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1 CONOSCERE IL BALDO – GARDA I° CORSO DI FORMAZIONE PER ANIMATORI TURISTICI AMBIENTALI 4° INCONTRO: GIOVEDI’ 8 GENNAIO 2015 ASPETTI STORICI DAL MEDIOEVO ALLA “RIVOLUZIONE TURISTICA”. RELATORE: PROF. VASCO SENATORE GONDOLA In questa lezione si parte da una pubblicazione importante che ci documenta ufficialmente il riconoscimento da parte dell’autorità Imperiale nel 1163 l’autonomia del Comune di Brenzone; diciamo che è l’atto di nascita e questo documento ci porta appunto nel Medioevo. Questo documento è visibile nella Biblioteca Civica di Verona nella sezione storica dove si trova una serie di volumi pubblicata in Germania che raccoglie tutti i documenti ufficiali dell’Impero Germanico, divisi per Imperatore e anche altri documenti che riguardano istituzioni religiose ecc. Questo documento di riconoscimento dell’autonomia da parte dell’Imperatore al Comune di Brenzone (FIG. 1) è composto da due pagine, il numero del documento è il 1125, è scritto con traduzione n tedesco e poi viene riportato in “Volgare” quello che è il testo contenuto in questo documento, evidentemente si trattava di una trascrizione di un documento preesistente, la cosa interessante è quello che in questo testo ci dice. Riporto qui sotto uno stralcio inserito nel libro “Zur Geschichte des XII und XIII Jahrhunderts – Diplomatische Forschungen” di Paul Scheffer- Boichorst pubblicato nel 1897

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CONOSCERE IL BALDO – GARDA

I° CORSO DI FORMAZIONE PER ANIMATORI TURISTICI AMBIENTALI

4° INCONTRO: GIOVEDI’ 8 GENNAIO 2015

ASPETTI STORICI DAL MEDIOEVO ALLA “RIVOLUZIONE TURISTICA”.

RELATORE: PROF. VASCO SENATORE GONDOLA

In questa lezione si parte da una pubblicazione importante che ci documenta

ufficialmente il riconoscimento da parte dell’autorità Imperiale nel 1163 l’autonomia

del Comune di Brenzone; diciamo che è l’atto di nascita e questo documento ci

porta appunto nel Medioevo. Questo documento è visibile nella Biblioteca Civica di

Verona nella sezione storica dove si trova una serie di volumi pubblicata in

Germania che raccoglie tutti i documenti ufficiali dell’Impero Germanico, divisi per

Imperatore e anche altri documenti che riguardano istituzioni religiose ecc.

Questo documento di riconoscimento dell’autonomia da parte dell’Imperatore al

Comune di Brenzone (FIG. 1) è composto da due pagine, il numero del documento è

il 1125, è scritto con traduzione n tedesco e poi viene riportato in “Volgare” quello

che è il testo contenuto in questo documento, evidentemente si trattava di una

trascrizione di un documento preesistente, la cosa interessante è quello che in

questo testo ci dice. Riporto qui sotto uno stralcio inserito nel libro “Zur Geschichte

des XII und XIII Jahrhunderts – Diplomatische Forschungen” di Paul Scheffer-

Boichorst pubblicato nel 1897

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FIG. 1 – Estratto documento Imperiale di autonomia e privilegi rilasciati al Comune di Brenzone

Nell’intestazione si dice che il documento è fatto per la Maestà di Federico I

(Barbarossa) nel 1163, confermato per Federico II nel 1236 e poi segue come si vede

sopra l’elencazione dei capi principali del privilegio che viene riconosciuto agli

abitanti di Brenzone che hanno una loro collocazione geografica e strategica

particolarmente significativa e particolarmente importante perché sono a custodia

di questa area che era germanizzata, vengono quindi riconosciuti titolari di una serie

di privilegi.

Non sono chiamati a fare servizi militari, siano esenti da tutta una serie di gravami e

imposte che erano tipiche del medioevo, così per il Lago come per altre parti, quindi

una esenzione da tributi economicamente molto importante, non sono obbligati a

fornire ospitalità quindi vitto e alloggio ai soldati quando capitavano da queste parti,

importante perché così non avevano gravami che potessero andare ad incidere sulle

risorse alimentari e finanziarie della popolazione, eccetto, naturalmente, la persona

del Principe o persona da lui delegata, questi dovevano essere accolti.

Come si sa, l’Imperatore veniva ospitato presso l’Abbazia di San Zeno che era

appena fuori alla città di Verona ed era molto legata all’Imperatore, questo spiega

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perché vennero concesse molti benefici come territori e cose del genere al

monastero benedettino di San Zeno.

Precisa poi che tutte le cose che gli abitanti di Brenzone possiedono: valli, pascoli,

boschi e tutto, sia loro libero, quindi di loro assoluta libera proprietà, a loro libera

disposizione e non si possa fare eccezione alcuna. Quindi sono loro i padroni del loro

territorio. E’ un riconoscimento di notevolissima importanza anche perché con il

passare dei secoli, in questi territori troveremo che molte proprietà, soprattutto

alpeggi, malghe, le ritroviamo che sono di proprietà privata di questa o quella

illustre famiglia di nobili, qui come a San Zeno di Montagna, Caprino, Ferrara, tutta

l’area del Monte Baldo. Cosa accadrà, perché gli abitanti sono riconosciuti

proprietari? Perché la prima proprietà di questi territori che erano un po’ marginali,

che perciò non avevano un particolare interesse economico n quanto qui per

ricavare dei proventi bisognava faticare parecchio, erano territori lasciati alla mercè

degli abitanti dei luoghi i quali si organizzavano in piccole comunità rurali come i

Comuni rurali Medioevali, questo è un po’ alla radice di quel “campanilismo” che

caratterizza tutte quante le nostre aree, che sono marginali, dove bisogna

guadagnarsi da vivere con il sudore e con difficoltà ma nello stesso tempo

strategicamente molto importanti perché collocate in uno dei passaggi chiave per il

transito delle truppe ecc. Successivamente vedremo che in queste nostre zone si

insinuano proprietà di alcune famiglie, i Brenzoni, nobili, oppure i Montagna dalle

parti di San Zeno, o altri nel Caprinese, a Ferrara di Monte Baldo, acquistando

terreni dalle comunità locali che hanno difficoltà economiche e poi piano piano le

comunità locali, appena sono economicamente in grado cercano di riscattarli e di

recuperare le loro proprietà. Questo sta alla radice di quel fenomeno che

caratterizza il Baldo a differenza della Lessinia dove le Malghe sono

prevalentemente di proprietà privata, mentre nell’area Baldense, fatta eccezione un

po’ per San Zeno di Montagna, le malghe sono in prevalenza di proprietà pubblica

cioè dei Comuni, perché appunto attraverso i secoli è avvenuto il recupero da parte

degli abitanti, orgogliosi ed energici nella loro autonomia, nella loro voglia di essere

protagonisti della propria vita, di riappropriarsi di questi beni che spesso erano stati

acquisiti da queste famiglie che evidentemente economicamente avevano grosse

possibilità.

Quindi veniamo da un Medioevo dove le popolazioni sono protagoniste, vediamo

Federico I che riconosce gli abitanti di Brenzone come protagonisti, poi ci sarà una

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fase nella quale si insinuano nella zona queste famiglie, come i Bevilacqua, ai

Malaspina, legate alla famiglia dominante cioè agli Scaligeri, spessissimo gli Scaligeri

espropriano i beni che appartenevano anche ad istituzioni religiose, lo stesso San

Zeno di Verona che aveva ampie proprietà in queste zone soprattutto qui, sappiamo

infatti che Campo era territorio di San Zeno e poi Cavaion, Affi, nel Caprinese questo

per rimanere nel nostro circondario, parte di questi territori verranno acquisiti da

parte dei Principi, degli Scaligeri appunto e successivamente verranno in parte

ceduti a famiglie che sostenevano la parte Scaligera come appunto le due sopra

citate.

Quindi, come ci dice questo documento, sappiamo che il termine Brenzone non è

nato ieri (effettivamente Brenzone sul Garda è nato l’altro giorno come scelta

intelligente operata dall’amministrazione comunale).

Qui fa un brevissimo cenno sulla cosiddetta “questione Brenzonese” che

sicuramente si è già sentita sia sulla monografia su Brenzone sia nel testo che il CTG

ha fatto qualche anno fa: esistevano tutte queste piccole località che avevano una

loro autonomia e la denominazione comune era quella di Brenzone. Il termine è

antichissimo, è sempre stato indicato come termine unico per individuare

unitariamente questa comunanza di territorio che era quella di Brenzone. Nel 1819,

passata la bufera Napoleonica, la restaurazione Asburgica, dopo il Congresso di

Vienna, il territorio viene suddiviso in tre comuni (FIG. 2).

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Le motivazioni furono: probabilmente da parte delle autorità Asburgiche per

accontentare delle istanze di questa o quella comunità locale e soprattutto per

dimostrare che si cambiava rispetto al regime Napoleonico precedente. Con

Napoleone erano state fatte delle operazioni territoriali di tipo amministrativo

abbastanza significative, per esempio il Comune di Caprino Veronese nasce con

Napoleone agli inizi del 1800 e vengono accorpati dentro a questo unico comune le

singole comunità che prima erano comuni rurali autonomi di Pesina, di Ceredello, di

Caprino stesso e di Lubiara che diventano un Comune unico, la stessa cosa è

accaduta sempre nel periodo Napoleonico per Ferrara di Monte Baldo e Brentino

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che con un provvedimento amministrativo queste due comunità sono state

accorpate in un comune unico, passata poi la bufera Napoleonica, ritornati gli

Asburgo, quindi gli Austriaci, anche per Ferrara di Monte Baldo e Brentino c’è lo

sdoppiamento, quindi sono stati per pochi anni, 6 o 7 anni circa come documentato

da alcuni atti, deliberazioni dei consigli comunali di quel periodo dove venivano

divise le spese fra quelle destinate a una zona e quelle destinate ad un’altra,

Comune unico e poi con il ritorno degli Austriaci ecco che ritornano ad essere due

distinte comunità e identità comunali. La stessa cosa capita per Brenzone, solo che

per Brenzone in precedenza non c’era stata una divisione ma una unità, un territorio

unico anche se con tante piccole comunità, ciascuna con una propria identità. Nel

1840 i tre comuni vengono unificati ma con il nome di Castelletto di Brenzone e con

sede a Castelletto e non a Magugnano. Dopo la nascita del Regno d’Italia, 1866, c’è

la richiesta sia del cambio del nome perché ritorni alla denominazione originaria e

c’è forte la sollecitazione anche perché si sposti la sede comunale. L’argomento

viene evidentemente discusso all’interno delle comunità locali, viene trattato ci

sono le deliberazioni del Consiglio Provinciale che affrontano in modo organico

questa tematica e il 9 marzo 1871 si stabilisce con Regio Decreto che la sede venga

trasferita a Magugnano, quindi dal 1871 la sede che era stata destinata a Castelletto

torna a Magugnano (vedi FIG. 3); ovviamente si può immaginare la gioia degli

abitanti di Castelletto, la possiamo riscontrare con delle banalità che troviamo

attraverso la stampa negli anni successivi, per esempio si tratta di portare l’Ufficio

Postale, ma dove? A Castelletto o a Brenzone? Il porto, oppure le guardie di finanza,

insomma tutte le strutture operative che si hanno da fare provocano sempre questo

dilemma. Comunque la sede è quella di Magugnano, la denominazione resta quella

di Castelletto di Brenzone come si riscontra in tutti gli atti degli anni successivi, e

sarà soltanto il 29 marzo 1934 che viene fissata la denominazione Brenzone e non

più Castelletto di Brenzone. Il 19 febbraio 2014 diventa poi Brenzone sul Garda.

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FIG. 3 - Estratto Gazzetta Ufficiale n. 94 del 4/4/1871

Può essere piacevole tuffarsi in quello che è il vissuto di questa comunità di

Brenzone nei secoli andati, anche perché si può desumere come vivevano, quale era

la loro attività economica?

C’è per esempio un documento preso dall’Archivio di Stato che è datato 1545. E’ una

relazione di due periti che sono passati in questi territori per vedere com’era

l’andamento dell’economia, cioè in sostanza come stavano le popolazioni. Comincia

con Malcesine e lì nominano le malghe che erano di loro proprietà: Colma, Tratto

Spino, una montagna che affittano a 200 Ducati, il Fiabi ecc. e poi si passa al Comune

di Brenzone e dicono:

a detto Comune la decima di 80 Brente di olio che gli assicura largamente il

compenso negli anni buoni, poi gli affitti che sono ogni anno 24 Ducati e poi loro

affittano sul Monte Baldo Monte Mazor, che è Monte Maggiore, e rende 115 Ducati

l’anno e poi affittano la malga Prà Longo “quale ha comprato da novo (da poco

tempo) da Messer Francesco Pompeio”. La malga Prà Longo, ce lo dice il documento,

era, all’inizio del 1500 di proprietà dei nobili Pompei. Perché essendo nel 1545 e dice

che da poco il Comune l’ha acquistata. Poi l’affittano e prendono 70 Ducati l’anno di

affitto.

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Poi affittano vari pascoli, la Coronella, grande e piccola, la Cornesella, e altri termini.

Poi ancora un altro termine che conosciamo bene, cioè la montagna di Zovello, era

quindi di proprietà comunale, una porzione della montagna di Comin o Conin

(probabilmente Quain), poi parla di fieno, delle capre, il dazio della legna, che rende

Ducati 25, anche questo è importante perché sappiamo che il legname e la risorsa

del bosco sarà fondamentale per tutta l’economia successiva.

Continua il resoconto: “per essere grossissimo comune sparso e sparpagliato non gli

ha potuto intender minutamente” quindi a causa dell’estensione del Comune, non

hanno avuto la possibilità di ispezionarlo dettagliatamente. Comunque questo

documento dice quello che han potuto vedere., quindi parla di bestiame, di vacche,

di capre, più di 1500 capi, poi ancora, “item (parimenti) hanno assai di mulli, cavalli,

asini a grosso suo utile e comodo per il condurre gli oli e le altre cose loro” quindi

non c’erano i trattori e i mezzi vari e servivano a questo scopo.

“hanno da 50 para di boi” ci sono 50 paia di buoi nel 1500, significa che coltivavano

la terra quindi non era soltanto dirupi o terreni sassosi, se c’erano dei buoi, 50 paia,

quindi un numero abbastanza consistente. Circa 300 persone, teste utili per poter

essere conteggiate per la tassazione. C’è una cosa molto interessante e curiosa che

può anche far piacere nel senso che qui dicono “che a quanto si pol sapere tengono

uno loro libro dove si segnano i suoi conti” quindi hanno paura del controllo fiscale e

quindi hanno un libro delle loro entrate che tengono di nascosto e un altro pubblico

che fanno vedere quando è necessario “per nodar le cose di comun che vogliono che

si veda” evidentemente le altre no. Poi si dice ancora che ci sono gli uomini che

hanno le loro attività e li nomina. Non ci sono i cognomi perché in quel periodo non

esistevano. Quindi cita un Zuane de Fasor la cui attività può essere computata con

40 Ducati, la Casara degli Zanoni quandam Veronesi da Biaza quindi figli del

Veronese, per noi Veronesi o Veronese è il cognome, per loro è il nome del padre,

spessissimo poi il nome del padre è diventato il cognome, esempio, di Consolino poi

diventa Consolini odierni. Li Filioli quondam Tomasin da Castelletto, poi Bertolino

dal Lago, Bernardi, Zamperino da Castelletto, el Mantoano da Campo probabilmente

era uno originario del Mantovano, Grigoloni da Campo, Zuan Battista de Crisotti, poi

evidentemente diventato Cressotti, il cognome nasce qui, quelli Del Bon dal Lago,

Donna Bressana, Iseppo e fratello, el Manara, ecc. un elenco dei nomi esistenti nella

realtà di allora.

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Rispetto alla riviera bresciana questa nostra veronese era più debole, più povera dal

punto di vista economico perché sul bresciano il territorio era più vasto, l’agricoltura

rendeva di più, comunque questo territorio complessivamente, sulla base di questo

documento, poteva fornire: Brenzone 615 Brente di olio, facendo il conteggio, una

Brenta era 67-68 litri, mentre per esempio a Malcesine la quantità di olio prodotto

corrispondeva a 2000 Brente, quindi la produzione di olio di Brenzone alla metà del

1500 è significativa e consistente ma inferiore a quella di Malcesine. Peraltro con il

passare del tempo, nel corso dei secoli successivi, vedremo che la produzione di olio

e di olive si irrobustirà notevolmente. C’è da ricordare una cosa, quando le persone

si indebitavano, pagavano poi con l’olio, quindi l’olio era merce preziosa, come

ricordato nella precedente lezione, nei contratti dei frati Benedettini era previsto

che ogni anno venissero piantate 28 piante di olivo sul territorio, questo per

incrementare il valore in quanto appunto il valore dei terreni a olivo era

infinitamente superiore rispetto a quello dei terreni agricoli normali e quindi l’olio

era merce estremamente preziosa tant’è che se una persona aveva dei debiti

concordava di pagare con questa merce. Il problema era quando c’erano momenti di

siccità o di scarsa produzione per cui il valore dell’olio aumentava notevolmente e

quindi si trattava di rivedere le quote dovute. I debitori cercavano di abbassare la

quantità da consegnare mentre i creditori volevano mantenere quelle che erano

state le quantità pattuite per l’estinzione dei debiti.

Complessivamente, nel 1545, Brenzone ha 615 Brente, come detto prima, per un

totale di ettolitri 422, mentre per Malcesine sono 1373 ettolitri.

Nel 1519 in un altro documento precedente a quello appena visto, si dice che a

Brenzone venivano prodotte 175 Brente e 11 Bacele (probabilmente una misura

inferiore alle Brente) e a Castelletto se ne erano prodotte 83 Brente, qui sono

segnate distintamente le due produzioni di Brenzone e di Castelletto. Per un totale

di ettolitri 198. Sono delle quantità significative perché quando poi andiamo a

vedere delle note agli inizi del 1900, c’è Don Pighi che in una piccola monografia

dedicata a Brenzone indica anche le quantità di olio prodotto ma non è tanto

superiore a queste cifre.

Siamo nel 1500, il Comune compera dei terreni, c’è un dinamismo da parte degli

abitanti. Ora scorreremo un documento di acquisto, un atto notarile, trovato nel

fondo di un Notaio che si chiama Francesco Crissotti, evidentemente Cressotti, i

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nomi con lo scorrere dei secoli si trasformano. Il documento che non leggeremo per

ntero in quanto sarebbe un po’ noioso, è interessante intanto per vedere come si

scriveva un atto notarile nel 1500, la grafia è particolare:

“emptio (acquisto) Comunis Brenzonii (acquisto da parte del Comune di Brenzone da

chi? Chi è il venditore) a Adelaido et fratribus (da Adelaido e i suoi fratelli) quondam

(figli di) Joannes Mariae Consolini de Sommavilla”. Datato 19 giugno 1579. Siamo in

una comunità profondamente cristiana dove ogni respiro va riferito sempre al Padre

Eterno, quindi si nizia “In Christi nomine” cioè nel nome di Gesù Cristo. Qui ci sono

degli aspetti interessanti per chi si volesse appassionare alla brachigrafia

Medioevale. La parola anno porta una onda sopra la “n” è il segno di doppia a

nativitatet ma c’è scritto natet, la brachigrafia Medioevale usava dei simboli per

accorciare le parole scritte, si aveva fretta di scrivere, ma più probabilmente non si

volevano sprecare le pergamene perché mentre per noi la carta è una cosa comune,

allora un pezzo di carta era un qualcosa di straordinariamente prezioso, spesso

erano pergamene, ovvero una pelle di pecora trattata, lavorata, lisciata e poi

utilizzata per un documento, magari cancellata e riutilizzata per un altro documento

e così via. Evidentemente siamo noi abituati male a sprecare.

Prosegue il documento, “ejus Dei 1579 indixione XII” L’Indizione era un modo per

dare una datazione dalla durata dell’Impero o di un riferimento politico del tempo.

“Die dominico” cioè di domenica, si vede che il notaio lavorava di domenica.

“19 mensis junii” 19 del mese di giugno “in castro Brenzoni” quindi siamo in un luogo

fortificato

“Veronae districtum” Brenzone si trova nel distretto di Verona “sub lobia comunii”

dove materialmente, siamo nel castello di Brenzone, sotto la loggia del Comune, ci

sarà stato un portico, una struttura “lobia” significa loggia, pergolato, cioè qualcosa

che può proteggere, d’altra parte il Medioevo si caratterizza per l’esistenza di

strutture edificate con i portici, tutte le città Medioevali sono fatte così in genere.

“presentibus” sono presenti a questo atto “Bartolomeo Calzaverio filio Jacobi de

Canceleriis” figlio di Giacomo dei Cancellieri “vice castellani castri Malcesinis” era

vice responsabile del castello di Malcesine. Dalla parola “castris” si ricava che il

luogo è il castello che c’era a Brenzone.

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“Jacomo quondam Joanni Caramellis de Cassono” questo viene da Cassone “et

Joanne Francisco quondam Dominici Patene aque Antonio Donat quondam

Bernardini Binelli de Cassono”

“Delaudus” venditore, c’è tutta una serie di premesse “dedit” dette o vendette e

consegnò a “Baptiste filio Richeti quondam Batiste Massaro” cioè al Sindaco di

Brenzone che allora nel 1579 è Battista figlio di Enrico o Richetto il quale a sua volta

era figlio di un Battista, per non confondersi a volte si dava paternità e anche

paternità del padre, e poi a chi ancora, oltre al Massaro vende a “Consolino

quondam Michelis Consolinii” a Consolino figlio di Michele di Consolini “Jacomo

Chemasio” come si vede sono i cognomi attuali “Jacomo quondam Juliani Chemini,

Joanni quondam Tomei Brighenti” questo visto così sembra Brigenti ma guardandolo

un po’ ingrandito dopo la e c’è un segno che è la solita brachigrafia Medioevale che

significa h, quindi Brighenti, “Jacomo quondam Bernardini, Joanni quondam

Jeronimi, francisco quondam Joanni Mariae Molentinari” questo era il mugnaio era

figlio del mugnaio. Scorriamo il documento c’è qualche altro consigliere comunale

“Joanni Antonio Crissotto, Veronensio quondam Vincenzii, Juliano quondam Joanni

Petri, Dominico quondam Antonii Bernardi ed Domenico quondam Veronensi

consiliariis Comuni Brenzoni presentibus et enentibus” presenti ed acquirenti cioè

che comperano, ma non a titolo personale “in nomne et vice dicti sui Comunis”

comprano in nome e in vece del loro comune, quindi rappresentano la comunità.

Secoli fa forse facevano gli atti notarili migliori dei nostri, con una attenzione alla

precisione e a mettere i puntini sulle i dove andavano.

Questo Signor Adelaido con i suoi fratelli vende a questi rappresentanti del Comune

di Brenzone “Prezio ducatorum centosexaginta de grossus” vende al prezzao di 160

ducati d’oro, una bella cifra, un terreno che il comune aveva già preso in affitto e per

il quale terreno il comune già pagava un canone annuo. Sotto viene confermato che

il Comune di Brenzone è diventato pienamente proprietario di questo terreno a

Sommavilla. Testimoni a questo atto quindi ci sono una manciata dinostri antichi

concittadini che avevano la responsabilità della cosa pubblica.

Gli uomini del Comune di Brenzone, nel corso del 1500, acquisteranno

progressivamente terreno, è una comunità dinamica, attiva, avrà sicuramente delle

difficoltà economiche, perché abbiamo visto che a confronto con la sponda

Bresciana questa si trova in una certa difficoltà ma è una comunità energica, forte.

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Passiamo a un altro documento, legname.

Ricordo quella bella memoria scritta dall’ex Sindaco Ennio Sartori, parlava di questa

realtà dopo la vediamo perché nel corso dell’800 ci sono dei dati sull’economia di

questa nostra zona nel periodo Asburgico e sappiamo quanti quintali di legna

venivano tagliati e Brenzone, con Malcesine e anche con un po’ Caprino. Ma

sappiamo che era Brenzone il Comune che produceva una grande quantità di

legname che veniva destinato poi a coloro che lo utilizzavano. Ma non solo nell’800,

era una tradizione evidentemente, così la troviamo in questo atto notarile, sempre

del Notaio Francesco Crissotti, che è interessante e anche inconsueto.

Non è un atto di “emptio” cioè di acquisto come era quello precedente ma è un atto

di “venditio lignorum” vendita di legnami “facta” fatta “per consiliarios Comunis

Brenzoni al domino (signor) Silvano de Serafinis de Gardono riferie Salodi” quindi era

un signore di Salò. Quando poi il Comune di Brenzone affittava anche le malghe,

spesso quelli che le prendevano in affitto provenivano dal Bresciano, dal

Mantovano. Allora la tendenza era quella di riservare ad alcuni allevatori della zona

dei territori messi a disposizione gratuitamente o quasi, ma queste cose che

portavano proventi significativi erano richieste dai grandi allevatori della pianura,

perché il grande allevamento bovino in questi anni nella nostra zona non c’è ancora

perché avevano sì pecore, capre, un po’ anche di maiali e le mucche servivano

soprattutto come forza lavoro, avevano i buoi come visto sopra però spesso i muli,

gli asini o le mucche venivano utilizzate per tirare l’aratro, oppure qualche vacca in

casa, erano pochi quelli che avevano grandi allevamenti, mentre i grossi allevamenti

erano nella Pianura Padana, non per niente le mucche erano dette “le Bergamine”

perché spesso venivano dal Bergamasco, questo termine entrerà nella

consuetudine.

“Venditio lignorum ecc.” a questo signor Silvano evidentemente il nome spiega, lui

compera legname, si occupa di legna e Silvano vuol dire uomo della selva, era a

vocazione commerciale ormai determinata. “In Christi nomine” nel giorno, nel luogo

e con i testimoni anzidetti, cioè quelli del precedente atto che non riscrive . Questo

atto è del 19 giugno 1579 quindi lo stesso giorno di quello precedente.

“Ante dicti consiliarii Comunis Brenzoni” i sopra nominati consiglieri del Comune di

Brenzone, agendo per tutte le cose e ogni singola cosa (si nota la precisione di questi

notai questi stipulano questo atto tutte le cose e ogni singola cosa) in nome e in

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vece del loro Comune “et omnus ilius” e qui siamo di fronte a un enigma: i padroni

sono il Comune o gli uomini? Si sa che nel Medioevo ci sono gli “Originari” che non

sono solo quelli di Pesina, ma c’erano in tutti i Comuni ed erano i discendenti di

quegli abitanti del luogo che originariamente si erano insediati in quei posti, erano

loro praticamente i padroni, o se non erano inizialmente i padroni avevano

acquistato i loro beni dai Signori. Allora ii Comune ha una rete giuridica e la

Corporazione degli Originari, che si fonde con il Comune ma giuridicamente sono

due cose distinte. Quando poi arriva Napoleone, ha fatto piazza pulita di tutte le

cose che potevano costituire ostacolo all’espansione del potere dello Stato, perché

Napoleone è un centralista, quindi spazza via le Corporazioni religiose, espropria i

beni dei conventi ecc., e quando si ritrova queste Corporazioni degli Originari si

chiede quali diritti vantino, ne nasce una fortissima vertenza che, come riscontrato

in atti presso l’Archivio distato di Verona, relativi a Brenzone, a Ferrara di Monte

Baldo, relativi alla Val d’Adige, cioè una cosa comune per tutti i territori vicini, questi

Originari dicono che loro sono da sempre stati i padroni dei propri territori e non

vogliono che questi vengano espropriati. Con un provvedimento di Legge del

periodo Napoleonico si dice: o dimostrate con atto notarile che voi (Originari) siete

legittimamente proprietari oppure questi terreni e beni verranno espropriati. Quindi

diventano proprietà dei Comuni, proprietà pubblica, del Comune come Ente

Giuridico a sé stante, in precedenza il Comune come Ente non aveva una personalità

giuridica, era una realtà di riferimento ma giuridicamente erano gli Originari che

detenevano personalità giuridica. Come andrà a finire questa storia ai primi

dell’800? Che in buona parte gli Originari non poterono documentare il titolo di

possesso non avendo in mano i documenti per provare la loro proprietà, si salvano

soltanto gli Originari di Pesina, perché per loro fortuna, siccome avevano avuto una

vertenza con il Comune di San Zeno di Montagna riguardo ad alcuni loro territori,

avevano degli atti notarili freschi, a portata di mano, gli altri invece andavano per

tradizione per diritti tramandati e non furono riconosciuti. Gli Originari di Pesina poi,

avendo avuto il riconoscimento di una parte dei loro beni, esattamente quelli

indicati negli atti notarili che sono riusciti a produrre, in seguito li hanno venduti,

perché avevano probabilmente necessità di realizzare delle entrate.

Quindi i Consiglieri fanno questa loro operazione e vendono il legname a questo

signore che viene da Salò che evidentemente lo vuole trasformare in carbone.

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“Vendiderunt domino Silvano de …. , presenti et tementi per se et eredibus” negli atti

c’è sempre il vincolo anche per gli eredi, per tutelarsi era meglio vincolare non solo

chi stipula ma anche chi eventualmente in caso di morte improvvisa e imprevista

possa subentrare come erede che quindi ha dei vincoli “omnia ligna” tutti i legnami

“existentia in silva pratoribus Brenzoni” nella selva e nei prati di Brenzone “pro

conficendo carbonum” per fare carbone “infra sua confinia nota dicta domino

Silvano” fra i confini che sono ben noti all’acquirente cioè a colui che compra questo

legname “ad abendum” formula di rito cioè lui ha diritto ad avere questo “precio” al

prezzo “solidorum deciemsepte ed denariorum trium denariorum veronensi et pro

quoque sacco” cioè vendono a “sacco”, quindi bisognerebbe sapere se intendono

sacco di legna tagliata o sacco di carbone realizzato, comunque il prezzo è “a sacco”

che evidentemente era una unità di misura usata al tempo “et sacchi carbone “ poi

prosegue “in denaris nominalia re ecc. quantitate summarie …” poi “promittente de

nomine manutenere dicta ligna item convenerum” cioè promettono (i venditori) di

mantenere questo legname che certamente hanno visto con un sopralluogo per

vedere la quantità ipotizzata del legname, loro promettono che mantengono il

legname, quindi non lo vanno a tagliare per ingannare l’acquirente, quindi mettono

questa condizione, “que in tertia annorum quatro” quindi in tre quattro anni “de

Silavanum teneatur devia inciset” lui deve tagliare il suo legname “et incidete cis

dicta ligna ita que finita quadriennio” finito il quadriennio cioè passato il quarto

anno di questo periodo assegnato “sit rimitus et cesset actus incidenti ex facto”

quando sono passati i quattro anni, se ha tagliato la legna bene, altrimenti non taglia

più neanche un rametto, questo per cautelarsi, e la quantità l’avevano ipotizzata

sopra. “Convenerunt quoque que dicto Silvanus non possit urere neque uri facere

supra dicta silva frontes alicuius nec erbas nec fracto” cioè l’acquirente non può e

non deve bruciare le frasche, porta via la legna che gli serve per fare il carbone ma

non può bruciare né fronde né erbe perché queste saranno utilizzate da quelli che

abitano in quei posti, vendono un buon legname, acquisiscono una bella somma di

denaro quantificata in cifra per sacchi ecc. Sapevano fare le loro attività, i loro

interessi. Allora non c’erano altre grosse entrate (non c’erano ancora i turisti

tedeschi), c’era la pesca però i pescatori di Brenzone erano poca cosa, erano più a

Torri, a Garda, nel basso lago, qui c’erano soprattutto pescatori occasionali di agole

pesciolini per la sopravvivenza, per l’alimentazione famigliare, spesso seccavano

questi pesci oppure facevano la salamoia, ma la pesca non era un grande elemento

dell’economia di Brenzone. Invece importante era poi anche l’affitto delle malghe,

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prima è stato nominato Prà Longo, che avevano comperato dalla famiglia nobile,

adesso vediamo che la affittano, questo atto è del 1570, il Comune affitta la malga di

Prà Longo ai nobili Carlotti, antichi vetrai di Garda come attività originaria poi

nobilitati. Qui il documento non è ben leggibile “Locatio temporalis Comunis

Brenzoni contra nobilem Andrea Macarlottum” quindi affitto temporale del Comune

di Brenzone nei confronti del nobile Andrea Carlotti, “in Christi nomine, anno ecc.

ecc.” e quindi affitta questa malga, poi il resto non è ben leggibile. C’è un altro atto

di affitto di malga molto interessante perché è chiarificatore. Relativamente alle

malghe ci sarebbero delle cose interessanti da precisare, quello che è stato spesso

detto andrebbe ritoccato in parecchi punti, per esempio, le malghe erano in legno,

quando andiamo in montagna e vediamo i baiti diciamo che è un edificio

dell’antichità, ma non è vero, questi baiti in sassi sono della fine dell’800 in genere,

perché i baiti, ossia i luoghi di lavoro dei malghesi erano in strutture su base in

pietra, una marogna a secco in pietra, un recinto sul quale si conficcavano dei pali in

legno e poi una struttura lignea coperta di frasche o di paglia o di quello che ci

poteva essere e diventava un casone, questi casoni di paglia e legno offrivano una

certa tutela, una certa garanzia, però, quando arriva per esempio la Guerra di

Seccessione Spagnola agli inizi del 1700, c’è un documento di un prete del Bresciano

che descrive quello che è successo e dice “hanno bruciato tutte le malghe del Monte

Baldo” e le lamentele sono queste, nel corso della storia dei secoli, le vicende che

riguardano le malghe, arriva una bufera, c’è un signore di Caprino un certo Chignola

nel 1600 da un atto notarile, che ha una vertenza con il comune di Caprino che gli

aveva affittato una malga e dice che è arrivata una bufera e chi rimette in piedi il

casone? Perché la bufera ha abbattuto la struttura in legno che evidentemente non

era ben ancorata.

Questi casoni erano mobili, si dovevano spostare periodicamente, in alcuni contratti

è scritto espressamente che il casone deve essere spostato ogni due o tre anni per

conto dell’affittuario, lo scopo dello spostamento era quello di fertilizzare il fondo,

perché tra l’altro, una delle condizioni che compare sempre sistematicamente sui

contratti di affitto, come visto in tanti contratti e da uno studio fatto per l’Università

sulle malghe del Baldo sistematico, partendo dal Medioevo, di cui si è occupato per

la parte storica dal 1500 in avanti, e per quello dice che si riscrive un poco quella che

è la storia relativa agli alpeggi, i casoni dovevano essere spostati periodicamente per

questo motivo, anche perché non c’era altro modo per rendere fertile la montagna,

se l’affittuario portava via il letame, le grassine, impoveriva la montagna, come

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faceva l’anno dopo o qualche anno dopo ad essere fertile e ad esserci la bella erba

per il pascolo, allora una delle clausole presenti sempre nei contratti di affitto delle

malghe di Brenzone come degli altri Comuni del nostro territorio, è proprio quel

divieto di portar via le grassine, di portar via il letame perché doveva restare sul

terreno, quindi la mobilità del casone aveva anche questa funzione. Ne vediamo noi

di queste basi di casoni? Una volta che partiamo con il concetto che esistevano

questi casoni, andiamo a vedere per esempio di bellissimi tra Ortigara e Ortigaretta

sotto al sentiero si vedono dei quadrati dei muriccioli a secco, si potrebbe pensare

che magari c’era l’orto, certamente c’era anche quello, ma è probabile che quelle

strutture fossero i basamenti dei casoni.

A Valfredda c’è una struttura muraria che si sa che è nata alla fine dell’800, ci sono

anche i nomi dei tecnici che hanno elaborato il progetto, ha quella particolare

struttura “a nave” in posizione sempre areata ma sono costruzioni della seconda

metà dell’800 a meno che non abbiamo casi come Malga Basiana per esempio dove

c’è una struttura unica in muratura, l’unica struttura in muratura, di sicurezza

presente nelle malghe del passato era, visto che nelle malghe si produceva

formaggio e ai tempi c’erano furti di formaggio come di bestiame, poi c’erano

pericoli per i lupi, i cani avevano i collari, ci sono pagine letterarie che parlano di

assalti notturni di banditi che vanno ad assalire queste baite, non era il casone che

era luogo di lavoro ma era la casara. La casara aveva una sua struttura architettonica

ben identificata, ossia un corpo rettangolare, bello robusto senza finestre con solo

una finestrina sul retro per poter dare aria e due finestrelle piccoline sul davanti e

davanti all’ingresso c’era una loggetta di protezione, un portichetto. Questa

struttura noi la troviamo nelle casare che ci sono in giro sul Baldo.

Con il passare del tempo è successo che in alcuni casi le casare sono rimaste

autonome e i casoni si sono poi trasformati in edifici in muratura, si pensi a

Valfredda dove ci sono le due casare che oggi sono utilizzate per altri scopi e ci sono

i due baiti che in realtà sono entrambi della fine dell’800. Se ci spostiamo a Basiana

vediamo la casara perfettamente individuata con un corpo aggregato sul fianco che

era il luogo di lavoro, cioè il casone, dopo che in origine era stato spostato sul

territorio e anche lì ci sono dei segni ben identificabili, poi questa struttura è stata

trasformata in permanente, appoggiata alla casara e questa storia architettonica la

ritroviamo lì come la ritroviamo nel Comune di Albarè per esempio dove il baito di

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Albarè attuale è stato realizzato aggiungendo, allargando e allungando la casara che

preesisteva.

Affitto di Valvaccara 1564

“Locatio temporalis Comunis et hominum Brenzoni” sempre con la doppia formula

vista prima “contra Rirum Zanolinum de Gelmettis de Asola” proviene da Asola, ha

preso in affitto la malga di Valvaccara che è una delle malghe preziose del Comune

“in Christi nominae anno nativitate ecc.” “con denti viri Jacomus Manara Massarius

Comunis Brenzoni et Consolinus quondam Michelis, Bartolomeus Cressottus et

Jacopus quondam Bernardini de Castello, consiliari Comuni Brenzoni, agente intra

dicta omnia et singula nomine vice ecc.” solita formula che si ripete, questi

consiglieri del Comune di Brenzone assumono un impegno, affittano a questo

signore in nome del loro Comune, c’è una clausola che vincola qualora i locatori

contravvenissero alle condizioni, affittano “nomines locationis temporalis incepture

de anno 1576 e tempore ad pasculum et duraturum ad annus quinque” quindi gli

affittano per 5 anni nel periodo estivo la malga a questo signore di Asola, abitante in

Retoldesco Mantova, cosa hanno affittato? “Montaneam teum lessinium” la

montagna o il pascolo “vaccis” da vacche, questo viene precisato perché c’erano

anche i pascoli per le pecore, nelle parti alte era destinato al pascolo delle pecore e

nelle parti basse era pascolo bovino “vocatam Valvaccara jacentem parti in

pretinentia Brenzoni“ che si trova parte nel territorio del Comune di Brenzone “et

parti Montanae” e parte nel Comune di San Zeno di Montagna “supra Monte Baldo,

suos inter confines solita est affittaris” come è solito essere affittato questo pascolo,

questa malga, poi avanti “ad advendum, tenendum, meliorandum et non

pejorandum” chi prende in affitto deve aver rispetto del bene “ad abendum” perché

lo possa avere ma anche “tenendum” tenerlo quindi utilizzarlo per i propri scopi

“ma meliorandum” lo deve migliorare non sfruttarlo, tagliar tutto portare via e

lasciare cotico, “et non pejorandum” se non fosse stato chiaro che doveva

migliorarlo precisa ulteriormente che non deve peggiorarlo, altra condizione è che

l’affitto deve essere pagato a metà settembre 130 Ducati d’oro, una bella entrata

per il Comune. Se si mette Valvaccara e poi altri pascoli che il Comune poteva avere

che venivano regolarmente dichiarati e censiti negli estimi a partire dal 1600, si vede

che il Comune introitava delle belle somme. Deve essere pagato in Brenzone in

monete veronesi “et sic omni anno durante presente locationi siet in toto buono

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auro” e pagamenti siano fatti in buona moneta d’oro, quindi non monete fasulle,

vogliono essere pagati per bene.

“Quam locationem convenerum procedere compacta ….” Seguono le condizioni

dell’accordo:

1) Che questi locatori, cioè il Comune che dà in locazione, deve garantire la

casara e dentro la casara bisogna fare due grate in ferro, anche manutenere e

dare in affitto in condizioni agibili la pozza d’acqua che era fondamentale a

spese del Comune, quindi il Comune dà la malga, affida la casara che è la

realtà più preziosa ed unica in muratura e deve dotarla anche di una difesa in

ferro, in modo che chi ci mette dentro il tesoro, le sue cose, sia garantito, in

più devono garantire l’acqua o della pozza e poi della fontana.

2) Parimenti il conduttore, cioè chi prende in affitto, è tenuto a restituire il

legname utilizzato per confezionare i casoni e restituire gli stessi casoni come

li ha ricevuti. Il conduttore non ha diritto ad andare a tagliare il legname, il

legname è preziosissimo, per cui il conduttore poteva pascolare, poteva

usufruire della casara, poteva lavorare, poteva utilizzare il legname necessario

per fare il formaggio e per mettere in sicurezza il casone, ma non poteva

tagliare la legna come voleva, se non per l’uso della caldera, per fare il

formaggio, salvo che ci sia necessità per il casone, per esempio un palo

marcito da sostituire, delle frasche da tagliare, ma solo seguendo gli accordi.

3) Il conduttore non può tenere sopra detta montagna i maiali, se non con il

ferro al naso, perché siccome i maiali vanno a grufolare, scavano le radici e

mettono tutto sotto sopra, quindi rovinano il cotico di questo fondo e quindi

va salvaguardato, “sub pena” qui si fanno delle prescrizioni però bisogna

indicare anche la pena se non le si osservano altrimenti evidentemente non

servono a niente, infatti molti documenti parlano anche di cause e ricorsi che

il Comune di Brenzone ha fatto al Vicario di Torri che era competente per

l’amministrazione della giustizia di questa zona, spessissimo nel ‘700 era un

Damadice uno della famiglia dei Nobili Damadice, ricorsi dovuti a persone che

hanno portato i maiali, fuori dalle norme pattuite che hanno depredato i

terreni e allora vogliono essere pagati e risarciti, così se portano le capre

perché queste vanno a mangiare germogli nei posti più impensati e rovinano

il fondo, così magari hanno portato via il letame, l’hanno venduto a qualcuno

perché, ovviamente, allora non c’erano i concimi da comperare e quindi

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furbetti c’erano e allora si ricorreva alla giustizia. Quindi i maiali possono

essere portati ma solo se hanno l’anello al naso, il grugno, sotto pena di due

libbre, una pena pecuniaria, per ciascun maiale abusivo, una parte della multa

andrà a beneficio del Comune e una parte andrà a beneficio del fisco, a

sanatoria del danno. I porcellini da latte si possono tenere senza nessuna

sanzione. Su questa montagna di Valvaccara il conduttore può tenere i bovini,

non può tenere i maiali liberi, non può tenere le pecore se non da metà in su,

perché Valvaccara ha una parte che è adibita al pascolo dei bovini e una parte,

la superiore a quello delle pecore. Il Comune che affitta è tenuto ad andare

assieme col conduttore per verificare i confini e fargli vedere dove può andare

e dove non può.

L’atto termina dicendo che se per caso nelle convenzioni precedenti ci fossero degli

accordi non contemplati in questo si intendono dati per acquisiti.

C’è anche una riunione della Vicinia del 1644 fatta in Brenzone, in pratica, una

persona ha interesse a far parte della comunità di Brenzone, adesso una persona

che acquista un immobile, porta la sua residenza, nessuno gli chiede niente, si

registra presso gli uffici comunali ecc. Ma in questi tempi un esterno che intendesse

entrare sul territorio avrebbe automaticamente fruito dei benefici di divisione dei

proventi dei beni della comunità; la Corporazione degli Originari, dal ricavato degli

affitti delle malghe e di altri beni ottenevano del denaro che poteva essere utilizzato

per spese comuni, spesso erano gli Originari che pagavano il maestro, oppure

spendevano per qualche opera pubblica, però c’era anche un dividendo, c’era anche

un qualche cosa che restava ai singoli che erano proprietari. Quelli di fuori, entrando

a far parte della comunità doveva essere accettato, dovevano mettere agli atti se lo

accettavano o meno a far pare di questa consortìa, questo avveniva sotto alcune

condizioni: un periodo di tempo di presenza e una somma da pagare come diritto di

ingresso, quindi pagava una certa somma e successivamente entrava a far parte

della comunità. Questa deliberazione per ammettere a far parte della Corporazione

degli Originari un non Originario doveva essere vagliata e varata e deliberata dalla

Vicinia che era la comunità degli Originari, del corpo sovrano locale. Come si vede

noi oggi abbiamo una democrazia che per certi aspetti non regge a confronto con

una democrazia diretta di altri tempi perché non c’era l’ombra ossessiva dello Stato,

della entità pubblica e quindi le persone che abitavano in un luogo erano

effettivamente padroni, erano più a rischio, più esposti perché effettivamente non

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c’erano le forme di tutela e così via, però per certi aspetti avevano una maggiore

decisionalità nelle loro cose. La Vicinia doveva essere tenuta alla presenza e sotto la

presidenza del Vicario di zona, quindi a lui doveva essere richiesta la convocazione

della Vicinia, autorizzata e poi loro decidevano; era una forma di democrazia diretta

diversa dalla nostra attuale.

Nel 1756 ci sono dei documenti vari per esempio questo: Il Comune di Brenzone ha

dei beni, e se c’è gente che va a tagliare abusivamente il legname? Oppure va a fare

qualcosa che danneggia questi beni che sono della comunità? La comunità vuole

essere in qualche maniera tutelata e allora chiede che ci sia un pronunciamento di

legge che tuteli i beni di Brenzone, emanato dalle autorità tutorie cioè dal Capitano

del Podestà di Verona che rappresentano lo Stato di Venezia. Questo per esempio è

un atto di questo genere e dice: “… perciò ad istanza della detta Comunità di

Brenzone, suoi consiglieri et eletti della stessa, si fa pubblicamente intendere e

sapere (quindi si emana un bando, un decreto) che non vi sia alcuna persona di che

grado e condizione esser si voglia (quindi qualsiasi persona, ricco, povero, nobile o

non nobile) che ardisca o presumi sotto qualunque voglia, color o pretesto di inferire

o far inferire alcun immaginabile danno alle terre di ragione di detta comunità di

Brenzone” cioè nessuno abbia ad ardire di danneggiare i beni che sono di ragione

della comunità di Brenzone, su richiesta del Comune di Brenzone. Qui siamo nel

1756, vuol dire che evidentemente i Brenzonai avevano qualche motivo per

chiedere una tutela maggiore perché si erano accorti che c’erano dei furbacchioni

che approfittavano, e allora chiedono l’intervento delle autorità per far rispettare

loro beni e tutelarsi. Ed elenca quali sono questi beni: “campi, prati, monti, pascoli,

selve, case, cortili, orti, peschiere, broli, vigne, olivari, castagnari e altri fruttari di

qualunque genere ovunque esistenti sotto il proprio domnio”. Quindi la tutela di tutti

i loro beni con un decreto pubblico quindi significa che gli abitanti di Brenzone,

attraverso i loro amministratori sapevano, in caso di necessità, come fare e a chi

rivolgersi.

Alle volte c’erano delle denunce, qui ne troviamo una del 1756, una denuncia contro

abusi commessi nelle malghe. Un’altra dello stesso anno, altra denuncia di abusi e la

tipologia del danno denunciato: “si denuncia e si manifesta a questo spettabile

ufficio delli consiglieri del Comune di Brenzone siccome Giacomo Antonio Boccola

quondam Giacomo, conduttor della montagna Prà Longo, Giacomo e fratelli

Chemasi quondam Tomio conduttor della montagna Trovaj e Bartolomeo Zanetti

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conduttor della montagna Brione detta di ragione di suddetto Comune tengono

sopra suddette montagne schiapi di capre contro il tenor delli capitoli montagne con

danni notevoli delle medesime” quindi contro gli accordi dei contratti e con

danneggiamento.

“Parimenti Francesco Chemasi quondam Giacomo, Gerolamo Consolini figlio di

Francesco, Bortolo Giuliani di Giovanni Antonio e Fratelli Brighenti quondam Bortolo

tutti questi di propria autorità si son fatto lecito di tagliare legne sopra le montagne

di questo Comune e far carbone instando che a norma della ducale sarà anco tale

effetto …. Ecc. ecc. il danno che con codesto taglio hanno apportato a codesto

Comune” quindi si chiede giustizia.

L’altra volta avevamo visto un documento di fine 700, è interessante perché è il

documento del Marocchi che è stato utilizzato più volte, questo manoscritto si trova

presso l’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, non è stato mai

pubblicato integralmente, non è lunghissimo però è interessante, dà la popolazione,

dà altri dati relativi ai luoghi ma la cosa interessante è che dà anche dei dati relativi

all’economia e alle caratteristiche dei luoghi. Dice che ci sono varie ville: Senza ossia

Menarolo, villa situata sulle rive del lago e richiama la nobile Famiglia degli

Spolverini, poi parla di Porto, poi di Vaso dove dice che è un mulino a due rote,

(questo è importante perché, facendo un salto si arriva alla Magnesia) quindi nel

1700 c’è già questo mulino da macinar grano, così chiamato Vaso di acqua che giace

tra Porto e Magugnano lontano dalla Parrocchia di Brenzone mezzo miglio forma

famiglie 1 anime 4. Quindi il grano era prodotto quindi oltre alla legna,

l’allevamento, un po’ di pesca c’era il grano, le castagne, stommaco (una granaglia),

poi utilizzavano le scorze di rovere per tintura per la colorazione dei tessuti o delle

pelli, c’erano anche queste varie attività nelle corporazioni, Magugnano luogo dove

vi è la casa della comunità dove i capi famiglia si congregano per discutere gli affari

spettanti al pubblico vicino alla Parrocchia che è la sede delle discussioni comunali,

San Giovanni Parrocchia, Castelletto luogo alquanto ampio con un porto destinato a

ricevere le barche che vi approdano, nominato per esservi stati anticamente vari

castelli ecc. Proseguendo si arriva a quella che è l’economia. Nella descrizione

stranamente trascura alcuni aspetti, questo era un dottore incaricato di stendere

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una relazione sul territorio, probabilmente è stata fatta in un modo un poco

affrettato. Dice quindi il suddetto documento:

"Le rendite della Comunità di Brenzone consistono nella raccolta delle ulive dolcissime,

foglia (cioè gelsi che servivano per l’alimentazione del baco da seta e quindi c’era questa

produzione), e castagne (le castagne sono un prodotto prezioso per questo territorio e

troveremo nell’800 per esempio nelle relazioni della produzione economica del periodo Asburgico

che le castagne di Brenzone sono una risorsa per tutta questa zona). Quasi tutta la campagna è

collocata sul colle giaroso (ghiaioso e perciò non tanto fertile); perciò non tanto fertile. Per

questa ragione non si veggono in Brenzone ulivi di smisurata grandezza, come

in Malcesine (là probabilmente sono più piani, più fertili), fuorchè nel piano di sotto Borgo.

Nemmeno si osservano in questi la mostruosa escrescenza, in terzo luogo non

presentano quelle escrescenze o forme tumorali sul tronco come in quelli di Malcesine

(ossia, gli olivi di Brenzone intanto fanno delle olive dolcissime, in secondo luogo sono un po’ più

piccoli di quelli di Malcesine), come in quelli di Malcesine, tolto in qualche piano. I monti di

Brenzone di estensione quattro miglia in lunghezza, e in larghezza uno appena, sono

quelli che producono le saporitissime castagne, oltre altra sorte di frutti di ogni genere,

come pure grano. Vi è eziandio in questo circondario sopra li ulivi qualche vignale di poca

considerazione. Il commercio non è tanto florido come in Malcesine".

Ecco fatto il quadro, cosa manca? Non dice niente di pecore, di capre, di maiali, di

produzione casearia, di pesca, per questo è una relazione un po’ carente, comunque

è da tenere in considerazione perché fornisce alcuni dati che possono essere

interessanti.

La pesca era poco importante, nel 1805, ci sono dei documenti che lo testimoniano,

una relazione ci fa capire che dieci anni prima i pescatori a Garda erano 48 a Torri

erano 70 a Brenzone nessuno e a Malcesine 13, in realtà qualcuno andava a pescare

però non erano pescatori riconosciuti.

Nel 1805 a Garda sono diventati 64, a Torri si sono ridotti a 62 a Brenzone nessuno

però molti occasionali e a Malcesine sono 9 e anche lì ci sono molti pescatori

occasionali.

Nel 1806, parlando di pesca, c’è una forte polemica di Brenzone contro i pescatori di

Malcesine perché questi usavano la retta detta Lotrione che era equivalente al

Remàt, che si considerava rovinasse la sorte futura, quindi la garanzia per il futuro

della riproduzione dei pesci.

Per quanto riguarda la produzione dei bozzoli da seta per i quali abbiamo

precedente visto che c’era la produzione di foglia, quindi gelso, secondo i dati

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statistici rilevati dai documenti ottocenteschi nel 1812 la produzione di bozzoli in

libbre che era un’unità di peso al tempo, in alcuni Comuni che possiamo prendere

come riferimento, era la seguente:

Caprino Veronese 26.580, Malcesine 9.583, Garda 13.134 e Brenzone 6.666, è un po’

meno di quella di Malcesine comunque è tantissima, ecco perché nella relazione

c’era indicata una bella quantità di foglia.

Ancora nel 1821, questa è una relazione della delegazione provinciale la quale ci

dice, paese per paese, quella che era la produzione.

A Brenzone nel 1821 non c’è frumento, non c’è frumentone cioè polenta, non c’è

segala, ci sono 37 some di medica, la medica era un granetto utilizzato per

l’alimentazione umana, quindi una piccola quantità, a Lazise per esempio di medica

se ne producevano 30 some.

Castagne: a Brenzone 157 quintali metrici che equivalgono al nostro quintale, San

Zeno di Montagna 319, Caprino 464

Frutta: a Bardolino 2.600 quintali metrici, a Brenzone 37, un divario notevole.

Ortaggi: Bardolino 12 q.m., a Brenzone 21 quindi c’era una buona produzione di

ortaggi.

Olio di oliva: a Malcesine 1.212 q.m., a Bardolino 170, a Lazise 78, a Torri 170, a

Brenzone 560 quindi una produzione inferiore rispetto a quella di Malcesine ma

sicuramente di notevole importanza.

Vino: abbiamo visto che un po’ di vino c’era però poco, a Bardolino 2.200 q.m., a

Caprino 864, a Malcesine 12 perché neanche Malcesine è zona di vigne a parte

sopra un po’, Costermano 500, Castion altrettanti, Rivoli 800 e Brenzone 33 q.m. un

po’ di vino per soddisfare l’uso familiare.

Bozzoli abbiamo visto prima che ce n’è una certa quantità e nel 1821 cioè 10 anni

dopo rispetto ai dati precedenti a Bardolino 100 q.m., a Malcesine 47, a Lazise 200, a

Brenzone 102 quindi ne ha più del doppio di Malcesine, quindi è un allevamento

significativo e importante per la zona.

Però l’elemento forte è la legna, l’abbiamo visto precedentemente sui documenti,

nel 1721:

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Bardolino un’inezia, 1.700 q.m., Caprino 1.250, San Zeno 616, Ferrara di Monte

Baldo 250, Dolcè in Valdadice 12.000 perché è una zona di grandi boschi, Malcesine,

che era una zona molto boscosa 17.000, Brenzone 22.000 erano i campioni in

assoluto di produzione di legname in quegli anni, questo per dire l’importanza che

aveva, dati d’archivio.

La libbra corrispondeva a circa 7 etti.

Bestiame: si riferisce all’anno 1894.

Riporta dei dati numerici che possono essere significativi.

A Castelletto ci sono 78 muli, 16 cavalli, 286 bovini, 445 ovini, e 74 suini.

A Malcesine ci sono 52 muli cioè un po’ di meno, 63 cavalli, 534 bovini (quasi l

doppio) e ovini 1.600 (contro i 445)

Si deduce perciò che l’allevamento c’è ma è soprattutto il pascolo per quelli che

prendono in affitto dall’esterno e fanno arrivare denaro fresco in poche parole.

L’allevamento è abbastanza ridotto, hanno i loro pascoli da utilizzare e una ventina

di suini, non molti. C’è una produzione comunque casearia, anche perché a un certo

punto, nel 1882-1883-1884 il Sindaco di Brenzone Giosafat Cressotti che era nipote

del famoso giurista originario di Brenzone lancia un’idea. Quello di fare ciò che era

stato realizzato da poco a Caprino Veronese ovvero una Cascina Sociale, cioè un

caseificio. A Caprino era nato un Consorzio, si erano messi d’accordo i proprietari dei

bovini e gli allevatori e hanno e hanno creato questo Consorzio dove attualmente

c’è il macello, la primissima destinazione era stata quella di realizzare un caseificio.

La cosa è stata salutata come pionieristica a livello dell’intera Provincia di Verona.

Questo Cressotti Giosafat che era stato eletto Sindaco nel 1882 e ci resterà per un

bel po’ di anni, fino al 90 e qualcosa, ha tante idee ed entusiasmo e una di queste

niziative voleva fosse quella di creare un caseificio per la zona. Però non ci riesce,

evidentemente la cosa non era particolarmente sentita, ovvero ci poteva essere una

quantità consistente ma forse non sufficiente per mettere in piedi una struttura di

questo genere, fatto sta che non è andata in porto. Peraltro nel 1911 nel Comune di

Castelletto di Brenzone, perché in questi anni si chiama ancora così e verrà cambiato

nel 1934, ci sono queste produzioni:

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formaggio e burro 6.000 q.li (una produzione di tutto rispetto), olive 6.000 q.li poi

2.500 q.li di castagne, 10.000 q.li di legna che è diminuita probabilmente perché

aumenta la produzione di castagne e di olive quindi si riduce un po’ l’impegno per il

bosco e poi c’è nel 1911 una voce che viene riportata che è indicativa, ovvero si

commercializza pietra da fabbrica, altra risorsa del territorio, pietra delel cave,

probabilmente o pietra di recupero quando si faceva lo scasso nei campi per creare

degli oliveti, oppure qualche cava sulla riva o nelle vicinanze del lago dove

affioravano le rocce, fatto sta che c’è questa voce significativa. Si parla di 4 oleifici, la

pesca delle alborelle, poi n questo periodo c’è ormai attiva la fabbrica della

cosiddetta Magnesia.

Il discorso della magnesia è interessante perché, intanto loro vengono dalla Val di

Ledro, dove c’era un signore che era una sorta di scienziato, un personaggio geniale,

un certo Pierantonio Cassoni che nel 1816, primo al mondo aveva prodotto in

laboratorio il bicarbonato di magnesio derivandolo dalla Dolomite, però lui non lo ha

brevettato perché forse non ci ha pensato, e sarà brevettato qualche anno dopo, nel

1841 da un chimico inglese un certo Pattinson, questo Signor Cassoni dà l’avvio ad

uno dei primi poli europei di produzione della magnesia, muore peraltro nel 1834 a

soli 44 anni e la sua iniziativa passa nelle mani del nipote, un medico che si era

laureato a Padova, che si chiamava Bartolomeo Cassoni, che era nato a Bezzecca,

subentra allo zio, allarga la fabbrica con altri procedimenti, realizza lo stabilimento

industriale di Pieve di Ledro, muore anche lui giovane, a 40 anni nel 1850. Così la

famiglia Cassoni si estingue e allora l’iniziativa viene ripresa dal capo operai di

questa azienda che si chiama Bernardino Collotta e nel 900 avremo la ditta Zecchini,

Collotta e Cis, tutti e tre cognomi della Val di Ledro. L’ideatore è stato questo

Cassoni, zio e poi nipote, subentra questo Collotta che era stato in società con il

Cassoni nipote nell’ultima fase di vita di quest’ultimo, e ne era capo operai, insieme

con un altro operaio certo Cis e con un Martino Gigli danno vita e riprendono

l’iniziativa, spostano la produzione a Bezzecca in località Pezze nel 1857, a Molina di

Ledro nel 1900 e in tutta quella vallata creano quattro insediamenti, uno a Pieve,

uno a Bezzecca e due a Molina.

Poi succede che proseguono con l’attività dal 1900 per alcuni anni, poi nel 1928

cominciano a produrre super isolanti, cioè cambiano un po’ la produzione e

utilizzano amianto, la produzione di amianto va avanti fino agli anni 70 del ‘900 e poi

ci si rende conto che ci sono delle conseguenze gravi, tra l’altro utilizzavano un

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amianto che proveniva dal Sudafrica che era particolarmente pericoloso e quindi si

chiude la fabbrica, vengono rilevati casi di tumori in zona, Molina di Ledro è

all’avanguardia nella lotta contro queste forme di produzione a base di amianto.

La ex fabbrica verrà acquisita dal Comune e diventerà una sorte di museo.

Per quanto riguarda invece Brenzone, loro entrano qui intorno al 1879 con la Ditta

Zecchini, l’anno dovrebbe essere il 1879, peraltro il Giovanbattista Simeoni che

scrive una bella monografia sul Lago di Garda e la pubblica nel 1879 e non nomina

questa Ditta quindi o era appena insediata o non c’era ancora, fatto sta che non

viene nominata. Peraltro nel 1884 la Ditta Zecchini partecipa ad una esposizione

Nazionale a Torino e riceve un riconoscimento di merito, una medaglia di bronzo e

quindi porta il nome Brenzone perché ha qui la sede, si è insediata dove prima c’era

il mulino perché aveva bisogno di acqua, delle mole per macinare la dolomite e

trattarla e di anno in anno questa ditta progredisce. Negli annali di statistica del

1890 si parla espressamente della fabbrica, in questa relazione, parlando di torchi, si

dice che ci sono due torchi per l’estrazione di noce che si trovano nel Comune di

Castelletto di Brenzone, questo è un altro elemento della storia dell’economia di

questi luoghi, come si sa l’olio di noce era pregiato soprattutto come shampoo, era

ricercato dalle signore , hanno pochissima importanza giacchè non occupano che un

solo operaio per ciascuno e lavorano soltanto per conto dei privati che ne danno le

commissioni, però a livello provinciale è l’unica produzione di questo genere

esistente in Provincia di Verona di olio di noce.

Riprendendo il discorso della magnesia, l’Agostino Zecchini, il primo fondatore

muore nel 1892, gli subentra il primogenito che si chiama Claudio che sarà quello

che nel 1884 a Torino riceverà questo riconoscimento ed è uno dei primi

riconoscimenti che poi verranno seguiti da tanti altri, comprese anche medaglie

d’oro, apprezzamenti da parte delle ditte farmaceutiche a livello nazionale e anche a

livello internazionale.

Per esempio, la stampa dell’epoca definisce questo Claudio Zecchini “attivo e

intelligentissimo” un grande imprenditore. Magnifica la sua produzione, unica nella

Provincia di Verona, peraltro nella Provincia di Brescia c’era una ditta che produceva

le stesse cose ed era la Ditta Comboni a Limone, quindi sull’altra sponda c’erano

queste attività. Nel 1896 la Ditta è nominata anche da Ottone Brentari come Ditta

Zecchini, successivamente nel 1897, se andiamo a leggere la monografia sul Lago di

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Garda la nomina come Ditta Collotta, quindi scompare il nome Zecchini e rimane

solo Collotta, risulta peraltro che il Claudio Zecchini è morto intorno al 1920, quindi

dal 1897 probabilmente ha abbandonato questa realtà, è subentrato interamente il

Collotta che era già in società assieme e la ditta va avanti come Collotta e nel 1911 la

troviamo come Ditta Collotta, Cis e Gigli. Gigli era uno degli operai delle origini.

La particolarità è che agli inizi, nel 1890, la produzione era di 400 quintali circa di

questo carbonato di magnesia, nel 1892 lo Zecchini ha ottenuto una medaglia d’oro

a una esposizione alle Colombiadi, l’anniversario della scoperta dell’America, lui

partecipa a Genova e ottiene una medaglia d’oro e porta il nome Brenzone anche in

questa circostanza. Nel 1911 la Ditta Colotta, Cis e Gigli ha 35 operai (dalla decina

che aveva in precedenza) e produce 3.000 quintali quindi hanno avuto una crescita

notevole, negli anni 30, dice don Pighi, la Ditta occupa fino a 60 persone, quindi è

diventata la unità produttiva industriale del nostro territorio, durante la Seconda

Guerra Mondiale viene occupata dai Tedeschi, nel Dopoguerra cambia produzione e

produce olio minerale dalle sanse fino agli anni 70 e poi cessa e viene acquistata da

un albergatore di Garda, Squarzoni, che la trasforma in albergo che è diventato

l’attuale Hotel du Lac.

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I Cassoni, maghi della magnesia Da Pier Antonio a Bartolomeo: il lassativo che diventa grande industriadi Donato Riccadonna

Un’antica pubblicità della magnesia

Pier Antonio Cassoni di Ledro, nel 1816, primo al mondo, produsse in laboratorio il

carbonato di magnesio dalla dolomite. Ma non lo brevettò e questa scoperta non lo

portò nel ristretto cerchio dei grandi pionieri della chimica e della farmacologia.

Pensate che "solo" nel 1841 il chimico inglese Pattinson brevettò il processo

industriale della calcinazione della magnesia, dandogli ovviamente il proprio nome.

Ma comunque fu proprio Pier Antonio Cassoni a dare l' avvio ad uno dei primi poli

industriali europei di produzione della magnesia. In val di Ledro e con quelle difficoltà

alla viabilità ben note già allora (la Ponale fu aperta nel 1851)!. E chi ha ri-scoperto tutto

ciò? Ma che domanda: i cugini Carlo e Paolo Cis da Bezzecca, che con questa loro

dodicesima fatica in 11 anni, "La famiglia Cassoni di Ledro. Bortolo, Pietro Antonio e

Bartolomeo Cassoni: chimici, farmacisti e industriali", sono usciti con un libro pochi giorni

fa per merito della neo nata associazione culturale Achille Foletto. Chi ha avuto la fortuna

di conoscere Livio Cassoni, il pronipote morto a Massone nel 2008 alla veneranda età di

97 anni frequentante la Beppa Giosef, non si stupisce di fronte alla genialità e alla curiosità

espressa da questa famiglia dal padre Bortolo (1738-1816), al figlio - il vero genio - Pietro

Antonio (1790-1834), fino al nipote - l'industriale - Bartolomeo (1810-1850). E colpisce il

fatto che il destino si accanì tragicamente contro questa dinastia tanto che non rimase

quasi discendenza e la farmacia fu prelevata da Giovanni Foletto (1827-1906), i cui parenti

tuttora esercitano l'unica farmacia della valle, aprendo addirittura un museo della farmacia.

Girava addirittura la chiacchiera che molti credevano ad una specie di vendetta della

montagna contro coloro che ne avevano carpito così bene i segreti. Il racconto dei cugini

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Cis si snoda, come al solito, tra documenti storici, ricostruzioni "romanzate" di ambienti e

di figure, uno sguardo a quello che succedeva oltre la valle e oltre confine nazionale: il

tutto per dimostrare ancora una volta come Ledro, nonostante l'isolamento forzato dovuto

alla morfologia, era ben inserito nelle dinamiche internazionali ed ha espresso personaggi

di grande spessore. Come appunto gli speziali-farmacisti Cassoni. La farmacia a Ledro

esisteva sicuramente già nel 1700 e Bortolo Cassoni la gestì nei primi anni dell'800; ma è

con Pietro Antonio e Bartolomeo che l'attenzione si sposterà sempre più dalla farmacia

alla produzione industriale, tanto da abbandonare la prima attività affidandola ad altri.

Pietro Antonio era una vera fucina di idee: la più geniale fu quella di ottenere la magnesia

dalla roccia dolomitica, e questo fu un primato assoluto non essendoci alcun precedente.

E lo schema di sperimentazione lo mise a punto già dal 1808 a 18 anni! Ma il suo pallino

erano le acque termali, arrivando addirittura ad allestire vicino al proprio laboratorio a

Pieve un piccolo stabilimento termale e progettandone uno ben più ambizioso a Trento.

Ma nel 1834 a soli 44 anni muore lasciando incompiuti i grandi progetti. Toccherà al nipote

medico Bartolomeo realizzare il sogno: le sue vicende si incroceranno nel bene e nel male

con un altro grande personaggio di Ledro, Giacomo Cis, che presterà dei soldi per

realizzare lo stabilimento industriale di Pieve. E per arrivare ad una produzione giornaliera

di ben 40 chili di buona Magnesia fluida Dolomina (che poi serve come purgativo e come

digestivo) dai 1-2 Kg del laboratorio artigianale di Pieve, Bartolomeo si ispira anche

all'attenta osservazione dell'antica arte della calcinazione dei sassi calcarei delle calchere

ledrensi. Nel 1845 apre i battenti la fabbrica in località Praisola e per farla funzionare in

maniera ottimale bisognava che fosse a turno continuo: e qui sono gustose le vicende

della richiesta della dispensa per gli operai a lavorare anche nei giorni festivi richiesta alla

chiesa. Ma il destino tragico si abbatte ancora sui Cassoni: Bartolomeo muore nel 1850 a

40 anni. La fabbrica di Pieve passa di mano e produrrà fino al 1886, mentre Bernardino

Collotta, capo operai di Cassoni, con Giuseppe Cis e Martino Gigli spostò la produzione

nella valle dei Mulini a Bezzecca nel 1857 e poi in paese a Molina di Ledro nel 1900. Ma

questa è un'altra storia.