360° - ottobre 2012

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Periodico a distribuzione interna finanziato dalla L.U.I.S.S. Guido Carli e realizzato dagli studenti | Ottobre 2012 Periodico a distribuzione interna finanziato dalla L.U.I.S.S. Guido Carli e realizzato dagli studenti | Ottobre 2012

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Il numero di ottobre di 360°, la rivista degli studenti LUISS.

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Periodico a distribuzione interna finanziato dalla L.U.I.S.S. Guido Carli e realizzato dagli studenti | Ottobre 2012Periodico a distribuzione interna finanziato dalla L.U.I.S.S. Guido Carli e realizzato dagli studenti | Ottobre 2012

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SommarioOttobre 2012

Questo numero di 360° - Il giornale con l’università intorno è stato realizzato in col-laborazione con LuissApp

Editoriale• Pronti a mettervi in gioco? Si (ri)comincia ........................................... pag. 3

CosmoLuiss SP• Per saperne di più... .................................. “ 4• ASP, una realtà da vivere in LUISS... .... “ 5CosmoLuiss EC• Intervista al Prof. Giorgio Di Giorgio .. “ 6• Intervista a Francesco Salvatore Prete ...... “ 6• Intervista al Prof. Gennaro Olivieri ...... “ 7• Intervista ad Alessio Silvestri .................. “ 7CosmoLuiss GP• Intervista ai rappresentanti degli studenti nel C.d.D di Giurisprudenza .................. “ 8• Intervista al nostro rappresentante al Cda .......................................................... “ 9

L’Intervista• Giovani, sport, università: il nostro direttore generale Pierluigi Celli a... 360° ............... “ 10• Intervista al prorettore alla didattica Roberto Pessi .............................................. “ 10• Intervista al rettore Massimo Egidi......... “ 11

Speaker’s Corner• Speaker’s Corner: un focus sulla politica interna ......................................................... “ 12• Siamo (forse!) fuori dal tunnel .............. “ 13• Riforma elettorale: premesse, proposte, promesse democratiche ............................ “ 13

InternationalAround the world, around the word• Skibsdagbogen........................................... “ 14• It’s too closet to call .................................. “ 15• Meles Zenawi, the aftermath .................. “ 15

Fuori dal Mondo• American Stereotype................................ “ 16

Walk• Invito al viaggio ...........................................“ 18

Cogitanda• Differentemente ........................................ “ 19• Vendita al dettaglio .................................. “ 19• Verranno (a chiederti del nostro amore) ......................................................... “ 20• Solo un dettaglio ....................................... “ 20• Quel dettaglio che si chiama orgoglio .. “ 21• Mi piace il modo in cui scrivi ................. “ 21

L’Eretico• Simpatia al potere ..................................... “ 22

Erasmus• Pronti, partenza e via! .............................. “ 23• Erasmus, don’t panic! .............................. “ 23

Ottava Nota• Nuovi cantautori ....................................... “ 24

Artificio• Meeting: perché ripartire da questa strana umanità ........................................... “ 26

Lifestyle• La bilancia dell’amore .............................. “ 27

Cinema & Teatro• I mitici anni ‘80 .......................................... “ 28• Serialità 2.0 - il web è democrazia ......... “ 29• Il castello ottogonale ................................. “ 29

Calcio d’Angolo• Londra 2012, le prime Olimpiadi 2.0 ...... “ 30• 1921-2012: Il grande riscatto del calcio femminile ........................................ “ 30• Trasferte ...................................................... “ 31• Re Roger è tornato! .................................. “ 31

Vuoi collaborare con 360°?Scrivi a [email protected]

Fondato nel 2002FondatoriFabrizio Sammarco, Luigi Mazza,Leo Cisotta

DirettoriCristiana Lucentini, Donatello ViggianoDelegato FondiJacopo Pizzi

Cosmoluiss SPLudovica Fabbri, Vittoria MorettiCosmoluiss ECAntonio GrifoniCosmoluiss GPMartina Vairo

L’IntervistaAlberto Luppicchini

Speaker’s CornerFrancesco Angelone

InternationalKian Andrea Saggiadi

Fuori Dal MondoAntonio Amadei

WalkMaria Vittoria Vernaleone

CogitandaGiulia Perrone, Linda Patumi

L’EreticoEdoardo Romagnoli

ErasmusAmbra Borriello

Ottava NotaFrancesco Corbisiero

Artificio-

LifestyleAlessandra Buccini Pietrantonio

Cinema & TeatroAntonio Buonansegna

Calcio d’AngoloMatteo Oppizzi, Lorenzo Nicolao

Progettazione grafica & copertinaDiego Lavecchia

360° - Il giornale con l’università intornoè stampato interamente su carta riciclata

Stampa a cura di: Pioda Editore - Romaviale Ippocrate, 154viale Romania, 25

Pronti a mettervi in gioco? Si (ri)comincia

Iniziare un nuova esperienza con dei ringrazia-menti potrebbe sembrare un po’ scontato, ma anche sentito e doveroso nei confronti di chi ci ha scelti come guida di questo giornale. L’anno ormai imminente coincide subito con una ricor-renza importante e degna della migliore celebra-zione: il decennale dalla fondazione di 360. Era infatti novembre 2002 quando un gruppo di studenti maturò quest’idea, senza probabilmente sapere quanto, questo giornale, sarebbe diventa-to un autentico punto di riferimento all’interno del nostro ateneo e cammino universitario. Già, perché così come lo è stato per noi in questi anni, il nostro obiettivo fondamentale è quello di coin-volgervi il più possibile, matricole e non solo, ed essere un prezioso sostegno verso chi, in manie-ra legittimamente disorientata, sta muovendo i primi passi all’interno di questo nuovo mondo, perso tra le decine di stand della giornata della matricola. La nostra speranza è doppia: aiutarvi a maturare un’importante esperienza in campo giornalistico-comunicativo, ma anche fornirvi uno strumento oseremmo dire quasi sociologico, perché , per esperienza diretta, entrare a far parte della nostra famiglia permette di conoscere per-sone che saranno importanti riferimenti nel corso della carriera universitaria. E’ per questo, anche per smentire qualche luogo comune che ci vede come una struttura chiusa a poche persone e solo a scienze politiche, che sarà nostra premura, attraverso anche un paio di riunioni(sia a Viale Romania che in Via Parenzo) presentare il giornale in ogni sua sfaccettatura, sperando di attirare la vostra curiosità e poter-ci avvalere della vostra preziosa collaborazione. Sta a ciascuno studente far la propria scelta, ma la bellezza e la soddisfazione del costruire qual-cosa piuttosto di acquistarla ci deve invogliare a sfruttare a pieno la realtà che ci circonda. Perché accontentarsi di cogliere una mela, quando si può far parte del processo di semina e di crescita dell’intero albero? Perché accontentarsi di leggere il 360 e apprezzarne o criticarne gli articoli, quan-do si può vedere la propria firma alla fine di uno di questi? Il giornale si presenta sostanzialmente consolidato nella sua struttura, ma riparte da una base fondamentale ed imprescindibile: le forti motivazioni di chi, capiredattori vecchi e nuovi, ha accettato di essere ancora parte integrante di questo progetto e sarà in grado di trasmettere an-

che a voi lo stesso contagioso entusiasmo. Dal-le ultime novità delle tre facoltà di ateneo, alla politica interna e internazionale (quest’ultima a sua volta declinata in internazionale sotto i ri-flettori dei media e interna ai nostri confini con “Speaker’s Corner”), dal cinema alla musica, dal teatro e alla moda passando per cioè che ci sem-bra lontano e “fuori dal mondo”, spazieremo fino allo sport, in una struttura che meglio si apprezza sfogliando le pagine di questo numero e che è ri-masta invariata nelle sue linee essenziali in tutti questi dieci anni. La rubrica Erasmus avrà il com-pito, attraverso il racconto diretto di chi in questi mesi è lontano dalla Luiss, di fornirvi da subito ed un numero alla volta, senza aspettare il rien-tro a fine semestre, ogni informazione, dettaglio e curiosità da ogni angolo del mondo circa un’espe-rienza che sempre più studenti hanno intenzione di compiere all’interno dei cinque anni. Il mondo

del lavoro, come il nostro direttore generale Celli ha raccontato nella sua intervista all’interno di questo numero, necessita sempre più di attività di gruppo, cooperazione e comune risoluzione di problemi. E se le poche informazioni che questo editoriale vi ha trasmesso vi hanno lasciato con la curiosità e la voglia di saperne di più, veniteci a conoscere nel nostro stand, scriveteci su facebook e guardatevi intorno a…360° . Nel darvi il nostro personale benvenuto alla Lu-iss, non ci resta che sperare di avervi tra noi ed aspettare che entriate sin da subito a far parte del-la nostra squadra.

Donatello ViggianoCristiana Lucentini

Editoriale 3

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Ottobre 2012CosmoLuiss SP4 5

Alberto AspidiRappresentante alla magistrale

Guardando al lavoro compiuto in quanto rappresentante, come valuti il tuo mandato? Sei riuscito a concretizzare i tuoi principali obiettivi o ci sono ancora cose che, avendo più tempo a disposizione, ti piacerebbe fare in quanto rappresentante? Per quanto riguarda l’ordinaria amministrazione, e quindi i problemi quotidiani in ambito accade-mico, sono soddisfatto. Ho fatto il possibile per aumentare il più possibile la comunicazione tra studenti e docenti, cercando di venire incontro alle esigenze di chiunque chiedesse il mio aiuto nel modo più rapido ed efficace possibile. Ovviamen-te non sempre sono riuscito a soddisfare le richie-ste che mi venivano fatte, ma ho fatto il massimo. Per quanto riguarda invece il mio lavoro “dietro le quinte” ossia nei consigli di facoltà..beh...pos-siamo solo aspettare. In questo anno e mezzo ho riflettuto sui piani di studi, e formulato proposte con l’idea di avvicinare la nostra università agli standard internazionali, cercando inoltre di ren-dere la nostra facoltà proiettata verso il futuro. In particolare, ho chiesto “più Europa”, ossia una preparazione che renda chi esce dai nostri corsi pronto per andare all’estero,verso il settore che più di altri ci offre opportunità, senza dover troppo in-tegrare le proprie competenze e conoscenze..Se i risultati di questi sforzi saranno buoni, non sarò io a sperimentarlo: a dirlo dovranno essere i ragazzi che quest’anno sono iscritti al primo anno dei corsi di laurea magistrale, poichè eventuali modifiche dell’ordinamento riguarderanno loro!

Sei ormai giunto al quasi al termine del tuo percorso di studi: sei soddisfatto di aver scel-to la Luiss come università? quali sono i suoi punti di forza maggiori? Sì, molto. Tornassi indietro, rifarei tutto.I punti di forza della Luiss sono i docenti, e ov-viamente una amministrazione che li sceglie. In-tendiamoci: professori bravi ce ne sono tanti. Ma

è la loro disponibilità nei confronti di noi studenti che fa la differenza, e ci rende dei privilegiati. Pos-siamo davvero pensare solo a studiare e a costruire il nostro futuro. Qui, per noi,tutte le porte sono aperte se abbiamo idee o problemi e vogliamo co-municarli

Alla luce del tuo percorso, su quali questioni e ambiti della laurea magistrale consigliere-sti al tuo successore di concentrarsi maggior-mente? Non so chi sarà il mio successore, anche se dopo tanti uomini, non sarebbe male vedere in carica una ragazza. Le/Gli auguro in anticipo buona for-tuna per un compito bello ma davvero stancante. Riguardo agli ambiti sui quali concentrarsi, la nostra funzione è e rimane quella di occupar-ci della comunicazione con i docenti e con gli uffici; di analizzare e segnalare eventuali punti deboli o da riformare nel nostro sistema didatti-co; e, dove possibile, creare nuove strade e nuove occasioni.L’unico consiglio che davvero mi sento di dare, è il seguente: sempre mantenere la calma, restare tranquilli e fare leva sul proprio buon sen-so: il rappresentante, in fin dei conti, è principal-mente un mediatore tra studenti e docenti.

Federico Ronca e Simone NeriRappresentanti alla triennale

Nell’anno accademico 2012/2013 verrà inau-gurato il nuovo indirizzo triennale in inglese Politics, Philosophy and Economics cosa pen-sate di questa iniziativa?F. - Sicuramente si tratta di un’iniziativa molto in-teressante, poiche` permette a noi studenti, fin dal-la triennale, di confrontarci con uno stile di studio di tipo internazionale. Inoltre, attraverso il PPE, il Dipartimento di Scienze Politiche apre maggior-mente agli studenti stranieri che potranno contri-buire a vivere un’esperienza di maggiore confronto e crescita nell’ambito della vita universitaria.S. - è senza dubbio una vera e propria rivoluzione per la nostra facoltà. In un mondo sempre più in-terdipendente, la possibilità per un ragazzo di se-guire un piano di studi completamente in inglese è una occasione da non perdere e potrà essere per noi studenti già iscritti un prezioso momento di confronto. Quali sono i progetti più ambiziosi in cantiere per questo nuovo anno accademico?F. - Innanzitutto, quest’anno avremo il piacere di celebrare con una mostra e altre iniziative il decen-nale di questo giornale. 360gradi e` nato proprio nella facoltà di Scienze Politiche dieci anni fa e ha saputo coinvolgere l’intera università: avremo

quindi l’onore di festeggiare questo importante traguardo.Inoltre, l’idea è quella di riproporre il progetto “SP Contest” grazie al quale, nei prossimi mesi, gli stu-denti che hanno vinto la prima edizione avranno la possibilità di fare un esperienza lavorativa presso grandi aziende ed enti.S. - Oltre ai già citati progetti, L’associazone ASP roma luiss quest’anno sarà protagonista dell’or-ganizzazione dell’academic conference e della general assembly dell’associazione internazionale IAPSS, un think tank che riunisce diverse realtà associative locali; un grande ed eccezionale evento durante il quale gli studenti di oltre 50 associazio-ni, provenienti da diversi paesi si confronteranno su un tema di stretta attualità. Inoltre Asp ha in cantiere di organizzare una serie di viste guidate alle diverse istituzioni presenti sul territorio, quali la FAO e la Farnesina, visite che hanno l’obiettivo di trascendere il mero studio accademico provando ad entrare direttamente nel vivo del mondo lavo-rativo.

Un rappresentante uscente e il suo suben-trante: come garantirete continuità alla rap-presentanza triennale di SP? F. - La responsabilità di una buona rappresentanza credo vada rilevata in base alla continuità`, appun-to, del servizio svolto. E` per questo che, fin dall’i-nizio e consapevoli che dopo di me la rappresen-tanza sarebbe passata a Simone, abbiamo entrambi

collaborato nella programmazione e realizzazione dei diversi progetti e, personalmente, ho sempre badato a coinvolgere e tenere informato Simone rispetto alle novità del dipartimento. Sono quindi convinto che il “passaggio di testimone” sarà mol-to naturale e per nulla traumatico. Simone sarà un ottimo rappresentante!S. - Grazie della tua ceca fiducia fede! Come giu-stamente afferma Federico la continuità, dopo un ottimo servizio svolto, è il sinonimo di buona ge-stione. La stretta collaborazione tra me e Federico lo scorso anno e la fortuna di avere a fianco persone eccezionali che mi accompagneranno in questa av-ventura è per me motivo di orgoglio; fiducioso che si possa fare un buon lavoro proverò da un lato a migliorare l’offerta agli studenti e dall’altro seguire e supportare il nostro dipartimento.

Perché scegliere scienze politiche oggi? Quali sono le prospettive per i giovani che si affac-ciano sul mondo del lavoro? E perché sceglie-re SP alla Luiss?F. - Scienze Politiche perché ci piace. E` giusto che

ognuno di noi scelga di studiare ciò che ritiene più interessante e incline alle proprie aspirazioni e capacità. Le prospettive per i giovani che si affac-ciano sul mondo del lavoro sono oggettivamente drammatiche, ma credo sia proprio questo il punto forte di un laureato in scienze politiche: riuscire a guardare il mondo da tante e diverse prospettive! Dunque, sono convinto che per ognuno di noi la porta giusta è già aperta. E nel cercarla, credo che il mondo LUISS sia uno strumento utilissimo, una marcia in più per tutti noi.S. - se c’è una cosa che uno studente di scienze politiche riesce ad acquisire è la versatilità. In un mondo sempre più precario, la capacità di ade-guarsi ai sempre nuovi cambiamenti è l’elemento che caratterizza un lavoratore di successo. La frase ricorrente che ci viene rivolta è “chi te lo fa fare? ma se siamo qua è perché abbiamo seguito la nostra passione, scoraggiati da tutti andremo comunque per la nostra strada.

Per concludere, un saluto di benvenuto alle matricole e un consiglio per tutti coloro che stanno per iniziare l’avventura nel mondo LUISS!F. - Sarò molto diretto: dimenticate chi vi ha det-to “vai alla LUISS, perché lì ti laurei e ti trovano il lavoro!” Ognuno costruisce da se il proprio per-corso, la propria carriera e nessuno regala niente. Quello che incontrerete in questa università è una serie infinita di opportunità che però dovrete esser voi a sfruttare. Quindi, senza timidezza vi consiglio di tuffarvi a pieno in questi anni indimenticabili da vivere assieme ai vostri colleghi universitari.S. - la grande forza della nostra università risiede nello sviluppare e incoraggiare le diverse inclina-zioni di tutti noi. Attraverso i suoi servizi e le sue attività ognuno ha lo spazio e il tempo per poter emergere. Ecco perché consiglio di essere sin da subito protagonisti di questo mondo, sfruttando ogni singola opportunità. In bocca al lupo a tutti e buona raccolta gadget durante questa emozionan-te giornata!

Ludovica Fabbri, Vittoria Moretti

ASP, una realtà da vivere in LUISSPer saperne di più...Intervista ai rappresentanti degli studenti di Scienze Politiche

L’Associazione di Studenti di Scienze Politiche ASP Roma LUISS è un’associazione presente all’interno dell’università LUISS Guido Carli dal 1996. Molti sono stati gli studenti che hanno fatto parte di questa realtà, tutti animati dal comune deside-rio di conoscere e comprendere la realtà nazionale e internazionale attraverso la realizzazione di im-portanti seminari, conferenze e incontri di dialo-go con professori ed esperti.Uno dei grandi vanti dell’associazione è quello di riuscire a costruire intensi rapporti tra i membri, che lavorano in costante contatto ad ogni pro-getto: dall’ideazione, alla elaborazione fino alla realizzazione. Questo scambio di punti di vista ed esperienze, permette ad ogni membro ASP di mettere in pra-tica ciò che costantemente apprende durante le lezioni universitarie e consente di fornirsi di tutti quegli strumenti e quegli skills che gli permette-rano di accedere al mondo del lavoro preparato e pieno di entusiasmo.Quest’anno, inoltre, ASP sta lavorando alla rea-lizzazione dell’AC-GA, l’Academic Conference and General Assembly di tutte le facoltà di scien-ze politiche provenienti da tutto il mondo che verrà realizzata proprio in LUISS.

L’evento realizzato in collaborazione con IAPSS, prevede una serie di incontri seminariali, wor-kshops e conferenze su temi di interesse interna-zionale e una grande riunone di tutti i membri di IAPSS, la più grande associazione al mondo di scienze politiche.Ma prima di tutto questo, ASP è una realtà gio-vanile, un modo di essere che accomuna un grup-po di ragazzi che credono nell’amicizia come elemento fondamentale per creare e reinventare loro e il mondo che li circonda e lo fanno anche e soprattutto grazie ai Politik Agorà. I Politik Agorà sono momenti di intenso dibat-tito su temi scottanti e attuali a cui partecipano solo studenti, in veste di portavoci di una posizio-ne, di rappresentanti di idee o di semplici spetta-tori, e dove un moderatore, arbitra e anima con domande spinose e interessanti lo scontro di idee che ne nasce. Il risultato non è semplicemente la soluzione di un quesito, ma molto più importan-te, la presa di coscienza di una situazione, delle varie correnti di pensiero che la caratterizzano e l’apertura verso ogni forma di pensiero, secondo la formula del “conoscere per comprendere”. Ma ASP è anche divertimento. Da anni a questa par-te, si occupa di realizzare, in collaborazione con la Rappresentanza di Scienze Politiche l’evento tra i più attesi dagli studenti: l’Aricciata.Un incredibile odissea di anime che invade le pic-cole fraschette di Ariccia, pronta a passare un in-tensa serata tra ragazzi della stessa facoltà e amici di ogni tempo e dove. Un modo diverso di cono-scersi e parlare, che va oltre i ritrovi caotici delle discoteche capitoline ma che ha in più il pregio

di accomunare sorrisi e canti e tutto quello che non potete perdere al prossimo appuntamento di quest’anno.Come ogni anno, ASP è in continua ricerca di giovani interessati ad approfondire tematiche quali quelle che affollano le pagine dei quotidiani e i servizi dei giornali, dalla crisi, alla fame, dall’a-iuto alle popolazioni svantaggiate, alla promozio-ne dello sviluppo, oltre che qualsiasi tema di etica, cultura, economia e politica.A tal proposito, ASP vi da il benvenuto in LUISS, vi aspetta il “giorno della Matricola”, 24 settembre presso il suo stand in Viale Romania e vi invita a visitare il profilo facebook ASP Roma LUISS.Per saperne di più, scrivete alla mail di ASP: [email protected]

Mariateresa Zechinivice presidente ASP

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Intervista a Francesco Salvatore Prete, rappresen-tante degli studenti dei corsi magistrali di economia Intervista ad Alessio Silvestri, rappresentante degli

studenti dei corsi triennali di Economia

Ottobre 2012CosmoLuiss EC6 7

Intervista al Prof. Giorgio Di Giorgio Intervista al Prof. Gennaro OlivieriA tu per tu con il Direttore del Dipartimento di Economia e Finanza Incontro con il Direttore del Dipartimento di Impresa e Management

Innanzitutto, chi è Giorgio Di Giorgio e cosa fa nella vita?Sono un professore di economia politica, con in-teressi di ricerca nelle aree dell’economia e della politica monetaria, dei mercati e degli intermediari finanziari, della finanza internazionale. Oltre a de-dicarmi con impegno e continuità all’Università, insegnando e svolgendo attività di ricerca (il mio cv è disponibile sulla mia pagina web), in diversi periodi della mia vita ho avuto impegni esterni, prima nel settore pubblico, come consulente eco-nomico del Tesoro, poi nel settore privato, come consigliere di amministrazione di società quotate e non, prevalentemente attive nel settore finanziario.Quindi potrà spiegarci perché l’Italia, con il Governo Monti, ha recuperato la fiducia dei partner europei ma non dei mercati finanzia-ri: ciò in cui siamo deficitari dipende solo da noi o ha una matrice sovranazionale? Ovvero, l’elevato spread italiano dipende dall’Italia o dalla BCE?Il governo Monti ha restituito all’Italia una im-magine di serietà e impegno. Credo che uno dei motivi per cui lo spread rimane alto è collegato ai timori che, con le elezioni, tornino al potere schie-ramenti politici che hanno dimostrato scarsa capa-cità di governare il paese e modificarne quei vincoli e quelle inefficienze strutturali che ne hanno con-dizionato in negativo le performances economiche nelle ultime due decadi. La ricetta per uscire dalla situazione attuale? Sfruttare la politica monetaria espansiva della BCE per tagliare severamente gli enormi costi della politica, combattere il fenome-no dell’evasione fiscale, liberalizzare molti settori dell’economia e dismettere - solo al fine della ri-duzione del debito - patrimonio pubblico poco produttivo. Insomma, continuare sulla strada del risanamento iniziata dal governo Monti, scongiu-rando il ritorno della politica clientelare. Abbiamo bisogno di persone al servizio della collettività, competenti, oneste e con forte senso delle istitu-zioni democratiche.Giorni fa l’Istat ha riscontrato che a luglio il 35,3% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è senza lavoro. Le pongo la stessa domanda che Cor-rado Formigli fece al premier Monti a Piazza Pulita: “A un suo figlio di 20, laureato, che guadagna 5 euro l’ora in un call center, cosa direbbe? Vai via dall’Italia? O come lo convin-cerebbe a restare?”

Non c’è dubbio che in Italia la domanda di laureati “generici” è bassa, le imprese si concentrano ancora in settori dove l’utilizzo di tecnologie avanzate o di capacità relazionali è ridotto. Ma i laureati bravi e in discipline come quelle scientifiche, ingegneristi-che e statistico-economiche non hanno difficoltà a collocarsi. Il problema è il mismatch tra capacità dei lavoratori e skills richiesti dalle imprese. Se l’u-nica opzione nazionale è di lavorare in un call cen-ter, ad un laureato non avrei problemi a suggerire di cercar fortuna altrove o di provare a “inventare”

una attività: in Italia abbiamo grandi esempi di ca-pacità imprenditoriali.Faccia un suo personale augurio alle matrico-le e a tutti noi studentiAlle matricole e a tutti gli studenti della LUISS au-guro un sereno e felice anno accademico, pieno di stimoli intellettuali e di vita, che combini studio e apprendimento con il tempo necessario che a 20 anni va dedicato allo sport e al divertimento. In bocca al lupo.

Antonio Grifoni

Buongiorno Professore, si presenti per chi non la conosce!Sono il professor Gennaro Olivieri, dal 1994 or-dinario di matematica finanziaria qui alla Luiss. Prima insegnavo alla Sapienza e prima ancora ho insegnato all’Istituto Navale di Napoli, poi dive-nuto Università Parthenope. Sono laureato a La Sapienza sia in Economia che in Scienze Attuaria-li e Statistiche. Oltre ad essere professore, ho uno studio qui a Roma dove svolgo la professione di attuario.Riguardo il suo ruolo qui in Luiss, ci spieghi cosa fa il direttore di dipartimento.

Io sono direttore del dipartimento di Impresa e Management, che si è scisso dalla vecchia facoltà di Economia insieme al dipartimento di Economia e Finanza. In pratica, è stata accorpata in una sola carica il vecchio preside di facoltà e il direttore di dipartimento, riunendo così i compiti di respon-sabile dell’area didattica e della ricerca scientifica.Perchè studiare alla Luiss? Come favorisce l’ingresso dei neolaureati nel mondo del la-voro?Intanto è un’università privata e in questo mo-mento storico avere un ente che investe nella formazione è di fondamentale importanza. Noi

mettiamo al centro del nostro interesse lo studen-te, cerchiamo di fare in modo che abbia il massi-mo in termini di qualità d’insegnamento e possi-bilità lavorative. Di sicuro, uno dei punti di forza è il Placement Office, che si occupa di ricevere i curricula dagli studenti, inoltrarli alle aziende e creare quindi un punto d’incontro tra domanda ed offerta lavorativa già all’interno dell’università. Poi abbiamo una giornata ad hoc in cui gli stu-denti incontrano le imprese ed essere proprietà di Confindustria ci conferisce con loro un rapporto privilegiato.In Europa ed in Italia, quanto pesa la difficile situazione economica sul futuro lavorativo dei giovani?Sicuramente è una situazione molto difficile a cau-sa della contrazione della domanda di posti di la-voro. Ma devo dire che per le eccellenze la contra-zione non è così forte, anzi ci sono ancora molte possibilità aperte perché nei momenti di crisi tutti cercano di dotarsi delle menti migliori. Per i top level lo spazio c’è e ci sarà sempre. Quest’università fa tanto per i giovani, lei stesso fa parte di progetti che ne promuovo-no l’integrazione nella realtà sociale e d’im-presa. Pensa che questa sia una generazione perduta, come è stata mediaticamente defi-nita?Assolutamente no. Non è una generazione per-duta. Lo sviluppo politico economico e sociale sta in mano a quelli che hanno dai 25 ai 35 anni. Ogni giovane ha le conoscenze, la carica emotiva, la possibilità di poter cambiare in qualche modo il mondo. L’atteggiamento non è quello di aspettare che qualcuno fornisca le opportunità perché esse vanno cercate, sfruttate, utilizzate. In tutte le epo-che i giovani hanno creato un futuro. Non si può pensare che una persona di 70 anni possa stabilire il futuro di una classe di giovani.Dia un consiglio personale a tutti gli studenti e faccia un in bocca al lupo alle matricole.Ragazzi, il momento è difficile. Ma la relazione con il vostro futuro sta nelle vostre mani. L’im-pegno richiesto è maggiore, metteteci più carica possibile e datevi da fare, vedrete che andrà bene. Per quanto riguarda le matricole, speriamo che il loro futuro sia sempre più roseo, ci vediamo alla giornata delle matricole!

Eugenio Pezone

Presentati e parlaci un po’ di te!Per chi non mi conoscesse mi chiamo Alessio Silvestri. Sono uno studente laureando in eco-nomia e direzione delle imprese, nonché rap-presentante di economia triennale. Come tanti, sono uno studente fuorisede e non nascondo che prima di venire alla Luiss nutrivo qualche perplessità, con il tempo mi sono reso conto di aver fatto la scelta giusta. E poi amo Roma... chi non la amerebbe?Raccontaci della tua esperienza da rappre-sentante: come sei arrivato fin qui?L’esperienza della campagna elettorale è stata davvero istruttiva e gratificante: non solo per i risultati raggiunti ma soprattutto perché è stata una vittoria di gruppo, un gruppo di amici che perseguiva un unico obiettivo. Quello di veder nascere, far crescere e portare a compimento un determinato progetto. Non ti nascondo che spesso non c’era neppure il tempo di dormire la notte, ma nonostante tutto trovavamo sempre la forza di credere in ciò che portavamo avanti... Sono trascorsi diciotto mesi ma rivivere quei momenti è sempre emozionante!Quali sono i progetti sui quali ti sei impe-gnato in questo periodo?Uno dei progetti a cui ho preso parte quest’an-no è stata la nascita di un nuovo giornale all’in-terno dell’ateneo, il Luissino. I ragazzi che ne fanno parte hanno dimostrato tanta voglia di

fare e questo mi ha spinto a curarne e coordinarne in par-te la realizzazione. Toccando l’argo-mento didattica, dopo varie richieste siamo riusciti a ren-dere più omogenei i

programmi e i relativi esami tra i differenti corsi, questo per perseguire un obiettivo di integrità fra tutti gli studenti così che possano confron-tarsi in maniera più efficiente su argomenti di natura accademica. Riguardo le attività ludiche, ho collaborato con Radio Luiss, grazie anche ai ragazzi di New Generation, all’organizzazione del torneo di calcio Balilla che si è tenuto a Mag-gio. Questo genere di attività, insieme ad aperi-tivi ed eventi universitari, è finalizzato a creare un punto di incontro tra gli studenti e a coinvol-gerli nelle tantissime attività che la Luiss offre.Se qualcuno avesse un problema come può contattarti?“Fare il rappresentante” è un discorso estrema-mente soggettivo, mi spiego: alcuni miei col-leghi utilizzano i social network come punto d’incontro con gli studenti, una scelta vantag-giosa ma che non condivido; vivo l’università a trecentosessanta gradi, instauro rapporti perso-nali con gli studenti e cerco di essere un punto di riferimento per tutti loro, anche solo per un semplice consiglio. Poi, per chi volesse, sul sito dell’università c’è il mio numero di telefono e l’indirizzo e-mail.Credi che ci siano ancora cose che non van-no e che devono essere cambiate?Bella domanda! Parliamo di un’università che fa dei servizi e delle opportunità offerte i suoi punti di forza. Nonostante ciò credo che si possa sempre migliorare. Forse quello che veramente manca è la partecipazione di tutti gli studenti, molti dei quali potrebbero contribuire alla cre-scita del nostro ateneo. Quello che posso dire è che da parte mia c’è il piacere di collaborare a qualsiasi progetto, quindi faccio un appello a tutti: interagite con il mondo Luiss, perché il mondo Luiss ha bisogno di Voi!

Eugenio Pezone

Innanzitutto, per chi ancora non ti cono-sce, presentati!Sono Francesco Salvatore Prete, ho 24 anni e ri-copro la carica di rappresentante degli studenti magistrale economia. Sono iscritto al secondo anno in Economia e Direzione dell’impresa – management/canale A e ho conseguito in Luiss anche la laurea triennale in Economia Aziendale – management internazionale.Quali sono stati i problemi principali che hai riscontrato all’interno dell’università? La situazione che mi si è presentata è quella di una Luiss, soprattutto la facoltà di economia, in cambiamento. Un cambiamento in lenta ascesa. I principali problemi riscontrati sono individuabili nella distribuzione delle date di esame, il quale è facilmente risolvibile attraverso la collaborazione con i responsabili dei due di-partimenti della magistrale di economia, e nella disponibilità di qualche professore, ma anche in questo caso tutto si è risolto per il meglio.Quali sono state le maggiori difficoltà che hai dovuto affrontare e quali i risultati che hai portato a casa?L’inizio della rappresentanza è stato tortuoso, ma dopo un anno posso dire che non vi sono difficoltà enormi da affrontare: se ogni giorno, con impegno, si cerca di individuare i problemi e, soprattutto, di risolverli immediatamente, attraverso la collaborazione di tutti gli “attori” dei nostri dipartimenti, nulla diventa “diffici-le”. I progetti su cui sto lavorando sono diver-si. Il primo, che ho messo in pratica il giorno seguente alla mia nomina, è stato quello di creare una “piattaforma virtuale”, utilizzando il social network - facebook. In questa pagina, vi è un’interazione quotidiana con i miei colleghi della magistrale, dove vengono poste domande didattiche e le conseguenti risposte vengono ar-chiviate in un link “Domande&Risposte”, facil-mente consultabile, eliminando tutte le perdite

di tempo. Inoltre, vi è sempre più una sinergia con il Placement Office, visto che gli studenti della magistrale sono quelli più vicino al mon-do del lavoro, quindi, le migliori iniziative sono inoltrate, attraverso la mia pagina fb, a tutti gli studenti magistrale.Pensi davvero che il ruolo del rappresen-tante degli studenti sia utile?E’ una domanda che può essere interpretata in diversi modi. Se uno studente decide di candi-darsi per rappresentare i suoi colleghi con l’o-biettivo di essere presente, informarli e tutelarli è una figura utilissima, ma, come spesso è acca-duto, se tale figura viene “confusa” affinché si ottenga un tornaconto personale, non solo può essere inutile, ma anche nociva.Augurando un buon anno alle matricole, come possono contattarti e perché do-vrebbero farlo?Invito i nuovi arrivati ad aggiungermi su facebo-ok: Francesco S. Prete; mi troverete spesso a Via-le Romania: sarò sempre lieto di confrontarmi, di rendermi utile, non esitate a contattarmi. Per quanto riguarda la piattaforma virtuale, digitate sul motore di ricerca di facebook: https://www.facebook.com/groups/magistraleluiss/Faccio, a tutti i nuovi studenti della magistrale e non, un caloroso benvenuto e un in bocca al lupo per tutto.

Antonio Grifoni

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Ottobre 2012CosmoLuiss GP8 9

Intervista ai rappresentanti degli studenti nel C.d.D di Giurisprudenza

Intervista al nostro rappresentante al Cda

Un nuovo anno accademico ha inizio e nuovi volti si accingono ad esplorare le aule di Via Parenzo. Settembre è carico di tutte le curiosità e, perché no, i timori delle nuove leve; il brio e i sorrisi di chi si ritrova ad affrontare un nuovo anno carico di voglia di fare; la familiarità e l’appartenenza di quanti ormai in facoltà si sentono a casa. Obiettivo di CosmoLUISSGP è quello di aiutare i nuovi arrivati a familiarizzare con la nuova dimen-sione che è pronta ad accoglierli. Quale modo migliore per dare il benvenuto alle matricole che mettere in luce quei “volti” che sono il punto di riferimento di ogni collega: i rappresen-tanti degli studenti nel C.d.D. di Giurisprudenza. Vero punto di mediazione tra i ragazzi e le istitu-zioni di questa Università, non è difficile incon-trarli nei corridoi, a disposizione di ogni esigenza. In alternativa alleghiamo i loro contatti, disponibi-li sul sito LUISS.

[email protected] - [email protected] - 3297645038 Proviamo a conoscerli meglio.

Giorgio Marchegiano

Caro Giorgio, presentati ai nuovi studenti.Sono nato ad Ortona (CH) il 4 Aprile 1989 e sono iscritto al V anno, profilo di Diritto Amministra-tivo. Nel dicembre 2010, insieme a Lorenzo Ca-stellani, ho fondato il network di studenti LUISS APP; da più di due anni svolgo attività di volonta-riato con l’Associazione BeYou e dal 2011 frequen-to il Laboratorio Teatrale della LUISS. Cosa ti ha spinto nel 2011 a candidarti a rap-

presentante degli studenti nel C.d.D. di Giu-risprudenza?Ho accolto con piacere l’invito di molti amici a candidarmi perché credo che non ci si debba mai tirare indietro quando è possibile dare un contri-buto alla collettività di cui si fa parte. Io e gli oltre 400 studenti che attraverso la rete hanno scritto il programma di LUISS APP abbiamo affrontato con entusiasmo e determinazione la sfida elettora-le e i risultati ci hanno premiato.

Fai un bilancio dell’anno appena trascorso come rappresentante.La vivace collaborazione con l’Università ed in particolare col prof. Nuzzo, il prof. Punzi e la dott.ssa Capone ci ha consentito di portare a casa al-cuni risultati importanti: a partire da quest’anno l’insegnamento di Diritto Processuale Civile ver-rà anticipato al terzo anno evitando in tal modo la concomitanza con l’insegnamento di Diritto Processuale Penale; le date degli appelli d’esame sono state comunicate regolarmente agli studenti con due mesi di anticipo; nella sede di Via Parenzo è stato aperto uno sportello del Placement Offi-ce, prima presente solo in Viale Romania; è stato approvato il progetto Syllabi in base al quale ogni docente è tenuto ad esporre ad inizio corso un ca-lendario dettagliato degli argomenti che verranno affrontati nel corso delle singole lezioni di tutto il semestre. Inoltre credo di aver raggiunto altri due risultati importanti: il primo è l’aver creato un canale diretto di comunicazione con gli studen-ti attraverso i social network, le periodiche visite nei corsi e la costante presenza tra le mura di Via Parenzo; il secondo è l’aver valorizzato attraverso una collaborazione attiva tutte le realtà che nella nostra Università promuovono attività di qualità: LUISS Sostenibile, BeYou, LUISS APP, la Comu-nità di Sant’Egidio, LUISS Arcobaleno, Studenti Democratici e ASP.

Pensi ad una tua ricandidatura?Non mi ricandiderò perché le prossime elezioni si terranno nel maggio del 2013, pochi mesi prima della sessione in cui dovrei laurearmi. Credo inol-tre che in ambito universitario due anni siano un periodo sufficiente per dare il massimo di sè per cui è giusto lasciare spazio a nuove energie e nuove idee.

Da studente all’ultimo anno, cosa senti di consigliare ai nuovi arrivati?Il primo giorno di lezione non conoscevo letteral-mente nessuno; col tempo ho incontrato alcune delle persone più importanti della mia vita ed oggi rappresento quasi tremila studenti. Questi sono gli anni in cui mettendo da parte la timidezza ed aven-do coraggio si può raggiungere qualsiasi obiettivo.

Stefano D’Auria

Com’è nata l’idea di candidarti alla carica di rappresentante degli studenti nel C.d.D di Giurisprudenza? Sono rimasto molto affascinato dal mondo Luiss fin dall’inizio, da quando da liceale partecipai alla giornata d’orientamento.Mi è parsa subito evidente l’occasione che il nostro ateneo offre sia in termini di crescita strettamente professionale che umana.È dal confronto con le persone che ho conosciuto all’Università, nello straordinario gruppo di amici che si è creato, che è nata l’idea di costituire l’asso-ciazione studentesca Living Luiss.Partecipare attivamente all’interno del gruppo mi ha permesso di entrare in contatto con tantissime persone, di conoscere idee diverse e fare esperienze nuove.Questo è stato il terreno fertile da cui è nato dap-prima un programma elettorale, basato su tutte le critiche e gli spunti per migliorare la facoltà, rac-colti qua e là nei corridoi dell’università, poi la mia candidatura.

Oltre un anno in carica: raccontaci gioie e do-lori di questo mandato. Sinceramente non mi aspettavo che la carica di rappresentante al consiglio di dipartimento potes-se essere tanto impegnativa: il tempo per lo studio e le amicizie risultano leggermente compressi. Tut-tavia è un’esperienza che consiglierei indubbia-mente.Poter essere utile ad un collega, agire concreta-mente per rendere la facoltà di Giurisprudenza più sensibile alle esigenze degli studenti tramite la mia diretta intermediazione tra chi ne avesse bisogno e la Segretaria e la Presidenza, raccogliendo a volte

complimenti ma anche critiche, mi fa sentire orgo-glioso e soddisfatto.

Dal giorno della tua elezione, quali sono i punti del tuo programma elettorale portati a termine e quali quelli per cui stai ancora lavorando? Storicamente il programma elettorale è stato sem-pre sottovalutato sia dai candidati che dagli eletto-ri. Il voto veniva accordato sulla “fiducia” al singolo senza badare più di tanto a cosa avesse intenzione di fare per l’Università.Nelle scorse elezioni si è assistito, fortunatamente, ad un cambiamento di tendenza.Centrale nella mia idea di rappresentanza è la vici-nanza che deve esserci tra rappresentanti e corpo studentesco: ho cercato, infatti, di essere presente il più possibile in facoltà di modo da poter essere facilmente essere avvicinato dai colleghi e interve-nire tempestivamente, oltre a rendermi disponibi-le sia telefonicamente che tramite Facebook.Ho chiesto ed ottenuto, inoltre, l’istituzione di uno sportello Placement Office e CLA (Centro Linguistico di Ateneo) nella sede di Via Paren-zo, presente prima soltanto in Viale Romania, in modo da evitare il fastidioso spostamento degli studenti da una sede all’altra per poter sfruttare i servizi di tali uffici. Da ultimo, al fine di rendere ancor più vivace il confronto intellettuale e giuridico all’interno del corpo studentesco, d’intesa con il Capo Diparti-mento prof. Nuzzo, stiamo realizzando un proget-

to che vedrà come protagonisti assoluti gli stu-denti. Organizzati in gruppi di studio potranno approfondire, in totale autonomia, tematiche di loro interesse, prendendo spunto anche dagli argomenti trattati a lezione e durante le confe-renze che si svolgono in facoltà.I risultati migliori saranno pubblicati in un’ap-posita pagina web del Dipartimento.

Questo è l’anno che vedrà la scadenza del tuo mandato. Quali sono le tue intenzioni in vista delle prossime elezioni?Con dispiacere realizzo che quest’anno accade-mico è l’ultimo del mio mandato e i progetti da realizzare sono ancora tanti! Credo che chi mi succederà sarà in grado di svolgere il suo man-dato con il giusto impegno e potrà contare su di me per qualsiasi consiglio.

In qualità di loro rappresentante, con quale consiglio senti di accogliere le nuove ma-tricole?Intraprendere la carriera universitaria può sem-brare, all’inizio, faticoso ma la giusta dose di en-tusiasmo e di passione è una componente indi-spensabile per iniziare al meglio questo percorso ricco di fatiche, sorprese e soddisfazioni.Colgo l’occasione per rinnovare, in particolar modo ai colleghi matricole, la mia più totale di-sponibilità e porgere loro il mio “BENVENU-TI IN LUISS” .

Martina Vairo

Pierluigi Smaldone è il nostro rappresentan-te presso il Consiglio d’Amministrazione da maggio 2011. Allora, a un anno e mezzo dalla tua elezione, che risultati credi di aver rag-giunto?Innanzitutto mi sembra doveroso rivolgere un saluto a tutti i lettori di questo primo numero di 360gradi e rivolgere un augurio di buon lavoro ai nuovi direttori che quest’anno iniziano una nuo-va avventura. Per quanto riguarda il mio impegno nell’anno appena trascorso credo che sia sotto gli occhi di tutti la mia tendenza alla realizzazione di una università coesa, i cui studenti sentano effet-tivamente di poter realizzare tutti i loro progetti e dare concretezza alle loro idee. Senza soffermar-mi sui cambiamenti didattici- si pensi alla nuova governance ed alla nuova struttura con cui siamo passati da tre facoltà a quattro dipartimenti - o sul-le numerose occasioni di crescita personale oltre che culturale che hanno caratterizzato lo scorso anno, ho cercato in ogni modo possibile di ga-rantire a tutti gli studenti un supporto o sempli-cemente una materiale assistenza nella messa in pratica di ogni attività nata dalle frizzanti menti di noi studenti. Come spesso ho sottolineato, il

rappresentante, lungi dall’essere sciamano o presti-giatore, è uno studente che sceglie di dedicare due anni del proprio percorso universitario al problem solving e, in tal senso, ritengo di aver orientato la mia attività.

Quali obiettivi vuoi perseguire in questo nuo-vo anno accademico, anche se sappiamo che si concluderà con delle nuove elezioni univer-sitarie?Spero che per il nuovo anno accademico si possa continuare su questa strada. E spero, soprattutto, che il mio ruolo di catalizzatore delle idee e delle inesauribili energie degli studenti possa in qualche modo confermarsi: in linea con quanto un am-biente come il nostro, familiare ma al tempo stesso competitivo, ci insegna è importante non fermar-si mai e cercare sempre la formula innovativa e vin-cente. Inoltre vorrei che tutti gli studenti sfruttas-sero sempre meglio tutti i servizi e le opportunità che questa Università già offre. Penso, infatti, non solo ai servizi in senso stretto, ma anche agli incon-tri, alla possibilità che ormai abbiamo di collegare il cervello alle mani nei laboratori ed alle fonda-mentali attività dell’Associazione sportiva LUISS.

Sulla base della tua esperienza, che rapporto hai maturato con la “Palazzina”? E’ cambia-to il ruolo del rappresentante al cda all’inter-no della LUISS?Chiunque abbia avuto esigenze o, semplicemente, voglia di contatto con chi lavora nella articolata macchina LUISS, sicuramente avrà in ogni caso trovato una disponibilità ed una dedizione che –vi assicuro- studenti di molti altri atenei ci invidia-no. Il mio ruolo poi, mi ha permesso di constatare come davvero tutti gli studenti possano rivolgersi a chi di competenza, senza alcuna preoccupazione e con la certezza di raggiungere i risultati sperati; unici requisiti l’educazione e la ragionevolezza che, fortunatamente, contraddistinguono la quasi totalità degli studenti LUISS. Per quanto riguarda il cambiamento del ruolo del rappresentante temo di non essere la persona più adatta a risponderti: cambiano i rappresen-tanti come persone, ma il ruolo rimane lo stesso ed ognuno cerca di interpretarlo nel migliore dei modi, in base alle proprie inclinazioni e possibilità.

Che messaggio di benvenuto rivolgi alle ma-tricole?Ai nuovi studenti che oggi entrano a far parte del mondo LUISS (altrimenti non saprei definirlo) più che da rappresentante vorrei parlare da studen-te, invitando tutti all’impegno ed all’entusiasmo nella nuova vita universitaria. E’ fondamentale, infatti, che tutti i nuovi studenti di questa Uni-versità comprendano quanto la loro condizione sia fortunata e, dunque, quanto siano tenuti ad ap-profittare delle infinite chances che vengono loro offerte durante il percorso di studi. Penso, infatti, a tutte le attività che potranno svolgere all’inter-no del campus, impegnandosi nelle redazioni dei giornali, davanti ad un microfono, dietro ad una cinepresa ed in qualunque modo sia immaginabi-le. Fondamentale è comprendere da subito che il valore aggiunto di tali attività dipende esclusiva-mente dall’impegno di tutti noi studenti, unici in grado di determinarne la cattiva o la buona riusci-ta. Questo possiamo imparare dalla LUISS: ogni grande impresa dipende solo dall’impegno di chi si pone l’obiettivo di realizzarla.

Cristiana Lucentini

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Un buongiorno al prorettore alla didat-tica della nostra università, il professore Roberto Pessi, in carica dallo scorso anno. Può spiegarci cosa significa essere il pro-rettore alla didattica della LUISS?Penso che il Prorettore alla Didattica debba sup-portare il nostro Rettore, il Dott. Celli, il Dott. Lo Storto, i Direttori dei Dipartimenti e delle scuole, i coordinatori dei corsi di laurea, la Dott.ssa Capone e tutta l’amministrazione (sempre efficiente e vicina agli studenti) nella predispo-sizione e nell’aggiornamento dell’offerta forma-tiva, nonché, insieme, nello svolgimento di una didattica di eccellenza, sempre caratterizzata da una metodologia innovativa. Insomma il ruolo del Prorettore alla Didattica deve essere un ruo-lo di servizio, che aiuti e consigli senza essere mai troppo invadente.

Dal suo punto di vista, quali sono le novità più interessanti e imminenti per il nuovo anno? Ci sono progetti di lungo periodo che vuole anticipare a noi studenti?Le novità sono tante e vorrei che le studentesse e gli studenti le scoprissero da soli sul sito. In par-ticolare sono orgoglioso dei nuovi Syllabi che consentono ai ragazzi di conoscere approfondi-tamente il contenuto e lo svolgimento didattico di ciascun corso. Raccomando anche l’offerta di corsi liberi che arricchiscono la formazione dei giovani. Un grazie particolare al Prof. Boccar-delli e alla Dott.ssa Giommarini.

È assai nota la sua completa disponibilità nel supportare le iniziative studentesche. Da dove deriva questa sua predisposizio-ne? È davvero convinto che gli studenti

possano contribuire a migliorare la qualità della vita universitaria?Credo che l’Università esista perché gli studenti la fanno esistere; e del resto le prime università erano comunità di studenti che chiamavano i loro professori. Se oggi la Luiss è un’eccellenza lo deve all’opzione di selezionare gli studenti migliori; sono loro che motivano i professori, creando quell’empatia tra docente e discente che è il segreto delle grandi Università. Le inizia-tive studentesche alimentano questo rapporto; da qui la mia piena disponibilità ad appoggiarle. D’altro canto non dimentico mai di essere stato uno dei due Rappresentanti degli Studenti di Giurisprudenza nel ‘68 a La Sapienza; è stata per me una basilare esperienza formativa.

In conclusione, immancabilmente, le chie-do un saluto di benvenuto e un consiglio per le nuove matricole!È sempre un giorno di festa l’arrivo delle ma-tricole. È la vita che scorre e che fa vivere le istituzioni. I Professori passano, gli studenti si laureano ed entrano nella Società per ricoprirvi posizioni di responsabilità. Ma arrivano i nuovi ragazzi e l’Università continua a respirare, in simbiosi con i nuovi Professori e con i laureati passati che tramite la loro associazione portano una testimonianza di continuità. L’augurio alle matricole è che vivano questi loro anni di studio con gioia e passione; godano della colleganza nello svolgersi delle mille diverse attività; si im-pegnino e si divertano; ed alla fine portino nel cuore il ricordo di questi cinque anni alla Luiss come il ricordo degli anni più belli della loro esistenza.

Cristiana Lucentini

Intervista al prorettore alla didat-tica Roberto Pessi

Intervista al rettore Massimo EgidiLa sfida del rinnovamento e del merito in un’università d’eccellenza

Il Magnifico Rettore Massimo Egidi, nato a Trento nel 1942, esperto in materie economiche, attual-mente tiene il corso di “economia dell’incertezza e dell’informazione” presso la Luiss e insegna eco-nomia politica all’università di Trento. Ha un cur-riculum sterminato ed è un personaggio ben noto nel mondo universitario. Di una persona così pre-parata non ho potuto, purtroppo, avere conoscenza diretta. Ho apprezzato però i contenuti delle sue risposte: mai aggira la questione, senza sottrarsi a contenuti scomodi sul reale valore della nostra uni-versità in Italia e in Europa. Ho molto apprezzato. Ai lettori , però, l’ultimo giudizio.

Come la Luiss è cambiata strutturalmente ne-gli ultimi anni?Per rispondere alla sfida della globalizzazione, la Luiss si è strutturata al suo interno in modo nuo-vo, con due obbiettivi: da un lato permettere una connessione costante ed efficace con il mondo del lavoro e delle professioni, dall’altro creare delle aree di ricerca competitive a livello internaziona-le. Sono state così eliminate le facoltà e creata una nuova struttura fondata su Dipartimenti e Scuole. I dipartimenti sono il centro dei progetti formativi e della ricerca, le scuole costruiscono un legame per-manente con il mondo del lavoro e permettono di seguire l’evoluzione delle professioni e delle richie-ste del mercato del lavoro.

Quali novità nella didattica e nella internazio-nalizzazione sono state apportate?Due Corsi di Laurea svolti interamente in lingua inglese: il Corso di Laurea triennale in Economics & Business e il Corso di Laurea magistrale in Ge-neral Management. Vengono, inoltre, offerti tre Indirizzi di Corsi di Laurea interamente tenuti in lingua inglese: Financial Economics, International Relations, creato nell’a.a. 2010-2011 all’interno del Corso di Laurea magistrale in Relazioni Inter-nazionali e Politics, Philosophy and Economics (PPE), ultimo nato come indirizzo di Corso di Laurea triennale in Scienze Politiche. Da quest’an-no anche Giurisprudenza avrà un percorso in lin-

gua inglese. Infine, nuovi accordi sono in corso con prestigiose università a livello internazionale: pro-grammi di doppia laurea con l’Universidade Nova de Lisboa, con EBS - European Business School di Francoforte, un Joint Educational Program con la Fordham University - School of Law (New York).un Combined Degree program con UBC – Uni-versity of British Columbia (Vancouver). Infine la Luiss ha circa portato a 120 gli accordi di coope-razione per lo scambio studenti (programma LLP Erasmus e accordi Bilaterali con Università extra-Europee) in 30 Paesi. Quali prospettive lavorative offre la nostra università ai suoi laureati, rispetto alle altre università pubbliche e private?La specificità Luiss è tradizionalmente legata al rapporto diretto che l’Ateneo ha con il mondo del lavoro e con il sistema delle imprese, grazie anche al rapporto privilegiato con Confindustria. Gli allie-vi sono a contatto con una vera e propria “cultura d’impresa”, grazie anche alla presenza – nelle fila del corpo docente – di imprenditori, manager e figure di spicco delle istituzioni giuridiche ed economiche italiane , che danno loro particolari opportunità di inserimento nel mondo delle professioni. La Luiss supporta inoltre studenti e neolaureati che si met-tono in gioco creando start up di impresa; sono già numerose le società lanciate dagli studenti dell’ate-neo.

Come la nostra università sta investendo e ha in mente di investire sui giovani e sul loro fu-turo?I cambiamenti strutturali di cui si è detto (punto 1) ci permettono di fornire una preparazione costan-temente aggiornata che dà ai giovani occasioni di lavoro anche a livello internazionale; è molto utile per un giovane avere esperienze internazionali, sia per motivi professionali, sia per l’apertura mentale e culturale che ne segue; è importante per i giova-ni trovarsi a loro agio in ambienti diversi, affron-tare abitudini e culture diverse con una mentalità aperta e tollerante: è la base per rafforzare la pro-

pria personalità e anche per costruirsi una carriera di successo.

Secondo una ricerca effettuata fra le aziende dei mesi scorsi, è sempre meno importante il curriculum e sempre di più le conoscenze e le segnalazioni. Cosa ne pensa in una prospetti-va di valorizzazione del merito?Mi meraviglia molto che ci siano aziende che danno poca importanza al curriculum ed alle competenze dei giovani che vogliono reclutare, poiché in questo modo mettono a rischio le loro possibilità compe-titive sui mercati. Certo questo non accade nella maggioranza delle imprese, soprattutto di quelle di successo. A livello europeo vedo aumentare, non diminuire la richiesta di qualità elevata da parte del-le imprese: le capacità, le competenze ed il merito restano il punto cardine per una buona carriera che dia soddisfazioni personali. Una persona che “si è fatta da sé” sulla base delle sue capacità dimostra di saper sviluppare la propria identità e la propria per-sonalità in modo autonomo e senza compromessi. E questo è un grande vantaggio nella vita come nella carriera. Come è vista la nostra università in Italia e in Europa? In Italia, in particolare, come si collo-ca la nostra università rispetto alle altre?La nostra Università si colloca ai primi posti tra le università pubbliche e al terzo posto tra le università private, dopo il San Raffaele e la Bocconi. Quest’an-no stiamo svolgendo le procedure di accreditamen-to per essere inseriti nei ranking internazionali. Dal punto di vista della reputazione, siamo in forte crescita e ben considerati a livello europeo, anche grazie alle partnership che abbiamo creato con otti-me università europee (francesi, tedesche, olandesi , spagnole e portoghesi), cinesi e americane.

Lei, personalmente, come ha visto cambiare la Luiss in questi anni?Negli ultimi 6-7 anni la Luiss, pur mantenendo la sua nota specificità di saper formare in modo par-ticolarmente efficace i giovani per le professioni legali, economiche e politologiche, si è aperta alla sfida della società globale, in cui la formazione è divenuto un processo in continua evoluzione, in conseguenza della rapida evoluzione delle profes-sioni. La creazione di partnership con università di qualità nel mondo “costringe” noi professori ad una continuo miglioramento ed affinamento dei contenuti e dei modi di insegnamento: spero che i giovani ne abbiano un vantaggio e lo percepiscano. Ma soprattutto si è creato uno spirito nuovo e con-diviso di collaborazione nell’accettare le sfide del rinnovamento, grazie al quale le proposte di miglio-ramento si sono moltiplicate, e che ci permette di dare un contributo concreto alle vostre possibilità per il futuro.

Alberto Luppichini

Ottobre 2012L’Intervista10 11

Giovani, sport, università: il nostro direttore generale Pierluigi Celli a... 360°Dottor Celli, l’acquisto della sede di Viale Romania è un altro segnale dell’attenzione da voi rivolta agli studenti. Quali altre novità sono in agenda? L’acquisto rappresenta un segnale di continui-tà, che ci permetterà di offrire un numero ancor più ampio di servizi. Utilizzeremo anche gli spazi (5000 ettari) adesso destinati alla scuola d’inglese, mentre è in programma la gara anche per l’acquisi-zione dei lavori di ristrutturazione di Villa Blanc, sulla Nomentana. Da un punto di vista didattico, realizzando dei video sul metodo di studio più opportuno, daremo sostegno anche alle matrico-le, per facilitarne inserimento e familiarizzazione lontano da casa ed in una nuova città. La nostra at-tenzione, tuttavia, è forte anche per l’orientamento degli studenti laureati e quindi in uscita, attraverso una serie di relazioni con imprese nelle quali, spes-so, ruoli di grande responsabilità sono rivestiti da nostri ex-studenti. Inoltre i video delle lezioni dei nostri professori saranno caricati su YouTube.

Ha sempre mostrato attenzione a strumenti di esperienza utili quali radio e giornali. Quali altre possibilità sfrutteranno gli studenti per “prepararsi” al loro domani professionale? Ormai le conoscenze acquisite in ambito didattico non sono più sufficienti. Il mondo del lavoro non aspetta, non ha più tempo di istruire le nuove leve e le aspetta già “pronte”. Inoltre è richiesto un lavoro di gruppo, la soluzione di problemi ed un ragio-namento logico(torneranno incontri a tema) che sono esperienze che non si inventano, ma che anzi si acquistano solo attraverso questi strumenti. Da settembre a Viale Romania sarà pronto anche un laboratorio di idee dove ognuno potrà svilupparle e condividerle, mentre il LED insegnerà come si realizza un’impresa.

Il nostro giornale festeggia il decennale dalla sua fondazione. Il dottor Celli e 360… Sono qui da otto anni e noto un miglioramento netto sia quanto ai contenuti che da un punto di vista grafico. Sarebbe importante attraverso il gior-nale sollevare dei dibattiti su problemi da risolvere attraverso la discussione,. E’ un’opportunità utile anche per scrivere liberamente, senza timori reve-renziali.

Che valore ha per lei lo sport, altro messaggio importante, da sempre veicolato dalla Luiss?Lo sport ha grande valore aggregativo, insegna a stare insieme e relazionarsi, in nome di un obietti-vo comune da raggiungere e per il quale si è quasi costretti a cooperare. Accanto al lato agonistico, è importante anche nell’assunzione delle respon-sabilità e nel rispetto delle regole, essendo una preziosa anticamera per quello che succederà nel mondo del lavoro, dove non sempre si ha a che fare con persone di proprio gradimento.

Come si colloca il nostro ateneo nel panora-ma internazionale e perché un neodiplomato

dovrebbe scegliere la Luiss oggi? La tendenza delle università è ormai sempre più forte verso l’internazionalizzazione. Ed anche noi stiamo intensificando ulteriormente il lavoro circa l’Erasmus, gli Scambi Internazionali ed il Double Degree (doppia laurea). Aumentano anche i cor-si di laurea direttamente in lingua inglese, con la grossa novità per quanto riguarda Giurisprudenza, da sempre un pò restia a questo tipo di possibilità. La crisi ha manifestato i suoi effetti, ma restiamo sempre la migliore facoltà italiana quanto a Scienze Politiche e Giurisprudenza e nei primi tre posti per Economia.

Donatello Viggiano

Page 7: 360° - ottobre 2012

Scegliere come scegliere, ovvero come la forma determina la sostanza. È l’appuntamento più at-teso quello della riforma elettorale, che, invocata da destra e da sinistra, dall’alto del Quirinale e dal basso delle piazze, stabilirà le modalità di no-mina degli incarichi istituzionali. Fatto il Parla-mento, bisogna fare i parlamentari. Gli inquilini di Palazzo Madama e di Montecitorio dovranno approvare entro l’anno un disegno di legge di cui ancora stanno costruendo i binari, e già si prospettano deragliamenti. Bipartisan è stata la sconfessione del “porcellum”, la “legge Caldero-li” che nel 2005 ha preso il posto del precedente “Mattarellum”. L’attuale sistema elettorale ha lasciato ai giochi partitici il potere di assegna-re poltrone, rendendo la scelta democratica una inconsapevole legittimazione di nomine già de-cise. Il sistema proporzionale prevede liste bloc-cate, che consentono all’elettorato di scegliere la coalizione o il singolo partito, senza poter mostrare le preferenze per i singoli candidati, un premio di maggioranza, che assegna 340 seggi alla Camera e il 55% dei seggi regionali al Senato per la coalizione più votata, soglie di sbarramento del 10% del voto nazionale, del 4% per le liste non collegate alla Camera, mentre al Senato del 20% per le coalizioni, 3% per le liste coalizzate, 8% per le liste non coalizzate e per le liste che si sono presentate in coalizioni che non abbiano conseguito il 20%. Insomma, “vox populi clamat in deserto”. La riforma che viene prospettata tenta di ovviare a tali errori o orro-

ri. Si ripropone un proporzionale con correttivi maggioritari, quali la previsione di metà collegi uninominali, 35% le superstiti liste bloccate e 15% come premio al partito che ottiene più voti. Si riconosce così all’elettorato il diritto di scelta del candidato e si salva la governabilità, almeno sulla carta. La clausola di sbarramento del 5% consentirebbe un posto in Parlamento ai partiti minoritari a livello nazionale, ma con un gran sostegno locale, come la Lega. Il Pd preferirebbe il sistema francese maggioritario a doppio turno, il Pdl e l’Udc non rinunciano alle preferenze dei candidati, mentre l’Idv sostiene un ritorno del sistema misto del Mattarellum. Critiche da Generazione Italia, che vorrebbe collegi nominali e rigetta il sistema del “provin-cellum”, mentre Di Pietro denuncia la “forzatura della democrazia”. A sollecitare un accordo è in prima linea il presidente Napolitano, che non è disposto a deliberare lo scioglimento delle Ca-mere, preludio necessario per le elezioni, senza prima rispettare quello che ormai è un “impegno inevitabile”. Così giustifica l’invito ai Presidenti delle Camere a guidare i lavori, sottraendoli alle dinamiche belligeranti dei partiti e concedendo la facoltà di affidare alla “volontà maggioritaria delle Camere la decisione sui punti che non ri-sultassero oggetto di più larga intesa preventiva e rimanessero aperti ad un confronto conclusi-vo”. Qualsiasi cosa, basta che si decida e al più presto. Il sistema che il costituzionalista Michele Ainis ha definito “maggiorzionale” sarà forse il male minore e necessario per le future elezioni e per dare nuova fiducia ad un elettorato che già aveva contestato l’attuale legge con una raccolta di firme, mirante al referendum. Non potendo ricorrere ad un “sistema elettorale tecnico”, la soluzione sarà un compromesso nelle forme tra-dizionali, passando per le Camere. Si prospetta un “pasticcellum”.

Sabrina Cicala

Riforma elettorale: premesse, pro-poste, promesse democratiche

Ottobre 2012Speaker’s Corner12 13

Speaker’s Corner: un focus sulla politica interna

Siamo (forse!) fuori dal tunnel

Dopo Caronte, Minosse, Lucifero e compagnia cantante, un’estate bollente come non si ricordava da tempo, anche l’autunno si preannuncia molto “caldo”. Ma se avete già riposto nell’armadio i co-stumi e i teli da mare non vi preoccupate. Non è delle condizioni meteo che stiamo parlando! Nei mesi autunnali a far aumentare la temperatura ci penseranno le vicende della politica nostrana, che in vacanza quest’anno non ci è andata (anche se qualcuno, forse a ragione, potrebbe ribattere che dalla vacanza non è mai tornata) ma è rimasta bloccata in una sorta di tregua armata. Il “governo tecnico” alla prova del nove, con il compito, chis-sà se raggiungibile, di chiudere il conto con la crisi e ridare slancio alla produttività, i partiti chiamati a produrre un testo quantomeno decente di legge elettorale e rivolti ad una campagna elettorale che non è poi così lontana. Senza dimenticare gli stra-scichi della polemica tra i poteri dello Stato per le intercettazioni che vedono il Quirinale coinvolto in intercettazioni in cui si fa cenno alla trattativa Stato-mafia e alla necessità di proteggere alcune figure di spicco. Questi sono alcuni dei temi che riempiono pagine di quotidiani ed edizioni di notiziari e che, verosimilmente, continueranno a farlo ancora per lungo tempo.La crisi economica, che prima dell’avvento di Ma-rio Monti, sembrava esserci anche troppo estra-nea, ha sicuramente cambiato, forse solo tempo-raneamente, il linguaggio politico. Ha attenuato i toni e ci ha fatto sperimentare forzosamente una grande coalizione “destra-sinistra-centro” che alla prova del tempo è risultata un male necessario ma non sufficiente. L’accanimento dei mercati verso l’Italia è diminuito solo di poco e non smette di minacciare la sovranità del nostro paese, seppure miglioramenti della nostra reputazione interna-zionale siano innegabili. La famosa credibilità persa durante il regno di mister B. sembrerebbe essere stata riacquistata dal rigore che Monti e il suo governo hanno adottato come ricetta per un tracollo che a novembre scorso sembrava (o era solo catastrofismo?) imminente. Un rigore, però, che non ha aiutato certamente il rilancio dell’e-conomia e che è visto proprio come il più grosso ostacolo verso una ripresa economica degna di chiamarsi tale. Forse capiremo in questi mesi in quale fase della congiuntura economica interna-zionale ci troviamo esattamente e se la cura “tec-nica”, diciamo straordinaria, sarà stata più efficace di quella “politica”.La “grande alleanza” dei partiti in Parlamento, con le non trascurabili eccezioni di Lega Nord e Italia dei Valori, non sopravvivrà certamente alla campagna elettorale e assisteremo alla fine di una

esperienza dai risultati evidentemente dubbi. Un patto tra PD, PDL e Terzo Polo ci ha consegnato un pastrocchio come neanche il più pessimista degli uomini politici poteva immaginare. Una coalizione, una “grande coalizione” come auspi-cavano, e auspicano tutt’ora, Casini e i suoi an-che per il prossimo futuro. Un’alleanza che non è scoppiata sino ad ora solo per la risibilità della po-sta in gioco, per una chiara sopraffazione dell’e-secutivo “calato dall’alto” su un Parlamento già da anni screditato causa immobilismo. Per quale ragione i partiti avrebbero dovuto rifiutare una tale opportunità? Vivere mesi alle spalle di un governo costretto ad affrontare scelte impopolari e sfruttarne la scia prima di iniziare la volata per le elezioni di primavera era un’occasione troppo ghiotta. Le difficoltà mostrate nel convogliare i consensi, ampiamente comprovate nel corso delle passate elezioni amministrative, ci proiettano in una fase in cui i partiti dovranno riformulare le proprie priorità e cercare di ridisegnare i propri programmi. Dopo un tale commissariamento sa-rebbe auspicabile la ricerca di nuove e più condi-vise piattaforme programmatiche, a patto che gli interpreti che fino ad ora hanno occupato la scena siano in grado di cambiare copione. Anche al più grande ottimista sulla faccia della Terra risulte-

rebbe difficile credere ad un miracolo di tale por-tata, ma si sa, l’ottimismo è il profumo della vita e noi non possiamo fare altro che avere fiducia. Ben riposta o mal riposta lo sapremo in futuro.Cercheremo anche noi, nel nostro piccolo, di scoprirlo. Speaker’s Corner ogni mese, senza l’onere né la pretesa di fare cronaca delle vicende della politica di casa nostra, vi terrà compagnia con le riflessioni sull’intero scenario politico na-zionale o con numeri dedicati a particolari temi. Uno spazio libero in cui inserire e condividere le proprie idee su ciò che ci colpisce e ciò che più merita la nostra attenzione di un mondo che sembra viaggiare su un’orbita diversa ma che ci riguarda molto da vicino e di cui un giorno, for-se, essere anche protagonisti. Un punto di vista irrinunciabile per chi nell’ambito della propria esperienza universitaria vuole ritagliarsi uno spa-zio per poter scrivere senza preconcetti o censure, oppure solo leggere in maniera non troppo con-venzionale. Un angolo, quello dei ragionamenti e delle critiche, che però si apra verso una prospet-tiva diversa dalla polemica sterile e che rifiuti allo stesso tempo, e per quanto possibile, il fascino dei luoghi comuni per intraprendere la strada di una analisi lucida e oggettiva senza timore di prendere posizione.

Francesco Angelone

Governo Monti e agenzie di rating: finalmente una luce dopo un mare di stroncature

Si fa presto a dire che Monti sia un personaggio non amato dagli italiani, visti i costanti aumenti delle tasse. Basta pensare all’Iva, subito aumentata del 1% all’indomani dell’insediamento del nuo-vo governo (e passibile di ulteriori aumenti), o la nuova Imu che tanto ha colpito le case, dopo anni in cui anche l’Ici era stata soppressa. Decisamente una posizione scomoda per le tasche di tutti che, già flagellati da una crisi internazionale, hanno

trovato ulteriori ostacoli anche dall’interno. Oltre al malcontento degli italiani, Monti ha dovuto af-frontare anche un nemico ben più implacabile: le agenzie di rating, fra cui Moody’s e Fitch. I loro giudizi sono in grado di mandare nel panico mol-ti paesi, sebbene abbiano dimostrato in passato di non essere infallibili: basti pensare a Lehman Bro-thers che, poco prima di fallire, aveva ricevuto uno dei massimi giudizi offerti da tali agenzie. Gli ana-

listi, però, hanno dato fiducia al Tecnico italiano e alla sua politica la quale, sebbene devastante sul breve periodo, offre, sul lungo periodo, la possibi-lità di eliminare il disavanzo pubblico, in un paese come l’Italia che, non riuscendo ad eliminare le spese pubbliche, deve forzatamente far leva su di una più alta tassazione.Anche sul fronte europeista gli sforzi di Monti sono stati riconosciuti: la Merkel, nell’ultimo mee-ting fra i due capi di governo, ha sottolineato come l’Italia potrebbe riuscire a superare la crisi con le sue sole gambe, senza dover attendere un aiuto esterno.Ma, si sa, ci si aspetta che Monti lasci Palazzo Chi-gi nel 2013, nonostante da più parti politiche si propone un Governo Monti bis. E dopo? Dopo i tecnici torneranno i politici e questa prospettiva non sembra piacere a nessuno. Perché se gli elettori hanno già sentitamente espresso il loro malconten-to con un drastico calo dei consensi, le agenzie di rating concordano con loro. E lo fanno in un modo molto drastico, con Moody’s che opera un “declas-samento preventivo” da A3 (implicante una buona affidabilità) a Baa3 (affidabilità discreta), portan-doci a livello di Paesi come la Bulgaria o il Kazaki-stan, aventi ricchezze e prospettive ben più limitate delle nostre. Segnali forti che fanno presagire come l’unica linea politica in grado di risanare la crisi sia quella già seguita da Monti, con ben più stretti giri di cinghia e, soprattutto, riforme. Solo così, infat-ti, l’Italia potrebbe girare la boa già nel 2013, ma le agenzie avvertono: se la linea politica di Monti non continua nel tempo, la crisi potrebbe risolversi solo nel 2016, come già annunciato per Grecia e Irlanda. E se un governo tecnico può, più o meno indisturbato, prendere decisioni impopolari come queste, saranno in grado i politici di seguire la stes-sa scia? Oppure guarderanno solo al breve termine, puntando su decisioni di più facile in grado di am-maliare l’opinione pubblica e ottenere, così, i voti necessari per l’ambito Palazzo Chigi? Non è un caso, infatti, che la proposta di Casini piaccia sia a Monti che alle agenzie: firmare un testo di fine legislatura in grado di rassicurare Bruxelles che, qualunque maggioranza venga raggiunta nel 2013, le riforme di Monti saranno poste in atto senza ri-serve. Le reazioni di Pd e Pdl, casualmente, sono state molto tiepide...

Fabiana Bisceglia

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August 20th 2012 (2004 in Ethiopian calen-dar) will not be easily forgotten. Ethiopian PM and political strongman since 1995 Meles Zenawi was declared dead by the national bro-adcasting agency. Some say it was because of a strange illness. Rumor is for whom like me li-ved in Ethiopia (more specifically for six years in Addis Ababa) that former PM was affected from epilepsy and was a well renown marijuana and kat consumer (maybe for calming down his epileptic seizure?), and occasionally used cocai-ne . This of course is not the main point, it’s not what we need/want to know.Ethiopia has been considered as USA right arm in conflicts in the African Horn for the past 6 or 7 years, since the Iraqi conflict started turning out harder than predicted. Two simul-taneous wars have been going on with Eritrea and Somalia at the respective borders, with evidence of thousands of deaths on each side and bombs being thrown over city centers and villages by the stronger, richer and more organi-zed Ethiopian front. Why has this “dirty work” been going on? Well an answer could be the outrageous funds being given to the Abyssinian country, the constant presence of USAID and many American NGOs helping out with edu-cation and medical problems. Another answer could be the cover up of 2005 and 2010 disor-ders following national elections where Zenawi won (in the first case the results were given in November after elections in Spring!) and all other candidates were arrested or killed. No one ever heard about these thing, even though now the world talks about the situation in Si-ria and Assad. The same thing had happened, not once but twice and no one said or reported anything, instead when the situation had coo-led down Zenawi and his friends were praised for how they brought democracy, curious thing

right?Strange as much as the high presence of Chi-nese national industries that are literally recre-ating and remodeling Ethiopia and it’s new roads and buildings. Strange that the main debt of the country is with these Chinese corps and that Hu Jintao isn’t asking to be paid. Even lo-cal observers find it very difficult to understand what is going on, even more difficult is to pre-dict what will happen now that there will be a new leader.Hailemariam Desalegn will remain as Deputy Prime Minister till next elections in 2015 whe-re as internal channels of the government party EPRDF say he will be the candidate. Will he keep on with the former political line? Will there be disorders? No one can say but the scent is that till that date nothing should happen, with the opposition trying to compact and start a strong campaign with a defined candidate as early as possible who hoping not to succumb to tragic and fatal accidents as plane crashes.Before many Ethiopians sustained Zenawi mainly because he overcame the former cruel dictator Mènghistu making the country econo-mically grow and give the impression of being democratic. Now with his death it’s interesting to see if they will stick with EPRDF (in 2005 and 2010 they had lost elections but were clai-med winners through a not even so hidden electoral fraud).A political change could affect the situation in Somalia and Eritrea, destroy contracts with China and cause western intervention in the zone. A political confirm could cause an ethnic war if the Oromo (main ethnic group of Ethio-pia but also least represented) won’t have what they want. A new Uganda or a new Siria?

Kian Andrea Saggiadi

Meles Zenawi, the aftermath

Ottobre 2012International14 15

Around the world, around the word Around the world, around the word

Skibsdagbogen It’s too closet to callDiario di bordo di un Erasmus a Copenhagen

A scorgerli in volo, dall’oblò dell’aereo, i primi cenni di Danimarca sono onde leggere e pale eoli-che piantate nel mare. Sotto i piedi, Copenhagen appare colorata, affogata nella luce del sole. Non si pensa alle città dall’alto. Quando finalmente si trattiene il respiro, perché sono usciti i nomi, sono uscite le destinazioni, perché è ferma sulla carta stampata quella connessione appena stabi-lita, quella piccola roulette che decreterà la tua nuova casa, fra qualche mese. Non ci si pensa, alla nuova casa, dall’alto. Si pensa a chiamare mam-ma, nonno, la prozia che non si vede da qualche anno. A chiamare gli amici, quelli che saranno compagni di viaggio, e a consolare quelli che dovranno riprovarci. Si pensa alle tempie che ti fanno un po’ male, perché scoppiano di gioia, e a quella piccola forza di gravità che ti attanaglia lo stomaco, l’ignoto che fa capolino in un futuro placidamente già organizzato. L’Erasmus si infila nel calendario del semestre a venire come una sca-tola piena di fuochi d’artificio, a rimpiazzare di-ritto penale e un autunno altrimenti prevedibile. Copenhagen Business School, ad agosto sarò in Danimarca. La danza lenta delle scelte, delle can-cellature, “ci ho ripensato”, degli scongiuri e delle attese, dei voli e delle guide turistiche comprate di slancio, col sorriso sconfinato, tutto si riassume in un velocissimo flashback, passato quasi senza livi-di, ora che il carrello dell’aereo comincia a toccare la terra. Ora che vedo le valigie, e per fortuna che non me le son perse. Ora che prendo una metro che arriva dritta dentro il lufthavn, l’aeroporto, progettata da designer italiani e senza bisogno di autisti, che corre sotto le strade di Copenhagen tutte le ore del giorno e della notte. Passiamo per Amager, l’isola delle spiagge su cui dorme l’aero-porto e che si pronuncia “Ama”. Per Vesterbro, che va tanto di moda e significa “ponte dell’Ovest”. Per un pezzettino di Frederiksberg, quell’incre-dibile città dentro la città, quell’enclave elegante piena di viali affacciati sui parchi. Per l’Indre By, la “città interna”, il centro piccolo e aristocratico dove sorgono coloratissimi i palazzi del NyHavn, la piazza regale di Kongens Nytorv, lo Strøget con i suoi musicisti ambulanti e i negozi di lusso. Entriamo a Nørrebro, ed è la mia fermata: il mio ponte del Nord, questo quartiere allegro adagiato sui laghi, circondato dagli alberi, saturo di stradi-ne ordinate, boutique di nicchia, caffè ricercati e giovani con gli occhiali scuri a riempire i tavoli-ni nelle piazze. Casa. Poche ore per riprendersi, e poi Lei: bici da donna, nera, cestino e luci che vanno a dinamo. Attaccati gli stickers di Radio-luiss - che non si scorda mai e che si ascolta anche qui - l’ho chiamata Maggie, in affettuoso riman-do a Margrethe II, regina amatissima che fuma

sigarette importate. E quell’incredibile senso di libertà mi rende le orecchie sorde agli improperi dei ciclisti autoctoni (vado troppo piano), gli oc-chi ciechi ai sorpassi azzardati (superano a destra, a sinistra e pure in quasi-scontro frontale), la testa leggera mentre mi godo i palazzi stile liberty (e non ho minimamente idea di dove sia finita). La Copenhagen Business School fa capolino dietro un angolo, la struttura imponente quasi nascosta fra i palazzi e il parco, al tempo stesso delicata, che non infastidisce gli alberi mentre la sua biblioteca si inerpica per quattro piani d’acciaio e cristallo. Ripenso con affetto alle nostre piccole aule stu-dio in Viale Romania, calde e affollate, mentre attraverso quasi smarrita questi spazi profondi, gli arredi essenziali, le centinaia di biciclette par-cheggiate al di là del vetro: cosa ha in serbo per me questa terra di vichinghi? Per ora il corso di danese: “jeg hedder Ludovica, jeg kommer fra Rom i Italian, med nu jeg bor i København, på Åboulevard på Nørrebro, jeg læser jura på univer-sitetet og jeg kan godt lide smørrebrød”. Non ci avete capito gran che, vero? È una presentazione personale, abbastanza banale: eppure è incredibi-le quanto questa lingua possa risultare affascinan-

te – soprattutto perché nulla si pronuncia come potremmo credere! Ora è tardi, dalla finestra affacciata sull’Åboule-vard posso scorgere i riflessi luminosi dei laghi: Copenhagen si addormenta con me e si risve-glia con il profumo dei dolci alla cannella e del rødgrød med fløde (pronuncia: rheoelghrheoel med fleoethe – sì, provateci), la dolcissima com-posta di frutti rossi con crema di latte. Le finestre non hanno tende, né grate: le orchidee adornano ogni davanzale, e tante candele illuminano i pic-coli scorci delle stanze: i danesi amano lo “hyg-gelygt”, lo stare insieme e godersi il momento. È hygge passare una domenica pomeriggio in casa, a guardare la pioggia che cade. Sono hygge i cuscini morbidi, la cera delle candele, il profumo di mu-schio e il calore di un ciocco che arde nel camino. È hygge raccontare una bella giornata trascorsa e ascoltare della buona musica. È hygge sorridere e sentire le guance calde. Per me, è hygge pensare a Roma, mentre la brezza fresca dell’Øresund mi punge le guance e sento un po’ del mio cuore a casa lì, e un po’ qui.

Vi ses – alla prossima.Ludovica Masella

È settembre, tempo di nuovi arrivi o di conferme, di scoperte o di ritorni, di nuove sfide e nuovi progetti.Pensieri forse simili, anche se certamente molto più pressanti, stanno attraversando le teste di due cittadini statunitensi, due cittadini non qualun-que, che di nome fanno Barack e Mitt, o meglio Barack Obama e Mitt Romney. L’uno intenzio-nato a conservare il diritto di abitare la Casa Bian-ca, l’altro a conquistarselo sul campo.

Mitt Romney, fra i due, si presenta come il sal-vatore americano, l’eroe che condurrà un popolo stanco e prostrato da due guerre e da una recessio-ne che sembra infinita, ad una nuova era di pro-sperità attraverso la creazione di milioni di nuovi posti di lavoro, la cancellazione di tutte le riforme in stile europeo di Obama e attraverso un ritorno a quei valori di duro lavoro e orgoglio che hanno reso in passato grandi gli Stati Uniti.Barack Obama ha tutte altre idee e tutt’altra for-

mazione. Di idee piuttosto aperte per la politica americana, l’attuale Presidente in carica ha varato una serie di riforme anche di un certo spessore di stampo europeo e può rivendicare con un certo orgoglio davanti ai suoi cittadini l’aver messo la parola fine alla vita di Osama Bin Laden, princi-pale artefice dell’attentato dell’11 settembre del 2001, attentato che ogni giorno di più sembra essere stato il segnale dell’inizio del declino ame-ricano degli anni “zero” del 2000, declino accen-tuato dalle illusioni di dominio globale america-no con cui si apriva il nuovo secolo.Tuttavia “Yes we can” si è trasformato in uno slo-gan di Romney ed Obama sta pagando caro gran parte delle sue più grandi vittorie.L’aver introdotto un principio di welfare sociale lo ha reso letteralmente odiato all’elettorato re-pubblicano, il quale grazie alla forza ideologica dei Tea Party sta assumendo progressivamente posizioni sempre più estreme ed anti-libertarie.Obama non ha una base solida come quella avver-saria, tutt’altro, la sua è cedevole a causa delle sue “promesse infrante”, quelle promesse di combat-tere la disuguaglianza sociale americana introdu-cendo maggiori tassazioni a carico dei più bene-stanti e limando il potere dei grandi BusinessMen di Wall Street.La sua fortuna rimane comunque quella di tro-varsi davanti ad un candidato inesperto, privo di vero e proprio acume politico, scelto per essere un contenitore di idee e non un’idea.Romney paradossalmente è uno dei rappresen-tanti di quel tipo di Stati Uniti che ha divorato se stessa.Il suo piano di aggiustamento dell’economia è una benedizione per quegli affaristi che hanno trascinato l’America nel caos, gli sgravi fiscali per i ceti più abbienti non avranno l’effetto di aumen-tare gli investimenti ma solo quello di rendere gli Stati Uniti sempre più sistema di disuguaglianza sociale, sempre meno società in cui è applicato un “Capitalismo Maturo”, quel tipo di capitalismo che dovrebbe imparare dai suoi errori per potersi rinnovare e garantire nuove condizioni di vita, migliori rispetto alle precedenti, per le nuove ge-nerazioni.Romney, soprattutto per noi europei, appare come l’incarnazione di quel sistema che ci ha portato a questa crisi economica.Ben sappiamo comunque che gli americani la pensano diversamente da noi europei su tanti aspetti.Attualmente è troppo presto per stabilire i vinci-tori e i candidati sono troppo vicini fra loro.“It’s too close to call” , direbbero gli americani ed almeno in questo caso, come dar loro torto.

Giulio Profeta

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Ottobre 2012Fuori dal Mondo16 17

American Stereotype

Per il primo numero di quest’ anno mi è stata data la possibilità di avere due pagine bianche a dispo-sizione. Il sogno di ogni redattore, quello di avere uno spazio di scrittura maggiore, se non fosse però che la storia che sto per raccontare è stata davvero difficile da digerire e non solo per i tratti di tristez-za ma soprattutto perché la persona che la raccon-ta potrebbe essere chiunque: potrei anche essere io. Certe volte, quando si scrive e le emozioni sono forti e contrastanti, le parole non hanno il suono che vorremmo, come se scrivendo non riuscissimo a catturare quell’ attimo di storia che abbiamo avuto la fortuna di vivere. Cosi, come una fotogra-fia sfocata, realizziamo altri 10 scatti nella speran-za che almeno uno possa essere degno di vedere la luce. Questo articolo ha preso vita in una settima-na e, ancora oggi, dopo averlo letto un milione di volte, ancora ho dei dubbi su cosa cambiare. Co-minciamo dall’ inizio. Quando ero piccolo, sdra-iato sul tappeto della mia stanza, sfogliavo un grande atlante che avevo ricevuto in regalo e fan-tasticavo di viaggi alla scoperta del mondo. Il mio sogno ricorrente però era quello di prendere un aereo con destinazione New York. Guardavo i film in tv in cui il Natale, l’ Halloween, la scuola e qualsiasi altro momento di vita quotidiana erano sempre migliori se vissuti negli Stati Uniti. Negli anni poi questo sogno di vivere un’ esperienza nel-la terra delle opportunità e della speranza si è fatto sempre più ricorrente fino a trasformarsi in una vera necessità. Sentivo che questo paese da cui ora sto scrivendo avrebbe potuto offrirmi occasioni migliori di quelle che avrei avuto nella mia terra madre. Di fatto, avendo vissuto qui per un po’ , questa idea resta vera solo in parte, ma come Al-bert Einstein diceva: è più semplice spezzare un atomo che uno stereotipo. Così trovandomi final-mente in America per un lavoro estivo, proprio per non deludere le aspettative di un altissimo scienziato, decido insieme ad altri italiani cono-sciuti nell’ ostello che mi ospita di andare a fare la spesa e, sempre per confutare la tesi del nostro caro Einstein già sappiamo prima di cominciare che pasta, pane e olio di oliva faranno da padroni nel nostro carrello italico. Fuori dal supermercato aspetto l’ arrivo dei miei coinquilini estivi: anche in questo caso lo stereotipo dell’ italiano ritardata-rio non tarda a diventare realtà. Proprio grazie a questo ritardo però siete o almeno spero, intenti a leggere una storia che forse non avrei mai avuto occasione di poter conoscere. Chi di voi legge la rubrica Fuori dal Mondo sa che di regola non trat-tiamo argomenti comuni: ci piace scovare storie di nicchia, piccoli angoli di mondo che non vedono la luce del sole se non grazie alla curiosità di giova-ni redattori che trattano argomenti sconosciuti ai più, per il solo gusto di indagare quel mondo che ospita quello che un famoso autore chiamava il ciclo dei vinti. Vinti e sconfitti forse, come un fio-re delicato che si piega sotto le spinte del vento ma

che comunque scelgono di non arrendersi e di non spezzarsi. Sopraffatti dalla natura stessa per cui secondo la legge del più forte a sopravvivere saranno solo i veri eroi. Fuori dal supermercato un uomo che volgarmente definiremo un barbone mi saluta a gran voce agitando le mani verso di me. Incuriosito da tanto animo decido di avvicinarmi all’ uomo con la cautela che caratterizza il diffiden-te ma curioso viaggiatore. L’ uomo, che vista l’ età potrebbe essere mio nonno, prende da una busta in cui tiene i suoi pochi averi un cappello che por-ta la stessa scritta dei miei pantaloncini: Stanford. Per non rischiare di essere poco educato decido di assecondare questo signore che, nella mia testa già consideravo un mezzo matto alla ricerca di dena-ro. Tendendomi la mano l’ uomo si presenta “Mi chiamo Robert J. C. Anche io sono stato uno stu-dente di Stanford.” In quel momento la diffidenza raggiunge livelli atomici. Forse leggendo nei miei occhi increduli un filo di distacco mi mostra un foglio di carta logorato dal tempo e dalla vita di strada: un certificato di laurea portante il suo nome. Mi chiede se fossi uno studente e gli rispon-do che per ora ho solo visitato il campus ma che in futuro mi piacerebbe concludere i miei studi li. La discrezione non è la mia miglior qualità e, la schiettezza e la curiosità superano anche la barrie-ra linguistica. Cosi chiedo a Robert come sia pos-sibile che un laureato in uno degli atenei migliori del paese sia finito a vivere per strada. Paradossal-mente leggo per un attimo felicità nei suoi occhi, come se il mio interesse fosse per lui motivo di gioia. Ho capito solo dopo i suoi racconti che un “homeless”, come lo chiamano questi americani politicamente corretti è un uomo che viene priva-to non solo di una casa e del cibo ma principal-

mente del diritto ad essere ascoltato e del piacere al dialogo con il prossimo. Nessuno chiede, nessu-no domanda, tutti danno per scontato che un po-vero sia anche ignorante e che non possa avere nulla da insegnare. Robert mi dice che sono il pri-mo a chiedergli qualche cosa della sua vita, visto che la maggior parte delle persone guarda ma non vede, sente ma non ascolta. Robert mi dice di esse-re nato sulla costa est nei pressi di Boston. Suo padre lavorava per una banca e sua madre era una maestra elementare. Avevano entrambi studiato ed erano fieri di sapere che il loro unico figlio sa-rebbe andato a studiare in California nello stesso ateneo venuto alle cronache per il celebre discorso del papà della Apple. Nel suo racconto vedo la ma-linconia di aver lasciato la sua casa in mattoni rossi tipica della città dei Kennedy ma, anche quella di ricordare tempi in cui Robert deve essere stato davvero felice. Concluso il Bachelor in Legal Stu-dies, Robert viene ammesso alla Law School dell’ Università di Santa Clara. Mi dice una frase che mi ricorda molto la mia situazione di studente: “Tanti erano i soldi che uscivano per i miei studi ma i miei genitori erano fiduciosi del prestigio del-le scuole che stavo frequentando. Se tornassi in-dietro non prenderei mai nessun debito con il Governo.” Terminato il percorso di studi Robert decide di tentare il Bar exam, volgarmente chia-mato esame d’ avvocato. Robert mi racconta di notti insonni a studiare con i suoi colleghi. Mo-menti belli, ricordi felici che si concludono con la fierezza di aver superato l’ esame al primo tentati-vo. Mi dice poi di aver conosciuto una ragazza a Stanford. Una giovane commessa in un negozio di fiori. Hanno deciso di sposarsi in fretta perché come dice Robert la vita è una sola e il tempo non

ha pietà di nessuno. Non sapeva però che non è il tempo ad essere inclemente, ma la fortuna. Come diceva un famoso libro “Quando gli dei vogliono punirti esaudiscono i tuoi desideri”. Come nelle miglior favole che esistono un tuono rompe quella allegra melodia che accompagna una vita quasi perfetta. Era un sabato pomeriggio e un “ballot” dentro un’ urna selezionava le data di nascita di giovani cittadini americani. Ad ogni estrazione alcuni piangevano mentre altri potevano tirare un sospiro di sollievo. Robert era tra quelli la cui data fu selezionata, trasformando il giorno della nasci-ta in quello in cui si era chiamati a combattere in Vietnam. Due le opzioni: scappare in Canada con il rischio di non poter fare ritorno mai più negli Stati Uniti oppure andare a combattere. Robert partì. Cerca di evitare i passaggi cruenti, ma ricor-da di amici caduti troppo presto. Ricorda le notti insonni a leggere, troppo spaventato per dormire. Ricorda lo stesso libro che aveva scambiato per un pacchetto di sigarette. Ricorda il caldo e l’ odore di morte. Robert, che inizialmente consideravo un uomo con qualche rotella fuori posto è lucido e preciso. Mi racconta di come è stato difficile il ri-torno, anche più che la partenza. Dice che il go-verno americano ha magicamente dimenticato i suoi figli mandati a combattere una guerra inutile tanto quanto quella in Iraq. Questa è la meritocra-zia americana: lo stato non premia i vincitori ma i vincenti, lasciando ai vinti le briciole. Robert mi dice che la guerra in Vietnam è stata un errore tan-to grande quando quella in Iraq. Unica differenza è che da quest’ ultima guerra i soldati stanno rice-vendo il sostegno di un governo che non solo li premia con le medaglie al valore, ma sostiene eco-nomicamente le spese mediche e non. Robert mi racconta del suo ritorno a casa. L’ abbraccio con sua moglie tanto forte da toglierle il respiro. Quando si è in guerra la paura di morire cresce ogni giorno. Non ci si abitua all’ idea della morte e, sapere di aver vissuto un giorno in più fa solo pensare che la lista si restringe e la fortuna può an-che abbandonare gli audaci. Ricorda la prima not-te passata nel letto della sua casa. La moglie terro-rizzata lo sveglia da un sonno quasi comatoso. Senza accorgersene urlava nel sonno. Urla disuma-ne, strappi nel silenzio della notte che in Vietnam venivano coperte dagli spari delle armi. Ogni not-te per tutte le notti si ripeteva questo strazio. Cosi, per non rischiare un esaurimento ecco le prime cure mediche. La sanità costa e i soldi non si trova-no certo per strada. Il lavoro di commessa non basta più a sorreggere entrambi e, questo ormai non più felice nucleo familiare comincia a cedere sotto le spinte della vita. Quando cominciarono ad arrivare i primi avvisi di pagamento per cure mediche e spese universitarie, la moglie di Robert

era già andata via. “Quello di lasciarla andare” dice “è stato il più grande gesto d’ amore che abbia mai fatto nella vita “. Vivere con una persona ormai marcia e senza speranza non è un destino che si augura a nessuno. Tra lo sfratto e la vita per strada l’ intervallo è poco. “Non ho avuto la forza di ri-mettermi in sesto” dice Robert. “Sopravvivevo, non ero più in grado di vivere. Avevo perso i miei genitori. Avevo perso mia moglie. Avevo sprecato la mia cultura per una guerra non mia. Sentivo il fallimento e, vivere per strada era una punizione giusta per me. Solo dopo ho capito che se c’ erano colpe da cercare, sicuramente non era nella mia persona il colpevole. Vivevo nella zona di San Francisco. Il freddo era troppo e non riuscivo a resistere. Cosi sono riuscito a mettere da parte qualche soldo per venire a San Diego. Qui fa più caldo e anche d’ inverno vivere per strada è più sopportabile.” Parlare con Robert mi ha lasciato in parte sconvolto. Quel giovane che lui era potrei essere io. Grandi progetti per il futuro, grandi aspettative per una vita tutta da vivere e poi, alla fine, solo una vita che forse non è degna nemmeno di essere chiamata tale. Da oltre 20 anni Robert vive per strada. Mangia alla mensa delle chiese che offrono un po’ di ristoro ai senzatetto, veste gli abiti che si trovano nelle sale dei ricoveri per vete-rani, chiede l’ elemosina per strada. Dal baratto di qualche dollaro derivano alcuni dei suoi averi più preziosi, alcuni libri. Sono solo otto, ma tra questi principalmente i classici. Pochi vestiti, qualche lat-tina vuota, una bottiglia d’ acqua e un pacchetto mezzo vuoto di sigarette, ma tanta, tanta dignità. Per coloro i quali si affacciano al mondo Luiss vor-rei fare un piccolo appunto che spero possiate im-parare prima che subito: la classe non passa attra-verso il cotone e i ricami lavorati di un abito, la signorilità brilla più di un qualsiasi gioiello di Tif-fany & Co, l’ ambizione non si misura in esami universitari cosi come la dignità non va sempre in coppia con la classe sociale a cui si appartiene. A questo punto della conversazione, quando penso di non poter restare più sorpreso ed ormai Robert ha quasi concluso la sua storia aggiunge: “Una no-stro sfortunato presidente una volta disse “Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi. Chiedete cosa potete fare voi per vostro paese.” Robert si è chiesto cosa abbia fatto per il proprio paese: ha studiato, ha pagato le tasse fino a quando poteva, ha combattuto una battaglia di altri ri-schiando la sua vita per un paese che forse troppo poco si è chiesto cosa ha fatto per questo suo figlio a cui è stata tolta ogni possibilità. John Kennedy ha anche aggiunto in un altro discorso: “Se una libera società non può aiutare i molti che sono po-veri, non dovrebbe salvare i pochi che sono ricchi.” Frase scomoda, relegata al ruolo di nicchia eppure

tanto più vera di quell’ aforisma ben più noto. Ro-bert non ha voluto i soldi che gli ho offerto, mi ha chiesto se potevo tornare a salutarlo prima di par-tire. Quando gli ho detto che avrei scritto un arti-colo su di lui mi ha detto di farlo apparire più inte-ressante e meno triste possibile. Abbiamo parlato per quasi un’ ora prima dell’ arrivo dei miei amici. Prima di andare via mi ha detto di andare a fare un giro su “C Street”. Un lungo marciapiede dove tanti homeless come Robert hanno stabilito la propria “dimora”. Ognuno diverso e con una storia differente ma tutti con una cosa in comune: leggo-no un libro. Tutti individui sfortunati ma che no-nostante tutto non resistono alla lettura per ricor-dare quei bei tempi in cui seduti ad un tavolo di scuola erano considerati dei privilegiati. Steve Jobs fece un discorso proprio all’ Università di Stan-ford in cui la più nota frase “Stay hungry. Stay fo-olish” ha purtroppo celato in parte la verità del suo discorso: la vita è una questione di fortuna, detta volgarmente “botta di culo”. Ci sono cose non prevedibili, vicende impreviste, attimi che posso-no cambiare la vita, proprio come quel bussolotto che ha estratto la data di nascita di Robert. Torna-to in ostello mi guardo intorno con più attenzio-ne. I tedeschi bevono birra a litri. I turchi fumano una sigaretta dietro l’ altra . Gli spagnoli sono sdraiati al sole come se la siesta mattutina non sia stata abbastanza lunga. I giapponesi sono intenti ad osservare il bottino fotografico della giornata degno di un vero saccheggio. Lo stereotipo è cosi. Un po’ come la domanda se sia nato prima l’ uovo o la gallina. Nasce da ciò che vediamo o è nella na-tura dell’ uomo conformarsi a ciò che si racconta su di lui? Oggi sono riuscito a capire una cosa im-portante. Ogni stereotipo è tanto più vero quando noi vogliamo che lo sia. L’ America è un grande paese pieno di punti di forza, con grandi possibili-tà per chi le sa cercare, ma come diceva il mio sag-gio nonno “tutto il mondo è paese”. Cosi, oggi quella frase per cui rompere un atomo è più sem-plice che spezzare uno stereotipo perde di valore. Un homeless senza casa non manca per forza di cultura. Un ateneo prestigioso non sempre garan-tisce un futuro se la vita si mette in mezzo. Quello che so è che l’ America era il mio sogno e forse in futuro sarà la mia quotidianità. Quello che so oggi è che se avessi girato la testa oggi non avrei impara-to nulla di nuovo, non avrei avuto l’ opportunità di conoscere una storia nuova, una persona diver-sa, un individuo che ha molto più da insegnare di tanti (non tutti) signori/signore in doppio petto. Lo stereotipo passa attraverso una movenza, un vestito, una movenza, un’ abitudine. Lo stereotipo è sinonimo di luogo comune e spesso di ignoran-za. Robert ha spezzato lo stereotipo del senzatetto privo di ogni sensibilità e io ascoltandolo ho fatto la mia parte. E voi? Siete pronti a fare lo stesso?

Antonio Amadei

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Ottobre 2012Walk18 Cogitanda 19

Invito al viaggio Differentemente

Vendita al dettaglio

Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto. I soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l’incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù tutto é ordine e bellezza, calma e voluttà. Il mondo s’addormenta in una calda luce di giacinto e d’oro. Dormono pigramente i vascelli vagabondi arrivati da ogni confine per realizzare i tuoi desideri.

Franco Battiato,reinterpretazione dell’omonima poesia

di Charles Baudelaire

Esiste ancora il viaggio?Io direi che siamo in un’epoca in cui a trionfare sia piuttosto lo spostamento. Proprio pochi giorni fa il premier Mario Monti ha inaugurato un nuovo treno superveloce che entro il 2015 (o almeno così promettono) colle-gherà Milano e Roma in meno di 2 ore e mezzo, raggiungendo in alcuni tratti i 350 km orari. In-tanto Internet pullula di siti web di voli low cost dai nomi improbabili, volti ad allettare con pro-poste succulente il cittadino medio del paesino di provincia, convincendolo che con un clic di-venterà cittadino del mondo. In tv c’è una gara di pubblicità trash, dal piccione viaggiatore gigante che da consigli su come risparmiare, al motore di ricerca che utilizza i polpi per essere più rapido ed efficiente. In edicola ci sono sempre più riviste di viaggi, in libreria c’è una guida turistica per ogni esigenza, Lonely Planet, Mondadori , National Ge-ographic, Michelin (ma non faceva pneumatici?), De Agostini, Newton Compton e chi più ne ha più ne metta. Per non parlare poi delle immancabili guide gastronomiche, come il celebre Gambero Rosso per i palati più raffinati e i portafogli più gonfi, il più recente Gambero Rozzo per il mangia-tore da osteria o, ancora, la versione golosa della già citata Michelin per chi ama il sapore gomma bruciata.E se malauguratamente ci si dimenticasse di com-prare uno di questi vangeli del turista non ci sa-rebbe di che preoccuparsi: esisterà sicuramente la app opportuna per il proprio telefono intelligente.Inconfondibile nella sua mise, ecco il turista: cap-pellino con visiera e stivaletti comodi, guida in una mano e trolley nell’altra, reflex al collo, borso-ne stracolmo di riviste, mappe, binocoli, è pronto per partire.Fiero e ridicolo come un gallo in un pollaio si guarda intorno sogghignando al pensiero di quel-lo che dovrà raccontare di aver visto e di aver fatto, sentendosi come un nuovo Cristoforo Colombo,

pronto a esplorare terre sconosciute.Il turista italiano poi, è uno dei peggiori. Terri-bilmente diffidente delle condizioni igieniche transfrontaliere, sceglie l’hotel in base all’imma-colatezza del bagno e pasteggia esclusivamente in ristoranti italiani, avendo programmato il suo stomaco per digerire soltanto lasagna, pizza e ama-triciana.Si aggira per il mondo comunicando per lo più a gesti, come il cugino di Neanderthal, e mescolan-do qualche parola autoctona imparata per puro caso col suo inglese stentato, dando vita ad un nuovo esperanto che suona più come un “e-speria-mo-che-mi-capiscano!”. Quando poi, miracolosa-mente, l’interpellato capisce e risponde, l’italiano l’ascolta attonito, aggrappandosi alla scarsa ge-stualità e a qualche parola estrapolata dalla fluente risposta in inglese che riceve di rimando, si infuria e dice che nella tal nazione “sono tutti ignoranti”.Se sono giovani scapoli è ancora peggio. Pron-tamente scaricano in diretta su Facebook la foto scattata nella discoteca più cool, abbracciati a ra-gazze (s)vestite in maniera adeguata, alzando in trionfo bicchieroni di super alcolici come se fosse-ro la Coppa del Mondo. Le ragazze non sono da meno: di giorno spiaggia e shopping e di sera… si taggano nella foto di prima.“Ma io non ci sto più”, per dirla alla De Gregori.Il viaggio non ha niente a che vedere con tutto questo. Ripenso ad un racconto di mio padre. Il mio bisnonno decise di partire in America da solo. Voleva assolutamente andarci in aereo, ma prendere l’aeroplano all’epoca era un’impresa az-zardata, e così i suoi apprensivi e petulanti parenti lo convinsero a partire in nave, con la mitica Raf-faello. Per sua fortuna a quei tempi non esistevano i cellulari, né il “si trova qui” di Facebook: nessuno avrebbe potuto rintracciarlo se non fosse stato lui a farsi vivo. Dopo qualche giorno, iniziarono ad arrivare a casa dei suoi familiari diverse cartoline: New York, Miami, Chicago, San Francisco… il

vecchio Coloman stava girando l’America in ae-reo. Immagino con invidia il suo senso di libertà totale, lontano dall’ansia di dover dare spiegazio-ni, muovendosi come un uccello migratore da un luogo all’altro, catturando emozioni segrete per le strade di città sconosciute, provando il piacere di non dover seguire una rotta prestabilita, di sce-gliere il ristorante in base al profumo provenien-te dalle cucine e l’adrenalina di ripartire senza la certezza dell’albergo prenotato. Alla fine, tornò in Italia sempre in aereo. Lui sì che era un viaggiatore. Prima di partire bisognerebbe imparare a viaggia-re. Il viaggiatore è un artista di emozioni. Quando parte taglia il filo ombelicale che lo lega alla sua vita quotidiana e respira a pieni polmoni l’aria del-la realtà a sé stante che si prepara a vivere. Non ha bisogno di una guida, sceglie da sé quale sentiero percorrere. Come una spugna, assorbe ciò che l’esperienza gli offre, ma non dimenticando l’uomo che è diventato, dona di rimando la parte migliore di sé, facendo in modo di ricordare e di poter essere ricordato.Per essere viaggiatori non bisogna necessariamen-te andare lontano. Quante volte mi sono avventurata da sola tra le viuzze del centro storico della mia Lecce barocca guardando i palazzi con occhi nuovi, e stupendo-mi di particolari che non avevo mai notato: uno stemma signorile, un delizioso porticato, un pit-toresco balcone completamente ricoperto da una pianta rampicante.Oggi, colleghi, vi invito al viaggio autentico, per-ché la bellezza della scoperta appaga il cuore: ogni luogo offre gioie inattese e immense. Partite per il piacere che proverete voi stessi, non per la vanteria d’esser partiti.Portate con voi solo lo stretto necessario: la libertà è leggera.

Maria Vittoria Vernaleone

Quella sera tu dicesti “è differente”. Lo dicesti come se nulla fosse, e infatti non era nulla. Era un dettaglio, era solo un aggettivo. Eppure quell’ag-gettivo mi cambiò la vita. Non ci crederesti mai, non te l’ho mai detto, in questi anni, che tutto iniziò per quello. La smetto col passato remoto, che niente è meno remoto di te, a questo punto. Capisci cosa significa innamorarsi di qualcuno per una parola? Fosse stato un sostantivo sarebbe an-che potuto essere comprensibile, ma un aggettivo è davvero troppo frivolo. Capisci che effetto pos-sono farti le grandi cose se quelle piccole ti scom-binano così? Sono sempre stata troppo attratta dai dettagli, che poi se uno li prendesse come contor-

no di un tutto sarebbe anche giusto, a quel punto sarebbero davvero importanti. Ma bisognerebbe controllarlo, quel tutto, prima di decidere se ne amiamo i dettagli o meno. Avessi controllato sa-rebbe andata diversamente, o forse no perché il de-stino è destino e come dice tua nonna quello che è per te non te lo toglie nessuno: che poi, donna sag-gia tua nonna ma si è scordata di aggiungere che le cose ce le sappiamo togliere benissimo da noi, che da soli facciamo le più grosse cazzate della vita, che non è vero che sono gli altri a portarci sulla cattiva strada, perché la cattiva strada, se ce l’abbiamo o no, ce l’abbiamo stampato in faccia da quando na-sciamo. La mia non la definirei cattiva, ma è certo che era segnata, che c’era questo solco già scavato in precedenza, che per quanto potessi deviare poi alla fine tornavo sempre lì, da te. Uno può pure non credere al fatto che sia già tutto scritto, che qualsiasi cosa facciamo alla fine arriviamo sempre dov’eravamo destinati ad arrivare, ma io sono un tipo pigro e mi ha sempre fatto comodo pensarla così. A ogni modo stasera guidavo da brilla, che la strada la so a memoria e ormai non mi serve più alcuna consapevolezza. Che ormai ti conosco da sempre, ti conosco così bene che potrei guidare su di te a occhi chiusi e con mille vodka in corpo, ma

so che in ogni caso arriverei dove devo arrivare. O forse non ci arriverei nemmeno da sobria, alla fine il risultato è lo stesso. E mentre guidavo, dicevo, mi è tornato in mente quel “differente”. Quell’in-significante dettaglio che ha significato tutto, non fidatevi dei megalomani che la verità sta nelle pic-cole cose. Che quando pensi di aver capito chi sei, arriva un aggettivo sfacciato e scombina tutto. I pezzi del puzzle di prima non combaciano più, ed è inutile cercare di deformarli per farli incastrare ancora. È differente, ormai, è cambiato tutto. Quel giorno diventasti tu, il dettaglio. Un dettaglio osti-nato che non andava più via, come un tatuaggio di cui ti sei pentita e che più lo strofini e più quel suo persistere ti ferisce. Qualcosa che non passa mai, perché le frivolezze sono i primi dettagli che ti entrano dentro, ma pure quelli più difficili da cacciare via…valli tu a riacchiappare nei meandri in cui si sono cacciati. Entrasti, quella sera, e io non fui più capace di estirparti. Alla lunga però la tua “differenza” mi è diventata insostenibile. Pure l’erba più ostinata capitola di fronte al più forte dei pesticidi, pure la ragazza più fiduciosa finisce per stancarsi. Di te e del tuo differente. Và a fare il matto da un’altra parte, vai.

Linda Patumi

Lavoravo in quel mercatino dall’età di quattro anni. Non che qualcuno abbia mai sfruttato le mie energie di bambino ma il negozio apparteneva a mio padre e, prima di lui, a mio nonno. Era come una seconda casa e mi ci trasferii poco prima di raggiungere il metro e dieci di altezza. All’epoca del nonno, la bottega era una vendita al dettaglio di oggetti usati di ogni tipo; il buon Dante, infat-ti, in un orgasmo di fantasia la chiamò, appunto, “VENDITA AL DETTAGLIO”. L’insegna era essenziale nello stile ma recuperava l’occhio con le dimensioni generose di ogni lettera. Con il tempo, poi, ci specializzammo, dedicando-ci esclusivamente allo scambio di macchine da scri-vere. Lo spaccio divenne presto un vero e proprio emporio di incontro e confronto tra coloro i quali amavano fare delle proprie tastiere meccaniche, ol-tre che uno strumento di lavoro, un gioiello perso-nale. Non riuscii mai a comprendere a pieno come si potesse amare un oggetto del genere. Era impre-ciso, imperfetto, disordinato. Non lo capii, fino a quando non conobbi lui. Era il 27 maggio 1925.Aspetto curato e distinto. Una giacca marrone scuro lasciava appena intravedere il gilet di uguale tonalità e il bottone da cui pendeva la catenina del classico orologio da taschino; camicia bianca estra-

nea a ogni pretesa, pantalone di lana sottile, un bel fiocco per scarpa; bastone con impugnatura in bronzo e immancabile bombetta. Notai subito il suo interesse quasi morboso nei confronti di una, particolare, Underwood n.1. Divorato dalla curio-sità mi avvicinai a lui con l’aria distaccata di chi deve rimettere ordine tra gli oggetti. «Ragazzo», disse «Conosci i singoli dettagli di questo capo-lavoro? » A fatica, spostai la mia attenzione sul “capolavoro”. «La tastiera non contiene il numero 1, lo zero e le vocali maiuscole accentate», risposi. “Esatto, se parliamo del modello. Ma Lei, conosci LEI? Osservane il lato destro: noti la sottile spac-catura? Sono mesi che la cerco.» L’espressione sul mio volto viaggiava tra il demenziale e il sospeso in attesa di una spiegazione. Senza che proferissi parola, l’uomo iniziò a raccontare: «Il mio nome è Eugenio Rubichi, lavoravo come inviato speciale da Parigi per il quotidiano “La Tribuna”, usando lo pseudonimo “Richel”. Nel 1899 un francese trop-po sicuro di sé, Thomeguez, sfidò a duello tutti gli ufficiali superiori italiani che volessero battersi contro di lui e decisi di rispondere personalmen-te all’“offerta”: “Provocazione accettata. Firmato Generale Mannaggia La Rocca.” Niente di strano, se si trascura che il Generale Mannaggia La Rocca

altro non era che il soprannome che si diede Luigi Guidi, un povero stracciarolo, creatore e interpre-te di una maschera diventata celebre negli ultimi carnevali romani dell’ Ottocento. In Italia scatenai grande ilarità ma la beffa allo spadaccino france-se mi costò la carriera, costringendomi a vendere ogni avere. Questa macchina da scrivere è stata la mia arma e compagna di vita. Prima di cederla le procurai questa minuscola frattura, un dettaglio insignificante ma che mi avrebbe permesso di rico-noscerla fra mille. Abbine cura, ragazzo. Tornerò a trovarla.»Eugenio Rubichi morì, pazzo, pochi mesi dopo. Fino ad allora, tornò ogni giorno per cercare, fra le mille imperfezioni, il suo dettaglio.

Giulia Perrone

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L’oliva verde sulla pizza margherita. Una si-neddoche. La “i” senza la quale un non vedente diviene un abitante di uno stato dell’Europa dell’Est. La bambina col cappotto rosso di Schindler’s List. Gli occhi ardenti di Caronte e le mani bianche di Andromaca. Il libro avvele-nato del Nome della Rosa. Il sorriso enigmatico della Gioconda. I baffi di Dalì. Il sigaro di Che Guevara. Le capriole dopo i goal di “Oba Oba” Martins. La voce vibrante di Edith Piaf. Il neo di Marilyn Monroe. La decorazione in bronzo della statua di San Giovanni Nepumoceno sul Ponte Carlo, a Praga, “lucidata” dal tocco scara-mantico dei fedeli. L’orecchio che si tagliò Van Gogh. La commovente delicatezza con cui la madre della piccola Cecilia manzoniana posa il di lei corpicino nel carro dei monatti. Gli oc-chiali tondi di Gandhi. I volti delle statue della Fontana dei Fiumi di Bernini che esprimono il disprezzo per l’antistante chiesa di S. Agnese di Borromini. La posa abbandonata della Psiche di Canova tra le braccia del suo amore. Lo studen-te disarmato di fronte ai carri armati in piazza Tien an Men. Il murales del bacio Brezenev-Honecker sul muro di Berlino. L’impronta del piede di Neil Armstrong sulla superficie lunare. L’ok di Fonzie di Happy Days. Il mazzolino di rose e viole della ragazza che torna dalla campa-gna nel “Sabato del villaggio”. Il Yellow scelto dai Beatles per quel famoso Submarine. Il balco-ne di Romeo e Giulietta. Il nome di Calaf nella Turandot. I capelli verdi di Rosa de “La casa de-gli spiriti”. Il guanciale nella carbonara. Il passo all’indietro di Michael Jackson. La somiglianza inquietante tra Adolf Hilter e Charlie Chaplin. Il colore degli occhi della ragazza della canzo-ne del sole. Il boa che mangia un elefante nel Piccolo Principe. La piuma magica di Dumbo. L’epitaffio “Here lies one whose name was writ in water” sulla tomba di John Keats. I capelli alla “Maschietta” di Rita Pavone. Il tubino nero di Audrey Hepburn. Il caschè di Raffaella Carrà. L’apertura circolare nella cupola del Pantheon. Il montaggio dei baci tagliati nella scena finale

Ad Arthur piaceva il modo in cui Sylvie scri-veva. Non ciò che scriveva, ma come costei impugnava la penna e la trascinava sul foglio. Appoggiandola con raffinata fermezza sull’a-nulare destro, la spostava da un lato all’altro del suo quaderno con armoniosa agilità. Quel-la penna era un trolley trainato sul pavimento liscio di un aeroporto, un aspirapolvere utiliz-zato con maestria, un movimento atletico di un pattinatore sul ghiaccio. Una tale presa forzuta avrebbe stancato chiunque a lungo andare, ep-pure quella mano così fluente negava un qual-siasi affaticamento. Arthur, cosciente sin da subito della strada che aveva imboccato, non poteva fare a meno di incrementare quell’inesauribile curiosità che provava nei confronti di Sylvie. Ogni singolo dettaglio di questa ragazza non era più solo un dettaglio. Stendardi di esperienze passate, Ar-thur voleva sapere tutto di loro. Chi ti ha regalato quella collanina, Sylvie? Per-ché ti sei tatuata quella frase? E quella cicatrice? Perché corri sempre via al termine della lezione? E quel nodo strano alle tue scarpe? A chi hai mandi quei messaggi?Da quando l’aveva vista, quel 25 ottobre, Ar-thur era diventato un collezionista di dettagli. Ogni singolo sguardo, apparentemente fugace, era dedicato all’implementazione di quello strano zibaldone. Se ne era innamorato; ma ciò che realmente amava erano le cose che di lei si era immagina-to…si era dovuto immaginare.

di Nuovo Cinema Paradiso. L “e io pago..!” di Totò. I pois della Pimpa. La testa mozzata della Nike di Samotracia. La supercazzola di Amici Miei. La scrivania della Sala Ovale nella Casa Bianca. La suite del Ritz di Parigi in cui morì Coco Chanel. L’abito da sposa di Grace Kelly. La luce della Stella Polare che indicava il Nord ai marinai. Il pistacchio in pezzi sui cannoli si-ciliani. Il numero dell’appendiabiti che veniva chiesto di memorizzare agli uomini e alle donne mandati a “fare la doccia” nelle camere a gas di Birkenau. Il tic-tac del coccodrillo di Peter Pan. L’uomo che grida il nome della Barbara di Jac-ques Prevert. Il rumore del triciclo di Danny in Shining. I cappelli della regina Elisabetta. La confettura di albicocche nella torta Sacher. Lo schiocco di dita nella sigla della famiglia Ad-dams. I gradini del Museo Nazionale dove Jan Palach, per protesta, si diede fuoco. Gli occhi viola di Liz Taylor. Lo Specchio delle Brame della strega di Biancaneve. La morte di Alan Tu-ring ricordata nel simbolo della Apple. La bocca spalancata dell’Urlo di Munch. La goccia di sudore che scivola dalla fronte di Tom Cruise in Mission Impossible. Il codino di Roberto Bag-gio. L’uomo in bombetta nei quadri di Magrit-te. Le punizioni che Bart Simpson è costretto a scrivere sulla lavagna della scuola. La chitarra per mancini di Jimi Hendrix. Le strisce pedona-li della copertina di Abbey Road. La nuvoletta di Fantozzi. Il punto fermo con cui concludo questo articolo.

Maria Vittoria Vernaleone

Sylvie, tu non lo sai ma quella cicatrice te la sei fatta quando ti sei rotta il braccio. Sciando. E quella catenina deve avertela regalata qualcuno di importante. Magari tuo padre. Corri sempre via quando finisce la lezione perché hai una dop-pia vita. Tua madre pensa che studi medicina, e invece vuoi diventare un’attrice. Lo strano nodo alle scarpe? Hai imparato ad allacciarle così e basta, presumo. E quei messaggi non so a chi li mandi, potrei immaginarlo ma…non voglio.Lasciare che la realtà spadroneggiasse queste sue chimeriche teorie, ecco cosa avrebbe dovu-to fare Arthur. Pur conoscendo ogni sua visibi-le sfaccettatura, Arthur era cosciente anche di questo: la vera Sylvie era un’ estranea. Peraltro, contro ogni ottimismo, le vacanze di Natale non fecero altro che peggiorare le cose. Non vederla a quella lezione, il venerdì pomeriggio, non lo aiutò a pensare di meno a quella creatu-ra immaginaria, che di Sylvie aveva solo il volto.La soluzione era una ed unica: quella creatura andava decapitata per fare spazio a qualcosa di reale. A Sylvie. Arthur, finalmente, era deciso ad avvicinarla. Anche a costo di sembrare ridicolo. Ma quel venerdì, di ritorno dalle vacanze, Sylvie non c’era. E neanche quello dopo.Passarono le settimane, e venerdì dopo venerdì Arthur constatava deluso la sua assenza. Di tut-ti i dettagli che aveva colto durante le lezioni, era proprio quella mancanza il più imponente di tutti. Beffardo signoreggiava sui propositi sterili di Arthur il temporeggiatore, l’innamo-rato timoroso, il trepido fantasticatore.Passarono i mesi, Sylvie non tornò. E Arthur

per un po’ continuò a pensa-re a quella collanina, a quel tatuaggio, a quello strano modo di allacciare le scarpe. Fino a quando un giorno pensò che, in fondo, ognuno ha un suo strano modo. Sono solo… dettagli.

Gabriella Iannotta

Solo un dettaglio Mi piace il modo in cui scrivi

Si leggono e si sentono tante storie. Storie di uo-mini e donne e del loro amore. Logorato amore, consumato amore, amore bloccato in un momen-to, mai vissuto, mai sperato. Fermato nel tempo di un secondo. Cosa l’avrà spento mai? Chi lo avrà tranciato e maciullato, fatto a pezzi e demolito? Probabilmente l’aver aperto gli occhi e l’aver fatto

i conti con la realtà, l’assoluta e crudele rassegna-zione che deriva dalla razionalità dell’uomo e di cui egli in quanto essere razionale, tuttavia, non può fare a meno. Gli si palesa l’inesattezza delle circostanze, atte a confondere l’animo e a deviarlo, nate per mettere alla prova e per distruggere o glo-rificare l’io. Poi accade che queste storie diventino avventure condivise e le esperienze si incrociano e saldano. Ed è allora che subentra la convinzione di sé, dei propri impulsi e passioni, la consapevolezza dell’essere nato per vivere insieme a qualcos’altro, a qualcun altro, per condividere. Giorni e notti pas-sano veloci portandosi dietro l’adrenalina del “vor-rei, ma non posso”, l’impossibilità che attanaglia e che sfida e fa muovere contro l’infinito, fa scalare la montagna proibita e una volta sulla vetta, una volta che quello che si desiderava lo si è ottenuto, si giunge alla fine, alla consapevolezza del “non è abbastanza”. Quella rassegnazione non era nega-tiva, non andava condannata, invitava piuttosto a sgranare gli occhi e a fissare bene il punto, trovarlo e capire se davvero era quello tanto atteso, se era realmente l’obiettivo ultimo. E di solito basta un solo attimo di lucidità, la forza e la grandezza del dire a se stesso “no”, un dissenso, voluto dal cuore o dalla ragione, da quel dettaglio in grado di saper fare la differenza, quel dettaglio che rende perfetta la decisione più sofferta, quell’orgoglio che arriva nel momento giusto e che non fa regredire, ma che aiuta a ricordare per quali motivazioni si è intra-preso un viaggio, le proprie posizioni e il rispetto di se stesso. È l’amor proprio che più frequentemente viene dimenticato, nell’affannosa ricerca di soddi-sfare il sentimento degli altri. Ed è per questa ragio-ne che le persone sono impreparate ad affrontare i loro più inconsci desideri, a realizzare quanto sia complesso distinguere cosa è giusto per se stessi da cosa non lo è, a capire che non è possibile restare in balia degli eventi e seguire la marea, e quando si giunge alla conclusione che qualcosa di decisivo e nuovo deve essere fatto, quello è l’istante da ri-cordare, il momento a cui tornare quando avanza l’incertezza. Perché “l’orgoglio è la certezza emoti-va della propria grandezza. La vanità è la certez-za emotiva del fatto che gli altri in noi vedono, o ci attribuiscono, tale grandezza. I due sentimenti non sono necessariamente uniti, ma per natura non sono neanche opposti. Sono diversi ma coniugabili.” Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, 1982. L’orgoglio, il dettaglio imprescindibile.

Claudia Cavaliere

Ottobre 2012Cogitanda20 21

Verranno (a chiederti del nostro amore) Quel dettaglio che si chiama orgoglio

Una storia è una storia. E ogni affermazione ha valore nel tempo in cui è stata pronunciata, pen-sata o creduta ardentemente. Spesso però non è facile ammettere l’esistenza di quella cosa se non è stata generalmente condivisa. Qualche studio-so, scienziato o che dir si voglia superbo, defini-rebbe la questione di “carattere sociologico, an-tropologico etc. etc.”, ma io, che non sto scomoda con le etichette, e piuttosto evito di confondere con le parole, lo trovo un affare umano, quasi una “res” alla latina: erano tanto generici quanto uni-versali, loro, i latini. Siamo nell’era dello smembramento, nell’epoca in cui tutto è stato già dato. Adesso si individua-no le membra e si staccano una ad una, si divide, si impacchetta, si cataloga e si risceglie. Che poi in certi casi sembra tutto la negazione di tutto e una cosa piccola, snella, spesso è solo “mini” ma non poco ridondante. Tornando alla storia. Poniamo un bambino, met-tiamolo a letto con le coperte e il peluche incluso, raccontiamogli una storia. Prendiamo, poi, sem-pre quel bambino e leggiamogli una storia su un bel libro illustrato così ogni tanto girando il libro, gli facilitiamo l’immaginazione. Lo stesso bam-bino, sarà nello stesso posto, in un altro tempo, a sfogliare da solo un pop up (quel libro fatto di immagini tendenzialmente tridimensionali) e lì la sua immaginazione sarà certamente canalizzata rispetto a delle immagini e dei personaggi speci-fici già dati. Si potrebbe continuare con gli audiolibri o con i film in 3d ma non serve. Non voglio smontare le nuove generazioni e inneggiare a qualcosa di buono e vecchio in una straziante apologia del-le cose semplici di una volta: a me interessano le storie e ancora di più i dettagli. Ma la domanda che mi pongo sempre è, quan-do ammettiamo l’esistenza di una cosa, da che punto di vista partiamo? Non parlo di punto di vista etico e valoriale, piuttosto quello di quando cominciamo a guardare partendo da un punto materiale. Quando guardo creo storie anche senza scriverle, le creo e ne affermo l’esistenza. Se la brevità di una storia di 140 caratteri su twit-ter, qualche tempo fa poteva limitarsi con l’essere definito un dettaglio di una storia più grande o un taglio minimo in un poema, non mi spaven-ta, piuttosto mi esalta. E la questione è, ma che cos’è un dettaglio? La spiegazione del signifi-

cato è d’obbligo quando si parla di parole importanti: il dettaglio è quella parte più piccola (un taglio) di cui si compone il corpo più grande. Selezioniamo sem-

pre, e i dettagli si dividono in importanti e insi-gnificanti, ma è come se non badassimo al fatto che per ogni dettaglio insignificante tolto, un pezzo di storia muore.Una volta condivisa una storia, qualsiasi essa sia, è una storia che esiste grazie alle sue parti. “Paolo (che si era chiesto per tutta la notte che cosa fare della loro storia a distanza) si alzò tardi quella

mattina e dopo pranzo andò al mare.” La parentesi potrebbe essere sia piena che vuota, il fatto è che se la togliessimo, non sapremo mai cosa aveva in testa Paolo mentre andava al mare. Non tacciatemi di romanticismo scadente: sap-piamo perfettamente che senza “quel” dettaglio saremmo tutti diversi.

Martina Rossella

“La vanità è la fiducia nell’effetto del nostro valore, l’orgoglio la fiducia nel nostro valore.”

Fernando Pessoa,La divina irrealtà delle cose, 2003 (postumo)

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Se si potesse descrivere la prima settimana di Erasmus con una parola questa sarebbe PANI-CO. Dal momento in cui si arriva, bisogna affron-tare ogni sorta di avversità e non è solo il fatto di esprimersi in un’altra lingua, orientarsi in una nuova città, capire gli usi del posto, ma soprattutto si tratta di cercare un alloggio e di sopravvivere ai colpi della sfortuna (anche se magari non sarà il vostro caso). La cosa miglio-re è portare con sé un bel po’ di sano spirito di adattamento e il vostro soggiorno Erasmus sarà indimenticabile. Tutti i “problemoni” diven-teranno esperienze di vita e alla fine saranno parte dei vostri ricordi più belli.ValigiaLa prima difficoltà è decidere cosa portare con sé sapendo che non si potrà ritornare a casa per un po’. Nel caso in cui il vostro scambio sia in paesi dal clima glaciale questo sarà un bel pro-blema. Potete ritornare a casa per il cambio valigia o farvi spedire i bagagli. Oppure potete fare tanto shopping se le vostre finanze ve lo permettono.CasaDove dormire è il secondo problema. Pianifi-care il vostro arrivo con qualche giorno di an-ticipo non è abbastanza se volete trovare una casa decente. Se vi state trasferendo in grandi città o l’università di arrivo non si occupa di

trovarvi un alloggio, il compito diventa ancora più difficile. Potreste ritrovarvi soli, senza con-nessione ad internet, senza casa e nel frattempo avere parecchie scadenze accademiche da ri-spettare. Abbastanza frustrante, ma anche qui non c’è da preoccuparsi perché in fondo sarà solo per la prima settimana, o meno se sarete fortunati nella vostra ricerca. Avere una menta-lità aperta a diverse soluzioni potrebbe in que-sto caso essere il rimedio più efficace anche se non è consigliabile accettare qualsiasi cosa solo perché si ha poco tempo.Lingua stranieraA meno che non siate perfettamente fluenti, non bisogna sottovalutare il fattore “lingua straniera”: è ciò che dite che vi aiuterà a fare nuove conoscenze. Di primo acchito i madre-lingua vi metteranno k.o., ma poi ce la farete. Giusto per non dire strafalcioni che saranno ricordati per il resto della vostra permanenza all’estero, è consigliabile un bel ripasso genera-le a cui va aggiunta una bella dose di sfaccia-taggine. Insomma, se non riuscite a esprimervi, esprimetevi lo stesso. Non resterete delusi dei risultati anche perché avrete l’occasione di im-parare molte parole e modi di dire direttamen-te sul posto, migliorando le vostre capacità.UniversitàTasto dolente: in quasi tutti gli altri paesi eu-ropei il semestre comincia molto prima del semestre italiano. Bisogna ammettere che è un trauma. Subito dopo il trasferimento non c’è nemmeno il tempo di rilassarsi che già bisogna iniziare a preparare papers, presentazioni, leg-gere, scrivere, studiare. Magari nel frattempo la vostra roba sarà ancora nella valigia ma voi non avete tempo. Inoltre le università partner del progetto Erasmus di solito offrono dei pre-cor-si o delle giornate di orientamento per presen-tare agli studenti il campus, la metodologia di studio (spesso molto diversa da quella italiana) e le associazioni studentesche. Questo forse vi costringerà a partire molto prima dell’inizio delle lezioni e accorcerà le vostre vacanze, ma ne vale assolutamente la pena.

Laura Lisanti(da Parigi)

Erasmus, don’t panic!

Ottobre 2012L’Eretico22 Erasmus 23

Simpatia al potere Pronti, partenza e via!Racconti, volti e storie di una LUISS in viaggio per il mondoOvvero come la politica è scesa a dialogo con il qualunquismo

“Questo è un paese vecchio, pieno di dinosauri come me. Lasci questo paese, fin quando è in tempo.”Marco Tullio Giordana nel film “La meglio gio-ventù” faceva pronunciare queste parole ad un vecchio professore universitario, durante una di-scussione con un giovane studente, interpretato da Luigi Lo Cascio.Nulla di nuovo. L’Italia è sempre stato un pae-se con un’età media molto alta, a questo dato si deve aggiungere, l’ultimo trend, che ci vede con un tasso di natalità fra i più bassi d’Europa. Date le premesse sarà più facile comprendere come la gerontocrazia, più che un’imposizio-ne, sia, nel nostro paese, quasi una conseguenza naturale a ciò che siamo sempre stati negli ulti-mi 30 anni. In un quadro così desolante è più semplice per qualunque proposta, che si pone il rinnovamento come meta, fare breccia nel cuore dei giovani italiani e non solo. Dal partito dell’ “Uomo Qualunque” al “Movimento 5 stelle di Beppe Grillo”, è sempre esistito chi ha tentato di forzare le serrature dei palazzi che contano, delle “stanze dei bottoni”, con la promessa di render-le trasparenti, di rendere il popolo più partecipe delle decisioni politiche, per provare a cambiare questo sistema paese. Per il primo l’avventura è durata poco, per il secondo sembra che inizi ad incrinarsi adesso che, entrato ufficialmente nel-la bagarre politica, denuncia un trattamento da strategia della tensione. In Italia il passaggio fra la prima e la seconda Repubblica, segnato simbolicamente e concreta-mente dall’operazione “ Mani Pulite”, ha portato non solo ad un cambiamento dei partiti nell’arco costituzionale, ma anche, e soprattutto, ad un cambiamento nel rapporto fra la politica e gli elettori, con i secondi che tendono ad assomiglia-re sempre più ad un pubblico votante e sempre meno ai detentori della sovranità popolare. L’or-mai celebre discesa in campo di Silvio Berlusconi ha contribuito al cambiamento dei codici con i quali la politica comunica al suo elettorato. Il registro della politica non è più quello di Alci-de De Gasperi, di Enrico Berlinguer e di Nenni, un linguaggio dotto, quasi oscuro per la maggior parte della popolazione, specchio degli ideali che vi si celavano dietro quelle parole pesate, ma si avvicina sempre di più a quello dell’uomo della strada, a quello televisivo e della pubblicità. Solo seguendo tale cambiamento si può comprendere

come sia possibile trovare, sui principali quoti-diani nazionali, un dibattito fra un leader poli-tico e due comici. Roberto Benigni da sempre prende spunto dalla politica per la sua satira, ma i suoi interventi sono sempre stati fortemente caratterizzati da quella vena ironica, che mai ha fatto dubitare nessuno sulle intenzioni del comi-co di Vergaio. Beppe Grillo è un personaggio ben più com-plesso, inizia la sua carriera da comico e dopo la cacciata dalla tv, a seguito dell’ormai celebre bar-zelletta della delegazione socialista in Cina, ha cominciato una serie di spettacoli, da “ Blackout” a “Apocalisse Morbida”, nei palazzetti di tutta Ita-lia, dove alternava ai monologhi umoristici, delle vere e proprie proposte politiche. Con la nascita del suo blog, diventato uno dei più seguiti in Ita-lia e tra i dieci più seguiti al mondo, quelle propo-ste hanno preso forma e si sono trasformate nei famosi tre punti della legge popolare, firmata da più di un milione di persone. Dal nulla di fatto di tale legge, il comico ha alzato la posta in palio formando il Movimento 5 stelle. A quel punto, decisa l’entrata in politica, la bat-taglia si è fatta aspra e il linguaggio utilizzato ne

è la riprova, Grillo rifiuta il confronto, attribuisce ai principali interpreti politici un nomignolo, nella maggioranza dei casi dispregiativo. Ecco allora che il Presidente della Repubblica diventa una “salma”, Berlusconi uno “psico nano”e il Mi-nistro del Lavoro viene chiamata la “Frignero”. La politica, fino a quando ha potuto, lo ha ignorato, adesso che il suo Movimento sta raccogliendo enormi consensi, sfruttando la situazione criti-ca del paese, lo comprende fra gli interlocutori e spesso risponde a tono. Lo ricordo divertito, in un suo spettacolo, raccontare di quando l’aveva-no chiamato, dall’estero, per sapere come avesse fatto a comprendere ciò che sarebbe successo alla Parmalat con anni di anticipo. Ricordo una frase in particolare: “ E’ pazzesco, sarebbe come se Tony Blair chiamasse Mr. Bean per una de-lucidazione sulle misure da adottare in politica interna.”Ultimamente, sul blog, in calce ad ogni articolo scrive “Ci vediamo in Parlamento”, una scritta che sa di minaccia a tutti coloro che ridevano immaginando Mr. Bean seduto sugli scranni del Parlamento di “Her majesty”.

Edoardo Romagnoli

Tempo di partire. Si, partire con un nuovo anno accademico. Partire alla ricerca di nuove sensa-zioni e esperienze. É proprio di partenze e nuove esperienze di vita che si occuperà questa rubrica. Partenze, arrivi e soprattutto percorsi.

Partire per l’Erasmus o per uno Scambio Interna-zionale è una delle esperienze più formative che possa capitare a uno studente. Significa trovarsi in una realtà differente dalla propria, confrontarsi con un nuovo metodo di studio, un nuovo paese,

una nuova lingua, una nuova città, e migliaia di nuovi volti. Per molti studenti significa essere per la prima volta lontano da casa, dai propri affetti e dalla propria quotidianità. Si tratta di un per-corso che ti porta all’indipendenza: non solo ci si responsabilizza, ma ci si confronta anche con nuove culture, usi e costumi, e abitudini che non sono proprie solo al paese ospitante ma anche, e soprattutto, proprie ai compagni d’avventura provenienti da tutto il mondo. Bisogna avere una buona dose di pazienza, essere versatili, adattarsi a mille situazioni inaspettate e soprattutto avere molto coraggio. Non sempre è facile lasciare tutto e tutti, sapete? All’inizio ci si ritrova soli e sperdu-ti, ma poi si torna a casa con una valigia stracolma di sogni e soddisfazioni realizzate.

Passiamo alle definizioni: Che cos’è l’Erasmus? Il progetto Erasmus (acronimo di European Re-gion Action Scheme for the Mobility of University Students) sancisce la possibilità di uno studente universitario europeo di effettuare in una univer-sità straniera un periodo che va dai 3 ai 12 mesi di studio legalmente riconosciuto dalla propria uni-versità. Cosa cambia, invece, se si decide di partire per uno Scambio Internazionale? Nulla, il princi-pio è lo stesso solo che si ha la possibilità di con-frontarsi con realtà anche al di fuori dell’Europa.Durante questi mesi insieme a 360° ci occupere-mo di scoprire il mondo Erasmus e degli Scambi Internazionali in tutte le sue piccole sfaccettature, dalla partenza al ritorno a casa. Siamo curiosi di scoprire i piccoli problemi che i nostri studenti affrontano ogni giorno, cosa significa studiare in una lingua che non è la propria e seguire un me-todo totalmente diverso da quello dell’università italiana, vogliamo sapere dove sono le feste più belle, la sensazione che si prova in una comunità piena di persone provenienti da mille paesi diversi e soprattutto vogliamo gioire insieme a loro per le vittorie e i risultati ottenuti. Inoltre, vi terremo informati per quanto riguarda l’uscita del bando Erasmus, le modalità di parte-cipazione e tutte le informazioni che ci saranno date dall’Ufficio Scambi Internazionali.Tutto questo vogliamo farlo insieme a chi vorrà seguirci e aiutarci durante questo percorso all’in-terno del giornale e ovviamente lo faremo grazie all’aiuto dei nostri corrispondenti esteri, ovvero studenti che stanno vivendo la loro esperienza all’estero proprio in questi mesi, che ci racconte-ranno le loro avventure e ci faranno girare l’Euro-pa e il mondo insieme a loro.

Siete pronti a scoprire nuovi posti, entusiasmanti racconti e fantastiche storie insieme a noi? Pronti, partenza e..VIA! Si parte!

Ambra Borriello

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Ottobre 2012Ottava Nota24 25

Nuovi cantautori

I sommersi…

A inizio giugno il momento delle pagelle general-mente è una bella grana, capita a tutti. Le varie ri-forme della scuola che si sono susseguite nel tem-po poi hanno amalgamato in un arco di tempo più esteso la sofferenza degli scolari e i debiti non si sono più estinti durante l’anno scolastico, ma con gli esami di riparazione. Ora, io non sono certo un professore che assegna i voti ( perché di salire in cattedra non se ne parla ), ma la sezione musica di questo giornale ha bisogno di 2 articoli e dato che nel prossimo promuoveremo a pieni voti ben tre giovani promesse, si parte con il momento delle stroncature.In questo caso l’alunno rimandato a settembre e ora in serie difficoltà si chiama Alessandro Man-narino. Ecco, Alessandro Mannarino a me non m’ha mai convinto fino in fondo. Decido di op-tare per la prova del 9 assistendo al live anziché rimanere nell’incertezza e vado a vederlo duran-te le vacanze estive, a Cannole ( in quella lingua di terra chiamata Salento che m’ha dato i natali ), complice una comitiva di amici entusiasti delle sue canzoni. La sensazione iniziale è che abbia-no ecceduto con i toni e le aspettative. Motivo? Quello alla Masseria Torcito del 16 agosto è l’u-nico concerto nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Un po’ troppo per un artista emergente, no? Per non parlare dei muri tappezzati di mani-festi che annunciavano l’evento, per quella che poi tutto sommato si è rivelata una performance nella norma, senza infamia e senza lode. Tre ore di con-certo, tutto il repertorio preso e messo in musica sul palco. E fin qui non si discute, così come nessu-no s’azzarderebbe a dire una parola sull’operato di un’intera orchestra ( qualcosa come 15 elementi tra percussioni, fiati e archi e voci ) composta da professionisti che maneggiano gli strumenti con padronanza assoluta. Il punto è un altro, e risiede nei contenuti. Il pun-to è che ci vuole proprio poco a capire che quello lì sul palco con i baffi sulla faccia e il borsalino in testa può fingere d’esser tutto, meno che un cantautore. E’ solo un ‘giovanotto de ‘sta Roma bella’ messo lì sul palco a cantare, a dire ciò che pensa, ma che non ha i mezzi per farlo come do-vrebbe. Uno che aspira alla statura artistica di un Tom Waits ( il genere, gli arrangiamenti, la voce e persino il vestiario ricalcano quel modello ) e alla raffinatezza intellettuale di un De André ( i temi dei brani sono gli stessi: l’emarginazione, la critica alla falsa coscienza della borghesia, la vita di chi

sta ai margini della società, ubriaconi, prostitute, zingari e tutto l’universo reale e immaginifico che ha reso grande il poeta genovese ), senza possedere né l’una né l’altra. Le canzoni del primo album, ‘Bar della Rabbia’, son belle, umili e senza pretese, risultano ben fatte com’è ben fatto il disco. Ma quelle tratte da ‘Supersantos’, ultima fatica uscita l’anno scorso, peccano di presunzione e sembrano scritte da un’altra persona, da uno che, in un deli-rio di onnipotenza dato chissà da cosa, sproloquia di politica, religione e massimi sistemi a casaccio, come farebbe un qualsiasi uomo della strada. E poi, diciamolo: scrivere un album in cui si attacca la Chiesa ora sì e dopo pure non è più rivoluziona-rio e sovversivo come lo era negli anni ’60, quando l’Italia era veramente cattolica e bigotta. Parlare di politica come se si fosse la controfigura in musica di Beppe Grillo è da paraculi e pronunciare una frase come ‘Questa canzone è dedicata a Giuda, perché a Gesù Cristo gliene hanno dedicate già abbastanza’ vuol dire non avere ben chiare le idee. Non che io sia cattolico e praticante, ma pren-dersela con il Nazareno è un conto, farlo con gli eccessi del suo fan-club in terra un altro. E allora, alla fine di tutte queste considerazioni, non è dif-ficile sentire quel retrogusto sgradevole di qualun-quismo a piene mani, guardare la gente intorno e

pensare che stanno assistendo a una luce riflessa da uno specchietto e che loro sono le allodole, che pure stavolta le major discografiche ne hanno rovinato un altro, che cazzo. E basta la scusa più stupida ( sentirsi crollare la schiena dopo 5 ore in piedi tra gruppi spalla e headliner, in questo caso ) per andare via, senza neanche i soldi necessari a comprare una bottiglietta d’acqua che levi l’ama-ro dalla bocca. Che delusione, Alessandro, che mazzata sui denti. Magari la prossima volta che ci riprovi ricordati che fare il cantautore ( termine a cui più di qualcuno bada ancora ) vuol dire più di tutto questo, molto di più.

…e i salvati.

Ma veniamo ai promossi. Vogliamo raccontarvi di tre ragazzi che hanno diverse cose in comune e un filo rosso a legarli: non solo si conoscono, ma sono tutti e 3 siciliani, fanno musica cantautoriale e ognuno di loro in questo 2012 ha dato alle stampe un album che, preso singolarmente, è un piccolo gioiello. Eccoli a voi.Antonio Di Martino, professione bassista-chi-tarrista, è il front-man dei Di Martino, ma prima faceva parte dei Famelika, storica band palermita-na. Se ne va in giro per mezza Italia abbigliato di camicie a fiori a presentare il suo ultimo lp ‘Sareb-be bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni

tanto è utile’ ( roba che se la gioca in lunghezza solo con i titoli chilometrici dei film di Lina Wertmuller ), tutto incentrato su una precarietà che, sciogliendosi dal lato puramente economico, si riflette nel rapporto di chi la vive con l’altro. E prima ancora del lavoro sopracitato, ci sarebbe da segnalare il suo album precedente, quel ‘Cara maestra abbiamo perso’ che brilla di rara intensi-tà e lucida rabbia, che canta della sconfitta di un’ intera generazione senza perdere la speranza. In tutti e due una bella e particolare rielaborazione in chiave moderna di un Lucio Dalla degli inizi o di un Rino Gaetano nel periodo d’oro. E se poi a produrlo e prenderlo sotto la sua ala è un nome importante nella scena indipendente italiana come Dario Brunori, allora vuol proprio dire che il ragazzo le carte in regola ce le ha eccome. Potete fidarvi.Lorenzo Urciullo invece è un ragazzo di Siracu-sa con la passione per la new wave degli anni ’80 che, messo da parte il suo primo progetto, gli Al-banopower, adesso si fa chiamare col nome del protagonista di una nota leggenda della sua terra: Colapesce. ‘Un meraviglioso declino’ ( ma non vi dimenticate neppure il suo primo ep omonimo, più breve ma ugualmente affascinante ) è un di-sco caldo come la stagione che è appena trascorsa, sospeso, elegante, che si dipana lungo 13 tracce, contaminato abilmente da atmosfere folk-pop che

trovano i loro padri nobili in gruppi internazionali come i Wilco e i Fleet Foxes, guardando al conter-raneo Franco Battiato come guida per testi ricchi d’immagini e mai banali. Vogliamo anche parlare del duetto con Meg su ’Satellite’? Benissimo. Se lo ascoltate, state pronti a fare un salto negli anni ‘60. E se addirittura vi piace, potreste pentirvi di aver detto che il duetto/tormentone dell’estate sia stato ‘Princess of China’, figlio dell’accoppiata Rihanna/Coldplay.L’ultimo della lista ( solo per convenzione, non per importanza ) è un giovane con un enorme gomitolo di capelli ricci sulla testa e dagli occhiali con una spessa montatura nera, incredibilmente simile a Tim Burton, ma di trent’anni più giova-ne, e pure lui appassionatissimo di quei complessi post-punk che segnarono l’Inghilterra musicale del periodo Thatcher. Si chiama Nicolò Carnesi, palermitano, e il suo ‘Gli eroi non escono il sabato’, preceduto da ‘Ho poca fantasia’, è un lavoro mol-to ispirato alle sonorità degli ultimi cd di Bugo e della Brunori Sas ( arieccolo che torna, presente anche come featuring in una traccia del disco ), con innesti country originali smistate qua e là. Bastano pochi accordi di chitarra per parlare della provincia, delle velleità ( lavorative e non ), del va-gheggiare viaggi esotici verso mete lontane, di tra-

dimenti ‘fatti con amore’, di poche parole scritte su una Moleskine che ci fanno sentire ‘tutti poeti, tutti scrittori, tutti profeti e tutti bohemien’.Alla fine del discorso, è lecito chiedersi: sta na-scendo una scuola siciliana di cantautori al pari di quella genovese degli anni ’60 e di quella romana dei ’90? Noi non siamo veggenti e non sapremmo dirvelo, se non altro perché la discografia degli artisti che vi abbiamo proposto sopra è ancora troppo poco nutrita per parlare di traguardi che possono realizzarsi solo alla lunga distanza. Di certo ce lo auguriamo, oltre a invitarvi all’ascol-to di quelli che molto malvolentieri chiamiamo ‘i loro prodotti’. Perché i ragazzi hanno talento e qualcosa da dire. E a chi obietterà che i lavori di queste 3 giovani promesse suonano tutti uguali e sembrano fatti con lo stampino, si ricordi che proprio questo avvalora la nostra tesi: serve una sostanziale tendenza verso uno stesso punto e uno stile riconoscibile, per creare una scuola.

P.S: cominciare l’anno accademico scrivendo un articolo su due diversi aspetti della panorama can-tautoriale italiano di questi anni per il giornale universitario, è una scelta precisa e consapevole. Per vari motivi: 1) La scena musicale va svecchiata, radicalmente. E se anche due sole pagine di questo giornale una volta al mese potranno contribuire a far conoscere gruppi poco noti al grande pubbli-co, noi non ci tireremo indietro. Quanto al giu-dizio, poi, questo è il nostro e voi potreste essere di differente avviso. Che se ne parli, bene o male, è comunque un punto di partenza preferibile al silenzio. Se poi volete continuare a leggere delle insopportabili diatribe tra Vasco Rossi e Ligabue, beh, per quello potete tranquillamente andare in edicola a comprare Tv, Sorrisi e Canzoni; 2) Intendiamo stimolarvi e farvi avventurare in ciò che non conoscete. Per capire la realtà bisogna avere un cervello curioso e due orecchie attente. La musica, in questo, non fa alcuna eccezione. Ri-usciremo nel nostro intento? Difficile a dirsi ora che abbiamo appena iniziato. Noi intanto ci pro-viamo; 3) In quest’ultima parte, quella dedicata a Di Martino, Colpesce e Nicolò Carnesi, abbiamo parlato della Sicilia senza mai tirare in ballo quella parola nefanda di 5 lettere che comincia con la m e finisce con la a e che inevitabilmente ritorna sotto i riflettori quando si parla di questa regione. È solo un articolo di musica, d’accordo, ma a noi piace immaginare una Sicilia ( e un Sud ) con molti più musicisti e molti meno padrini.

Francesco Corbisiero

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Ottobre 2012Artificio26 Lifestyle 27

Meeting: perché ripartire da questa strana umanità

La bilancia dell’amore

Quest’oggi dedichiamo una puntata speciale a un evento altrettanto speciale: il Meeting di Rimini. È un tradizionale appuntamento culturale e po-litico di fine agosto. È evento cattolico nell’ispi-razione e nell’organizzazione. Ogni anno viene gestito dal movimento fondato da Don Giussa-ni, oggi guidato da Juliàn Carròn, Comunione e Liberazione. Il pubblico che si presenta nei pa-diglioni è poco schierato, poco omologato, poco catalogabile. Al contrario, molto riflessivo e molto critico. Lo testimonio in prima persona, io che fre-quento i padiglioni della fiera ormai da molti anni. A proposito di anni: in questo il meeting è alla sua trentatreesima edizione. E si esalta e ci fa esaltare. Il tema, “La natura dell’uomo è rapporto con l’in-finito”, è stato tratto dal “Senso religioso” di Don Giussani. Le cose più grandi e più vere nella vita, se ci pensiamo, maturano con delle domande, che ci permettono di interrogarci sul senso del reale e delle nostre azioni. E il meeting ne sollecita tante. Ciascuno di noi si interroga: un cattolico avendo come faro Cristo, un ateo trovando la risposta alla sua felicità nella libertà più irrefrenabile, un anti-clericale in tutto tranne che nella Chiesa e nel suo messaggio. Di solito è così. Al Meeting è diverso. Non si hanno risposte pron-te, omologate, catalogate. Ci si fanno domande, intanto. Poi l’urgenza della risposta arriva, in-contenibile, e ci porta con drammatica necessità a trovare un Senso. Quest’anno il meeting si è collocato in un momento culturale e politico particolarmente grave per il nostro paese. Nono-stante questo, ha ancora una volta mostrato la sua stupefacente umanità e razionalità. Sono arrivati Monti e alcuni ministri del suo governo. E tutti ci hanno impressionato e stupito. Perfino la frigida Fornero, la quale ha elaborato ricette (finalmen-te) per la crescita e la valorizzazione dei giovani: dal salario da rapportare alla produttività alla diminuzione del cuneo fiscale per le imprese che investono sul capitale umano. Al meeting ci sono proposte concrete, ma anche spunti di visione: ecco che Mario Mauro, nell’incontro sull’identità

dell’Europa, ci ricorda che la crisi è sì economica, è sì politica, è sì culturale, ma è anzitutto una crisi di fiducia: “Le bandiere bruciate in piazza Sintagma, le bandiere dell’UE e non certo svastiche naziste, ci danno la misura di questa mancanza di fiducia. E la mancanza di fiducia è la riproposizione di una logica che ci ha portato a scontri epocali”. Al di fuori delle beghe quotidiane sul governo dei tec-nici sembrano stare due politici di parti opposte, ma di comune cultura, E. Letta e M. Lupi. Col-piscono i loro interventi, accomunati da un’idea sana di politica in nome del bene comune, la cui mancata cura ha portato alla supplenza dei tecnici. Dice Letta: “La politica deve essere il mezzo per passare dall’Io egoista alla persona responsabile”. Auspica una “campagna elettorale decente, senza delegittimazioni dell’avversario”. Sulla stessa linea Maurizio Lupi, che fa una proposta interessante e concreta per smorzare i toni e recuperare il senso delle istituzioni: “Non si può pensare alla politica come a una continua lotta muscolare. Ci sono del-le azioni da fare insieme. Dalla prossima legislatu-ra propongo che il presidente di Camera o Senato sia parte dell’opposizione”.Capitolo mostre: c’è quella straordinaria sul duo-mo di Milano. Se infatti c’è un edificio che nella storia dell’uomo esprime il rapporto con l’infinito è certamente la cattedrale. In particolare il duomo di Milano. Che fu costruito dal popolo, come ha documentato in modo impeccabile Marina Salta-macchia, docente di storia medievale all’universi-tà del Nebraska. Il cantiere per la costruzione del Duomo di Milano inizia nel 1386, e dura quasi sei secoli: una delle più lunghe gestazioni della storia dell’arte. Come dicevamo, il contributo del popolo è stato fondamentale. Infatti, dai registri emerge come ognuno partecipi in modo diverso alla costruzione della cattedrale: c’è la donazione della figlia di Gian Galeazzo Visconti; c’è quella di un imprenditore edile che offre giornate gratuite di lavoro; c’è quella della prostituta che offre la

Che l’estate è finita io me ne accorgo quando ri-comincio a metterci una buona oretta per trovare parcheggio. Per capirci: durante l’anno la mia reazione quan-do trovo una qualsiasi forma di spazio più o meno riconducibile alla parola parcheggio, anche nel giro di un chilometro dal mio portone, è abba-stanza simile a quella del protagonista del corto-metraggio “Sotto casa”, di Alessio Lauria ( se non l’avete visto, rimediate): silenzio, una serie di oc-chiate avanti indietro a destra e a sinistra, un’altra occhiata verso il cielo, a controllare che non ci sia un immenso divieto di sosta ad ergersi imponente sopra il tettuccio, e poi, un urlo di gioia. Un lungo liberatorio altrochetarzan urlo di gioia. Comunque.Oltre alla guerra dei posti, l’estate che finisce porta con sé, ineluttabile…il bilancio del rien-tro. Brutta parola, bilancio, di ‘sti tempi. Ma ci sta bene. Perché qua, caro lettore, si vuol parlar d’amore. Di storie estive tresche tradimenti fughe amori nuovi amori finiti amori in sospeso e amori disperati. Il bilancio del rientro si può, un po’ banalmente e un po’ metaforicamente, suddividere in tre sezio-ni: gli incolumi, i morti o feriti gravi, e i dispersi. Chiariamo.Della prima sezione, gli incolumi, fanno parte i “felicemente fidanzati”. Bella categoria, la loro. Tornano raggianti e abbronzati dalla loro estate di amor sacro e amor profano, di letti e lettini cene romantiche e stelle cadenti, perché le vacanze le hanno chiaramente passate insieme a miagolarsi innumerevoli picci picci pucci pucci. Non c’è molto da dire sui felicemente fidanzati. Spesso, infatti, sono anche felicemente noiosi. Comunque, felici e incolumi rimangono. Beati loro.Della seconda sezione, i dispersi, fanno parte tutti coloro che attendono gli sviluppi del loro amo-re stagionale. Fidanzati, single per scelta propria o altrui, gay e etero, adulti e bambini, le storielle estive sono cosa di tutti.C’è chi le vive applicando la regola (e preten-dendone l’applicazione) di “quel che succede a

X, rimane a X”, chi invece quello che è successo a X proprio a casa se lo vuole portare. E allora, aspetta, con il pensiero ancora perso tra gli scogli di una località turistica (da qui l’ attribuzione del termine disperso), fissando cellulare e calendario. Di solito sono le donne a vagare nel limbo dell’in-certa attesa, ricordando davanti a caffè con le ami-che le frasi romantiche che il temporaneo prin-cipe sussurrava loro di fronte alle albe agostane. Di solito sono gli uomini a cancellare le tracce e i numeri, dissolvendosi in un polverone di ricordi da romanzo mocciano, in cui non c’è una frase una che sappia di vero. La terza categoria, infine: di morti e di feriti gravi. Ne fanno parte i “mollati”, i “cornuti” e i “cornuti mollati”. Storie, tante. Da ragazze che vanno in vacanza con gli amici dello sfortunato, che con una pacca sulla spalla tranquillizzano il compare sussurandogli “Tranquillo, te la copro io”. Lette-ralmente. A ragazzi che prima di andarsene con una macchina sfondata e un manipolo di amici promettono l’eternità, per poi tornare con una personalità tutta nuova, a confessarti con voce fle-bile che “questo viaggio mi ha fatto capire che…”. Se c’è chi crede ancora che sia stata la distanza ad allargare gli orizzonti del sommesso fedifrago, ne riparliamo quando troverete le foto di quei nuovi orizzonti. Magari bionde magre gnocche e sen-za cellulite. Dannate. Io, signori, faccio parte di

questa terza categoria: cornuta e mollata (anche mazziata, se preferite). Non contento del tradi-mento, infatti, il mio reo confesso mi ha lasciata urlandomi contro un “non mi fido di te” che qua-si mi sono sentita in colpa. I paradossi sarebbero affascinanti se non fossero tremendamente dolo-rosi perché inspiegabili. Ora, categorie a parte, il caro lettore mi consenta di percorrere la strada del già citato Moccia per una breve riflessione su quello che chiamiamo amore. Che razza di parola, amore. È uno dei sen-si della vita, ma solo a dirla si diventa banali. Tut-tavia, dato che , temo, prima o poi le categorie ce le facciamo tutte, feriti morti incolumi e dispersi, un pensiero lo merita. Perché diciamocelo, è dan-natamente spaventoso,st’amore. E quindi? Cosa dobbiamo fare? Ogni volta che alziamo gli occhi al cielo per con-trollare il divieto di sosta, lanciare una preghieri-na alle stelle chiedendo l’incolumità? Perché i rapporti umani non si imparano, e le persone ci deludono in continuazione. Finchè. Finchè poi non fanno quel gesto che ci fa amare la vita. E ci fa amare loro. Gli stessi che magari ti distruggeranno, e calpesteranno. Gli stessi che prima o poi prenderanno il tuo cuore e lo strin-geranno che non respiri più. Perché mica li puoi incatenare. Siamo stupidi e frivoli. Tutti. La gara la vince solo chi decide di esserlo prima. Ma forse quando ti dicono, da bambino, che l’im-portante è partecipare, ti insegnano questo. La gara di sci vincila, il concorso passalo anche se tutti gli altri non ce la fanno. Nella carriera fai a cazzotti per essere il migliore, trova il compromesso, addormenta il sé glorioso e abbozza, quando devi. Ma nella vita, partecipa. Ama, e fatti fregare. Fatti prendere il cuore, fat-telo stritolare e fatti togliere il respiro. E se non vinci una volta, vincerai quella dopo. Siamo fatti per piangere e ripulirci gli occhi da quell’acqua salata. Che non è poi così male.

Alessandra Buccini

decima della notte. Dunque, perché ripartire da qui, dal Meeting di Rimini? Per l’attenzione data alla persona e alle modalità con cui farla esprimere al massimo al ser-vizio del paese. E sicuramente per l’attenzione data all’università, che dovrebbe essere fucina di talen-ti, invece in Italia è in crisi. Importanti al riguardo le parole di Vittadini, presidente della fondazione Sussidiarietà: “L’Europa si è prefissata l’obiettivo di una laurea per il 40% della sua popolazione fra i 30 e i 34 anni entro il 2020. Dieci paesi hanno raggiunto l’obiettivo. L’Italia è ferma al 19,8%. Se noi favorissimo una competizione virtuosa, per-metteremmo che non solo la quantità, ma anche la qualità cresca, per dare la possibilità anche alle famiglie povere di considerare l’università come un processo di mobilità verticale. E’ impressio-nante come nonostante questa situazione molti dei nostri giovani riescono ad entrare in dottorati di altissimo livello. Cosa succederebbe se aiutassi-mo questo movimento di rinnovamento in atto?”. Abbiamo bisogno di questo entusiasmo conta-gioso. Abbiamo bisogno di rimettere al centro la persona. Abbiamo bisogna di una sussidiarietà più veemente. Di sburocratizzare questo paese. Libe-rare l’iniziativa dei giovani. E avere coraggio. Solo così il Meeting ci avrà insegnato qualcosa.

Alberto Luppichini

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Riflusso. Disimpegno politico e civile. Indivi-dualismo. Superficialità. É il quadro dipinto di questo decennio. Cosi mentre alla Casa Bianca Ronald Reagan celebra il libero mercato, tutta l’ America pare pervasa da una nuova ideologia: giovani ansiosi di potere e affamati di successo che amano prendere le distanze dalla gioventù impegnata della contestazione e degli anni di piombo. E se davvero il cinema è lo specchio del-la società, che possiamo dire di quello degli anni 80? Quali sono le scene che hanno segnato intere generazioni? Quali personaggi sono entrati a far parte dell’ immaginario collettivo? Cerchiamo di indagare sui troppo vituperati anni 80. Sono gli anni di grandi capolavori: da Shining a Scarface passando per Blade Runner. E’ il decennio della consacrazione di Steven Spielberg.Viene ribat-tezzato il “creatore dei sogni” quando porta sullo schermo la storia dell’ amicizia tra il piccolo El-liott e ET. Racconta il passaggio dall’infanzia all’ adolescenza Stand by me, film del 1986. Tratto da un romanzo di Stephen King, è il viaggio di quat-tro tredicenni, tra la voglia e il timore di diventare adulti, costretti a confrontarsi con la morte di un coetaneo. Sebbene sia scorretto valutare un film in base ai risultati ottenuti al botteghino, sarebbe un errore tralasciare quello che è tutt’ora consi-derato un cult del genere Musical: Flashdance. La storia è quella di Alex, saldatrice di una grande officina con il sogno nel cassetto di diventare una famosa ballerina. A metà tra fiaba e commedia, si rivela un autentico fenomeno di massa. Diviene ben presto la storia di una Cenerentola moderna, che baratta la scarpetta con un paio di scaldamu-scoli. Poco più che ventenni invece, i protagonisti di St.Elmo’s Fire sono gli interpreti del disagio giovanile nella cornice dell’edonismo reagania-no. Freschi di laurea alla prestigiosa Georgetown University, il gruppo si trova a fare i conti con il mondo reale, combattuti tra la speranza e la pau-ra di un futuro quanto mai incerto. Se è vero che nessuno può mettere Baby in un angolo, non pos-siamo trascurare la più romantiche delle storie di

questo decennio: Dirty Dancing. “Era l’estate del 1963, era prima che uccidessero Kennedy, prima dei Beatles, quando io credevo nell’impegno civi-le, e quando mai avrei pensato che potesse esistere un altro uomo oltre mio padre”. Cosi commenta la protagonista nella prima sequenza del film, in vacanza con la famiglia sulla East Coast America-na. Con un’indimenticabile colonna sonora, 25 anni dopo, la storia d’amore tra Francis House-man, per tutti Baby, e il ballerino Johnny Castle continua ad appassionare anche chi nel 1987 non era nato. E mentre i più sentimentali si sono la-sciati coinvolgere dai “ Balli proibiti”, i seguaci della formula “denaro è potere” hanno trovato nei consigli di Gordon Gekko il loro vangelo. Il personaggio, magistralmente interpretato da uno spietato Michael Douglas, favorisce l’ascesa del giovane broker finanziario Bud Fox, disposto a tutto pur di raggiungere il successo. Cosi Wall Street celebra gli Yuppi degli anni 80 tra abiti firmati, donne statuarie e appartamenti nell’Up-per East Side New Yorkese, con lo spauracchio dell’insider trading. E ai seguaci dell’ adrenalina pura ci pensa John McClaine che con la saga Die Hard regala agli spettatori momenti di rit-mo serrato. Laddove Top Gun ha rappresentato un giusto compromesso per uomini e donne, la pellicola firmata da Adrian Lyne ha decisamen-te aperto le porte al quasi esclusivo mondo ma-schile. Le note di Joe Cocker continuano ancora oggi ad alimentare le fantasie di noi uomini, quando ripensiamo allo striptease di Kim Basinger in 9 settimane e ½. Ma sono anche gli anni in cui Hollywood si con-centra sui drammi privati: Kra-mer vs Kramer, Rain man e Fiori d’acciaio, solo per citarne alcuni. Andando in vetta alla classifica “film commoventi” troviamo il dramma diretto da James L. Bro-oks, Voglia di tenerezza. L’in-tensa scena in cui una madre,

consumata dalla malattia, deve dire addio ai suoi bambini, mette a dura prova anche il più cinico degli spettatori. Se l’ America e’ da sempre stata il motore per ogni rivoluzione culturale e sociale, gli anni 80’ sono stati anche per il nostro paese gli anni della Milano da bere, dei socialisti, dell’ Italia che lavora di giorno e non dorme la notte. Gianni Agnelli e l’ emergente Silvio Berlusconi diventano dei modelli da emulare per gli italia-ni. Con l’avvento delle televisioni commerciali anche il panorama televisivo subisce una rapida trasformazione. Il Bel Paese però non è solo Pa-ninari, Drive In e “Milano - Cortina in un giro di Rolex”. Nonostante la crisi che investe il cine-ma d’autore, si apprezzano l’ultimo Fellini, l’av-vento sulla scena di Nanni Moretti e le pellicole, seppur con produzioni internazionali, di Sergio Leone e Bernardo Bertolucci. Il cinema italiano però torna a far parlare di sé quando, un ancor sconosciuto, Giuseppe Tornatore riscuote succes-so di critica e pubblico, guadagnandosi, tra i tanti premi, anche la famosa statuetta. Nuovo Cinema Paradiso è il personale omaggio di un regista alla magia del cinema. E dopo aver scavato nei ricor-di, mi appello al vostro giudizio: ancora pronti a destinare all’oblio gli anni 80?

Antonio Buonansegna

L’Imperatore Federico II di Svevia, nel lonta-no medioevo, premiò la fedele Andria che lo aveva accolto dopo la scomunica, con un mi-sterioso castello ottagonale. Da secoli il Castel del Monte affascina gli studiosi di riti esoterici che ne attribuiscono una funzione magica. In effetti, grazie al Castello una magia c’è: è il Fe-stival Internazionale Castel dei Mondi. Da sedici anni, l’ultima settimana di Agosto si trasforma in un appuntamento imperdibile in cui compagnie teatrali di ogni Nazione e artisti di vario genere rendono il castello del Tavoliere un caleidoscopico palcoscenico. Quest’anno Andria è diventata una vera perla delle Murge: l’apertura del 25 agosto è stata affidata all’espe-rienza di Sergio Rubini e del suo melvilliano scrivano Bartleby, per poi concludersi con l’i-strionica compagna Oblivion e il loro Sussidia-rio musicale. Le stradine medievali sono diven-tate affluenti di una dimensione onirica in cui finire dentro un avanguardistico frigorifero, nato dalle sapienti mani dello scenografo An-tonio Panzuto, che incanta gli spettatori con alcune delle più famose opere liriche generate dal frigo-teatrino ne “Il frigorifero lirico”. Passando dallo studio su Cechov, in anteprima nazionale, di “Tre atti unici da Anton Cechov”, si finisce in un’aula scolastica in cui pubblico e attori sono lo spettacolo, coinvolti allo stesso modo con le riflessioni sulla cultura e i gio-chi che richiamano i dettati nelle “Lezioni di classe” di Terrammare. Un doppio connubio si celebra con la “Festa di Nozze” del Circus Klezmer: quello in scena, ma soprattutto la ri-uscitissima unione di teatro e circo, dove gli at-tori-acrobati affascinano con evoluzioni e rac-conti, inscenano un invito ad un matrimonio

in un villaggio dell’est europeo. Andria, fino al 2 settembre, è diventata anche il punto di con-vergenza della cultura meridionale e di quella napoletana con l’imperdibile concerto-reading di Peppe Servillo in “Spassiunatamente” e con il dolcissimo racconto di Anna Pavignano, compagna di Massimo Troisi, in cui immagina che l’attore non sia morto, si sia solo ritirato dalle scene e voglia tornare a recitare. Anche quest’anno non manca una rivisita-zione visionaria di Shakespeare: l’anno scorso scheletri sgambettanti e ballerini avevano ac-compagnato il dubbio di Amleto, quest’anno Terrammare offre un introspettivo “Romeo e Giulietta”, in cui i due amanti si dividono in sette diversi interpreti e tentano un’ espiazione delle colpe dei padri di cui sono vittime incon-sapevoli. Musica, teatro e innovazione si mescolano in un prelibato piatto servito dal gastrofilosofo Donpasta, con un contorno di riflessioni del-lo stralunato poeta, ecologista e cuoco, a cui “aggiungere olio”, come ripete nel suo “Food Sound System”. Il Festival si presenta come una composta eppure esplosiva macchia di colore a dimostrazione che il palcoscenico non rimane fermo a contemplare se stesso, ma è disposto a rivoluzionarsi e smontarsi per dar vita ad un’ar-te dinamica come quella teatrale. Ventotto imperdibili spettacoli, sette giorni per abbandonarsi ad un teatro ancora vivo e coinvolgente, un castello ottagonale che di-venta punto di intersezione di Mondi e di arte: i numeri essenziali per rinfrescare la mente quando l’estate caldissima finisce.

Maria Chiara Pomarico

Il castello ottogonale

Ottobre 2012Cinema & Teatro28 29

I mitici anni ‘80 Serialità 2.0 - il web è democrazia

“O Capitano,mio Capitano!”

L’Attimo Fuggente

“I don’t dream at night, I dream at day, I dream all day;I’m dreaming for living”

Steven Spielberg

Il web è democrazia. Chiunque può far arrivare il proprio IO in tutto il mondo grazie ad un sempli-ce video, o raccontare una storia senza le restrizioni delle emittenti televisive tramite una webseries. È questo ciò che è stato fatto con Freaks!, divenuta un grande successo grazie alla popolarità dei prota-gonisti sul web (willwoosh su tutti) e al coraggio di creare un prodotto di genere che si distaccasse dalla serialità televisiva nazionale. Proprio quest’ultimo è il fattore di successo di molte webseries: l’inno-

vazione del linguaggio, adatto alla generazione 2.0 che non si è mai riconosciuta nei preti detective della tv generalista.Freaks! è stata la webseries che ha smosso l’atten-zione del pubblico. E’ stata lo spartiacque tra il pri-ma e il dopo, poiché si è realizzato che un tipo di intrattenimento alternativo a quello mainstream è possibile, e adesso si appresta a sbarcare su Deejay Tv con una seconda stagione che promette 12 epi-sodi. Dopo il successo di Freaks!, il numero delle

webseries si è moltiplicato e fra le tante c’è da se-gnalare Lost In Google, il prodotto che ogni nerd vorrebbe vedere: un’idea accattivante (il protago-nista, dopo aver cercato “google su google”, viene risucchiato dentro il motore di ricerca e per uscire dovrà “passare” per le pagine più famose del web: da google maps a wikipedia), effetti speciali incre-dibili e la partecipazione degli utenti. Sì, perché i fan possono lasciare un commento sotto al video, scrivendo ciò che vorrebbero che i protagonisti fa-cessero nell’episodio successivo: serialità 2.0, dove il fruitore è anche creatore dei contenuti.Un altro recente esempio della serialità web è Stuck, che racconta le vicende di David Rea, un emotional trainer che cerca di far smuovere i suoi pazienti dai loro blocchi emotivi. La serie di Ivan Silvestrini, questo mese al cinema con “Come Non Detto”, ha unito un personaggio intrigante che guarda alle serie USA (Dr. House, Californication) e tratta una tematica spesso tabù, il sesso. Partico-larità della serie è di essere stata girata in inglese, nonostante sia al 100% italiana.Ed eccoci giungere, infine, ad una serie che mi riguarda molto da vicino: Youtuber$ The Series. “Cinque youtubers si trovano a dover affrontare un misterioso nemico misterioso che ne minaccia la popolarità, svelando i loro segreti più intimi”, è questa la premessa alla trama della web series che ho scritto (e diretto) insieme a D. Ciano, G. Delli Veneri e L. Tilelli, con l’appoggio dell’università Luiss. Volevamo realizzare un prodotto dissacran-te ed innovativo. Dissacrante perché, nonostante si tratti di un dramedy a sfondo misterioso, è a tinte comiche, quasi surreali: ogni personaggio, dai protagonisti ai ruoli minori è ampiamente so-pra le righe. Innovativo perché oltre ai 12 episodi, sono stati realizzati i canali dei cinque protagonisti come se fossero degli youtubers esistenti. La serie verrà trasmessa su Youtube dal 1 ottobre e vanta un importante cast di ragazzi attori (ex Amici, Cesa-roni, Liceali), come ad esempio Andrea De Rosa e Diana Del Bufalo, e guest star (Emilio Solfrizzi, Paolo Bonolis, Antonello Fassari, Brenno Placido e molti altri da svelare). Un unicuum per il web, abituato a degli youtubers che si vestono da attori e non a degli attori che interpretano degli youtu-bers: una vera e propria inversione del paradigma.

Daniele Barbiero

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Il Calcio Femminile è comunemente conside-rato uno “sport minore” rispetto alla versione maschile. Il torneo olimpico ci ha però conse-gnato un’immagine vincente di tale movimen-to sportivo: il livello tecnico delle selezioni e la partecipazione collettiva all’evento hanno pro-dotto una competizione altamente spettacola-re. Share televisivo e media spettatori elevata con 25422 a partita, più della Serie A maschile italiana, ne sono la tangibile testimonianza. Gli Stati Uniti si sono aggiudicati la medaglia d’o-ro battendo in finale il Giappone campione del mondo in carica. Il passato calcistico ci spiega l’importanza del torneo appena concluso. La nascita dello “sport più bello del mondo” av-viene nell’Inghilterra Vittoriana di metà ‘800. Nel 1863 sorge la Football Association, che concepisce il primo regolamento calcistico unitario. L’espansione del nuovo gioco invade la nazione e l’Europa. Nel 1902 nasce il primo club femminile britan-nico. La naturale bivalenza di genere del foot-ball viene condannata dalla F.A., che proprio nel 1902 impedisce a tutti i club di organizzare amichevoli contro squadre femminili. Nono-stante gli anatemi del “governo calcistico”, il calcio femminile continua a espandersi (150 squadre nel 1921). Nello stesso anno il match del club “Le signore di Dick Kerr” contro una selezione francese, porta allo stadio Goodison Park (casa dell’Everton) 53000 spettatori con-tro le 18000 presenze medie nel campionato maschile. Il 5 Dicembre 1921 la decisione che cambia il destino di questa storia: la F.A. giudica il calcio “inadatto alle donne” e vieta alle squadre fem-minili l’utilizzo dei campi di calcio della lega. Le compagini femminili sono forzatamente private del fondamento del gioco: il rettangolo

In pochi all’inizio del 2012 avrebbero scom-messo sulle capacità di Roger Federer di tornare lassù, nell’Olimpo degli dei, eppure il tennista svizzero ha stupito tutti e il 9 luglio è tornato nuovamente in cima alla classifica ATP. Per l’ennesima volta è lui il numero uno del tennis mondiale.Dopo aver partecipato al Gerry Weber Open, primo torneo sull’erba della stagione, in Germa-nia, dove tra l’altro gli hanno dedicato la strada che va dal Gerry Weber Stadion al Gerry Weber Sportpark, ribattezzata appunto Roger-Federer-Allee, il tennista svizzero si presenta in gran for-ma al Torneo di Wimbledon 2012 e dopo aver sconfitto in semifinale l’ormai ex numero uno del mondo, Novak Djokovic, diventa il primo giocatore dell’era Open a raggiungere per l’ot-tava volta la finale del Torneo. L’8 luglio batte in finale il britannico Andy Murray con il pun-teggio di 4-6, 7-5, 6-3, 6-4 e conquista così per la settima volta lo Slam londinese, eguagliando il record di un “certo” Pete Sampras e di William Renshaw.Grazie a questo fantastico successo -il 17° nei tornei del grande Slam (record assoluto)- Re Roger torna a guardare tutti gli altri dall’alto in basso, torna nella posizione che gli spetta, dimostrando che a 31 anni ha ancora la voglia di vincere e di stupire con i suoi colpi di genio. Nel momento in cui scriviamo, sono ben 294 le settimane complessive in cui Federer è stato al vertice del ranking ATP (altro record assoluto).

verde, dolce casa di ogni appassionato. I campi di periferia degradano la credibilità delle gio-catrici inglesi. Il contraccolpo è letale: la nascita della Ladies Football Association non riesce a frenare il nuovo sentimento comune, ormai istituziona-lizzato, che etichetta il calcio come “sport ma-schile”. In Italia il primo campionato nazionale è datato 1968. Le tribolazioni burocratiche delle varie fede-razioni italiane non permettono uno sviluppo unitario del prodotto: la Federazione conflui-sce nella FIGC solo nel 1986. Nel frattempo nascono le prime competizioni internazionali: nel 1984 il Campionato Europeo UEFA, nel 1991 la prima Coppa del Mondo FIFA. Nel 1996 il Calcio Femminile diventa disciplina olimpica. Il 1999 è l’anno della svolta: i cam-pionati del mondo disputati in USA sono un successo planetario e riscattano decenni di tri-ste oblio. Con la nascita della W-League Statunitense (anno 1995, riformata nel 2001) il calcio fem-minile conquista velocemente il pubblico nor-damericano. La UEFA registra un vero boom di iscrizioni nei club femminili: negli anni 2000 vengono organizzati i primi tornei continentali a livello di club. 9 Luglio 2012: novant’anni dopo l’a-natema della F.A., la Storia calcistica espia le proprie colpe e si riappacifica con se stessa. Il teatro della finale del torneo femminile è il più famoso impianto inglese, un tempo proi-bito: il nuovo stadio di Wembley, “cattedrale del calcio” e sacro simbolo di uno sport che per troppi anni ha subito la colpevole amputazione di una parte fondamentale del proprio essere.

Federico Porrà

Alle Olimpiadi londinesi si deve però acconten-tare (si fa per dire) dell’argento, essendo stato sconfitto in finale dal proprio Andy Murray, in tre set 6-2, 6-1, 6-4, mantenendo comunque la prima posizione al temine dei Giochi.Per quanto riguarda invece le caratteristiche tecniche dello svizzero, che da molti critici è considerato il tennista più forte di tutti i tempi, possiamo dire che Federer ha saputo modificare negli anni il suo stile e le sue giocate, adattando-lo di volta in volta agli avversari, diventando così un giocatore completo a tutti gli effetti. È consi-derato il punto d’incontro tra il tennis classico, nel quale doti come la sensibilità e il tocco ave-vano un ruolo importante, e quello moderno, affermatosi con l’evoluzione delle racchette. Del tennis antico Roger conserva senz’altro l’elegan-za nei gesti: lo svizzero è uno dei pochi a giocare di diritto con il piede destro parallelo alla linea di fondo; nel movimento impone una brusca accelerazione all’avambraccio, ruotando il polso quando desidera conferire effetto in Top-Spin. Il risultato è un colpo molto veloce, di difficile let-tura per l’avversario. Il rovescio, pur essendo un colpo meno naturale, è ritenuto da molti la sua arma migliore, nonostante con il diritto metta a segno più punti e tenda a sbagliare di meno. Il servizio è un colpo che si è anch’esso evolu-to nel tempo. Agli esordi Federer serviva senza spingere in maniera accentuata con gli addomi-nali, forzando la prima di servizio. Con gli anni ha aumentato l’inarcamento della schiena e oggi il suo movimento di battuta si avvicina a quello del più grande “battitore” della storia del tennis moderno, Pete Sampras. Quando uscirà questo articolo si saranno con-clusi anche gli US Open e chissà che lo svizzero non abbia aggiornato il suo palmares con un nuovo successo. Una cosa è certa: Re Roger ha ancora fame di vittorie.

Matteo De Vita

1921-2012: Il grande riscatto del calcio femminile

Re Roger è tornato!

Trasferte

Quella trascorsa sarà ricordata come l’estate del-la caccia al top player (dove però noi siamo state le prede) e delle sentenze della giustizia sporti-va, nonché dei processi alla giustizia sportiva. In estrema sintesi: dopo che i nostri campioni sono emigrati, i nostri calciatori tornano in campo (al-cuni dopo aver fatto peraltro una breve sosta in carcere, leggi: il capitano della Lazio). Uno strano quadro. Non solo: l’Italia è vice-campione d’Eu-ropa, ma manda solo due squadre alla prossima Coppa dei Campioni (la chiamo ancora così, per-

ché è indubbiamente più romantico). Così, tra veleni, delusioni e ambiguità noi vogliamo fare una scelta di campo, decisa: come ci ricorda una famosa pubblicità “il calcio è di chi lo ama”. Benis-simo: allora la Serie A Tim per noi sarà più sem-plicemente la serie A, ovvero partite. Partite da vivere allo stadio. E allora sia: prima giornata di campionato, San Siro, Milan Sampdoria. Siamo alla Scala del Calcio, a dir la verità piuttosto mesta pur nella sua imponenza. Nel contrasto tra l’en-tusiasmo dello speaker ufficiale e lo smarrimento

dei tifosi rossoneri si misurano le difficoltà del nostro calcio. La lettura della formazione di casa crea imbarazzi (paragonabili solo alla difficoltà nel pronunciare il nome del blucerchiato Krsti-cic): l’altisonante voce legge il nome e aspetta che il pubblico invochi il cognome, ma per alcuni componenti della panchina taglia corto, conviene dire sia nome sia cognome, che tanto questi non li conosce nessuno –deve aver pensato. Si, forse le panchine allungate (cioè composte da dodici gio-catori) non avranno aiutato, ma non è questo il punto. Basta speculare, veniamo alla partita.I tifosi ospiti sono al terzo anello, in altissimo, vi-sta a picco sul campo: non si respirerà il profumo dell’erba (pace: tanto è mezza sintetica) ma gli schemi e i movimenti si vedono che è uno spet-tacolo. Lo spettacolo, però, si ferma qui: mano-vre involute e passaggi sbagliati per i padroni di casa, roba da non credere, opposti ad una Samp quadrata e ben messa, non certo trascendentale. L’impressione è che di fronte all’entusiasmo di una neopromossa ci siano undici giocatori rag-granellati in tutta fretta, cosa che, chi si sforza di vedere lungo, definirebbe un cantiere ancora aperto. Dal cuore del tifo milanista emerge il pen-siero condiviso: “31 agosto, aspettiamo fiduciosi”. Vi si affiancano ovviamente gli striscioni contro l’“ingrato” (secondo loro) Cassano, definito –con sottile allusione alle sue magagne cardiache- “cuo-re ingrato”. In un clima di attesa e risentimenti, il primo tempo si chiude pari e patta; la ripresa in-vece regala sorprese. Da un tiro d’angolo ne esce una zuccata, con palla ben indirizzata, che vale il gol degli ospiti. Poi il niente, fino a che si passa all’assedio finale: due pali, un gran portiere, un salvataggio sulla linea, però, ergono un ostacolo che questo Milan non supera. Zero a uno, tutto piuttosto surreale. L’uscita dallo stadio non è da meno e veniamo –noi che mettiamo il blucerchia-to in bella vista – salutati, oltre che dai prevedibili insulti, anche da un pittoresco “noi non siamo dei pescatori!”… il che conferma la proverbiale diffidenza lombarda verso chi abita sulla costa. Il tutto accentuato dal fatto che per una sera Costa è maschile, di nome fa Andrea e la sua zuccata è valsa il gol vittoria rifilato poco prima al Milan. Con la speranza, ovviamente che no, dal primo settembre quello visto stasera non sia più il Milan, per il bene del calcio italiano.

Matteo Oppizzi

Ottobre 2012Calcio d’Angolo30 CosmoLuiss SP 31

Londra 2012, le prime Olimpiadi 2.0

Veloci come Bolt che taglia il traguardo, fulmi-nei come una stoccata di Valentina Vezzali, nuo-tano nell’acqua del web come neanche il miglior Phelps saprebbe fare. Una staffetta di notizie così rapida che potrebbe fare invidia perfino alla Gia-maica. Nel 1896 le prime Olimpiadi moderne, nel 1924 trasmesse in diretta radiofonica da Pari-gi, nel 1972 una Monaco olimpica ammirata per la prima volta attraverso i colori della televisione. Nel 2012 giunta prepotentemente l’era del social network. Ogni atleta, ogni gesto è stato com-mentato istantaneamente in un tweet, condiviso sulla bacheca, postato ovunque. Le Olimpiadi di velocisti che scattavano sulla rete per un like in più, solo perché la notizia più istantanea batteva il record mondiale di retweet in un arena live sen-za pause e senza pianificazioni. Sky ha offerto una copertura totale dell’evento. #skyolimpiadi su twitter ad hoc per tutti gli appassionati che hanno centrato l’hashtag come un piattello dell’iridata Jessica Rossi. Gioie e dolori delle Olimpiadi condensate in pa-gine e foto diffuse su Facebook. Dalla delusione di Federica Pellegrini senza medaglia massacrata dal pubblico per l’eccessiva concessione al gossip alle dichiarazioni severe nei confronti delle la-crime di Schwazer. Dallo strapotere del fioretto italiano alle dubbie decisioni arbitrali che hanno penalizzato la tuffatrice Tania Cagnotto, la gin-nasta Vanessa Ferrari e il pugile Roberto Cam-marelle. Riflettori sui tre ori del leggendario, lo ha ammesso anche il presidente del CIO Jacques Rogge, Usain Bolt. Tra le novità la boxe rosa e il successo del calcio femminile. Il podio del medagliere, Stati Uniti, Cina e Gran Bretagna ringraziano le atlete. An-cora non presenti quanto i maschi ma spesso più vincenti. Alcuni followers proponevano illazioni riguardo le avventure passionali in un villaggio olimpico privo del rigore di Pechino 2008. Dif-ferenti le celebrazioni. La premessa del boom mediatico 2.0 era già nella cerimonia di apertura. “Nulla a che vedere con quattro anni fa” oppure “Ma si rendono conto gli Inglesi di avere come eroi nazionali Mister Bean e Mary Poppins?”. Molti elogi invece per “Let it be” cantata da Paul McCartney. La regina ha fatto la Bond girl e il CIO è stato contento di aver investito sul sicuro. “Saranno anche vanagloriosi ma l’organizzazione

è impeccabile”. Ricordava un tweet smentendo tutti i dubbi mediatici su sicurezza e aggravi eco-nomici. 15 miliardi la spesa complessiva, molto più del previsto ma il budget limite è stato ri-spettato. Per la sponda azzurra il presidente del Coni Gianni Petrucci si aspettava venticinque medaglie. Ne sono arrivate ventotto, una in più di Pechino, molte da giovani esordienti. Petrucci incoraggia lo spirito olimpico per i prossimi quat-tro anni da uno sport strapagato come il calcio alle scuole dove può essere diffusa una politica

salutistico-sportiva.” Rio 2016 aspetta la torcia e tutti pensano alla Federer. “La delusione per l’oro mancato? Quindici minuti. Gioia per l’argento e se fisico e determinazione mi sostengono ci vedia-mo in Brasile”. Con un caso doping in meno e con maggiore voglia di sentire Mameli alle premiazio-ni. Taggare i modelli migliori e condividere lo spirito per alimentare sul web e nella vita quel fuoco che attraverso la torcia dei petali londinesi illumina il mondo dello sport.

Lorenzo Nicolao

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