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TuTTi a VoTare Il giornale è attività degli studenti Luiss, periodico gratuito, finanziato dalla Luiss Guido Carli; a distribuzione interna - Numero XXXVII, Anno VII 360_maggio:mar 2008.qxd 11/05/2009 18.21 Pagina 1

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360° rivista degli studenti LUISS pubblicata nel mese di Maggio 2009

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VoTare

Il giornale è attività degli studenti Luiss, periodico gratuito, finanziato dalla Luiss Guido Carli; a distribuzione interna - Numero XXXVII, Anno VII

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S O M M A R I O

Fondato nel 2002

Fondatori: Fabrizio Sammarco, Luigi Mazza, Leo Cisotta

Direttore:Matteo Tebaldini

Direttore Editoriale: Daniele Dalessandro

Responsabile Organizzativo: Gianmaria Volpicelli

Responsabili di Rubrica:

CosmoLUISS

Scienze Politiche: Chiara Orsini, Giulia Mammana

Economia: Andrea Zapponini, Timoteo Carpita

Giurisprudenza: Bruno Tripodi

Speaker’s Corner: Valeria Pelosi, Francesca Giuliani

Fuori dal Mondo: Flavia Romiti, Clara Della Valle

International: Andrea Ambrosino, Mariastella Ruvolo

Artificio:Mariafrancesca Tarantino, Tiziana Ventrella

Ottava Nota: Federica Ricca, Chiara Iov7ino

Cogitanda: Giulia Gianni, Elisabetta Rapisarda, Giovanni

Aversano

Teatro: Chiara Cancellario, Chiara Gasparrini

Lifestyle: Chiara Sfregola, Cassandra Menga

Unisex:Michela Petti, Alessandra Rey

Calcio d’Angolo:Matteo Viola, Luigi Calisi

Responsabili via Parenzo: Giulia Gianni, Renato Ibrido

Delegato Fondi: Valeria Pelosi

Responsabile 360° E20: Cristiano Sammarco

Stampa: SGE - Servizi Grafici Editoriali

Grafica: Enrico A. Dicorato

numero chiuso in redazione 24 Aprile 2009

Costi

Carta: 250 euro

Realizzazione grafica: 350 euro

Lastre e allestimento: 450 euro

Macchinari e battute: 450 euro

Spedizione: 100 euro

EDITORIALE 3

COSMOLUISS 4

SPEAKER’S CORNER 10

FUORI DAL MONDO 13

INTERNATIONAL 15

COGITANDA 18

TEATRO 21

ARTIFICIO 23

OTTAVA NOTA 25

UNISEX 27

LIFESTYLE 28

CALCIO D’ANGOLO 30

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Quello che avete tra le mani è l’ultimo numero del 360gradi sotto ladirezione Tebaldini-Dalessandro, ed è con rammarico, permetteteci,che scriviamo questo editoriale.

Ma la vita è fatta di cicli: in economia, in amore, in politica, semplice-mente in natura. E dopo due anni è giusto lasciare spazio a forze fre-sche e cercare noi nuovi stimoli al di fuori di questo giornale, che tantoabbiamo amato e continueremo ad amare.

Ma la teoria dei cicli non vale solo per il 360gradi.

Il 19 e 20 Maggio si rinnovano le rappresentanze studentesche delnostro Ateneo.

Negli ultimi due anni abbiamo inseguito una precisa ed ambiziosalinea editoriale: quella di diventare il giornale dell’intero corpo stu-dentesco, al di là delle facoltà e del pensiero politico, sia interno cheesterno alla nostra università, portando il pluralismo all’interno dellenostre pagine.

E perciò anche in questa occasione abbiamo deciso semplicemente diINFORMARVI su come, dove e quando votare, senza influenzarvi conle nostre personali preferenze.

Innanzitutto un caloroso invito: votate!

Non è vero che gli organi di rappresentanza non contano nulla, anzisono il filo che collega gli studenti alla dirigenza, raccolgono le nostreistanze e bussano alle porte di Presidi, Rettori e Direttori. Spessoabbiamo sentito lamentele sui rappresentanti ma non è l’astensione lachiave di “svolta”, anzi, è votando e scegliendoli che si cambiano lecose. Gaber scriveva “la Libertà è Partecipazione”.

Come detto precedentemente, il 19 e 20 Maggio eleggeremo un rap-presentante degli studenti al Consiglio di Amministrazione, due rap-presentanti (uno per la triennale ed uno per la magistrale) sia allafacoltà di Scienze Politiche sia ad Economia e due alla facoltà a ciclounico di Giurisprudenza. Inoltre eleggeremo due studenti al Comitatoper lo Sport universitario.

Potranno candidarsi tutti gli studenti che risultino iscritti in corso alladata di svolgimento dello scrutinio, presentando la propria domandaentro il 9 maggio e seguendo le procedure indicate nel decreto retto-rale n. 67 del 23 marzo 2009 (disponibile su Internet al sitowww.luiss.it).

Hanno diritto di voto tutti gli studenti iscritti in corso o fuori corso danon più di due anni.Le operazioni di voto avranno luogo a Viale Romania in aula 200 (aulachiesa) per gli aspiranti economisti e per gli scienziati della politica,mentre Via Parenzo (sala lettura – piano terra) ospiterà le procedureelettorali per gli studenti di giurisprudenza. Il tutto si svolgerà dalleore 8.30 alle 19 di martedì 19 Maggio e dalle 8.00 alle 13.30 del gior-no successivo.

Per votare è necessario esibire il libretto universitario o qualsiasi altrodocumento valido.

L’elettore riceverà tre schede, una per la rispettiva facoltà, una per losport ed una per il Consiglio d’Amministrazione. Per ogni scheda sidovrà apporre un segno sulla lista prescelta e il nominativo del candi-dato relativo appartenente alla stessa lista e si può esprimere una solapreferenza. Vale il voto disgiunto: ad esempio si può votare Tizioappartenente alla lista X alla facoltà e Sempronio della lista Y (diversada X) al Consiglio di Amministrazione. È ovvio che se si vota il candida-to Sempronio (della lista Y) segnando la lista X il voto è da considerar-si nullo. Ci deve essere sempre correlazione tra il candidato prescelto ela sua lista di appartenenza, il disgiunto vale solo per schede diverse.

Saranno nulle anche le schede che presentassero scritture o segni talida far ritenere, in modo inoppugnabile, che l’elettore avesse voluto farriconoscere il proprio voto.

Risulteranno eletti i candidati più votati all’interno delle liste vincenti,non conteranno quindi le preferenze nominali di ciascun candidatoqualora la lista dovesse risultare perdente.

La propaganda elettorale inizierà dal giorno successivo al termine fis-sato per l’accettazione delle candidature e delle liste, quindi dal 10 diMaggio, e cesserà comunque alle ore 13:00 del giorno precedente ilprimo di votazione, quindi il 18 Maggio.

Speriamo di avervi fornito tutte le informazioni necessarie ad un rego-lare svolgimento delle procedure di voto affinché queste possano svol-gersi nel rispetto delle regole.

Ci auguriamo che la competizione sia sana e soprattutto leale, e chepermetta a tutti noi, indipendentemente dalle scelte, di vivere unmomento aggregativo importante e di formazione.

E come si dice in questi casi: che vincano i migliori! Con l’augurio chepossano essere i rappresentanti di tutti e non solo dei rispettivi eletto-rati.

Tornando a noi, dopo due anni di direzione è difficile mettere il puntoal nostro ultimo editoriale, vorremmo quasi che quest’articolo durasseancora mille altre cartelle.

Ma la teoria dei cicli è più forte, ed è giusto che a rinnovarsi non sianosolo i rappresentanti.

Speriamo solamente di lasciare un giornale migliore di come lo abbia-mo trovato e di aver fornito un buon servizio a tutti voi. A chi verrà dopo di noi lasciamo le parole di Mario Borsa ai suoi colle-ghi giornalisti:

“Dite sempre quello che è bene anche se non va a genio ai vostri amici,dite sempre quello che è giusto anche se ne va della vostra posizione,della vostra quiete, della vostra vita. Siate dunque indipendenti e inchi-natevi solo davanti alla Libertà, ricordandovi che prima di essere undiritto, la Libertà è un dovere.”

Daniele [email protected]

Matteo [email protected]

A vo i l a s c e l t a !Elezioni: come, dove e quando

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Da diverso tempo si parla di modificarel’attuale legge elettorale, definita dal suostesso fautore “legge porcata”. Già nel2008 fu approvato un referendum alriguardo, ma fu totalmente ignoratodalle alte cariche dello Stato. Per le pros-sime elezioni di giugno, il professorGiovanni Guzzetta, docente di istituzionidi diritto pubblico, e l’onorevole MarioSegni, hanno rimesso in moto la grandemacchina che potrebbe, tramite nuovoreferendum, portare alla modifica del-l’attuale legge Calderoli. I punti fonda-mentali d questo referendum sono tre. Iprimi due riguardano il premio di mag-gioranza dato al partito di maggioranza,rispettivamente alla Camera ed al Senato.Questo significa che la lista che prendepiù voti prende la maggioranza deiparlamentari, da sola. Per fare unesempio concreto, probabilmente di qui avent’anni avremmo un Parlamento ed unGoverno con solo il Partito delleLibertà.Tra vent’anni potrebbe essere ilPD da solo. In sostanza questa novità por-terebbe alla sparizione delle coalizio-ni, alla completa trasformazione delnostro sistema politico in bipartiticocome negli Stati Uniti, al governo delpaese in mano a chi, virtualmente, puòricevere anche solo il 30% dei consensi. Ilterzo quesito riguarda invece il divieto dicandidarsi in più circoscrizioni, messoforse più come foglia di fico che per realesostanza. Il contenuto del referendum è,quindi, molto importante ma decisamen-te scomodo per alcuni partiti. Tra i più

spudorati oppositori del referendum, visono i leghisti di Maroni che vorrebberospostare la votazione in una data diffe-rente da quella delle europee e delleamministrative. Questo comporterebbeprobabilmente il mancato raggiungi-mento del quorum necessario alla validi-tà del referendum. Ma il problemariguarda anche un aspetto economico danon sottovalutare: fissare la consultazio-ne referendaria il 14 giugno vorrebbe direbuttare al vento 400 milioni di euro, fis-sarla il 21 bruciare lo stesso 313 milioni dieuro. La strada più corretta e democraticasarebbe quelle di fissare il referendumper il 7 giugno, data delle europee e delleamministrative. Anche se i costi fosseroinferiori, di critica 173 milioni di euro,come affermato, ma senza citare le fonti,dal ministro Maroni, sarebbe comunqueun assurdo spreco di soldi. “Proponiamoche il denaro risparmiato - ha affermato iprofessor Guzzetta - venga destinato allepersone che sono state coinvolte nellatragedia dell’Abruzzo. In qualsiasi paesedemocratico, come già avvenuto, il refe-rendum si sarebbe fatto nel giorno delleelezioni. Per far sentire le nostre ragioniabbiamo organizzato un presidio perma-nete di civile protesta, davanti a PalazzoChigi, perché - ha concluso il professore -per fortuna a decidere non è Maroni, mail Presidente della Repubblica e il gover-no”.

Ornella Quondamcarlo

La saggezza dei Nativi americani suggeriva che laTerra è qualcosa che riceviamo in eredità dalle gene-razioni future. Questo aforisma sintetizza perfetta-mente lo spirito di LUISS Sostenibile e potrebbe esse-re la bussola del G8 che si svolgerà a luglio sotto lapresidenza italiana. Le pagine dei giornali, la radio, latelevisione, Internet parlano sempre più frequente-mente e, talvolta, con tinte sempre più fosche diambiente, climate change e di sicurezza energetica. Anche la nostra associazione, come già in passato l’u-niversità ha fatto, vuole confrontarsi con questetematiche. Lo faremo il 15 maggio presso la sede diViale Romania per una full immersion ambientale incui ci confronteremo su “Le nuove frontiere dell’am-biente: tra sicurezza energetica e tutela ambientale”.Non una conferenza, ma una vera e propria agorà incui noi, studenti-cittadini, discutiamo con il mondoaccademico, le istituzioni, le aziende private e lasocietà civile. L’obbiettivo che ci proponiamo di rag-

giungere èquello dicreare undibattito sutematicheche tra-s cendonolo spaziodella LUISS,ma che non

possiamo esimerci dall’affrontare “in direzione osti-nata e contraria” rispetto a coloro che millantano sce-nari futuristi di infinito progresso e coloro che, altret-tanto irrazionalmente, dipingono un Medio Evo pros-simo venturo. Ragion di Stato, sviluppo economico etutela ambientale non sono universi paralleli desti-nati a non incontrarsi, ma elementi che possono edevono essere portati a una razionale sintesi, a uninevitabile incontro.Nelle due sessioni previste verranno discusse varietematiche inerenti la sicurezza degli approvvigiona-menti energetici e i principali nodi geopolitici ad essaconnessi. Assieme ad esperti del settore, tra cui ENI,ENEL ed ENEA, verranno analizzate le varie fontienergetiche (fossili, rinnovabili e nucleare) eviden-ziandone opportunità e limiti. Alla vigilia del G8, nonpotevamo non preoccuparci del problema dellagovernance ambientale e dei vari livelli in cui essa siarticola. La tutela ambientale è una problematica dinatura globale, ma il suo raggiungimento poggiasulla bontà delle politiche europee, nazionali e loca-li. Last but not least, la società civile, la miriade dicasematte che si ergono dietro lo Stato, che, attraver-so l’attività di lobbying, può virtuosamente influen-zare le decisioni prese dai governanti.

In molti già conoscono e frequentano LUISSSostenibile, un’associazione studentesca nata persensibilizzare il nostro Ateneo riguardo le tematiche

ambientali e con l’obbiettivo ultimo di fare dellaLUISS la prima Green University italiana. Ostinatoidealismo e utopismo, eccesso di ecologismo? Forse,ma proprio per questo siamo convinti che valga lapena spendere parte del nostro tempo universitarionel realizzare questo progetto. Siamo convinti che l’università, infatti, non sia unluogo dove lo studente passivamente subisce lezionie supera esami come in una catena di montaggio, maun luogo e un momento dove può e deve nascere unconfronto tra gli studenti il corpo docente e la socie-tà al fine di cementarne la coscienza civica. Il Prof. Massimo Baldini amava ripetere che sono ibuoni studenti a fare una buona università: ci stiamoimpegnando, instaurando un rapporto propositivocon l’amministrazione universitaria; da noi, infatti,deve partire l’iniziativa per migliore l’ambiente in cuistudiamo. LUISS Sostenibile deve continuare a essereun benefico pungolo per il nostro Ateneo e la suaefficacia sarà proporzionale al coinvolgimento delmaggior numero possibile di studenti.I tempi stanno cambiando? L’onere della dimostra-zione ricade sulla nostra generazione e per questo viaspettiamo il 15. Sarà, comunque, un ottimo inizio.

L’Associazione LUISS [email protected]

LE NUOVE FRONTIERE DELL’AMBIENTE: SICUREZZA ENERGETICA E TUTELA AMBIENTALE

Ostacolato il Referendum cheabolisce la “legge porcata” Gentile Redazione di 360°,

mi chiamo Pamela Mastrangelo e sono iscritta al primoanno del corso di laurea in Economia e Managementpresso codesta Università. Sono nata e vissuta a L'Aquilain pieno centro storico, in un antico e confortevolepalazzetto, sino alla notte del 6 aprile scorso, quando ilterremoto ha deciso di irrompere nella mia vita, in quel-la della mia famiglia e dei tanti altri miei concittadini. E'difficile spiegare a parole le sensazioni, i pensieri edemozioni che si provano in simili circostanze, ma misento di affermare che sicuramente quella notte è stata"il punto del non ritorno" per tutte quelle vite, soprat-tutto giovani violentate brutalmente da una grandeenergia distruttiva.Mi ritengo molto fortunata, in quan-to, nonostante la mia casa sia crollata, sono riuscitaugualmente a fuggire insieme ai miei genitori. Ora unanuova vita mi si apre davanti. Desidero con queste pocherighe ringraziare pubblicamente la LUISS, che già dopoappena 6 ore dal tremendo terremoto mi ha prontamen-te telefonato informandosi sul mio stato di salute edoffrendomi qualsiasi tipo di aiuto. Ho avuto modo diapprezzare il conforto e calore che mi ha testimoniato ilDIRITTO ALLO STUDIO, attraverso il suo personale e fun-zionari, sempre attenti, vigili e pronti a soddisfare qual-siasi primaria esigenza.Certo la mia vita non potrà più essere come quella diprima, ma è altrettanto certo che da qui ricomincerò conancora più determinazione e caparbietà, consapevoledella grande solidarietà ed umanità che la LUISS mi hasaputo donare e grazie alla quale non ho mai avvertitola sensazione di trovarmi sola ed abbandonata.GRAZIE LUISSGRAZIE DIRITTO ALLO STUDIO

Pamela MastrangeloL'Aquila

The Times There Are a- Changin’

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Presentati in quattro righe.Nato a Vimercate, in provincia di Milano, il16/12/1986 dopo aver frequentato il Liceo Scientificoho scelto di trasferirmi a Roma per frequentare lafacoltà di Scienze politiche in questa Università, con-vinto che i viaggi e l’esperienza fuori sede fosserofondamentali per un giovane nato in provincia.Perché hai scelto la LUISS?… invece che la Bocconi? A questa domanda sonopreparatissimo, sono quattro anni che me la fanno dicontinuo. Perché volevo fare un esperienza fuori casae perché era la miglior facoltà di Scienze Politiche inItalia. E poi alla Bocconi Scienze politiche non c’è, maquesto sembra che non lo sappia nessuno.Perché hai scelto 360gradi?Perché mi ha accolto sin dal primo giorno diUniversità e mi ha permesso di inserirmi velocemen-te in un fantastico gruppo di persone serie, con unprogetto valido e tanta voglia di darsi da fare e diver-tirsi insieme. Un amore a prima vista.Cosa è per te 360gradi?La definizione che do sempre è quella di un gruppo didilettanti che lavorano come professionisti. Tantiragazzi che con impegno e serietà imparano a lavora-re in gruppo e a confrontarsi. In realtà per me è sem-plicemente la mia vita universitaria.Come sarebbe la LUISS senza 360gradi?Meno informata, e questo vale sia per la base che peril vertice. 360gradi è la voce degli studenti presso lapalazzina ed un fondamentale canale di informazio-ne per gli studenti stessi. Le interviste a Professori,Presidi, Rettori e Direttori servono a questo, a farliparlare con noi senza una cattedra che ci separi.C’è qualcosa che non sei riuscito a fare ma cheavresti voluto?Il mio unico obiettivo è sempre stato quello di offrire

un buon servizio a tutti i quattromila (circa) lettori,informarli su ciò che accade in Università e su ognicosa che avrebbe potuto interessarli, in modo impar-ziale e senza fare favori a nessuno. Detto questo sta ailettori valutare se sono riuscito oppure no.Come è stato lavorare con l’altro?Difficilissimo, anche se per me è come un fratello.Abbiamo mentalità e metodo completamente oppo-sti, ma forse è per questo che siamo riusciti a soprav-vivere due anni.Tre aggettivi per descrivere positivamente l’al-tro.Disponibile . Geniale. Sincero Tre aggettivi per descrivere negativamentel’altro.Disorganizzato. Smemorato. Ingenuo Essere direttore del 360gradi ti ha favorito nelrapporto con le donne?Diciamo che mi ha aiutato, visto che in redazione hoconosciuto la mia ragazza.Essere direttore del 360gradi ti ha favorito inqualcosa all’interno della LUISS?Mi ha dato l’opportunità di conoscere tante personeche sono diventate molto importanti nella mia vita.Se invece intendi favoritismi negli esami assoluta-mente no! Anzi … Come immagini il futuro del 360gradi?Roseo. Almeno spero.Cosa pensi degli altri giornali presenti inLUISS?Domanda maliziosa. In questi due anni ho apprezza-to la serietà e la sana concorrenza del giornale cheinizia per L. Mentre l’anno scorso apprezzavo il“Frondista”, che poi purtroppo non ha ottenuto ifondi. Preferisco non andare oltre.Quanti soldi vi intascate con il giornale?

Se volete vi dico quantine spendo.Ma il 360gradi è didestra o di sinistra?Di destra.La dirigenza LUISS eil 360gradi: rappor-to di subalternità odi scontro?Né subalternità né scontro. Semplicemente un rap-porto di collaborazioneal quale nessuno si è mai negato. Lo dimostra il fattoche la Direzione ha sempre apprezzato e valorizzato ilnostro lavoro e che noi non abbiamo mai negato lenostre pagine ad eventuali comunicazioni di servizio.Che rapporti avete con la rappresentanza stu-dentesca (uscente)?Generalmente ottimo. Anche qui vale il discorso fattosopra. Non ci siamo mai negati alle comunicazioniufficiali dei rappresentanti così come loro hannosempre risposto positivamente alle nostre interviste.Come ti senti all’idea di lasciare? Malissimo, mi mancherà molto. Anche se forse spora-dicamente ci sarà ancora spazio per la mia penna.Perché lasci?Mi duole dirlo ma a ventidue anni sono consideratovecchio. In realtà è giusto valorizzare il lavoro di chi inquesti anni si è dato da fare, nella speranza che possaportare il progetto verso altri traguardi.Dai un voto alla tua direzione.Questo lo lascio fare agli altri. Dal canto mio credo diaver fatto tutto il possibile.Saluta l’altro.Mi mancheranno i litigi sull’editoriale. Ciao!!

I N T ERV I S TA DOPP I AI DU E D I R E T TOR I D E L 360GRAD I F A C E T O F A C E

Presentati inquattro righe.Nato aCerignola (FG)il 3 giugno1985, fisicoatletico, alto,moro, con gliocchi verdi.

Ringrazio il pubblico, ringrazio Maria per avermi con-cesso l’opportunità del Trono, spero vi siano piaciutele mie esterne. Due sono le mie passioni: la secondaè il giornalismo.Perché hai scelto la LUISS?Perché la guida di Repubblica diceva che la migliorefacoltà di Scienze Politiche era quella della LUISSGuido Carli. Ed io per me volevo il meglio. Perché hai scelto 360gradi?Volevo scrivere, volevo vivere l’università a fondo.Cercavano matricole e quindi mi sono avvicinato al360gradi e ho scoperto un gruppo fantastico, affiata-to, preparato. Avevano una visione, un’idea a lungotermine che prescinde dagli uomini che assumono gliincarichi di responsabilità all’interno del giornale. Perquesto il 360gradi resiste al tempo.Cosa è per te 360gradi?Un tassello fondamentale della mia vita che mi hapermesso di crescere, come uomo e come figura pro-fessionale. Una palestra, dove si impara a scrivere, alavorare in gruppo, a fare scelte. Un’esperienza tota-le.Come sarebbe la LUISS senza 360gradi?Il nostro ateneo perderebbe uno dei suoi più grandipoli di eccellenza. Ottanta giornalisti più ventiresponsabili di rubrica. Sarebbe come l’Italia senza laFiat.C’è qualcosa che non sei riuscito a fare ma cheavresti voluto?Soffocare Tebaldini nel sonno.

Come è stato lavorare con l’altro?Piacevolissimo. Due personalità completamenteopposte che hanno trovato una perfetta sintesi hege-liana tra tesi (Matteo) e antitesi (io). Lui razionale,metodico, preciso, moderato, pulito anche nella scrit-tura. Io irrazionale, estremo, lunatico, dallo stile esa-gerato, forte. Ha compensato tutte le mie mancanzee forse io ho compensato le sue. E poi… un grandeamico, un fratello.Tre aggettivi per descrivere positivamente l’al-tro.Intelligentissimo, carismatico, ottimista.Tre aggettivi per descrivere negativamentel’altro.Burbero, prepotente, superbo.Essere direttore del 360gradi ti ha favorito nelrapporto con le donne?Si. A mia madre piace tantissimo il 360gradi.Essere direttore del 360gradi ti ha favorito inqualcosa all’interno della LUISS?No, anche perché le relazioni con la dirigenza le hacurate Matteo, indubbiamente più idoneo di me agestire relazioni sensibili. C’è stata quasi una divisio-ne automatica del lavoro tra me e “l’altro” sulla basedelle caratteristiche personali. Lui più manager, piùrelazioni esterne, io più giornalista, più linea edito-riale e attenzione ai contenuti.Difficilmente, quindi, prof e dirigenti associavano ilmio nome alla persona. Meglio così.Come immagini il futuro del 360gradi?Migliore del presente. L’idea continua a vivere, adevolversi, ha una sua strada, indipendentemente daidirettori.Cosa pensi degli altri giornali presenti inLUISS?Penso che il “principale esponente della coalizioneavversaria…”. No scherzo. Da quando Liberamente èdiventato LiberaLuiss, eliminando quel simbolo diappartenenza politica, i rapporti sono notevolmentemigliorati. Quello che contestavamo loro era il richie-

dere fondi universitari (e quindi di tutti) per un gior-nale di alcuni. Superata questa “empasse” ben vengaLiberaLuiss e mille altri giornali liberi o di parte (masenza fondi pubblici). Benché concorrenti condividiamo la stessa passionee io sento molto l’appartenenza alla “professione”.Più che altro mi interrogo sugli altri giornali chehanno ricevuto gli stessi nostri fondi e di LiberaLuiss,e non hanno mai visto la luce. Quanti soldi vi intascate con il giornale?‘Na cifra. Me pago la retta.Ma il 360gradi è di destra o di sinistra?È chiaramente un organo di propaganda bolscevicache ha come obiettivo la rivoluzione armata deglistudenti LUISS e l’instaurazione di una dittatura pro-letaria a Confindustria.La dirigenza LUISS e il 360gradi: rapporto disubalternità o di scontro?Non sopporto il giornalismo schiavo dei poteri, sotto-messo, lecchino. Mai. E non mi appartengono “le cro-ciate” a mezzo stampa sempre e comunque, che nonpermettono una reale collaborazione e la crescita diuna comunità, qualunque essa sia. È stata una miaprecisa linea editoriale e vorrei fosse mantenuta.Che rapporti avete con la rappresentanza stu-dentesca (uscente)?Ottimi, nel rispetto dei ruoli.Come ti senti all’idea di lasciare?Come alla fine di una storia d’amore importante. Perché lasci?Che Guevara, in seguito alla rivoluzione cubana, funominato da Fidel Castro Ministro dell’Industria.Dopo poco tempo lasciò per andare a lottare inBolivia.Dai un voto alla tua direzione.Copio e incollo, Matteo è un grande della diplomazia:“Questo lo lascio fare agli altri. Dal canto mio credo diaver fatto tutto il possibile”.Saluta l’altro.Contestala TEBA!

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E L E Z I O N I LU I S S : F R AT E L L I C O LT E L L IÈ una storia unica quella che vi racconto. Una storia che potrebbeessere tranquillamente la sceneggiatura di un film. Una storia digiovani uomini, alimentati da ambizioni e voglia di potere, maanche voglia di far bene. Una storia unica, fatta di storie individuali che si intrecciano, difortissime passioni, di fortissimi scontri e di fuochi incrociati.La location è il nostro Ateneo, la sede di viale Romania e quella divia Parenzo. Ma come in ogni film che si rispetti c’è sempre unapiazza ed un paio di bar: da Ginky o al Numbs, la scena è piazzaIstria.I protagonisti sono i gruppi, che tra loro si conoscono da tempo, sistudiano, si alleano, si rompono, si voglion bene, si odiano.Una storia di fratelli e di coltelli. Tutti con un unico obiettivo: vincere le elezioni universitarie. Nottate fino all’alba, cicche di sigarette, Gran Balli e segreti.Una spietata e romantica follia che si ripete ogni due anni. Ma, credetemi, questaè la mia terza consultazione elettorale, e mai come quest’anno lo scontro è cosìsentito.Il dato è la consegna delle liste: alle ore 12 del 9 Maggio tutti a Viale Pola, deadline per la presentazione delle candidature. Nonostante si potesse consegnaremolto prima, hanno aspettato tutti l’ultimo minuto, l’ultimo istante: la paura distravolgimenti in fase di recupero, di tradimenti in zona Cesarini, impone all’ulti-mo secondo la presentazione delle liste. Molti avevano ancora il viso tirato e l’abi-to scuro della sera prima, quella del Gran Ballo, un chiaro segno di come a casanon ci si è proprio tornati.Dinanzi ad un dottor Lubicz, che ringraziamo perché lavora anche di sabato mat-tina, si è delineato il quadro dei competitor.Tre le liste che competono per la carica di Consigliere d’Amministrazione: la lista“UNICA” con candidati Massimo Pepe (Giurisprudenza), Beppe Clemente(Giurisprudenza) e Tommaso Bebi (Economia) contrapposta alla lista “I LOVE SP”che esprime, come unico candidato per il CdA, Marco Antognozzi (ScienzePolitiche), e alla lista “IDEA NUOVA” che esprime come candidato di punta AlfredoCuzzupoli (Economia). Come spiegato nell’editoriale di apertura di questo nume-

ro, è fondamentale vincere di lista, perché nella lista vincente ilpiù votato sarà eletto Consigliere d’Amministrazione.Nel quadro delineato, favorita alla vittoria è la lista UNICA, che hapraticamente chiuso Giurisprudenza con due candidati che peròcompetono tra loro, più appunto Bebi su Economia, cui si apronoimportanti spazi. Quella della lista UNICA è stata un’operazioneintelligente che praticamente ha reso impossibile la presentazio-ne di una altra lista interfacoltà, costringendo gli altri due nomiforti che giravano, Andrea Colasanti (Economia) e AndreaChiriatti (Scienze Politiche) ad elaborare strategie diverse. SeColasanti, con onore, ha deciso di ritirare la propria candidaturadal totonomine, diverso è il discorso su Chiriatti.Chiriatti, detto Bomber, rappresentante uscente allo Sport,

espressione di una facoltà compatta e di un gruppo che da anni ormai lavorainsieme, era sin dall’inizio delle consultazioni pre-elettorali uno dei nomi più fortie più temuti. Questo ha generato una comprensibile difficoltà degli altri candida-ti a “chiudere in lista” con Scienze Politiche, che quindi ha cambiato strategiafacendo leva sull’orgoglio di facoltà e candidando Marco Antognozzi, rappresen-tante uscente triennale di scienze politiche, simbolo dell’unità, alla carica di CdAnella lista I LOVE SP.Un’altra delle differenze rilevanti di questa tornata elettorale è sicuramente laforte ingerenza dei partiti in una competizione che, invece, era di solito apartiticao dove le influenze erano molto limitate. Non è stato semplice arrivare al quadro fin qui delineato. Nelle ultime due setti-mane sono stati numerosissimi i continui e improvvisi cambi di scenario, tra este-nuanti trattative, coltellate alle spalle e passaggi dell’ultima ora.In questo acceso clima inizia la campagna elettorale che ci porterà al voto il 19 e20 Maggio.E chissà se l’apertura delle urne ci riserverà ancora qualche sorpresa, in questaspietata e romantica follia che si ripete ogni due anni.

Daniele [email protected]

Tutti ne parlano, e io non posso che andare in brododi giuggiole nel sentirne parlare: quest’anno la Luissorganizzerà un ballo di fine anno; nello specificoorganizzerà il “Gran Ballo di Fine Anno 2009” dovequel “2009” sta per l’anno in corso, e lascia quindipresagire che questo non sia che il primo di unalunga serie di tersicorei appuntamenti, che si ripro-porranno gioiosamente al ritmo di uno all’anno. Ora, già solo al sentire la parola “ballo”, la mente misi affolla di un tourbillon di rutilanti immagini adolescenzial-brufolose, figlie di anni passati neimultisala di quartiere a ingozzarsi gli occhi con icapisaldi del cinema liceale americano o del “teen-horror”. Questi gioiellini statunitensi(solo per citarne unpaio: “American pie”, “Loser”, ma anche “ScaryMovie”), che hanno svezzato più di una generazio-ne, ci raccontavano un mondo fatto di aule monu-mentali, mense scolastiche sfolgoranti e sferisterierbosi, e popolato da rugbisti stolidi, biondine sca-vezzacollo ed eroi furbi ma immancabilmente min-gherlini. Verso la fine dell’anno, e, in genere, versola fine del film, tutto quel mondo si preparava a quelgrande avvenimento che era il Prom, vale a dire la“promenade” , la “passeggiata danzante” di fineanno, ragionevolmente tradotta come “ballo di fineanno”. Ecco, il Prom, per gli studenti americani come per gliappassionati spettatori e lettori, non era una sem-plice serata ballereccia: era un luogo dell’anima. Nel chiuso di una palestra addobbata con ghirlandee lustrini, la solita boyband stonata come orchestra

ed un esagitato in smoking pastello a fare da grancerimoniere, ogni anno si compiva il miracolo deltiraggio delle somme: le coppie si scoppiavano o siconsolidavano, i bulli bellimbusti subivano il lorogiusto castigo, le Barbie spocchiose erano finalmen-te scornacchiate, e la bruttina, una volta spogliatasidegli occhiali da secchiona e della stucchevoleacconciatura crocchiettosa , si rivelava per la svento-la che era e veniva glorificata come reginetta delliceo. In sottofondo, assoli di sax e canzonette melanconi-che. Già: la melanconia era d’obbligo perché , per lamaggior parte dei partecipanti, il Prom rappresen-tava l’addio al liceo e al relativamente facile mondodegli adolescenti prima di approdare nella spregiu-dicata arena degli adulti . Ma significava anche qualcosa di più.Rappresentava il trionfo del sogno americano, dovei buoni e i puri riuscivano finalmente ad ottenere laloro razione di felicità, ed era insieme il rovescia-mento del recente “American way of life” fondatosull’apparenza, sul culto del corpo e sulla segretaapprovazione della spregiudicatezza yuppie. Se poi questa piccola rivoluzione si verificasse vera-mente ogni volta che il preside di un liceo america-no dava il via alle danze, o fosse solo la solita favo-letta pop-corn, non è dato saperlo. Quel che ci è dato sapere è che, la sera dell’8 mag-gio, durante il “Gran Ballo 2009”, lo spirito delle highschool soffierà per i corridoi della Luiss.Se non avete ancora comprato l’invito, correte al più

vicino stand , e affrettatevi ad accaparrarne uno: laserata, lungi dalla malinconia cinematografica, sipreannuncia essere semplicemente divertente. Nel suggestivo scenario di quella che è ormai uni-versalmente nota come “Aula-chiesa”, i luissini sidaranno alle danze, magari attingendo sangria echampagne delle acquasantiere. Molti anche glisponsor illustri, e presumibilmente piacevole l’inter-vento del misterioso “personaggio dello spettacolo”(già si comincia a fare il nome di un noto presenta-tore, ma è meglio non essere indiscreti). Data e luogo ve li abbiamo dati.Fatevi trovare preparati, come tanti marines obbe-dienti.E’ gradito l’abito scuro.

Gian Maria Volpicelli

Fenomenologia del Gran Ballo

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Drieu, lo scrittore colto che l’odio per la borghesia trasformò in fascista idealista eautodistruttivo. Aragon, l’avanguardistaapprodato al comunismo e infine ritornato ad essere un uomo d’ispirazione liber-taria. Malraux, il rivoluzionario divenuto rappresentante e ministro del conserva-torismo, ma poi rimasto fino all’ultimo un avventuriero e un mitomane.Tre storie che s’intrecciano attraverso una serie di flashback e soprattutto attraver-so la guerra come filo conduttore. Tre personaggi che rappresentano la culturafrancese degli anni 30, il cosiddetto ‘Laboratorio culturale d’Europa’, in un’Europain cui i reduci di guerra sono i fantasmi della società che aspettano invano di esse-re accolti come eroi ma piuttosto finiscono per essere emarginati dalla società.Tre personaggi completamente diversi e completamente affascinanti sono i pro-tagonisti del libro ‘Fratelli separati’ presentato Il 2 Aprile presso il Saint Patrick ’sPub di via Calabria. L’autore, Maurizio Serra, diplomatico di carriera e attualmente direttoredell’Istituto Diplomatico de Ministero degliAffari Esteri, ha risposto alle nostredomande, fugando così le nostre curiosità. C’è qualcosa della sua esperienza di vita e di lavoro in questo libro?Certamente la mia carriera ha influito sulla decisione di scrivere questo libro,soprattutto attraverso la fortunata possibilità che mi ha offerto di poter viaggiare,trasferendomi da una sede all’altra, ma anche di poter ‘sentire’ direttamente certitemi, e quindi esserne coinvolto. Alcuni incontri in particolare sono stati illuminan-ti, come quello con Lily Brick in Russia. I libri scritti fino ad ora (sei in totale) hanno un legame tra loro?In realtà tutti i libri che ho scritto, di genere storico, fanno capo a due filoni d’inte-resse diversificati: quello storico-diplomatico e quello storico – dottrinale. Tutti imiei libri ‘raccontano’ la storia dell’Europa, una storia che deve essere analizzataperché oggi è diventata storia del mondo. D’altra parte, osservando l’odierna diffi-cile situazione politica, ritengo confortante rifugiarsi nei momenti storici del 900.Abbiamo poi presentato anche qualche domanda a Francesco Perfetti, professoreordinario di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche della Luiss.La scelta del luogo per la presentazione del libro (un pub in stile irlandese nei pres-

si di viale Regina Margherita) colpisce per la sua diversità rispetto alle location piùtradizionali. Perché allora una scelta così fuori dagli schemi?L’obiettivo in realtà era quello di presentare il libro in un luogo di ritrovo, anchegiovanile, per poter evitare quelle situazioni ufficiali così paludate e lontane dallarealtà, dalla cultura viva. Tra l’altro un luogo informale permette non solo un coin-volgimento maggiore per i visitatori, ma anche di non offuscare quel ‘rapportoumano ’ che dovrebbe legare l’autore al lettore. Quali sono a suo parere gli elementi necessari a rendere un libro storico degno dinota?Innanzitutto un buon libro storico deve essere ben scritto dal punto di vista lette-rario, ma non basta: è fondamentale che il libro agli occhi del lettore sia avvincen-te piuttosto che noioso. Fare storia significa incamminarsi sul sentiero dell’arte, edè perciò importante studiare i grandi storici di un tempo e allo stesso tempo visio-nare direttamente i documenti ufficiali, dai quali si può sempre apprendere unasignificativa lezione di storia.

Giulia Mammana

Un diplomatico racconta la stor ia

Tre affascinanti personaggi della Francia del‘900 per spiegare l’Europa di oggi

La Storia del Pensiero Democratico raccontata da Walter Veltroni affonda le sue radici nella corrente RiformistaItaliana, una corrente fatta di laici, cattolici e comunisti con molta voglia di governare ma senza la forza neces-saria per potersi affermare come maggioranza nel paese.Partiti Riformisti che mai sono riusciti ad applicare la filosofia del gradualismo riformistico, che risentivanodella mancanza di un leader carismatico e forte come Reagan nell’America degli anni 80 , capace di portare ilpaese ad un nuovo corso politico e sociale tramite una svolta radicale. La mancanza di bipolarismo che hacaratterizzato la maggior parte della storia repubblicana ha infatti creato delle istituzioni deboli, vittime di unsistema che creava riforme tra loro contraddittorie.La tradizione da cui l’Italia può e deve prendere spunto è quindi l’America, dove la storia del PartitoDemocratico dà grandi esempi di eccellenza.Il Partito Democratico Italiano nasce come una fusione di esigenze complesse e articolate, non come un evo-luzione del sistema partitico precedentemente esistente, avendo eliminato le gabbie idealistiche e concen-trandosi sulle proprie tradizioni e coalizioni.Un Passo nuovo quindi, esterno alla tradizione Italiana ed Europea, dove problemi come quello ambientalesono stati per troppo tempo ignorati, e dove il sostegno alle famiglie, ai giovani e ad i precari sono il primopunto di un agenda volta ad offrire la reale possibilità di essere liberi di scegliere il proprio futuro.

[email protected]

Incontro con i Protagonist i :WALTER VELTRON I

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Previously, on 360°:nel numero di novembre, chequalcuno di voi ricorderà per la copertina con loscoiattolo che cercava di risolvere il cubo di Rubik,avevamo denunciato una situazione alquanto incre-sciosa in cui si erano trovati coinvolti gli studenti fre-quentanti il corso “Economic and Business”. La que-stione era relativa ai libri di testo: la libreria dellanostra università, la Arion LUISS, che fornisce i testiagli studenti dell'intero Ateneo, ci ha creato qualcheproblema, dal momento che alcuni manuali ordinatida noi iscritti al corso tardavano ad arrivare (in alcunicasi non sono mai arrivati); è chiaro che non ci sareb-be stato bisogno di alcun ordine se solamente la libre-ria si fosse preoccupata di coprire l'intera richiesta nonappena avuto il numero esatto dei testi che servivano.I problemi erano però anche altri: difatti,nonostante inostri testi avessero un prezzo decisamente più altoperché in lingua inglese, non erano, e non lo sono tut-tora, soggetti allo sconto del 10% riservato a tutti glialtri. L'articolo si chiuse con l'auspicio che la situazio-ne non dovesse ripetersi nel semestre successivo,ossia quello attuale.Chiaramente siamo ora in gradodi aggiornarvi sulla vicenda: non è cambiato nulla. Cisiamo trovati nella stessa situazione per non dire peg-giore. La libreria si è comportata esattamentecome nel passato trimestre, non facendo trovare nes-

suna copia disponibile in loco: questo comportamen-to ha ovviamente danneggiato noi ragazzi, che pro-prio come in precedenza siamo stati privati di unagrossa fetta di tempo utile per studiare e per non arre-trarci con le lezioni. Quando ci siamo accorti che lepromesse fatteci da chi avrebbe dovuto risolvere ilproblema non sono state mantenute, abbiamo pen-sato di chiedere ancora una volta delucidazioni e, tra-mite una nostra compagna che ci rappresentasse, cisiamo rivolti al Direttore Generale Pier Luigi Celli.

Questi, molto gentilmente, ci ha accolto e ha presosubito provvedimenti, incaricando la sua segretariapersonale di trovare subito una soluzione chiamandodirettamente la libreria. Dopo appena due giorni siamo stati richiamati e pia-cevolmente colpiti dalla celerità delprovvedimento, abbiamo avuto le risposte che chie-devamo: noi studenti ci recheremo presso la ArionLUISS entro dieci giorni dall'inizio delle lezioni a pre-notare i libri di testo; questo lasso di tempo sarà utileper confrontarci con i docenti e definire i manuali dicui abbiamo effettivamente bisogno per il semestreappena iniziato. Questo compromesso gioverà tanto anoi quanto alla libreria: da un lato noi potremodisporre di tutto il materiale didattico necessario pergli studi in tempi brevi, dall'altro la libreria sarà certadi non avere inutili giacenze in magazzino.Gli appassionati della serie “Economics or business?”sapranno come va a finire la saga non appena si sapràdi più. Solo su 360°. Seguiteci e tifate!

Elena PonsFrancesco Sbocchi

Economics or Business?: Parte seconda

H e l p : p s i c o e m e r g e n z a c r i s i !Soffrite di depressione, irritabilità, insonnia, problemi di alimentazione? I sintomi sono sorti a seguito dell’incombere della crisi finanziaria? Chiamate il numero verde per le psicoemergenze 900430400!

Non temete, non soffritedi nulla di grave! Sieteaffetti dal disturbo notonegli Stati Uniti come“money disorder” coniatodall’Apa (AmericanPsycologist Association).Colpisce la popolazionesempre più oppressa dallapaura di perdere risorseeconomiche raggranellatenel corso di una vita. NegliUSA ne soffre una personasu sette. Secondo un son-daggio della ComPsychCorp, il 92% del campioneintervistato ha affermatodi non dormire la notte acausa della turbolenza

economica e della dominante incertezza per il futuro, che non è più “quel periodonel quale gli affari prosperano”. Per riuscire a dormire basterebbe seguire il consi-glio di Eschilo che esortava a conoscere il futuro quando sarà arrivato e di dimen-ticarlo prima di allora. Ma ciò appare piuttosto difficile da concretizzare.Ansie e apprensioni sono insite anche negli italiani, per tradizione popolo dirisparmiatori. E proprio nella perdita di fiducia del risparmiatore nei confronti deisoggetti finanziatori si intravede uno degli effetti boomerang che maggiormentepreoccupa. Non bisogna dimenticare l’importanza che hanno assunto nella socie-tà moderna gli aspetti psicologici. Gli individui risentono del “pressing” attuato daimedia in questo periodo circa l’andamento dei mercati finanziari.

Continui aggiornamenti, previsioni catastrofiche prospettate e risprospettate innome della trasparenza sui TG nazionali non fanno altro che ricadere sul compor-tamento dello spettatore, facilmente plagiabile, che, in vista di momenti peggio-ri, decide di non spendere ed al contempo di tenere i risparmi nella cassaforte dicasa al sicuro dal crack finanziario.Quello che potrebbe essere denaro investito, diventa denaro “stagnante”. Ma l’ipotesi di un’influenza dei fattori psicologici sulle scelte economiche è unaquestione annosa.Lo aveva compreso già John Maynard Keynes, che soleva affermare come “il reddi-to prodotto in un’economia e dunque l’occupazione dipende dalla psicologia degliuomini d’affari”. Questa crisi, in realtà, non ha origine sui mercati finanziari, oggi pervasi da “titolitossici”. Questo è solo l’ultimo degli “effetti ricchezza” esplosi in un contesto di glo-balizzazione e new economy come l’attuale, che ha origine in errori di sovrainve-stimento, soprattutto nel campo immobiliare statunitense dove l’imperativo eraun tetto a tutti e comunque. Lo scrittore inglese Edward De Bono affermava che "lapianificazione strategica va in crisi quando il futuro si rifiuta di assumere il ruoloassegnatoli dai pianificatori." Un vortice di speculazioni ha invaso la borsa mondia-le, in balia delle decisioni degli agenti economici. Bisogna solo sperare che questinon si “sveglino con la luna storta e preoccupati”!

Rosa Santelia

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Fin dal primomomento incui entria-mo nella

nostra università, percepiamo come la Luiss sia unmicrocosmo composto da persone e opportunità uni-che. Quest’aria familiare che si cerca di instillare intutti coloro che frequentano le tre facoltà è in questianni diventata sempre più facilmente respirabile:dalla costruzione del campus di viale Romania al mol-tiplicarsi di eventi interfacoltà, cresce sempre più ilsenso di comunità che lega gli studenti della Luiss. Questo sentimento, però, è bene che non finisca unavolta conseguita la laurea, e a tal proposito è nata,ormai 23 anni fa, l’Associazione Laureati Luiss con l’o-biettivo di realizzare una thinking community che raf-forzi le relazioni tra i laureati e i loro legami con l’uni-versità, promuovendo il ruolo e i valori dei laureatiLuiss sul mercato del lavoro e nella società.Ad essa, si è accostata la Rete Luiss, il programma pro-mosso dall’università per accrescere il “peso” delnostro ateneo nel panorama economico, finanziarioed imprenditoriale nazionale ed internazionale; insie-me hanno dato vita a un progetto comune che incon-tra il suo apice nelle reunion degli ex allievi.Il 24 aprile 2009 si terrà il secondo incontro dei laurea-ti in Giurisprudenza, dopo il successo riscosso lo scor-so anno dalla prima reunion dal titolo “La concorren-za come strumento di rinascita del Paese” che videpartecipe, oltre molti laureati della facoltà che oggiricoprono ruoli di prima importanza nel panorama

economico e giuridico, il presidente dell’AntitrustCatricalà.Abbiamo chiesto al nostro Preside di introdurci a que-sto secondo meeting, al quale parteciperanno anchegli studenti laureandi, per concretizzare lo spirito cheanima questo tipo di attività, quale appunto quello difavorire la transizione dal mondo universitario al mer-cato del lavoro.Il Prof. Pessi, ricordandoci come l’ALL sia un networkdi ex studenti che vuole essere il punto di riferimentoper tutti i neolaureati che per la prima volta affronta-no il problema del placement, sottolinea come l’asso-ciazione non si esaurisca nell’evento, seppur affasci-nante e costruttivo, della reunion. Essa, infatti, puntaalla creazione di una rete di rapporti in cui il neolau-reato possa sentire di aver fatto sempre parte, per ilsemplice, e orgoglioso, dato di essere stato studentedella Luiss: l’ALL vanta, infatti, una serie di sedi chesono in continuo aumento, dalla prima fondata aBruxelles, a quelle più recenti di Londra e dellaSicilia, con l’obiettivo di diventare una realtàinternazionale che vada dagli Usa alla Cina,come accade per i più prestigiosi atenei delmondo, come per esempio Harvard, in cui ilrapporto di lavoro comune tra ex studenti è unmust per la strada verso il successo.La cooptazione che deve unire gli ex studenti,sottolinea il Preside, deve essere adeguata-mente coltivata finché non si assurgerà a ungrado di spontaneità e, pertanto, devono esse-re numerose le attività proposte dai laureatiLuiss, dalle cene di lavoro ai seminari e works-

hop informativi, coinvolgendo anche coloro che pre-sto entreranno a far parte dell’associazione, i laurean-di appunto.Non si può, comunque, nascondere come sia propriola reunion l’evento principale di questa rete, che que-st’anno si occuperà di “Regolazione e Mercato” con ilcontributo di una lecture del presidente della Consob,Lamberto Cardia. Se già l’anno scorso era stato, in ter-mini profetici (si parlava di crisi quando ancora nonaveva raggiunto i suoi apici ndr), affrontato un temaeconomico, in quest’edizione si è deciso di puntareancora su questo connubio tra diritto e finanza, per-ché, come ricorda il nostro Preside, sono forti le esi-genze di regole nel mercato globale e solo un giuristapuò riuscire in questo ambizioso obiettivo. Anche i leader della Terra, infatti, sottolineano comela sregolatezza della concorrenza sia nociva e il biso-gno di leggi e interventi giuridici sia sempre piùingente: a ciò è chiamato il giurista, ma non nella sua

veste classica di studioso,quanto in quella di espertodella società che, con le giustecognizioni, possa realizzarenorme dotate di una realeeffettività, che solo l’esperien-za diretta e il confronto con ilresto del mondo e le altrediscipline possano consentire.

Bruno [email protected]

Regolazione e Mercato

L’addio di un innamoratoIntervista al nostro rappresentante Paolo Pedà

23 maggio 2007 venivi proclama-to rappresentante degli studentidella facoltà di giurisprudenza,non ti chiedo quanto sei cresciutodurante questa esperienza, pernon prestare il fianco a battute,ma almeno ti sei accorto che sonotrascorsi due anni? Cercherò di essere il meno banalepossibile… ho già avuto modo disottolineare, in altre occasioni, quan-to sia cresciuto. Ripeto, da oltre unanno, che difficilmente potrò rivivereun’esperienza tanto formativa. Nonho mai avuto modo, al contrario, di

rimarcare quanto talvolta questi due anni siano sembrati interminabili. La rappre-sentanza è una responsabilità seria. E in almeno un paio di circostanze, nell’affron-tare questioni piuttosto delicate, le giornate apparivano infinite. Forse sono statele più belle. Come pensi che sarà il tuo primo giorno da ex rappresentante?Temo sinceramente che sarà identico all’ultimo. Conoscendomi ci metterò un po’ ametabolizzare il cambiamento…. e non è detto che mi abitui all’idea…Secondo te cosa ti mancherà di più della rappresentanza? Non avere lenotizie della facoltà per primo o le persone che ti chiedano ogni giornose sai qualcosa di nuovo?Certamente poter accedere alle informazioni per primo è stata una

“fortuna”….tralasciando l’ironia (od autoironia) avrò molta nostalgia delle picco-le gratifiche derivanti da un problema risolto, da una piccola difficoltà superata,piuttosto che da un suggerimento azzeccato. Ma più di ogni altra sensazione mimancherà, riprendendo un concetto caro ad un amico, l’essere il punto di riferi-mento della comunità studentesca.Tornando indietro ti ricandideresti? C’è qualcosa che cambieresti di que-sti due anni? Potresti anche riscriverti in un’altra delle nostre facoltà eriprovarci!Tornando al maggio 2007 mi ricandiderei,certamente , e se fosse possibile (diffici-le) con maggior entusiasmo. Degli ultimi due anni non cambierei assolutamentenulla; non riesco ad immaginarli più positivi di quanto non lo siano stati, probabil-mente a causa del mio inguaribile ottimismo. Credo, tuttavia, che alla nostra età lavoglia di crescere imponga necessariamente di guardare sempre avanti, senza sof-fermarsi neanche per un attimo a compiacersi degli obiettivi raggiunti.Intraprendendo, magari,scommesse ancor più azzardate. Cosa vuoi dire alle persone a cui mancherai e a quelle che non vedonol’ora di liberarsi di te?A chi mancherò, mi piacerebbe dire che avrò, forse, più tempo libero da trascorre-re insieme. Con chi, invece, non mi ha mai “sopportato”, vorrei condividere uno deipiù importanti insegnamenti che ho tratto da questa esperienza: che in democra-zia, la contestazione è un bene prezioso che va assolutamente salvaguardato, pur-ché, però, sia tesa ad arricchire il dibattito.Ci prometti che ti troveremo comunque (anche se sarai di corsa) di fron-te al bar per un caffè?Sempre…

[email protected]

Seconda reunion dei laureati di Giurisprudenza

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Europa, la sfida dimenticata

L’evento è storico. I popoli dei ventisette Stati membridell’Unione Europea sono chiamati a rinnovarel’Europarlamento di Strasburgo. Storico, perché con lafutura entrata in vigore del Trattato di Lisbona le isti-tuzioni europee saranno più snelle e agili, realmentecapaci di affrontare in modo razionale e unitario lesfide economiche e politiche dei prossimi anni. Ilfuturo dell’Europa corre sul doppio binario della com-pattezza di fronte alla crisi economica, e del nuovoatteggiamento degli Stati Uniti nei confrontidell’Unione, considerata finalmente come un partnerstabile e irrinunciabile. Eppure, l’interesse verso leprossime elezioni e le tematiche europee sta calandoa livelli preoccupanti. Meno della metà degli italianisi dichiara interessato alle prossime Europee di giu-gno. L’atteggiamento degli elettori riflette la disaffe-zione e la scarsa considerazione dei politici italiani neiconfronti di questo appuntamento elettorale. IlParlamento europeo rappresenta in effetti l’unicoesempio in cui i nostri politici si dimostrano pocointeressati alla poltrona; nella legislatura appenaconclusa ben 37 eurodeputati italiani su 73 hannolasciato il seggio prima della fine del mandato, pertentare nuove avventure politiche in Patria, conbuona pace della credibilità del nostro Paese. Da noi,i temi dell’allargamento, delle strategie commercialiglobali o delle possibili soluzioni alla crisi sono statiletteralmente estirpati dal panorama informativo ita-liano, che appare come una landa desolata. Una tele-visione pubblica i cui vertici sono nominati diretta-

mente a casa del Presidente del Consiglio non puòche censurare ogni spazio di riflessione e approfondi-mento sulla situazione italiana, considerata da moltiosservatori europei come “anomala”. L’obiettivo diSilvio Berlusconi è quello di ancorare il voto europeoa logiche nazionali per misurare la forza dei nuovigrandi partiti italiani, PD e PDL. Lo scarso rispetto cheBerlusconi nutre nei confronti dell’Europa si manife-sta con la decisione di candidare se stesso e tutti iministri del suo Governo all’Europarlamento, pursapendo che l’incompatibilità tra queste caricheimpedisce il loro approdo a Strasburgo. La durezza con cui Dario Franceschini ha fatto opposi-zione è piaciuta a molti, che hanno apprezzato losforzo di non inseguire più Berlusconi nel suo modod’intendere la politica. Nonostante ciò, il PD si presen-ta a queste elezioni con un terzo di elettorato in menorispetto a un anno fa. Unito grazie alla pace armatatra i suoi dirigenti, il partito non ha ancora sciolto ilnodo della sua collocazione europea, poiché punta acreare un Eurogruppo d’ispirazione riformatrice chesuperi il PSE attuale ed aggirare la necessità di opera-re una scelta politica chiara. Le candidature di DavidSassoli del Tg1 o di Luigi de Magistris mirano a tenerealta l’attenzione dei cittadini e dei colleghi europei sutemi di fondamentale importanza per la vita demo-cratica di un Paese, quali la piena libertà d’informa-zione o la protezione della magistratura dagli attac-chi del potere politico. La recente riforma della legge elettorale per le

Europee, che prevede le liste bloccate e l’eliminazionedelle preferenze, difficilmente contribuirà a colmare ildeficit democratico delle istituzioni europee. Unascarsa affluenza alle urne potrebbe aggravare la cro-nica mancanza di legittimà democratica diun’Assemblea che diventerà presto il nuovo fulcrodecisionale dell’Unione.

Niccolò Segnalini [email protected]

La nuova destra che forse non nascerà: questo il titolodell’editoriale con cui lo scorso 22 marzo EugenioScalfari commentava la fine di AN e il suo ingresso nel“magma indistinto” del Popolo della Libertà. Il fondato-re de la Repubblica, analizzando l’idea di partito pro-mossa dal Presidente della Camera, tratteggiava un’im-peccabile analisi su come Gianfranco Fini intendessetraghettare i valori, le istanze, le fondamenta e il patri-monio di Alleanza Nazionale nella grande casa comunedel PDL, dove, secondo le parole di Scalfari, non saràmai un “secondo capo” bensì un “ospite”, almeno fino aquando la leadership del Cavaliere continuerà a brillareincontrastata. “Si tratta d'una proposta di larghe vedute,che non è soltanto politica ma anche istituzionale e cultu-rale. Fini dà molta importanza a fondazioni culturali che avranno il compito di pian-tare nuovi innesti e nuove radici nelle tradizioni della destra. Il presidente dellaCamera sovrintenderà a questo lavoro ed ha come riferimenti il conservatorismo delXIX secolo, quello che si oppose al trinomio "libertà, eguaglianza, fraternità" in nomedei principi della tradizione e della terra, cioè della nazione, senza tuttavia rinuncia-re al filone laico di derivazione illuministica. Perciò Burke ma non De Maistre”. Eccola piattaforma della nuova destra di governo. Ma essa, ci chiediamo, presenta deipunti di connessione con l’idea di politica che il berlusconismo ha, nei suoi quin-dici anni di vita, sviluppato ed alimentato? Ancora Scalfari: “E dunque: lo Stato dariscoprire come depositario di un disegno-paese e di un certo grado di eticità; laCostituzione come quadro di rapporti sociali e custodia di pluralismo; la separazionedei poteri; l'economia mista dove lo Stato non si limita a formulare le regole e a farlerispettare ma, al bisogno, interviene direttamente come operatore di ultima istan-za.” Citando sempre l’editoriale del 22 marzo, ben diverse le caratteristiche salien-ti che contraddistinguono gli aspetti più originali della fenomenologia berlusco-niana: la decostruzione del rapporto tra l'individuo e la collettività, la decostruzionedelle ideologie, l'esaltazione della felicità immediata nell'immediato presente, l'an-

tipolitica, il pragmatismo come solo fondamento delledecisioni individuali, il trasformismo come pratica quoti-diana, la corruttela pubblica come peccato veniale. Inaltre parole, il modello ideal-tipico cui il premier si ispi-ra è quello dell’uomo “di gomma”, laddove Mussoliniperseguiva la costruzione dell’uomo “di ferro”.Descrizione a dir poco affascinante. Proprio per questaragione, per l’innata incompatibilità tra due differentiidee di Destra (l’una – quella di Fini – perfettamenteinserita in uno sviluppo naturale e di chiara improntacostituzionale della politica moderata italiana, l’altra –quella del Presidente del Consiglio – pienamente scissada qualsiasi tradizione che possa definirsi davvero libe-rale, eppure nuova, post-moderna, vincente e, per que-

sto, anche assai convincente dal punto di vista elettorale) credo sia inaccettabileipotizzare l’attuale inquilino di Palazzo Chigi come futuro Capo dello Stato (su cuigià da qualche tempo si discute, secondo me a vuoto). Silvio Berlusconi è ontolo-gicamente inadeguato a ricoprire la carica di Presidente della Repubblica, inquanto non offre alcuna garanzia di equilibrio, di rappresentatività, di neutralità,di levatura morale, civile e intellettuale. Nel frattempo, dall’altra parte delle bar-ricate, prosegue la traversata nel deserto del PD. Oasi non se ne avvistano, per ora.Forse, solo qualche miraggio all’orizzonte. Tutti aspettiamo la prova delle Europeeper testare quanto la guida di Franceschini abbia ossigenato questo nuovo (o vec-chio?) partito che, con il suo apparire, ha rivoluzionato gli schemi, cambiato leprospettive, innovato i modelli. O, almeno, questo era nelle speranze dei suoi fon-datori, del popolo delle primarie, di chi ha creduto fermamente in quel progetto,compreso il sottoscritto. Un dato è innegabile: il mondo politico italiano prosegui-rà a modificarsi, come sta già accadendo da due anni a questa parte. Vi terremoinformati.

Antonio Bonanata

La gomma e i miraggi

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L’Aquila ferita

6 aprile, ore 3,32: una scossa di magnitudo 5,8 dellascala Richter scuote il territorio aquilano lacerandoloprofondamente. Per la verità era dal 16 gennaio chela terra di questo splendido lembo d’Abruzzo tremavacon frequenza quotidiana e la gente si era ormai abi-tuata agli scossoni e agli ondeggiamenti; almeno finoalla scossa del 30 marzo che, con un quarto grado dimagnitudo, aveva scatenato il panico in città provo-cando lesioni a molti palazzi e l’evacuazione di alcuniedifici pubblici. Il sindaco del capoluogo abruzzese,Massimo Cialente, aveva già da alcuni giorni richiestoun aiuto alle autorità competenti, tanto che il 29marzo si era riunita in città la Commissione NazionaleGrandi Rischi. Le conclusioni che ne sono scaturitenon avevano tranquillizzato il primo cittadino ilquale, fortemente convinto che verba volant e datoche una scossa violenta come quella dell’ultimo gior-no di marzo non si registrava dal 1967, si era deciso a

mandare un telegramma aPalazzo Chigi, che fece assurda-mente cadere la cosa nel vuoto.Addirittura il sindaco e la presi-dente della Provinciadell’Aquila, Stefania Pezzopane,furono accusati di psicosi dasisma e invitati a non diffonderepanico in città e a mantenere unatteggiamento sereno. Eppurele premesse per la catastrofe c’e-rano tutte e le scosse precedentisi sono rivelate un avvertimen-

to, un richiamo inascoltato all’attenzione, un tristepresagio. Dopo la scossa fatale la situazione ai “mira-colati” è apparsa da subito gravissima, nonostante ilbuio pesto dovuto all’ora e alla mancanza di energiaelettrica. Alle prime luci dell’alba la tragedia si è rive-lata in tutto il suo orrore: rovine e briciole di quelli chesolo qualche ora prima erano palazzi, chiese e musei.Ai primi volontari lo scenario è apparso apocalitticotanto che, al suo arrivo, il sottosegretario Bertolaso hadefinito il sisma “la peggiore tragedia del millennio”.La macchina dei soccorsi è stata messa in moto giàdue ore dopo l’evento, ma la mancanza di un pianod’emergenza e di una seria organizzazione non haconsentito di ottimizzare i soccorsi stessi. Il bilanciodelle vittime, pur altissimo, è stato limitato graziealla giornata festiva e non certo da misure preventive.In totale i centri danneggiati sono 103, i morti accer-tati 295. In seguito al sisma, a L’Aquila e dintorni si

assiste quotidianamente a girotondi e passerelle diuomini di potere che elargiscono sorrisi, lacrime estrette di mano che certamente fanno piacere a chi havisto dileguarsi in un attimo il frutto del lavoro di unavita, ma che innanzitutto portano benefici agli elargi-tori stessi. In simili momenti sarebbe d’obbligo starein silenzio per ascoltare la voce di chi fisicamente lavoce non ce l’ha più. Ora dal governo ci si aspetta chevengano messe a disposizione risorse. Tante e subito.Le megalomanie stile ponte sullo stretto possonoattendere. Niente L’Aquila2, L’Aquila-bis, NuovaL’Aquila o come la si vuole chiamare. La struttura anti-ca del territorio va mantenuta, garantendo il massi-mo della storicità. Ma per la ricostruzione ci vorràtempo. L’impellenza è rappresentata, invece, dallemigliaia di sfollati che vivono in tenda o negli alber-ghi della costa. Fra poco le tende cominceranno adiventare invivibili, senza contare che il settembreaquilano è paragonabile al gelido dicembre nostrano.Una rapida e precisa verifica dell’agibilità delle abita-zioni può ridurre notevolmente il numero di sfollati. Irestanti potrebbero, invece, trasferirsi in quartieriprovvisori con casette in legno, per sopperire ai disa-gi delle tendopoli. Ma l’idea, ipotizzata da StefaniaPezzopane, non è nei piani del governo. Certamentegli abruzzesi, “forti e gentili”, sapranno rimboccarsi lemaniche e far sì che L’Aquila, come un’araba fenice,risorga dalle sue ceneri, per continuare ad essere unfaro di storia e cultura per l’intera regione.

Tullio Cardarella

Che l’Italia sia la patria degli abusi edilizi è cosa ben nota, ma il problema emer-ge in modo pressante solo quando avvengono gravi catastrofi. Tra gli innumere-voli edifici, di dubbia regolarità, crollati in Abruzzo a causa del terremoto, i primiad essere indagati dalla magistratura sono quelli pubblici; in particolare l’ospeda-le San Salvatore, la Procura e la Casa dello Studente dell’Aquila. Quando si costrui-sce un edificio, prima di tutto si deve valutare il rischio sismico: l’Abruzzo è in partecategoria 1 (zona dell’Aquila), in parte categoria 2 (est), presenta cioè un rischioelevatissimo, perciò è ovvio che i nuovi palazzi devono essere antisismici e i vec-chi vanno rinforzati. Un edificio antisismico necessita di particolari accortezze alivello di proporzioni e di materiali. Per lo scheletro e per i muri di sostegno si usail cosiddetto cemento armato, costituito da barre di ferro annegate nel calcestruz-zo. Le barre di ferro sono sorrette e collegate da “staffe” (sempre di ferro) che crea-no un reticolo; il calcestruzzo è un impasto che deve essere realizzato con precisequantità (stabilite dalla legge) di cemento, acqua, ghiaia, pietrisco e sabbia finadi miniera. Già dalle prime ispezioni, l’architetto Antonio Perrotti rileva travi fuorinorma: troppo piccole e troppo distanti tra loro, che poggiano su un terrenomolle. Un tecnico dei Vigili del Fuoco dichiara a L’Espresso che la causa del cedi-mento della Casa dello Studente è stato il numero insufficiente di staffe cheavrebbero dovuto sorreggere i pilastri, cosicché l’edificio ha ceduto accartoccian-dosi su se stesso. Anche l’ospedale, benché non sia crollato, presenta delle irrego-larità: le spaccature sulle pareti mostrano travi arrugginite e l’assenza di staffe dicontenimento, che dovrebbero sostenere il calcestruzzo nel caso di forte tensioneesercitata, per esempio, da una scossa sismica di rilevante entità. Gli esperti ipo-tizzano che anche il calcestruzzo sia fuori norma: potrebbe essere stata usata piùsabbia del dovuto, oppure potrebbe essere stata impastata sabbia di mare inveceche sabbia da cava, con il risultato che il cemento, a lungo andare, sarebbe statocorroso dal sale. In attesa dei risultati delle analisi sui materiali, si indaga sui per-messi edilizi e riguardo l’ospedale (costato 200 miliardi di lire e 28 anni di lavori)emergono cose inquietanti: la struttura non risulta nelle mappe catastali, cioènon esiste a livello legale, e non ha mai avuto il certificato di agibilità perché non

possiede i requisitidi sicurezza, igienee salubrità neces-sari per essereaperto. Eppure èstato inauguratonove anni fa. Lacostruzione del SanSalvatore è iniziatanel 1972 ed è stataaffidata a varieimprese, progressi-vamente fallite,finché nel ‘91 l’ap-palto è stato dato all’Impregilo, colosso dell’edilizia. Non è questa la sede per pro-cessare aziende e distribuire responsabilità, mi limito a ricordare che l’Impregiloha avuto l’appalto, insieme alla Calcestruzzi s.p.a., dell’autostrada Palermo-Messina, che dopo qualche mese cadeva a pezzi; aveva anche vinto la gara per losmaltimento rifiuti in Campania (operazione di cui tutti conosciamo l’esito, infat-ti l’Impregilo è sotto processo insieme a Bassolino). Pare inoltre che si occuperàdel celeberrimo ponte sullo stretto. Sarà la magistratura a stabilire chi è respon-sabile, ma suscitano qualche sospetto i precedenti di questa impresa che continuaa vincere appalti: se è vero che il lupo perde il pelo ma non il vizio…

Giulia Ciuffreda

Colpa della natura o degli abusi edilizi?

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Michele Santoro è un buon giornali-sta. Quand’anche non inattaccabiledal punto di vista deontologico, nonpossiamo non riconoscergli un vero eproprio ruolo nel marasma mediati-co dei nostri giorni. Del tipo: “comefaremmo senza Santoro?”E lui lo sa.Croce e delizia.Come biasimarlo? Stiamo parlandodi un giornalista che si è eretto, pro-gramma dopo programma, a “voce(grossa) fuori dal coro” guadagnan-dosi lo status mediatico di uomo dispettacolo, capace di fare audiencecon programmi di attualità, vera epropria coscienza politica, secondoalcuni, di una società e di un paeseche avrebbe perso il lume dellaragione democratica, abbagliato (odottenebrato, come preferite) da voi-sapete-chi.Michele Santoro è un provocatoresistematico, la cui sfrontatezza èormai diventata marchio di fabbrica,biglietto da visita, ragione sociale,spilla sul petto del grillo parlante(quello di Collodi, non quello nato aGenova). Una sfrontatezza che,necessaria e salutare quando costi-tuisce (ammettiamolo) una dellepoche manifestazioni di riflessione edissenso sulle cose che succedononel nostro imperfetto paese, perdedi autorevolezza e diventa soffocan-te ottusità, se non proprio cattivogusto, quando il giornalismo cede ilpasso al sensazionalismo esaspera-to.Veniamo così al caso Vauro, ovvero:come imparai a non preoccuparmi,tanto in RAI sono (legittimamente,per sentenza) quasi intoccabile. Allafine della puntata di giovedì 9 aprile2009, dedicata al terremoto inAbruzzo, il consueto spazio dedicatoa Vauro, vignettista di Annozero,diventa un momento satirico pocomordace e senz’altro macabro. Le“vignette dello scandalo” sono due:quella ormai famosa che recita“Aumento delle cubature: dei cimi-teri” e quella, meno pubblicizzata,che dice: “…e ora? La New Town!” eche mostra un Berlusconi con annes-

sa lira che,m o d e r n oApollo, svioli-na sorridentee porta il solesopra le mace-rie de L’Aquila.Risultato? Ilgiorno doponon si parlad’altro e i ver-tici RAI avvia-no un’inchie-sta interna checulmina, permano del

direttore generale Masi, in un prov-vedimento di “sospensione” per unapuntata nei confronti di VauroSenesi, e in una richiesta formale peruna puntata “riparatrice” che forni-sca i “necessari e doverosi riequilibriinformativi”.(contro)Risultato? La puntata “ripa-ratrice” di giovedì 16 aprile si aprecon un incipit dai toni memorabili,con frecciate a tutto l’establishmentmediatico filo-berlusconiano(“siamo un TG4 fatto bene e grazie anoi Berlusconi vincerà ancora, quin-di lasciateci lavorare”), ma soprat-tutto una stilettata (alla fine senz’al-tro vincente) al dg Masi, nei terminidi “Vauro e Annozero sono insepara-bili, la prossima settimana sarà dinuovo con noi”.E poi, Travaglio che tira in balloMussolini, e, in mezzo, FrancescaFornario che mostra le vignette diVauro sulla “Via Crucis del Precario2009”, facendo sì che l’unica diffe-renza rispetto alle altre puntate èsolo che non c’è Vauro con la suacamicia color kaki mezza aperta mauna graziosa signorina con i capellibiondi e corti à la Jean Seberg chelegge le sue vignette imitando perfi-no il suo accento toscano. E, dulcis infundo, Sabina Guzzanti.Insomma, Santoro a tutta forza, ecosì sia. Un giornalista deve innanzitutto far pensare, e comunque nonvogliamo nessuna censura. Ma inquanto al come, prendo in prestitoalcune parole che Indro Montanelli,per molto meno, scrisse di sé stesso:“più che a convincere il lettore, miroa colpirlo, con mezzi talvolta pocoleciti; e nel far questo, sono più spa-valdo che coraggioso”.

Eugenio [email protected]

Annozero: nonostante tutto, nonostante tutti

Una donna è in macchi-na infreddolita, è visibil-mente provata dallapaura, cerca di riposareanche se possiamo sola-mente immaginare lafatica a chiudere occhiodopo un terremotodevastante e distruttivocome quello verificatosiin Abruzzo. Le si avvicinaun giornalista: “Lei comemai dorme in macchi-na?”. Le dice propriocosì. Una donna (chia-marla giornalista misembra eccessivo, figuriamocifuturo direttore) è in uno studiotelevisivo, conduce un tg e senzacambiare il tono di voce, senzamostrare un briciolo di umanità,dopo aver parlato di morti, casee famiglie distrutte vanta fred-damente un picco di ascolti perla propria rete raggiunto proprionelle trasmissioni che si eranooccupate della tragedia. Dati epercentuali che per un minuto emezzo sono stati i simboli di unacatastrofe ridotta a terribile pre-testo per uno squallido auto-compiacimento. Due casi, purtroppo non isolati,che raffigurano fedelmente ilmodo in cui la gran parte deimedia italiani ha trattato la tra-gedia del terremoto in Abruzzo.Giornalisti e inviati incompeten-ti che hanno speculato sullavicenda cavalcando l'onda dellospettacolo sulla disperazionedella povera gente che avevaperso tutto, o addirittura, intral-ciando l'operato dei mezzi disoccorso come accaduto in altricasi eclatanti. Tutto ciò suggeri-sce e obbliga ad una riflessionesul ruolo a volte scomodo e deli-cato di chi, quella tragedia, DEVEin qualche modo raccontarla.Delicatezza appunto. Rispetto,d'obbligo. Rispetto per senti-menti, momenti, attimi di pas-sione che vanno aldilà di quelloche nell'ambiente catodico è ilcomando supremo che regolatutto: lo share. Guardando glispeciali in tv e seguendo i tele-giornali ci si è accorti di cometante, troppe volte, il dolore deiterremotati è stato spiattellatosugli schermi alla spietata ricer-ca della storia più triste o delracconto più eroico. Volontari esoccorritori che dopo ore e ore dilavoro stremante venivano arro-gantemente apostrofati da“grandi” professionisti del gior-

nalismo comodamente sedutinelle loro poltrone a VialeMazzini. Maratone di dirette conservizi inutili e ripetitivi, utilisolo a far da carne al fuoco perscontri fuori luogo tra politici,appositamente travestiti in stu-dio da sciacalli. Non è ovviamen-te la prima volta. Il caso EluanaEnglaro era già stato un buonsegnale di come il giornalismoserio in Italia resta ogni giorno“prossimamente su questischermi”. Fortunatamente nonsono mancate le eccezioni aquesto triste andazzo. La piatta-forma satellitare nel caos gene-rale ancora una volta ha dimo-strato di avere una marcia in piùrispetto alle concorrenti,destreggiandosi bene e riuscen-do a contrastare efficacementela disinformazione. Qualcosa inpiù ovviamente ci si aspettadalla televisione di stato, mapochi ormai ci credono e sempremeno sono (aldilà dei dati inloro possesso) quelli che laseguono. Eccezioni qua e làquindi che non hanno modifica-to la sensazione e il giudizionegativo che gli italiani hannoespresso sui media in merito acome è stato trattato il terremo-to. Centinaia di segnalazioni egruppi su Facebook, mobilita-zione del popolo di Youtube, eproliferare di post sui blog priva-ti e d'informazione che riempio-no la rete e che hanno chiara-mente raffigurato il malconten-to degli spettatori italianicostringendo il giornalismo e latv a fare una seria riflessione,ancora in corso sulle pagine deipiù autorevoli quotidiani.Wittgenstein diceva “su ciò di cuinon si può parlare si deve tace-re”. Forse è meglio partire da qui.

Pierdamiano Tomagra

T h e s h ow m u s t g o. . .to L'Aq u i l a !

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La <<più difficile decisione della mia vita politica>>.Queste le parole di Bill Richardson, governatore delNew Mexico, dopo la firma della legge che abroga lapena di morte.Il 19 marzo scorso il governatore democratico ha pro-mulgato la legge che sostituisce le sentenze capitalicon l’ergastolo, senza possibilità di libertà condizionale,dopo che il progetto era già stato approvato dal Senatoe prima ancora dalla Camera bassa.Tra coloro che hanno fatto pressione su Richardsonaffinché la pena di morte fosse bandita anche dal NewMexico, significativo è stato l’impegno della Conferenzadei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti.Dal 1960 nel New Mexico vi è stata una sola esecuzio-ne, quella di Terry Clark, nel 2001, accusato di aver ucci-so un bambino. Attualmente vi sono altri due detenutinel “braccio della morte”, la cui sorte non sarà toccatadalla nuova legge.Nonostante proposte abolizioniste siano in discussioneanche in Nebraska, New Hampshire, Colorado eMontana, il New Mexico è solo il secondo stato ad averabbandonato la pena di morte dal 1976 - anno in cui fureintrodotta dalla Corte Suprema dopo una sospensio-ne durata quasi quattro anni per ipotesi di incostituzio-nalità - preceduto nel 2007 dal New Jersey.Al contrario di altri Paesi che fanno ricorso alla penacapitale, negli Stati Uniti d’America questa è applicatacon trasparenza. È’ dunque possibile ricostruire un qua-dro della situazione statunitense, basandosi su precisidati relativi alle varie esecuzioni. Negli Usa la penacapitale è prevista in 35 Stati e, in ogni caso, per reati

federali e militari; 18 sono gli Stati in cui, de facto o perlegge, non è praticata. Nel 2008 sono state eseguite 37condanne a morte, di cui 18 in Texas. Quest’anno le ese-cuzioni sono state già 20 in totale, 12 nel solo Texas.Secondo le informazioni fornite da AmnestyInternational i metodi di esecuzione previsti sono sediaelettrica, camera a gas, fucilazione, impiccagione e,soprattutto, iniezione letale. Quest’ultima sembraessere la procedura “standard”, indicata come ufficialeda George W. Bush. Consiste nell’iniezione per viaendovenosa di tre veleni, il primo per sedare, il secondoper paralizzare il diaframma e far cessare l’attività pol-monare, il terzo per bloccare il battito cardiaco. Il con-dannato è dichiarato morto dopo sette minuti, anchese vi sono stati casi di agonie durate oltre dieci minuti.C’è chi, tra gli oppositori alla pena di morte, ritiene chesi possa essere coscienti mentre il secondo veleno pro-voca il soffocamento. Secondo gli esperti e la stessaCorte Suprema, pronunciatasi in proposito il 18 aprile2008, l’iniezione letale non è una misura crudele.Proprio la Corte Suprema, competente nella giurisdi-zione costituzionale e federale, è spesso chiamata astatuire su questioni relative alla pena di morte. Graziealle decisioni dei giudici del massimo tribunale statuni-tense, negli ultimi anni alcuni successi sono stati otte-nuti da coloro che si battono per l’abolizione della penadi morte.Nel giugno del 2002 la Corte Suprema ha dichiaratoincostituzionale l’applicazione della pena capitale perle persone affette da ritardo mentale. Secondo i giudiciil consenso nazionale sul divieto di tale pratica si era

evoluto al puntoda permetternela messa albando. Già nel1986 era statostabilito il divie-to di mettere amorte personeaffette da malattia mentale, in caso di permanenzadell’incoscienza dell’imminente esecuzione e delleragioni della sentenza, nonostante le dovute terapie.Attenta al consenso nazionale e pressata dagli appelliprovenienti dalle organizzazioni per la difesa dei dirittiumani, la Corte ha dichiarato incostituzionale, nelmarzo del 2005, l’applicazione della pena di morte peri minorenni al momento del reato.Sono, questi, dei passi non certo da gigante, ma pursempre dei passi in avanti. Significativo, comunque, è ilfatto che anche chi riteneva la pena di morte non ingiu-sta si stia ricredendo sulla sua utilità ed efficacia.Lo stesso governatore del New Mexico Richardson, chein precedenza si era dichiarato favorevole alla sentenzacapitale, ha confessato: <<dinanzi al fatto che il nostrosistema, imponendo la pena di morte, non potrà maiessere perfetto, la mia coscienza mi costringe a rim-piazzare la pena capitale con una soluzione (l’ergastolo,ndr) che garantisce la sicurezza della società>>.

Nicola Del Medico [email protected]

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DEATH ROW HOTELS

Rovistando tra vecchi articoli ne trovoper caso uno risalente al 17 aprile di unanno fa. Il titolo suona più o menocosì: USA, LA CORTE SUPREMA-“L’INIE-ZIONE LETALE E’ LEGALE”. Nulla da sorprendersi,direste voi; che

gli Stati Uniti siano una delle nove democrazie rimanenti a non aver abolito la penadi morte,è un fatto,peraltro, noto. La questione si solleva dal momento che la pronun-cia si contestualizza qualche mese dopo l’eclatante successo italiano all’Assembleagenerale dell’ONU durante la quale, come ricorderete, con ben 104 voti a favore, leNazioni Unite hanno detto sì alla proposta di moratoria sulla pena di morte. Una bat-taglia, questa, condotta per tredici lunghi anni e che ha visto in prima fila l’organiz-zazione internazionale “Nessuno tocchi Caino”, assieme ai radicali. Il fantasma dellasospensione si aggirava nei corridoi del Palazzo di Vetro da troppo tempo a causa degliinsuperabili veti degli stessi USA e della Cina. Entrambi Paesi che si macchiano di unapena evidentemente contraddittoria per coloro che si professano guide morali (comegli Stati Uniti) o economiche (come la Cina) nel mondo globalizzato. Perché troppospesso si inneggia alla Democrazia, allo Stato di Diritto, alle libertà civili e diritti poli-tici, tutti nobili valori da esportare nei territori “incivili”, ma ci si dimentica che in Staticome quello di Washington uno dei metodi con i quali infliggere la pena di morte èl’impiccagione. Se si chiama civiltà questa… ! Per passare in Oriente, i rapporti diAmnesty International rinnovano l’allarme Cina. Infatti,nonostante la già citatarisoluzione ONU del famoso dicembre 2007, il gigante rosso si distingue nella gradua-toria per detenere ancora il primo posto delle esecuzioni capitali seppur con un sensi-bile miglioramento. Miglioramento ancor più irrilevante se pensiamo che compaionole cosiddette esecuzioni on the road su autobus appositamente attrezzati dove, anchenelle province più remote si uccide con l’iniezione, preferita al colpo di pistola allanuca, metodo sgradito ai militari. Dei circa 50 Paesi mantenitori della pena di morte,38 sono dittatoriali, tra cui figurano, oltre la Cina, anche l’Arabia Saudita e l’Iran.Quest’ultimo, in particolare, si distingue per aver giustiziato nel 2008 persino minoriche al momento del reato non avevano ancora raggiunto la maggiore età. Ma il datoche più ci spaventa è che, nella maggior parte dei casi, questi regimi illiberali non for-niscono statistiche ufficiali sull’applicazione della pena di morte, per cui il numerodelle esecuzioni potrebbe essere addirittura più alto. Se in alcuni Stati come la Cina, ilVietnam, l’Iran, le notizie delle uccisioni vengono filtrate dalle autorità, dal momento

che la questione è considerata un segreto di Stato, in Corea del Nord nemmeno i gior-nali locali sono autorizzati a pubblicare alcunché a riguardo. Ancora, casi di esecuzio-ni top-secret li abbiamo in casa nostra: la Bielorussia infatti è rimasto il solo Paeseeuropeo ad utilizzare la pena capitale. Un quadro così drammatico darebbe ragione atutti gli scettici che hanno sempre tentato di sminuire il valore e la portata della mora-toria, perché “tanto non serve a nulla”, non ha alcun valore giuridico o vincolante pergli Stati. Che le Nazioni Unite non possano, per il loro stesso statuto, imporre a nessunPaese membro di abolire la pena di morte, è vero. Ma il valore morale, la linea guidache si fornisce agli Stati ha valore innegabile. Giudicare la pena di morte come appar-tenente alla sfera dei diritti della persona e non a questioni di politica interna, è ungran passo avanti. Certo è solo l’inizio di una battaglia diplomatica che si spera porte-rà alla scomparsa definitiva del boia. Infatti, l’ evento all’apparenza solo simbolicodella risoluzione ONU, secondo gli esperti, produrrà effetti pratici ravvisabili solo nellungo termine. Sarà uno strumento di legittimazione politica per tutti quegli Stati chevorrebbero abolire la forca, ma sono ostacolati dall’opinione pubblica interna o daalcuni movimenti politico-religiosi che si ostinano a voler punire l’assassinio (maanche reati meno gravi) con la pena di morte. Altri Stati potranno cominciare almenoad introdurre garanzie efficaci contro ogni arbitrio. Ed è qui che tiriamo in ballo nuo-vamente la Cina, la quale ha affidato alla Corte Suprema ogni decisione finale inmateria di esecuzioni, sottraendola alle corti locali. Note positive anche da oltreocea-no, dove Cuba ha commutato tutte le condanne a morte e il New Jersey ha forma-lizzato l’abolizione della pena capitale. Negli USA, infatti, il cappio è nelle mani deisingoli Stati membri, e la risoluzione del New Jersey fa alzare il numero degli Stati incui il boia è andato in pensione a 13 su 50. Anche l’Asia centrale sta palesando unaforte volontà progressista, come dimostra la decisione dell’Uzbekistan di abolire leesecuzioni. Gran coraggio è stato dimostrato pure da quel piccolo staterello nel cuoredell’ Africa che è il Burundi, la cui nuova legge penale prevede l’abolizione della penadi morte e la sua trasformazione in ergastolo. È chiaro come questo provvedimentoassuma una rilevanza storica per un Paese che si avvia a completare il lento processodi democratizzazione in un’area politico-geografica difficile. Chissà cosa direbbeCesare Beccaria se assistesse a tutto ciò, se vedesse che gli uomini, forse, hanno capi-to che, per quanto sia orrendo il crimine che i condannati hanno commesso, dentro latuta arancione della “belva” da sopprimere vive un essere umano.

Zaira Luisi [email protected]

DEAD MEN WALKING

New Mexico: New HopeLo Stato nordamericano abolisce la pena di morte

Le Nazioni Unite dopo la moratoria sulla pena di morte

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L A “ P E C O R A N E R A” E U R O P E A

Dopo il collasso dell’URSS nel 1991 i paesi membriormai divenuti indipendenti hanno mantenuto invigore la pena di morte. Poi,poco alla volta, novepaesi l’hanno abolita e quattro hanno introdottomoratorie. Tutti. Salvo uno. l’Europa e l’Asia centralesarebbero zone libere dalla pena capitale,dopo cheanche l’Uzbekistan nel 2008 l’ha abolita. LaBielorussia resta l’ultimo paese dell’Europa ad ese-guire ancora condanne a morte. E’ il rapportoAmnesty International, pubblicato il 24 marzo 2009,a ricordarcelo. Si. Perché a volte queste realtà ci sem-brano lontane. Ci consideriamo un paese libero. Esiamo pronti a giudicare. Per una volta buttiamo ilnaso un po’ più distante. E non solo all’America o allaCina, protagonisti indiscussi delle nostre considera-zioni. Guardiamo ad una realtà che ci appartiene. Checi accomuna. E domandiamoci il perché. Perché, in unrapporto che stima centinaia di condanne capitali inancora molti paesi solo nell’ultimo anno, l’unico datoriportato per l’Europa si confonde tra gli altri?

E,soprattutto, mi chiedo mentre sfoglio queste liste,perché si leggono numeri diversi per uno stessopaese? Perché in alcuni casi è sottolineato che si trat-ta di un valore MINIMO? Dove si legge una, dove silegge quattro condanne eseguite, solo in Bielorussia,solo nell’ultimo anno. Dal 1991 ad oggi si calcolanopiù di quattrocento esecuzioni. E AmnestyInternational precisa: questi sono solo i dati di cui èriuscita ad avere notizia certa. Significa che dietrotutto questo si nasconde qualcosa. Vuol dire chetante ancora ce ne sono e nessuno lo sa. Nascoste atutti. Un caso: Una condanna a morte del 1 dicembre2006. Un uomo processato con 46 persone. Da alloranessuna notizia. Probabilmente la condanna è stataeseguita il 12 gennaio 2008 con un colpo di pistolaalla nuca. Questa l’unica cosa che sanno i familiariche solo dalla televisione hanno appreso del proces-so. Tutto ciò che rimane è un nome. Il resto è avvoltonell’ombra. La data di esecuzione è solo frutto di un’i-potesi,i corpi spariti nel nulla. Il luogo di sepolturanon si saprà mai. I reati di cui era stato accusato, pro-babilmente, erano stati davvero commessi. Lapena,come si usa dire, severa e giusta non glielaavrebbe tolta nessuno. Eppure, di fronte a processiche durano anni ed anni, senza risposte per familiariche aspettano un po’ di giustizia, di fronte a celle cherestano vuote, questa volta la Corte Suprema, laprima che l’ha giudicato, l’ha condannato, senza pos-sibilità di rivolgersi alla Corte Superiore. Qui tuttoquesto non è possibile. Si paga con la vita. Al criminesi risponde con il crimine. Ci si chiede allora: è la solu-

zione giusta?? È’ una punizione ade-guata? Cesare Beccaria,che nel trat-tato “Dei delitti e delle pene” si espri-me contro la pena capitale, scriveva:"La pena di morte, rendendo menosacro e intoccabile il valore della vita,incoraggerebbe, più che inibire, gliistinti omicidi". Di fronte alle diversi-tà di opinione che ancora oggi vivo-no tra sostenitori e abolizionisti que-sto pensiero sembra più che maiattuale. L’argomentazione più usataa sostegno della pena di morte èinfatti la sua deterrenza. La punizio-ne “estrema” dovrebbe infatti dissua-dere i criminali dal commettere reati. Eppure, sefosse così ,mi domando: perché in alcuni paesi i datisuperano ancora oggi i mille condannati a morteogni anno? La violenza genera violenza. Ancora unavolta. Tuttavia, una violenza,quella in Bielorussia,

avvolta nella segretezza, che sinasconde nelle celle isolate, maiaperte. Anche se gli ultimi datirivelano che la messa in atto dellapena è in qualche modo in ridu-zione, quel caso, anche unico,resta la testimonianza di una giu-stizia sbagliata. E non va certoconsiderato, come alcuni pensa-no, un dato incoraggiante. Ilnumero, forse, è irrilevante. Restail sintomo di un sistema di giusti-zia penale viziato. Le torture sonolo strumento più usato per estor-cere confessioni. I condannati nonhanno diritto a processi legittimi.Nel 2004 la Corte costituzionale

ha dichiarato l’incompatibilità della pena di mortecon la Costituzione ma fino ad ora le autorità bielo-russe non hanno ancora aperto un dibattito pronto acambiare le cose. Il presidente bielorussoLukashenka ancora non risponde alle richieste postedalle risoluzioni degli ultimi due anni, adottatedall’Assemblea delle Nazioni Unite, che stabilisconole moratorie per i condannati a morte. YevgenySmirnov, presidente della camera alta bielorussa, sidice convinto della necessità della pena capitale epronto a prendere eventualmente in considerazione

la possibilità di introdurre una moratoria, ma nonl’abolizione totale.La Bielorussia è parte del “Patto Internazionale deidiritti civili e politici”,entrato in vigore nel 1976. Tragli articoli convenuti dagli stati membri si cita: “Ildiritto alla vita è inerente alla persona umana.Questo diritto deve esser protetto dalla legge.Nessuno può essere arbitrariamente privato dellavita”. Un patto, quindi, destinato a garantire il ricono-scimento della dignità e della giustizia umana. Manon si ferma qui. Se in un articolo successivo il pattoammetteva la pena capitale nei casi in cui fosse ese-guita da un tribunale competente con una sentenzadefinitiva, successivamente è stato aggiunto unSecondo protocollo opzionale, destinato a tutti ipaesi membri, che chiede l’abolizione totale dellapena di morte a tutti i paesi aderenti che firmano eratificano il rapporto. La Bielorussia non è tuttavia traquesti. Non vi ha mai aderito. Il trattato è stato adot-tato nel 1989. E da allora non c’è stato, a quanto pare,nessun ripensamento.Un cammino ancora lungo, evidentemente, quellodella Bielorussia. Gli strumenti per abolirla, gli incen-tivi, non mancano. A seguito del rapporto pubblicatoda Amnesty International è stata infatti lanciata l’o-perazione “ Ending execution in Europe: towardsabolition of the death penalty in Belorus”. L’obiettivoè quello di portare l’Europa davvero verso valoricomuni, condivisi da 800 milioni di persone, in que-sto caso, senza differenza di tradizioni. Far si che laBielorussia sia più vicina al Consiglio d’Europa, di cuinon è membro ma dal quale potrebbe ridurre ledistanze, se mostrasse le condizioni per riaprire ildialogo. L’ingresso gli è stato negato proprio per laviolazione di principi democratici. E’ uno: uno controquarantasette. Lukashenka è considerato l’ultimodittatore in Europa. Basti pensare che nel 2006, allavigilia dell’esito delle elezioni presidenziali, era stataminacciata la pena di morte per chiunque tra glioppositori fosse sceso in piazza per protestare controil prevedibile risultato. Qui non parliamo più di unomicidio aggravato e meditato, uno dei dodici reatiper cui è prevista la pena di morte. Qui si tratta dilibertà di espressione. Di un diritto. Negli ultimianni sono stati tuttavia compiuti dei passi in avanti.Recentemente infatti il presidente bielorusso è statoinvitato al vertice UE del 7 maggio e prima si recheràin Italia. Che sia l’inizio della fine dell’isolamento dal-l’occidente?

Valentina [email protected]

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Understanding Communications in Today's World

Comunicare. Questa è la parola d’ordine dei tempimoderni . La nostra quotidianità è infarcita semprepiù di tecnologie che cambiano alla velocità dellaluce, si evolvono, si trasformano. Dopo pochi mesi uncellulare è già vecchio, i social-network proliferanosostituendosi,come talvolta leggiamo nelle pagine dicronaca, alla vita reale, internet è ormai tra gli stru-menti più importanti della nostra vita, per lavorare,leggere, informarsi, giocare, socializzare. E’ infattisulle conseguenze sociali delle nuove tecnologie del-l’informazione e della comunicazione che il ProfessorJames E. Katz della Rutgers University ha speso e staspendendo lunga parte della sua carriera. Il ProfessorKatz è uno dei massimi esponenti sull’argomento.Attualmente professore e preside del Dipartimento diComunicazione alla Rutgers University, dove dirigeanche il Centro Studi per la comunicazione mobile,detiene anche il titolo di Professor II, titolo di altogrado della Rutgers riservato a coloro che hanno rag-giunto livelli nazionali e internazionali di preminenzanel loro settore. Ultimi suoi premi del 2009 sono quel-lo di Fulbright Distinguished Professor e l’elezione aFellow della AAAS, una delle più importanti societàscientifiche americane. Oltre ai numerosissimi artico-li, ricordiamo tra i suoi più recenti volumi Magic in theair: Handbook of mobile communication studies(2008) ;Mobile communication and the transformationof social life (2006) e Social consequences of Internetuse: Access, involvement and expression (2002).Abbiamo incontrato il Professor Katz in uno sei semi-nari organizzati presso l’Ambasciata Americana aRoma a cui il nostro ateneo dà la possibilità di parte-cipare. Abbiamo così avuto il piacere, dopo la confe-renza, di intervistare il Professor Katz, in altre occasio-ni intervistato dal New York Times e il Wall StreetJournal.

Durante il seminario ha molto parlato dellafunzione e dell’uso dei cellulari che peraltro rientrano in modo particolare nell’or-bita dei suoi studi. Pensa che dalla nascitadel cellulare si sia evoluta la funzionesociale di questo oggetto? Si, indubbiamente. Il punto è che il cellularenasce come mezzo di comunicazione, quindi lasua principale e connaturata funzione è quella dimettere in contatto, di avvicinare persone lonta-ne. Oggi il cellulare molte volte allontana i sog-getti, frapponendosi ed ostacolando la comuni-cazione. Basti pensare ad una situazione classicain cui ,suppongo, molti di noi si saranno trovati :in treno. Quattro persone sono “costrette” a sede-

re intorno ad un tavolino e, non conoscendosi e pro-babilmente non avendo voglia di farlo, accendono icellulari per chiamare gli amici, o per fare telefonatedi lavoro, o magari ascoltano musica con il proprio I-pod. In sostanza fanno qualunque cosa ma noncomunicano tra loro. Quanto pensa possa essere fondamentale,quasi indispensabile il cellulare attualmente? Ho condotto uno studio empirico sui miei studenti.Ho chiesto a circa 40 di loro di non usare per due gior-ni il cellulare; ebbene, solo 12 di loro sono riusciti aterminare l’esperimento, già dopo le prime ore moltihanno sentito l’esigenza di riaccendere i telefonini. Durante il suo intervento mi ha colpito un’im-magine: dei masai che, vestiti secondo le lorousanze, in capanne di paglia e fango, pratica-mente in mezzo al nulla, parlavano al cellulare.Ovvio dire che sembra assurdo e paradossale,ma come si può spiegare che nella povertà piùassoluta si preferisce acquistare tecnologia enon beni che sarebbero sicuramente più utili? Comunicare dà la sensazione di avere potere, di affer-mare se stessi, di sentirsi parte di questo “mondosociale”. La categoria più soggetta a questo fenomenoè sicuramente quella dei giovani che sono disposti arisparmiare per comprarsi un cellulare, magari di ulti-ma generazione. Si è sentito talvolta parlare di regolamentare ilWeb. Pensa si effetti-vamente possibile? Credo sia del tuttoimpossibile, il Web nonconosce i confini dellenazioni.Tra i lati negativi del-l’uso di Internet c’è chisottolinea quello disminuire le capacitàumane. Google cirende stupidi? Google rende tutto moltopiù semplice. E’ indubbioche la memoria, una trale capacità più importan-ti e affascinanti dell’uomo, venga penalizzata ma alcontempo si sviluppano molte altre capacità, adesempio è nettamente aumentato il numero di cosesi riescono a fare contemporaneamente. Quante volteavete visto qualcuno che mentre guida parla al cellu-lare, ascoltala musica alla radio, fuma una sigaretta eguarda il monitor del navigatore, il tutto contempo-raneamente!Cosa pensa della enciclopedia free Wikipedia? Penso sia ricca, meravigliosa e gratis il problema è che

può essere sbagliata.Ritiene che i social network abbiano influitosulla politica americana e in particolar modosulle scorse elezioni? Probabilmente. Visto il largo utilizzo che ne vienefatto, una piccola differenza può essere rintracciatama, secondo me, fattori esterni come l’economiaovviamente hanno determinato tutto.Se poniamo a confronto l’uomo politico tipicodi oggi con quello dell’inizio del secolo scorsonotiamo una netta differenza, mi vengono inmente le immagini scattate al fisico scultoreodel neoeletto presidente, Obama, e quelle delpresidente della Grande Depressione,Roosevelt. Quanto hanno influito i nuovi mezzidi comunicazione, e in generale il nuovo mododi comunicare, sull’evoluzione del politico tipo? Immensamente: il politico oggi deve stare prima ditutto davanti uno schermo. Ciò non vuol dire che nonabbia o non debba avere delle capacità. Ovviamentenon è così, ma la cosa fondamentale è che deve esse-re ben curato fisicamente, deve sapere intrattenere ilsuo pubblico. In definitiva più sa fare della politicauno spettacolo, letteralmente, maggiore sarà il suosuccesso.Ritiene che si potrà in un futuro,più o menoprossimo, sostituire il contatto fisico con socialnetwork , il primo che viene in mente in questo

momento è facebook, e andare in contro a unprocesso di alienazione sempre più profondo?Questa è la prospettiva più tragica- risponde sorri-dendo il Professor Katz- ma credo che il problema nonsia solo relativo a facebook. Ci sono conseguenzesociali di grande importanza, non solo più reali edeffettive ma anche meno visibili ad occhio nudo e perquesto forse più gravi. I mass media ci fanno leggere la realtà attra-verso lenti colorate? Intendo dire, secondo lei, imezzi di comunicazione di massa modificanola nostra percezione della realtà? Se si, inche modo?Indubbiamente. In primo luogo hanno ampliato inostri orizzonti, nell’antichità il mondo era più pic-colo. In secondo luogo non dimentichiamo che aimass media piace raccontare storie, belle, tristi,cruente, reali o misteriose, ma sempre storie. Per concludere, una domanda banale ma delcaso: un paio di aggettivi per definire lacomunicazione di oggi? Fast, smart, cheap e a 360°!

Mariastella RuvoloAlessandra Micelli

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È cominciato il più grande esercizio di democraziadella storia: gli indiani vanno ai seggi per eleggere ilnuovo parlamento. Da quando l'India ha ottenutol'indipendenza, lo hanno già fatto quattordici volte. Eogni volta è il più colossale evento elettorale delmondo. Dato che la popolazione aumenta, l'Indiabatte il suo stesso record tutte le volte che si aprono leurne. Quest'anno gli elettori sono 714 milioni, 43milioni in più rispetto alle politiche del 2004. Si vote-rà in 828.804 seggi sparsi in tutto il paese. I risultatidelle elezioni verranno ufficializzati, secondo il com-plesso programma stabilito dalle autorità competen-ti, il 16 maggio; il nuovo parlamento sarà convocato il2 giugno per eleggere il governo nazionale che sosti-tuirà l'esecutivo uscente del primo ministroManmohan Singh. Ci sono più di cinquemila candida-ti di sette partiti politici nazionali e di molti partitiregionali o locali. Nell'operazione saranno coinvoltiquattro milioni di funzionari elettorali e sei milioni trapoliziotti e civili addetti alla sicurezza. Ciò è sufficien-te a testimoniare della complessità dell’eserciziodemocratico in questo contesto. Per non parlare poidel caleidoscopio di etnie, religioni e culture che locompongono. Differenze che la Commissione eletto-rale ha dovuto considerare attentamente prima diindividuare le date per il voto nei diversi stati delPaese, cercando di non sovrapporsi a festività civili ereligiose, al calendario scolastico, ai periodi del rac-colto agricolo.Ma quali sono i partiti che si presentano a queste ele-zioni? Gli analisti politici vedono una gara a due tra laUnited Progressive Alliance (UPA), il partito di gover-no negli ultimi cinque anni, e la National DemocraticAlliance (NDA) che è invece rimasta all’opposizione.

La prima è guidata dal Partito del Congresso sotto lapresidenza di Sonia Gandhi, che dopo la sorprenden-te vittoria, successo personale anche per la vedova diRajiv Gandhi, ha scelto Manmohan Singh come PrimoMinistro. Nella prosecuzione della linea politico-filo-sofica di Gandhi e Nehru, il Partito del Congresso e laUPA si collocano come una forza moderata, riforma-trice e progressista, ben rappresentate dal peso stori-co ed emozionale della famiglia Gandhi e della figurapulita e capace del Premier Singh. La seconda coalizione, la NDA, si colloca invece suposizioni più estremiste, quelle del suo movimentoleader Bharatiya Janata, guidato dall’ottantunenneLal Krisha Advani, il partito ha ancora un’ animanazionalista e religiosa. Le due grandi coalizioni sonoperò messe alla prova da quello che in India cominciaad essere definito come il “terzo fronte”, un’alleanza dipartiti regionali e di partiti di sinistra. Il terzo frontepotrebbe compattarsi intorno a Mayawati, la leaderdei Dalit, altrimenti detti “intoccabili”, la casta piùbassa nella gerarchia sociale indiana. Il suo consensosembra in crescita e i suoi voti potrebbero diventaredeterminanti per le altre due coalizioni. Il fattore ter-rorismo avrà un ruolo determinante nella scelta deglielettori. Il paese è ancora traumatizzato dagli atten-tati di Mumbai dello scorso novembre, che hannoucciso 179 persone. Il Congress sostiene di essere l'u-nico in grado di gestire la situazione, ma il Bjp ha pro-posto l'impiego dell'esercito nella lotta al terrorismodi matrice pachistanaDato che molti elettori sono analfabeti, l'India haintrodotto i simboli di partito, per quelli che nonsanno leggere il nome del candidato. Così possonovotare per lui o per lei riconoscendo il simbolo con cui

ha condottola sua cam-pagna. I simboli vanno dallamano apertadel partito delCongressoattualmenteal potere alloto del BharatiyaJanata party, pas-sando per tutte le varianti della falce e martello deitanti partiti comunisti indiani. L'India è stata anche il primo paese a marchiare conl'inchiostro indelebile l'unghia degli elettori per indi-care che avevano già votato. A ogni elezione qualcu-no "scopre" una nuova sostanza chimica in grado dirimuovere la macchia per poter votare due volte,anche se è difficile che questo trucco faccia una gran-de differenza in collegi grandi come quelli indiani,dove ogni parlamentare rappresenta più di due milio-ni di persone .Le elezioni sono lo spettacolo dell'India libera, ricor-dano al mondo che l'India è la più grande democraziaesistente, l’importante adesso è che si prosegua nelsolco nella tradizione che ha sempre visto lo svolger-si di libere, ordinate e pacifiche votazioni.

Valentina [email protected]

Due vedette circondano unrimorchiatore. Subito si sentonocolpi di pistola. Il rimorchiatorenon ha chance. In poco tempodalle vedette salgono sulla fre-gata, uomini dotati di mitra-gliatrici, pistole e un radiorice-vente con cui subito conferma-no il successo della missionealla nave madre. La nave è stataabbordata da un gruppo di pira-ti!Se vi aspettavate una recensio-ne del film noto purtroppo vi

devo deludere o se mai rinviare alla rubrica culturale. Qui stiamo parlando di pira-ti moderni, che portano notti insonni non solo ai comandanti delle navi, quandodevono passare per il corno d'Africa, ma anche alle compagnie armatrici e ai capidi governo dai maggior peasi. Sono, Francesi, Italiani, Tedeschi, Olandesi e soloultimamente anche Americani, per nominare solo qualche nazione, che recente-mente ha subito la repressione dei pirati. Pirati che una volta erano pescatori maa causa di una stato somalo crollato al suo interno, che non possiede una marinamilitare tentano la loro fortuna negli ostaggi di navi commerciali o di trasporto.Ma neanche i turisti sono salvi dal pericolo come dimostrano diversi casi. È un veroaffare con riscatti di milioni di dollari. Ma la comunità delle nazioni reagisce e cosi

molti tentativi e ostaggi dei pirati finiscono in maniera violenta, come recente-mente il caso del comandante americano Phillips.Il comandante della nave Maersk Alabama è stato rapito dai pirati che pochi gior-ni prima avevano abbordato la sua nave. L'equipaggio di Phillips però è riuscito adimpadronirsi del comando. Come reazione i pirati hanno preso in ostaggio Phillipse sono fuggiti nel mare aperto. Da qui in poi gli Stati Uniti hanno intrapreso l’azio-ne per la liberazione del comandante. Dopo cinque giorni di reclusione e tentati-vi di fuga da parte di Phillips, la marina americana, uccidendo anche tre o quattrodei pirati, è riuscita a liberarlo.Non solo dopo questo intervento la comunità nazionale si chiede come procederecontro i sempre più frequenti attacchi dei pirati, che allo stato di oggi detengonoattorno a 260 persone. Già ora diversi comandi militari pattugliano nella zonaattorno al golfo di Aden e della costa somala, questo però senza alcun' effetto,perché la marina puo colpire solo le vedette. Le navi madre, dalle cui vengonoorganizzate le azioni militani, nella maggior parte dei casi restano operanti. Ilproblema dovrebbe probabilmente essere risolto più a fondo. Per questo tutta lasituazione somala dovrebbe migliorare. In anzitutto servirebbe un governo stabi-le che porta avanti il paese.

Robert [email protected]

Pirati dei Caraibi

Un mese di consultazioni per 714 milioni di votanti. L’ India votaLa più grande tornata elettorale del mondo

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L’Europa va di nuovo al voto. E’ dal 1979 che, a caden-za quinquennale, milioni di cittadini europei sonochiamati a scegliere i loro rappresentanti alParlamento di Strasburgo. Come ricordato da nume-rosi analisti e commentatori, quello che sarà il sestoappuntamento democratico della storia delParlamento Europeo potrà trasformarsi in un'oppor-tunità unica e d'inestimabile valore per l'Unione. Ilpopolo europeo che si recherà alle urne il prossimogiugno non sceglierà solo i propri rappresentanti perla prossima legislatura, ma soprattutto indicheràdove indirizzare l’Europa del futuro. L’affluenza alleurne delle passate elezioni mette in luce un disinte-resse diffuso nei confronti dell’UE. L’Europa viene per-cepita come lontana, inutile, anonima, irrilevante e,per chi soffia sul fuoco dell’antipolitica, come un par-cheggio per politici trombati, un ufficio di colloca-mento per parenti e raccomandati o, ancora, un’ele-fantiaca macchina burocratica brucia soldi. Tuttavia, nonostante gli umori della gente e le legit-time critiche, più o meno giustificate, nessuno puònegare che in questo periodo di crisi economica ciòche è davvero mancato è un’Europa realmente unita.Le parole che Winston Churchill pronunciò con estre-ma lucidità e con la lungimiranza del grande statista,nell’oramai lontano 1946 al Politecnico di Zurigo,appaiono di un'attualità straordinaria e riassumonoal meglio le necessità future della politica continen-tale: “Dobbiamo creare una specie di Stati Unitid’Europa!”. In occasione degli ultimi rilevanti eventi mondiali èemersa con evidenza l’odiosa ininfluenza globale diquest’Europa à la carte. Voci stonate si sollevano daun convinto coro europeista, mandando alla maloraun progetto comune e ambizioso che rappresente-rebbe l’inevitabile futuro in un mondo in cui lo scardi-

namento dell’equilibrio monopolare statunitenselascia spazio a nuove geometrie e a nuovi assettimondiali. Ciò che ha offerto quest’Europa finora è unminimo comune denominatore d'identità, politiche evalori condannato all’irrilevanza. Quello che sidovrebbe affermare con prepotenza è un’identitàeuropea che, se purtroppo attualmente i Governi nonhanno la forza d’imporre, deve provenire a tuttotondo dal popolo europeo. Un’alta affluenza di votan-ti e un uso sapiente e responsabile dello strumentodella preferenza, potrebbero verosimilmente travol-gere le barriere dell’euroscetticismo, fornendo unnuovo slancio alla continuazione e allo sviluppo deldisegno comune, attualmente in una fase di semi-immobilità. Sorge legittima a questo punto unadomanda: come si comporta la politica italianadinanzi all’appello dell’Europa? Cosa fanno i partitiper avvicinare i cittadini all’UE? La risposta che sidovrebbe dare è di quelle che lasciano l’amaro inbocca, che palesano un sentimento che sta a metà tral’avvilimento e la frustrazione, di quelle che poi,magari, si sorvolano con il solito motivetto di rasse-gnazione: “Vabbè siamo in Italia...", sintomatico diquel disinteresse e di quella disaffezione che rendezoppa l’Europa.Difatti, di grandi annunci, come al solito, se ne sonofatti, ma tali sono rimasti e non hanno avuto seguito.A quanto pare, quando si pontificava sulla necessità

di avere a Strasburgo persone autorevoli, esperte epreparate, che fossero presenti ai lavori e ligi ai lorodoveri istituzionali e che resistessero per gli interi cin-que anni di legislatura ai canti delle sirene della poli-tica e della politichetta interna, lo si faceva per inuti-le piacioneria al fine di legittimare l’eliminazionedelle preferenze. Basta dare uno sguardo alle candi-dature di alcuni partiti per rendersene conto: il neo-nato Pdl, candidando veline, show girls, ministri epresidenti di regione, sembra impegnato in un’opera-zione d'immagine piuttosto che in una campagnaelettorale. Idem l’Italia dei Valori del censore Antoniodi Pietro che, candidando se stesso, una hostessdell’Alitalia protagonista della rivolta sindacale e unmagistrato inquisito, ultimamente più impegnato intv e in piazza piuttosto che nelle aule dei tribunali,dimostra che i suoi Valori, quando si è in odore di ele-zioni, valgono solamente a giorni alterni... Gli unici che tentano di percorrere la strada dellaserietà con l’elettorato, ma che rischiano per questo dirimanere nell’ombra, sono il Pd e l’Udc. Quest’ultimoin particolare rilancia i valori cristiani in Europa e can-dida capolista nel collegio dell’Italia Centrale CarloCasini, Presidente del Movimento della Vita eParlamentare Europeo di lunga esperienza, già ospitedi 360° in occasione del convegno sui 60 anni dellaDichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.Visto l'andazzo di buona parte della politica nostrana,se l'Europa dovesse bussare alla porta dei "ventisette"per rilanciare la svolta di cui ha bisogno, non passidall'Italia. Ad accoglierla probabilmente non ci sarànessuno che sarà in grado di comprenderla...

Riccardo Alfieri [email protected]

Sta in piedi, tentando di camminare su un filo, lo Zimbawe, animato dalle speran-ze che sono fiorite con l’elezione a primo ministro di Morgan Tsvangirai, leader delMcd( Movimento per il cambiamento democratico), l’ 11 Febbraio 2009, ma anco-ra minacciato dagli accanimenti degli scagnozzi del vecchio regime, quello diRober Mugabe.Con il governo di unità nazionale il paese ha finalmente avuto un po’ di respiro. Ildollaro americano e il rand sudafricano hanno sostituito completamente la mone-ta locale, ridotta a carta straccia da un’inflazione record del 231.000.000 percento. Tendai Bitti, ministro delle finanze appartenente al Mdc, si è senza dubbioguadagnato il consenso della popolazione. Il nuovo governo ha infatti provvedu-to a pagare lavoratori che non vedevano uno stipendio da mesi, come ad esempiogli uomini in uniforme, a cui sono stati dati 100 dollari in buoni pasto, e gli inse-gnanti, in 80 mila scioperavano mentre ora è stato possibile per due milioni dibambini tornare a scuola.Ci sono però ancora altre gemme che fanno sperare in una prossima primavera;Gideon Gono, il presidente della banca centrale che forniva denaro a Mugabe, èrimasto senza potere, la legge che imbavagliava la stampa sta per essere elimina-ta, tant’è che Trevor Ncumbe, il magnate delle telecomunicazioni sudafricane,vuole aprire un nuovo giornale proprio ad Harare.In questo scenario Robert Mugabe, leader del partito Zanu-Pf, svolge un ruolotutto particolare. Dopo le elezioni del marzo 2008, segnate dagli scontri tra il par-tito di governo e l’ Mcdi, dopo lunge trattative Mugabe ha ceduto e ha nominatoprimo ministro il leader del Mcd, dopo aver detenuto il potere esecutivo concen-trato nelle sue mani dal 1987. Di fatto Mugabe non ha potuto far altro che legarela sua sopravvivenza politica a quella del governo Tsvangirai. Il problema è che icapi dell’esercito, della polizia, dei servizi segreti, si rifiutano di riconoscere

Tsvangirai, ne deriva che la richiesta del Mcd di liberare i prigionieri politici rima-ne inascoltata, di alcuni non si sa nemmeno se sono ancora vivi. All’ insediamen-to di Tsvangirai non era presente nessuno dei service chiefs, i gerarchi di Mugabe,che cercano di tenersi lontano dall’alleanza con l’ Mdc. Temono infatti di esserechiamati a rendere conto dei loro crimini, nel 2008 ben duecento avversari delregime sono stati assassinati e migliaia perseguitati, torturati o esiliati. Per altroda quando il vecchio dittatore ha dovuto cedere si sono moltiplicate le occupazio-ni delle aziende agricole e le espropriazioni, probabilmente l’intento del vecchioregime è quello di dimostrare che il nuovo partner di coalizione non ha potere.La situazione resta dunque delicata e a ciò occorre aggiungere l’epidemia di cole-ra cominciata nell’ agosto 2008 e ancora in corso, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità al 28 Marzo 2009 vi erano state 4.095 vitti-me. Problema anch’ esso urgente è il rischio che l’intero paese finisca in bancarotta, il ministro delle finanze, Tendai Biti, ha più volte chiesto aiuti all’estero vistoe considerato che la bancarotta porterebbe anche al crollo del nuovo governo, mageneralmente i soldi non arrivano, poiché, vista la presenza di Mugabe, il paesenon può contare su una piena legittimità democratica. Alcuni diplomatici occi-dentali sono al lavoro per convincere le Nazioni Unite ad aprire una missione poli-tica che dovrebbe durare fino alle prossime elezioni nel 2011.Ciò non cambia il fatto che dopo trent’anni il paese può finalmente sperare; l’im-portante è che riesca a sfruttare a pieno questa preziosa occasione e che riceval’aiuto di cui necessita per farlo.

Caterina [email protected]

CAMBIAMENTRO AD HARARE?

L’Europa, l’Italia e le regole della politica

Tra nuove speranze e vecchi orrori in Zimbabwe

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« O miei concittadini diAtene, io vi sono

obbligato e vi amo; ma obbedirò

piuttosto al dio che avoi, e finché abbia

respiro, e finché ne siacapace, non cesserò mai

di filosofare e di ammonirvi [...]

Tu che sei ateniese, cittadino della più

grande città, non ti vergogni a darti

pensiero delle ricchezzeper ammassarne quantepiù possibile, e della tua

anima, affinché essadiventi quanto più

possibile ottima, non ti dai cura? »

Apologia di Socrate

Platone

“Tanto gentile tanto onesta PARE..” scriveva Dantenella “Vita Nova” .Attenzione, non è oppure si dimostra ma “PARE” cioèsembra, cioè dà l’impressione.Proprio da qui Cogitanda parte per spingervi ad unariflessione su un tema quanto mai attuale, per affron-tare il quale si spoglia delle consuete vesti auliche e siimmerge nella realtà…Innumerevoli parole si affollano nella mente al termi-ne “onestà”, innumerevoli discorsi risuonano all’orec-chio. Ma come affrontare questa insoluta e inflaziona-ta questione senza prima non metterne in luce ilsignificato sostanziale?Onestà, un termine che nel tempo sembra aver per-duto il suo significato ed essere diventato desueto. InLatino è “probitas” e onesto è anche l’animo, l’ingegnoma anche il nobile sentire, “fides”, pudore, “sine frau-de”, cioè senza falsità.Fino al secolo scorso il termine onesto significava senza falsità, fedele adeterminati principi negli affari e nella vita, nella società, nei rapporticon gli altri, cioè ligio a canoni morali universalmente riconosciuti. Forse oggi abbiamo dimenticato le parole pronunciate da Socrate nella sua difesafinale prima del verdetto; l’odio fomentato dalle antiche accuse per cui sarà con-dannato non lo scalfisce, teme solo di non vivere nel giusto, se non fosse questala giusta condotta andrebbero biasimati tutti quelli che persero la vita inbattaglia per aiutare il compagno in difficoltà. Se fosse rilasciato a patto dinon esercitare più la filosofia non potrebbe accettare, in quanto contravverrebbeagli ordini divini e lascerebbe gli Ateniesi in balia di se stessi.Nel mondo dell’individualismo ( per non dire egoismo!) queste parole risuonanosolo come la vuota eco di tempi troppo arcaici per essere da esempio.Forse oggi i giovani passeggiando per Campo dei fiori si ricordano la tradizione percui non si deve guardare negli occhi la statua del Bruno per potersi laureare, nonpensano al suo rifiuto all’abiura e a quando costretto ad ascoltare in ginocchio lasentenza di condanna al rogo disse ai giudici: “Forse tremate più voi nel pronuncia-re questa sentenza che io nell’ascoltarla”.Ma chi è l’uomo onesto? Una specie in via di estinzione? Un animale in letargo dal-l’inizio del secolo scorso? NO. Nella nostra società purtroppo l’onesto viene vistocome il perdente, perdente nel senso che non riuscirà con mezzi lodevoli a rag-giungere i propri fini, perdente nel senso che non riuscirà ad emanare la propriaonestà agli altri. E chi sono gli altri? Non più furbi, non più scaltri, ma solo amantidei mezzi più semplici e veloci per ottenere ciò che perseguono, interpreti ignoran-ti e insoddisfatti della frase “mors tua, vita mea”.Se il disonesto fosse il cattivo, l’antagonista, già potremmo riconoscergli qualcheaspetto intrigante e interessante ma purtroppo non è sempre così. Insomma una vera malattia a basissimo contagio questa onestà che viene

spazzata via dall’antivirus dell’avidità, smania di pote-re, arroganza, ignoranza, menefreghismo.Se un tempo si sentiva urlare per qualche strada“al ladro, al ladro”, tra qualche tempo sentiremo“all’onesto, all’onesto!”Noi (scusate, non mi sento di includermi in questosoggetto), Voi, vittime della forma, ciechi osservatoridella sostanza, spesso venite illusi da coloro che fannocredere di perseguire i più giusti ideali o che li perse-guono, ma con mezzi ingiustificabili, sofisti del pre-sente che giocano ad “abbindolare” chi ha ancora unpo’ di fiducia, proponendosi come uomini nuovi maessendo in definitiva solo “falsi buoni”.Non chiedo a chi costruisce case, senza pensarealle vite di chi un giorno ci abiterà, di essereparadigma di onestà, ma solo che il mercato daterreno laico e neutro non divenga spietatocampo di battaglia. Non chiedo a chi vuole rico-

prire un incarico di diventare il più saggio tra gli uomini ma solo di nonessere erede di Macbeth per non dover, un giorno, essere vittima dei pro-pri mali e definire la vita “la storia narrata da un idiota” solo perché lasete di potere lo ha condurrà alla morte.Non chiedo ad ognuno di voi di esse-re come Baldovino ne “Il piacere dell’onesta”, disposto per nobili fini addirittura afarsi accusare di furto. Vi chiedo soltanto di aprire gli occhi e agire dal basso là doveanche noi giovani studenti possiamo, di riscoprire il significato delle parole rispet-to, trasparenza, lealtà perché sono ancora, e spero non utopisticamente, convintache, quando ce ne andremo, di noi non rimarranno che i nostri messaggi, i valoriin cui abbiamo creduto e solo così coloro che ci seguiranno potranno essere i sor-veglianti ideali della nostra memoria. “Chi di noi avrà sorte migliore, occultoè a ognuno, tranne che a Dio “.Seneca colse nel De tranquillitate animi l’essenza della mediocrità umana:<<Vanno vagando senza un proposito cercando occupazioni e non fanno le coseche avevano deciso ma quelle in cui si sono imbattuti; è insensata e vana la lorocorsa, quale quella delle formiche che si arrampicano su per gli alberi, che vannosu fino alla cima e poi di nuovo giù in basso senza frutto: in modo simile a questeconducono la loro vita molte persone, per le quali non senza motivo qualcuno par-lerebbe di inoperosità inquieta>>. Questa corsa idiota è la negazione esatta del-l’onestà, perché percorrendo la strada più breve l’uomo inciampa in grossi ostaco-li che tenta di aggirare, e non di superare; e messo alla prova dall’onestà scegliesempre la furbizia, il risparmio, il calcolo, e se proprio è necessario, tradisce.

Elisabetta RapisardaGiulia Gianni

[email protected]

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L’onestà non paga. Pagano il sot-terfugio, la scorciatoia, le lunghee artificiose perifrasi che nascon-dono verità lapalissiane. Che sial’onestà intellettuale, o quella richie-sta nelle relazioni emozionali con altrepersone, o l’onestà come elementonecessario e imprescindibile, sintomoe sinonimo al tempo stesso, di morali-tà. Non è certamente la decaden-za di costumi coeva a spingere aquesta amara riflessione. Non èessa perché essa presupporrebbetempi lontani contraddistinti daun’etica forte e indiscussa, senzamacchia. Invece, dall’alba dei tempi,si è sempre lamentata, da fonti diver-se ed eterogenee, mancanza di one-stà. Onestà auspicata e poi negata,nelle sue mille declinazioni. L’onestà,tratto distintivo di una condottache la rende lodata e lodabile, èqualità fondante del vivere col-lettivo. Ma per assurgere al ruolodi direttrice del comune costume,essa è necessariamente per primacosa guida dell’interno sentire,suggeritrice nello scegliere condottecontingenti o filosofie esistenziali. Perquanto i benpensanti e le malelinguebacchettone possono intimorire epreoccupare, non c’è agente esternoalla nostra coscienza che sia in gradodi inculcare alcun senso di moralità.Non che nasca con l’Uomo, certo. Manemmeno è facilmente manipolabileda leggi, umane o divine che siano. Isecoli hanno visto il proliferare didivieti, di regole, di precetti morali e dietiche; diversi, contrastanti, più omeno coerenti. Tutti hanno visto, perlo meno in parte, fallire l’intento casti-gatore. L’Uomo è cattivo? Nascesordo ad ogni richiamo se nonall’istinto di sopravvivenza? No,non è cattivo. Ma è animale, che

spesso dimentica di essere Uomo,alta materia pensante. E così l’o-nestà, che non nasce con lui, ma siradica in lui, diviene quel valoreaggiunto che lo allontana dallepiù basse pulsioni. Quel valore, quelpungolo che suggerisce la sconve-nienza di qualche comportamento.Non fa comodo. E’ un Grillo Parlante.Se ti appartiene, ne divieni schiavo. Sivede tutto alla luce di questo scomodovessillo. Onestà. Ogni azione valutataalla luce della convenienza e dellasconvenienza. Ma, a differenza di chidell’onestà non conosce fisionomia,non è la convenienza che si fa “torna-conto” personale. La valutazione èinvece d’alto spessore. E’ la valutazio-ne sulla base di parametri che si chia-mano lealtà, correttezza, giustizia,trasparenza. Valutazione che spessoconduce chiunque a maledire il giornoche, per una lettura azzardata, un par-roco particolarmente zelante, unariflessione in più, ci ha regalato laconoscenza di questa scomoda virtù.Vivere secondo dettami che ci vengo-no imposti da altri, che siano legisla-tori, presunti dei, o sedicenti guru,richiede dedizione, trasporto, abnega-zione. Mai quanto l’impegno e lacostanza nel ricercare una moralità incui ci confiniamo da soli. In ogni casoc’è una rinuncia, un sacrificio; l’onestànon conduce per via diretta sulla stra-da della felicità. Kant diceva che eraperò l’unico modo per renderci degnidi essa. Ci rende grandi, ci rende libe-ri, giusti. Ci rende fieri. Ci rendeUomini.

Teresa Mattioli

La diff icoltà di essere onest i

Socrate sosteneva che “perso-ne affatto incolte amano spun-tarla sempre,anche a costo dipersistere nell’errore e di trasci-nare altri nell’errore. Vi sonoperò anche coloro che passanoil tempo a disputare il pro e ilcontro, e finiscono per credersidivenuti i più sapienti per avercompreso essi soli che,sia nellecose che nei ragionamenti,nonc’è nulla di sano o di saldo,matutto va su e giù senza rimane-re fermo in nessun punto nep-pure un istante”. Come sempreè dai più antichi che dobbiamoricavare gli strumenti perriuscire a governare la nostravita. Dobbiamo guardarciquindi da entrambi i pericoli enon lasciarci penetrare nell’a-nimo né dalla nostra veritàassoluta né dal sospetto chedal ragionar non ci sia nulla diintegro. Però affinchè sia pre-servata l’integrità del ragiona-re, tanto caro al filosofo, deveessere rispettata la verità deifatti, che è la base di ogni azio-ne orientata ad intendersionestamente. L’onestà deveessere quindi un effettonaturale, ricavato dalmondo circostante. I regi-mi che manipolano i fatti,li travisano, sono tutte dit-tature ideologiche e questaricreazione ad hoc della realtàavviene con le parole. Oggi lamenzogna intenzionale èla pratica più diffusa ed è ilprincipale crimine controla democrazia. Socratesostiene che la bellezza deldialogo risiede proprio nelscoprirsi in errore, nell’uscirecosì migliorato, e non nell’an-corarsi ad una posizione pre-fissata, travisando la realtà etrasformando la schiavitù inlibertà e l’ignoranza in forza.”Onesto è colui che cambia ilproprio pensiero per accordarloalla verità. Disonesto è colui checambia la verità per accordarlaal proprio pensiero”. Le parolenon devono essere ingannatri-ci; accade cosi spesso che ilmultiloquim si trasformi invaniloquim. Non dobbiamousare troppe parole, “chi sor-veglia la sua bocca conserva lavita, chi apre troppo le labbraincontra la rovina”.

Come sempre l’evoluzione del-l’uomo ha portato a dimenti-care tutti questi principi chefanno parte di leggi naturaliche reggono l’intero universo.La mente dell’uomo è statooffuscata da ben altri principie concetti, in tutti gli ambitidella vita. Il mondo degli affa-ri per primo è costruito su pro-messe impossibili, volte apenalizzare chi interagisce connoi. Quanto sarebbe bello se ilnostro banchiere di fiducia cisconsigliasse di comprare tito-li svantaggiosi, o un medico cifacesse presente che una curamolto costosa non servirebbead un granchè. Troppa genteaccetta il mal comunedella manipolazione altruisolo per avere un migliortenore di vita. E dal “privato”questo si riflette anche nel“pubblico”, nella nostra demo-crazia, nella nostra politica.Immanuel Kant distinguevatra politici morali e moralistipolitici:i primi sono quelli cheagiscono in base ai principi; glialtri quelli che subordinano iprincipi ai proprio fini.Oramai siamo avvezzi allademagogia, agli inganni com-piuti da chi ci governa e sostie-ne di volerci regalare la felici-tà. Ma una felicità ottenutacon la menzogna non èuna contraddizione in ter-mini?La felicità dev’essereun qualcosa di reale, effet-tivo. Le false promesse sonocostruite su basi di sabbia efango e sono destinate a crol-lare rovinosamente in brevetempo. Per la verità c’è biso-gno sicuramente di basi piùforti composte da cementoarmato, magari più difficili dareperire e più costose da ricer-care,ma destinate a duraresicuramente più a lungo.Cerchiamo di coltivare l’onestàe la sincerità. Non devonoessere viste come vizi ma pre-rogative fondamentali.

Fiorenza Marin

La legge naturale del l ’onestà sconfitta

dal la menzognaL’eterno conflitto tra l’ individualismo esasperato e il richiamo dell’etica. Un’unica strada per la felicità

Una realtà di castelli di fango e sabbia

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Così come in matematica alcuni teoremi si dimostra-no per assurdo, voglio provare a parlarvi di onestàraccontandovi di “Thank you for smoking”, un filmche sembra un vero e proprio inno alla disonestà.Nick Nayolr è un uomo che ha un solo grande talen-to: parlare. Alcuni lo chiamano sultano della persua-sione, altri lo definiscono semplicemente uno chespara cazzate. La verità è che lui fa solo il suo lavoro,cioè il lobbista. Cos’è un lobbista? Formalmente, ècolui che difende l’immagine delle multinazionali.Ma questa definizione, priva di sfumature, non aiutaa centrare il cuore di quella è una vera arte, piuttostoche un semplice mestiere. Il lobbista è una via dimezzo fra un avvocato e una star del cinema potrem-mo dire. Uno che di lavoro mantiene segreti e distor-ce la verità e che, soprattutto, è specializzato nell’a-vere sempre ragione. Nick Nayolr è il vicepresidente della Big Tobacco,un’accademia finanziata dai più importanti marchi disigarette statunitensi, che ha lo scopo (reale ma nondichiarato) di condurre degli studi inconcludenti, perevitare di ammettere che le sigarette siano nocive ediano assuefazione. La vicenda centrale del film, dacui prende vita il resto della narrazione, è la lotta diNick contro il senatore del Vermont Ortolan Finistirre,un vecchio e bigotto bacchettone con tendenze proi-bizioniste, che sfrutta la lotta alle sigarette per otte-nere consensi politici. La pellicola scorre, la storiaprende forma e di fotogramma in fotogrammaci accorgiamo che non è solo il nostro protago-nista ad essere l’anticristo dell’integrità mora-

le, ma che la disonestà serpeggia, più o menonascosta, in ogni angolo della società. Lo stessosenatore Finistirre, per esempio, è solo un’ipocritabanderuola. Se prima lo vediamo inneggiare alladistruzione di tutte le piantagioni di tabacco degliStati Uniti, un momento dopo lo troviamo a guidareun trattore, con gli occhi lucidi rivolti alle telecamereè ovvio, piangendo la rovina del contadino america-no. E non è da meno il vecchio Lorne Lutch, uomoimmagine della Marlboro in pensione, che accettauna ricca mazzetta pur di tacere sull’avanzare inarre-stabile del suo cancro ai polmoni Per non parlare, poi,della giovane e avvenente Heather, una perspicace

giornalista consapevole del fatto che il modo miglio-re per scucire informazioni riservate a Nick è di por-tarselo a letto. Quello che tratteggia il regista Jason Reitmanin “Thank you for smoking” è l’affresco di unasocietà in cui la verità è qualcosa da plasmare econtrollare, evitando il più possibile di parlar-ne. Una società dalla moralità elastica.C’è qualcosa però che salva Nick dal resto dellamelma, ed è l’amore che nutre per suo figlio Joey.Certo educare un figlio distribuendo mazzette edifendendo un business che può vantare milioni divittime ogni giorno non è una sfida facile. Ma Nick ciriesce. Come? Semplice, senza mai cercare di incul-cargli cieche convinzioni o verità, ma facendogli com-prendere la necessità di riflettere con la sua testa.Non è importante sapere se le sigarette faccianomale o meno, quello che conta è pensare facendo usodella propria intelligenza. Del resto, fa notare Nick, “cisarà sempre qualcuno pronto a dirti cosa fare e comeragionare”. Ed è in questa limpida e schietta lezionedi vita, nell’unicità di questo rapporto padre-figlio,forse non convenzionale ma reale e sincero, che pren-de forma l’onestà di Nick Naylor. Così vera e trasci-nante da farci tifare per lui dall’inizio alla fine del filmnonostante la sua sospetta e disarmante abilità nelgiocare con la realtà.

Dario De Liberis [email protected]

Chi l’ha detto che le sigarette danno assuefazione?

Ci sono due strade per vivere la vita: la prima èmolto lunga ma porta alla felicità di una vita tran-quilla, la seconda è breve e sembra meno faticosa,ma non farà altro che trascinare in un abisso senzafine. In questa prospettiva va analizzata la storia diRoy “Il genio della truffa”, interpretato da un bril-lante Nicolas Cage che non si spaventa di recitarele parti di un disonesto nevrotico, riuscendo adesaltarle e ad evidenziare ogni minimo dettaglioche rende la trama ricca di enfasi. Il film, direttodall'ormai affermato Ridley Scott, racconta levicende di questo artista della menzogna il qualedopo aver passato gli ultimi 15 anni della sua vitain un circolo di bugie, truffe e nevrosi, vede un pic-colo spiraglio di speranza nella comparsa della suafiglia adolescente, fino ad allora sconosciuta.Grazie alla comparsa della ragazza Roy riesce atrasformare la sua vita, fino a quel momento illu-soria e precaria, riprendendosi un po' di normalità,iniziando a trovare piacere nelle piccole cose dellavita di un genitore, come rimproverare la figliaquando rientra tardi, ma tutto questo viene inter-rotto dalla sua vera vita, quella vita che lo vede untruffatore, un bugiardo, un disonesto. In quel momento Roy capisce che non avreb-be potuto cambiare la sua esistenza senza dover pagare per tutto il male da luicausato; soltanto dopo aver pagato con tutto ciò che aveva guadagnato nelladisonestà riuscirà a cambiare le cose. La trama risulta scorrevole e avvincente gra-zie alle ottime inquadrature, nel quale si riesce a esprimere appieno la sofferenzadel protagonista. Il contrapporsi della luce esterna con le buie riprese

interne riesce a evidenziare il conflitto espo-sto in gran parte della pellicola, ossia la dispu-ta che c'è tra una vita onesta e felice e unavita disonesta, dedicata alla truffa, povera diaffetti e ricca di ossessioni, tra le quali il dena-ro. Con il personaggio di Roy si vuole rappresentarele conseguenze di una vita di menzogne: inizial-mente si potrebbe supporre che una vita meravi-gliosa sia quella in cui si possiede una bella macchi-na, una bella casa, ma tutto ciò è solo l'apparenza diuna visione molto più complessa. La macchina e lavilla sono solamente dei contenitori che rinchiudo-no il protagonista in un mondo di paure e fobie chelo rendono infelice e come la trama mostrerà, tuttequeste nevrosi non sono altro che il frutto di un'esi-stenza priva di valori e di affetti, che rende la propriavita infelice e misera. Ciò che veramente colpisce èche non tutto sia impossibile e cosi anche Roy, l'ar-tista della truffa, trova la sua redenzione attraversola figlia, e riesce a reinventarsi la sua vita come unottimo venditore di moquette, riuscendosi a creareuna famiglia, realizzando così il suo sogno: vivereuna vita realmente felice e con un lavoro onesto.

Francesco Lopa Romeo

Matchstick men

"Michael Jordan gioca a basket. Charles Manson uccide la gente. Io parlo. Ognuno ha il suo talento"

Il genio della truffa

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Tutti noi siamo a conoscenza della drammati-ca esperienza che ha colpito la regione abruz-zese e,ovviamente, anche tutta la nazione.Ci siamo stretti intorno ad uno schermo tele-visivo, con i cuori in mano, e abbiamo parteci-pato al dolore di chi ha perso tutto davanti aduna catastrofe naturale quale quella di unterremoto.Ma quante altre persone soffrono in Italia,come nel mondo, per i problemi quotidiani esoprattutto per le malattie?Esistono malattie molto gravi per le qualiancora non è stata trovata alcuna cura, per lequali la ricerca si sta movendo.Ma la scienza da sola non basta più, servonofondi, che lo Stato non può sempre dare;fondi che permettano l’acquisto di nuovimacchinari e di tutto ciò che serve per l’avan-zamento di una scienza che è indispensabile alla vita.Da qualche tempo mi interesso di una associazione ONLUS che si occupa dell’ac-coglienza dei bambini onco-ematologici: PETER PAN. Tale associazione,tra gli aiutiche offre, dà l’opportunità di usufruire di una casa di accoglienza che: “non è unasemplice struttura d’appoggio, bensì un posto caldo ed accogliente per tutto ilnucleo familiare, dove alleviare il dolore con la gioia, l’attenzione, la cura, unluogo che offre l’opportunità di condividere con le altre famiglie preoccupazioni esperanze, superando così l’isolamento tipico della malattia. Una Casa che è ancheun attrezzato centro di servizi.”

L’associazione raccoglie fondi in vari modi,per poi destinarli alla sua missione. Tra questici occuperemo ora delle rappresentazioniteatrali che Peter Pan organizza con la colla-borazione di vari teatri romani e di compa-gnie che si offrono gratuitamente di prestareil loro contributo.Dopo gli ultimi spettacoli di Natale e delmese di febbraio la compagnia teatrale“L’isola che non c’è” porterà in scena "Nonsparate sul Postino", di Derek Benfield.Roma,Teatro "In Portico" (Circ.ne Ostiense, 197), dal13 al 17 Maggio 2009. Il 10 maggio andrà inscena “Queste donne!!”, una rivisitazionedella commedia “Totò e le donne”all’Auditorium dei Due Pini (via R.Zandonai).Se siete interessati vi invitiamo a partecipare:per chi è amante del teatro gli si prospetterà

una serata molto interessante all’insegna del divertimento e, soprattutto, fareteun’opera buona che vi riempirà lo spirito. Nel nostro piccolo tutti noi possiamo fare qualcosa per aiutare il prossimo.

Giulia [email protected]

Una nuova cura

L’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico,fondata nel 1936 nel cuore di Roma, è uno dei maggiori cen-tri italiani d’insegnamento teatrale, famoso nel mondo per laqualità dei suoi diplomati e il ruolo centrale che riveste nelpanorama culturale. Per capirne di più abbiamo intervistatoun allievo del III anno, Simone, che ha fatto dell’Accademia ilpunto di partenza per costruire il suo futuro.L’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico è unavera e propria istituzione per chi sogna il mondo del-l’arte e dello spettacolo. Come vi si accede?Attraverso una selezione estremamente rigida. Nel 2006,quando mi presentai per l’ammissione, le richieste erano piùdi mille; fino all’anno precedente le classi formate erano due,ma poiché in Italia i fondi destinati all’arte mancano quel-l’anno è stata costituita una sola classe, quindi all’incirca unaventina di persone, ed io per fortuna ero tra quelle.Cos’è che ti ha spinto alle selezioni, il pensiero didiventare qualcuno o di fare qualcosa?In verità, all’inizio mi sono rapportato con leggerezza a que-st’esperienza, poi lavorando nel teatro è nata la passione e lavoglia di fare; e più fai esperienza più la voglia cresce. In teatro ogni sera, ogni rappresentazione ti da qualcosa didiverso, non c’è nulla di routinario. Questi tre anni hanno completamento stravolto la mia men-talità compitata; sono cresciuto attraverso un percorso personale anche travaglia-to, ma che col tempo mi ha dato davvero tanto, soprattutto a livello umano; vive-re e lavorare sempre in gruppo non è facile, ma ho capito che è la squadra che fala forza di un attore, perché il teatro è un lavoro di gruppo. Per questo amo fareteatro e per questo non c’è paragone con qualsiasi altro lavoro nel mondo dellospettacolo.La nomea dell’Accademia Silvio D’Amico è notevole. E la qualità delladidattica?Dall’anno in cui sono entrato io la situazione è molto cambiata. Al direttore LuigiMaria Musati, con nomina a vita, è stato affiancato un insegnante storicodell’Accademia, Lorenzo Salvati, regista teatrale di una certa fama, che ha datouna forte svolta qualitativa alla didattica.

L’unica nota stonata è che ritengo l’Accademia punti molto sullapreparazione tecnica e poco sul rapportarsi al fuori, al mondodel lavoro che nel nostro campo in particolar modo è un mare disquali. Ciò che si insegna è indice di quella che si vuol far esserela futura classe teatrale. Quali tendenze nell’Accademia?Si punta senz’altro più su rappresentazioni di classici, è difficilefare qualcosa di davvero moderno, forse anche erroneamente;l’Accademia è ancora legata a certi canoni.Quali prospettive vedete voi che nel teatro state inve-stendo il vostro futuro?Bella domanda. L’iter di un attore, una volta finito il percorso distudi è quello di affidarsi ad una agenzia che poi possa inserirtinel mondo del lavoro, però anche le agenzie prediligono l’aspet-to cinematografico e televisivo, molte non ti indirizzano neancheai provini teatrali, perché alla fine il teatro è una realtà molto dif-ficile, specie a livello economico, visto che un attore deve anchemangiare e in questo il teatro non aiuta; ad esempio, se si trattadi trasferte, a meno che tu non sia un attore già famoso, devipagarti anche alloggio e vitto, e di conseguenza del guadagnoeffettivo molto viene meno. La vera ricompensa è la risposta delpubblico. Quale definizione daresti dell’Accademia d’ArteDrammatica Silvio d’amico?

C’è una frase che ho sentito da un bambino “Il teatro è un luogo in cui non c’è nullama in cui può succedere di tutto”. È vero, per fare teatro bastano due persone e un’i-dea. L’accademia mi ha insegnato questo. La Silvio D’Amico è un’isola felice, la vedo come un posto privilegiato che ti tutela,dove sei chiamato a sbagliare, dove indaghi te stesso, sei obbligato a metterti allaprova.Mi ha insegnato che ogni sera sul palco lo spettacolo lo fai tu, col massimo dell’e-nergia che sai metterci, e lui, il pubblico, che ti guarda, ti approva, ti biasima, e fainsieme a te la magia di quell’attimo.

Chiara [email protected]

Accademia Silvio D’Amico: dal 1936 si crea teatro

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Essere attoreIl lavoro dell’attore, da sempre, ha affa-scinato generazioni di giovani sognato-ri e idealisti: un mestiere tutto protesoalla continua e incessante interpreta-zione di se stessi, dell’Io nella sua acce-zione più ampia. Interpretarsi significa“interpretare gli altri”, perché non-ostante la grande varietà del genereumano tutti noi viviamo comuni senti-menti: in fondo c’è un “pezzo” di noistessi in ogni altra persona; l’attore haproprio il compito di rivitalizzare tale“pezzo” e, dunque, di creare emozionicomuni.Paradossalmente, essere sestessi e interpretarsi è così difficile darichiedere lo

studio e l’applicazione di un metodo, una tecnica teatrale.Il metodo di studio teatrale moderno, unanimemente rico-nosciuto dalle maggiori accademie teatrali tra le qualil’Actor Studio, è quello ideato dal russo KonstantinStanislavskij, il maggiore teorico del teatro del Novecento.Stanislavskij condensa il suo pensiero nell’opera “Il lavorodell’attore su se stesso” e soprattutto nelle “Conversazioni”,tra le quali la celebre “Conversazione V”. Il primo compitodell’attore è quello di conoscere se stesso alla perfezione:studiare i propri stati d’animo e riconoscere tutti i sintomie le particolarità che si accompagnano al loro manifestar-si. Per esempio bisogna studiarsi quando si è arrabbiati,capire e memorizzare cosa si pensa in quei momenti, qualigesti si compiono, perché si diventa arrabbiati e cosa ci facambiare stato d’animo. Il principale ausilio per riuscire in

ciò è il cosiddetto training auto-geno.Successivamente bisognaessere capaci di riprodurre sulpalcoscenico i propri stati d’ani-mo in ogni loro manifestazione,ed è proprio questo l’aspetto piùesaltante e affascinante del tea-tro: interpretare un personaggiosignifica riempirlo di noi stessi,infatti Amleto arrabbiato o inna-morato siamo nient'altro che noiarrabbiati o innamorati. Dopoaver fatto ciò il passo successivo èquello di “amplificare” gli statid’animo del personaggio (ossia i

nostri), di accentuarli ma mai di falsificarli, dunque la dub-biosità tormentosa di Amleto è la nostra ma più accentua-ta di quella che mostriamo nella vita di tutti i giorni. Fattociò, il personaggio in sé è costruito ma necessita della suacomponente fondamentale: le relazioni con gli altri perso-naggi, con i luoghi scenici e con il pubblico, su cui l’attorelavora insieme al regista sempre tenendo fede all’architet-tura del personaggio appena disegnata. In conclusione èbene affermare che non c’è nulla di più sbagliato del pen-siero comune sul teatro: il teatro rispecchia la realtà cor-rente e ne accentua determinati aspetti, non è assoluta-mente un microcosmo falso e artefatto; recitare dunquesignifica essere e scoprire se stessi.

Filippo Di Iorio [email protected]

Quel pasticciaccio brutto dell’Ambra Jovinelli1908: iniziano i lavori per la costruzione, sulla scom-parsa piazza Guglielmo Pepe del Quartiere Esquilinodi Roma, di una graziosa palazzina in stile liberty,sede di un nuovo e innovativo teatro romano, cheaveva l’intento di diventare un punto di riferimentoper il mondo culturale della capitale. 2008: L'AmbraJovinelli, è sequestrato dalla guardia di finanza, nel-l'ambito delle indagini relative ad una maxi evasionefiscale che vede protagonista Giovanni LombardiStronati, proprietario dell’immobiliare che possiedelo storico edificio. Secondo l’accusa, LombardiStronati avrebbe rivenduto a società di leasing gliimmobili dopo pochi giorni dall’acquisto a un prezzomaggiorato. Le società, gonfiate di circa 194 milionidi euro, venivano poi depauperate con il dirottamen-to dei soldi sui conti correnti dello stesso LombardiStronati. I 194 milioni di euro sarebbero poi stati uti-lizzati per acquistare, tra gli altri, lo stesso Jovinelliche, data la situazione, potrebbe cambiare sede. «Inpassato il comune di Roma ha sostenuto con proprifondi l'Ambra Jovinelli al di fuori di bandi di concorso- dice Croppi, assessore alla cultura del Comune diRoma -. Soluzione questa che ora non possiamo piùfavorire. Però vogliamo essere vicini a questa vicendae nell'eventualità non si raggiungesse l'accordo per ilrinnovo del contratto d'affitto, stiamo ipotizzando lasoluzione di spostare l'Ambra Jovinelli in un'altrasede. D'altronde - spiega ancora l'assessore - la pro-prietà dell'Ambra Jovinelli è privata, come ilBrancaccio. Quello che possiamo fare è sostenerli neltrovare uno spazio adeguato. Ne ho già parlato anchecon Serena Dandini». Finirebbe, dopo un secolo dallasua inaugurazione (marzo 1909) un importantepezzo di storia di uno dei più famosi teatri di Roma,

oggi palcoscenico preferito di celebri autori di satira.Già dal momento della sua fondazione,il teatrodivenne meta di tutti gli artisti di arte varia in cerca diingaggio. Passato indenne attraverso la prima guerramondiale, subì però pesantemente la concorrenza delcinema, con il conseguente cambio di cartellone dalvarietà all'avanspettacolo. Il vaglio del fascismo poi,che impose dure leggi contro il teatro dialettale e lasatira politica, debilitò fortemente l'offerta del teatro.Gli incentivi per l'industria cinematografica, preferitaallo spettacolo non tecnicamente riproducibile,avviarono definitivamente il teatro verso il declino.Votato definitivamente all'avanspettacolo alternatoalle sole proiezioni cinematografiche, lo Jovinelli sitrasformò in cinema-varietà negli anni cinquanta,assumendo il nome Ambra Jovinelli. La motivazioneera semplicemente quella di dare al teatro maggiorevisibilità nei tamburini dei giornali che, vista l'inizia-le, lo avrebbero collocato nei primissimi posti dellalista dei cinematografi capitolini. Spesso, tuttavia,venivano organizzati incontri di boxe, concorsi canori,

cabaret e avanspettacolo. Con il progressivo avanzaredel tempo e la concorrenza di cinema prima e di tele-visione poi, l'Ambra Jovinelli ripiegò prima sulle soleproiezioni cinematografiche, poi sugli spettacoli dispogliarello seguiti da film di gusto affine. Negli annisettanta era diventato definitivamente un cinema aluci rosse. Il 29 aprile 1982 un incendio, causato da unmalfunzionamento tecnico, bruciò l'intera struttura,decretandone la definitiva chiusura e abbandono. Lafamiglia Jovinelli mise in vendita lo stabile, acquista-to nel 1990 da una società milanese che non rese notii progetti futuri per cui lo aveva acquistato. Nel lugliodel 1996 un gruppo di giovani artisti ed intellettuali sianimò per il recupero del teatro, organizzando all'in-terno della fatiscente costruzione una serie di spetta-coli teatrali e mostre monografiche con l'intento didestare attenzione nell'opinione pubblica. Forse pro-prio grazie a questa iniziativa, nel 1997 la facciatadello stabile fu posta sotto il vincolo del Ministero deiBeni Culturali, con l'obbligo per i proprietari di preser-vazione della stessa poiché considerata patrimonioartistico. L'anno successivo i proprietari del teatro pre-sentarono al comune di Roma una domanda per ilrestauro ed il recupero dell'intera struttura. I lavoridurarono fino al novembre del 2000, ed il 25 gennaio2001 l'Ambra Jovinelli venne riaperto come teatrocomico: la direzione artistica dello stesso venne affi-data a Serena Dandini.

Chiara [email protected]

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A metà strada tra Giotto e il Rinascimento:il Beato Angelico in mostra ai Musei Capitolini

E’ una gestazione indubbiamente lentae complessa quella che ha dato vita aifasti sempiterni del Rinascimento ita-liano.. Una sorta di percorso dalle innu-merevoli tappe che si snoda attraversosecoli bui, variegati da problematicheche difficilmente sembrano poterlasciare spazio e respiro a quell’anelitodi bellezza che sempre ha costituitol’indefettibile principio dell’arte.

Eppure, nonostante il clima storico-sociale tutt’altro che mite, proprio in questisecoli sono pian piano maturati quei fermenti intellettuali, quelle piccole rivolu-zioni stilistiche e tecniche che sono poi culminate nell’ineffabile perfezione rina-scimentale.Emblematico, dal punto di vista di questa concezione di graduale evoluzione del-l’arte, è sicuramente il Beato Angelico, autore che ad un primissimo, superficiale

esame potrebbe risultare ai piùuna sorta di pedissequo epigonodel celeberrimo Giotto, ma che,ad un’analisi più approfondita,rivela tutta la complessità di unaricerca intellettuale che gli haconsentito di incamminarsi suuna strada del tutto innovativa,che si diparte dal rigoroso e tal-volta impenetrabile “teocentri-smo”trecentesco, per sperimen-tare prospettive meno scolasti-che, seppur ancora molto rozzesotto taluni aspetti.

Colpisce delle opere esposte, soprattutto se messe a confronto con quelle attual-mente site al vittoriano in occasione della mostra “Giotto e il ‘300” (con le quali leprime hanno un’indubbia somiglianza dal punto di vista tematico e stilistico, inquanto successive di appena un secolo), colpisce, dicevo, una nuova dimensioneumana del soggetto sacro, concetto che apparentemente potrebbe suonare comecontraddittorio e quasi profano se contestualizzato nel quadro di quell’epoca!

Ed è proprio questa nuova attenzione alla fisionomia umana, in particolare volta aconferire maggiore realismo ai volti, alle espressioni di dolore e di passione (perquanto sempre legate ad un ambito “asettico” per antonomasia qual è quello teo-logico) che stigmatizza l’inizio di una nuova fase della storia dell’arte, e che pro-prio nell’antropocentrismo rinascimentale troverà il proprio indiscutibile apogeo.

Tiziana Ventrella

Futurismo: avanguardia della modernità

E’ il 1909 quan-do Il Futurismoirrompe sulpanorama arti-stico europeodalle pagine de“Le Figaro” peropera dell’ita-liano FilippoT o m m a s oMarinetti. E’

l’alba di un nuovo secolo, carico di aspettative e spe-ranze. Si immagina, si spera, fieri di una storia chesembra correre sotto i propri occhi, che siano anni dicrescita, di sviluppo, di sogni fino ad allora impensa-bili che si fanno realtà. Il Futurismo, avanguardia arti-stica egregiamente celebrata dall’esposizione alleScuderie del Quirinale, si fa visibile portabandiera diqueste istanze. E’ un movimento artistico che coinvol-ge le varie declinazioni dello scibile e dell’estroumano. Si impone tanto nella letteratura, quantonelle arti figurative, impregnandole di una filosofiafolle e sregolata. E’ la filosofia della modernità, cheesalta, con toni altisonanti, il progresso, la tecnica, lavelocità, il caos. Parafrasando il Manifesto di quest’a-vanguardia, il Futurismo è un grido allucinato, unasfida lanciata, dalla cima del mondo, alle stelle. Unasfida sfrontata che coinvolge, in pochi anni, l’interaEuropa. In Italia il nucleo originario e trainante, dove,nel 1910, la pittura futurista prende forma, con lapubblicazione del “ Manifesto dei Pittori Futuristi”. Inomi sono Balla, Boccioni, Carrà, Russolo. Sono pitto-

ri italiani che creano scandalo e sconcerto, vicini adaltri movimenti artistici internazionali: il Cubismo diBraque e Picasso, o i meno conosciuti Raggismo eVorticismo di matrice russa. Come nella letteraturafuturista si impone una scrittura che vuole esseremoderna e fluttuante, privata di aggettivi e di pun-teggiatura, arricchita di neologismi, in pittura si pro-pongono soggetti insoliti ed inesplorati. L’intento èquello di rendere il dinamismo, la velocità, la fuga delvivere moderno. Sono così i luoghi di questo viverecontemporaneo che si impongono: città, periferie,palazzi e camini, tram e strade. Le luci non sono quel-le naturali del sole o delle stelle, tantomeno emble-ma di presenza metafisica: sono quelle artificiali, èl’energia elettrica dei lampioni a illuminare il grigiocittadino (“Notturno a Piazza Beccaria” Carrà,“Officine a Porta Romana” Boccioni). La prospettivacambia, lo spettatore è nel quadro, vive di quel vorti-ce fragoroso che si trova di fronte. Linee diagonali araffigurare un turbinio di corpi, come ne “I funeralidell’anarchico Galli”, di Carrà. E i rumori, che sembra-no davvero infastidirci nell’approccio con questa pit-tura! Sono quadri che urlano, stridono, che racconta-no i suoni dell’acciaio, delle rotaie, degli ingranaggi diun mondo che si avvia a una modernità diffusa. IlFuturismo non avrà lunga vita, forse quegli stessicontatti con altre avanguardie, così preziosi nei primianni, ne indeboliranno le fisionomie. Ma sarà senzadubbio la guerra a spazzarne via l’entusiasmo propul-sore. Una guerra tanto desiderata, perché capace dispazzare via quanto ormai d’inutile e consunto.Emblema di forza, ma anche di un nuovo che incalza

e che si può imporre sulle ceneri di una civiltà distrut-ta. Per quanto effimera, è un’espressione artistica digrande intensità, capace di farsi comprendere confacilità anche ad un secolo di distanza. Un grido, quel-lo futurista, sebbene inquietante e forse pericoloso, digrande interesse. Anni che parlano in questi quadri,che ci raccontano un sentire impensabile e lontano,riecheggiando passioni ancestrali. Una mostra, quel-la romana, sicuramente capace di illustrare la storia diquesto movimento tanto atipico con grande maestriae sagacia. Visitarla è senza dubbio un ottimo modoper conoscere quest’insolita arte. Arte di grandepotenza evocativa ed elevata rielaborazione intellet-tuale.

Teresa [email protected]

Il piacere di riscoprire le diverse fasi di un’Arte in continua evoluzione..

Magistrale esposizione alle Scuderie del Quirinale dedicata al Movimento artistico che inaugurò il XX secolo

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Il maestro giapponese della natura per la prima volta in Italia con 200 opere, in un percorso dinamico ed interattivo

Uno dei più grandi artisti giap-ponesi di ogni tempo in mostra,per la prima volta in Italia, nellacapitale fino al prossimo 7 giu-gno, presso le sale del MuseoFondazione Roma. Utagawa Hiroshige, nato ad Edonel 1797, pittore ed incisore, èstato un artista capace di rap-presentare la natura nella sua

dimensione più armonica, trasmettendo con i suoi lavori una profonda intensità,attraverso la quale ricercare la dimensione religiosa più intima. Tra i principali pae-

saggisti giapponesi dell’Ottocento, Hiroshige,in queste 200 opere esposte, è in grado di avvi-cinare l’uomo alla natura che lo circonda,proiettando la realtà terrena nella più ampiadimensione del cosmo. Non trascurabile, inoltre, l’influenza che l’arti-sta ha esercitato sulla pittura europea impres-sionista e post-impressionista, aspetto che sipuò facilmente cogliere analizzando le treriproduzioni di opere di Van Gogh presentinella mostra, direttamente ispirate ai motivi eai capolavori giapponesi. L’esposizione si articola in cinque sezioni bendistinte: la prima, intitolata “Il mondo dellanatura”, vede come protagonisti assoluti pian-

te, fiori, uccelli e pesci, tutti uniti in un armonico, indisso-lubile rapporto con l’uomo. Attraverso le altre quattroaree del percorso espositivo, invece, si ripercorrono lestrade, i luoghi e le città di un Giappone ormai scompar-so, che l’artista ci presenta in tutta la sua affascinanteatmosfera.Particolarmente interessante, poi, è la quinta ed ultimasezione, intitolata “Il vedutismo di Hiroshige nella primafotografia giapponese”, perché rende, attraverso un accu-rato accostamento pittura/fotografia, il notevole influssoche il maestro ha avuto sull’immaginario dei “nuovi artistidel mezzo visivo”: i primi fotografi.Assolutamente degna di menzione, infine, è la complessi-va organizzazione dell’allestimento, attentamente curatae studiata affinché il visitatore si introduca, quasi siimmerga nell’affascinante universo giapponese. Uno stimolante e curioso percor-so interattivo, infatti, guida e accompagna il visitatore, rendendo ancor più coin-

volgente l’esposizione; simpatici tim-bri orientali da apporre su un apposi-to “quaderno di viaggio”, ideogrammida riprodurre su appositi pannelli epoi luci, colori e atmosfere orientali lotrasportano, così, nel meravigliosomondo di Hiroshige.

Stefano Bini

La fotografia, la musica e il cinema insieme a sostegno del pianeta

Preparate la valigia… arriva Nat Geo Music Live!

Da oltre un secolo i fotografi del NationalGeographic raccontano con la loro arte la vitae i cambiamenti della Terra. La città di Romaha avuto l’onore di ospitare fino al 30 marzoscorso, presso il Palazzo delle Esposizioni invia Nazionale, la mostra “Acqua aria fuocoterra”, un inno alla vita e allo stesso tempo l’e-spressione del grido disperato del pianeta. Laraccolta di 92 fotografie, organizzata in sezio-ni, una per ogni continente, è stata un signifi-cativo richiamo all’attenzione: la Terra sta

cambiando a velocità allucinante e il delicato equilibrio uomo- natura è a rischio,questo è sotto gli occhi di tutti (anche di qualche “negazionista”). I fotografi-arti-sti sono tra i veterani di NG, globe-trotters che dedicano la vita alla passione per lanatura e per la divulgazione: tra loro Paul Nicklen, il “fotografo dei ghiacci”, eMichael Nichols, che nel 1999 si distinse per la leggendaria impresa Megatransect,456 giorni di cammino tra il Congo e il Gabon, alla scoperta di orizzonti inesplora-ti. L’incisività di quelle fotografie era tale che la nostra attenzione è stata inevita-bilmente convogliata verso i ritratti dell’Europa, nonostante paesaggi esotici, fon-dali marini e tramonti nel deserto siano di norma i più apprezzati. Il visitatore era

invitato a percorrere un itine-rario circolare e ad ammiraresu entrambi i lati non solopaesaggi rigogliosi, maanche soggetti forti, come iritratti di popolazioni sudasiatiche, proposti dal “foto-grafo di Marco Polo”, MichaelYamashita. Quindi, il centrodella sala era dedicato all’o-pera speciale di cinque foto-

grafe, tra cui la (scomparsa)fotoreporter di guerraAlexandra Boulat. Tuttaviaalla mostra, fra l’altro gratui-ta, non sono stati dedicatiuno spazio ed una pubblicitàsufficienti e i visitatori eranopiù spesso attratti dall’espo-sizione su Darwin nell’alaantistante.Anche il mondo della musicasi muoverà per celebrare l’Earth Day, il prossimo 22 aprile: proprio a Roma, a piaz-za del Popolo, avrà luogo il Nat Geo Music Live: tra i performers, Ben Harper, cherenderà omaggio all’Italia, da cui manca da più di un anno, e presenterà un nuovoalbum con la band Relentless7; e poi Subsonica, Nneka, Bibi Tanga & The Selenites.L’evento sarà naturalmente ad impatto zero, perché saranno creati 99mila mq diforeste in Costa Rica e 20mila mq nella Valle dell’Aniene; sarà inoltre trasmesso indiretta su Nat Geo Channel (canale 710 Sky). Sempre il 22 aprile, uscirà nelle sale “Earth”, il documentario prodotto daDisneynature, che racconta di tre famiglie di animali e del loro sorprendente viag-gio attraverso il pianeta che consideriamo la nostra casa. “Earth” combina imomenti più intimi della vita col sapore di una storia epica, sullo sfondo di scena-ri impossibili.In attesa dell’apertura dell’expo World Press Photo 2009, presso il Museo di Romain Trastevere dal prossimo 8 maggio…

Francesca Di Nuzzo

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La redazione consiglia:

L’amore non è bello, L’amore non è bello, te lo assicura Dentete lo assicura Dente

Cantautore, ma senza esagerare. In Italia, suonare la chitarra acustica e comporretesti ti immette automaticamente in un solco, quello dei cantautori, pieno zeppodi grandi maestri e di confronti impietosi. Dente, dietro il cui nome d'arte sinasconde Giuseppe Peveri, è originario di Fidenza, inizia la sua attività musicalea diciotto anni, prima come chitarrista di un gruppo musicale chiamato Quic ed inseguito come membro dei modenesi La Spina, con i quali pubblica due album. Dal 2006 intraprende la carriera solista, firma un contratto con l'etichetta indi-pendente Jestrai e pubblica il suo primo album intitolato “Anice in bocca”.Con il tempo inizia a farsi un nome sulla scena indie-pop. Lo fa sposando i suoitesti, che mescolano ironia, malinconia, surreale, con arrangiamenti che riman-dano un po' ai Kings of Convenience o ai Belle & Sebastian.Nel 2007 pubblica il suo secondo album “Non c'è due senza te”, che si piazza tra ifinalisti del Pimi (Premio Italiano della Musica Indipendente) come miglioralbum. Sempre nel 2007, con la collaborazione di affermati musicisti della scena indipen-dente realizza il mini album “Le cose che contano”, che contiene quattro brani popdalle venature jazz.Dopo aver partecipato, con la canzone ”Beato me”, al progetto Il paese è reale degliAfterhours, il 14 febbraio 2009 pubblica l'album “L'amore non è bello”, primo editocon la Ghost Records. L'album è anticipato dal singolo “Vieni a vivere”, che grazieanche al videoclip girato a Venezia, ottiene una più ampia visibilità nei confrontidel pubblico. L'album vanta la collaborazione di musicisti come Roberto dell’Eraed Enrico Gabrielli.

E’ il 2004, un anno come tanti forse, ma cer-tamente ricco di avvenimenti. La RAI compie50 anni, la Rolls Royce più datata festeggia ilcentenario, Michael Jackson viene accusatodi abusi su un minorenne e i Queen diventa-no il primo gruppo rock occidentale autoriz-zato ufficialmente a vendere un proprioalbum in Iran. E’ nel contesto folle eppurenormale di questi eventi che nel Regno Unitocomincia a farsi notare una nuova band, ed èsempre in quest’anno che la band in questio-ne viene travolta da un immediato successopubblicando il suo primo album, Hot Fuss.Per chi ancora non l’avesse capito stiamoparlando proprio di loro, i Killers. Gruppo sta-tunitense di Las Vegas fondato dal cantanteBrandon Flowers e dal chitarrista DaveKeuning, al quale successivamente siaggiungono il bassista Mark Stoemer e ilbatterista Ronnie Vannucci. L’indie rock è lafede che li distingue e che rende l’unicità deiloro brani perfettamente riconoscibile dallesonorità ben più differenti dell’indie rockdella vecchia scuola, quello inglese dei FranzFerdinand o degli Artic Monkeys. La loro seppurbreve carriera viene segnata da importanti successicome la vittoria agli MTV European Muisc Awards del2006 per la categoria “best rock”, e sempre dello stes-so anno è l’uscita del loro secondo album, Sam’s

Town dal quale viene estratto il singolo “Bones”, cheli porta ad una collaborazione di tutto rispetto con ilregista Tim Burton che si occuperà di girarne il video.In quanto a collaborazioni faranno l’en plein inciden-do il brano Tranquilize con Lou Reed, l’ex frontmandei Velvet Underground. I Killers non si fermano e

pubblicano una raccolta di b-sides, "Sawdust", eper finire esce il loro ultimo album, "Day AndAge", il 25 novembre dello scorso anno. Sarannodi nuovo in Italia il 14 Luglio all’Ippodromo delleCapannelle per uno strepitoso concerto live con iFranz Ferdinand, dove potremo veder confron-tarsi l’indie rock inglese con quello americanodei Killers, più impegnato nella sperimentazio-ne di nuove sonorità elettroniche che si differen-ziano nettamente da quelle più scandite dellaband scozzese, tendenti a una ripresa dellamusica elettronica degli anni ‘80.Ma alla fine cos’è di questo gruppo che riesce adaffascinarci in modo così incondizionato e pro-fondo? E’ la passione dei testi e l’originalità degliarrangiamenti, i temi esistenziali di “Human”, ildolore di “When you were young”, il saporevagamente orientale di “Read my mind”. E chedire di Mr Brightside? Beh, un singolo che perme resterà nella storia: l’intro alla chitarra elet-trica, la batteria che si intromette prepotente-mente e la voce unica di Flowers che comincia araccontare la storia di se stesso, del “Signor

Ottimista”, una storia di amore e gelosia la sua, storiache infondo è quella di tutti noi.

Evelina Montefiori

The K i l le r s : i l Boom De l Nuovo Ind ie RockThe K i l le r s : i l Boom De l Nuovo Ind ie Rock

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Avete voglia di fare un tuffo nel passato e di rica-ricarvi con una forte scarica di adrenalina? Bene,la musica dei Queen è ciò di cui avete bisogno. Lastoria di una grande rock band può apparirespesso come un processo casuale, in cui gli avve-nimenti sembrano rispondere a un disegnocomplessivo: la suggestione della musica avvici-na persone diverse unendole in un sodalizio arti-stico e umano unico, nel quale ogni elementoconcorre a creare lo spirito del gruppo, quellaspecie di magia che pervade suoni e melodie e

permette di lasciare il segno. I Queen (formati da Brian May, Roger Taylor, JohnDeacon e dal front man Freddy Mercury) sono il frutto dell'incontro irripetibile diquattro personalità fortemente caratterizzate basato, nonostante le apparenze,sull'armonia delle rispettive potenzialità artistiche, su una grande amicizia e sulrispetto di ogni singolo membro della band, volto a creare un sound regale e unico.Grazie al carisma, al genio e alla determinazione del loro leader, il gruppo riesce adottenere da subito un grande successo. Freddy cambiò il nome della band dall’ini-ziale Smile al più forte Queen, estremamente universale ed immediato; inoltrecreò il mitico logo della band, che include i segni zodiacali dei quattro componen-ti, sovrastati da un'araba fenice, uccello mitologico conosciuto per la capacità diritornare in vita dalle sue stesse ceneri. Subito dopo l’ottimo esordio dei primialbum negli anni ’73-‘74, è il 1975 l’anno della consacrazione mondiale. A Night atthe Opera è infatti non solo l’album più costoso del tempo, ma anche quello checontiene una delle canzoni più famose, ovvero Bohemian Rhapsody, scritta intera-mente da Mercury, che esprime al meglio l’ecletticismo della band, un’opera d’ar-te a tutti gli effetti, ottenuta mescolando sapientemente ballata, assolo di chitar-ra, opera e Hard Rock. Dopo il ’75 i Queen sono in costante ascesa, sapendo ade-guare costantemente la loro musica ai mutamente culturali e sociali dei vari anni.

Nel 1977 nascono le mitiche We Are the Champions e We Will Rock You, due famo-se hit da stadio. Gli anni ’80 sono gli anni dei sintetizzatori, che i Queen introduco-no per la prima volta nei loro pezzi, con Another One Bites the Dust ed un’altra can-zone simbolo dell’immortalità della loro musica, la magnifica Who Wants To LiveForever (1986). Dopo moltissimi concerti contestate esibizioni live, il mitico LiveAid, i Queen hanno una pausa di tre anni, per tornare con un altro successo nel1989, I Want It All. Il 1991 è l’ultimo anno in cui la band pubblica i suoi successi,con l’album Innuendo, una specie di testamento e di regalo che il gruppo, masoprattutto Mercury, hanno voluto lasciare ai loro fan, che contiene la bellissimaomonima canzone, una piccola opera rock, composta di varie parti tra cui un asso-lo di flamenco. Con questo album si chiude la carriera dei Queen, a causa della pre-matura morte del loro storico ed inimitabile leader. I Queen fino alla fine hannorealizzato un pezzo della storia della musica, della cultura e del modo di intende-re il rock; l’ecletticismo di Freddy, miscelato alla sapiente bravura di chitarre e per-cussioni, trasformava ogni loro singolo concerto in uno spettacolo molto appari-scente, spesso memorabile, dove indossavano un abbigliamento stravagante, chetrasformava ogni loro concerto in uno show, e le performance di Mercury creava-no un rapporto molto intenso e coinvolgente con ilpubblico, come solo lui sapeva fare. Nessuno riusciràmai a sostituirlo. La sua era una voce fuori dal comu-ne, con un’emissione vocale incredibile; riusciva infat-ti a raggiungere note molto alte senza emettere peròsuoni troppo sottili. Inoltre aveva un carisma, una per-sonalità ed una sensibilità inimitabili, che riuscivano acoinvolgere e sconvolgere chiunque gli stesse accanto.E come la fenice rappresentata nello stemma, la musi-ca dei Queen è destinata a rimanere immortale.

Michela Pozzi

Queen: The Show Must Go OnQueen: The Show Must Go OnLa band che riusciva a tenere il pubblico nel palmo di una mano

Le sacre sinfonie del Maestro BattiatoUNA MISCELA ALCHEMICA DI POESIA E FILOSOFIA, IRONIA E SPIRITUALITÀPersonaggio schivo e del tutto estraneo alla vita mondana, Franco Battiato ha sempre lasciato che fossero le sue creazioni a far par-lare di sé. Creazioni, non semplici canzoni, ma emozioni tradotte in parole e musica, che sgorgano direttamente dall'anima perlibrarsi nell'aria. E poi Battiato non è solo cantante e compositore, ma anche pittore, scrittore e regista. Personalità fra le più eclet-tiche e all'avanguardia del panorama artistico-musicale italiano, ha attraversato molteplici fasi. Dagli inizi romantici alla musicasperimentale, passando per l'avanguardia colta, spaziando dalla classica al pop, dall'opera lirica alla musica etnica, è riuscito nell'ar-duo compito di attuare contaminazioni tra questi generi e molti altri ancora, cogliendo sempre un grande successo di pubblico e di critica. I molteplici interessi del com-positore siciliano - tra i quali la filosofia, l'esoterismo e la meditazione orientale - si riflettono nei suoi testi, una miscela alchemica di ironia e profondità. Attorno ai dician-nove anni, Battiato si trasferisce a Milano e qui, dopo qualche anno di gavetta, ottiene i primi contatti discografici. Pubblicati diversi 45 giri di non considerevole succes-so (semplici e commerciali canzonette d'amore o d'influenza beat), prende coscienza di essere del tutto estraneo al contesto che lo circonda e, con ammirabile coraggio,rompe senza esitazione ogni contatto che lo lega a quel mondo discografico falso e deplorevole. Segue un breve periodo di crisi personale, superato solo con l'aiuto didue nuovi fortissimi interessi, che da lì in poi caratterizzeranno il suo modo di essere e di concepire l'arte musicale: il sufismo dei mistici mediorientali e la musica elet-tronica. Alla fine degli anni Sessanta si avvia infatti all'esplorazione dei sintetizzatori, facendo da precursore nel nostro Paese nella sperimentazione di questa nuovaforma di espressione musicale. Diventato in breve leader radicale della nascente seppur povera scena underground italiana, dà vita al suo primo 33 giri, il rivoluzionarioFetus, shockante sin dall'immagine di copertina, e attua la distruzione del formato canzone nei successivi tre album. Conclusa la prima fase sperimentale, il composito-re si avvia ad abbandonare quasi del tutto l'elettronica, dedicandosi alla composizione classico-avanguardista colta, ma, da trasformista qual è, pubblica L'Era DelCinghiale Bianco, disco pop dalla sensibilità unica, piacevolmente orecchiabile e al contempo dotato di incredibile raffinatezza poetica. Basso, batteria, tastiere, piano-forte e violino accompagnano magistralmente pezzi visionari e malinconici, ma a toccare l'ascoltatore è proprio la voce in falsetto dell'autore, che partendo dal vuoto siestende a dipingere un “Oriente virtuale”, come lo stesso Battiato lo ha poi definito. Nei successivi lavori l’istrionico artista recupera un più marcato uso dei suoni elettro-nici, mentre i testi si fanno più ironici, senza mai perdere il loro carattere evocativo, o addirittura assumono la forma di geniale pastiche di letteratura, pubblicità, politi-ca, filosofia e religione. Seppur velata d'ironia, non manca mai la critica spietata alla società in piena crisi ideologica e alla continua ricerca di denaro e di benessere.Ripercorrendo l'immensa discografia di Battiato, sono innumerevoli i dischi fondamentali di quest'artista dal fascino magnetico, mai pago e sempre alla ricerca di sé e diun ideale centro di gravità permanente. Spinto da un crescente desiderio di spiritualità, nei primi anni Novanta il musicista si evolve in cantautore-fiolosofo. Ne deriva-no dischi ipnotici e densi di religiosità, e a partire dal 1994 nasce la preziosa collaborazione con il filosofo suo conterraneo Manlio Sgalambro, che da quel momento inpoi sarà autore di quasi tutti i suoi testi, spesso contraddistinti da plurilinguismo e atmosfere surreali. Negli anni seguenti alterna canzoni colte a lavori più classici, ripren-dendo le innovazioni pop, ma filtrandole con i vortici di misticismo che lo assalgono. A testimonianza della sua irrequietezza artistica, il cantautore di Jonia si cimenta

da tempo nella pittura, mediante una sorta di esperimento di autoanalisi e miglioramento di se stesso, e dietro la macchina da presa.Dopo Perdutamor, in larga parte autobiografico e con il quale si è aggiudicato il Nastro d’Argento come miglior regista esordiente, eMusikanten, personalissimo tributo all’opera del compositore Ludwig Van Beethoven, ha da poco firmato il suo terzo film, Niente è comesembra, perfetta sintesi del Battiato-pensiero, al quale ci si può accostare anche attraverso i diversi libri che ha scritto. Fedele solo al suomondo interiore, l'artista siciliano riesce a conferire ai suoi lavori un’invidiabile lucidità nel sezionare le patologie del quotidiano, rifug-gendo la superficialità e i luoghi comuni, scardinando le comuni e illusorie sicurezze, cercando di conoscere prima di tutto se stesso, fer-mamente convinto che non ci sia niente di peggiore della “prigione della non ricerca”. Ogni volta, però, che si tenta di descrivere con leparole le intense emozioni, scaturite dall'opera di un genio, si è irrimediabilmente condannati a fallire. Vivere la sua musica con tutti isensi resta perciò l’unico modo possibile per stabilire un contatto con il suo regno metafisico, esplorarlo e far sì che a sua volta entri den-tro di noi, fino a toccare le corde più intime dell’anima, perché non c'è niente di più dolce dell'abbandonarsi all'estasi, rapiti e inebria-ti dalle sacre sinfonie del Maestro Battiato.

Marco Parigi

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Forse un mattino andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedròcompirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con unterrore di ubriaco.La terra di sopra trema scossa da grandi rovine, quando di sotto il tempoha scalzato vaste spelonche; giacché cadono interi monti, e alla grandescossa d'un tratto, tremori di lì si diffondono serpeggiando per ampiospazio. Allora le case che sono costruite sulla terra e tanto più quelle chepiù s'innalzano verso il cielo,s'inclinano e restan quasi sospese, tratteverso la stessa parte, e le travi, spinte fuori, pendono pronte a cadere. Esi rifugge dal credere che un tempo di distruzione e rovine incomba sullanatura del vasto mondo.Ci sono cose in un silenzio che non aspettavo mai; vorrei una voce, eimprovvisamente ti accorgi che il silenzio ha il volto delle cose che haiperduto.Nel silenzio prendono forma i nostri pensieri i nostri sentimenti, le nostreemozioni. I silenzi vanno ascoltati essi parlano più di mille parole...Il silenzio è la voce delle nostre emozioni. Sembra un paradosso, ma saurlare a tal punto da sconvolgerci. C'è il silenzio del cielo prima del tem-porale, delle foreste prima che si levi il vento, del mare calmo della sera,di quelli che si amano, della nostra anima, poi c'è il silenzio che chiedesoltanto di essere ascoltato.C’è silenzio quando vanno via i bambini e la casa resta vuota di rumori.C’è un silenzio forte dopo un abbandonoC’è un silenzio che ti spegne finoal sonno; quando ho guardato il cielo non aveva più colori né infinito…..In questo silenzio chissà in quanti che hanno un vuoto eterno e di spalleal mondo intero. In questo silenzio chissà in quanti stan gridando, pian-gendo un vuoto immenso e di nuovo spalle al muro.Tutto il resto è silenzio.Disperazione che incessante aumenta. La vita non è più arrestata infondo alla gola, che una roccia di gridi.Sovrumani silenzi.Ci sono silenzi che costruiscono enormi castelli nelle nostre anime scos-se; e noi raccogliamo in essi bauli di parole, di emozioni.Nel silenzio resto qui, dentro questa stanzasenza stimoli passo il tempoa chiedermicosa posso fare,dove posso andare.Poi….recuperato il fiato……ho sentito in me coraggio e ho continua-to…..Per non aver paura…del silenzioPer non aver paura…del silenzio.

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È quando ti rimane solo la vita e nient'altro che comprendi il privilegiodi ogni respiro.I’m still alive, but I’m barely breathing. Rubi minuti alla sera. Li chiami: "Vita". RespiriAnd life is like an hourglass glued to the table, no one can find the rewind button girl, so cradle your head in your hands and breathe… just breathe.People talking without speaking, people hearing without listening.Ho vissuto migliaia di vite cercando la mia.Non v'è amore per la vita senza disperazione di vivere.È uno strano dolore... morire di nostalgia per qualcosa che non vivraimai.Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge all’in-contrario. Tutto è chiaro.Dal momento in cui viene riconosciuto, l'assurdo diventa la più strazian-te di tutte le passioni.Tutto ciò che esalta la vita ne accresce, nello stesso tempo, l'assurdità.Egli rimane in questo mondo assurdo, ne accusa il carattere caduco,cerca la propria via fra queste macerie.Volevo dire che io la voglio, la vita, farei qualsiasi cosa per poter averla,tutta quella che c'è, tanta da impazzirne, non importa, posso ancheimpazzire ma la vita quella non voglio perdermela, io la voglio, davve-ro, dovesse anche fare un male da morire è vivere che voglio.Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni,e poi la vita ti risponde.Spesso ci si imbatte nel nostro destino proprio lungo la strada per evi-tarlo.Così fa il destino: potrebbe filar via invisibile e invece brucia dietro di sé,qua e là, alcuni istanti, fra i mille di una vita. Nella notte del ricordo,ardono quelli, disegnando la via di fuga della sorte. Fuochi solitari,buoni per darsi una ragione, una qualsiasi.Uno ha una nota, che è sua, e se la lascia marcire dentro... no... statemia sentire... anche se la vita fa un rumore d'inferno affilatevi le orecchiefino a quando arriverete a sentirla e allora tenetevela stretta, nonlasciatela scappare più.Ssh, no, non guardare fuori…Dalla finestra. Il rumore. E’ dentro ...

Al tempio c’è una poesia intitolata “La mancanza” incisa nella pietra. Cisono tre parole…ma il poeta le ha cancellate. Non si può leggere lamancanza, solo avvertirla.

IL SILENZIO DEL RUMORE

Michela PettiAlessandra Rey

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Sveglia all’alba, corsa con imezzi, otto ore di fila sotto ilcaldo asfissiante, gomitate espintoni per entrare e saltiacrobatici per riuscire a scorge-re qualche angolo di quadrodalla massa di teste curioseche si accalcano presuntuosa-mente…Questa la comuneroutine per l’ingresso in unmuseo. Ma da oggi non sarà più cosi,almeno per il Guggenheim diNew York e almeno per chi dibigliettoni ne può sganciare a

volontà.Se volete fare un bel regalo alla vostra donna per il vostro ennesimo anniversarioe avete ormai, inevitabilmente, consumato ogni briciola della vostra fantasia, ilParadiso sulla quinta avenue della Grande Mela vi offre una nuova occasione di

superare voi stes-si, per la gioiadelle vostreamate e la dispe-razione del vostroportafogli: unal u s s u o s i s s i m anotte al museo,non tra dinosaurie indiani cheprendono vita,come nel celebrefilm, ma tra ilrelax di un granletto su piattafor-

ma girevole ed il piacere di gustare tutte le opere d’arte all’interno in pigiama, dasoli, senza quelle odiate teste curiose accalcate davanti a voi. Un mix perfetto per gli appassionati, che potranno finalmente assaporare quelle

amate creazioni astratte, coinvolgenti emisteriose nel massimo della comodità,senza essere disturbati. Ma non solo. Achi non piacerebbe un’esperienza delgenere? Il servizio è davvero di classe: nei“miseri” 800 dollari di listino sono com-presi il bagno, la doccia, ciabatte e vesta-glia ed anche una ricca prima colazione,ovviamente servita “in camera”, tra unPicasso e un Gauguin. Ed il sogno finisce: tutto torna pulito, l’incantesimo svanisce e si riaprono i cancel-li alle 10 in punto.L’arte sposa la fantasia, il lusso, il sorprendente, ed ha successo. Una fiaba un po’costosa ma indimenticabile. Nell’attesa che anche i musei europei ed italiani si attrezzino per sfamare questocapriccio artistico, a noi comuni mortali non resta altro che comprare un elegantepigiama nella speranza che i sogni diventino realtà…

Cassandra Menga

L’ARTE… IN PIGIAMA!L’ARTE… IN PIGIAMA!Una notte nel paradiso della quinta avenue

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Il popolo dei vegetariani è più complesso Il popolo dei vegetariani è più complesso di quello che sembradi quello che sembra

Tra i vegetariani troviamo rockstar e dittatori, attrici e scienzia-ti, modelle e anarchici, vecchi hippie e nuovi emo. La domandaè: cos’hanno in comune queste categorie?La risposta è tutto e niente. Essere vegetariani non è una reli-gione (anche se i fanatici integralisti esistono) e non è unamoda. Meglio: chi lo fa per moda non resiste per più di due set-timane. I vegetariani di cui parlo io non mangiano carne daanni. Non mangiano nemmeno pesce ma non sono necessaria-mente vegani, cioè quelli che non mangiano nemmeno uova ederivati del latte. Navigando su internet si legge che la maggior dei vegetariani èdonna, con istruzione medio alta, e che lo fa per motivazionisalutistiche, oltre che animaliste. Tuttavia non mancano vege-tariani di sesso maschile che lamentano, oltre alle solite accusedi buonismo, comunismo, buddismo, integralismo e deficienza, comuni anche alledonne, anche quella di omosessualità. Per motivi che non staremo qui a specifica-

re, vorrei ancheaggiungere che ledonne vegetaria-ne sono, percolmo dell’assur-do, spesso accu-sate di lesbismo.Capisco lo stereo-tipo da parruc-chiere “dimmicome mangi e tidirò come faisesso”, ma da quial “dimmi comemangi e ti dirò

con chi fai sesso” arriviamo ai confini della normalità.Io sono vegetariana da otto anni, tre quarti dei quali passati a rispondere a battu-te idiote, affermazioni pseudo-scientifiche e risatine sarcastiche di mangiacada-veri che si ingozzavano di carne cruda davanti a me credendo di farmi impressio-nare. Tuttavia nei miei anni di militanza silenziosa ho imparato a resistere ai com-menti più imbecilli, tenendo a bada l’impulso di diventare cannibale per un gior-

no. C’è da dire che se poi molti diventa-no militanti rompiscatole è perché ivegetariani in Italia sono una delle cate-gorie più bistrattate: un po’ meno degliemo e un po’ più dei nerd. La vita di unvegetariano italiano è piana di ostacoli:nei supermercati è già tanto trovare unamarca di hamburger di soia (di solitosurgelati), mentre le mense universita-rie considerano la mozzarella e lo strac-chino alternative sufficienti; nei risto-ranti, a meno che non siano orientalivivaddio, mangiamo solo tristi paste alsugo e verdurine grigliate. Le feste in

famiglia poi, sono un dramma: stai digiuno la maggior parte del tempo. Capita quindi di incontrare ecoterroristi, ovvero animalisti estremisti, e superpaci-fisti; nevrotici astemi e adolescenti turbati; ma c’è pure chi lo fa perché ha scoper-to, guarda un po’, che oltre a far bene all’ambiente, fa bene alla salute...

Chiara Sfregola

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Made in Italy, loved in U.K.Storie di italiani all’estero, e di campanilismo d’interesse

Il mondo è globalizzato.Con un facile sillogismo si arriva alla conclusionelogica che anche il calcio sia globalizzato.Principio finora ignoto a noi italiani, tranne cheper determinate situazioni.Ci sono squadre che non schierano quasi più gio-catori italiani; vanno a fare razzie in Sudamericavalorizzando vivai di mezzo mondo; ma poi sistupiscono e soprattutto si lamentano di quandoi nostri giovani se ne vanno a cercare successoall’estero, dove hanno più spazio ed attenzioni.

L’argomento, sotto le luci dei riflettori da poche settimane, ha radici ben più pro-fonde.Federico Macheda, Chicco per gli amici, ha scoperchiato solo la polveriera dei cal-ciatori Italiani nello United Kingdom. Kiko, come lo chiamano in Inghilterra, fino aqualche settimana fa era uno sconosciuto; poi Sir Alex Ferguson (non un allenato-re, bensì L’Allenatore) gli dà la chance della vita e lui la sfrutta al massimo. Partitatesissima contro l’Aston Villa. Minuto 76, risultato sul 2 a 2, Kikocon l’incoscienza di un ragazzino in area di rigore, danza sul pallone e con undestro a giro segna. 17 anni, gol all’esordio in Premier da 3 punti. Da Urlo. Tutti abocca aperta. Da suo padre che rischia grosso fiondandosi giù dalle scalinate perabbracciarlo, a Sir Alex Ferguson, a Lotito che lo lasciò partire senza venire incon-tro alle ragionevolissime richieste dei Macheda.Adesso premiamo il tasto Rewind.Giuseppe Macheda è un emigrato calabrese a Roma; si fa in quattro per fare gio-care suo figlio Federico nelle Fucine di mezza Roma che forgiano calciatori di suc-cesso. Succede che Kiko ce la fa e raggiunge la primavera della Lazio. Un bel gior-no si trovano a passare da Roma degli osservatori del Man Utd in Italia per visio-nare Paolomo (giovane promettente), ma non ci vuole molto per persuaderli cheMacheda è in realtà quello che cercano. Fissano l’incontro con la famiglia e le paro-le, sebbene in una lingua straniera, sono chiarissime: “Federico, you’re the Man”.Walter Sabatini, d.s. della Lazio, non vuole lasciarlo partire; tutti hanno ben chia-re le potenzialità di Federico e non lo vogliono perdere. Non si creano probleminemmeno a scrivere a Ferguson in persona: “Sir Alex, il ragazzo è troppo giovaneper venire all’estero; lo lasci qui ancora per un po’”. Sir Alex dal canto suo è telegra-fico: “Non facciamo nulla di illegale, Macheda ci piace tanto, distinti saluti”. E allo-ra Sabatini si rassegna, Ferguson gongola, tutti contenti, invece no.Kiko, anzi Chicco, piange. A 16 anni i tuoi amici sono la tua vita, il quartiere (Pontedi Nona) è il tuo mondo; quello che c’è fuori fa tremendamente paura. Lo sa beneMacheda senior che chiede di poter parlare con Lotito. Giuseppe non deve averefatto troppi giri di parole: mi trovi un lavoro e disfiamo le valigie. Ma Lotito èimpassibile. Lui non ha tempo.Goodbye Italy. Roma – Manchester, biglietto di sola andata.Appena atterrato Federico accende il telefonino e riceve una telefonata: “Federico,ciao sono Ryan Giggs, di qualsiasi cosa tu abbia bisogno tienimi presente”. In quel

momento Federico da malinconico è diventato motivato e si è convinto di averfatto la scelta giusta. Come confesserà poi in seguito: “Alla Lazio quelli della primasquadra non li conoscevamo nemmeno e Delio Rossi non è mai venuto a vedere lenostre partite; adesso mi capita di trovarmi a parlare con Cris ( Ronaldo)”Sia chiaro la Lazio ha delle colpe relative in merito a questo affaire. Infatti lo Unitednon ha preso gratis Kiko: 80.000 Euro in 3 anni non sono bruscolini per un ragaz-zetto di 16 anni. E poi c’è il discorso delle norme. Lotito, in ritardo ma con furore,tuona: “Normative vergognose non consentono ai club di mettere sotto contratto iragazzi prima dei 16 anni”. Anche Michel Platini ha sulla scrivania questa pratica ela volontà di innalzare il limite a 18 anni di età, con il pieno appoggio dell’Italia.D’altra parte a Lotito controbatte Abete: “Sono più i giovani che andiamo a pren-dere all’estero di quelli che vanno via”. Come biasimarlo. Ecco gli effetti chiari delsopra citato villaggio globale. Quindi prima di annoverare altri “Machedini” è giu-sto parlare anche di Yago, attaccante classe ’90 che ha lasciato (e tradito ) ilBarcelona per la Juventus, ricordiamo l’Inter che ha fatto razzia di ragazzettiSloveni (Belec, Krhin, Stefanovic) e il Milan che si gode Rodney Strasser, centro-campista classe ’90 della Sierra Leone.Infine, un po’ per campanilismo, un po’ per buona informazione, ci ritagliamo unpiccolo spazio per parlare di tutti i giovanotti Italiani tesserati nel Regno Unito.Capofila di questa “fuga di piedi buoni” è Davide Petrucci allo United con Kiko;Davide viene dalla primavera della Roma e alcuni già lo vedevano come erede diTotti. Però si parla di due mondi troppo diversi. Troppa organizzazione a“L’academy”. Sveglia alle 7.30, scuola 3 volte a settimana, e negli altri giorni scuo-la d’inglese. Non c’è tempo per discoteche. La sponda opposta di Manchester, quella del City, si è accaparrata Marcello Trottadel Napoli.Qui Londra, sponda Chelsea, troviamo Fabio Borini attaccante prelevato dalBologna nel 2007, e Iacopo Sala, un passato nell’Atalanta; sempre a Londra, spon-da Arsenal, troviamo Vito Mannone terzo portiere della prima squadra. In Scozia,al Celtic, troviamo Luca Santonocito, ex centrocampista dell’Inter. Come dice Lotito, sarà anche spesso questione di soldi e normative ma, aggiungia-mo noi, soprattutto di prospettive. Come mai solo ora che c’è crisi ci accorgiamodell’importanza della valorizzazione dei settori giovanili? In Inghilterra non esistela primavera, i ragazzi sbarcano direttamente in prima squadra oppure a farsi leossa altrove. Non ci si fanno troppi problemi, se te lo meriti giochi, se no vai via,senza guardare troppo la carta d’identità.Chiudo con due aneddoti: Giuseppe Rossi, l’emigrante più illustre, ha scelto ilVillareal perché voleva giocare con continuità, e di sicuro non ha nostalgia; dall’al-tra parte un giocatore ai più sconosciuto, Vincenzo Camilleri, portato in Inghilterradal Chelsea è tornato dopo 6 mesi a Reggio Calabria perché non si era ambientato.Piscedda, allenatore dell’U 17, ha detto: “Vincenzo è stato bravo. Ha capito che linon era a posto con la testa e non poteva migliorare come atleta; diventerà ungrande”. VIVA IL MADE IN ITALY, senza essere campanilisti.

Lorenzo [email protected]

Una bella partita di calcio, per chi ama questo sport, è sempre un’emozione, maguardare e vivere la Nazionale riesce a regalare qualcosa di più: un qualcosa cheunisce in un’atmosfera di festa. E proprio tale clima si respirava al San Nicola diBari, gremito di pubblico, la sera del primo Aprile, quando l’Italia di Marcello Lippiha affrontato l’Irlanda di un altro grande Ct italiano, mister Trapattoni.E con chi commentare questa magica serata di calcio (al di là delpareggio finale) se non con il padrone di casa dell’evento, il pre-sidente dell’AS BARI, Vincenzo Mattarrese? Al di là dell’esito della gara: grande evento, grande par-tecipazione di pubblico, grandi emozioni: quali le Sueimpressioni?R: Le mie osservazioni sono tutte per il pubblico. La partecipa-zione dei tifosi in così gran numero dimostra ancora una volta quanto l’Italia abbiasete di calcio, e quanto il pubblico meridionale sia il più caloroso, con capacitàstraordinarie di sostenere la squadra. Ecco. Il pubblico del San Nicola ha senz’altro sostenuto la squadra, anchese non è mancata la polemica contro Mister Lippi. Qual è il Suo pareresulla non convocazione di un idolo dei tifosi baresi come AntonioCassano?R: Ritengo che il parere di un allenatore esperto come Lippi vada comunque rispet-tato. Le sue ragioni sono state più che valide, ha preferito salvaguardare l’equilibriodi spogliatoio che è sempre un fattore determinante per la buona riuscita di ogniincontro. Presidente, qualche considerazione sul Suo Bari. Che dire? Una squadra

che vince e convince. Qual è stato il fattore più determinante di questisuccessi? Giocatori, nuovo allenatore?R: Sinceramente un po’ tutto. Realmente determinante credo sia stata la program-mazione. Il cambio di allenatore in corso nella scorsa stagione ci ha permesso dichiuderla in anticipo con serenità e da lì abbiamo cominciato tutti insieme a lavo-

rare al progetto di una rinascita vera. Cosa si proverebbe da presidente a pensare di portare a ter-mine questo progetto, ovvero ridare dopo tanti anni ad unapiazza come Bari la massima serie?R: E’ più che portare a termine un progetto, è realizzare un sogno. E’dimostrare quanto ci sia sempre stato – e sia maturato in questi anni– un attaccamento a questa città, a questa maglia, a questi colori.

Dalle sue parole si evince come lei crede che nel calcio di oggi sia ancorapossibile legarsi affettivamente ad una squadra che si gestisce. Eppureappare sempre più come un business portato avanti solo per interessieconomici. Cosa ne pensa?R: Penso che questo sia il nodo centrale di quella battaglia che noi portiamo avan-ti da circa dieci anni. Mi rincresce dire che sono le grandi squadre, proprio quellecon più adesione di tifosi, a considerare maggiormente l’aspetto economico delcalcio. Hanno trasformato in un business ciò che era passione vera. Questa peròrimane nelle piccole squadre alimentata dall’ impegno profondo di chi le gestisceperché legato ad esse, come me al Bari.

Emanuela [email protected]

Quattro chiacchiere con…Vincenzo Matarrese

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Quante volte abbiamo inveito contro l’alle-natore della nostra squadra del cuore per uncambio che ci sembrava sbagliato (per unavera o presunta ragione) o per una forma-zione secondo noi tatticamente squilibrata?E quante volte avremmo voluto suggerire alpresidente di turno il colpo del mercato perrafforzare la rosa, invece di essere costretti avedere dirigenti sportivi che ripiegano sullaseconda scelta per mancanza difondi?Ebbene, da circa 20 anni è nato ilgioco che permette ad appassionati di cal-cio, sedicenti allenatori e promettenti teammanager di dar vita a tutte le proprie idee efantasticherie sportive, di provare a modifi-care ogni domenica una rosa di giocatoridiversa senza dover rendere conto ad alcunpresidente invadente, di gestire, in sostan-za, una propria squadra di fantasia composta da giocatori anagraficamente (manon sempre “sportivamente”, purtroppo) esistenti. Se a tutto ciò aggiungiamo lacompetizione di un campionato on-line o di una sfida settimanale tra amici eambiti premi per i vincitori finali, ecco che abbiamo imparato i temi fondamenta-li del FANTACALCIO. Tra le svariate modalità e declinazioni del fantacalcio, stiamoassistendo (con un pizzico di malinconia per i “puristi” del genere) a una diffusio-ne sempre maggiore di versioni on-line, realizzate da testate giornalistiche o dasiti specializzati, a scapito della classica organizzazione “daje che la ricreazione èfinita”, cioè del capannello di amici che si riuniva, giornale alla mano, per calcola-re voti e punteggi dei giocatori, in ogni interruzione delle pressanti ore liceali(sarebbe troppo difficile spiegare il pathos e le emozioni che sono scomparse conl’evoluzione tecnologica del gioco, ma sono sicuro che tutti i fanta-allenatori sannoa cosa mi riferisco).Ed è proprio del più importante e prestigioso torneo virtuale,dedicato alla Premier League (il campionato inglese), “The Ultimate FantasyFootball”, che vorrei parlare, o meglio della singolare storia del suo campione incarica, il giovane australiano John Frisina.John ha concluso il terzultimo e il penul-timo fantacampionato a cui ha partecipato (The Ultimate Fantasy Football, perl’appunto) entrando tra i primi duecento classificati: un risultato notevole, consi-

derando i circa due milioni di partecipanti.Ma il nostro, particolare di fondamentalerilevanza, seguiva il campionato inglesesenza la possibilità di assistere alle partite oai programmi sportivi di approfondimento,disponendo solo di un abbonamento adslper conoscere risultati e giocatori e formare,settimana dopo settimana, la sua squadra.La svolta arriva quando John smette di gio-care al buio: "Guardando la tv ho iniziato astudiare le tattiche delle squadre, la dispo-sizione dei singoli giocatori in campo. Hoimparato molto dalle dirette Sky e l'horiversato sull'Ultimate Fantasy. Poi ho tenu-to conto degli infortuni e ogni weekend holasciato aperta la mia scelta per il cambiofino all'ultimo momento possibile. La clas-sifica è migliorata ogni settimana, sempre

più velocemente”. A sette giornate dalla fine John è andato in testa al suo torneo,"e a quel punto ho iniziato a controllare chi mi stava sotto, a studiare i loro team.Costruivo squadre simili a quelle degli avversari in modo che, facendo gli stessi loropunti ogni giornata, non avrebbero potuto riprendermi". Il segreto del fanta-cam-pione, che molto probabilmente costituisce la stessa intuizione di molti fanta-alle-natori nostrani, è quello di tenere in squadra alcuni “big” di sicuro affidamento eaffiancare loro dei giocatori “sottovalutati”, dando loro una chance e sperare cheripaghino la fiducia concessa. Ai mondiali sudafricani manca poco più di un annoma John sta già studiando per candidarsi al titolo di campione del mondo diFantacalcio… A tenere alta la bandiera italiana nel mondo del fantacalcio ci pensala signora Germana, 74enne ex imprenditrice di Alasso, che ha vinto l’ennesimotrofeo di una carriera ventennale, in pratica una fanta-allenatrice della prima ora.Nelle sfide che la vedranno concorrere con i vincitori delle altre italiane, la reginaindiscussa del Fantacalcio dovrà confrontarsi anche con ragazzi molto più giovanidi lei ma, in questo magico mondo, anche una arzilla signora può avere la megliosu qualche nostro coetaneo troppo impulsivo o inesperto.

Flavio Donnini

Tutti i colori del fantacalcio

CARTELLINO ROSSO

“So che with if and with ma, non si va lontano.” Giovanni Trapattoni – Corriere della Sera

Collo pieno – Alex usa le maniere forti perfermare Crouch in Portsmouth - Chelsea

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programma:

8.30 - 9.25 registrazione partecipanti

i sessione - evento techgarage - Aula 2009.30 saluto di Pier Luigi Cellia.d. , Direttore Generale luiss Guido Carli

9.40 intervento di Franco Bernabè a.d. Telecom ItaliaIl sostegno all’innovazione grassroot, il progetto Working Capital

10.00 presentazione delle start upfinaliste - 1a parte

11.00 testimonianza di Elserino PiolAutore del libro: Per non perdere il futuroEdizioni Guarini e Associati

11.15 coffee break

11.45 presentazione delle start up finaliste - 2a parte

12.45 intervento di Saeed Amidi President&Ceo del PlugandPlayTechCenter.com

13.15 premiazione delle 3 start up vincitrici

13.30 light lunch

ii sessione bar camp working capital - Aula 20514.30 Bar Camp Working Capital Progetto Tocca a te, di Telecom Italia

info e registrazioniwww.techgarage.eu

ore 8.30luiss Guido Carli

Viale Romania, 32Roma

Venerdì22 MAGGIO 2009

web & new mediastart up awards 2009

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