe delle sagome degli edifici.I singoli pezzi, desunti direttamente dal modello 3D, sono stati incernierati tra loro con del nastro adesivo

in alto:I costruttori, 1929, da cui è stato tratto il fondale urbano per la scena della passeggiata.A destra un'immagine dei due protagonisti in un momento durante riprese

sopra:il modello tridimensionale del plastico usato nell'ultima scena del film: la discesa dal tram di Elsa e Valerio.Il dipinto originale è: Periferia, 1920 (vedi pag. I-3)

a sinistra e in basso a destra tre momenti durante le riprese del film.A destra:il modello 3D del plastico tratto dal Paesaggio urbano con camion, 1920 (vedi pag. I-3)

Le scenografie, realizzate in un unico

pezzo e composte solo da pezzi

incernierati, erano appiattite durante il

trasporto e facilmente montate sul set

Lo storyboard (riprodotto lungo i margini superiori e inferiori di queste pagine) ha sostituito il copione ed è servito da riferimento fisso per l'intero processo progettuale: dalla progettazione dei plastici, alla realizzazione delle scenografie, alla fase delle riprese, al montaggio

Dopo un piccolo filmato di

prova (vedi pagina precedente)

teso a verificare la fattibilità del

lavoro, si è definito

con precisione il tema

progettuale: mettere in scena le

vicende e i personaggi nar-

rati nei racconti

milanesi di

Calo Emilio

Gadda attra-

v e r s o u n a

ricostruzione

scenica ispira-

ta a i p r imi

paesaggi urba-

ni di ispirazione milanese di

Mario Sironi (periodo 1919-

1926).

gli occhi di due autori che così

intensamente l'hanno vissuta,

poco ha a che vedere con que-

stioni di ricostruzione storica o

di rispetto filologico. Per una

lettura corretta di tale operazio-

ne è necessario spostare

l'attenzione dal prodotto finale

alla metodologia utilizzata,

all'idea di lavoro che governa

l'intero processo creativo.

L'idea di raccontare la

Milano dei primi decenni

del secolo attraverso

vista appare più grande di un

oggetto grande posto ad una

distanza maggiore.

Alla base del progetto vi è un

semplice inganno prospettico:

quello per cui un oggetto pic-

colo ma prossimo al punto di

I n q u e s t o

caso la scena,

piccola, in cartone, è posta di

fronte la cinepresa in maniera

da riempire completamente

l'inquadratura, mentre, i perso-

naggi, interpretati da persone

reali , s i t rovano distanti

dall'obiettivo in modo da appa-

rire (attraverso apposite bucatu-

re delle scene) scorciati, ridotti,

coerentemente con lo spazio fit-

tizio ricreato dalla scenografia.

meneghini dello scrittore lom-

bardo. Il testo letterario è stato,

successivamente, tradotto in

immagini sotto forma di story-

board.

Il soggetto deriva principal-

mente da “L'Adalgisa.

Disegni mila-

n e s i ” c o n

qualche adat-

tamento tratto

dal “San Gior-

gio in casa

Brocchi” e da

altri racconti

diata.

I paesaggi sironiani sono stati

manipolati, decontestualizzati,

liberamente trasformati al fine

di adattarsi alle esigenze tecni-

che e narrative. L'utilizzo

d e l l ' e d i t i n g

d i g i t a l e h a

consentito di

mantenere fre-

sca e rapida

ques ta fase

iniziale. La

manipolazione

è facile, leg-

gera, imme-

Success iva-

mente, le scene

sono state rea-

lizzate in forma

di fondali sceno-

grafici o di plastici. In questa fase si è

fatto ricorso alla modellazione tridimensionale.

É stato, in tal modo, possibile semplificare i pro-

blemi costruttivi permettendo il controllo costante

s i a d e g l i

aspetti pratici

- ogni plastico, pensato in fun-

zione dei formati di cartone

standard in commercio (100x70

cm), può essere appiattito per

un comodo trasporto ed è realiz-

zato in un pezzo unico per faci-

litarne il montaggio sul set - che

di quelli prospettici - dipendenti

della distanza focale adottata,

della profondità di campo presumibile, della posi-

zione della cinepresa rispetto agli attori -.

spaziali che il gioco

prospettico imponeva.

Un'area verde ampia e spoglia è stata la location

ottimale per rispondere alle

e s i g e n z e

Il quadro è completa-

mente riempito dal pla-

stico di scena posto di

fronte la cinepresa.

Attraverso adeguate

bucature i personaggi,

ridotti a causa della

distanza, rientrano all’interno dell’inquadratura

mentre lo spazio restante risulta

integrato nell’immagine finale

grazie all’omogeneità cromatica e all’utilizzo del-

la pellicola in bianco e nero.

L’ illuminazione

naturale velata

dalle nuvole

ha consentito

(quando tali

erano le condi-

zioni atmosferi-

che) un’adeguata

distribuzione del-

le luci e delle

ombre completando

l’effetto finale.

l ' i d e a i l p r o c e s s o

l a r e a l i z z az i o n e l e r i p r e s e

sopra:Mario Sironi, bozza per la scenografia de I lombardi alla prima crociata, 1948.É l'unica ambientazione sironiana presente nel film a non appartenere alla serie dei paesaggi urbani del periodo 1919-1926.É l'atrio della casa di Elsa

in alto e in basso a sinistra, e sopra alcune immagini delle riprese del film.Dovendo disporre di spazi ampi e omogenei, le riprese sono state effettuate in una grande distesa verde a 10 km da Firenze.Al centro:modello 3D del plastico della scena iniziale

in alto i due dipinti sironiani utilizzati per realizzare la camera di

Elsa.Sopra:

Venere, 1921-23;sotto:

Solitudine, 1925-26

sopra, a sinistra e a destra, alcune immagini delle riprese del film.

In alto, un'immagine del plastico della fermata del tram. Per realizzarlo si sono utilizzati due

dipinti di Sironi:Paesaggio urbano, 1921-22 ca., (vedi pag. I-2);Paesaggio urbano, 1920-21 ca., (vedi pag II-3)

sopra alcune immagini della realizzazione dei plastici.Sulla struttura, in cartone rigido, sono state incollate le stampe delle sagome degli edifici.I singoli pezzi, desunti direttamente dal modello 3D, sono stati incernierati tra loro con del nastro adesivo

in alto:I costruttori, 1929, da cui è stato tratto il fondale urbano per la scena della passeggiata.A destra un'immagine dei due protagonisti in un momento durante riprese

sopra:il modello tridimensionale del plastico usato nell'ultima scena del film: la discesa dal tram di Elsa e Valerio.Il dipinto originale è: Periferia, 1920 (vedi pag. I-3)

a sinistra e in basso a destra tre momenti durante le riprese del film.A destra:il modello 3D del plastico tratto dal Paesaggio urbano con camion, 1920 (vedi pag. I-3)

Le scenografie, realizzate in un unico

pezzo e composte solo da pezzi

incernierati, erano appiattite durante il

trasporto e facilmente montate sul set

Lo storyboard (riprodotto lungo i margini superiori e inferiori di queste pagine) ha sostituito il copione ed è servito da riferimento fisso per l'intero processo progettuale: dalla progettazione dei plastici, alla realizzazione delle scenografie, alla fase delle riprese, al montaggio

Dopo un piccolo filmato di

prova (vedi pagina precedente)

teso a verificare la fattibilità del

lavoro, si è definito

con precisione il tema

progettuale: mettere in scena le

vicende e i personaggi nar-

rati nei racconti

milanesi di

Calo Emilio

Gadda attra-

v e r s o u n a

ricostruzione

scenica ispira-

ta a i p r imi

paesaggi urba-

ni di ispirazione milanese di

Mario Sironi (periodo 1919-

1926).

gli occhi di due autori che così

intensamente l'hanno vissuta,

poco ha a che vedere con que-

stioni di ricostruzione storica o

di rispetto filologico. Per una

lettura corretta di tale operazio-

ne è necessario spostare

l'attenzione dal prodotto finale

alla metodologia utilizzata,

all'idea di lavoro che governa

l'intero processo creativo.

L'idea di raccontare la

Milano dei primi decenni

del secolo attraverso

vista appare più grande di un

oggetto grande posto ad una

distanza maggiore.

Alla base del progetto vi è un

semplice inganno prospettico:

quello per cui un oggetto pic-

colo ma prossimo al punto di

I n q u e s t o

caso la scena,

piccola, in cartone, è posta di

fronte la cinepresa in maniera

da riempire completamente

l'inquadratura, mentre, i perso-

naggi, interpretati da persone

reali , s i t rovano distanti

dall'obiettivo in modo da appa-

rire (attraverso apposite bucatu-

re delle scene) scorciati, ridotti,

coerentemente con lo spazio fit-

tizio ricreato dalla scenografia.

meneghini dello scrittore lom-

bardo. Il testo letterario è stato,

successivamente, tradotto in

immagini sotto forma di story-

board.

Il soggetto deriva principal-

mente da “L'Adalgisa.

Disegni mila-

n e s i ” c o n

qualche adat-

tamento tratto

dal “San Gior-

gio in casa

Brocchi” e da

altri racconti

diata.

I paesaggi sironiani sono stati

manipolati, decontestualizzati,

liberamente trasformati al fine

di adattarsi alle esigenze tecni-

che e narrative. L'utilizzo

d e l l ' e d i t i n g

d i g i t a l e h a

consentito di

mantenere fre-

sca e rapida

ques ta fase

iniziale. La

manipolazione

è facile, leg-

gera, imme-

Success iva-

mente, le scene

sono state rea-

lizzate in forma

di fondali sceno-

grafici o di plastici. In questa fase si è

fatto ricorso alla modellazione tridimensionale.

É stato, in tal modo, possibile semplificare i pro-

blemi costruttivi permettendo il controllo costante

s i a d e g l i

aspetti pratici

- ogni plastico, pensato in fun-

zione dei formati di cartone

standard in commercio (100x70

cm), può essere appiattito per

un comodo trasporto ed è realiz-

zato in un pezzo unico per faci-

litarne il montaggio sul set - che

di quelli prospettici - dipendenti

della distanza focale adottata,

della profondità di campo presumibile, della posi-

zione della cinepresa rispetto agli attori -.

spaziali che il gioco

prospettico imponeva.

Un'area verde ampia e spoglia è stata la location

ottimale per rispondere alle

e s i g e n z e

Il quadro è completa-

mente riempito dal pla-

stico di scena posto di

fronte la cinepresa.

Attraverso adeguate

bucature i personaggi,

ridotti a causa della

distanza, rientrano all’interno dell’inquadratura

mentre lo spazio restante risulta

integrato nell’immagine finale

grazie all’omogeneità cromatica e all’utilizzo del-

la pellicola in bianco e nero.

L’ illuminazione

naturale velata

dalle nuvole

ha consentito

(quando tali

erano le condi-

zioni atmosferi-

che) un’adeguata

distribuzione del-

le luci e delle

ombre completando

l’effetto finale.

“Le scoperte artistiche sono difficili da trasportare. I colori direttamente dal vero. Natural-

praticamente la conseguenza si rovesciavano e questo rende- mente la rivoluzione impressio-

diretta di scoperte tecniche. va il lavoro fuori dallo studio nista esisteva innanzitutto nello

L'esempio a parer mio più visto- poco pratico. Quando si ebbe spirito dei pit tori, ma non

so di questo fenomeno è, in pit- l'idea di mettere i colori in avrebbe potuto manifestarsi in

tura, la rivoluzione impressioni- tubetti facili da chiudere con dei quel modo se gli artisti non

sta. Prima dell'impressionismo i tappi a vite, i pittori di quella avessero potuto trasportare i

pittori utilizzavano colori conte- giovane scuola poterono tra- colori nella foresta di Fontain-1nuti in ciotole. Erano recipienti sportare i colori e lavorare bleau” .

Con questo parallelo Jean ricerca.

Renoir chiarisce l'importanza

dell'avvento della pellicola pan-

cromatica (al posto della orto-

cromatica) per il cinema in

bianco e nero. L'esempio è, tut-

tavia, valido per ogni ricerca

sperimentale: è la novità tecno-

logica a muovere il dubbio sulla

vuole, piuttosto, dare funzioni

Il presente lavoro va letto in altre e inaspettate a strumenti,

questa ottica. Riappropriarsi di vecchi o nuovi, il cui utilizzo è

tecniche e pratiche manuali, stato via via circoscritto.

ricorrere addirittura a tecnologie

desuete non vuole essere un

rifiuto delle forme espressive

contemporanee in una nostalgi-

ca operazione di amarcord. Si

La ripetibilità della stampa, la

variabilità dell'elaborazione, la

capacità totale di controllo per-

mettono di ridurre i costi e i

Il computer trova la propria tempi alleggerendo marcata-

collocazione all'inizio del pro- mente il carico di lavoro.

cesso. La sua funzione com-

prende l'elaborazione, la produ-

zione e il controllo del prodotto.

dell'artigianalità propria di cam-

pi tradizionali come, nel caso in

questione, quello scenografico.

La potenza moltiplicatrice

dell'elaborazione digitale si

pone, in tal modo, al servizio

Il risultato dell'operazione,

come ogni sperimentazione,

non è del tutto prevedibile.

In un'ottica sperimentale que-

sto non può considerarsi un

difetto.

1da Jean Renoir, La mia vita, i miei film, Marsilio, Venezia 1992, p. 56

in queste pagine alcuni fotogrammi del filmato finale.Dell'intero soggetto è stata realizzata una sola sequenza di cir-ca quattro minuti, sufficiente, tuttavia, a verificare l'assunto della ricerca.Per le riprese, effet-tuate nell'ottobre 2004 in località Molin del Piano (tra Firenze e Pontassie-ve), è stata utilizzata una pellicola super 8 in bianco e nero ad alta granulosità.

IV-4IV-3IV-2IV-1

“Le scoperte artistiche sono difficili da trasportare. I colori direttamente dal vero. Natural-

praticamente la conseguenza si rovesciavano e questo rende- mente la rivoluzione impressio-

diretta di scoperte tecniche. va il lavoro fuori dallo studio nista esisteva innanzitutto nello

L'esempio a parer mio più visto- poco pratico. Quando si ebbe spirito dei pit tori, ma non

so di questo fenomeno è, in pit- l'idea di mettere i colori in avrebbe potuto manifestarsi in

tura, la rivoluzione impressioni- tubetti facili da chiudere con dei quel modo se gli artisti non

sta. Prima dell'impressionismo i tappi a vite, i pittori di quella avessero potuto trasportare i

pittori utilizzavano colori conte- giovane scuola poterono tra- colori nella foresta di Fontain-1nuti in ciotole. Erano recipienti sportare i colori e lavorare bleau” .

Con questo parallelo Jean ricerca.

Renoir chiarisce l'importanza

dell'avvento della pellicola pan-

cromatica (al posto della orto-

cromatica) per il cinema in

bianco e nero. L'esempio è, tut-

tavia, valido per ogni ricerca

sperimentale: è la novità tecno-

logica a muovere il dubbio sulla

vuole, piuttosto, dare funzioni

Il presente lavoro va letto in altre e inaspettate a strumenti,

questa ottica. Riappropriarsi di vecchi o nuovi, il cui utilizzo è

tecniche e pratiche manuali, stato via via circoscritto.

ricorrere addirittura a tecnologie

desuete non vuole essere un

rifiuto delle forme espressive

contemporanee in una nostalgi-

ca operazione di amarcord. Si

La ripetibilità della stampa, la

variabilità dell'elaborazione, la

capacità totale di controllo per-

mettono di ridurre i costi e i

Il computer trova la propria tempi alleggerendo marcata-

collocazione all'inizio del pro- mente il carico di lavoro.

cesso. La sua funzione com-

prende l'elaborazione, la produ-

zione e il controllo del prodotto.

dell'artigianalità propria di cam-

pi tradizionali come, nel caso in

questione, quello scenografico.

La potenza moltiplicatrice

dell'elaborazione digitale si

pone, in tal modo, al servizio

Il risultato dell'operazione,

come ogni sperimentazione,

non è del tutto prevedibile.

In un'ottica sperimentale que-

sto non può considerarsi un

difetto.

1da Jean Renoir, La mia vita, i miei film, Marsilio, Venezia 1992, p. 56

in queste pagine alcuni fotogrammi del filmato finale.Dell'intero soggetto è stata realizzata una sola sequenza di cir-ca quattro minuti, sufficiente, tuttavia, a verificare l'assunto della ricerca.Per le riprese, effet-tuate nell'ottobre 2004 in località Molin del Piano (tra Firenze e Pontassie-ve), è stata utilizzata una pellicola super 8 in bianco e nero ad alta granulosità.

IV-4IV-3IV-2IV-1