4. 08 gennaio 2015 aspetti storici dal medioevo alla rivoluzione turistica
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CONOSCERE IL BALDO – GARDA
I° CORSO DI FORMAZIONE PER ANIMATORI TURISTICI AMBIENTALI
4° INCONTRO: GIOVEDI’ 8 GENNAIO 2015
ASPETTI STORICI DAL MEDIOEVO ALLA “RIVOLUZIONE TURISTICA”.
RELATORE: PROF. VASCO SENATORE GONDOLA
In questa lezione si parte da una pubblicazione importante che ci documenta
ufficialmente il riconoscimento da parte dell’autorità Imperiale nel 1163 l’autonomia
del Comune di Brenzone; diciamo che è l’atto di nascita e questo documento ci
porta appunto nel Medioevo. Questo documento è visibile nella Biblioteca Civica di
Verona nella sezione storica dove si trova una serie di volumi pubblicata in
Germania che raccoglie tutti i documenti ufficiali dell’Impero Germanico, divisi per
Imperatore e anche altri documenti che riguardano istituzioni religiose ecc.
Questo documento di riconoscimento dell’autonomia da parte dell’Imperatore al
Comune di Brenzone (FIG. 1) è composto da due pagine, il numero del documento è
il 1125, è scritto con traduzione n tedesco e poi viene riportato in “Volgare” quello
che è il testo contenuto in questo documento, evidentemente si trattava di una
trascrizione di un documento preesistente, la cosa interessante è quello che in
questo testo ci dice. Riporto qui sotto uno stralcio inserito nel libro “Zur Geschichte
des XII und XIII Jahrhunderts – Diplomatische Forschungen” di Paul Scheffer-
Boichorst pubblicato nel 1897
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FIG. 1 – Estratto documento Imperiale di autonomia e privilegi rilasciati al Comune di Brenzone
Nell’intestazione si dice che il documento è fatto per la Maestà di Federico I
(Barbarossa) nel 1163, confermato per Federico II nel 1236 e poi segue come si vede
sopra l’elencazione dei capi principali del privilegio che viene riconosciuto agli
abitanti di Brenzone che hanno una loro collocazione geografica e strategica
particolarmente significativa e particolarmente importante perché sono a custodia
di questa area che era germanizzata, vengono quindi riconosciuti titolari di una serie
di privilegi.
Non sono chiamati a fare servizi militari, siano esenti da tutta una serie di gravami e
imposte che erano tipiche del medioevo, così per il Lago come per altre parti, quindi
una esenzione da tributi economicamente molto importante, non sono obbligati a
fornire ospitalità quindi vitto e alloggio ai soldati quando capitavano da queste parti,
importante perché così non avevano gravami che potessero andare ad incidere sulle
risorse alimentari e finanziarie della popolazione, eccetto, naturalmente, la persona
del Principe o persona da lui delegata, questi dovevano essere accolti.
Come si sa, l’Imperatore veniva ospitato presso l’Abbazia di San Zeno che era
appena fuori alla città di Verona ed era molto legata all’Imperatore, questo spiega
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perché vennero concesse molti benefici come territori e cose del genere al
monastero benedettino di San Zeno.
Precisa poi che tutte le cose che gli abitanti di Brenzone possiedono: valli, pascoli,
boschi e tutto, sia loro libero, quindi di loro assoluta libera proprietà, a loro libera
disposizione e non si possa fare eccezione alcuna. Quindi sono loro i padroni del loro
territorio. E’ un riconoscimento di notevolissima importanza anche perché con il
passare dei secoli, in questi territori troveremo che molte proprietà, soprattutto
alpeggi, malghe, le ritroviamo che sono di proprietà privata di questa o quella
illustre famiglia di nobili, qui come a San Zeno di Montagna, Caprino, Ferrara, tutta
l’area del Monte Baldo. Cosa accadrà, perché gli abitanti sono riconosciuti
proprietari? Perché la prima proprietà di questi territori che erano un po’ marginali,
che perciò non avevano un particolare interesse economico n quanto qui per
ricavare dei proventi bisognava faticare parecchio, erano territori lasciati alla mercè
degli abitanti dei luoghi i quali si organizzavano in piccole comunità rurali come i
Comuni rurali Medioevali, questo è un po’ alla radice di quel “campanilismo” che
caratterizza tutte quante le nostre aree, che sono marginali, dove bisogna
guadagnarsi da vivere con il sudore e con difficoltà ma nello stesso tempo
strategicamente molto importanti perché collocate in uno dei passaggi chiave per il
transito delle truppe ecc. Successivamente vedremo che in queste nostre zone si
insinuano proprietà di alcune famiglie, i Brenzoni, nobili, oppure i Montagna dalle
parti di San Zeno, o altri nel Caprinese, a Ferrara di Monte Baldo, acquistando
terreni dalle comunità locali che hanno difficoltà economiche e poi piano piano le
comunità locali, appena sono economicamente in grado cercano di riscattarli e di
recuperare le loro proprietà. Questo sta alla radice di quel fenomeno che
caratterizza il Baldo a differenza della Lessinia dove le Malghe sono
prevalentemente di proprietà privata, mentre nell’area Baldense, fatta eccezione un
po’ per San Zeno di Montagna, le malghe sono in prevalenza di proprietà pubblica
cioè dei Comuni, perché appunto attraverso i secoli è avvenuto il recupero da parte
degli abitanti, orgogliosi ed energici nella loro autonomia, nella loro voglia di essere
protagonisti della propria vita, di riappropriarsi di questi beni che spesso erano stati
acquisiti da queste famiglie che evidentemente economicamente avevano grosse
possibilità.
Quindi veniamo da un Medioevo dove le popolazioni sono protagoniste, vediamo
Federico I che riconosce gli abitanti di Brenzone come protagonisti, poi ci sarà una
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fase nella quale si insinuano nella zona queste famiglie, come i Bevilacqua, ai
Malaspina, legate alla famiglia dominante cioè agli Scaligeri, spessissimo gli Scaligeri
espropriano i beni che appartenevano anche ad istituzioni religiose, lo stesso San
Zeno di Verona che aveva ampie proprietà in queste zone soprattutto qui, sappiamo
infatti che Campo era territorio di San Zeno e poi Cavaion, Affi, nel Caprinese questo
per rimanere nel nostro circondario, parte di questi territori verranno acquisiti da
parte dei Principi, degli Scaligeri appunto e successivamente verranno in parte
ceduti a famiglie che sostenevano la parte Scaligera come appunto le due sopra
citate.
Quindi, come ci dice questo documento, sappiamo che il termine Brenzone non è
nato ieri (effettivamente Brenzone sul Garda è nato l’altro giorno come scelta
intelligente operata dall’amministrazione comunale).
Qui fa un brevissimo cenno sulla cosiddetta “questione Brenzonese” che
sicuramente si è già sentita sia sulla monografia su Brenzone sia nel testo che il CTG
ha fatto qualche anno fa: esistevano tutte queste piccole località che avevano una
loro autonomia e la denominazione comune era quella di Brenzone. Il termine è
antichissimo, è sempre stato indicato come termine unico per individuare
unitariamente questa comunanza di territorio che era quella di Brenzone. Nel 1819,
passata la bufera Napoleonica, la restaurazione Asburgica, dopo il Congresso di
Vienna, il territorio viene suddiviso in tre comuni (FIG. 2).
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Le motivazioni furono: probabilmente da parte delle autorità Asburgiche per
accontentare delle istanze di questa o quella comunità locale e soprattutto per
dimostrare che si cambiava rispetto al regime Napoleonico precedente. Con
Napoleone erano state fatte delle operazioni territoriali di tipo amministrativo
abbastanza significative, per esempio il Comune di Caprino Veronese nasce con
Napoleone agli inizi del 1800 e vengono accorpati dentro a questo unico comune le
singole comunità che prima erano comuni rurali autonomi di Pesina, di Ceredello, di
Caprino stesso e di Lubiara che diventano un Comune unico, la stessa cosa è
accaduta sempre nel periodo Napoleonico per Ferrara di Monte Baldo e Brentino
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che con un provvedimento amministrativo queste due comunità sono state
accorpate in un comune unico, passata poi la bufera Napoleonica, ritornati gli
Asburgo, quindi gli Austriaci, anche per Ferrara di Monte Baldo e Brentino c’è lo
sdoppiamento, quindi sono stati per pochi anni, 6 o 7 anni circa come documentato
da alcuni atti, deliberazioni dei consigli comunali di quel periodo dove venivano
divise le spese fra quelle destinate a una zona e quelle destinate ad un’altra,
Comune unico e poi con il ritorno degli Austriaci ecco che ritornano ad essere due
distinte comunità e identità comunali. La stessa cosa capita per Brenzone, solo che
per Brenzone in precedenza non c’era stata una divisione ma una unità, un territorio
unico anche se con tante piccole comunità, ciascuna con una propria identità. Nel
1840 i tre comuni vengono unificati ma con il nome di Castelletto di Brenzone e con
sede a Castelletto e non a Magugnano. Dopo la nascita del Regno d’Italia, 1866, c’è
la richiesta sia del cambio del nome perché ritorni alla denominazione originaria e
c’è forte la sollecitazione anche perché si sposti la sede comunale. L’argomento
viene evidentemente discusso all’interno delle comunità locali, viene trattato ci
sono le deliberazioni del Consiglio Provinciale che affrontano in modo organico
questa tematica e il 9 marzo 1871 si stabilisce con Regio Decreto che la sede venga
trasferita a Magugnano, quindi dal 1871 la sede che era stata destinata a Castelletto
torna a Magugnano (vedi FIG. 3); ovviamente si può immaginare la gioia degli
abitanti di Castelletto, la possiamo riscontrare con delle banalità che troviamo
attraverso la stampa negli anni successivi, per esempio si tratta di portare l’Ufficio
Postale, ma dove? A Castelletto o a Brenzone? Il porto, oppure le guardie di finanza,
insomma tutte le strutture operative che si hanno da fare provocano sempre questo
dilemma. Comunque la sede è quella di Magugnano, la denominazione resta quella
di Castelletto di Brenzone come si riscontra in tutti gli atti degli anni successivi, e
sarà soltanto il 29 marzo 1934 che viene fissata la denominazione Brenzone e non
più Castelletto di Brenzone. Il 19 febbraio 2014 diventa poi Brenzone sul Garda.
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FIG. 3 - Estratto Gazzetta Ufficiale n. 94 del 4/4/1871
Può essere piacevole tuffarsi in quello che è il vissuto di questa comunità di
Brenzone nei secoli andati, anche perché si può desumere come vivevano, quale era
la loro attività economica?
C’è per esempio un documento preso dall’Archivio di Stato che è datato 1545. E’ una
relazione di due periti che sono passati in questi territori per vedere com’era
l’andamento dell’economia, cioè in sostanza come stavano le popolazioni. Comincia
con Malcesine e lì nominano le malghe che erano di loro proprietà: Colma, Tratto
Spino, una montagna che affittano a 200 Ducati, il Fiabi ecc. e poi si passa al Comune
di Brenzone e dicono:
a detto Comune la decima di 80 Brente di olio che gli assicura largamente il
compenso negli anni buoni, poi gli affitti che sono ogni anno 24 Ducati e poi loro
affittano sul Monte Baldo Monte Mazor, che è Monte Maggiore, e rende 115 Ducati
l’anno e poi affittano la malga Prà Longo “quale ha comprato da novo (da poco
tempo) da Messer Francesco Pompeio”. La malga Prà Longo, ce lo dice il documento,
era, all’inizio del 1500 di proprietà dei nobili Pompei. Perché essendo nel 1545 e dice
che da poco il Comune l’ha acquistata. Poi l’affittano e prendono 70 Ducati l’anno di
affitto.
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Poi affittano vari pascoli, la Coronella, grande e piccola, la Cornesella, e altri termini.
Poi ancora un altro termine che conosciamo bene, cioè la montagna di Zovello, era
quindi di proprietà comunale, una porzione della montagna di Comin o Conin
(probabilmente Quain), poi parla di fieno, delle capre, il dazio della legna, che rende
Ducati 25, anche questo è importante perché sappiamo che il legname e la risorsa
del bosco sarà fondamentale per tutta l’economia successiva.
Continua il resoconto: “per essere grossissimo comune sparso e sparpagliato non gli
ha potuto intender minutamente” quindi a causa dell’estensione del Comune, non
hanno avuto la possibilità di ispezionarlo dettagliatamente. Comunque questo
documento dice quello che han potuto vedere., quindi parla di bestiame, di vacche,
di capre, più di 1500 capi, poi ancora, “item (parimenti) hanno assai di mulli, cavalli,
asini a grosso suo utile e comodo per il condurre gli oli e le altre cose loro” quindi
non c’erano i trattori e i mezzi vari e servivano a questo scopo.
“hanno da 50 para di boi” ci sono 50 paia di buoi nel 1500, significa che coltivavano
la terra quindi non era soltanto dirupi o terreni sassosi, se c’erano dei buoi, 50 paia,
quindi un numero abbastanza consistente. Circa 300 persone, teste utili per poter
essere conteggiate per la tassazione. C’è una cosa molto interessante e curiosa che
può anche far piacere nel senso che qui dicono “che a quanto si pol sapere tengono
uno loro libro dove si segnano i suoi conti” quindi hanno paura del controllo fiscale e
quindi hanno un libro delle loro entrate che tengono di nascosto e un altro pubblico
che fanno vedere quando è necessario “per nodar le cose di comun che vogliono che
si veda” evidentemente le altre no. Poi si dice ancora che ci sono gli uomini che
hanno le loro attività e li nomina. Non ci sono i cognomi perché in quel periodo non
esistevano. Quindi cita un Zuane de Fasor la cui attività può essere computata con
40 Ducati, la Casara degli Zanoni quandam Veronesi da Biaza quindi figli del
Veronese, per noi Veronesi o Veronese è il cognome, per loro è il nome del padre,
spessissimo poi il nome del padre è diventato il cognome, esempio, di Consolino poi
diventa Consolini odierni. Li Filioli quondam Tomasin da Castelletto, poi Bertolino
dal Lago, Bernardi, Zamperino da Castelletto, el Mantoano da Campo probabilmente
era uno originario del Mantovano, Grigoloni da Campo, Zuan Battista de Crisotti, poi
evidentemente diventato Cressotti, il cognome nasce qui, quelli Del Bon dal Lago,
Donna Bressana, Iseppo e fratello, el Manara, ecc. un elenco dei nomi esistenti nella
realtà di allora.
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Rispetto alla riviera bresciana questa nostra veronese era più debole, più povera dal
punto di vista economico perché sul bresciano il territorio era più vasto, l’agricoltura
rendeva di più, comunque questo territorio complessivamente, sulla base di questo
documento, poteva fornire: Brenzone 615 Brente di olio, facendo il conteggio, una
Brenta era 67-68 litri, mentre per esempio a Malcesine la quantità di olio prodotto
corrispondeva a 2000 Brente, quindi la produzione di olio di Brenzone alla metà del
1500 è significativa e consistente ma inferiore a quella di Malcesine. Peraltro con il
passare del tempo, nel corso dei secoli successivi, vedremo che la produzione di olio
e di olive si irrobustirà notevolmente. C’è da ricordare una cosa, quando le persone
si indebitavano, pagavano poi con l’olio, quindi l’olio era merce preziosa, come
ricordato nella precedente lezione, nei contratti dei frati Benedettini era previsto
che ogni anno venissero piantate 28 piante di olivo sul territorio, questo per
incrementare il valore in quanto appunto il valore dei terreni a olivo era
infinitamente superiore rispetto a quello dei terreni agricoli normali e quindi l’olio
era merce estremamente preziosa tant’è che se una persona aveva dei debiti
concordava di pagare con questa merce. Il problema era quando c’erano momenti di
siccità o di scarsa produzione per cui il valore dell’olio aumentava notevolmente e
quindi si trattava di rivedere le quote dovute. I debitori cercavano di abbassare la
quantità da consegnare mentre i creditori volevano mantenere quelle che erano
state le quantità pattuite per l’estinzione dei debiti.
Complessivamente, nel 1545, Brenzone ha 615 Brente, come detto prima, per un
totale di ettolitri 422, mentre per Malcesine sono 1373 ettolitri.
Nel 1519 in un altro documento precedente a quello appena visto, si dice che a
Brenzone venivano prodotte 175 Brente e 11 Bacele (probabilmente una misura
inferiore alle Brente) e a Castelletto se ne erano prodotte 83 Brente, qui sono
segnate distintamente le due produzioni di Brenzone e di Castelletto. Per un totale
di ettolitri 198. Sono delle quantità significative perché quando poi andiamo a
vedere delle note agli inizi del 1900, c’è Don Pighi che in una piccola monografia
dedicata a Brenzone indica anche le quantità di olio prodotto ma non è tanto
superiore a queste cifre.
Siamo nel 1500, il Comune compera dei terreni, c’è un dinamismo da parte degli
abitanti. Ora scorreremo un documento di acquisto, un atto notarile, trovato nel
fondo di un Notaio che si chiama Francesco Crissotti, evidentemente Cressotti, i
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nomi con lo scorrere dei secoli si trasformano. Il documento che non leggeremo per
ntero in quanto sarebbe un po’ noioso, è interessante intanto per vedere come si
scriveva un atto notarile nel 1500, la grafia è particolare:
“emptio (acquisto) Comunis Brenzonii (acquisto da parte del Comune di Brenzone da
chi? Chi è il venditore) a Adelaido et fratribus (da Adelaido e i suoi fratelli) quondam
(figli di) Joannes Mariae Consolini de Sommavilla”. Datato 19 giugno 1579. Siamo in
una comunità profondamente cristiana dove ogni respiro va riferito sempre al Padre
Eterno, quindi si nizia “In Christi nomine” cioè nel nome di Gesù Cristo. Qui ci sono
degli aspetti interessanti per chi si volesse appassionare alla brachigrafia
Medioevale. La parola anno porta una onda sopra la “n” è il segno di doppia a
nativitatet ma c’è scritto natet, la brachigrafia Medioevale usava dei simboli per
accorciare le parole scritte, si aveva fretta di scrivere, ma più probabilmente non si
volevano sprecare le pergamene perché mentre per noi la carta è una cosa comune,
allora un pezzo di carta era un qualcosa di straordinariamente prezioso, spesso
erano pergamene, ovvero una pelle di pecora trattata, lavorata, lisciata e poi
utilizzata per un documento, magari cancellata e riutilizzata per un altro documento
e così via. Evidentemente siamo noi abituati male a sprecare.
Prosegue il documento, “ejus Dei 1579 indixione XII” L’Indizione era un modo per
dare una datazione dalla durata dell’Impero o di un riferimento politico del tempo.
“Die dominico” cioè di domenica, si vede che il notaio lavorava di domenica.
“19 mensis junii” 19 del mese di giugno “in castro Brenzoni” quindi siamo in un luogo
fortificato
“Veronae districtum” Brenzone si trova nel distretto di Verona “sub lobia comunii”
dove materialmente, siamo nel castello di Brenzone, sotto la loggia del Comune, ci
sarà stato un portico, una struttura “lobia” significa loggia, pergolato, cioè qualcosa
che può proteggere, d’altra parte il Medioevo si caratterizza per l’esistenza di
strutture edificate con i portici, tutte le città Medioevali sono fatte così in genere.
“presentibus” sono presenti a questo atto “Bartolomeo Calzaverio filio Jacobi de
Canceleriis” figlio di Giacomo dei Cancellieri “vice castellani castri Malcesinis” era
vice responsabile del castello di Malcesine. Dalla parola “castris” si ricava che il
luogo è il castello che c’era a Brenzone.
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“Jacomo quondam Joanni Caramellis de Cassono” questo viene da Cassone “et
Joanne Francisco quondam Dominici Patene aque Antonio Donat quondam
Bernardini Binelli de Cassono”
“Delaudus” venditore, c’è tutta una serie di premesse “dedit” dette o vendette e
consegnò a “Baptiste filio Richeti quondam Batiste Massaro” cioè al Sindaco di
Brenzone che allora nel 1579 è Battista figlio di Enrico o Richetto il quale a sua volta
era figlio di un Battista, per non confondersi a volte si dava paternità e anche
paternità del padre, e poi a chi ancora, oltre al Massaro vende a “Consolino
quondam Michelis Consolinii” a Consolino figlio di Michele di Consolini “Jacomo
Chemasio” come si vede sono i cognomi attuali “Jacomo quondam Juliani Chemini,
Joanni quondam Tomei Brighenti” questo visto così sembra Brigenti ma guardandolo
un po’ ingrandito dopo la e c’è un segno che è la solita brachigrafia Medioevale che
significa h, quindi Brighenti, “Jacomo quondam Bernardini, Joanni quondam
Jeronimi, francisco quondam Joanni Mariae Molentinari” questo era il mugnaio era
figlio del mugnaio. Scorriamo il documento c’è qualche altro consigliere comunale
“Joanni Antonio Crissotto, Veronensio quondam Vincenzii, Juliano quondam Joanni
Petri, Dominico quondam Antonii Bernardi ed Domenico quondam Veronensi
consiliariis Comuni Brenzoni presentibus et enentibus” presenti ed acquirenti cioè
che comperano, ma non a titolo personale “in nomne et vice dicti sui Comunis”
comprano in nome e in vece del loro comune, quindi rappresentano la comunità.
Secoli fa forse facevano gli atti notarili migliori dei nostri, con una attenzione alla
precisione e a mettere i puntini sulle i dove andavano.
Questo Signor Adelaido con i suoi fratelli vende a questi rappresentanti del Comune
di Brenzone “Prezio ducatorum centosexaginta de grossus” vende al prezzao di 160
ducati d’oro, una bella cifra, un terreno che il comune aveva già preso in affitto e per
il quale terreno il comune già pagava un canone annuo. Sotto viene confermato che
il Comune di Brenzone è diventato pienamente proprietario di questo terreno a
Sommavilla. Testimoni a questo atto quindi ci sono una manciata dinostri antichi
concittadini che avevano la responsabilità della cosa pubblica.
Gli uomini del Comune di Brenzone, nel corso del 1500, acquisteranno
progressivamente terreno, è una comunità dinamica, attiva, avrà sicuramente delle
difficoltà economiche, perché abbiamo visto che a confronto con la sponda
Bresciana questa si trova in una certa difficoltà ma è una comunità energica, forte.
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Passiamo a un altro documento, legname.
Ricordo quella bella memoria scritta dall’ex Sindaco Ennio Sartori, parlava di questa
realtà dopo la vediamo perché nel corso dell’800 ci sono dei dati sull’economia di
questa nostra zona nel periodo Asburgico e sappiamo quanti quintali di legna
venivano tagliati e Brenzone, con Malcesine e anche con un po’ Caprino. Ma
sappiamo che era Brenzone il Comune che produceva una grande quantità di
legname che veniva destinato poi a coloro che lo utilizzavano. Ma non solo nell’800,
era una tradizione evidentemente, così la troviamo in questo atto notarile, sempre
del Notaio Francesco Crissotti, che è interessante e anche inconsueto.
Non è un atto di “emptio” cioè di acquisto come era quello precedente ma è un atto
di “venditio lignorum” vendita di legnami “facta” fatta “per consiliarios Comunis
Brenzoni al domino (signor) Silvano de Serafinis de Gardono riferie Salodi” quindi era
un signore di Salò. Quando poi il Comune di Brenzone affittava anche le malghe,
spesso quelli che le prendevano in affitto provenivano dal Bresciano, dal
Mantovano. Allora la tendenza era quella di riservare ad alcuni allevatori della zona
dei territori messi a disposizione gratuitamente o quasi, ma queste cose che
portavano proventi significativi erano richieste dai grandi allevatori della pianura,
perché il grande allevamento bovino in questi anni nella nostra zona non c’è ancora
perché avevano sì pecore, capre, un po’ anche di maiali e le mucche servivano
soprattutto come forza lavoro, avevano i buoi come visto sopra però spesso i muli,
gli asini o le mucche venivano utilizzate per tirare l’aratro, oppure qualche vacca in
casa, erano pochi quelli che avevano grandi allevamenti, mentre i grossi allevamenti
erano nella Pianura Padana, non per niente le mucche erano dette “le Bergamine”
perché spesso venivano dal Bergamasco, questo termine entrerà nella
consuetudine.
“Venditio lignorum ecc.” a questo signor Silvano evidentemente il nome spiega, lui
compera legname, si occupa di legna e Silvano vuol dire uomo della selva, era a
vocazione commerciale ormai determinata. “In Christi nomine” nel giorno, nel luogo
e con i testimoni anzidetti, cioè quelli del precedente atto che non riscrive . Questo
atto è del 19 giugno 1579 quindi lo stesso giorno di quello precedente.
“Ante dicti consiliarii Comunis Brenzoni” i sopra nominati consiglieri del Comune di
Brenzone, agendo per tutte le cose e ogni singola cosa (si nota la precisione di questi
notai questi stipulano questo atto tutte le cose e ogni singola cosa) in nome e in
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vece del loro Comune “et omnus ilius” e qui siamo di fronte a un enigma: i padroni
sono il Comune o gli uomini? Si sa che nel Medioevo ci sono gli “Originari” che non
sono solo quelli di Pesina, ma c’erano in tutti i Comuni ed erano i discendenti di
quegli abitanti del luogo che originariamente si erano insediati in quei posti, erano
loro praticamente i padroni, o se non erano inizialmente i padroni avevano
acquistato i loro beni dai Signori. Allora ii Comune ha una rete giuridica e la
Corporazione degli Originari, che si fonde con il Comune ma giuridicamente sono
due cose distinte. Quando poi arriva Napoleone, ha fatto piazza pulita di tutte le
cose che potevano costituire ostacolo all’espansione del potere dello Stato, perché
Napoleone è un centralista, quindi spazza via le Corporazioni religiose, espropria i
beni dei conventi ecc., e quando si ritrova queste Corporazioni degli Originari si
chiede quali diritti vantino, ne nasce una fortissima vertenza che, come riscontrato
in atti presso l’Archivio distato di Verona, relativi a Brenzone, a Ferrara di Monte
Baldo, relativi alla Val d’Adige, cioè una cosa comune per tutti i territori vicini, questi
Originari dicono che loro sono da sempre stati i padroni dei propri territori e non
vogliono che questi vengano espropriati. Con un provvedimento di Legge del
periodo Napoleonico si dice: o dimostrate con atto notarile che voi (Originari) siete
legittimamente proprietari oppure questi terreni e beni verranno espropriati. Quindi
diventano proprietà dei Comuni, proprietà pubblica, del Comune come Ente
Giuridico a sé stante, in precedenza il Comune come Ente non aveva una personalità
giuridica, era una realtà di riferimento ma giuridicamente erano gli Originari che
detenevano personalità giuridica. Come andrà a finire questa storia ai primi
dell’800? Che in buona parte gli Originari non poterono documentare il titolo di
possesso non avendo in mano i documenti per provare la loro proprietà, si salvano
soltanto gli Originari di Pesina, perché per loro fortuna, siccome avevano avuto una
vertenza con il Comune di San Zeno di Montagna riguardo ad alcuni loro territori,
avevano degli atti notarili freschi, a portata di mano, gli altri invece andavano per
tradizione per diritti tramandati e non furono riconosciuti. Gli Originari di Pesina poi,
avendo avuto il riconoscimento di una parte dei loro beni, esattamente quelli
indicati negli atti notarili che sono riusciti a produrre, in seguito li hanno venduti,
perché avevano probabilmente necessità di realizzare delle entrate.
Quindi i Consiglieri fanno questa loro operazione e vendono il legname a questo
signore che viene da Salò che evidentemente lo vuole trasformare in carbone.
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“Vendiderunt domino Silvano de …. , presenti et tementi per se et eredibus” negli atti
c’è sempre il vincolo anche per gli eredi, per tutelarsi era meglio vincolare non solo
chi stipula ma anche chi eventualmente in caso di morte improvvisa e imprevista
possa subentrare come erede che quindi ha dei vincoli “omnia ligna” tutti i legnami
“existentia in silva pratoribus Brenzoni” nella selva e nei prati di Brenzone “pro
conficendo carbonum” per fare carbone “infra sua confinia nota dicta domino
Silvano” fra i confini che sono ben noti all’acquirente cioè a colui che compra questo
legname “ad abendum” formula di rito cioè lui ha diritto ad avere questo “precio” al
prezzo “solidorum deciemsepte ed denariorum trium denariorum veronensi et pro
quoque sacco” cioè vendono a “sacco”, quindi bisognerebbe sapere se intendono
sacco di legna tagliata o sacco di carbone realizzato, comunque il prezzo è “a sacco”
che evidentemente era una unità di misura usata al tempo “et sacchi carbone “ poi
prosegue “in denaris nominalia re ecc. quantitate summarie …” poi “promittente de
nomine manutenere dicta ligna item convenerum” cioè promettono (i venditori) di
mantenere questo legname che certamente hanno visto con un sopralluogo per
vedere la quantità ipotizzata del legname, loro promettono che mantengono il
legname, quindi non lo vanno a tagliare per ingannare l’acquirente, quindi mettono
questa condizione, “que in tertia annorum quatro” quindi in tre quattro anni “de
Silavanum teneatur devia inciset” lui deve tagliare il suo legname “et incidete cis
dicta ligna ita que finita quadriennio” finito il quadriennio cioè passato il quarto
anno di questo periodo assegnato “sit rimitus et cesset actus incidenti ex facto”
quando sono passati i quattro anni, se ha tagliato la legna bene, altrimenti non taglia
più neanche un rametto, questo per cautelarsi, e la quantità l’avevano ipotizzata
sopra. “Convenerunt quoque que dicto Silvanus non possit urere neque uri facere
supra dicta silva frontes alicuius nec erbas nec fracto” cioè l’acquirente non può e
non deve bruciare le frasche, porta via la legna che gli serve per fare il carbone ma
non può bruciare né fronde né erbe perché queste saranno utilizzate da quelli che
abitano in quei posti, vendono un buon legname, acquisiscono una bella somma di
denaro quantificata in cifra per sacchi ecc. Sapevano fare le loro attività, i loro
interessi. Allora non c’erano altre grosse entrate (non c’erano ancora i turisti
tedeschi), c’era la pesca però i pescatori di Brenzone erano poca cosa, erano più a
Torri, a Garda, nel basso lago, qui c’erano soprattutto pescatori occasionali di agole
pesciolini per la sopravvivenza, per l’alimentazione famigliare, spesso seccavano
questi pesci oppure facevano la salamoia, ma la pesca non era un grande elemento
dell’economia di Brenzone. Invece importante era poi anche l’affitto delle malghe,
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prima è stato nominato Prà Longo, che avevano comperato dalla famiglia nobile,
adesso vediamo che la affittano, questo atto è del 1570, il Comune affitta la malga di
Prà Longo ai nobili Carlotti, antichi vetrai di Garda come attività originaria poi
nobilitati. Qui il documento non è ben leggibile “Locatio temporalis Comunis
Brenzoni contra nobilem Andrea Macarlottum” quindi affitto temporale del Comune
di Brenzone nei confronti del nobile Andrea Carlotti, “in Christi nomine, anno ecc.
ecc.” e quindi affitta questa malga, poi il resto non è ben leggibile. C’è un altro atto
di affitto di malga molto interessante perché è chiarificatore. Relativamente alle
malghe ci sarebbero delle cose interessanti da precisare, quello che è stato spesso
detto andrebbe ritoccato in parecchi punti, per esempio, le malghe erano in legno,
quando andiamo in montagna e vediamo i baiti diciamo che è un edificio
dell’antichità, ma non è vero, questi baiti in sassi sono della fine dell’800 in genere,
perché i baiti, ossia i luoghi di lavoro dei malghesi erano in strutture su base in
pietra, una marogna a secco in pietra, un recinto sul quale si conficcavano dei pali in
legno e poi una struttura lignea coperta di frasche o di paglia o di quello che ci
poteva essere e diventava un casone, questi casoni di paglia e legno offrivano una
certa tutela, una certa garanzia, però, quando arriva per esempio la Guerra di
Seccessione Spagnola agli inizi del 1700, c’è un documento di un prete del Bresciano
che descrive quello che è successo e dice “hanno bruciato tutte le malghe del Monte
Baldo” e le lamentele sono queste, nel corso della storia dei secoli, le vicende che
riguardano le malghe, arriva una bufera, c’è un signore di Caprino un certo Chignola
nel 1600 da un atto notarile, che ha una vertenza con il comune di Caprino che gli
aveva affittato una malga e dice che è arrivata una bufera e chi rimette in piedi il
casone? Perché la bufera ha abbattuto la struttura in legno che evidentemente non
era ben ancorata.
Questi casoni erano mobili, si dovevano spostare periodicamente, in alcuni contratti
è scritto espressamente che il casone deve essere spostato ogni due o tre anni per
conto dell’affittuario, lo scopo dello spostamento era quello di fertilizzare il fondo,
perché tra l’altro, una delle condizioni che compare sempre sistematicamente sui
contratti di affitto, come visto in tanti contratti e da uno studio fatto per l’Università
sulle malghe del Baldo sistematico, partendo dal Medioevo, di cui si è occupato per
la parte storica dal 1500 in avanti, e per quello dice che si riscrive un poco quella che
è la storia relativa agli alpeggi, i casoni dovevano essere spostati periodicamente per
questo motivo, anche perché non c’era altro modo per rendere fertile la montagna,
se l’affittuario portava via il letame, le grassine, impoveriva la montagna, come
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faceva l’anno dopo o qualche anno dopo ad essere fertile e ad esserci la bella erba
per il pascolo, allora una delle clausole presenti sempre nei contratti di affitto delle
malghe di Brenzone come degli altri Comuni del nostro territorio, è proprio quel
divieto di portar via le grassine, di portar via il letame perché doveva restare sul
terreno, quindi la mobilità del casone aveva anche questa funzione. Ne vediamo noi
di queste basi di casoni? Una volta che partiamo con il concetto che esistevano
questi casoni, andiamo a vedere per esempio di bellissimi tra Ortigara e Ortigaretta
sotto al sentiero si vedono dei quadrati dei muriccioli a secco, si potrebbe pensare
che magari c’era l’orto, certamente c’era anche quello, ma è probabile che quelle
strutture fossero i basamenti dei casoni.
A Valfredda c’è una struttura muraria che si sa che è nata alla fine dell’800, ci sono
anche i nomi dei tecnici che hanno elaborato il progetto, ha quella particolare
struttura “a nave” in posizione sempre areata ma sono costruzioni della seconda
metà dell’800 a meno che non abbiamo casi come Malga Basiana per esempio dove
c’è una struttura unica in muratura, l’unica struttura in muratura, di sicurezza
presente nelle malghe del passato era, visto che nelle malghe si produceva
formaggio e ai tempi c’erano furti di formaggio come di bestiame, poi c’erano
pericoli per i lupi, i cani avevano i collari, ci sono pagine letterarie che parlano di
assalti notturni di banditi che vanno ad assalire queste baite, non era il casone che
era luogo di lavoro ma era la casara. La casara aveva una sua struttura architettonica
ben identificata, ossia un corpo rettangolare, bello robusto senza finestre con solo
una finestrina sul retro per poter dare aria e due finestrelle piccoline sul davanti e
davanti all’ingresso c’era una loggetta di protezione, un portichetto. Questa
struttura noi la troviamo nelle casare che ci sono in giro sul Baldo.
Con il passare del tempo è successo che in alcuni casi le casare sono rimaste
autonome e i casoni si sono poi trasformati in edifici in muratura, si pensi a
Valfredda dove ci sono le due casare che oggi sono utilizzate per altri scopi e ci sono
i due baiti che in realtà sono entrambi della fine dell’800. Se ci spostiamo a Basiana
vediamo la casara perfettamente individuata con un corpo aggregato sul fianco che
era il luogo di lavoro, cioè il casone, dopo che in origine era stato spostato sul
territorio e anche lì ci sono dei segni ben identificabili, poi questa struttura è stata
trasformata in permanente, appoggiata alla casara e questa storia architettonica la
ritroviamo lì come la ritroviamo nel Comune di Albarè per esempio dove il baito di
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Albarè attuale è stato realizzato aggiungendo, allargando e allungando la casara che
preesisteva.
Affitto di Valvaccara 1564
“Locatio temporalis Comunis et hominum Brenzoni” sempre con la doppia formula
vista prima “contra Rirum Zanolinum de Gelmettis de Asola” proviene da Asola, ha
preso in affitto la malga di Valvaccara che è una delle malghe preziose del Comune
“in Christi nominae anno nativitate ecc.” “con denti viri Jacomus Manara Massarius
Comunis Brenzoni et Consolinus quondam Michelis, Bartolomeus Cressottus et
Jacopus quondam Bernardini de Castello, consiliari Comuni Brenzoni, agente intra
dicta omnia et singula nomine vice ecc.” solita formula che si ripete, questi
consiglieri del Comune di Brenzone assumono un impegno, affittano a questo
signore in nome del loro Comune, c’è una clausola che vincola qualora i locatori
contravvenissero alle condizioni, affittano “nomines locationis temporalis incepture
de anno 1576 e tempore ad pasculum et duraturum ad annus quinque” quindi gli
affittano per 5 anni nel periodo estivo la malga a questo signore di Asola, abitante in
Retoldesco Mantova, cosa hanno affittato? “Montaneam teum lessinium” la
montagna o il pascolo “vaccis” da vacche, questo viene precisato perché c’erano
anche i pascoli per le pecore, nelle parti alte era destinato al pascolo delle pecore e
nelle parti basse era pascolo bovino “vocatam Valvaccara jacentem parti in
pretinentia Brenzoni“ che si trova parte nel territorio del Comune di Brenzone “et
parti Montanae” e parte nel Comune di San Zeno di Montagna “supra Monte Baldo,
suos inter confines solita est affittaris” come è solito essere affittato questo pascolo,
questa malga, poi avanti “ad advendum, tenendum, meliorandum et non
pejorandum” chi prende in affitto deve aver rispetto del bene “ad abendum” perché
lo possa avere ma anche “tenendum” tenerlo quindi utilizzarlo per i propri scopi
“ma meliorandum” lo deve migliorare non sfruttarlo, tagliar tutto portare via e
lasciare cotico, “et non pejorandum” se non fosse stato chiaro che doveva
migliorarlo precisa ulteriormente che non deve peggiorarlo, altra condizione è che
l’affitto deve essere pagato a metà settembre 130 Ducati d’oro, una bella entrata
per il Comune. Se si mette Valvaccara e poi altri pascoli che il Comune poteva avere
che venivano regolarmente dichiarati e censiti negli estimi a partire dal 1600, si vede
che il Comune introitava delle belle somme. Deve essere pagato in Brenzone in
monete veronesi “et sic omni anno durante presente locationi siet in toto buono
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auro” e pagamenti siano fatti in buona moneta d’oro, quindi non monete fasulle,
vogliono essere pagati per bene.
“Quam locationem convenerum procedere compacta ….” Seguono le condizioni
dell’accordo:
1) Che questi locatori, cioè il Comune che dà in locazione, deve garantire la
casara e dentro la casara bisogna fare due grate in ferro, anche manutenere e
dare in affitto in condizioni agibili la pozza d’acqua che era fondamentale a
spese del Comune, quindi il Comune dà la malga, affida la casara che è la
realtà più preziosa ed unica in muratura e deve dotarla anche di una difesa in
ferro, in modo che chi ci mette dentro il tesoro, le sue cose, sia garantito, in
più devono garantire l’acqua o della pozza e poi della fontana.
2) Parimenti il conduttore, cioè chi prende in affitto, è tenuto a restituire il
legname utilizzato per confezionare i casoni e restituire gli stessi casoni come
li ha ricevuti. Il conduttore non ha diritto ad andare a tagliare il legname, il
legname è preziosissimo, per cui il conduttore poteva pascolare, poteva
usufruire della casara, poteva lavorare, poteva utilizzare il legname necessario
per fare il formaggio e per mettere in sicurezza il casone, ma non poteva
tagliare la legna come voleva, se non per l’uso della caldera, per fare il
formaggio, salvo che ci sia necessità per il casone, per esempio un palo
marcito da sostituire, delle frasche da tagliare, ma solo seguendo gli accordi.
3) Il conduttore non può tenere sopra detta montagna i maiali, se non con il
ferro al naso, perché siccome i maiali vanno a grufolare, scavano le radici e
mettono tutto sotto sopra, quindi rovinano il cotico di questo fondo e quindi
va salvaguardato, “sub pena” qui si fanno delle prescrizioni però bisogna
indicare anche la pena se non le si osservano altrimenti evidentemente non
servono a niente, infatti molti documenti parlano anche di cause e ricorsi che
il Comune di Brenzone ha fatto al Vicario di Torri che era competente per
l’amministrazione della giustizia di questa zona, spessissimo nel ‘700 era un
Damadice uno della famiglia dei Nobili Damadice, ricorsi dovuti a persone che
hanno portato i maiali, fuori dalle norme pattuite che hanno depredato i
terreni e allora vogliono essere pagati e risarciti, così se portano le capre
perché queste vanno a mangiare germogli nei posti più impensati e rovinano
il fondo, così magari hanno portato via il letame, l’hanno venduto a qualcuno
perché, ovviamente, allora non c’erano i concimi da comperare e quindi
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furbetti c’erano e allora si ricorreva alla giustizia. Quindi i maiali possono
essere portati ma solo se hanno l’anello al naso, il grugno, sotto pena di due
libbre, una pena pecuniaria, per ciascun maiale abusivo, una parte della multa
andrà a beneficio del Comune e una parte andrà a beneficio del fisco, a
sanatoria del danno. I porcellini da latte si possono tenere senza nessuna
sanzione. Su questa montagna di Valvaccara il conduttore può tenere i bovini,
non può tenere i maiali liberi, non può tenere le pecore se non da metà in su,
perché Valvaccara ha una parte che è adibita al pascolo dei bovini e una parte,
la superiore a quello delle pecore. Il Comune che affitta è tenuto ad andare
assieme col conduttore per verificare i confini e fargli vedere dove può andare
e dove non può.
L’atto termina dicendo che se per caso nelle convenzioni precedenti ci fossero degli
accordi non contemplati in questo si intendono dati per acquisiti.
C’è anche una riunione della Vicinia del 1644 fatta in Brenzone, in pratica, una
persona ha interesse a far parte della comunità di Brenzone, adesso una persona
che acquista un immobile, porta la sua residenza, nessuno gli chiede niente, si
registra presso gli uffici comunali ecc. Ma in questi tempi un esterno che intendesse
entrare sul territorio avrebbe automaticamente fruito dei benefici di divisione dei
proventi dei beni della comunità; la Corporazione degli Originari, dal ricavato degli
affitti delle malghe e di altri beni ottenevano del denaro che poteva essere utilizzato
per spese comuni, spesso erano gli Originari che pagavano il maestro, oppure
spendevano per qualche opera pubblica, però c’era anche un dividendo, c’era anche
un qualche cosa che restava ai singoli che erano proprietari. Quelli di fuori, entrando
a far parte della comunità doveva essere accettato, dovevano mettere agli atti se lo
accettavano o meno a far pare di questa consortìa, questo avveniva sotto alcune
condizioni: un periodo di tempo di presenza e una somma da pagare come diritto di
ingresso, quindi pagava una certa somma e successivamente entrava a far parte
della comunità. Questa deliberazione per ammettere a far parte della Corporazione
degli Originari un non Originario doveva essere vagliata e varata e deliberata dalla
Vicinia che era la comunità degli Originari, del corpo sovrano locale. Come si vede
noi oggi abbiamo una democrazia che per certi aspetti non regge a confronto con
una democrazia diretta di altri tempi perché non c’era l’ombra ossessiva dello Stato,
della entità pubblica e quindi le persone che abitavano in un luogo erano
effettivamente padroni, erano più a rischio, più esposti perché effettivamente non
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c’erano le forme di tutela e così via, però per certi aspetti avevano una maggiore
decisionalità nelle loro cose. La Vicinia doveva essere tenuta alla presenza e sotto la
presidenza del Vicario di zona, quindi a lui doveva essere richiesta la convocazione
della Vicinia, autorizzata e poi loro decidevano; era una forma di democrazia diretta
diversa dalla nostra attuale.
Nel 1756 ci sono dei documenti vari per esempio questo: Il Comune di Brenzone ha
dei beni, e se c’è gente che va a tagliare abusivamente il legname? Oppure va a fare
qualcosa che danneggia questi beni che sono della comunità? La comunità vuole
essere in qualche maniera tutelata e allora chiede che ci sia un pronunciamento di
legge che tuteli i beni di Brenzone, emanato dalle autorità tutorie cioè dal Capitano
del Podestà di Verona che rappresentano lo Stato di Venezia. Questo per esempio è
un atto di questo genere e dice: “… perciò ad istanza della detta Comunità di
Brenzone, suoi consiglieri et eletti della stessa, si fa pubblicamente intendere e
sapere (quindi si emana un bando, un decreto) che non vi sia alcuna persona di che
grado e condizione esser si voglia (quindi qualsiasi persona, ricco, povero, nobile o
non nobile) che ardisca o presumi sotto qualunque voglia, color o pretesto di inferire
o far inferire alcun immaginabile danno alle terre di ragione di detta comunità di
Brenzone” cioè nessuno abbia ad ardire di danneggiare i beni che sono di ragione
della comunità di Brenzone, su richiesta del Comune di Brenzone. Qui siamo nel
1756, vuol dire che evidentemente i Brenzonai avevano qualche motivo per
chiedere una tutela maggiore perché si erano accorti che c’erano dei furbacchioni
che approfittavano, e allora chiedono l’intervento delle autorità per far rispettare
loro beni e tutelarsi. Ed elenca quali sono questi beni: “campi, prati, monti, pascoli,
selve, case, cortili, orti, peschiere, broli, vigne, olivari, castagnari e altri fruttari di
qualunque genere ovunque esistenti sotto il proprio domnio”. Quindi la tutela di tutti
i loro beni con un decreto pubblico quindi significa che gli abitanti di Brenzone,
attraverso i loro amministratori sapevano, in caso di necessità, come fare e a chi
rivolgersi.
Alle volte c’erano delle denunce, qui ne troviamo una del 1756, una denuncia contro
abusi commessi nelle malghe. Un’altra dello stesso anno, altra denuncia di abusi e la
tipologia del danno denunciato: “si denuncia e si manifesta a questo spettabile
ufficio delli consiglieri del Comune di Brenzone siccome Giacomo Antonio Boccola
quondam Giacomo, conduttor della montagna Prà Longo, Giacomo e fratelli
Chemasi quondam Tomio conduttor della montagna Trovaj e Bartolomeo Zanetti
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conduttor della montagna Brione detta di ragione di suddetto Comune tengono
sopra suddette montagne schiapi di capre contro il tenor delli capitoli montagne con
danni notevoli delle medesime” quindi contro gli accordi dei contratti e con
danneggiamento.
“Parimenti Francesco Chemasi quondam Giacomo, Gerolamo Consolini figlio di
Francesco, Bortolo Giuliani di Giovanni Antonio e Fratelli Brighenti quondam Bortolo
tutti questi di propria autorità si son fatto lecito di tagliare legne sopra le montagne
di questo Comune e far carbone instando che a norma della ducale sarà anco tale
effetto …. Ecc. ecc. il danno che con codesto taglio hanno apportato a codesto
Comune” quindi si chiede giustizia.
L’altra volta avevamo visto un documento di fine 700, è interessante perché è il
documento del Marocchi che è stato utilizzato più volte, questo manoscritto si trova
presso l’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, non è stato mai
pubblicato integralmente, non è lunghissimo però è interessante, dà la popolazione,
dà altri dati relativi ai luoghi ma la cosa interessante è che dà anche dei dati relativi
all’economia e alle caratteristiche dei luoghi. Dice che ci sono varie ville: Senza ossia
Menarolo, villa situata sulle rive del lago e richiama la nobile Famiglia degli
Spolverini, poi parla di Porto, poi di Vaso dove dice che è un mulino a due rote,
(questo è importante perché, facendo un salto si arriva alla Magnesia) quindi nel
1700 c’è già questo mulino da macinar grano, così chiamato Vaso di acqua che giace
tra Porto e Magugnano lontano dalla Parrocchia di Brenzone mezzo miglio forma
famiglie 1 anime 4. Quindi il grano era prodotto quindi oltre alla legna,
l’allevamento, un po’ di pesca c’era il grano, le castagne, stommaco (una granaglia),
poi utilizzavano le scorze di rovere per tintura per la colorazione dei tessuti o delle
pelli, c’erano anche queste varie attività nelle corporazioni, Magugnano luogo dove
vi è la casa della comunità dove i capi famiglia si congregano per discutere gli affari
spettanti al pubblico vicino alla Parrocchia che è la sede delle discussioni comunali,
San Giovanni Parrocchia, Castelletto luogo alquanto ampio con un porto destinato a
ricevere le barche che vi approdano, nominato per esservi stati anticamente vari
castelli ecc. Proseguendo si arriva a quella che è l’economia. Nella descrizione
stranamente trascura alcuni aspetti, questo era un dottore incaricato di stendere
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una relazione sul territorio, probabilmente è stata fatta in un modo un poco
affrettato. Dice quindi il suddetto documento:
"Le rendite della Comunità di Brenzone consistono nella raccolta delle ulive dolcissime,
foglia (cioè gelsi che servivano per l’alimentazione del baco da seta e quindi c’era questa
produzione), e castagne (le castagne sono un prodotto prezioso per questo territorio e
troveremo nell’800 per esempio nelle relazioni della produzione economica del periodo Asburgico
che le castagne di Brenzone sono una risorsa per tutta questa zona). Quasi tutta la campagna è
collocata sul colle giaroso (ghiaioso e perciò non tanto fertile); perciò non tanto fertile. Per
questa ragione non si veggono in Brenzone ulivi di smisurata grandezza, come
in Malcesine (là probabilmente sono più piani, più fertili), fuorchè nel piano di sotto Borgo.
Nemmeno si osservano in questi la mostruosa escrescenza, in terzo luogo non
presentano quelle escrescenze o forme tumorali sul tronco come in quelli di Malcesine
(ossia, gli olivi di Brenzone intanto fanno delle olive dolcissime, in secondo luogo sono un po’ più
piccoli di quelli di Malcesine), come in quelli di Malcesine, tolto in qualche piano. I monti di
Brenzone di estensione quattro miglia in lunghezza, e in larghezza uno appena, sono
quelli che producono le saporitissime castagne, oltre altra sorte di frutti di ogni genere,
come pure grano. Vi è eziandio in questo circondario sopra li ulivi qualche vignale di poca
considerazione. Il commercio non è tanto florido come in Malcesine".
Ecco fatto il quadro, cosa manca? Non dice niente di pecore, di capre, di maiali, di
produzione casearia, di pesca, per questo è una relazione un po’ carente, comunque
è da tenere in considerazione perché fornisce alcuni dati che possono essere
interessanti.
La pesca era poco importante, nel 1805, ci sono dei documenti che lo testimoniano,
una relazione ci fa capire che dieci anni prima i pescatori a Garda erano 48 a Torri
erano 70 a Brenzone nessuno e a Malcesine 13, in realtà qualcuno andava a pescare
però non erano pescatori riconosciuti.
Nel 1805 a Garda sono diventati 64, a Torri si sono ridotti a 62 a Brenzone nessuno
però molti occasionali e a Malcesine sono 9 e anche lì ci sono molti pescatori
occasionali.
Nel 1806, parlando di pesca, c’è una forte polemica di Brenzone contro i pescatori di
Malcesine perché questi usavano la retta detta Lotrione che era equivalente al
Remàt, che si considerava rovinasse la sorte futura, quindi la garanzia per il futuro
della riproduzione dei pesci.
Per quanto riguarda la produzione dei bozzoli da seta per i quali abbiamo
precedente visto che c’era la produzione di foglia, quindi gelso, secondo i dati
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statistici rilevati dai documenti ottocenteschi nel 1812 la produzione di bozzoli in
libbre che era un’unità di peso al tempo, in alcuni Comuni che possiamo prendere
come riferimento, era la seguente:
Caprino Veronese 26.580, Malcesine 9.583, Garda 13.134 e Brenzone 6.666, è un po’
meno di quella di Malcesine comunque è tantissima, ecco perché nella relazione
c’era indicata una bella quantità di foglia.
Ancora nel 1821, questa è una relazione della delegazione provinciale la quale ci
dice, paese per paese, quella che era la produzione.
A Brenzone nel 1821 non c’è frumento, non c’è frumentone cioè polenta, non c’è
segala, ci sono 37 some di medica, la medica era un granetto utilizzato per
l’alimentazione umana, quindi una piccola quantità, a Lazise per esempio di medica
se ne producevano 30 some.
Castagne: a Brenzone 157 quintali metrici che equivalgono al nostro quintale, San
Zeno di Montagna 319, Caprino 464
Frutta: a Bardolino 2.600 quintali metrici, a Brenzone 37, un divario notevole.
Ortaggi: Bardolino 12 q.m., a Brenzone 21 quindi c’era una buona produzione di
ortaggi.
Olio di oliva: a Malcesine 1.212 q.m., a Bardolino 170, a Lazise 78, a Torri 170, a
Brenzone 560 quindi una produzione inferiore rispetto a quella di Malcesine ma
sicuramente di notevole importanza.
Vino: abbiamo visto che un po’ di vino c’era però poco, a Bardolino 2.200 q.m., a
Caprino 864, a Malcesine 12 perché neanche Malcesine è zona di vigne a parte
sopra un po’, Costermano 500, Castion altrettanti, Rivoli 800 e Brenzone 33 q.m. un
po’ di vino per soddisfare l’uso familiare.
Bozzoli abbiamo visto prima che ce n’è una certa quantità e nel 1821 cioè 10 anni
dopo rispetto ai dati precedenti a Bardolino 100 q.m., a Malcesine 47, a Lazise 200, a
Brenzone 102 quindi ne ha più del doppio di Malcesine, quindi è un allevamento
significativo e importante per la zona.
Però l’elemento forte è la legna, l’abbiamo visto precedentemente sui documenti,
nel 1721:
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Bardolino un’inezia, 1.700 q.m., Caprino 1.250, San Zeno 616, Ferrara di Monte
Baldo 250, Dolcè in Valdadice 12.000 perché è una zona di grandi boschi, Malcesine,
che era una zona molto boscosa 17.000, Brenzone 22.000 erano i campioni in
assoluto di produzione di legname in quegli anni, questo per dire l’importanza che
aveva, dati d’archivio.
La libbra corrispondeva a circa 7 etti.
Bestiame: si riferisce all’anno 1894.
Riporta dei dati numerici che possono essere significativi.
A Castelletto ci sono 78 muli, 16 cavalli, 286 bovini, 445 ovini, e 74 suini.
A Malcesine ci sono 52 muli cioè un po’ di meno, 63 cavalli, 534 bovini (quasi l
doppio) e ovini 1.600 (contro i 445)
Si deduce perciò che l’allevamento c’è ma è soprattutto il pascolo per quelli che
prendono in affitto dall’esterno e fanno arrivare denaro fresco in poche parole.
L’allevamento è abbastanza ridotto, hanno i loro pascoli da utilizzare e una ventina
di suini, non molti. C’è una produzione comunque casearia, anche perché a un certo
punto, nel 1882-1883-1884 il Sindaco di Brenzone Giosafat Cressotti che era nipote
del famoso giurista originario di Brenzone lancia un’idea. Quello di fare ciò che era
stato realizzato da poco a Caprino Veronese ovvero una Cascina Sociale, cioè un
caseificio. A Caprino era nato un Consorzio, si erano messi d’accordo i proprietari dei
bovini e gli allevatori e hanno e hanno creato questo Consorzio dove attualmente
c’è il macello, la primissima destinazione era stata quella di realizzare un caseificio.
La cosa è stata salutata come pionieristica a livello dell’intera Provincia di Verona.
Questo Cressotti Giosafat che era stato eletto Sindaco nel 1882 e ci resterà per un
bel po’ di anni, fino al 90 e qualcosa, ha tante idee ed entusiasmo e una di queste
niziative voleva fosse quella di creare un caseificio per la zona. Però non ci riesce,
evidentemente la cosa non era particolarmente sentita, ovvero ci poteva essere una
quantità consistente ma forse non sufficiente per mettere in piedi una struttura di
questo genere, fatto sta che non è andata in porto. Peraltro nel 1911 nel Comune di
Castelletto di Brenzone, perché in questi anni si chiama ancora così e verrà cambiato
nel 1934, ci sono queste produzioni:
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formaggio e burro 6.000 q.li (una produzione di tutto rispetto), olive 6.000 q.li poi
2.500 q.li di castagne, 10.000 q.li di legna che è diminuita probabilmente perché
aumenta la produzione di castagne e di olive quindi si riduce un po’ l’impegno per il
bosco e poi c’è nel 1911 una voce che viene riportata che è indicativa, ovvero si
commercializza pietra da fabbrica, altra risorsa del territorio, pietra delel cave,
probabilmente o pietra di recupero quando si faceva lo scasso nei campi per creare
degli oliveti, oppure qualche cava sulla riva o nelle vicinanze del lago dove
affioravano le rocce, fatto sta che c’è questa voce significativa. Si parla di 4 oleifici, la
pesca delle alborelle, poi n questo periodo c’è ormai attiva la fabbrica della
cosiddetta Magnesia.
Il discorso della magnesia è interessante perché, intanto loro vengono dalla Val di
Ledro, dove c’era un signore che era una sorta di scienziato, un personaggio geniale,
un certo Pierantonio Cassoni che nel 1816, primo al mondo aveva prodotto in
laboratorio il bicarbonato di magnesio derivandolo dalla Dolomite, però lui non lo ha
brevettato perché forse non ci ha pensato, e sarà brevettato qualche anno dopo, nel
1841 da un chimico inglese un certo Pattinson, questo Signor Cassoni dà l’avvio ad
uno dei primi poli europei di produzione della magnesia, muore peraltro nel 1834 a
soli 44 anni e la sua iniziativa passa nelle mani del nipote, un medico che si era
laureato a Padova, che si chiamava Bartolomeo Cassoni, che era nato a Bezzecca,
subentra allo zio, allarga la fabbrica con altri procedimenti, realizza lo stabilimento
industriale di Pieve di Ledro, muore anche lui giovane, a 40 anni nel 1850. Così la
famiglia Cassoni si estingue e allora l’iniziativa viene ripresa dal capo operai di
questa azienda che si chiama Bernardino Collotta e nel 900 avremo la ditta Zecchini,
Collotta e Cis, tutti e tre cognomi della Val di Ledro. L’ideatore è stato questo
Cassoni, zio e poi nipote, subentra questo Collotta che era stato in società con il
Cassoni nipote nell’ultima fase di vita di quest’ultimo, e ne era capo operai, insieme
con un altro operaio certo Cis e con un Martino Gigli danno vita e riprendono
l’iniziativa, spostano la produzione a Bezzecca in località Pezze nel 1857, a Molina di
Ledro nel 1900 e in tutta quella vallata creano quattro insediamenti, uno a Pieve,
uno a Bezzecca e due a Molina.
Poi succede che proseguono con l’attività dal 1900 per alcuni anni, poi nel 1928
cominciano a produrre super isolanti, cioè cambiano un po’ la produzione e
utilizzano amianto, la produzione di amianto va avanti fino agli anni 70 del ‘900 e poi
ci si rende conto che ci sono delle conseguenze gravi, tra l’altro utilizzavano un
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amianto che proveniva dal Sudafrica che era particolarmente pericoloso e quindi si
chiude la fabbrica, vengono rilevati casi di tumori in zona, Molina di Ledro è
all’avanguardia nella lotta contro queste forme di produzione a base di amianto.
La ex fabbrica verrà acquisita dal Comune e diventerà una sorte di museo.
Per quanto riguarda invece Brenzone, loro entrano qui intorno al 1879 con la Ditta
Zecchini, l’anno dovrebbe essere il 1879, peraltro il Giovanbattista Simeoni che
scrive una bella monografia sul Lago di Garda e la pubblica nel 1879 e non nomina
questa Ditta quindi o era appena insediata o non c’era ancora, fatto sta che non
viene nominata. Peraltro nel 1884 la Ditta Zecchini partecipa ad una esposizione
Nazionale a Torino e riceve un riconoscimento di merito, una medaglia di bronzo e
quindi porta il nome Brenzone perché ha qui la sede, si è insediata dove prima c’era
il mulino perché aveva bisogno di acqua, delle mole per macinare la dolomite e
trattarla e di anno in anno questa ditta progredisce. Negli annali di statistica del
1890 si parla espressamente della fabbrica, in questa relazione, parlando di torchi, si
dice che ci sono due torchi per l’estrazione di noce che si trovano nel Comune di
Castelletto di Brenzone, questo è un altro elemento della storia dell’economia di
questi luoghi, come si sa l’olio di noce era pregiato soprattutto come shampoo, era
ricercato dalle signore , hanno pochissima importanza giacchè non occupano che un
solo operaio per ciascuno e lavorano soltanto per conto dei privati che ne danno le
commissioni, però a livello provinciale è l’unica produzione di questo genere
esistente in Provincia di Verona di olio di noce.
Riprendendo il discorso della magnesia, l’Agostino Zecchini, il primo fondatore
muore nel 1892, gli subentra il primogenito che si chiama Claudio che sarà quello
che nel 1884 a Torino riceverà questo riconoscimento ed è uno dei primi
riconoscimenti che poi verranno seguiti da tanti altri, comprese anche medaglie
d’oro, apprezzamenti da parte delle ditte farmaceutiche a livello nazionale e anche a
livello internazionale.
Per esempio, la stampa dell’epoca definisce questo Claudio Zecchini “attivo e
intelligentissimo” un grande imprenditore. Magnifica la sua produzione, unica nella
Provincia di Verona, peraltro nella Provincia di Brescia c’era una ditta che produceva
le stesse cose ed era la Ditta Comboni a Limone, quindi sull’altra sponda c’erano
queste attività. Nel 1896 la Ditta è nominata anche da Ottone Brentari come Ditta
Zecchini, successivamente nel 1897, se andiamo a leggere la monografia sul Lago di
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Garda la nomina come Ditta Collotta, quindi scompare il nome Zecchini e rimane
solo Collotta, risulta peraltro che il Claudio Zecchini è morto intorno al 1920, quindi
dal 1897 probabilmente ha abbandonato questa realtà, è subentrato interamente il
Collotta che era già in società assieme e la ditta va avanti come Collotta e nel 1911 la
troviamo come Ditta Collotta, Cis e Gigli. Gigli era uno degli operai delle origini.
La particolarità è che agli inizi, nel 1890, la produzione era di 400 quintali circa di
questo carbonato di magnesia, nel 1892 lo Zecchini ha ottenuto una medaglia d’oro
a una esposizione alle Colombiadi, l’anniversario della scoperta dell’America, lui
partecipa a Genova e ottiene una medaglia d’oro e porta il nome Brenzone anche in
questa circostanza. Nel 1911 la Ditta Colotta, Cis e Gigli ha 35 operai (dalla decina
che aveva in precedenza) e produce 3.000 quintali quindi hanno avuto una crescita
notevole, negli anni 30, dice don Pighi, la Ditta occupa fino a 60 persone, quindi è
diventata la unità produttiva industriale del nostro territorio, durante la Seconda
Guerra Mondiale viene occupata dai Tedeschi, nel Dopoguerra cambia produzione e
produce olio minerale dalle sanse fino agli anni 70 e poi cessa e viene acquistata da
un albergatore di Garda, Squarzoni, che la trasforma in albergo che è diventato
l’attuale Hotel du Lac.
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I Cassoni, maghi della magnesia Da Pier Antonio a Bartolomeo: il lassativo che diventa grande industriadi Donato Riccadonna
Un’antica pubblicità della magnesia
Pier Antonio Cassoni di Ledro, nel 1816, primo al mondo, produsse in laboratorio il
carbonato di magnesio dalla dolomite. Ma non lo brevettò e questa scoperta non lo
portò nel ristretto cerchio dei grandi pionieri della chimica e della farmacologia.
Pensate che "solo" nel 1841 il chimico inglese Pattinson brevettò il processo
industriale della calcinazione della magnesia, dandogli ovviamente il proprio nome.
Ma comunque fu proprio Pier Antonio Cassoni a dare l' avvio ad uno dei primi poli
industriali europei di produzione della magnesia. In val di Ledro e con quelle difficoltà
alla viabilità ben note già allora (la Ponale fu aperta nel 1851)!. E chi ha ri-scoperto tutto
ciò? Ma che domanda: i cugini Carlo e Paolo Cis da Bezzecca, che con questa loro
dodicesima fatica in 11 anni, "La famiglia Cassoni di Ledro. Bortolo, Pietro Antonio e
Bartolomeo Cassoni: chimici, farmacisti e industriali", sono usciti con un libro pochi giorni
fa per merito della neo nata associazione culturale Achille Foletto. Chi ha avuto la fortuna
di conoscere Livio Cassoni, il pronipote morto a Massone nel 2008 alla veneranda età di
97 anni frequentante la Beppa Giosef, non si stupisce di fronte alla genialità e alla curiosità
espressa da questa famiglia dal padre Bortolo (1738-1816), al figlio - il vero genio - Pietro
Antonio (1790-1834), fino al nipote - l'industriale - Bartolomeo (1810-1850). E colpisce il
fatto che il destino si accanì tragicamente contro questa dinastia tanto che non rimase
quasi discendenza e la farmacia fu prelevata da Giovanni Foletto (1827-1906), i cui parenti
tuttora esercitano l'unica farmacia della valle, aprendo addirittura un museo della farmacia.
Girava addirittura la chiacchiera che molti credevano ad una specie di vendetta della
montagna contro coloro che ne avevano carpito così bene i segreti. Il racconto dei cugini
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Cis si snoda, come al solito, tra documenti storici, ricostruzioni "romanzate" di ambienti e
di figure, uno sguardo a quello che succedeva oltre la valle e oltre confine nazionale: il
tutto per dimostrare ancora una volta come Ledro, nonostante l'isolamento forzato dovuto
alla morfologia, era ben inserito nelle dinamiche internazionali ed ha espresso personaggi
di grande spessore. Come appunto gli speziali-farmacisti Cassoni. La farmacia a Ledro
esisteva sicuramente già nel 1700 e Bortolo Cassoni la gestì nei primi anni dell'800; ma è
con Pietro Antonio e Bartolomeo che l'attenzione si sposterà sempre più dalla farmacia
alla produzione industriale, tanto da abbandonare la prima attività affidandola ad altri.
Pietro Antonio era una vera fucina di idee: la più geniale fu quella di ottenere la magnesia
dalla roccia dolomitica, e questo fu un primato assoluto non essendoci alcun precedente.
E lo schema di sperimentazione lo mise a punto già dal 1808 a 18 anni! Ma il suo pallino
erano le acque termali, arrivando addirittura ad allestire vicino al proprio laboratorio a
Pieve un piccolo stabilimento termale e progettandone uno ben più ambizioso a Trento.
Ma nel 1834 a soli 44 anni muore lasciando incompiuti i grandi progetti. Toccherà al nipote
medico Bartolomeo realizzare il sogno: le sue vicende si incroceranno nel bene e nel male
con un altro grande personaggio di Ledro, Giacomo Cis, che presterà dei soldi per
realizzare lo stabilimento industriale di Pieve. E per arrivare ad una produzione giornaliera
di ben 40 chili di buona Magnesia fluida Dolomina (che poi serve come purgativo e come
digestivo) dai 1-2 Kg del laboratorio artigianale di Pieve, Bartolomeo si ispira anche
all'attenta osservazione dell'antica arte della calcinazione dei sassi calcarei delle calchere
ledrensi. Nel 1845 apre i battenti la fabbrica in località Praisola e per farla funzionare in
maniera ottimale bisognava che fosse a turno continuo: e qui sono gustose le vicende
della richiesta della dispensa per gli operai a lavorare anche nei giorni festivi richiesta alla
chiesa. Ma il destino tragico si abbatte ancora sui Cassoni: Bartolomeo muore nel 1850 a
40 anni. La fabbrica di Pieve passa di mano e produrrà fino al 1886, mentre Bernardino
Collotta, capo operai di Cassoni, con Giuseppe Cis e Martino Gigli spostò la produzione
nella valle dei Mulini a Bezzecca nel 1857 e poi in paese a Molina di Ledro nel 1900. Ma
questa è un'altra storia.