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Aria di novità! Il giornale è attività degli studenti Luiss, periodico gratuito, finanziato dalla Luiss Guido Carli; a distribuzione interna - Numero XXXVI, Anno VII 360_aprile:mar 2008.qxd 27/03/2009 14.53 Pagina 1

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360° rivista degli studenti LUISS pubblicata in Aprile 2009

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Il giornale è attività degli studenti Luiss, periodico gratuito, finanziato dalla Luiss Guido Carli; a distribuzione interna - Numero XXXVI, Anno VII

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S O M M A R I O

Fondato nel 2002

Fondatori: Fabrizio Sammarco, Luigi Mazza, Leo Cisotta

Direttore:Matteo Tebaldini

Direttore Editoriale: Daniele Dalessandro

Responsabile Organizzativo: Gianmaria Volpicelli

Responsabili di Rubrica:

CosmoLUISS

Scienze Politiche: Chiara Orsini, Giulia Mammana

Economia: Andrea Zapponini, Timoteo Carpita

Giurisprudenza: Bruno Tripodi

Speaker’s Corner: Valeria Pelosi, Francesca Giuliani

Fuori dal Mondo: Flavia Romiti, Clara Della Valle

International: Andrea Ambrosino, Mariastella Ruvolo

Artificio:Mariafrancesca Tarantino, Tiziana Ventrella

Ottava Nota: Federica Ricca, Chiara Iov7ino

Cogitanda: Giulia Gianni, Elisabetta Rapisarda, Giovanni

Aversano

Teatro: Chiara Cancellario, Chiara Gasparrini

Lifestyle: Chiara Sfregola, Cassandra Menga

Unisex:Michela Petti, Alessandra Rey

Calcio d’Angolo:Matteo Viola, Luigi Calisi

Responsabili via Parenzo: Giulia Gianni, Renato Ibrido

Delegato Fondi: Valeria Pelosi

Responsabile 360° E20: Cristiano Sammarco

Stampa: SGE - Servizi Grafici Editoriali

Grafica: Enrico A. Dicorato

numero chiuso in redazione 18 Marzo 2009

Costi

Carta: 250 euro

Realizzazione grafica: 350 euro

Lastre e allestimento: 450 euro

Macchinari e battute: 450 euro

Spedizione: 100 euro

EDITORIALE 3

COSMOLUISS 4

SPEAKER’S CORNER 9

FUORI DAL MONDO 12

INTERNATIONAL 14

COGITANDA 17

TEATRO 20

ARTIFICIO 22

OTTAVA NOTA 24

UNISEX 27

LIFESTYLE 28

CALCIO D’ANGOLO 30

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La primavera ricomincia. In LUISS, non ci stancheremo mai di dirlo, èla stagione più bella e, dopo un anno nella nuova sede di vialeRomania, ci siamo anche abituati a questi nuovi spazi.L’anno passato, di questi tempi, lamentavamo lo scarso feeling con lanuova sede, che definimmo fredda e meno accogliente di quella vec-chia.Ora, rammentare i fasti delle mitica sede di Viale Pola è difficile, mapossiamo con gioia ammettere di aver fatto un errore di valutazione.Come la casa nuova che non riesci a sentir tua, così la sede “parioli-na” ha avuto qualche difficoltà ad entrare nei nostri cuori. Ma giudi-candola frettolosamente non abbiamo considerato il fatto che quat-tromila studenti impiegano sicuramente più tempo ad adattarsi, allenuove condizioni ambientali, di quattro ragazzi in un appartamento.Ed è così che ci ritroviamo a parlare di quanto è bello ricominciare avivere gli spazi aperti della nostra Università. Dopo il rigido invernotrascorso nelle aule, nei corridoi e sotto le piccole tettoie per fuma-tori. Spazi troppi piccoli per ospitarci tutti e sempre troppo caoticiper intrattenersi più di pochi minuti.Ma come ogni primavera luissina, anche questa porta con sé nume-rose novità per gli studenti. Innanzitutto dobbiamo parlare di due amici del nostro giornale.Antonio De Napoli, rappresen-tante degli studenti nelConsiglio di Amministrazioneed ex direttore di 360gradi, indata 24 marzo, si è laureatocum laude nel corso di laureaspecialistica in RelazioniInternazionali. A lui vanno ungrande abbraccio ed i nostrimigliori auguri per il roseofuturo che lo aspetta. Mentreun altro amico, MatteoSmacchi, studente dellaFacoltà di Giurisprudenza, haereditato la sua carica nel CdA della LUISS. Un posto che merita invirtù del risultato conseguito nelle scorse elezioni, e che corona illungo percorso all’interno del mondo dell’associazionismo studente-sco che ha caratterizzato questi suoi anni di Università.Inoltre le lezioni sono iniziate con un “cambio di gestione”. Dopo ilgrigiore del primo anno, che ha visto la gestione Autogrill di un barsempre vuoto, il mese di marzo ha visto fiorire e popolarsi il “bor-ghetto”, ora degno erede delle mitica “terrazza” di viale Pola. Lanuove gestione dell’azienda di catering “Naumachie” ha dato vita aduno spazio finora mai pienamente apprezzato. Oltre a tramezzini e panini, passando a cose ben più serie, in questonumero presentiamo in anteprima tre grandi novità per la nostraUniversità.La prima, e di maggior evidenza, riguarda la nomina del nuovoPreside della Facoltà di Scienze Politiche, del quale abbiamo unalunga intervista nelle pagine seguenti.Il Professor Sebastiano Maffettone è stato chiamato a rico-prire il ruolo del compianto Preside Massimo Baldini.Per l’ennesima volta vogliamo rivolgere una ringraziamento ad unapersona che si è dedicata intensamente alla nostra Facoltà e di cuinon dimenticheremo mai l’opera come Preside e la grandezza comeuomo. La grande commozione degli studenti crediamo sia stata unadegna dimostrazione di quanto abbia fatto per tutti noi.Non ci resta che fare i nostri più sinceri auguri al Preside Maffettone

che avrà l’arduo compito di sostituirlo, nella speranza che, ereditan-done lo spirito ed aggiungendo ad esso le qualità che gli sono pro-prie, possa proseguirne il cammino mantenendo in alto il nomedella nostra Facoltà.La seconda novità invece riguarda un tema molto caro alla nostraredazione ed alla maggior parte degli studenti. La questioneCo.Di.Su di cui tante volte abbiamo parlato.Come auspicammo in tempi non sospetti è stato modificato ilregolamento di attribuzione dei finanziamenti alle attivitàdegli studenti. Una descrizione dettagliata delle modifiche potetetrovarla sulle nostre pagine.Quello che ci sentiamo in obbligo di dire, dopo averne discusso perlungo tempo su queste pagine, è che siamo sinceramente grati atutti i membri della commissione, ed in particolar modo allaProfessoressa Borgia e al Rappresentate degli studenti al CDAAntonio De Napoli, per aver quantomeno ascoltato le nostre istanze.Ovviamente si tratta di una modifica regolamentare che può signifi-care molto, ma deve essere applicata nella giusta maniera, ovverogiudicando ogni attività oggettivamente, limitando la discrezionali-tà dei rappresentanti degli studenti seduti in commissione.Il fatto che venga valutata anche la storia dei progetti crediamo sia

di fondamentale importanza al finedi esprimere un giudizio che premil’efficienza ed il servizio offertodurante gli anni alla comunità stu-dentesca.Quello che noi abbiamo semprechiesto, e che è stato finalmenteaccolto come metro di valutazione,è che vengano finanziati solo i pro-getti che abbiano avuto un “avvia-mento” concreto. L’esempio è quellodei giornali universitari che hannoiniziato la loro pubblicazione auto-finanziati, prescindendo dai contri-

buti della Co.Di.Su.La terza novità riguarda invece la sede di via Parenzo.Non è un cambiamento così radicale come quello che ha investitoScienze Politiche, ma è comunque un ulteriore passo in avanti di quelprogetto iniziato due anni fa dalla Presidenza e che continua ad offri-re nuove opportunità agli studenti.A partire da quest’anno verranno attivati integralmente idieci profili di specializzazione presentati nel 2008.Dopo il terzo anno di corso, gli studenti di Giurisprudenza potrannoscegliere di approfondire le materie dell’ambito giuridico a cui sonomaggiormente interessati. Inoltre viene data la possibilità, per chisceglie i profili di Istituzioni Politiche e Amministrative o di Diritto edEconomia delle Imprese e del’Innovazione, di intraprendere un per-corso di studi verso una laurea magistrale interfacoltà in Economia oScienze Politiche.Di tutto questo, e molto altro ancora, si parla nelle nostre trentaduepagine.

Daniele [email protected]

Matteo [email protected]

Aria di novità!

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La Commissione per il Diritto allo Studio della LUISS Guido Carli ha deliberato, indata 18 marzo 2009, alcune modifiche al regolamento per la gestione delle inizia-tive e delle attività culturali e sociali, previsto dalla legge N. 429/85, relativoall’anno accademico 2009/10. È necessario premettere che queste modifiche non sono ancora definitive, madevono passare al vaglio del Comitato Esecutivo durante le prossime settimane ese ne possiamo parlare è grazie alla collaborazione del rappresentante degli stu-denti Antonio De Napoli.Il nuovo regolamento si distingue dal precedente per i requisiti previsti affinché lerichieste di finanziamento dei progetti vengano accettate e per i nuovi criteri cheverranno adottati nella valutazione degli stessi.Entriamo del dettaglio evidenziando l’articolo 2 del regolamento, relativo allecondizioni che ogni richiesta di fondi dovrà rispettare. Permane la necessità diallegare al progetto la firma di almeno un rappresentante degli studenti, sia essonei Consigli di Facoltà, nel Cda o nel Comitato allo Sport, ma, al fine di valorizzarei progetti maggiormente rappresentativi della comunità studentesca, è stato rad-doppiato il numero delle firme degli studenti che devono essere corredate alladomanda, che è così passato dalle cinquanta dell’anno passato alle cento attuali. La modifica non è sicuramente sostanziale: non sarà di certo impossibile trovarecento studenti che vogliano sostenere un valido progetto, ma è di fondamentaleimportanza dal momento che sottolinea l’attenzione della commissione al fattoche le attività, se vogliono usufruire di fondi pubblici, abbiano il dovere di garan-tire la partecipazione di un ampio numero di persone e non debbano essere unarealizzazione di nicchia. Questo punto è inoltre ribadito nell’articolo 4 lettera d.Ma è nell’articolo 5 che si trovano le maggiori novità.Il primo comma del suddetto articolo sottolinea che la delibera relativa alle richie-ste presentate entro l’11 giugno 2009 sia effettuata entro il 31 luglio dello stessoanno. Per quanto possa sembrare ininfluente, questa disposizione eviterà in futu-ro il ripetersi della spiacevole situazione occorsa nell’anno accademico 2007/08,quando, a causa del mancato accordo dei tre rappresentanti relativo alle attivitàda finanziare, l’assegnazione definitiva dei fondi avvenne nel mese di dicembre2008, con il conseguente blocco delle attività durante i primi tre mesi dell’annoaccademico.Il secondo comma mantiene invece la proporzionalità della distribuzione deifondi in base alle somme occorrenti per lo svolgimento delle attività, ma stabili-sce che non potrà essere assegnato più del 50% del budget a disposizione ai gior-nali studenteschi. Non ci resta che sperare che il totale dei fondi disponibili siamolto alto.Il terzo comma rimane invariato, mentre è stato completamente rivisto il quartocomma, relativo ai criteri di valutazione in base ai quali verranno assegnati i fondi.

Negli anni passati i criteri per lavalutazione delle attività eranoil numero di firme sostenenti leproposte e la “promozionedelle stesse da parte dei rap-presentanti degli studentinegli organi istituzionali diquesta Università congiunta-mente con le associazioni stu-dentesche ed i gruppi di stu-denti di cui all’art.2”(Art. 5, comma ,4 lettera b).È inutile sprecare commenti su questa parte del regolamento, ormai abrogata, dalmomento che negli anni passati il nostro giornale si è più volte schierato controquesto sistema. È invece doveroso sottolineare come i nuovi criteri siano, almenoall’apparenza, decisamente improntati sulla meritocrazia.La commissione, infatti, dovrà predisporre una griglia di valutazione a punteggioseguendo i seguenti criteri: 50 punti da assegnare sulla base dei contenuti delprogetto, della partecipazione degli studenti, della costanza nella realizzazione edei preventivi presentati; 25 punti saranno invece assegnati valutando la storia ela rappresentatività nell’ateneo; 25 punti in riferimento alle eventuali iniziativecollaterali al progetto svolte negli anni precedenti.Questa nuova parte del regolamento mette sicuramente a tacere le critiche mossenegli anni precedenti. Noi di 360° per primi ci siamo schierati contro un sistemache non teneva conto dei percorsi storici dei vari progetti. Per il momento possia-mo dirci soddisfatti di quelle che sono le modifiche appena apportate, nella spe-ranza che queste vengano applicate in modo opportuno, evitando l’eccessiva pre-minenza delle simpatie degli studenti nella valutazione della Commissione e ren-dendo il giudizio il più oggettivo possibile.Concludiamo riproponendo una parte dell’editoriale del numero di 360° di marzo2008: allora auspicavamo che “la meritocrazia diventasse il criterio principale diselezione”, oggi invece siamo fiduciosi e speriamo che questo nuovo regolamentosia il primo passo per cambiare la prassi poco meritocratica che si era affermata eper garantire trasparenza ed oggettività.

Daniele [email protected]

Matteo [email protected]

Da anni l’Ordine deigiornalisti italiani,nato nel 1963 e uniconel suo genere, vieneaccusato di non svol-gere in modo otti-male il suo compitodi custode dell’infor-

mazione e di essere una casta chiusa ai giovanivolenterosi di esprimere il proprio pensiero.Le lungaggini burocratiche, i vari esami e tesserini, siconcretizzano in una corsa ad ostacoli costosa edimpenetrabile.Per ovviare a tutto ciò l’Ordine nella figura dell’attua-le presidente Lorenzo Del Boca, ha deciso di fare unpasso in avanti tentando di modernizzare un sistemavecchi quasi mezzo secolo.Proprio da questa volontà è stata resa nota, lo scorso17 ottobre, una proposta di riforma decisamenteinnovativa. La novità più significativa della riforma è l’accessouniversitario, con conseguente relativo percorso,all’esame di Stato.Ad oggi per accedervi è necessario possedere sola laterza media. La novità sarà l’obbligatorietà di un per-corso formativo pensato coerentemente con l’attualesistema universitario del “tre più due”. I primi tre anniscelti dallo studente, economia, giurisprudenza, let-

tere… e gli ultimi due anni di specializzazionedurante i quali verranno forniti gli strumenti adegua-ti alla trasmissione delle informazioni acquisite pre-cedentemente. Le scuole di giornalismo sarannoadeguate al nuovo sistema, con l’abbassamento deicosti.“Un giornalismo con più cultura, è un giornalista piùpreparato, professionale, che dovrebbe rispettare dipiù le regole dell’informazione.” Ha affermato il pre-sidente Del Boca.Altro punto focale della proposta di riforma è lavolontà di istituire una Commissione deontologica ingrado di giudicare tempestivamente l’operato degliaddetti ai lavori. “Ad oggi infatti, se un giornalistaviene accusato di non rispettare il CodiceDeontologico, possono passare anche cinque anniprima che venga giudicato” ha ammesso Del Boca.Sembra ovvio che le ingiustizie in un caso del generesiano due. Se il giornalista viene giudicato colpevole,esso avrà comunque continuato a scrivere durantetutto il periodo di attesa; la sentenza dovesse al con-trario essere innocentista, l’accusato avrebbe ormaila sua professionalità macchiata.L’idea è quindi di instaurare una Commissione chesanzioni a “misura d’uomo”, in tempi brevi e che assi-curi quindi al lettore una chiarezza nei contenuti. Perstessa ammissione del Presidente dell’Ordine, loscopo non è quello di creare un sistema autoritario e

intimidatorio, ma di evitare che i giornalisti continui-no, come troppo spesso succede, a dimenticare che leregole stabilite dai documenti costitutivi dell’infor-mazione sono inviolabili. Per quanto riguarda la categoria, tanto contestata,dei pubblicisti sono previste delle modifiche ancheper essa. L’idea è quella di ritornare al vecchio model-lo di pubblicista, specializzato e competente dellamateria da esso trattato. Chi meglio di un avvocato può riportare le vicendegiudiziarie?Ultimi punto della proposta di riforma è poi la ridu-zione della classe dirigente. Si passerà dagli attualicentocinquanta consiglieri ad ottanta. La cosa piùsignificativa di quest’ultimo punto e che a votarlosono stati proprio i consiglieri, i quali hanno volutomandare un segnale di serietà.La proposta è stata avanzata. Ora il compito di appro-varla passa al Parlamento, unico che può modificareuna legge ingessata ed evidentemente inadatta aitempi di oggi.“Più di questo l’Ordine non può fare. Ora bisogna tro-vare la volontà di rispondere alle tante accuse mossenei confronti dell’informazione italiana” ha conclusoDel Boca.

Ornella Quondamcarlo

La riforma dell’Ordine dei Giornalisti

Una battaglia vinta?

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5Il Professor Sebastiano Maffettone è nato a Napoli il 10 aprile 1948, si è laureatoin Giurisprudenza presso l’Università della stessa città nel 1970, ed è ProfessoreOrdinario alla LUISS di Filosofia Politica dal 1998.La sua storia non si ferma certo qui, infatti, oltre ad aver lavorato per i maggioriatenei italiani, può vantare le collaborazioni con le principali Università di tutti icontinenti, oltre trenta, tra cui Harvard e la London School of Economics, ed unafama internazionale in ambito accademico che sicuramente lo precede.Ma queste informazioni, chi più e chi meno nel dettaglio, le avevamo tutti.La novità assoluta del mese di marzo è invece la sua recente nomina a Presidedella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli.360°, come suo solito, non ha perso l’occasione per dedicare spazio alla primaintervista ufficiale del nostro nuovo Preside che ci ha accolto a braccia aperte, rin-novando la collaborazione e l’aiuto che non ci ha mai negato negli anni scorsi, efelice di poter salutare i nostri lettori.Le domande hanno coperto tutti gli argomenti possibili, dalla didattica al ruoloche può occupare Scienze Politiche in una Università come la nostra, dove le mag-giori dimensioni delle altre due Facoltà rischiano di farne passare in secondopiano la qualità, garantita dall’alto profilo dei docenti e dalla preparazione deglistudenti. Ci ha mostrato il lato umano del Professore e la professionalità nel calar-si in questo nuovo ruolo.Quanto crede che sia importante, per una Facoltà di Scienze Politiche, ilfatto di avere un Preside che insegni in ambito umanistico?La cosa che sicuramente è importante è che in un Università con tre Facoltà ilPreside, di qualsiasi di esse, non esprima solo i contenuti scientifici tipici dellealtre due. La distinzione è importante. Scienze Politiche è sicuramente più picco-la e più trasversale delle altre due e quello che può garantire un umanista è ladistinzione dagli interessi delle discipline prettamente economiche e giuridiche.Date le dimensioni minori, Scienze Politiche corre il rischio di esserevista, dall’esterno, come una Facoltà secondaria. Come crede di far fron-te a questo luogo comune?Distinguendo quantità e qualità. Questa è una distinzione filosofica, addiritturametafisica. La nostra Facoltà è più piccola ma ha un vantaggio, che non deve esse-re letto in chiave polemica con le altre, ma deve essere interpretato come unpunto di forza. La nostra Facoltà ha in media un tasso di lavoro extra universitariominore. Questo, alla lunga, è un grande vantaggio per gli studenti. Io quindi met-terei due punti fermi: la qualità dei Professori, molti dei quali, senza farne i nomi,sono molti bravi e quotati anche a livello internazionale ed una maggior dedizio-ne al compito accademico.La nostra Facoltà si è sempre distinta per la partecipazione ad attivitàextra didattiche. Quanta importanza attribuisce a questo genere di ini-ziative ideate e realizzate interamente dai ragazzi?Io credo che siano fondamentali. Dopo trent’anni di insegnamento ho capito chesono vitali per il livello scientifico e la crescita professionale dei ragazzi. Può sem-brare banale ma è importantissimo stare meno tempo a casa e più in Università.Vedere una partita di calcio di per sé non è importante, ma vederla insieme vuoldire conoscere i compagni ed imparare a vivere in mezzo a loro. Vivere una vitauniversitaria più piena si traduce in qualità.Mi dica due punti deboli e due punti di forza di Scienze Politiche.Qualità della docenza e degli studenti sono i punti di forza. Io ho insegnato in tuttie cinque i continenti e posso garantire che i nostri studenti non hanno nulla dainvidiare a nessuno. L’altro punto di forza è la trasversalità. Non dobbiamo impa-rare una sola cosa molto bene, conviene sapere più cose possibili, noi offriamo un

pacchetto trasversale. Questo è un dono infinito che oggi non viene ancora com-preso dagli studenti e dalla società in generale.Ma attenzione, perché la trasversalità può essere anche un punto debole, è peri-colosa perche se presa bene è ricchezza, altrimenti rischia di scadere nel dilettan-tismo. Un altro potenziale punto debole è l’internazionalizzazione. La nostra Universitàcerca in tutti i modi di sviluppare profili internazionali ma il lavoro fatto non è maiabbastanza, bisogna assolutamente continuare a lavorare su questo aspetto.Il suo grande profilo internazionale quanto può influire su questo aspet-to?Diciamo che il profilo non è la parte migliore della mia immagine (ride, ndr). Aparte le battute, io ho grandi legami sia umani che scientifici. Abbiamo costruitoda poco un network che si chiama Ethics and Global Politics, che comprendeottanta università in tutto il mondo. Io conto di rendere il mio lavoro fatto in pas-sato sinergico a quello che verrà fatto in futuro, in modo che sia utile a tutti, stu-denti e professori.La Presidenza Baldini ha intrapreso una grande opera di rinnovamento.Partendo da quanto è già stato fatto, come crede di lavorare?Tengo molto a dire che nutro grande ammirazione per quanto fatto dal PresideBaldini e porto un grande rispetto all’uomo che è stato ed alla professionalità conla quale ha ricoperto questo ruolo. Io credo che lui abbia fatto la prima parte dellavoro che era necessario: razionalizzare e ripulire il sistema. Ora bisogna fare laseconda, quella più creativa e fantasiosa, nella quale vanno introdotte delle novi-tà. Lui parlava sempre con tutti e tutti noi conosciamo bene il messaggio che hatramandato. Ora dobbiamo proseguire su questa strada. Dobbiamo far tesoro delsuo esempio di dedizione all’Università ed agli studenti.La riforma Mussi è arrivato ad un punto di stallo e creato situazioni spia-cevoli per gli studenti. Un esempio su tutti è quello del primo anno delcorso di Amministrazione Pubblica nel quale è emerso il problema dellaripetizione di alcuni esami sostenuti durante il corso triennale. Come sirisolverà questo problema?La soluzione è ovviamente quella di evitare queste ripetizioni. La colpa della rifor-ma Mussi è quella di non aver funzionato. Il problema è l’invadenza delle tabelleministeriali, è assurdo che le Università debbano essere economicamente autono-me ma non lo possono essere dal punto di vista dell’offerta formativa. Questa uni-formità è un disastro permanente dell’Italia e chi ne risente di più sono leUniversità private, che devono anche stare più attente alle richieste del mercato.Noi dobbiamo andare verso altri modelli di Università, ci vorrà molto tempo, maper quanto sia difficile dobbiamo provarci.Noi in qualche modo ci riusciamo, ma i requisiti formali a cui dobbiamo confor-marci sono davvero eccessivi. Io credo che il valore di una laurea stia nella spendi-bilità sul mercato e questa dipende in gran parte dall’offerta formativa.Concludiamo con un saluto a tutti gli studenti che leggono 360°.Io sono molto affezionato a 360°, sembra retorica ma non lo è affatto. Le attivitàextra didattiche come ho detto precedentemente sono fondamentali per la vitaaccademica e sono anche la dimostrazione di quello che sapete fare. Sono il vostromodo di vedere l’Università, la voce degli studenti. Inoltre, senza essere borioso,il giornale riesce a dimostrare una certa competenza ed offre un buon prodottoanche a livello contenutistico.

Matteo [email protected]

Profess iona l i tà e Ded iz ione, la fo r za d i S c ienze Po l i t i cheIntervista al nuovo Preside Sebastiano Maffettone

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I O I N V E C E S T U D I O A L L ’ E S T E R OIn Italia il tempo passa, ma poco sembra cambiare. Il mondo del lavoro è saturo ecosì le moltissime facoltà universitarie, dove le richieste aumentano a dismisurarendendo sempre più difficile un inserimento nelle professioni. Questo disarman-te quadro però aiuta a riflettere: in un paese e in un mondo in cui i livelli d’istru-zione sono in continuo rialzo e la competizione si incentiva, le aziende e i datori dilavoro richiedono sempre di più esperienze estere di studio o tirocinio che dimo-strino versatilità e ingegno.Noi abbiamo chiesto alla giornalista del sole 24 ore Loredana Oliva, autrice dellibro ‘Io invece studio all’estero’, delle dritte per intraprendere un percorso distudio o di lavoro fuori dall’Italia.Che differenza c’è tra studiare in Italia e studiare all’estero?All’estero le università non sono solo atenei di studio ma soprattutto comunitàsociali, spesso con uno spiccato senso della politica, come nel caso di Brighton incui gli studenti partecipano attivamente alla politica della città attraverso specifi-che istituzioni universitarie. Non solo: mentre le università straniere sono valuta-te minuziosamente dagli organismi valutativi specializzati sulla base del numerodi laureati, dello sviluppo della ricerca e dell’occupazione futura, in Italia non vi èuna valutazione degli atenei su questi molteplici aspetti,cosa che favorisce una generale ignoranza come ancheun livellamento delle università, che non vengono spintea competere tra loro. In sostanza all’estero, e specialmente negli Stati Uniti, lostudente viene considerato come un investimento piùche come un semplice soggetto.Qual è oggi il paese più indicato per un periodo distudio fuori dall’Italia?La Cina, l’India e più in generale il continente asiatico misembrano la scelta più interessante: è importante peruno studente trovarsi nei luoghi in cui accadono gli even-

ti che segnano e cambiano la storia.Quale ateneo estero consiglierebbe ad uno studente italiano?Nei viaggi che ho fatto per esaminare le università straniere sono rimasta partico-larmente colpita dall’università barcellonese ‘Pompeo Fabra’, per i suoi numerosie attivi collegamenti con il mondo del lavoro che permettono ai neolaureati diaccedere direttamente alle grandi aziende, attraverso investimenti dell’universitàstessa.L’università di ‘Science Po’ a Parigi offre invece ottime opportunità nel campo del-l’amministrazione.Come dovrebbe essere strutturato un curriculum per essere seriamentepreso in considerazione?E’ spesso trascurato ma fondamentale il fatto che il curriculum deve conteneremolte esperienze, ma preferibilmente distribuite nel tempo. Una persona che nonabbia mai fatto esperienze risulta difficilmente utile nel mondo del lavoro.Le esperienze indicano generalmente una maggiore apertura mentale e unagrande flessibilità : flessibilità che si concreta nell’attitudine a lavorare in teamvenendo incontro alle esigenze altrui piuttosto che nella capacità di cambiare

continuamente lavoro. Infine nella stesura di un buoncurriculum è importante dimostrare delle caratteristichedistintive, mostrare cioè che si è capaci di ragionare inmaniera creativa.Come ricorda il teorico americano Richard Florida, ilmotore del lavoro è l’innovazione, anche nel modo diproporsi.Per questo è importante cercare continuamente di uscireda schemi che tendono a riproporsi.

Giulia Mammana

Documento, Legge Fondamentale, Ideale, Principio,Testo Legislativo. Molteplici sono le definizioni dellaparola ‘Costituzione’, e molteplici le polemiche chepossono nascere da questa parola. Nella voce delSenatore Andreotti si sente però una sorta di anticariverenza, una conoscenza profonda della materiache nasce da anni di esperienza. Un rispetto nei con-fronti della nostra Carta, quasi fosse una divinitàterrena, che sembra aver abbandonato i nostri con-temporanei Legislatori.Le parole del Senatore sono pervase dal ricordodegli anni della costituente, il profondo lavoro e igiochi di potere tra i partiti che cercavano di orga-nizzare il riequilibrio del nostro stato martoriato daanni di Guerra e Fascismo. L’armonia tra i Diritti e Doveri che il documento èriuscito a raggiungere è dato soprattutto dalla suacapacità di guardare al futuro. I “Sacri” Principi espo-sti nella parte iniziale della Costituzione non impe-discono il progresso Internazionale dello StatoItaliano, né sessant’anni di crisi e cambiamenti della

società. La stessa Costituzione infatti, se fosseriscritta oggi , sarebbe soltanto meglio scritta, ma ilsuo contenuto risulterebbe inalterato grazie all’in-credibile longevità e la possibilità di movimentodata per ammortizzatori sociali ed economici.Le differenze tra il dopoguerra ed oggi possonoessere sintetizzate come una mancanza di stimoli,una tendenza italiana al “vivere di rendita” del pas-

sato, che insieme alla mancanza di una guida cheriesca a trascinare il paese, crea un clima di sfiducianon solo all’interno del nostro stato, ma anche nel-l’immagine che perviene all’estero.Il dibattito raggiunge anche i temi della crisi attua-le. L’ormai palpabile disparità tra le classi e le regio-ni porta però a nuove riflessioni. I Benefici di unsistema di informazione sempre aggiornato posso-no essere oscurati dal condizionamento e dal nonpensare più da soli, acuendo gli effetti della crisi.L’eccessiva distanza tra Società e Politica, tra idee eleggi approvate ci porta a focalizzarci troppo su idettagli della vita privata dei nostri politici, “Comeuna luce eccessiva, che non illumina ma acceca”mostrandoci i singoli difetti, ma celando la situazio-ne del sistema politico e sociale Italiano, non poten-do comprendere cosi le linee generali del sistema,ne’ le reali falle che invece potrebbero essere trova-te.

[email protected]

Incontro con Il Senatore Giulio Andreotti

I consigli di un’esperta giornalista per studiare fuori dall’Italia ed ottimizzare il curriculum

Un interessante dialogo con la storia

Diritto allo Studio

SERVIZIO DI ORIENTAMENTO NUTRIZIONALEAlimentarsi consapevolmente e nutrirsi congusto.Una dietista è a diposizione tutti i giovedìdalle 9 alle 12, presso il Diritto allo Studio - VialeGorizia 17, per consigliare agli studenti le giustescelte alimentari.Info e prenotazioni:Diritto alloStudio06/[email protected] DI ENTI DIVERSI DALLA LUISSSul sito internet del Diritto allo Studio

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Presso gli uffici del Diritto allo Studio, in vialeGorizia 17, sono disponibili per il noleggio gra-tuito oltre 600 DVD.CTS VIAGGILo sportello CTS viaggi è anche biglietteriaTicketOne. Potranno essere acquistati quindibiglietti per teatro, concerti, sport, mostre emusei.Lo sportello CTS viaggi è disponibile presso gliuffici del Diritto allo Studio dal lunedì al venerdìdalle 09.00 alle 13.00 e dalle 13.30 alle 16.30.Il CTS viaggi consente agli studenti della Luiss diavere sconti e agevolazioni per l’acquisto di

biglietti aerei, navali, ferroviari, cinema e teatri,sia in Italia che all’estero, e di pacchetti-viaggioper qualsiasi destinazione.

Per informazioni:Diritto allo Studio [email protected]/85225.410Orario di ricevimento:Sede di Viale Gorizia 17dal lunedì al venerdìdalle ore 9.00 alle ore 12.00 e dalle ore 14.30alle ore 16.00Sportello di Viale Romania 32dal lunedì alvenerdì dalle ore 9.00 alle ore 12.00

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Cari Lettori,vi chiederetecome maiparli cosi inanticipo diun eventoche avrà ini-zio solamen-te a maggio2010, ed ecco che vi spiego il moti-vo core: l’esposizione Universale diShanghai 2010 rappresenta un’oc-casione unica di promozione delSistema Italia e può diventare ele-mento centrale della strategia daperseguire per sostenere la ripresa( praticamente non ho detto nulladi nuovo ma è giusto che se neparli per ridare fiducia al nostropaese!)La manifestazione, che prevede 70milioni di visitatori, si svolgerà dal1° maggio al 31 ottobre 2010 e perla prima volta sarà dedicata allaCittà ( il titolo scelto è “BetterCity, Better Life”).“Una Città migliore, una vitamigliore” esprime l’interesse dellacomunità internazionale per lestrategie di urbanizzazione e svi-luppo sostenibile, oltre che la spe-ranza di tutti per una vita migliorenelle future città del pianeta.Questa edizione dell’EXPO permet-terà di proporre avveniristicimodelli di città e stili armoniosi divita urbana, offrendo piattaformeeducative e di intrattenimento per ivisitatori. Per tutta la durata dellamanifestazione ( 184 gg) sarannocirca 100 gli eventi giornalieri. Per6 mesi le aziende interessateavranno a disposizione un padi-glione italiano di 3.600 mq per 18metri d’altezza sul tema “ La Cittàdell’Uomo”, una struttura concepi-ta anche per offrire ospitalità agliincontri d’affari e alla presentazio-ne di prodotti e processi produttividi particolare interesse.Ma vediamo lo spazio che l’Italiaha a disposizione: ben 6.000 mqubicati nel quartiere di Pudong,vera e propria vetrina per l’eccel-

lenza delMade inItaly.L’ I t a l i a ,i n f a t t i ,sarà unodei paesip r e s e n t iall’esposi-

zione ai massimi livelli e comeRegno Unito, Spagna, Francia, StatiUniti, Germania, Olanda e Svizzera,finanzierà autonomamente lacostruzione del proprio padiglione.Oltre alle tradizionali strutture rap-presentanti le nazioni ( circa 180 adoggi), il padiglione centrale saràdedicato alle migliori città delmondo ( UBPA – urban best practi-ce area pavilion). Per l’Italia, sonostate scelte Bologna, Venezia eMilano.Il disegno del padiglione “tricolore”è affidato all’architetto Imbrigliche metterà in evidenza la forma elo spirito della tradizione urbanaitaliana, viene da pensare quindiche tale struttura possa diventarepermanente per essere consideratoil simbolo del nostro paese, dadestinare a eventi culturali e com-merciali.Per dare il massimo ( richiestoanche dal governo cinese), è statacreata una CommissioneOrganizzativa ad hoc ed è statonominato CommissarioOrganizzativo Beniamino Quintieri(Professore ed ex Presidente ICE).A questo punto non ci tocca cheattendere con un pizzico di curiosi-tà lo stato di avanzamento dei pro-getti che riporteranno l’Italia nuo-vamente al centro del mondo (que-sto almeno è quello che noi tuttivorremmo!)

Per ulteriori informazioni:www.expo2010italia.gov.it

Andrea [email protected]

EXPO 2010 ShanghaiVetrina made in Italy

"Molto dipendedal sistemafinanziario. Lastoria insegnache finché ilsistema finanziario è in crisi non puòesserci una ripresa economica soste-nuta. Abbiamo assistito a qualcheprogresso nei mercati finanziari, mafinché non saranno stabilizzati e nontorneranno a funzionare normalmen-te, non vedremo alcuna ripresa.Abbiamo però predisposto un piano ecredo che riusciremo a stabilizzare lasituazione, così da porre fine allarecessione già da quest'anno, con ogniprobabilità. A partire dal prossimoanno, quindi, dovremmo assistere allaripresa". Questa è stata la risposta aduna delle domande poste a BenBernanke, in una delle rarissimeinterviste rilasciate da un presidentedella Fed. Nella serata del 15 marzoscorso Bernanke è stato costretto,senza quasi, ad andare davanti alletelecamere di "60 Minutes", per spie-gare agli americani il perchè dellecentinaia di miliardi di dollari utiliz-zati per aiutare quelle banche e assi-curazioni che molti definiscono col-pevoli dell'attuale finimondo.Bernanke esclude ormai la possibilitàche questa crisi si trasformi in unanuova ventinove, ma "il vero proble-ma adesso è rimettere a regime tuttoquanto come si deve". Alla domandapiù spinosa, perchè ancora le banchesi permettono bonus stellari e se ciònon sia immorale, ha risposto diplo-maticamente. "L'epoca di chi vivevauna vita al di sopra dei propri mezzi èfinita. Oltre tutto, le banche devonoessere responsabili, usare in modocostruttivo i loro soldi, avere un ragio-nevole senso di umiltà e trarre inse-gnamento da quanto è accaduto inquesti ultimi 18 mesi". Ma l'obiettivoprincipale della trasferta televisivaera infondere tranquillità e sicurezzanei concittadini statunitensi:Bernanke ha fatto del suo megliosenza nascondere la realtà e con sin-cerità. "La crisi inizierà a rallentare,assisteremo a una sorta di stasi. Nontorneremo subito alla piena occupa-zione, ma mi auguro che alla fine diqueste crisi così pesanti dell'ultimopaio di trimestri, la recessione si arre-sti". (traduzione di Anna Bissanti -copyright 60 minutes/Cbs) Nel frattempo, uno degli economistipiù conosciuti e letti nel mondo, PaulKrugman, dalle colonne del New YorkTimes e da quelle del suo blog, ha lapossibilità di scrivere ed esprimersisenza vincoli istituzionali. Attacca

senza mezzitermini quel-lo che fin quihanno fatto igoverni euro-

pei per fronteggiare questa crisitanto chiacchierata. Li etichettacome non sufficienti e teme che pos-sano rendere più inefficaci le misureamericane. Boccia completamente econtemporaneamente politica fiscalee politica monetaria degli attori delvecchio continente. Ricorda che moltieconomisti, hanno considerato trop-po limitati gli aiuti dell'amministra-zione Obama; aiuti a stelle e striscie,però, che sono straordinariamentemaggiori rispetto a quelli messi incampo dai governi europei. Il premioNobel per l'economia ha sparatopesanti critiche anche sulla BancaCentrale Europea. L'istituzione incari-cata di governare la moneta nell'eu-rozona sarebbe colpevole di essersimossa troppo in ritardo rispetto allareazione dimostrata dalla Fed, e,anche qui, si rileva un rilevanteminor coraggio in termini di nume-ri. Krugman imputa buona parte del-l'attuale lentezza e almeno parzialeincapacità europea ad una scarsa lea-dearship politica e dirigenziale. Europe’s economic and monetary inte-gration has run too far ahead of itspolitical institutions. The economies ofEurope’s many nations are almost astightly linked as the economies ofAmerica’s many states — and most ofEurope shares a common currency. Butunlike America, Europe doesn’t havethe kind of continentwide institutionsneeded to deal with a continentwidecrisis.Dunque anche Paul Krugman, sullaprima pagina del New York Times,punta il dito contro la maggioredebolezza e problema europeo.Anche questo professore, da oltreo-ceano, augura che la crisi venga con-cretamente presa non solo come l'oc-casione per rivedere e rafforzare leregole dell'economia. Gli europeihanno un altro motivo, e forse piùimportante, per poter "sfruttare" lacrisi. Devono assolutamente appro-fittare per prendere coraggio e fareun notevole passo in avanti nella dif-ficile soluzione della dicotomia traunione economica ed unione politicaeuropea. Ovviamente, anche perchèpure l'America ne trarrebbe vantag-gio. Forse.

Timoteo Carpitawww.timoteocarpita.it

Bernanke rass icura l ’AmericaKrugman provoca l ’Europa:entrambi a f in di bene

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Venerdì 27 Marzo si è tenuta nell’aula Nocco di ViaParenzo la presentazione degli indirizzi di specializza-zione che gli studenti di Giurisprudenza potranno sce-gliere dopo i primi tre anni e mezzo di studio.L’ordinamento agli studi della Facoltà prevede, infatti,che dopo i primi sette semestri in cui lo studenteacquisisce le competenze primarie di base che gli con-sentano di avere accesso, a seconda dei casi, al mondodel lavoro, ai percorsi di formazione post laurea ovve-ro alle diverse carriere concorsuali e/o professionali,egli possa liberamente scegliere uno dei dieci profiliformativi che l’università offre per garantire uno stu-dio più mirato nell’ambito del settore giuridico sceltodallo studente (pur sempre in una prospettiva forte-mente interdisciplinare) fondato su una tipologia diinsegnamento orientata al problem solving ed allatecnica dei cases book.I professori della Facoltà hanno così illustrato i variprofili di cui sono responsabili:

Diritto civile: Prof. M. NuzzoIl profilo di diritto civile ha come obiettivo principalequello di fornire allo studente che lo sceglie una cono-scenza diffusa dei vari rami del diritto, tale da acqui-stare la capacità di risolvere problemi complessi inambiti differenti. Tale preparazione consentirà allostudente di poter affrontare, oltre le tradizionali figu-re professionali, carriere tipiche di altri operatori inambito pubblico e privato, essendo il profilo orientatoa mettere in evidenza i collegamenti esistenti tra levarie discipline del diritto e consentire la combinazio-ne delle nozioni assunte per la soluzione di problemipratici. A tal fine saranno organizzati seminari duran-te i quali si dimostrerà come una stessa questionepossa essere risolta da vari punti di vista legali, la cuisintesi fornirà il risultato migliore e più efficace per larisoluzione delle controversie.

Diritto ed economia delle imprese e dell’inno-vazione: Prof. G. MoscoIl giurista d’impresa modellato dal profilo è abilitatoall’accesso a tutti i concorsi e le professioni tradiziona-li o può entrare nel mondo imprenditoriale o istituzio-nale, presentandosi in ogni caso con una preparazio-ne interdisciplinare che integra competenze giuridi-che, economiche e aziendalistiche ormai indispensa-bili per assistere o dirigere le imprese e, più in genera-le, per entrare in realtà professionali e istituzionaliavanzate. Il conseguimento della laurea inGiurisprudenza, attraverso tale profilo, consente inol-tre l’iscrizione al corso di laurea magistrale in Dirittoed economia della Facoltà di Economia della Luiss“Guido Carli” secondo un percorso didattico integratodi accesso.

Diritto societario e tributario: Proff.ri G. Visentinie L. SalviniIl percorso formativo è caratterizzato da una strettasinergia tra i due essenziali aspetti per la formazionedi un giurista d’impresa, quello societario e quello tri-butario, naturalmente con attenzione anche agliaspetti comunitari e internazionali. Tale formazionetrova impiego nell’ambito di attività lavorative con-notate da forte domanda, tanto professionali, quantosvolte negli uffici fiscali e legali di aziende, quantoancora in istituzioni pubbliche. Sono previsti stagespresso studi professionali, aziende, Agenzie fiscali. Glistudenti avranno la possibilità di seguire corsi specia-listici e moduli tenuti in lingua inglese nonché di par-tecipare ad iniziative universitarie internazionali.

Diritto penale: Prof. A. CarmonaIl profilo consente allo studente che voglia approfon-dire lo studio del diritto penale di esaminare sia i set-tori che tradizionalmente sono stati al centro dell’in-teresse del penalista sia quelli collegati a fenomeni direcente emersione. Pertanto, nell’offerta formativa,alle materie che affrontano le specificità delle temati-che “classiche” del diritto penale sostanziale e proces-suale, si affiancano quelle richieste dall’evoluzionedella realtà sociale. Alla prima esigenza, e senza pre-tesa di esaustività, risponde l’istituzione di corsi qualiquello di Diritto penale della P.A. e Diritto dell’esecu-zione penale, alla seconda, l’approfondimento delleproblematiche penalistiche nel settore dell’economiae in campo biomedico attraverso i corsi di Dirittopenale dell’economia, Diritto e procedura penaledegli enti e Diritto penale delle scienze mediche edelle biotecnologie.

Diritto dei mercati e dei contratti finanziari:Prof. A. NuzzoIl profilo offre un approfondimento delle principalitematiche relative al sistema finanziario: dalla regola-mentazione dei mercati e degli intermediari finanzia-ri e creditizi alla disciplina delle società quotate edegli strumenti finanziari. Il profilo è rivolto principal-mente a quanti intendano sperimentare, sul pianometodologico, le questioni di diritto proprie del setto-re centrale del sistema economico del Paese. Si offredunque quale particolare opportunità per quantiintendano in prospettiva operare a livello professio-nale nell’assistenza e consulenza legale specialisticaovvero siano interessati a svolgere attività professio-nale all’interno di organismi di mercato o controllo,nazionali e internazionali.

Diritto pubblico: Prof. M. ClarichIl profilo tiene conto delle esigenze formative dellostudente interessato ad approfondire, nella corniceistituzionale derivante dall’integrazione comunitariae dalle modifiche della Costituzione del 2001, lematerie fondamentali afferenti alla disciplina.Particolare attenzione viene dedicata al funziona-mento del Parlamento, ai rapporti tra centro e perife-ria, alle tematiche legate alla giustizia costituzionalee alla comparazione. La varietà dell’offerta didatticaconsente allo studente di calibrare la formazione inrelazione all’inserimento professionale al quale aspira

Istituzioni politiche e amministrative: Prof. S.A.RomanoIl profilo delle “Istituzioni politiche e amministrative”è di interesse non solo per l’accesso alle tradizionaliprofessioni legali, ma anche per quello a professioni e

carriere per le quali è richiesta una solida formazionepolitologica (giornalismo parlamentare e politico,funzionari presso gli Organi costituzionali delloStato). Infatti, il corso è strutturato in modo da con-sentire, attraverso l’inserimento volontario nel pianodi studi di alcuni insegnamenti a scelta in esso previ-sti (tra i quali la seconda lingua straniera), l’iscrizionecon abbreviazione al secondo anno del Corso di laureamagistrale in Scienze di governo e della comunicazio-ne pubblica – Indirizzo istituzioni politiche e ammini-strative, previsto dalla Facoltà di Scienze politichedella Luiss “Guido Carli”.

Diritto amministrativo: Prof. F. LubranoIl profilo di diritto amministrativo tiene conto delleesigenze formative dello studente che miri a un inse-rimento lavorativo come libero professionista, legaled’impresa, magistrato, funzionario pubblico. A questofine, in aggiunta a materie tradizionali come il dirittourbanistico e il diritto dell’ambiente, l’offerta didatti-ca include discipline speciali che hanno acquisitoun’importanza crescente, come i contratti pubblici, e iservizi pubblici. L’approfondimento relativo al proces-so amministrativo completa i concetti di basi acquisi-ti nella prima parte del percorso di studi.

Diritto internazionale e comunitario: Proff.riN.Ronzitti e A. Del VecchioIl profilo si prefigge di fornire allo studente un’appro-fondita conoscenza delle molteplici branche in cui ildiritto internazionale e il diritto comunitario si artico-lano. Nei diversi corsi lo studio della dottrina, dellaprassi e della giurisprudenza internazionale e comu-nitaria consentirà di acquisire gli strumenti indispen-sabili per una futura carriera nella diplomazia, nelleorganizzazioni internazionali a carattere universale eregionale, presso l’ Unione Europea, in studi legali convocazione internazionalistica e nelle amministrazionistatali e locali che curano i rapporti con Stati ed entiterritoriali stranieri.

Diritto del lavoro e della previdenza sociale:Proff.ri R.Pessi e R.FabozziIl profilo Diritto del lavoro e della previdenza socialeha lo scopo di fornire una preparazione più approfon-dita, sia sotto il profilo teorico che metodologico-applicativo, circa le tematiche del lavoro, sindacale edella previdenza sociale. In particolare, si fornirannoagli studenti, anche attraverso una tipologia di inse-gnamento maggiormente orientata ai cases book, letecniche di analisi e di problem solving, tenendoconto del generale quadro di riferimento giuridico,politico ed economico. Nell’ambito degli insegna-menti del profilo saranno effettuate delle testimo-nianze da parte di soggetti operanti nel mondoimprenditoriale, associativo ed istituzionale.

Bruno [email protected]

Visti di profiloL’importanza di una scelta caratterizzante

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R I M P I A N T ONell’aprile del 2005 il cardinale Joseph Ratzingerveniva eletto al soglio pontificio, divenendo succes-sore di Karol Wojtyla con il nome di Benedetto XVI.Sono trascorsi esattamente quattro anni da quell’e-vento e già da tempo fioccano paragoni e sovrappo-sizioni tra gli ultimi due Papi secondo la sterile, mapur sempre allettante, logica dell’esercizio dellesomiglianze e delle differenze. Per quanto futilepossa essere una simile pratica, soprattutto a causadel fatto che il pontificato ratzingeriano è ancora incorso, credo sia possibile fin da ora evidenziare i pas-saggi cruciali e le più manifeste connotazioni stilisti-co - dottrinarie con cui poter analizzare l’operatodell’attuale Pontefice rispetto a quello del suo pre-decessore.

Nonostante entrambi facciano parte dell’ala piùconservatrice della galassia cattolica, non mancanole occasioni per mettere in luce quanto più reaziona-rie siano le posizioni di Papa Ratzinger rispetto aGiovanni Paolo II; e questo lo si può notare non solobasandosi su decisioni di portata rilevante ma ancheesaminando piccole innovazioni a dir poco significa-tive (si pensi al ripristino di abiti e accessori risalen-ti al Risorgimento, come i simpatici copricapo, concui spesso siamo abituati a vedere Benedetto XVI).Sicuramente non è stata una scelta di poco contodecretare la possibilità di un ritorno alla celebrazio-ne della messa secondo l’antico rito romano diepoca preconciliare, quello - per intenderci -che prevede come lingua ufficiale della liturgiail latino. A mio modo di vedere, rivalutarediversi aspetti della tradizione ecclesiastica faparte di una precisa strategia operativa su cuipuò inserirsi alla perfezione l’impronta marca-tamente antiprogressista che l’attuale Papa havoluto imprimere al proprio pontificato. Inaltre parole, tornare alle soluzioni e ai canonidel passato per tornare ad una Chiesa del pas-sato; e, di conseguenza, ad una Chiesa più bat-tagliera e intransigente, ad una Chiesa chepreferisce al dialogo il rifiuto. Come non legge-re in quest’ottica la revoca della scomunica aiquattro vescovi lefebvriani di cui faceva parteil controverso mons. Richard Williamson, alcentro di recenti polemiche per le sue inaccet-

tabili posizioni negazioniste sull’Olocausto?Effettivamente, la Fraternità Sacerdotale San Pio X(congregazione ispirata alle tesi del prelato cherifiutò il Concilio Vaticano II, Marcel Lefebvre, e perquesto venne scomunicato da Giovanni Paolo II)rappresenta il movimento ultraconservatore che piùdi ogni altro si oppose ai mutamenti con cui laChiesa Cattolica si è trasformata negli ultimi decen-ni; e revocare la condanna all’ostracismo dalla fami-glia dei fedeli a chi si è battuto per imporre una per-sonale idea di comunità ecclesiale ormai del tuttosuperata costituisce il miglior atto di adesione aquella strategia operativa di cui sopra. Tuttavia, ilpunto focale della questione è: a che (e soprattuttoa chi) vale ciò? Questo atteggiamento, questa pro-

pensione d’intenti, questo stile ripagala Chiesa in termini di credibilità percome si presenta e agisce nel mondo,relazionandosi ad esso?Ma è in un altro ambito, secondo il

mio parere, che ancor meglio si evi-denzia quanto sostengo: il dialogointerreligioso. Tutti ricordano l’ami-chevole definizione con cui PapaWojtyla si rivolse agli israeliti, parlan-do degli ebrei come dei “fratelli mag-giori” di quanti si professano cristiani;egli arrivò persino a cancellare l’infa-mante accusa di “deicidi” che nellapreghiera del Venerdì Santo continua-va ad infangare, senza più alcunaragione, il popolo di Sion. Benedetto

XVI, invece, oltre ad incrinare i rapporti con le auto-rità religiose israeliane a causa della fin troppo notacontroversia lefebvriana - che si spera venga defini-tivamente risolta nel viaggio pastorale previsto peril prossimo maggio - si è suo malgrado imbattuto inun piccolo empasse diplomatico-religioso con lecomunità islamiche di diversi paesi mediorientaliquando, ad un anno dall’inizio del suo pontificato,durante una lectio magistralis tenuta pressol’Università di Ratisbona (quella che in passato lo haospitato in vista di docente), volle citare una frasenon del tutto appropriata dell’imperatore bizantinoManuele II Paleologo: “Mostrami pure ciò che

Maometto ha portato di nuovo e vi troverai soltantodelle cose cattive e disumane, come la sua direttivadi infondere per mezzo della spada la fede che eglipredicava”. Tenendo conto delle proteste dei fedelimusulmani che si protrassero per circa una settima-na a seguito di quell’infelice citazione, è sembratospontaneo interrogarsi sull’opportunità di accenna-re ad un passo di così problematica interpretazione,soprattutto perché quelle parole non erano condivi-se dallo stesso Pontefice, come egli stesso ebbemodo di chiarire.

Spero che queste righe non vengano tacciate in fret-ta e furia di mero anticlericalismo ma, piuttosto,offrano l’occasione per una schietta ed approfonditaanalisi “di contenuto”. Del resto, essendo nato nel1987, sono cresciuto con l’idea che il Papa fosse, esempre sarebbe rimasto, quel vigoroso e imponentecardinale venuto “di un Paese lontano” che, a ragio-ne, è stato definito “il catalizzatore del mondo”, coluiche pare abbia dato la picconata più forte perchè il

Muro che divideva Berlino crollasse definitiva-mente. Ed è precisamente questo il motivo chetuttora mi porta a rimpiangerlo.

Intanto, siamo entrati nel terzo millennio,abbiamo inaugurato un nuovo secolo all’inse-gna di quella che mi appare sempre di piùcome una virata sulla rotta percorsa finoradalla Chiesa Cattolica.

Tutto questo accade nell’anno di grazia 2009,Benedetto XVI regnante. Forse, in tutti i sensi.

Antonio Bonanata

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La veramente vera verità su Marco Travaglio

Piuttosto che cominciare quest’articolo attraversouna sfilza di valutazioni positive su Marco Travaglio (eil materiale da cui prendere spunto ci sarebbe ecco-me), si è voluto considerare un successo personale dalui recentemente conseguito. Ogni anno l’associazio-ne della stampa tedesca attribuisce un premio per lalibertà di stampa. A vincerlo in passato furono il cro-nista che denunciò i crimini di guerra in Kosovo e lacoraggiosa giornalista che mostrò al mondo quantofosse estesa la rete di corruzione nella Russia di Putin.Quest’anno il premio è andato a un giornalista italia-

no, “un collega coraggioso e attento, che si impegnacontro tutti gli ostacoli per difendere la libertà distampa in Italia". Si tratta di Marco Travaglio.All’assegnazione di questo premio a Travaglio l’Italiaha risposto con un’indifferenza a reti e a edicole unifi-cate: eppure avrebbe dovuto rappresentare un onoreper il nostro paese, considerando l’impietosa posizio-ne occupata dall’Italia nelle classifiche internazionaliper la libertà di stampa.In Italia, infatti, di Travaglio sidice che ha offeso il Papa e che ha dato a Napolitanodel “lombrico”. Si tratta ovviamente di accuse inesi-stenti, senza prove (a offendere il Papa è stata, sem-mai, Sabina Guzzanti). In realtà, infatti, Travaglio haoffeso come “lombrico” solo l’attuale presidente delSenato: ma è facile generalizzare, soprattutto quandola vittima della diffamazione è un personaggio sco-modo come Travaglio. È altrettanto facile dargli dell’i-pocrita: come fa Travaglio a definirsi liberale, ci sichiede, se poi non è altro che un giustizialista? Èun’ottima domanda, se non si tiene conto del fattoche l’ideale del liberalismo non coincide con quellopropugnato da Silvio Berlusconi, basato sulla promo-zione dell’evasione fiscale, sulla riduzione dei terminidi prescrizione per i reati, sulla depenalizzazione delfalso in bilancio. In un paese davvero liberale atteg-giamenti di questo tipo verrebbero definiti per quelloche sono realmente, cioè comportamenti volti a dan-neggiare il naturale sviluppo del mercato. In Italia no,Berlusconi è un liberale. Dell’Utri, pregiudicato perfrode fiscale, è un liberale.Appare altresì bizzarro che

Travaglio abbia affermato di votare per l’Italia deiValori di Antonio Di Pietro, in quanto la presenza diLeoluca Orlando in tale partito sarebbe in contrastocon Travaglio e il suo essere “sulla cresta dell’onda del-l’antimafia”. Francamente sembra strano incolpareTravaglio, un banale elettore, per le frequentazionipolitiche di Antonio Di Pietro. Ma si sa, è molto sem-plice criticare le scelte altrui, piuttosto che cercare dimigliorare il proprio giardino. Travaglio, in fin deiconti, fa così tanto rumore perché è uno dei pochigiornalisti virtuosi che non si arrende alle mire dirigi-ste del potere, ora politico, ora economico, e cheriesca a levare una voce di dissenso. Ed è per questoche ha ottenuto il premio di cui sopra, da parte deigiornalisti d’oltralpe, che sono davvero suoi colleghi:differentemente dall’ex giornalista Renato Farina,uno dei pochi per i quali l’Ordine dei giornalisti si siapreso la briga di applicare la sanzione massima, laradiazione, e che quindi non è più un suo collega,come qualcuno (LiberaLuiss, marzo) ha avuto a dire.

Giulio AgamennoneFederico Scalise

È diventato un argomento al centro di ogni dibatti-to politico, soprattutto dopo la recente scomparsadi Eluana Englaro. Un argomento che divide catto-lici e laici, centrodestra e centrosinistra. Gli unidifensori del credo cristiano, paladini del “non ucci-dere” a nessun costo. Gli altri fedeli nel libero arbi-trio. Com’è risaputo, manca ancora in Italia unalegge sul testamento biologico, un documento chepermette di mettere la propria volontà nero subianco in materia di trattamento medico. Ciò signi-fica che il medico potrà avere le idee chiare sucome, quando e quanto curare un paziente, spe-cialmente se questo non è in grado di comunicarele proprie intenzioni. Tuttavia, è in corso attual-mente il vaglio di un disegno di legge in materia,dopo anni di sollecitazioni. «È un attentato allavita», dicono i cattolici. «È una forma di eutanasia».Ha detto il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini: «Il diritto alla vita va difesosenza se e senza ma. È assolutamente sbagliato dire che ognuno è padrone dellasua vita» . Eppure, di parere opposto ora sembra essere anche il Pdl. Come hadetto Daniele Capezzone è importante tenere conto della «volontà certa ed espli-cita della persona interessata». Proprio ultimamente, Pd e Pdl hanno raggiuntouna prima intesa con un accordo di massima sul consenso informato del pazientein merito al trattamento terapeutico. In ogni caso, è un vuoto giuridico che biso-gna assolutamente colmare, come ha affermato il presidente della CameraGianfranco Fini. Si tratta di una questione delicatissima, che ha toccato profonda-mente la coscienza di chiunque, credenti e non. Duole perciò il fatto che il gover-no abbia strumentalizzato la vicenda della povera Eluana, fino al suo decesso.Come gonfiare nei media questo episodio per coprire le evidenti difficoltà dellacrisi economica più volte sminuite dal premier Silvio Berlusconi? Il “caso” ha volu-

to che, dopo la morte della ragazza, i tonidella polemica si siano attenuati. Deplorevoleè poi il commento del senatore a vitaFrancesco Cossiga alla notizia del decesso:«Pensavo che la sinistra applaudisse».Ebbene, il rispetto per la vita non è né didestra né di sinistra. Il problema sta nel defi-nire il concetto stesso di “vita”. Può essere“vita” un periodo di diciassette anni passatiattaccati ad un sondino, immobili, in un lettod’ospedale? Si potrebbe dire: c’è sempre lapossibilità di potersi riprendere. Se così fosseche effetto farebbe risvegliarsi dopo anni eanni passati in stato comatoso? Si pensi alleripercussioni fisiologiche e psicologiche! Nelcaso specifico di Eluana, i medici avevano sta-bilito un periodo di quattro settimane circa in

cui la ragazza avrebbe continuato a vivere dopo l’interruzione dell’alimentazioneartificiale. Invece, è morta pochissimi giorni dopo. È evidente che la situazione eraben più che grave. Solo due parole contano: libero arbitrio. Un principio predicatodallo stesso credo cristiano, se non il principio fondamentale che è alla base dellacristianità stessa. È vero che la Englaro non firmò alcun documento scritto in cuidichiarare la sua volontà in merito alla propria vita, è vero che il giuramento diIppocrate impone ai medici di curare il paziente e di tutelarne la vita ad ognicosto, finché possibile. Sono anche questi ostacoli etici che i nostri rappresentan-ti dovranno permettere di superare, oltre a vecchi rancori e riserve ideologiche,per una disposizione di norma adeguata.

Paola Spataro

Dov’è finito il libero arbitrio?

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Colpevoli di aver fatto il proprio dovere

“Una guerra fra bande dentro la magistratura”. Così ciè stata presentata tre mesi fa la cosiddetta “guerra”fra le procure di Salerno e Catanzaro, cioè come unarissa tra magistrati dediti a sequestrarsi vicendevol-mente atti di indagine. E’ stato realmente così?Ovviamente no. Ancora una volta ciò che è stato pro-pinato all’opinione pubblica durante quei mesi non èstato altro che la storpiatura di una vicenda complica-ta, ma limpida nei fatti, volutamente e sistematica-mente manipolata. Tutto nasce nel Dicembre 2008.La procura di Salerno pone sotto inchiesta otto magi-strati della procura di Catanzaro, indagati per varieipotesi di reato, tra le quali quella di essersi vendutiagli indagati dell’inchiesta “Why Not” (avocata all’or-mai ex PM di Catanzaro Luigi De Magistris) per poiinsabbiarla. Siamo ancora alle indagini preliminari. Imagistrati di Salerno vogliono vederci chiaro e quindiordinano il sequestro degli atti di “Why Not” e la per-quisizione degli indagati. Una cosa più che normalein una qualsiasi indagine. Ma stavolta è diverso.Perché l’indagine di Salerno rischia di riaprire il capi-tolo De Magistris, il quale all’epoca in cui era PM aCatanzaro stava compiendo indagini, non scottanti,ma roventi su presunti legami tra politica, magistra-tura e comitati d’affari. Quindi il fatto che dei magi-strati si stiano occupando di quelle vicende mette insubbuglio i poteri forti (istituzioni, media, classe poli-tica,..) che in tempi record serrano le fila e partonoall’attacco della procura di Salerno. Accuse di ognisorta, fondate su balle mirabolanti, cominciano a pio-vere sulla procura campana accusata di aver emesso

un decreto (quello di sequestro e perquisizione) defi-nito abnorme, illegittimo, eversivo! Ora se questeaccuse fossero state finalizzate ad una verifica dellalegittimità del decreto di Salerno, poco male. Ma gliattacchi alla procura di Salerno non miravano ad unaverifica di quell’atto. Perché se l’intenzione fosse statarealmente quella non ci si sarebbe impegnati ademolire a colpi di baggianate l’inchiesta salernitana,ma si sarebbe atteso la sentenza del ricorso contro ildecreto della Procura di Salerno presentato da partedegli indagati dell’inchiesta “Why Not” al Tribunaledel riesame di Napoli (cioè l’unico Tribunale compe-tente a valutare nel merito l’atto di Salerno). E invecenon si è atteso un bel niente, anzi successivamente è

stata addirittura ignorata la sentenza del Tribunaledel riesame, la quale confermava il decreto di seque-stro e perquisizione della procura di Salerno. Mentrein un paese normale la notizia di questa sentenzasarebbe balzata su tutte le prime pagine dei giornali,in Italia questa notizia non è comparsa da nessunaparte. Il fatto che l’unico tribunale competente avalutare nel merito il decreto di Salerno abbia confer-mato tale atto, smentendo gli attacchi contro la pro-cura di Salerno, non è stato ritenuto degno di nota.Silenzio totale. Meglio continuare a parlare d’altro,ignorare che Salerno aveva compiuto un atto legitti-mo e che, al contrario, Catanzaro (che nel frattempoaveva “contro-sequestrato” gli atti sequestrati daSalerno con un atto assolutamente illegittimo) avevaoperato secondo modalità (queste sì) eversive.Meglio imbottire la società di balle, creare un casovirtuale per “buttarla in caciara”. Meglio adoperarsiper coprire l’ennesima demolizione dell’ennesimaindagine scomoda. Meglio coprire i fatti. Cioè che ilprocuratore capo di Salerno, cacciato dalla magistra-tura, ed i due sostituti procuratori, cambiati di sede efunzione, sono stati colpiti per un motivo solo. Averfatto il loro dovere.

Giuseppe [email protected]

“Nella volontà da parte della politica di combattere veramente la mafia io non homai creduto” diceva Paolo Borsellino alla sorella Rita. Gli attentati mafiosi del ’92vennero all’epoca collegati ad una strategia di intimidazione: per la prima volta,grazie ai maxiprocessi messi in piedi dal pool antimafia, Cosa Nostra perde la suaaura di impunità e i boss vengono processati e condannati all’ergastolo e al carce-re duro previsto dal 41-bis. Sicuramente l’assassinio di Falcone è stato una vendet-ta e nello stesso tempo un messaggio alle istituzioni. L’attentato a PaoloBorsellino, invece, assume altri connotati, messi in evidenza da rivelazioni e inda-gini successive. 1° Luglio 1992: Borsellino viene convocato dal ministro dell’inter-no Mancino, il quale però nega di aver mai incontrato il giudice. Eppure, oltreall’annotazione sull’agenda grigia di Borsellino,l’avvenuto incontro è confermato dal magistratoAliquò che aveva accompagnato Borsellino alministero e da Mutolo, il pentito che il giudicestava interrogando. Mutolo racconta cheBorsellino era tornato così scosso dall’incontroche non si era accorto di aver acceso due sigaret-te. Racconta Massimo Ciancimino, figlio di “Don”Vito Ciancimino, che nel Giugno 1992 (occhio alledate!) suo padre incontrò il capitano De Donno eil generale Mori del ROS dei carabinieri per inta-volare una trattativa per conto di Provenzano: lafine delle stragi e la consegna di qualche latitan-te in cambio di alcuni “favori” a Cosa Nostra, tracui: niente ergastolo e carcere in isolamento, stopagli sconti di pena per i pentiti e alla confisca deibeni. Cosa è successo dopo il 1992? Da una partehanno preso Riina, dall’altra sono state chiuse lecarceri d’isolamento di Pianosa e dell’Asinara, eli-minati i benefici ai pentiti (infatti non ce ne sono

più stati), tagliate le scorte ai magistrati, le leggi sulla confisca dei beni sonodiventate così macchinose da essere inservibili e, l’ultima chicca, la nuova riformadelle intercettazioni che le renderà inutilizzabili (i reati di mafia si scopronosoprattutto tramite intercettazioni telefoniche e ambientali). Cosa sapevaBorsellino quando diceva alla moglie “ho capito tutto” e “devo sbrigarmi perché ilprossimo sarò io”? Forse aveva capito che c’era una trattativa in corso e che lui eral’unico ostacolo? Sembrerebbe che nei primi anni ’90 lo Stato prendesse accordisegreti con Cosa Nostra e che la mafia influenzasse la politica tramite lebombe…e ora? Ora Corrado Carnevale, chiamato da Falcone e Borsellino “l’am-mazzasentenze”, perché annullava tutte le sentenze a carico di mafiosi, potrebbe

concorrere (grazie ad una legge apposita) alla presi-denza della Corte di Cassazione; ora i nomi citati nel1996 da Luigi Ilardo, boss pentito confidente deicarabinieri, come esponenti di Cosa Nostra nelle isti-tuzioni sono: Salvo Andò, deputato Pd condannatoper mafia nel 2000, Marcello Dell’Utri, senatore non-ché ideatore di Forza Italia, Giulio Andreotti, senato-re, condannato per mafia nel 2003, Dolcino Favi, pro-curatore. Per non dire che nelle motivazioni dellasentenza che condanna Dell’Utri per mafia (2004)troviamo scritto che “svolse un’attività di costantemediazione tra (…) Cosa Nostra e (…) il gruppoFininvest” (di Berlusconi, nda) e che Berlusconi, oltrea pagare il pizzo, da trent’anni è nelle mani di CosaNostra. “I mafiosi stanno in Parlamento”, dicevaPippo Fava.

Giulia Ciuffreda

L’eredità delle stragi

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Zingari, Gitani, Nomadi, Rom, Sinti,Rumeni, Slavi sono tutti termini che indi-cano erroneamente diverse etnie, lequali hanno in comune lingua e costumie sono ritenute originariamente nomadi;la definizione più generale e adatta,però, è quella di Popolazione Romanì, laquale è per la maggior parte sedentaria enon ha alcuna connessione “esclusiva”con la Romania.Di particolare interesse storico e sociale,sono le vicende che hanno intrecciatotale Popolazione e la Spagna: quest’ulti-ma conta una comunità Romanì compre-sa tra i cinquecento e i seicentomila indi-vidui, in maggior parte di etnia Kalè. Quiprendono il nome di Popolo Gitano, deri-vante dalla parola “egiptano” poichè,quando giunsero nella penisola Iberica,si credeva che provenissero dall’Egitto. Inrealtà, la dottrina più affermata indivi-dua una loro eventuale terra d’origine nelPunjab, nel subcontinente indiano.Appena giunti in Spagna nel 1415, iGitani si dispersero nelle varie regioni,integrandosi e ridifferenziandosi in ulte-riori gruppi; per tutto il XV secolo, i rap-porti con le popolazioni locali furonogeneralmente buoni, ma , a partire, dal1499, con l’unificazione dei Regni diSpagna, iniziò un politica di omologazio-ne culturale, che li colpì particolarmentetramite disposizioni rigide che miravanoa svuotarli delle loro tradizioni e dei lorousi, pena la servitù o l’espulsione.Duecentocinquanta anni più tardi, con lasalita al potere di Ferdinando VI, il lorotrattamento acquistò sempre più tratti didiscriminazione e intolleranza: ciò culmi-nò nella Gran Redada ( mercoledì 30Agosto 1749) organizzata in segreto dalmarchese della Ensenada e volta all’arre-sto e alla successiva estinzione della“razza Gitana”. Il fatto ha caratteri chesfiorano l’assurdo e ricordano i metodinazisti: furono inviati, in ogni città dellaSpagna, ufficiali e regimenti con unabusta contenete ordini segreti, che dove-va essere aperta in presenza del reggen-te della città nello stesso istante in tuttala Spagna; gli ordini della busta dicevanodi arrestare tutti gli individui che aveva-no caretteristiche corrispondenti a quelledel popolo Gitano (ciò perchè questi ulti-mi non venivano riconosciuti come popo-lo e quindi non erano denominati in nes-sun modo). Tale operazione, finanziatacon i soldi degli stessi prigionieri, portòdodicimila arrestati, che furono trasferiti

in Africa, in porti o poli minerari e, inseguito, divisi in due gruppi: donne ebambini sotto i sette anni, e i restanti: iprimi lavoravano in fabbrica, i secondi ailavori forzati, e, in particolar modo, negliarsenali della marina. Rimasti in “cattività” per circa un decen-nio, con l’avvento del regno di Carlo III, iGitani prigionieri furono liberati e il recambiò la politica nei loro confronti: nel1783, trentaquattro anni dopo la GranRedada, furono promulgate delle diretti-ve che mostravano un atteggiamento piùsensibile verso tale popolo, sempre, però,cercando di limitare alcuni tratti fonda-mentali della loro cultura. Eccone alcune:i Gitani sono cittadini spagnoli; i gitanisono uguali agli altri cittadini; i bambinidevo andare a scuola a partire dai quat-tro anni; i Gitani sono liberi di fissare laloro residenza; i Gitani possono lavorareo impegnarsi in qualunque attività; iGitani hanno diritto di asilo e di cura; chiimpedisce l’entrata dei Gitani in corpora-zioni o cerca di negargli la residenza, saràpenalizzato; si impongono pene a coloroche ostacolano l’integrazione dei Gitani.Fino al 1936, la politica nei confronti deiKalè rimane costante, caratterizzatadalla volontà di identificazione da partedei regnati, manifestata anche con varitentativi di censimento della popolazio-ne.Lo stato, però, rimane fondamentalmen-te incapace di garantire l’uguaglianzaaffermata nella Costituzione, portando laformazione, da una parte, di un buonlivello di comunicazione interetnico, ma,dall’altro, il persistere di forme subdole dixenophobia.Con l’avvento della Guerra Civile e laseguente dittatura di Franco, si torna auna repressione culturale e a una radica-le intolleranza: la lingua gitana vieneconsiderata un gergo delinquenziale enei loro confronti viene applicata unaforma di legge sulla pericolosità sociale.Infine, iniziato il periodo democratico, iGitani hanno pieno riconoscimento comecittadini e uguaglianza davanti allalegge, la Costituzione riconosce come cri-mine la discriminazione razziale. Inoltre,sono state abrogate tutte le norme anti-gitane approvate sotto il periodo fascistae, negli anni ’80 il governo di Madrid, incoordinamento con le ComunitàAutonome, ha posto l’ attenzione sul pro-blema del reale sviluppo dei Gitani all’interno della società spagnola; nel 1989il “Ministerio de Asuntos Sociales” hadato il via al “Piano nazionale di sviluppoGitano”, che prevede un’ ampia erogazio-ne di fondi per la loro integrazione, usu-fruendo anche degli aiuti comunitari.

Fabiana NacciMauro Grella

E l Pueblo GitanoStoria di un difficile cammino verso l’integrazione

Strano popolo quellodei gitani; popolo dinomadi, erroneamen-te per alcuni, popolo dizingari, dispregiativa-mente per altri.L’eteronomia è forse ilprimo segnale del bef-fardo destino che lastoria ha voluto riser-vare a tutti coloro che oggi ven-gono identificati e impropria-mente etichettati come rom. Illoro nome, quello che essi rico-noscono e con il quale forse vor-rebbero essere riconosciuti èromanì: pochi ne sono a cono-scenza, quasi nessuno lo utiliz-za. Le vicende di questo popolo,storicamente di musicisti, alle-vatori e giostrai, sono, da che siha memoria, drammaticamentetravagliate: cacciati via damezzo mondo, si sono sparpa-gliati e nel tempo stanziati inmolti di quei paesi che troppospesso si erano dimostrati (e sicontinueranno a dimostrare)ostili nei loro confronti. Originaridella continente asiatico hannodeciso di stanziarsi al di là degliUrali: le regioni dell’Europaorientale e quelle della penisolaiberica sono state le mete predi-lette; è in questi luoghi cheancora oggi ne troviamo unamaggiore concentrazione e,come confermano gli eventi piùrecenti, una maggiore sensibili-tà al problema della loro difficol-tosa integrazione. In Spagnamolti passi avanti sono stati fattie molti se ne stanno facendo. Neè prova lampante la Catalogna,la regione spagnola a maggioreconcentrazione di romanì, laquale da tempo ha avviato ilprogramma Prolloguer, destina-to a sostenere tutti coloro chesubiscono discriminazioni, attra-verso l’acquisto e la ristruttura-zione di appartamenti vuoti peraffittarli a tali gruppi “social-mente svantaggiati”.La stessacomunità di Madrid non è certa-mente rimasta a guardare: dal1999, infatti, si è intrapresa lastrada delineata nel programma“APOI” che prevede un percorsodi inserimento a favore delleminoranze etniche dell’Europadell’est, mentre per il 2006-2008è stato varato il Piano regionaledi integrazione che destina oltre4400 milioni di euro alla risolu-zione dei conflitti e delle diver-genze socio-culturali dei popoli

che convivono in questo Paese.Lo Stato spagnolo, consapevoledella sua storia di ineguaglian-za,negli anni rafforzata dall’e-marginazione sociale, ha sceltooggi l’integrazione quale parolad’ordine. Il suo significato è lacreazione di relazioni meno tesetra gruppi che devono impararea convivere ed essa deve realiz-zarsi quale garanzia dell’effetti-va possibilità per tutti di avereuguali opportunità. L’abissaledivergenza della direzioneimboccata dalla politica italiananon mi consente purtroppo diesimermi dal riflettere: nelnostro Paese lo zingaro, il noma-de, poco importa se cittadinoitaliano, resta lo “straniero” sog-getto ad esclusione; sfugge allanostra comprensione (dati UEalla mano) l’esistenza di unvasto mondo di “rom” che vive diattività legali. E così mentre aMadrid si tenta di garantire agliimmigrati accesso gratuito alsistema d’istruzione e al sistemasanitario alle stesse condizionidegli altri madrileni, in Italia difatto i passi indietro in taleambito sono ogni giorno più evi-denti. Quando si ragiona sulle causedella mancata integrazione deiromanì è quasi inevitabile che ildiscorso si focalizzi sulle diffe-renze culturali e sul particolarestile di vita di queste comunità,quello che però ci si dovrebbechiedere è se tali argomenti pos-sano realmente fornire da giu-stificazione a secoli di persecu-zioni e di sterminio.Certo è che questa stessa culturaè troppo spesso giudicata ealtrettanto spesso oscura.E’ vero: è uno strano popoloquello dei romanì per noi chenon lo conosciamo; popolodiverso per noi che con tantafacilità lo condanniamo e forseproprio per questo popolo a cuila sorte ha riservato uno strano,triste, destino.

Flavia Romiti

C i ttadini del l imbo:realtà a confronto

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Se con il programma Prolloquer il governo di Madridha compiuto passi da gigante sul cammino dell’inte-grazione Rom, lo stesso non può dirsi, purtroppo, perquanto riguarda quella dei Marocchini. Sebbene laSpagna sia, subito dopo la Francia,la meta predilettada questi emigranti (oggi presenti in circa 33.000), laposizione del Paese risulta essere sfavorevole, se nonaddirittura ostile, al loro inserimento. Ne è provaquanto avvenuto lo scorso febbraio a Madrid: gliagenti di polizia nazionale stavano applicando daalcuni mesi nuove disposizioni in merito al numerodegli arresti da eseguire ai danni di immigrati irrego-lari. Si parla di “tetto minimo settimanale” di arrestiper ogni singolo distretto spagnolo. Una linea politi-ca che sembra risalire direttamente al contenuto diun documento relativo a una riunione dello scorso 12novembre e trasmesso al commissariato di Villa de

Vallacas, che, nel caso specifi-co, avrebbe dovuto presenta-re trentacinque arresti a set-timana e, qualora non avesseraggiunto detto numero, per-seguire la ricerca al di fuoridella propria giurisdizione.Trentacinque arresti/una set-timana/un distretto; chi nonci riesce passa ad un altro:sembrano quasi le regole diun gioco. Eppure stiamo par-lando di persone. Difficile a

credersi. Non a caso, lo scorso 16 febbraio, Atime,associazione sindacale che si occupa dei diritti deilavoratori immigrati marocchini residenti in Spagna,ha denunciato episodi di violente operazioni polizie-sche, soprattutto a Madrid e Valencia, richiedendospiegazioni al Ministro degli Interni, Alfredo PèrezRubacalba. Nocciolo della questione è: perché iMarocchini? Pronto a scagionarsi da ogni responsabi-lità, il Ministro ha precisato di non aver fatto alcunriferimento a detta popolazione, nel citato documen-to del 12 novembre, essendosi limitato a parlare di“diminuzione quantitativa del tasso di delinquenza”.Dubbiose, in merito, le sigle sindacali della poliziaspagnola, Sup, Cep, Ufp, e Spp che additano aRubacalba la responsabilità di quanto avvenuto aMadrid. Il Ministro avrebbe, a loro avviso, indicato il

Marocco come prioritario, dato che il rimpatrio, viaterra, era evidentemente più facile ed economico.D’altronde risulta difficile pensare che gli agenti dipolizia nazionale, un bel giorno, si siano svegliati eabbiano, propria sponte, deciso di arrestare gli immi-grati marocchini, invece degli altri. L’intervento delgoverno non può che essere la necessaria premessadi questa assurda pratica. Lungi dalle floride aspetta-tive di Zapatero, l’integrazione-immigrati non proce-de a gonfie vele. Almeno non per tutti gli immigrati.“Dobbiamo promuovere formule nuove che incenti-vino gli immigrati che possano perdere il lavoro neiprossimi mesi a tornare a casa. La capitalizzazionedel salario di disoccupazione che abbiano guadagna-to oppure la concessione di micro-crediti sono le vieche l’esecutivo esploderà immediatamente”. Questele parole del premier socialista, all’indomani dellelegislative dello scorso 9 marzo. Bene: con i Rom cisiamo. E con i Marocchini, come la mettiamo? Unaprogetto d’integrazione a geometria variabile,potremmo definirlo, quello spagnolo.

O, se più ci piace, à la carte.

Clara della Valle

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Un’integrazione à la carte

Microcosmo e metafora dell’intera umanità, il popologitano da più di mille anni vaga per il mondo. Non sada dove viene, né sa dove sta andando. Tanti nomi haavuto, eppure nessuna patria.Dappertutto i gitani sono disseminati, ovunque hannolasciato tracce, sempre hanno suscitato perplessità:così diversi, instabili. Riuniti in piccoli gruppi difficil-mente compatibili con le strutture e le regole socialidelle grandi civiltà, queste popolazioni nomadi hannodovuto affrontare espulsioni, repressioni, stermini.Questo triste destino sembra non abbandonare mai glizingari, quelli dei campi Rom. La refrattarietà ad accet-tare le regole delle società con cui entrano in contattocondanna i gitani all’emarginazione e all’esclusione dalle stesse, e li espone al

fenomeno di una dif-fidenza che sa di raz-zismo, che porta adetichettarli negativa-mente. C’è sempre ilrischio che siano visticome il capro espiato-rio di quanto non fun-ziona o non va benenella società.Si pensi all’Italia, almodo in cui il Rom èdivenuto emblema diquanto è pericoloso eviolento, alle misureben poco rassicuranti

proposte dai politici, alle schedature tramiteimpronte digitali degli zingari, anche bambini.D’altro canto, nell’immaginario collettivo continuaa sopravvivere il mito dei gitani come <<la tribùprofetica dalle pupille ardenti>> (Baudelaire),popolo portatore di una creatività atavica. Ledanze sensuali e coinvolgenti delle zingare ancoravivono attraverso il flamenco, le musiche scatenatee i violini zigani ancora risuonano nei locali diIstanbul, i misteri della tradizione gitana ancoraaffascinano e contribuiscono a creare un’aura dimagia intorno a figure quasi leggendarie, comequella della zingara.

Il popolo gitano, composito, disperso, ancorato qua e là, all’una o all’altra civiltà,all’una o all’altra religione, sembra essere il primo vero fenomeno glocale.Portatori di una intima identità ed insaziabili viaggiatori, scopritori di nuovi luoghie modi di pensare, non siamo forse noi, uomini dell’era della globalizzazione, inuovi zigani? Non siamo forse molto più instabili noi di quanto non lo siano inomadi degli accampamenti alle periferie delle città?

Nicola Del Medico

Il glocalismo dei gitani

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L A S C E LTA D I T E H E R A N

Il grande occhio degli osservatori internazionali è puntato sulla capitale iraniana inpieno fermento per l’approssimarsi delle elezioni presidenziali fissate per il 16 giu-gno, data cruciale non solo per il paese persiano ma anche per lo scacchiere inter-nazionale, per i rapporti con l’occidente ed in particolare con gli Stati Uniti. Relazioni che, nonostante il cambio di guida politica americana, non sembrano perniente esser migliorate.Obama infatti, viene accusato dai principali vertici iraniani di non aver mai fattosentire la sua voce durante l’aggressione israeliana contro i palestinesi di Gaza,tema da sempre caro alla politica internazionale di Teheran, tutto ciò nonostante ilnuovo inquilino della casa bianca avesse promesso sensibili cambiamenti nellerelazioni mediorientali.Tornando a parlare di elezioni emerge nuovamente il nome di MohammadKhatami, il riformista che accese, ma anche vanificò, le speranze di apertura tra il1997 ed il 2005 e che ora sembra deciso a candidarsi alle prossime politiche.Ha dalla sua l’appoggio del mondo mediatico iraniano, dai giornali ai canali televi-sivi fino a giungere al web, dovei siti che lo sostengono vengono sistematicamen-te boicottati dal regime.Khatami è sostenuto anche da numerosi intellettuali e dalle giovani generazionidelle metropoli favorevoli a nuove aperture e soprattutto propensi ad appoggiareun nuovo riformismo che possa modernizzare definitivamente l’Iran.Un ulteriore potenziale candidato potrebbe essere Mehdi Karroubi, ex presidentedel Parlamento, che può contare sul consenso dell’anziano ayatollah AkbarHashemi Rafsanjani, punto di riferimento delle èlite economiche e con una grandeinfluenza sulle istituzioni.Piacciono molto agli ambienti occidentali anche Mohammed Baqer Qalibaf, sinda-co di Teheran ed ex comandante dei pasadaran (i guardiani della rivoluzione), e AlìLarijani, presidente del Parlamento.

Personaggi questi chetuttavia non sembranoavere lo spessore politicoadatto per poter rappre-sentare un’efficace alter-nativa al populismo diMahmoud Ahmadinejad.L’immagine dell’attualepresidente resta fortenelle campagne e fra i cetipiù disagiati conquistatidalla causa di un Islamteocratico e dunque strettamente nazionalista.Ahmadinejad, dopo aver rotto tutti i ponti del dialogo con l’occidente, ora fa i conticon una crescente crisi interna che, nonostante l’isolazionismo economico, subiscegravemente il drastico calo del prezzo del petrolio e paga un’inflazione pari al 28%ed un tasso di disoccupazione al 26% che colpisce soprattutto i giovani sempre piùprecari e sempre più spinti verso piani di emigrazione.Nonostante questo quadro davvero poco roseo, Mahmoud Ahmadinejad nei primicauti sondaggi filtrati dagli organi di regime, rimane ad oggi il principale favoritoalla vittoria delle elezioni del 16 giugno prossimo.Saprà l’Islam rinnovarsi in uno dei suoi Paesi più importanti e quali margini diapertura all’occidente potrebbero esserci in un futuro non troppo lontano? To be contiuned…

Andrea [email protected]

Dopo un anno dal termine dei giochiolimpici Pechino 2008, il Tibet torna ariempire le pagine dei giornali. Il 10Marzo di questo anno è caduto il 50°anniversario della rivolta indipendentistatibetana del 1959 contro la Cina, il cui fal-limento ha portato all'esilio del 14° DalaiLama e del suo governo. Dall'India ilDalai Lama ha continuato a rivendicarel'indipendenza del Tibet, non solo dalgiogo politico della Repubblica PopolareCinese, ma anche da quello culturale,indirizzato ad annullare del tutto la tra-dizione e la religione di un popolo, tenta-tivo che lo stesso Dalai Lama ha definitogenocidio culturale (distrutti la maggiorparte dei templi buddisti, che prima del1950, anno dell'invasione cinese, erano seimila). Ilcontrollo preventivo sull'anniversario è iniziato giàdal 25 Febbraio, l'arresto di 109 monaci tibetani èriportato da Beniamino Natale e Gabriele Barbati,rispettivamente giornalisti dell'Ansa e di Sky, i qualivengono arrestati dalle autorità cinesi e rilasciati solodopo tre ore, senza spiegazione alcuna sullo stato difermo. Da li a pochi giorni in Tibet sono giunte trup-pe di polizia e paramilitari del governo cinese; con-temporaneamente, in un'azione già vista parzial-mente durante la passate olimpiadi, è stata oscuratala rete internet e bloccati in particolare siti di condi-visione video come il celebre youtube. Negata poi lapossibilità di utilizzare software come Skype. La

regione è stata chiusa agli stranieri e quelli presentisono stati espulsi, il tutto per completare la cortina disilenzio costruita dalla Cina nella previsione di rivoltedel 10 Marzo. Cortina che pare aver avuto i suoi effet-ti, le sole informazioni giunte ai giornali europei solorelative alla deportazione di 100 monaci dal mona-stero di Lutsang e ad azioni degli indipendentisticontro le forze dell'ordine ampiamente spiegate. Ilpresidente cinese Hu Jintao davanti ai giornalistidella TV di stato ha dichiarato: «Dobbiamo costruireuna Grande muraglia nella nostra lotta contro ilseparatismo e salvaguardare l'unità della madrepatria», ha poi ammonito i paesi stranieri a non ospi-tare il Dalai Lama. Fanno eco a queste parole anche le

affermazioni del primo ministro, Wen Jibao: «laCina è disponibile al dialogo se il Tibet rinunciaall'indipendenza». Il governo del Tibet in esilionon è disposto però a mettere in secondo piano ilsogno di uno stato libero dal pugno di Pechino (oche almeno goda di un certo livello di autonomia)e il Dalai Lama replica, dal suo sito, la fiducia nelvederlo realizzato: «sono ottimista sul fatto chetornerò in Tibet»; la sua fiducia è basata sul per-corso politico della Cina che sta uscendo dall'iso-lazionismo, l'avvicinarsi alla comunità mondialeporterà, secondo un suo parere, ad una revisionedelle politiche verso il Tibet. Il massimo esponen-te del Buddismo tibetano dimostra di essere ilvertice del movimento indipendentista, e ilgoverno cinese sembra confidare nel fatto che lamorte del Dalai Lama, quasi 74enne, e politiche

di sviluppo economico per la regione del Tibet,potranno portare in futuro al tramonto delle richiestedi autonomia. Da qui l'idea che Tenzin Gyatso possaessere l'ultimo Dalai Lama o che a lui ne succeda unonominato dal Governo di Pechino, investitosi di talediritto. Anche qui il Dalai Lama risponde alle doman-de dal suo sito, assicurando che dovrà essere il popo-lo tibetano, e non altri, a designare, se ritenutonecessario, il suo successore.

Addario Gianfranco

Dalai Lamacompie 50 anni il suo esilio

Al bivio tra teocrazia e riformismo

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Crisi economica: terremoto Sony

Terremoto al vertice della Sony: il direttore generaleRyoji Chubachi lascerà l'incarico ad aprile mentre lerelative deleghe saranno prese da Howard Stringer,attualmente già amministratore delegato e presiden-te. La compagnia è alle prese con gli effetti della crisieconomica che, insieme all'apprezzamento dello yen,hanno causato una perdita operativa record di 260miliardi di yen alla chiusura dell'esercizio in corso, al31 marzo. Anche per questo, Sony ha dichiarato divoler radicalmente rinnovare le attività dell’elettroni-ca e dei giochi attraverso una gestione capace diaumentarne redditività e competitività. Stinger hacommentato che questa riorganizzazione è stataorganizzata per trasformare Sony in una società piùinnovativa, integrata e agile, “ Le novità “renderannoora possibile a tutte le parti della società di lavorareinsieme per assumere una posizione di leadership alivello mondiale e, allo stesso tempo, realizzandograndi cose”. Il rimpasto al vertice di Sony segue quello deciso daaltre imprese giapponesi come Toyota e Honda, nel-l’ambito degli sforzi per rimettere in piedi le attività ei conti messi a dura prova dalla crisi economica.Parallelamente alla modifica della struttura dirigen-ziale, Sony interverrà con una riduzione dei costi di 3miliardi di euro nel corso del prossimo anno fiscale,che si chiuderà a marzo 2010. Si tratta di un taglio piùampio di quello da 2,5 miliardi previsto inizialmente.Invertendo la posizione degli addendi il prodotto noncambia. O meglio, stando alla disastrosa situazione diSony, rischia di non cambiare. Sony ha annunciato la possibilità di tagliare circa16.000 posti di lavoro entro Aprile 2010, a seguito diun importante calo degli investimenti (30% circa),

che servirà a colmare l’attuale situazione deficitariadell’azienda.Chiuderà, inoltre, due dei suoi stabilimenti europei,tra i quali il Dax Technology Center in Francia, con l’o-biettivo di ridurre del 10% il suo volume produttivo,in particolare nei settori dei televisori LCD e dei cellu-lari.Con questo piano di ristrutturazione, Sony prevede dirisparmiare 100 miliardi di yen (855 milioni di euro)entro marzo 2010, i 16.000 posti in bilico rappresen-tano il 10% dei suoi 160.000 posti, attuali, nel setto-re.Proprio in Francia è esplosa la protesta.L’amministratore delegato di SonyFrance, SergeFoucher, è stato trattenuto dai suoi dipendenti all’interno dell’impianto di Pontnox-sur-l’Adour, nel sudovest della Francia. L’amministratore delegato ediversi altri dirigenti Sony sono rimasti bloccati nel-l'impianto tutta la notte e sono stati rilasciati a metàmattina, dopo che lo staff, che ha chiuso la strada diaccesso all'impianto con tre tronchi, ha ottenutogaranzie per un nuovo round di negoziati.I rappresentanti dei sindacati hanno detto che la loro

azione è stato l'unico modo per far riprendere le trat-tative sul pacchetto per il licenziamento, non abba-stanza generoso. I salariati sono mobilitati in una pro-testa contro i licenziamenti previsti in seguito allachiusura della fabbrica. A Pontonx-sur-l'Adour, l'im-pianto di Sony che impiega 311 lavoratori dovrebbechiudere il 17 aprile. La visita di Foucher era l'ultimaalla struttura prima della chiusura. Sony aveva presoin considerazione l'idea di convertire l'impianto dallaproduzione di componenti magnetici a quella di pan-nelli solari, ma ha abbandonato il progetto, facendoinfuriare i lavoratori che speravano di mantenere ilposto. Gli animi si stanno scaldando in tutta laFrancia, colpita come altri paesi da un'ondata di chiu-sure di stabilimenti e licenziamenti di massa a causadella crisi economica globale. Sarebbe stato impensabile che una multinazionalecome Sony uscisse indenne dalla grave crisi economi-ca di questi ultimi mesi; né tuttavia ci si poteva aspet-tare effetti così devastanti per il colosso nipponico.Nikkei Net Interactive, il canale online della società digestione del principale indice tecnologico della Borsagiapponese, ha infatti rivelato che Sony, per l’anno2008, sarebbe incorsa in un deficit operativo pari a1,1miliardi di dollari.Si tratta del primo risultato annuale negativo negliultimi 14 anni e solo il secondo da quando la societàè stata ammessa alla quotazione in Borsa nel 1958; lasocietà ha dichiarato di voler preservare il propriocore business (attinente al settore dell’elettronica),riducendo la propria operatività nelle gestioni acces-sorie.

Valentina [email protected]

Torna il terrore nell’Irlanda del Nord: l’IRA colpisce ancora.Risulta attualmente poco rassicurante la situazione nord-irlandese, che mette adura prova il processo di pace avviatosi nel settembre 1998 tra Gran Bretagna e lasuddetta fazione irlandese. La sera del 7 marzo 2009, infatti, si è riacceso l’antico dissidio fra estremisti repub-blicani e protestanti inglesi con un attentato verificatosi davanti alla base diMassereene. Secondo i media locali, uomini armati di mitra avrebbero aperto ilfuoco da un taxi in corsa contro dei soldati che prendevano una pizza, uccidendo-ne due e ferendone altri quattro. L’allarme era in realtà già stato diffuso da partedel capo della polizia dell’Ulster che aveva denunciato un livello di pericolosità frai più alti dell’ultimo decennio. L’Ira torna così a colpire, troncando quella condizio-ne di pace che sembrava ormai essersi stabilita. Le violenze, però, non sono cessa-te dopo il singolo attentato e quarantotto ore dopo vieneucciso un altro poliziotto nella contea di Armah. Gli attiterroristici sono stati rivendicati da “Continuity Ira” e dalla“Real Ira”, che per il trentennio precedente al “GoodFriday” stipulato appunto nel 1998, avevano insanguina-to l’Ulster. Escludendo infatti l’isolata violenza avvenutanel 2007 da un gruppo minoritario dell’Ira nei confronti didue poliziotti britannici ed altri sporadici episodi, non siregistravano spargimenti di sangue dal nodale 1998,quando si stipulò l’accordo di pace del “Venerdì santo”, inseguito all’attentato al mercato di Omagh che costò la vitadi ben trentanove persone e il ferimento di decine di inno-centi. La brutalità e la durezza degli scontri era infattidegenerata, costringendo così i civili ad una vita di terro-re e di continua tensione. La reazione del premier britan-nico Gordon Brown è stata però forte e decisa, ha affer-mato infatti che questi avvenimenti non mineranno la

sicurezza della popolazione nord-irlandese, né faranno deragliare il promettenteprocesso di pace che porterà avanti il suo svolgimento anche attraverso l’intensi-ficazione di controlli e verifiche da parte dell’Intelligence inglese. Secondo notizie non ancora verificate, sarebbero circa 300 i dissidenti repubblica-ni dell’Ira che stanno minacciando la stabilità raggiunta in passato. La poliziairlandese ha per il momento annunciato di aver arrestato tre uomini accusati diaver compiuto l’attentato, fra cui Colin Duffy, già detenuto in passato per la suaappartenenza all’Ira da cui sembrava essersi dissociato per alcuni contrasti conaltri leader del gruppo. Ma i membri dell’Ulster Defence Assosiacion, l’organizzazione paramilitare unio-nista che si contrappone ai Repubblicani, afferma che non cederà alle provocazio-ni di “un gruppo sparuto di irriducibili” proprio per non minare quella sicurezza e

quella stabilità che dopo numerosi tentativi e difficiliapprocci si era riusciti a realizzare. Sono proprio i civili –affermano – a chiedere loro aiuto, pregandoli di non esse-re costretti a rivivere gli anni dei cosiddetti Troubles, che purnon avendo vissuto in prima persona, hanno percepito sullapropria pelle attraverso i racconti dei familiari, ben coscien-ti che quell’orrore non potrà portare nulla di buono né aicattolici né ai protestanti. Gli irlandesi sono infatti scesi inpiazza l’11 marzo, manifestando a favore della pace, controgli omicidi e le brutalità commesse negli ultimi giorni, sottosuggerimento dei sindacati. A Belfast, più di diecimila per-sone hanno infatti partecipato al corteo silenzioso organiz-zato per l’ora di pranzo, per rivendicare il loro diritto di vive-re in un’Irlanda serena e pacifica.

Alessandra Micelli

Sunday, bloody Sunday:how long, how long must we sing this song?

La multinazionale minaccia il taglio di 16.000 posti di lavoro

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Dal 2003 il Darfur, pro-vincia nel ovest delSudan confinante con ilCiad, è luogo di un fero-ce conflitto che per lamaggior parte risale alsuo presidente AlBaschir. Questo com-porta oltre alle difficol-tà politiche gravissimerepressioni per la popolazionecivile. Anche il mandato di arrestodel presidente Al Baschir dellaCorte Penale Internazionale percrimini contro l’umanità non hadato una decisiva svolta nellavicenda.Dunque è legittimo chiedersicome mai il potere delle NazioneUnite non raggiunge questo cri-minale? Che cosa abbiamo inmano se non le date di migliaia dimorti e uccisi, non parlando deiferiti? Pare veramente che qui ciresta poca scelta. Innanzitutto orasi deve contare sugli “alleati” delSudan, come la Cina, che è impor-tatore di petrolio sudanese oanche i paesi vicini come l’Egittoche dovrebbero sollecitareKhartum a non effettuare puni-zioni contro profughi sudanesi evolontari delle Ong. Ma dal latodella speranza si ha che l’opposi-zione è sempre più favorevole aun cambio di rotta e questopotrebbe portare alla fine deltiranne.Fino ad ora le carte in mano haovviamente Al Baschir e questo lodimostra ampiamente, ultima-mente con la scarcerazione diTurabi, prima suo alleato, ora tra ipiù ferrei oppositori. Cosi da unlato calma l’opposizione interna edall’ altro lancia un'altra sfida allaCorte Penale Internazionale.Come già accennato oltre agli

scontri politici nel Sudan, il Darfursta subendo una vera crisi umani-taria. Secondo una stima delleNazione Unite circa 2,7 milioni dipersone vivono nei campi sparsiper regione più sicure come ilpaese confinante Ciad. Sonoappunto in moltissimi, sprattutoobambini e donne, cacciati dai loropaesi, che sono stati distruttidalle milizie sostenute dal presi-dente. Ora vivono in baracchesemplicissime con appena abba-stanza per sopravivere, grazie alleorganizzazioni internazionali. Mase queste non sono più tolleratedal governo? Sempre più spessovengono presi in ostaggio, anchea causa dei loro atrezzi che posso-no essere utili alle truppe mina-ciose. Fortunatamente gli ultimiostaggi di Medici senza frontiere,caturate dalle milizie, sono statiliberati. Con gli ultima avvenimenti,quando il presidente ha cacciatole organizzazioni internazionalicome medici senza frontiere e leNazione Unite e molti altri, lasituazione si è azzardata ancora dipiù. Cosi la tensione è sempre altae con ansia aspettiamo le prossi-me notizie su una regione spessodimenticata ma dove paura etimore sono al ordine del giorno.

Robert [email protected]

587.041 chilometri qua-drati, circondatodall’Oceano Indiano alargo delle coste della vici-na Africa, il Monzambico èil suo dirimpettaio . Questoè il Madagascar. Statoinsulare staccatosi circa140 milioni di anni fa dalsupercontinente di Gondwana , esso è habitat natu-rale della rarissima specie animale dei lemuri (dallat. “Spiriti della notte”) che forse alcuni di voi cono-sceranno grazie al bizzarro re del celebre cartoneanimato “Madagascar”. Le attuali etnie malgascie,discendenti dai coloni arabi che per primi scopriro-no l’isola,praticano la religione islamica. AncheMarco Polo parla dell’isola nel suo Milione. Moltisono i popoli che hanno toccato le sponde malga-scie e che hanno bagnato di sangue la terra immer-sa nell’Oceano Indiano ma oggi parliamo di questoparadiso naturale per le ultime vicende politiche chehanno scritto la storia, ignota ma non per questopoco ricca, del Madagascar.A partire dagli anni’50 la Francia, che nel 1890

aveva dichiarato l’isola un suo protettorato, comin-cia una serie di riforme che danno la possibilità alMadagascar di intraprendere la strada dell’indipen-denza che viene definitivamente raggiunta nel1960. Dopo il primo presidente,Tsiranana, il poterepassa nelle mani di Didier Ratsiraka che instaura unregime di indirizzo filo-sovietico. Solo negli anni ’80, a causa della crisi economica e dell’isolamentointernazionale, Ratsiraka comincia un lento declinoche lo porta a dover modificare la sua politica fino agiungere nel 1993 alle prime elezioni multi-partiti-che. L’ex dittatore e il suo avversario,Albert Zafon, sialterneranno fino al 2001 al governo malgascio. Il 2001 vede come protagonisti delle nuove elezioniil veterano Ratsiraka contrapposto all’allora cin-quantaduenne Marc Ravalomamana, ex sindacodella capitale del Madagascar Antananarivo. Aseguito di accuse di brogli viene dichiarato vincitoreRavalomamana, il quale conosce un grande soste-gno popolare. Nonostante ciò la comunità interna-zionale non riconosce inizialmente la vittoria del exsindaco il quale dovrà dunque servirsi dell’aiutodiplomatico del presidente senegalese AbdoulayeWade. Si vocifera anche di un presunto accordosegreto tra l’ex dittatore e il nuovo inquilino della

casa presidenziale per unadivisione del potere di cui perònon trapelano indiscrezioni. Ilmotto del nuovo presidente è“contro la povertà” e moltesono le riforme attuate per ilraggiungimento degli obiettividi sviluppo del Paese tra cui lariforma agraria, la riforma sco-

lastica e la riforma fiscale. La permanenza al governo di Ravalomamana , tor-tuosa e ostacolata fin dal principio, diventa a partiredal 2006 ancora più labile. Infatti Andry Rajoelina ,contestatore delle politiche autocratiche del presi-dente, cavalca l’ondata di malcontenti ingigantitianche dalla morsa della crisi economica, capeggian-do un movimento popolare di protesta . Sabato 9febbraio 2009 è il punto culminante della protesta.La folla ribelle organizza una manifestazione che sispinge fino alla residenza di Ravalomamana. E’ allo-ra che la guardia presidenziale apre il fuoco sul cor-teo che non ha manifestato ancora nessuna forma diviolenza, uccidendo circa 40 persone e ferendonealtre 350. Questo è quello che passerà alla storia delMadagascar come il “Sabato Nero”.Nero forse perl’uso indiscriminato della forza,che il popolo delegaallo Stato e di cui questo talvolta abusa. Da questomomento in poi la situazione non fa che aggravarsi.A nulla servirà l’appello del nunzio vaticano cheindicherà <<la democrazia come unica via percorri-bile per la risoluzione dei conflitti>>.Neanche ladiplomazia avrà alcun effetto. Il 17 marzo 2009 ilpresidente Ravalomamana rassegna le dimissioni. Sicompirà così l’ennesimo colpo di stato della storia, inbarba a qualunque propaganda, vera o fittizia, dellademocrazia che noi, figli della cultura d’Occidente,propiniamo in giro per il mondo.Il Madagascar è stato sull’orlo di una guerra civile

sfiorata e non raggiunta “grazie”al buon esito di uncolpo di stato e mentre ciò accadeva i media europeitacevano,forse non lo consideravano rilevante? Undato può aiutare la riflessione: durante l’intero 2005,anno di punta del conflitto nel Darfur, i media italia-ni hanno dedicato una sola ora di informazione alconflitto. Irrilevante?

Mariastella Ruvolo

Genocidio osservatoPerché alla comunità internazionale sonolegate le mani nel conflitto del Darfur

MadagascarEscape from Africa?

PAKISTAN“The Land”

Four Provinces: Balochistan is the largest province covering43.6 per cent area whereas Punjab is second with 25.8 per-cent, Sindh third with 17.7 percent area and NWFP fourthwith 9.4 per cent area. The total approx population ofPakistan is 160 million. Land of Splendors: The scenery changes northward fromcoastal beaches, logons and mangrove swamps in thesouth to sandy deserts, desolate plateaus, fertile plains,dissected upland in the middle and high mountains withbeautiful valleys, snow-covered peaks and eternal glaciersin the north. The variety of landscape divides Pakistan intofollowing major regions;1) North High Mountainous Region, 2) Western LowMountainous Region, 3) Balochistan Plateau, 4) Potohar Uplands and 5) Punjab &Sindh Plains. Seasons of Pakistan: The four well-marked seasons inPakistan are:- (i) WINTER or Cold season (December to March). Averageminimum and maximum temperatures are 4C° and 18C°.(ii) SUMMER or Hot season (April to June). The temperaturesoars to 40C° and beyond. (iii) SPRING or Monsoon season

(July to September) rainy season. (iv) AUTUMN or Post-Monsoon season (October and November). The maximumtemperature is of the order of 34C° to 37C° all over Pakistan,while the nights are fairly cool with the minimum tempe-rature around 16C°. Geographical Importance: Geographically Pakistan is loca-ted on a very important point and is surrounded by themost important nations of the world like Russia, India, Iranand China. Pakistan is located in south Asia. It is bounded tothe west by Iran, to east by India, to the north byAfghanistan and to the south by the Arabian Sea. In thenorth Pakistan is separated from Tajikistan by a narrow stripof Afghan Territory. Pakistan shared 1,610 Km long borderwith India, 585 Km border with China, 2,252 km borderwith Afghanistan and 805 Km border with great republic ofIran. Pakistan covers area of 796,096 sq km. Baluchistan isthe largest province covering 43.6 per cent area whereasPunjab is second with 25.8 percent, Sindh third with 17.7percent area and NWFP fourth with 9.4 per cent area. Thetotal approx population of Pakistan is 160 million. Strategic Importance: Geographical location of Pakistan notonly gives us the opportunity to get trade benefits and

short transportation routes to the important countries ofthe world, but it also make it strategically one of the impor-tant nations in the world. It is surrounded by world superpowers like Russia, Iran and China. The friendship withChina and as a Muslim country brotherhood with Iran andparticipation in the war against terrorism makes it strategi-cally even more important nation of the world. The endea-vors and interest of world super powers in the region alsomake this country one of the most important nation of theworld.Cold War Between Russia & USA: The cold war betweenRussia and USA also does affect the internal and externalstrategies and relation with different nations of the worldfrom the very first day. Pakistan relations with USSR couldnot get to flying start in early fifties because Liaquat aliKhan turned down Soviet Union invitation and instead in1950 paid state visit to USA. The cold war between Russiaand USA also does effect the relations of Pakistan withneighboring countries.

Kashif Khan

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L a n o s t r a r e s u r r e z i o n e

Lo u c c i s e ro e d e ra n o i n t r e ,a v e va n o :

g l i o c c h i d e l l ’ I n v i d i a ,l e man i d e l l a V i o l e n z a ,

i l v o l t o d e l l ’ O d i o…

Lo u c c i s e ro e d e ra n o i n t r e ,p e r c h é :

d e l l a s u a m en t e e b b e ro p a u rad e l s u o c u o re e b b e ro p a u rad e l s u o a n imo e b b e ro p a u ra

[…]d e l l a s u a p a ro l a

e b b e ro s o p ra t t u t t o p a u ra !

[…]

Lo r i t r o va ro n o e d e ra n o i n t r e ,a v e va n o :

g l i o c c h i d e l l a F e d ei l c u o re d e l l ’Amo re

i l v o l t o d e l l a S p e ra n za ,l o p r e s e ro t e n e ramen t e p e r l e man i

e l o s o l l e v a ro n oq uan d o g i à i n e r t e ,

a d a g i a t o n e l l a r i c c h e z z a d e l l a Te r rap u t r e f a t t o, c o r ro s o e d e c a d e n t e

s emb ra va l ’ immag i n e d i u n o d e i t a n t i u om i n ir i f l e s s a n e l l o s p e c c h i o d e l m on d o.

[…]

A l e s s a n d r o G i o r g i o G i a n n i n i

Le parole di Giannini ci riportano l’atmo-sfera di “Non al denaro, non all’amore néal cielo” di De Andrè: “Lei disse ridendo/l’ultima tua prova sarà la morte”. L’eternoconflitto è qui l’eterno ritorno (come diceMorgan: “io/ un tempo era semplice/ maho sprecato tutta l’energia/ per il ritorno”)di nietzschiana memoria: “In un sistemafinito, con un tempo infinito, ogni combi-nazione può ripetersi infinite volte”. ComeUroboro, il serpente che si morde la coda,

caro alla simbologia esoterica, siamo condannati alla ripetizione standardizzata di azioni,parole ed avvenimenti, alle solite malvagità, traversie, contrarietà, senza mai avere la pos-sibilità di aggiungere un tocco nuovo, diverso, personale, all’esistenza. La filosofia dell’eter-no ritorno sostiene che solo tagliando i ponti col passato ci verrebbe concessa quella possi-bilità, ma questa situazione ci porterebbe solo a dimenticarci, e a vivere un presente trop-po fugace perché immediatamente proiettato sul futuro: davvero troppo per un essereumano. Questa dialettica ha ispirato la Pop Art e il Dada: l’una rappresenta il passaggiodalla bellezza classica alla modernità decadente ed urbana, l’altro traspone un oggetto daun contesto ad un altro, al limite del concettuale. In entrambi i casi si arriva ad un risultatoattraverso un conflitto: tra il vecchio e il nuovo, tra la sala da bagno e la sala da ballo. Inmezzo c’è un intervallo, una pausa di riflessione più o meno lunga, silenziosa ma dinamica,caotica: l’attimo. “Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sen-tieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fineQuesta lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori dellaporta e avanti è un'altra eternità.Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'uncontro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. Inalto sta scritto il nome della porta: ‘attimo’.” (Nietzsche, Così parlòZarathustra).Nello specchio del mondo siamo riflessi; tutti, quelli che vanno equelli che restano, quelli che combattono e quelli che si prostra-no, quelli che uccidono e quelli che salvano, quelli che ridono equelli che piangono.In bilico tra bene e male, vecchiaia e giovinezza, amore e odio,diventiamo i vincitori e i vinti di un unico perpetuo conflitto.La pace perpetua di kantiana memoria è così al culmine del

nostro percorso e solo quando la strada nonsarà più in salita lo specchio rifletterà la lucedell’armonia.Il conflitto è innanzitutto quello dentro di noiche da bambini diventiamo adulti, attraver-sando il lago ghiacciato del cambiamento.Stadio della dialettica hegeliana, evolversiesistenziale delle circostanze, caso, desti-no?.....non è la forma che incide la sostanza.Un uomo in eterno e forse inconsapevolescontro con se stesso come può vivere pacifi-camente con gli altri? Il conflitto, così, assumedimensioni transumane, si amplifica, spessogiustificato da falsi ideali, chimere del passato. Quando, però, il bene comune prevale suquello dei singoli, che siano individui, enti o stati è là che la legge morale ci rende fratelli.Ma l’uomo non tace la sua indole, così la sete di potere è in grado di stravolgere ogni accor-do e ciò che rende stabile l’unione non è altro che l’odio più forte per un nemico comune.“Panta rei” dice Eraclito, tutto scorre infatti nel grande fiume dell’umanità: troppo spesso sidimentica o si è convinti di aver dimenticato, così che ciò che è stato, nel tempo svanisce enon è più monito per percorrere un ulteriore scalino del nostro cammino.Quando un epoca è trascorsa “la nottola di Minerva spicca il suo volo sul far del crepuscolo”ed è allora che memori e non più dimentichi, che agguerriti e non più lascivi gli uominidevono oltrepassare il conflitto per raggiungere il vero motore del mondo: il cambiamento.Perché è la stessa epoca che formula i presupposti per il suo superamento.Se questo oggi fosse veramente applicato sapremmo fare buon uso degli strumenti a noi

concessi, se questo oggi fosse veramente applicato la meta daraggiungere sarebbe ben più alta, se questo oggi fosse veramen-te applicato la pace perpetua non sarebbe più una vacillante uto-pia.

Giulia GianniElisabetta Rapisarda

[email protected]

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Ogni giorno siamo chiamati adelle sfide, a delle scelte. Ognigiorno ci si presentano dellesituazioni sempre diverse chedobbiamo risolvere o che comun-que ci impegnano, ci fanno cam-biare umore, ci destabilizzano inquanto frutto di conflitti interioriche fanno scontrare il nostro pic-colo “mondo interiore”, rassicu-rante, puro, incontaminato, conle ambiguità esterne; essi rap-presentano l’equivalente diuna “carica vitale” che ci per-mette di metterci in gioco e dicompletarci mediante paragoni econfronti continui. Senza sfidenon si cresce; senza scontri ecicatrici non potremmocostruire la nostra esperien-za. La letteratura ne è prova.E’ proprio con questo stru-mento, con il combinareanche confusionario e farra-ginoso di lettere, con la crea-zione di parole, che l’uomovuole dar voce ai suoi dissidi,alle sue paure, dando vita,forza ai termini e ricollegan-do a sensazioni e situazioniquei brevi segni tracciatisulla carta. Il miglior esempiodi questo incontro di tendenze losi trova in Goethe, nelle epistoledel giovane Werther, confessioniliriche di battaglie di valori e sen-timenti intrise di magiche e dolcieffusioni sentimentali. Vengonoraccontati non personaggi ecce-zionali, ma ricchi di drammi inte-riori che si legano ad un precisoambiente storico-sociale. Ed èproprio insieme a Werther chepossiamo capire l’eterna discor-dia. Tramite l’Amore abbiamouna totale immersione nel con-trasto tra felicità e frustrazione,possibile e irrealizzabile, tra larazionalità propria della mente edel mondo circostante e l’irrazio-nalità dell’Amore, creatura delcuore, sentimento incomprensi-bile che invade il corpo e distrug-

ge la volontà e che illumina diuna luce ultraterrena la tantodesiderata Lotte e che segnerà ildestino del nostro protagonista.Attraverso queste epistole siamoimmersi nell’ingenuità e nellapurezza dell’animo di Wertherche si trova irreparabilmenteopposta al senso di responsabili-tà che egli ha nei confronti delreale compagno di Lotte,Albert.Una responsabilità chedeve esistere e che invale nelcontesto in cui ci troviamo, bor-ghese e conformista. Questocapolavoro rappresenta l’emble-ma dei contrasti dai quali ogniessere umano è travolto. Tuttala nostra vita è fatta di oppo-sti, di conflitti, di discrepan-ze che vanno sanate per sta-bilire un nostro equilibrio. Loscopo è sempre lo stesso: rag-giungere il benessere, arriva-re alla concordia, alla catarsifinale. Conflitto per giungeread una soluzione; opposti perarrivare ad un unicum. Ma ilproblema è: la soluzione cirenderà soddisfatti? Ci per-metterà di riuscire ad abbatteretutte quelle barriere che impedi-scono la nostra evoluzione, lanostra crescita? Bisognerebbeabbattere quel muro che dividela nostra interiorità dal mondoesterno anche se questo moltospesso comporta l’estraneazionedalla società, unita e conformead un'unica linea di pensiero.Bisognerebbe avere più coraggio,e non adeguarsi al consensogenerale. Continuiamo a com-battere.

Fiorenza Marin

Sostiene Antigone che esistano leggi non scritte, che non sono né dioggi né di ieri, leggi immutabili che pretendono di non essere contrad-dette dai decreti degli uomini.Tesi interessante quest’ultima. Se non fosse che proprio in ossequio a questoDiritto di Antigone le donne di almeno 28 paesi dell’Africa sub-shariana chiedonoe ottengono ogni giorno di essere sottoposte a pratiche di infibulazione o ad altremutilazioni genitali. Sostiene Antigone che le norme poste dal legislatore non siano sempregiuste. È vero, lo ammetteva anche Kelsen, secondo il quale la giustizia idealenon è contemplata dall’ordinamento giuridico. Ci sarebbe però da chiedersi seanche le leggi non scritte di Antigone siano sempre veramente giuste.Nello scenario desolante da Medioevo post-nucleare descritto da George Orwell in“1984”, non esistono leggi scritte. Tutto è permesso. Niente, apparentemente èproibito. Tranne pensare, se non secondo i dettami del Grande Fratello. Tranneamare, se non con il fine esclusivo di riprodursi. Tranne divertirsi, se non con i pro-grammi televisivi di propaganda. Tranne vivere, se non secondo gli usi e costumiimposti dal Partito. Un universo, in fondo, non molto dissimile da quello che vor-rebbe imporre Antigone per mezzo di leggi non scritte che sono sottratte a qual-siasi tipo di controllo e confronto dialettico. Il che appare probabilmente inaccet-tabile in un ordinamento che osa definirsi “non confessionale”.Sostiene Antigone che dovunque una minoranza levi la sua voce a recla-mare giustizia contro le dittature, le intolleranze e le discriminazioni,sia ancora vivo l’eco della sua ribellione contro lo Stato.E tuttavia se in Brecht, Creonte è il tiranno che sostituisce al diritto di Antigone eda quello della città il nuovo diritto, creato e imposto dalla guerra – ribaltando cosìla perfetta ambivalenza della costruzione sofoclea – in Jean Anouilh, il drammadel giudice non è meno intenso di quello dell’imputato. Un giudice che avrebbepotuto dire di no, ma che all’improvviso si è sentito come un operaio che rifiutavaun lavoro. Non gli è sembrato onesto. Ha detto sì. D’altra parte, come ricordaCreonte, è il mestiere che lo vuole. Quel che si può discutere è se bisogno o nonbisogna farlo. Ma se lo so si fa, bisogna farlo in questo modo.Sostiene Antigone che il positivismo della cultura giuridica modernanon ha altro scopo se non quello di rimettere in uso un arnese giusta-mente abbandonato alla polvere, traendo fuori dai ripostigli del teatrocostituzionale il pezzo di scenario più vecchio.Sennonché il positivismo giuridico, quello dei giorni nostri, non certo quello diJellinek o Laband, in realtà si fonde e si confonde con quella straordinaria idea chei greci hanno chiamato “democrazia”. È la possibilità riconosciuta a tutti i cittadinidi concorrere alla formazione della volontà pubblica che impone di rispettare leleggi poste dalle istituzioni rappresentative.Sostiene Antigone che il Diritto non nasca dall’autorità, ma dalla “veri-tà”, dalla coscienza sociale o forse addirittura dalla “ragione”.In attesa che il filone del “neocostituzionalismo” ci spieghi finalmente in cosa con-sista questa ragione, auspichiamo che anche in Italia finalmente possa arrivare unCreonte in grado di far rispettare le leggi, sia ai cittadini, sia a quelle corti che neltentativo di sostituirsi al legislatore hanno ridotto in barzelletta la teoria sulladivisione dei poteri cara a Montesquieu. Sostiene Antigone che non c’era altra via alla ribellione contro la polis.Ci piacerebbe crederlo, ma chi scrive continua a ritenere che oggi serva più Socratedi Antigone. Anche la condanna di Socrate è probabilmente giusta, dal momento che egli si eraposto contro quell’etica religiosa e politica che l’autorità dell’antica tradizioneaveva consacrato. E l’accusa di empietà, che venne affissa al portico del re nel gen-naio dell’anno 399 a.C. era accusa assai grave, in quanto essa toccava il senso piùvivo della religiosità greca, la quale si identificava con l’anima stessa della polis edera parte integrante e viva della sua costituzione politica.A differenza di Antigone, tuttavia, Socrate non si ribellò al Diritto della città, mamalgrado la condanna accettò di sottomettersi alla volontà della legge.Socrate, maestro di pensiero, anche in questo, si confermò essere l’ultimo sapien-te antico e il primo intellettuale moderno. Morto per ordine del potere, sacrifica-to dalla città che aveva servito, non fu un martire. La sua morte fu, al contrario, un

imprevisto del mestiere. Dopo lacondanna, in punta di piedi,tolse il disturbo, lasciando di sé,nell’ultimo istante di vita,un’immagine semplice, unafigura di elegante e serena bel-lezza.

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Concordia discordantium rerum? SOSTIENE ANTIGONEBattaglie introspettive e dissidi esterni

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Uscito nelle sale poco più di un mese fa,Revolutionary Road, pellicola girata da SamMendes (già vincitore di numerose statuette con ilcult American Beauty) ha suscitato scalpore nontanto per il ritorno all’accoppiata Winslet - DiCaprio dopo il primo incontro sul set di Titanic,quanto per la sconvolgente durezza ed attualità deisuoi contenuti. Lo scenario è l’America produttiva e perbenistadegli anni 50’, i protagonisti una giovane coppiaborghese alle prese con le paure e le inquietudini dichi si sente diverso e percepisce attorno a se lapesantezza d’un esistenza arida e monotona, unvuoto soffocante che conduce pericolosamenteverso una deriva “auto-mizzata”.E’ questo il fulcro da cui sidipanano le ansie e i ran-cori dei due coniugi,questa la causa delle vio-lente dispute e dei litigiche animano il lorosodalizio (conflitti resiancor più vividi e realidall’abilità recitativadegli interpreti), questoil seme avvelenatoche condurrà al tragi-co epilogo col qualecalerà il sipario sulleloro esistenze.Il conflitto tratteggiatoda Mendes è un qualcosadi diverso dal lancio diuna granata o da un fac-cia a faccia con tanto di

coltelli, ma colpisce gli animi, li fa sussulta-re, li inaridisce e li svuota di un senso conaltrettanta forza devastatrice. E’ un con-flitto ansimante ed estenuante che dila-nia, che lacera, un conflitto che abbruttiscee fa regredire l’uomo ma che opera inmaniera più subdola e traditrice, presentan-dosi sotto le mentite spoglie della ricerca d’unrilancio morale e sociale e dell’ansia d’autentici-tà e purezza nel tendere verso una propria realiz-zazione.E qui che si intravede il punto focale della que-stione. L’uomo non si trova più di fronte aduna lotta per la sopravvivenza bensì aduna società che gli impone modelli di sod-disfazione e realizzazione tendenti versocerti e determinati standard. Nei confronti diquesta forzatura egli è portato a reagire ma l’uomoche di fronte a ciò non si arrende è in ogni caso unuomo “perduto” e condannato, per il semplice fattoche il miraggio alternativo d’autenticità e purezzache va via via costruendo è oltre modo un miraggio“viziato” e deviato dall’egoismo che lo domina e lopervade in questa sua ricerca. Un egoismo assoluto,imperante, a tratti inconsapevolmente divinizzatodall’uomo stesso così cocciutamente indirizzato

verso il compimento diciò che crede sia la “sua”realizzazione.Questa nostra debordan-te e al tempo stesso mise-ra estrinsecazione versonoi stessi (alla fine nonsiamo, non possiamoessere che ancora noistessi, è questa lameta verso cui tendequesto assurdo ed esu-berante rantolo unila-terale) ci porta inevita-bilmente a collidere con-tro la vocazione di chi, alpari di noi, è altrettantoinvischiato nella suaviziata ricerca d’autentici-tà. Da qui il conflitto, loscontro, la collisione ine-vitabile e tragica. Un con-flitto non armato ma

altrettanto lacerante ed irreversibile perché ciò chesembra mancare all’uomo di Mendes (dal KevinSpacey di American Beauty fino all’accoppiata DiCaprio – Winslet di Revolutionary Road) è ciò chealla finisce per mancare a ciascuno di noi: la capaci-tà di comprendere l’altro e trovare in esso una pro-pria ragione di vita. I due coniugi di RevolutionaryRoad osano mettersi in discussione, si scorgono asfidare una società avara, impersonale e standar-dizzata percependo il vuoto opprimente fatto didoveri e convenzioni e la miseria di spontaneità cheli circondano, ma falliscono altrettanto miseramen-te nella loro ricerca alternativa proprio perché,invasi da un egoismo e individualismo spietati, fini-scono per perdere di vista ciò a cui, nel fondo delproprio cuore, tenevano di più: l’altro.Il tragico epilogo che Mendes consegna al pubblicorisulta ancor più straziante dalla sensazione, chenon può non avvertire lo spettatore, di un amoreprofondo e sincero che lega i due protagonisti, unamore che dovrebbe essere il valore trainante edominante nel dipanarsi delle loro esistenze e cheinvece essi finiscono per perdere per sempre lace-randolo in conflitti animati dall’egoistica trasfigu-razione d’un ansia di realizzazione.

Alessandro Tonutti

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UNA CATASTROFE

“RIVOLUZIONARIA”Ansia di realizzazione e tragedia

nel film di Mendes

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È una notizia che, come molte, impor-tanti dal punto di vista culturale, passasotto silenzio. Dal 14 al 19 aprile 2009,al Piccolo Eliseo Patron Griffi sarà inscena “Il Vicario”, il testo teatrale di RolfHochhuth con la regia di RosarioTedesco.L’opera, vittima di un ostracismo dimatrice politica e religiosa, tratta untema che è una spina nel fianco per laChiesa di Roma ovvero i silenzi di PapaPio XII riguardo al nazismo el’Olocausto.L’istituzione ecclesiastica infatti, neglianni della seconda guerra mondiale,non prese mai una posizione netta neiconfronti degli orrori che si stavanoconsumando in Europa, preferendouna linea di compromesso e di silenzio,che vedeva da una parte la sottovalu-tazione del nazismo e dall’altra lavolontà di rimanere imparziale, man-tenendo però i propri interessi in fun-zione antibolscevica.Rolf Hochhuth, convinto che “un testoteatrale deve essere breve e aggressivocome una dichiarazione di guerra”,riprende le vicende relative a PapaPacelli e le trasforma nell’opera tea-trale “Il Vicario” nel 1963. La storia sisviluppa intorno ai personaggi dipadre Riccardo Fontana, giovanesacerdote della segreteria di stato vati-cana che si schiera a favore degli ebreiperseguitati, il Dottore, simbolo delmale e delle atrocità di Auschwitz, e ilvicario, appunto, Papa Pio XII con il suosilenzio, con la sua incapacità di pren-dersi le responsabilità del propriotempo.La prima rappresentazione in Italia diquesto testo risale al 1965, quandoCarlo Cecchi e Gian Maria Volontè loportarono in scena presso il circolo“Letture Nuove” a Roma. In quell’occa-sione la rappresentazione fu subitointerrotta e l’opera censurata per 43anni, fino al 2002 quando il registaCosta Gravas la riprese per la realizza-

zione del film Amen. Nel 2004 l’operafu ripubblicata per la piccola casa edi-trice di Porto sant’Elpidio, la Wizartz ein seguito rappresentata nelle Marcheda una piccola compagnia teatrale. Mentre fuori dall’Italia il testo è rap-presentato in quasi quaranta nazionied è letto nelle scuole, da noi questotesto è quasi sconosciuto. La tematica del testo di Hochhuth, gliinterrogativi che pone sulla dignitàmorale di un Papa e del suo apostola-to, rimangono in Italia sotto silenzio, omeglio, si evita di parlarne, come acca-de sempre su temi delicati ma che nonfanno prendere voti a nessuno, cosìche ogni tipo di confronto rimanga tragli “addetti ai lavori”.Ma Hochhuth afferma con forza il valo-re civile del teatro, che deve informare,senza aver paura di un’istituzione,come la Chiesa cattolica, che troppospesso fa prevalere gli interessi umanisulla legge divina.Come è proprio del teatro dai tempi diEuripide, qui non si danno risposte,solo domande, dubbi, che ognunointeriorizza per arrivare ad una propriaconsapevolezza sui fatti del mondo. E qui arriva la censura, il silenzio. Cheserve per “tenere buoni” mantenere unequilibrio, facendo del male ai cittadi-ni, per i quali diventa difficile costruir-si la propria coscienza critica.“Le vittime della censura non sono sol-tanto i personaggi imbavagliati perevitare che parlino. Sono anche, esoprattutto, milioni di cittadini chenon possono più sentire la loro voceper evitare che sappiano”. (MarcoTravaglio)

Chiara [email protected]

I l Vicar io, ovvero i lrumore del s i lenzio

In vista del ritorno in scena de “IlVicario”, dramma di RolfHochhuth, riportiamo sul nostrogiornale l’intervista a RosarioTedesco, regista che nel mese dimaggio porterà in scena lo spet-tacolo dopo ben 40 anni dallacensura del testo.Come mai è stato possibile ora

portare in scena uno spettacoloche per anni è stato costretto alsilenzio?Il “Vicario” è un’opera che dalmomento della sua creazione,nel 1963, è stata tradotta in piùdi 40 lingue in tutta Europa.Tuttavia , una volta giunta inItalia e pubblicata dallaFeltrinelli, sopravvisse un sologiorno alla censura. Nel 2004venne ripubblicata e fu allorache scoprii il testo e decisi dimetterlo in scena al PiccoloEliseo. Nel 2007 mi recai anche aBerlino per incontrare Hochhuthe intervistarlo in modo da otte-nere maggiori informazioni dacolui che scrisse l’opera che fecetanto scalpore.In che modo avete riadattato il

testo (sempre che ce ne sia statobisogno)?Il testo originale è molto lungo.quando il cast si riunisce per laprima volta affronta la letturadel copione e ricordo che quelgiorno impiegammo circa 6 ore!Quindi, sì, l’ho riadattatotagliando alcune parti, masoprattutto mi sono concentratosu 2 personaggi: padre Riccardo,un prete cristiano e un soldatotedesco. Sono i 2 personaggi piùsignificativi e a cui èriferito il titolo,infatti la parolavicario sta per coluiche fa le veci di unaltro che gli è supe-riore di grado.Esistono 2 correnti

di pensiero sulsilenzio di Papa PioXII: una che con-danna la SantaSede per non averpreso una posizionedurante l’eccidiodegli ebrei e un’al-tra che, al contrario,assolve il Papa per-ché ritiene che ilsuo comportamen-to abbia dato lapossibilità di salvar-ne un gran numero.Come ha rappresen-

tato queste due opinioni discor-danti?Non sono entrato nel merito diquesto conflitto ideologico,penso che sia fondamentaleporre l’attenzione sulla questio-ne della responsabilità. I dueprotagonisti comprendono cheessere uomini non significaindossare una divisa ma pren-dersi le proprie responsabilità!Considerando che le spiegazionidate dai generali delle SS duran-te il processo di Norimberga o adEichmann alla domanda: perchél’avete fatto, era: perché quellierano gli ordini, questa è un’o-pera che invita a ragionare e chepone nello spettatore il dubbiodi cosa sia la responsabilità.

Tedesco ha inoltre sottolineatoche lo spettacolo è nato dal lavo-ro attento e partecipe di tutto ilcast di cui riportiamo i nomi:Cinzia Spanò: dottoreMatteo Caccia: ingegnere chimi-coMarco Foschi: il sacerdote catto-licoAnnibale Pavone: Pio XIIEnrico Roccaforte: abateRosario Tedesco: ufficiale delleSS

Giulia [email protected]

Intervista a RR O S A R I OO S A R I O TT E D E S C OE D E S C O

regista e interpretede: “ I l Vicar io”

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È il 24 febbraio quando sulle colonne de “LaRepubblica” appare un’articolata critica dello scritto-re Alessandro Baricco al sistema di sovvenzioni e sus-sidi pubblici alla cultura e allo spettacolo.Nel delineare le ragioni su cui poggia il ricorso al pub-blico denaro a sostegno della vita culturale del Paese,Baricco ne evince l’anacronismo, soprattutto oggi,nel momento in cui la crisi finanziaria c’è e si fa senti-re; oggi non si può far finta di nulla, ci sono decisionida prendere.E le decisioni suggerite suonano radicali: basta fondia teatri, musei e fondazioni, bisogna che questi sianoriversati piuttosto nella scuola e nella televisione,cioè dove vive “il Paese reale”, come asserisce lo scrit-

tore.Alla base di tale riflessione sta la denuncia di un’osti-nazione ad investire in settori che non riescono adarrivare alle masse, a discapito di un obiettivo piùimportante come quello di alfabetizzare, cioè di for-mare un pubblico colto, consapevole, adeguato allasua epoca. È al sistema politico nel suo complesso cheAlessandro Baricco parla; e nel farlo suggerisce unasostanziale rottura con il passato ed una profondamodifica nella vita degli enti in questione.Repentina è la risposta degli operatori dei teatri ita-liani e di coloro che, amando questi ultimi, in assen-za di sostegni statali non potrebbero che constatarneun neanche troppo lento declino.Il dibattito va oltre eventuali prese di posizione poli-tica: da Luca Barbareschi, che accusa <<Chi deveandar via è la politica che ha egemonizzato poltrone,denari, tutto>>, fino a Lella Costa, passando per l’al-larme chiaro dall’Agis, l’Associazione dei settori delloSpettacolo: “senza finanziamenti i teatri chiudono”.Così si apre una polemica in cui si profilano due fron-ti, pro e contro Baricco, e mentre Riccardo Mutisostiene lo scrittore nella necessità di agire sulla for-mazione dello spettatore e sottolinea l’esigenza diun incremento delle risorse private, Sergio Escobar,direttore del Piccolo Teatro di Milano, e Dario Fo tac-ciano di sconclusionatezza le tesi di Baricco denun-ciando il fatto che in Italia la percentuale del PIL

destinata a sovvenzionare la cultura risulta già esse-re dieci volte inferiore rispetto alla media europea.Nella realtà, su un punto almeno tutti concordano: leregole d’investimento vanno cambiate.Ma la soluzione proposta da Baricco può davvero dirsila migliore? Il mondo del teatro può davvero soprav-vivere senza i soldi dello Stato?E ancora: mentre è inevitabile riscontrare la mancan-za di un’educazione musicale e teatrale nelle scuoleitaliane con le connesse lacune culturali e quindi l’e-sigenza di agire in tal senso, si può dire altrettantonecessario sovvenzionare una televisione di Stato cuigià i contribuenti devolvono annualmente 108€ perun totale prossimo al 50% del budget complessivoRai?È su questo argomento soprattutto che gli addetti ailavori si dividono.E a questa situazione fa da sfondo la lenta agonia ditanti piccoli e grandi teatri del nostro Paese, mentreuna delle più importanti rassegne teatrali, quella delMaggio Fiorentino, è costretta ad operare tagli al car-tellone ed agli stipendi.

Chiara [email protected]

Crisi: rindirizzare i fondi pubblici?

“Ben venga lo scandalo; non temiate che nello scandalo siasommersa l'autorità dello stato: anzi, nello scandalo si ergesempre più solida l'autorità stessa. [...] È la catarsi liberatoriadi ogni tensione. E voi giornalisti cosiddetti indipendenti nesiete, come dire, i sacerdoti benemeriti. Il nostro di governo ,mi permetta di dirlo, è borbonico e precapitalista: ma lei guar-di i governi del nord, gli Stati del Nord, veramente socialdemo-cratici evoluti, avanzati... . Lo scandalo è lo sterco concimantedella socialdemocrazia: le dirò di più, è addirittura l'antidotocontro il peggiore dei veleni, che è la presa di coscienza per lagente. [...] E io voglio vedere arrivare fra diciotto, vent'anni, nel1987, anche l'88, scoppiare uno scandalo al giorno, all'ora:ministri, gente di direzione, industriali, gente incriminata intangenti, in furti, una schifezza; tanto che sui giornali fanno più presto a fare lalista dei ministri che quel giorno non hanno rubato.” spiega un Dario Fo vescovo algiornalista incaricato nell'inchiesta sul presunto suicidio involontario dell'anarchi-co Pinelli, accusato dalla Questura milanese di essere il colpevole della strage diPiazza Fontana del dicembre 1969. In una surreale commedia degli equivoci, rap-presentata per la prima volta a Varese nel dicembre 1970 e scritta solo grazie allungimirante contributo di giornalisti liberi e, paradossalmente, delle menzognedella magistratura, Fo ritrae un'Italia che soffre, imbrigliata nelle catene del pre-giudizio politico e culturale, assetata del pettegolezzo come unica fonte di infor-mazione. Una fotografia drammaticamente attuale, che finisce per rappresentareil vero spirito di un'Italietta borghese e benpensante, spregiudicatamente ipocritae cieca ai richiami di una realtà dura da affrontare.I tre atti di “Morte accidentale di un anarchico” costarono a Fo circa quaranta pro-cessi, costringendolo a ricontestualizzare gli avvenimenti in una fredda New Yorkdegli anni '20, che si impegna in una crociata politico-culturale contro l'italianoAndrea Salsedo: i capi di accusa sono l'essere anarchico e l'avere avuto legami conBartolomeo Vanzetti. La passione di Fo, la sua verve e la sua incredibile presenza

scenica vanno oltre la minaccia dei processi a suo carico, e difatto lo spettacolo è interamente ambientato nella questura diMilano: il commissario di Polizia Bertozzo tenta di arrestare unmatto, Dario Fo per l'appunto, la cui malattia lo costringe a fin-gersi altre persone e cambiare continuamente personaggio, un“istriomane” talmente insopportabile che Bertozzo ne coman-da il rilascio. Il pazzo, per recuperare gli indumenti del suo pre-cedente personaggio, ritorna nella stanza del commissario escopre degli importanti documenti relativi alla morte dell'a-narchico Pinelli, caduto dalla finestra della Questura stessa incircostanze oscure. Incomincia in scena una serie di rocambole-sche vicende: all'arrivo di Bertozzo, il matto si spaccia per l'i-spettore del Ministero degli Interni, desideroso di ricevere

informazioni sul defenestramento di Pinelli, riuscendo a far ammettere la veritàsulla faccenda. Nel momento di maggiore tranquillità di scena, la situazione ècomplicata dall'arrivo di un puntiglioso giornalista, dinanzi al quale Fo si fingeCapo della Scientifica: strizzando l'occhio ai presunti colleghi della questura, fa ildoppio gioco insinuando il dubbio sulla veridicità delle rivelazioni fatte dallaPolizia, secondo le cui dichiarazioni l'anarchico era caduto dalla finestra mentreprendeva un po' d'aria... ed è proprio allora che Fo impersona un vescovo, lascian-do i presenti scioccati. All'arrivo di un uomo barbuto, poliziotti intervenuti in scenae giornalista credono di essere in presenza del matto, ma si tratta del veroIspettore del Ministero!Finalmente Fo si svela: rivela di essere il matto, ma appare il più saggio della com-media, spronando tutti a raccontare la verità sull'accaduto.Solo con uno scandalo, che non sia una montatura dei media, la società italianapotrà arrivare alla repulsione per quanto ha creato, potrà reclamare la verità e il“rutto liberatorio” della democrazia.

Alessandra Panzera

Morte accidentale di un anarchico

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Giotto e l’arte del ‘300 in mostra al VittorianoL’incertezza di un’umanità terrorizzata dal futuro si aggrappa ai dogmi del divino

In una realtà che ci offre giorno dopo giornostrumenti sempre più impeccabili di riprodu-zione della natura e dei suoi fenomeni, pro-babilmente gran parte dei contemporaneinon troverà alcun interesse nell’ammiraredelle opere che poco o nulla hanno a che farecon il concreto (ma forse anche terribilmentescontato!) realismo degli attuali linguaggiartistici…Ma sicuramente vi sarà anche un’ ulteriorepercentuale che proprio in questa palesedistorsione di ogni regola prospettica ocanone dimensionaleriscontrerà quello chesecondo me è il valoreaggiunto più notevole

della collezione attualmente esposta nelle sale del Vittoriano:la possibilità di leggere, nell’irreale virulenza cromatica dellevesti di santi e sacerdoti, nella cupa luce (mi si perdoni l’auda-ce ossimoro!) degli sfondi dorati che consacrano le ambienta-zioni più quotidiane a cornici di eventi immortali e nella tota-le assenza di qualsiasi espressività sui volti tesi e stereotipatidei personaggi, una concezione del rapporto tra uomo e Diocaratterizzato da una sproporzione incalcolabile!Ed è proprio questa sproporzione a darci il senso dei secoli chesi frappongono tra il nostro tempo e gli autori di queste opere.

E’ indubbio infatti che Giotto,Cimabue, Simone Martini, abbia-no tutti palesato nei propri capo-lavori un’idea di uomo che con-trasta fortemente con quella disoggetto onnipotente, trasudan-te edonismo e privo di qualsivo-glia limite (morale, etico… oanche semplicemente fisiologi-co!) che la nostra società esprimequotidianamente.Peculiarità assoluta del ‘300 erainfatti individuare in Dio l’unica

certezza, l’unico appiglio in un’ era domina-ta dal timore dell’ineluttabile domani… oforse dal terrore di non riuscire ad arrivarci!Ed è proprio questa paura agghiacciante,che spinge l’essere umano ad una fedeassoluta, e non di rado irragionevole, chepervade ogni singola tela, scultura, scritto oornamento prodotto in tale periodo, e cheda ogni autore viene espresso ed esternatoattraverso strumenti differenti, ma quasisempre dotati di chiarezza comunicativasorprendente.. quasi moderna per certi

versi!In alcuni autoritale sottomissio-ne incondizionatadell’uomo aldogma della Chiesa si esprime attraverso il linguaggiodelle grandezze: ed ecco che il Cristo, le Madonne e iSanti giganteggiano, con espressione torva e a voltequasi intimidatoria, su miseri peccatori di dimensioni lil-lipuziane, in un connubio di idee del passato e formecomunicative del presente (si pensi alle odierne immagi-ni retoriche fin troppo abusate dallo strumento pubblici-tario!) che lascia profondamente scossi.In altri invece il mezzo di espressione più forte e pene-

trante è il colore: ed ecco quindi l’uso inaspettato del verde per conferire un diafa-no pallore a volti e corpi di uomini pervasi da fremiti di morbi sconosciuti, nellaconsapevolezza di un’impotenza che trova nell’ignoranza e nell’acquiescenza lapropria fonte e il proprio pungolo continuo.Una mostra che sicuramente non avrà il pregio di nutrire la mente con valori edideali particolarmente profondi ed elevati.. ma che se non altro induce a rifletteresulla circostanza che l’uomo non abbia conosciuto nella sua storia che momenti diestremismo, oscillando strenuamente tra incurabile sfiducia e delirio di onnipo-tenza.

Tiziana Ventrella

CY TWOMBLYAlla GNAM (Galleria Nazionale di Arte Moderna) è inesposizione fino al 24 maggio la prima grande retro-spettiva di Cy Twombly a Roma, un percorso a ritrosoche ripercorre tutte le fasi dell’opera dell’artista con-temporaneo, dalle ultime produzioni agli esordi. La pittura di Cy Twombly nasce dall’espressionismoastratto dell’America anni’50, quella di Pollock eRothko, e viene via via influenzata, sempre più mas-sicciamente, dalla cultura europea, classica e contem-poranea. Lo stesso Twombly dice di sé stesso “sonoattratto dal primitivo, dall’elemento rituale, dal fetic-cio, dalla simmetria dell’ordine plastico, (che è unacaratteristica tanto del concetto classico quanto diquello primitivo)”, è quindi naturale la scelta di tra-sferirsi a Roma, quale luogo migliore? qui gli spunticlassici sono decisamente maggiori che non nellanativa Lexington (Virginia). A Roma Twombly, più che distaccarsi dalle linee del-l’espressionismo astratto, le arricchisce di contenuti.Dapprima si sofferma sulla Roma più barocca, piùvicina a Pasolini che a Cesare, che si muove tra super-

stizione, erotismo e senso dell’onirico, arricchendo isuoi quadri di citazioni che vanno dalle dee romane aPoussin (principe della pittura visionaria di fine otto-cento).Comincia poi a ripulire il suo tratto astratto, passadalla policromia alla monocromia, avvicinandosi aquella cultura classica più apollinea, più razionale,che Dionisiaca. Qui le citazioni sono Raffaello oAristotele, e l’approccio è molto più razionale,influenzato anche dal “trionfo della scienza” che inquel momento viveva la comunità internazionale conlo sbarco sulla luna. Attraverso la cultura dell’Africa settentrionale, poi,Twombly si avvicina ad una pittura più spontanea,più infantile, alla Mirò, e anche le citazioni del passa-to si fanno più poetiche, più romantiche e più tragi-che di prima, è un ritorno al sentimento in luogo dellarazionalità. Così, progressivamente, il cerchio si chiu-de, le ultime opere, dedicate a Bacco, segnano unritorno al barocco e all’eccesso, con grosse pennellaterosso sangue, o rosso vino, che dir si voglia. Per

Twombly l’artenasce da unmomento dicrisi, che non vainteso nelsenso più tragi-co del termine,ha un senso piùampio: lui parladi “impulsoestatico”, lega-to proprio allafigura diDioniso. Questolegame arte-trascendenza, che ricorre così frequentemente neisuoi quadri, insieme a tutte le altre sue tematiche (iltempo, il passato, la mitologia, l’eccesso) portano afar pensare più al romanticismo che ad altro: non-ostante l’apparenza, Twombly è più simile a Friedrich,a Poussin, che non a Pollock o a Rothko.(...continua)

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Molto più euro-peo che ameri-cano, la suaascesi, la suatrascendenza,sono molto piùlegate allasuperstizione ealla mitologiache non a Freude alla psicoana-lisi, molto cariinvece agli

espressionisti astratti con cui Twombly si era formatoe da cui poi si è nettamente distaccato. Distaccato,ovviamente solo sul piano concettuale, non di certosu quello più materiale dell’opera, dove la linea libe-ra e spontanea caratteristica dell’arte americanadegli anni 50 regna sovrana. Nella scultura invece Twombly si rifà molto aGiacometti, e anche qui l’attenzione all’antico,soprattutto alle terracotte etrusche, è dominante,accanto ovviamente all’arte classica e anche un po’rinascimentale della cultura italiana. Oltre allemostre temporanee come quella di Twombly, laGalleria raccoglie in generale l’arte italiana dell’800 e

‘900, ci sono tutti: i futuristi, Caporossi, Munari,Ceroli, Pascali, inoltre ci sono anche un Van Gogh, unMondrian e un Klimt, che fa sempre piacere vedere. Sipuò dire che una “leggera passeggiata” tra le stanzedella GNAM merita, e può talvolta stupire, comequando ci si ritrova davanti al ritratto di Verdi che ciha sempre guardato dai libri di storia, dal sussidiariodi terza elementare in poi.

Chiara Tosti Croce

A partire dal 7 febbraio 2009il Palazzo delle Esposizioni - ilpiù grande spazio espositivointerdisciplinare del centro diRoma, in Via Nazionale - ospi-terà “Madre Terra”, mostrastrutturata come itinerarioper i Continenti del nostromondo, attraverso gli scattipiù straordinari realizzati daifotoreporter della rivistaNational Geographic Italia.National Geographic Italia, inlinea con la casa madre aWashington, e sulla scia dellaprima mostra organizzata loscorso anno in occasione del

decennale dell'edizione italiana, presenta una seconda rassegna fotografica –ancora una volta, ad ingresso libero - dedicata alla salva-guardia del Pianeta. Nella precedente mostra veniva pro-posto un viaggio fotografico avente come tramite con-duttore i quattro elementi (aria, acqua, fuoco, terra).Questa nuova esposizione suggerisce un percorso diver-so, che si sviluppa in Africa, nelle Americhe, in Asia,Europa, Oceania e nei Poli. La tensione finale è rappre-sentare gli scorci inesplorati e più affascinanti del mondo,a ricordarci gli obiettivi ormai non più procrastinabilidella battaglia contro il degrado del Pianeta.Una mostra fotografica non può offrire soluzioni né det-tare le linee di un programma in difesa della Terra, mapuò indicare - grazie alla forza delle immagini - i luoghi in cui sono più evidenti legravi conseguenze dei cambiamenti climatici, affinché vengano salvaguardate le

bellezze e le biodiversità, la ric-chezza dei territori e dei mari, lasopravvivenza delle popolazioniumane e animali. Grazie alle 101 immagini - realizza-te da 58 fotografi, in buona parteaddirittura inedite per il celebremagazine - i visitatori potrannopercorrere un itinerario ideale che liporterà a scoprire i territori degliorsi grizzly dell’Alaska e quelli del

panda gigante, leforeste equatoriali ele Alpi italiane, lepraterie nordameri-cane e quelle austra-liane, i deserti nord-africani e i mari tro-picali, le tigri in Indiae gli elefanti inAfrica. La galleria fotografi-ca documenta le con-dizioni di vita, le abi-tudini.Attraverso le suggestive, magistrali immagini di zone polari e foreste, praterie edeserti, montagne, oceani, mari, i fotografi di National Geographic testimonianole aggressioni dello sviluppo urbano, i problemi di conservazione, le condizioni divita di animali protetti e a rischio di estinzione, di habitat spesso minacciati dallo

sviluppo e dallo sfruttamento del territorio, le soffe-renze e le speranze degli esseri umani nelle più diver-se zone del Pianeta, di popoli e gruppi umani che vivo-no in situazioni ai limiti della sopravvivenza. Ma quel-le stesse immagini esaltano anche le meraviglie delmondo, dove animali ed esseri umani convivono inscenari straordinari, aree spesso magnifiche e ancorapoco contaminate.Ci sono molti modi per proteggere il nostro Pianeta,talvolta bastano anche semplici gesti quotidiani. Ifotografi e National Geographic Italia vogliono contri-buire alla salvaguardia di "Madre Terra". Gli autori che

espongono sono tra i migliori della fotografia mondiale e nazionale, e manifesta-no un impegno consapevole per la salvaguardia delle più preziose risorse delnostro mondo, per un impegno di necessaria condivisione; il tutto con il loro magi-strale lavoro, con la potenza e la bellezza emozionante di immagini che aiutano ariflettere e non lasciano indifferente l'osservatore.

Mariafrancesca Tarantino

N at i o n a l G e o g r a p h i c i n m o s t r a a R o m a : u n i t i n e r a r i o c h e a b b r a c c i a i l M o n d o

Immagini straordinarie raccontano i Continenti e la natura

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La redazione consiglia:

L’art-rock dei L’art-rock dei My Bloody ValentineMy Bloody Valentine

My Bloody Valentine è ungruppo anglo-irlandese che,costituitosi nel 1984 e maiufficialmente scioltosi, haperò, fatta eccezione peralcune apparizioni a festivalestivi (ultimo 13 Giugno2008), cessato le attività da

oltre un decennio.Il sound unico che contraddistingue la band, in particolarei due album più noti: “Isn’t Anything” e “Loveless”, li hannoportati ad essere l’emblema dell’art rock.Famosi i loro concerti, ricordati come alcuni con il più gran-de utilizzo di alti volumi nella storia del rock.Amati molto anche da registi, tra cui in particolare SofiaCoppola, che molto spesso li inseriscono come colonnasonora dei loro film.Rimaniamo dunque in attesa dell’uscita di qualche loronuovo lavoro, come più volte nel tempo hanno annunciato.

Classifica Mtv 10 fo the Best U2U2

1. One

2. Pride (In The Name Of Love)

3. The Fly

4. Beautiful Day

5. Where The Streets Have No Name

6. Mysterious Ways

7. Sunday Bloody Sunday(Live)

8. Vertigo

9. I Still Haven't Found What I'm Looking For

10. Sometimes You Can't Make It On Your Own

È difficile trovare un altro Paese al mondo così orgo-gliosamente legato alle proprie tradizioni comel'Irlanda. Non da ultimo per quanto riguarda la musi-ca, l'attaccamento alle radici da parte di questopopolo è davvero impressionante. La tradizionemusicale dell'Isola Verde, rappresentata dalle sonori-tà celtiche, fin dagli albori è inscindibilmente con-nessa con le leggende tramandate oralmente. Inrealtà il genere “musica celtica” è una pura invenzio-ne di comodo, normalmente associata ad un insiemedi tradizioni musicali che, eccetto alcune analogie,sono ben distinte e fortemente connotate. Sarebbeinfatti più corretto parlare di musiche dei paesi di tra-dizione celtica, ma la prima definizione è oramaiinvalsa per maggiore praticità. La musica celticacomprende un ampio spettro di generi musicali, chesi sono evoluti dalla tradizione e dalla musica folk deipopoli celtici dell'Europa Occidentale. La tradizionemusicale irlandese è di antica data: si costituì intempi remoti in cui i bardi, poeti cantori, cantavanole gesta delle casate nobili locali, accompagnandosicon l'arpa celtica. I bardi rappresentavano una castapotente e privilegiata, in quanto al loro canto eraaffidata la trasmissione dell'epopea del popolo irlan-dese. La figura del bardo, tuttora avvolta da quel sot-tile velo di mito, sogno, fantasia, magia e mistero, èl'emblema di una diffusa e ideale rappresentazioneimmaginifica dell'Irlanda stessa. Questo alone miti-co-fantastico è sopravvissuto alla loro decadenzacausata dalle invasioni inglesi e dalla conseguentedistruzione della nobiltà gaelica, che li ha costretti adabbandonare le corti e a farsi bandi erranti, rivolgen-dosi ad un pubblico più popolare nelle piazze e nellefeste di paese. Nel canto del bardo narrazione e testopoetico erano un tutt'uno con la melodia vocale el'accompagnamento strumentale, dando lo spaccatodell'anima di un popolo, che si nutre di musica e dipoesia. Terra di conquista, in continua lotta per ilmantenimento della propria identità culturale oltreche per l'autonomia economica e politica, l'Irlandaha sempre fatto della musica un importante stru-

mento di aggregazione e consolidamento di un orgo-glio nazionale, che, proprio perché duramente fru-strato, emerge con sempre rinnovata forza. A partiredagli anni Sessanta la tradizione ha cominciato afondersi con i movimenti musicali contemporanei: inquesto periodo sono numerosi gli artisti che hannorealizzato veri e propri capolavori, caratterizzati dallacommistione di tradizione folkloristica e avanguar-dia. Van Morrison, cantautore in grado di fonderefolk, jazz, blues e canti gospel, è stato il primo artistairlandese moderno a diventare famoso in tutto ilmondo negli anni Sessanta, suonando con il gruppodei Them, e il suo capolavoro, Astral Weeks, è consi-derato uno dei dischi fondamentali di quel decennio.A partire dalla metà degli anni Settanta band e can-tautori irlandesi hanno cominciato a scalare le classi-fiche di tutto il mondo con dischi pop e rock. Bastipensare al successo planetario degli U2, guidati dalcarismatico leader Bono Vox, noto anche al di fuoridel mondo musicale per le sue crociate ecologiste.Inoltre, fin dagli esordi gli U2 si sono occupati dellaquestione irlandese e del rispetto per i diritti civili,improntando su questi temi buona parte della loroattività artistica. Ad oltre trent'anni dall'esordio, iquattro profeti del rock mostrano ancora oggi diessere maestri indiscussi nel saper giocare con igeneri musicali più disparati ma risultando sempre“classici”. In una rapida rassegna dei gruppi irlandesiche hanno lasciato un segno non si possono nonricordare i Cranberries, la formazione irlandese capi-

tanata dalla cantante Dolores O'Riordan, che all'ini-zio degli anni Novanta ha saputo raccogliere almeglio l'eredità del rock celtico e popolare degli U2,grazie ad un pugno di vibranti invettive e di etereeninnananne. Il seguito della loro carriera, però, èstato contraddistinto da un rapido e inesorabiledeclino artistico, seppur sempre accompagnato dabuoni risconti sul piano commerciale. Altro gruppodegno di nota sono i Corrs, capaci di fondere pop consuoni e strumenti della tradizione. Questi due ele-menti sono tanto fusi nella loro musica che quandoiniziarono a proporsi alle prime case discografichevennero bollati come “troppo pop” dalle etichettefolk e “troppo folk” dalle etichette pop. Ottenutofinalmente un contratto con la Atlantic Records nel1995, con il loro album d'esordio conquistano levette delle classifiche in madrepatria e in Australia,ma restano completamente ignorati in tutte le altrenazioni, compresa l'Inghilterra. Nell'arco di pochianni, però, si affermano in tutto il mondo, superandoi 66 milioni di album venduti. In conclusione di que-sta breve panoramica sulla musica nella terra colorsmeraldo sono inoltre da ricordare due regine dellesette note. La cantautrice Sinéad O'Connor, dotata diuno straordinario talento di vocalist e di quasi altret-tanta capacità autodistruttiva, è stata definita laGiovanna D'Arco degli anni Novanta per gli scandalicausati dai suoi gesti e per una vita vissuta sempre allimite. Amata in patria e al di fuori di essa, Enya, lacantante che non fa concerti, è la più misteriosa tra lesignore del pop, interprete di raffinate melodie clas-sicheggianti, cui la sua voce regala un particolaretocco angelico, ed atmosfere soffuse, che ben si spo-sano con il delicato tessuto elettronico delle musiche.Sono infine numerosi i generi derivati dalla musica ditradizione celtica, alcuni dai nomi piuttosto improba-bili, quali il celtic punk e il celtic metal, che, fosseanche solo per pura curiosità, meritano pur sempreun ascolto.

Marco Parigi

In I r landa non suona so lo l ' a rpa ce l t i c aIn I r landa non suona so lo l ' a rpa ce l t i c aTradizione, commistioni e innovazione nella terra color smeraldo

NDR: Aspettando i loro concerti del 7-8 luglio a Milano, abbiamo deciso di dedicare questo numero di Ottava Notaagli U2, sperando di fare cosa gradita. E' sempre l'ora di un po' di buona musica!Buona lettura a tutti!...and have a"Beautiful day"! (da inserire in un box in alto, in orizzontale)

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La sua voce è intensa e folgorante al tempo stesso:Bono Vox, un grande del rock' n' roll e leader degli U2,la band che ha dato un importante contributo allastoria della musica rock. Questo è uno dei pochissimigruppi attivi a partire dagli anni ‘80 capaci di assurge-re allo status di “mito” del rock al pari delleformazioni “classiche”, nate e cresciute neidecenni precedenti. Il segreto del loro suc-cesso è un mix perfetto di furore ed epicità,di ansia e spiritualità, concentrate in unformato canzone sì tradizionale, eppurecapace di rinnovare il vecchio rock and rollcon le suggestioni e le fascinazioni tipichedel post-punk e della new wave. La lorostoria ha un inizio semplice, comune a sva-riate rock-band d'ogni tempo. E' il 1976l'anno in cui il futuro batterista LarryMullen jr. mette un avviso nella bachecadella Mount Temple School di Dublino:“Cercasi musicisti per fondare band”.Rispondono Adam Clayton, David (TheEdge) Evans ed un ragazzo ribelle ed intro-verso dal nome Paul David Hewson(soprannominato Bono Vox, dal nome diun negozio di cornetti acustici). Cominciano a suona-re come Feedback, poi diventano Hype, infine, su sug-gerimento di Steve Averill dei Radiators, scelgono U2,dal nome di un tipo di aerei spia americani dellaseconda guerra mondiale. Agli esordi i quattro eranogiovanissimi: Mullen aveva quattordici anni, The Edgequindici, Clayton e Bono sedici. La morte della madre

di quest’ultimo, cui dedicherà “I will follow”, contenu-ta nell’album d’esordio “Boy”, segna per Bono unpunto di svolta: la band e' la sua nuova famiglia. E nel1978 gli U2 sono già così affiatati da vincere un con-corso rock a Limerick, Irlanda. “Eravamo invincibiliperché uniti”, racconta Bono. Poco dopo, l'incontrocruciale con Paul Mc Guinness che diventa managerdel gruppo, posizione che tutt’ora ricopre, segna l'ini-zio ufficiale di una carriera da sogno. Gli U2, con oltre120 milioni di dischi venduti in più di vent'anni,segnano un caso, piuttosto raro nel rock, di fusionetra impegno politico e risultati commerciali. L'albumd'esordio “Boy”, procura al gruppo un ottimo respon-so di pubblico e critica. Nel 1981 è la volta di“October”, preceduto dal singolo “Gloria”: gli U2 ini-ziano a esercitarsi in un'attività nella quale divente-ranno maestri, la conquista delle classifiche di tutto ilmondo e il sold out nei concerti live. Manca solo unaltro elemento per completare la mappa geneticadella band: l'impegno politico onesto e appassionato.

L'attesa è breve: il terzo album “War” sancisce un pro-fondo cambiamento nelle tematiche dei brani tra-sformando la ricerca intimistica della propria spiritua-lità in una ferma protesta contro la guerra in Irlanda epiù genericamente contro l'ipocrisia e il moralismodella società: “Sunday Bloody Sunday”, “Seconds” e“New Year's Day” diventano ben presto veri e propriinni di ribellione, cantati a squarcia gola dallemigliaia di persone che in ogni parte del mondo affol-lano i concerti degli U2. Il 1984 si apre con un nuovoincontro che cambierà la storia della band: è quellocon i produttori Brian Eno e Daniel Lanois. Ad ottobreesce nei negozi il nuovo album dal titolo “TheUnforgettable Fire”, che entra immediatamente nellaTop Ten di “Billboard”. Ormai gli U2 sono la rock bandpiù promettente del mondo. Ma alla vetta delle clas-sifiche di Stati Uniti e Gran Bretagna, Bono e compa-gni arrivano nel 1987 con “The Joshua Tree”. Nel 1991,con “Achtung Baby”, gli U2 inaugurano la svolta tec-nologica degli anni Novanta. La confusione ultrasoni-ca si erge al posto del muro di Berlino che è crollatodue anni prima. Gli U2, da qui in poi, non sono più

semplici “musicisti”, sono uno spettacolo a 360°, checomprende ritmo, armonia, immagine, fotografia,grafica, movimento, teatralità, poesia. Nel 1999 Bonoentra a far parte del movimento Jubilee 2000, che hacome scopo principale della propria attività quello di

sensibilizzare i governi occidentali affinchéazzerino i debiti dei Paesi del terzo mondo edando così la possibilità a questi ultimi di potercrescere economicamente. L'attenzione diBono lo porta a girare tutto il mondo ed adiscutere con molti Capi di Stato e di governo.Per questa sua attività Bono viene anche presoin considerazione per l'assegnazione del Nobelper la Pace, e si trova ad incontrare il PapaGiovanni Paolo II al Vaticano. Il gruppo irlande-se riceve un prestigioso riconoscimento: nel2005 viene infatti introdotto nella Rock & RollHall of Fame. Inoltre festeggiano nel 2009 l'in-sediamento del neo Presidente americanoObama con l'esibizione al Lincol Memorial diWashington. Gli U2, avvolti da un alone mitico,hanno alimentato per anni la fiaccola del rock,rendendoci partecipi dei grandi cambiamentimusicali e sociali avvenuti negli ultimi tren-

t’anni; proprio Bono, infatti, afferma: “Non possocambiare il mondo, ma posso cambiare il mondo den-tro di me!

Michela Pozzi

GG LL II UU 22 :: II QQ UU AA TT TT RR OO PP RR OO FF EE TT II DD EE LL RR OO CC KK

Uno spettacolo a 360°

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Se non lo ave-ste ancoracapito, le popstar sono inuovi santi.Angelina Joliesi improvvisanuova MadreTeresa, impec-cabile nel suocostosissimotailleur biancoin veste diambasciatricede l l ’Un i ce f,Madonna si fa

fotografare sorridente con in braccio il suo bambino barattato con il governo delMalawi e Gorge Clooney, da messaggero dell’Onu, intercetta con Obama per lacausa Darfur. E se le star holliwoodiane possono essere considerate il nuovo eser-cito della pace, sicuramente Bono Vox ne è l’indiscusso portabandiera.Tralasciamo le insinuazioni un po’ maliziosette su reconditi obiettivi pubblicitari epiccoli scheletrucci nell’armadio che anche questi miti moderni inevitabilmentehanno (suvvia, chi non li ha…in virtù di questo potremmo anche perdonare alcaro Bono lo sfizietto che si è concesso acquistando il 40% delle azioni di Forbes, larivista del lusso e della ricchezza) e limitiamoci solo a lodare, giustamente e piùbonariamente, l’impegno sociale di questi personaggi pubblici che a volte, comenel caso di Bono e soci, rasenta quasi lo stacanovismo:il progetto Red contro la diffusione dell’aids in Africa, le innumerevoli partecipa-zioni ai Live Aid di Bob Geldolf, la battaglia per l’abolizione del debito pubblico neiPaesi del Sud del mondo (che non ha risparmiato neanche l’ Italia, duramente cri-ticata dal leader degli U2 su queste tematiche).Lasciatemelo dire però: la musica che si prodiga per il sociale è cosa buona, lamusica che raccoglie fondi per il sociale è cosa giusta, ma quando la Musica diven-ta il Sociale, diviene simbolo di una causa, di una ribellione, allora scatta l’alchimiae gli artisti assolvono ad uno dei loro doveri primari. Verrebbe quasi da dire: “ Datea Cesare quel che è di Cesare ma a Calliope la possibilità di criticarlo”.Più che soffermarmi sulle nuove campagne sociali supportate da Bono, vorreiquindi ricordare in questa sede quella che è considerata la canzone degli U2 più

impegnata e che haassunto al meglio il com-pito suddetto, trasfor-mandosi in una rebel-song della migliore tradi-zione, in un vero e propriomanifesto politico.La canzone è “SundayBloody Sunday”, scritta daBono nel 1982 come unasorta di commemorazionedi una pagina dolorosadella storia dell’Irlandadel Nord, la “SanguinosaDomenica” del 30 gennaiodel 1972, uno degli episo-di più recenti e sanguinosidegli scontri quasi secolaritra protestanti unionisti ecattolici repubblicani(rappresentati in primisdall’ IRA), sostenitori questi ultimi dell’unificazione con l’Irlanda e dell’indipen-denza dalla Gran Bretagna. “Sunday Bloody Sunday” è una canzone pop-olare, nel senso sublime del termine,perché quasi stigmatizza la forza collettiva di un popolo; è una canzone familiare,perché narra una guerriglia civile che assume i connotati di una guerra fratricida,che separa i nuclei familiari nella loro interconfessionalità (lo stesso Bono è figliodi madre protestante e padre cattolico); è una canzone di denuncia nei confrontidel vergognoso insabbiamento che le 14 vittime di quella domenica hanno subito,rimanendo per lungo tempo senza giustizia.Il leader della band irlandese è instancabile nelle sue lotte: insignito del titolo dicavaliere dalla regina Elisabetta, candidato nel 2005 addirittura al Nobel dellaPace, nominato “Persona dell’Anno” insieme a Bill Gates da TimeMegazine…niente male per un uno che da piccolo, per la sua vivacità, venivachiamato dai suoi genitori “L’Antictisto”!

Angela Capoccetti

IL “SANTO” VOXIL “SANTO” VOXIl leader degli U2 tra impegno politico e umanitario

Nuovo album per gli U2: No line on the horizon

BONO COME JOHNDopo trent’anni di carriera le luci della ribalta sono ancora tutte per loro. “No lineon the horizon” è il titolo dell’ultima opera del quartetto irlandese, che dal 27 feb-braio occupa le vetrine dei nostri negozi. Con questo nuovo album la band esce dauna crisi musicale, che aveva fatto perdere al quartetto un po’ della loro ispirazio-ne e di originalità; ma, di certo, non aveva causato una diminuzione di vendite.Dunque i loro più recenti problemi di sostanza sembrano risolversi con questonuovo cd; che sicuramente non avrà la stessa brillantezza di “War”, ma, almeno,svincola il gruppo da quella assurda “scusa” del “i vecchi splendidi tempi nonpotranno più tornare!”Ciò che salta all’occhio, dunque, è sicuramente la mole di lavoro: finalmente ilgruppo smette di crogiolarsi sugli allori e torna a fare. Bono e compagni hannodeciso di presentare la loro più recente fatica emulando iBeatles: hanno infatti tenuto un concerto, a dir la verità solopoche canzoni, sul tetto della loro casa discografica nel cuore diLondra bloccando, così, momentaneamente la vita londinese.L’album, composto da undici brani, è stato lanciato dal singolo“Get on your boots”, che i fan non hanno considerato come ilpezzo migliore. Oltre a questo primo singolo l’album si fa nota-re per ballate come “White as snow”, brano acustico e “Magnificent” e “Unknow caller”, che sembrano essere brani piùmaestosi. Nel complesso questo lavoro della band irlandese è,sicuramente, molto suggestivo: si avvertono richiami medio-rientali, che si combinano perfettamente con la voce di Bono.

Tra queste musiche così intense e magi-che trovano spazio anche pezzi più rock,aggressivi e psichedelici, che, se ascolta-ti ad occhi chiusi, possono proiettarci inun mondo di colori che si susseguonosenza forma ne ordine.Lo stile, per la verità, nonostante partedella critica abbia inneggiato ad un fan-tomatico “ritorno alla musica”, sembraessere piuttosto quello che oramai con-traddistingue gli U2 degli ultimi anni (testi scarni, un po’ di meta-psichedelia qua

a la, ritornelli forse musicalmente scontati ma di sicuro successo)…ilche è un peccato, poiché gruppi mitici come la band irlandese, invirtù del loro passato, possono permettersi sì la ridondanza, maanche qualche sperimentazione e un pizzico di rischiosa ed azzarda-ta originalità.Con questo album come biglietto da visita gli U2 inizieranno unnuovo tour a fine giugno e passeranno in Italia, a San Siro per l’esat-tezza, nei primi di luglio. Non ci resta che aspettare.

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E’ futile com-prendere perchéa volte i pensierisi confondono emischiano spe-ranze e realtà;ma in faccia aimaligni e aisuperbi il mionome scintilleràed alle portedella notte ilgiorno si bloc-cherà, accetta-mi così ti prego non guardare nella miatesta c’è un mondo da ignorare, sperodi riuscire a dimostrare che così vabene. Dimmi cos’è che mi fa sen-tire importante anche se non contoniente, dimmi cos’è che batte forte,forte, forte in fondo al cuore: ho capitoche è una malattia che alla fine non sipuò guarire mai e ho cercato di convin-cermi che tu non ce l’hai. Ma quando guardi con quegli occhigrandi, forse un po’ troppo sinceri, sivede quello che pensi, quello chesogni, io perché non dovrei dirti tuttoquello che sento nel cuore, sei o nonsei al di sopra di ogni mia grande pas-sione?Confusione… Ma quando un giorno sarai lontano evedrai il cielo quando si colora, pensa-mi almeno per un momento pensamialmeno per mezz’ora, io ci metteròtutta l’anima che ho, quanta vita sei davivere adesso, nel mondo che solitudi-ni ci da perché non resti un po’ con me?Dietro non si torna, non si può tornaregiù, quando ormai si vola non si puòcadere più, nel greto della nostra inti-

mità a voltele parole siconfondonoe il fiato nonha via d’usci-ta, e non soperché quel-lo che tivoglio direpoi lo scrivodentro unac a n z o n e ,non so nean-che se l’a-

scolterai o resterà soltanto un’altra fra-gile illusione, voglio trovare un senso aquesta storia anche se questa storia unsenso non ce l’ha, voglio parlare al tuocuore leggera come la neve anche isilenzi lo sai hanno parole, non ho dife-se ma ho scelto di essere libera e ades-so è la verità l’unica cosa che conta,lasciati guardare un po’ più a fondo fin-chè si può, senti come tremo perchésento che tutto finisce qui. Io non stopiangendo adesso no, sto soltanto, stosoltanto dicendo che ti amo, e non hopaura adesso che se guardo in alto c’èancora la luna e qui vicino ho te!

Ho giocato a costruire un “messaggiod’amore” con le parole di 16 canzoni…ed ora eccovi una sfida: identificarletutte.

Alessandra Rey

In amore non esistono regole. Equando finisce?E’ proprio quando finisce un amoreche iniziano i problemi: come com-portarsi con il proprio ex?Le possibilità sono essenzialmentetre:A)Rimanere amiciB)Non vedersi piùC)Mantenere rapporti civiliProbabilmente se avete scelto laprima avete già trovato un “chiodoscaccia chio-do” e altret-tanto hafatto il vostroex. Decidetedi restareamici e tra divoi non cisaranno pro-blemi dinostalgia ogelosia. Mase avetescelto dir i m a n e r eamici colvostro ex enon avete ancora trovato chi possafarvelo dimenticare, allora voletefarvi del male…Aprite gli occhi!Quando una storia finisce, è finita.Qualunque rapporto possa instau-rarsi dopo sarebbe complicato,indefinito e indefinibile: né amici-zia, né amore. Sarebbe come cam-minare in avanti guardando all’in-dietro:se continuerete a pensare alvostro ex vi perderete solo tanteoccasioni. Ne vale la pena?Se invece siete accaniti sostenitoridell’opzione “B”siete molto realisti-

ci. Se ci si lascia ci sarà un perché e,il più delle volte, questo perché fasoffrire almeno uno dei due.Quindi bando all’ipocrisia: è statobello finché è durato, ma adessoognuno per la sua strada. E’ unascelta drastica, ma si dimenticaprima e forse si soffre di meno.Se il vostro ex abita nel palazzo difronte al vostro, fa parte del vostrogruppo di amici, frequenta la stes-sa università, insomma ve lo ritro-

vate sem-pre fra ip i e d i ,scommet-to cheavete scel-to l’opzio-ne “C”, Ccome con-v i v e n z acivile: sag-gia deci-s i o n e !Avere unex che cel’ha amorte con

noi può essere un bel problema: unex “incattivito” può trasformarsi nelnostro peggior nemicoMeglio non farlo arrabbiare…E voi che “ex” siete? A prescinderedall’opzione che scegliereste ricor-datevi che la cosa importante èguardare avanti e non restare trop-po attaccati ai ricordi perché maga-ri la persona giusta ci passa davan-ti e non ce ne accorgiamo nemme-no…

Michela Petti

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“Ex”:quando gli amori sono (in)finiti

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Life style di ier i , di oggi e di domani…Oltrepassano i confini del le passerel le ed impre-gnano del la loro essenza le strade, le vite, le persone… Girano i l mondo, s i perdono e poir itornano, s i evolvono e poi esplodono. S i intrecciano con musica, ideologie, r icordi , tra-dizioni, valori . S imboli di una storia che è passata ed orizzonti di speranze che verranno.Specchi di animi autentic i , v ivi , eccentric i , diversi…Life style, ad ognuno i l suo.

Sono tornati. Belli, ricchi e arroganti, annoiati ed inghingheri: mancavano da un po' di anni e, invece,ora, si sono ripresi la scena, ancora più agguerriti diprima.Sono i figli della generazione che 20 anni fa si muo-veva in Vespone e sfoggiava i Levis. Oggi hannomesso da parte le due ruote, le ideologie rivoluziona-rie e pensano solo alle griffe. Purtroppo.Hanno solo 15 anni ma si comportano come adulti:videotelefonino e carte di credito per pagare in pizze-ria. Davanti al bar «Parnaso», nella piazza delle Muse, inun pomeriggio di primavera inoltrata, è facile ricono-scerli: arrivano con le loro «macchinette», quellemini-automobili senza targa, più fastidiose di unasmart e più rumorose di un trattore, si salutano con“rituali” da far invidia alle tribù africane e danno ini-

zio alla loroattività pre-ferita (edanche l’uni-ca, sostan-zialmente!):vantare lamarca piùgrande epiù in vista

possibile! E non solo sugli indumenti… se una volta bastavaattaccare sulla scocca del Vespone un adesivo di ten-denza, la personalizzazione del proprio mezzo dilocomozione, oggi, è ben più complessa: servonograffiti, luci al neon e dosi di hi-tech. E, naturalmen-te, un bel mucchio di euro, altrimenti, che pariolinosei?!Ludo, Flami, Costi. 15, 16, 17 anni. Si chiamano così:abbreviano i nomi con una stanchezza quasi consu-mata. E chissà da cosa… la faccenda più complicatache riescono ad organizzare sembra sia una seratadanzante al Piper, al Gilda, alla Suite…E quando passa la fase adolescenziale? I piccoli pario-

lini crescono e… siiscrivono alla Luiss! Ora sfoggiano MiniCouper e Smart,Rayban e cappellinoGucci, e per fortunache Luis Vuittonvanta tanti modellidiversi di borse, altri-menti sarebbe dav-vero difficile distinguerli tra di loro: “Ludo, quella conil bauletto grande con la fantasia estiva”, “ Marti,quella con la tracolla a stampa classica”…Perché andare a vedere una sfilata in passerellaquando puoi godere dello stesso spettacolo dal bardella Luiss?Ridiamoci su: il mondo è bello perché è vario e, infondo, c’è un po’ di loro in ognuno di noi…Criticati e condannati, ma in fondo amati ed anche unpo’ invidiati, i pariolini non tramonteranno mai, oalmeno fino a quando Vuitton e Gucci continuerannoa sfornare nuove borse e nuovi cappellini!!

Cassandra Menga

“PARIOLI’S LIFE STYLE”“PARIOLI’S LIFE STYLE”

Se nella lingua italiana si usa l’espressione “mettersi nei panni di qualcuno”, nondobbiamo meravigliarci che il proverbio “l’abito non fa il monaco” sia da ritenersiormai obsoleto nella nostra società. Che i nostri vestiti siano manifestazione della nostra personalità/ ideologia/ imita-zione di qualche personaggio e- soprattutto per i giovani- sia un’importante formadi connotazione di appartenenza ad un gruppo ben determinato, è scontato.Pochi, infatti, fanno caso al significato politico di certe scelte estetiche apparente-mente poco indicative di scelte ideologiche e di quanto, al contrario, accessorid’abbigliamento un tempo più distintivi di una stella gialla a sei punte cucita sulpetto (vedi il giaccone militare, la scarpetta rossa da regista di teatro, il tascapanee la kefiah), siano oggi un semplice addobbo. Prendiamo il caso, più che altro per-ché molto attuale, della kefiah. Lo scialle multiuso indossato da leader palestinesi

è diventato l’accessoriosimbolo della generazionedi chi ha fatto il G8, di chiera no-global, comunista erifondarolo. Per estensione,di tutti i fricchettoni. L’annoscorso l’accessorio in que-stione è apparso nelle sfila-te di Balenciaga, questa pri-mavera la kefiah è in vendi-ta da H&M vicino alle casse.

Il caso del vintage è analogamente per-verso. Quando io andavo alle medie emarinavo la scuola andavo ai “polacchi”,un mercatino dell’usato in cui con diecieuro facevi il cambio di stagione. Fu unaragazza ad insegnarmi come fare:“Butta le mani nella cesta, alza, tipiace? No? Pesca di nuovo!”. Al liceoandavo in un negozietto vintage perdistinguermi e farmi guardare male damia nonna. Poi Lapo Elkann ha comin-ciato a frugare nell’armadio di suononno e adesso per magia vintagesignifica Lusso. Oggi l’insegna del mercato dell’usato inVia del Corso recita: “Snobberie”. Masiete avvisati: la prossima frontiera del vintage “alternativo” sono le scatole di ciboe i giornali vecchi. Quando si dice la raccolta differenziata…

Chiara Sfregola

LO STILE “VINTAGE” IMPROVVISATO

Piccoli “pariolini” crescono…

Il vintage è una scelta politica, prima che estetica. La Kefiah è una scelta estetica prima che politica.

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“Street fashion non significa avere tanti soldi daspendere o stare al passo con le star della moda.Riguarda l’originalità e il saper applicare il tuo stile aciò che indossi”. Parole ispirate, certamente, ma l’au-tore ha forse tralasciato di dire che questo stile, perquanto recente possa essere, è divenuto ormai unfenomeno mondiale. Con la sua originalità la streetfashion, e soprattutto l’urban, ha attratto a sé man-drie di giovani, trasformandosi in un dividendocomune di ogni società. Ma quali sono le radici diquesto fenomeno? Limitatamente all’urban e sport-wear, questo stile affonda le sue radici nell’hip hop. Ilgenere nacque negli anni ‘70 tra le malfamate stradedel Bronx dove alcuni dj provenienti dalla Giamaicaincominciarono ad arricchire i loro sound con percus-sioni e ad accompagnarlo con le voci dei MCs (master

of cerimo-nies), inostri odier-ni rapper.Così, ilsound hip-hop, ironico,malizioso e“arrabbia-to”, si diffu-

se a macchia d’ olio tra i ghetti americani ,sino a rag-giungere massima visibilità negli anni ’90 con seriecome “Willy il principe di Bel Air”. E oggi personaggicardine dell’ hip hop approfittano della loro fama perguadagnare con linee di moda che combinino il tra-dizionale stile della strada, fatto di tute, bandane,cappelli, sneakers, con il glamour e quel pizzico di”bling bling” (come vengono chiamati i diamanti inUSA) che tanto piace agli americani. L’urban fashionè diventato, dunque, un modo per mettere in luce ilproprio status e apparire come parte di quel mondodella strada che tanto “street” non è più. Ed è qui chemoda e cultura hip hop si incontrano: gli artisti colla-borano con case di moda, sfilano per loro e compranodiamanti proprio come dei veri fashion-addicted(alcuni i diamanti li mettono pure sui denti). SeanPuffy Combs (in arte P.Diddy) e Missy Elliot si dedica-no alle tute, J.lo e Beyoncè hanno disegnato varielinee di abiti, e così via. Ma i due re indiscussi dell’-high fashion rimangono Kanye West e PharrellWilliams, i soli che sin ad ora hanno potuto vantareuna collaborazione con Louis Vuitton. Pharrell, loSkeatboard P., membro dei N.E.R.D., aveva già fattoesperienza personale nel campo della moda dise-gnando abiti e scarpe per l’ “Ice Cream” e per la“Billionaire Boys Club”, in cui mescolava la sua passio-

ne per la musica aquella per l’ astrono-mia. Ha disegnatonel 2007 una linea digioielli chiamata“Blason”. Kanye nell’ultima sfilata parigi-na, ha esordito conuna linea di scarpe eborse monocromesia per uomo che perdonna che hannofatto torcere il nasoai modaioli più conservatori. Insomma, è rivoluzione!I rapper balzano dal duro ghetto al lussuoso mondodella moda, le donne dell’ R&B diventano imprendi-trici… l’urban sta conquistando il mondo! Anche ilpiù ortodosso Valentino si farà affascinare dalla sedu-cente sportività delle visiere e delle sneakers?!

Francesca Azzarà

LO STILE URBANOLO STILE URBANO

C’è chi lo fa invano perché cerca un segnodistintivo. E non ci riesce. C’è chi lo fa per-ché qualche volta ha sentito mamma epapà raccontare del sogno sessantottino edei grandi sconvolgimenti del XX secolo edè ancora troppo piccolo e troppo pocoinformato per capire che i tempi sonodiversi. C’è chi lo fa perché lo fanno i suoiamici. C’è chi lo fa perché si sta appassio-nando davvero. E c’è chi lo fa perché èabbastanza grande ed abbastanza convin-to che non può essere solo una moda. E’l’alternative style. Forse il più facile, il piùflessibile ed il più personalizzabile modo divestire..anzi..di essere. Quando però lo sisa gestire. Lo stile zecca non è quello dei

negozi specializzati, che sembrano “strani” e che ti incuriosiscono quando sei invacanza estiva a Barcellona o a Londra, mentre cammini per le affollatissime stra-de dello shopping. Non potrebbe mai essere così perché, di sua natura, non nascedalla ricerca minuziosa dei particolari che possano dare un tocco “alternative”. E’proprio il contrario: è lo stile più spontaneo e “menefreghista”che possa esistere…e questo perché, per chi ci crede davvero, simboleggia un’ideologia. E’ molto sem-plice: basta accostare due o tre indumenti che da soli non sarebbero affatto alter-nativi, ma che comunque appartengano a due stili diversi. Se poi ci aggiungi unpaio di converse mal ridotte, allora è il massimo! Emblema della protesta contro ilconsumismo, contro il degrado della politica, si ispira a vecchi valori che riman-dano ai tempi dei veri e forti partiti di sinistra e delle lotte di classe. Nella maggiorparte dei casi “trasandatezza” è la parola d’ordine, poi ci si può sbizzarrire: magliet-te di arancia meccanica, o con una appariscente scritta nera su sfondo giallo chedice “NIRVANA” o ancora foglie verdi di marijuana su felpe e polsini. Ascoltano

gli Ska-P, ma non disdegnan-do affatto Guccini o i neo-affermati a livello nazionaleModena City Ramblers. Ma èproprio qui che si distingue ilpensiero “puro” degli alternati-vi, aperto al dialogo, al plurali-smo, al “diverso”, svincolato daogni forma di condizionamen-to ed assolutizzato in tutte lesue manifestazioni. Gli alter-nativi ci sono e si fanno senti-re… Per rimandare all’attuali-tà, ne vedremo molti dal vivo oin tv durante lo scorrere delleimmagini del concertone delprimo maggio a Roma, ancorapiù significativo per “loro” inquesta edizione 2009, graziealla presenza di colui che aprì il suo concerto nel modo forse più ALTERNATIVO pos-sibile: “Spinoza diceva che chi detiene il potere ha sempre bisogno che le personesiano affette da TRISTEZZA”… così diceva Vasco Rossi nel suo tour 2008. ”QUI -dicono le zecche - SI FA LA STORIA”

Giovanna Cento

ALTERNATIVE LIFE STYLE

DALLA STRADA ALLA PASSERELLA

“Qui si fa la storia”, dicono le zecche…

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C'era una volta il Medioevo...e con esso lo stile

Dopo le dichiarazioni rilasciate dall’allenatore della Juventus Claudio Ranieri, conle quali allenatore juventino ha parlato ironicamente di stile Inter, è venuto spon-taneo chiedersi se si possa ancora parlare di stile nel calcio italiano alla luce delglorioso passato delle nostre società. Per molti anni in Italia il calcio italiano era un marchio di casa Juventus. La fami-glia Agnelli entrava di forza nel mondo del calcio, con la squadra torinese e con leproprie tradizioni di educazione: i mai banali soprannomi dell’avvocato– comePinturicchio – e le tradizioni – come l’amichevole d’agosto a Villar Perosa. Poi è arrivata l’era Moggi: la squadra doveva essere vincente a tutti i costi. Pocoimportava lo sfarzo (anche se si sa, lo stile non si acquista né si perde): prima ditutto il primato, ad ogni costo! Niente più importante dell’essere primi. VendereZidane, vendere Vieri (senza nemmeno dirlo all’Avvocato), tenere Davids sei mesiin tribuna. Solo bastone, carota e tante vittorie. Poi calciopoli che distrusse tutto. All’indomani dello tsunami si presenta un voltonuovo, una faccia chiara e sincera: Claudio Ranieri. L’uomo giusto, con tanta clas-se, mai parole fuori posto e allo stesso tempo mai banale. La sua missione è quel-la di rendere nuovamente la Juventus la fidanzata d’Italia.Ma intanto, a fine anni ottanta, erano arrivati già i quattrini di Berlusconi.Conquistare il mondo divertendolo e facendo diventare il calcio uno spettacolo. IlCavaliere riuscirà nell’impresa in soli vent’anni. Adesso la società menghina sembra voler emulare il Real Madrid dei galacticos,raccogliendo grandi giocatori e mettendoli in vetrina in tutto il mondo (anche semolto più concreti dei Madrileni). Milan top Mondo e Top Model. Lustrini da sfoggiare nelle amichevoli. La forma aMilanello – almeno quella! – non è mai contata meno della sostanza.E poi l’Inter. Per molto tempo è stata la squadra che dava un cuore nuovo a Kanu,che faceva operare al cuore Fadiga; tanti buoni sentimenti per mascherare la fru-strante mancanza di vittorie. Non una squadra per tifosi normali; una squadra perintellettuali che non avevano bisogno di vincere per sentirsi primi. Superiorità chealcuni direbbero assomigli molto alla storia della volpe e dell’uva, non per tutti. Ora l’Inter vince i campionati, li trangugia senza masticarli; abbatte avversari epretendenti al tricolore. Prende un allenatore nuovo, uno speciale che ogni giornose ne va in sala stampa a dare pagine da scrivere a giornalisti di mezza Europa. Mode che si susseguono con la velocità con la quale si utilizza e si dismette un paio

di jeans.Il vero stile Italiano è quello di Paolo Maldini, Giacinto Facchetti, Gaetano Scirea;proprio quest’ultimo, durante un Juventus – Fiorentina particolarmente acceso,gridò dopo l’ennesimo fallo: “Vergognatevi, ci sono le vostre mogli e i vostri bam-bini che vi guardano in tribuna!”. E nessuno si azzardò a fiatare. Sicuramente nonè stile quello di gente che parla di prostituzione, coglioni, linguacce e campionatifalsati. Mourinho, che tanto si definisce Speciale, ha dichiarato di ripristinare leconferenza stampa stile medioevo, ma questo cosa sembra? Il calcio italiano chesforna modelli per i ragazzi, si chiede che razza di modelli stia plasmando. Se que-sta era futurista deve fornirci questi spettacoli indecenti e improponibili, chiedia-mo a tutte le società Italiane di ripristinare il Medioevo, così a livello Europeopotremmo riacquistare le posizioni che prima di essere perse sul campo abbiamoperse fuori da esso. Perché, come dice Hemingway, lo stile è il modo giusto di fareciò che deve essere fatto.

Lorenzo Nardi

QUATTRO CHIACCHIERE CON.. CLAUDIO RANIERI

Prima come calciatore e poi come allenatore, da oltre 30 anniè uno dei personaggi più noti del panorama calcistico italiano.Da atleta ha una carriera brillante iniziata negli anni ’70 nellaRoma del “mago” Herrera, ma è come tecnico che ClaudioRanieri si rivela capace di vere e proprie imprese. Cagliari è laprima piazza importante dove mostra le sue qualità: in dueanni, i sardi passano dalla C al ritorno in A. Da qui l’approdo alNapoli. Partito Maradona, Ranieri dà fiducia al giovaneGianfranco Zola e la squadra conquista il quarto posto, chesignifica Europa. Dopo un anno di stop, dal 1993/94 è allaFiorentina, appena retrocessa. La riporta nella massima serie eprima di lasciare conquista una Coppa Italia e una SupercoppaItaliana. Dal 1997 inizia la lunga avventura all’estero. Primatappa la Spagna, Valencia, con cui vince una Coppa del Re. Nel2000 il trasferimento in Inghilterra, sulla panchina delChelsea, con cui ottiene un secondo posto in Premier League euna semifinale di Champions League. Nel 2004 di nuovo aValencia conquista una Supercoppa Europea. Per non parlaredell’impresa di Parma dove approda nel 2007 contribuendoalla salvezza del club. Insomma un vero supereroe del panora-ma calcistico italiano.

La sua carriera dimostra come Lei sia stato più volte capace di centrare obiettivi appa-rentemente impossibili. Uno di questi, oggi, è lo scudetto alla Juve, che attualmentesi trova a -7 dall’Inter in vetta. Ha abbandonato il sogno? Più che di sogno parlerei di obiettivo. La Juve ha quello dello scudetto e sarà cosifino alla fine della stagione. Ci crediamo ancora. Per una Juventus ormai fuori dalla Champions, l’unico obiettivo è riprendere l’Inter.Se non dovesse centrarlo, pensa che ci sia qualcosa da cambiare (e se si cosa) per nonsbagliare la prossima stagione?

Non penso alla prossima stagione, ma solo a quella incorso. Per quanto difficile possiamo raggiungere l’obiet-tivo posto all’inizio. Blanc ha dichiarato che la gara di sabato 14 marzo con ilBologna (vinta 4 a 1) è stata la miglior risposta alla scon-fitta in Champions. Una grande Juventus forza quattroche ha rimontato nella ripresa lo svantaggio del primotempo. Una curiosità: ha detto ai suoi nell’intervallo qual-cosa in particolare per motivare una tale reazione? Ho la fortuna come allenatore di lavorare non solo condei grandi professionisti ma con dei campioni veri, incampo e fuori. Hanno solo fatto il loro ruolo comportan-dosi come tali, ed io il mio nel guidarli all’esprimere leloro potenzialità. E cosa dirà invece per preparare la squadra alla grandesfida di sabato 21 all’Olimpico contro la Roma diSpalletti? Quello che dico sempre. Di dare il meglio, di giocarecome sanno. Il resto verrà da sé, speriamo. Per la gara di sabato la Roma conta 9 indisponibili (che

potrebbero salire ad undici), tra i quali probabilmente anche capitan Totti. Anche laJuve è in emergenza con 7 giocatori costretti ad alzare bandiera bianca. Secondo leicosa causa queste emergenze? E’ solo sfortuna o anche errori di preparazione? O forseun calendario troppo denso di impegni…?Credo sia stata solo una grande sfortuna sia per noi che per la Roma. Ma il palloneè rotondo e a volte si ha la fortuna dalla propria e si gioca in dodici, altre accade ilcontrario.

Emanuela Perinetti

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Quando lo sport vince La storia di Izet:dal campo di gioco a quello di battaglia (e ritorno)

Alcuni giorni fa “La Gazzetta dello Sport” ha fatto lucesu una storia ai confini della realtà, permettendo algrande pubblico di venirne a conoscenza. Una storiache comincia nel peggiore dei modi possibili. Al cen-tro della vicenda c'è Izet Sejmenovic, bosniaco, gio-catore di basket professionista; all'epoca dei fattimilitava nello Slavonski Brod, serie A2 croata, ed erain procinto di trasferirsi in Germania, al Goettingen,per giocare stavolta nella A1 tedesca. L'8 luglio del1993, alle ore 15, Izet uscì di casa. Era stato chiamatod'urgenza: un suo amico era rimasto ferito nell'ambi-to delle operazioni militari in corso nel Paese, edaveva bisogno del sangue del cestista, compatibile

con il suo. A Izet non restò altro da fare che mettersi in cammino verso l'ospedale:e, dal momento che le strade principali erano perennemente presidiate dai cec-chini serbi, percorse i 25 km che lo separavano dal centro medico a piedi. Sulla viadel ritorno, proprio quando mancava meno di un chilometro alla sua abitazione,stremato dalla fatica decise avventatamente di tornare sulla via principale: e fuproprio allora che due cecchini serbi lo ferirono alla gamba destra e all'addome.Izet riuscì in qualche modo a chiamare aiuto, e in modo rocambolesco fu traspor-tato all'ospedale. I chirurghi lo operarono d'urgenza, improvvisando gran partedell'intervento: curiosamente, venne usato il sangue che lui stesso aveva donatopoche ore prima. Tutto andò per il verso giusto. Se però la vita di Izet era stata sal-vata – e in modo a dir poco miracoloso – lo stesso non poteva dirsi della sua car-riera. Aveva 25 anni, un presente in serie A2, e un futuro all'estero, addirittura inA1: la guerra aveva cancellato tutto, e a causa delle sue ferite Izet non avrebbe maipiù potuto giocare reggendosi sulle proprie gambe. Ma – è proprio il caso di dirlo,a dispetto di ogni retorica – l'amore per lo sport e per la vita a volte è più grandedi qualsiasi cosa. Izet incontrò il tecnico americano Ed Owen. Fu lui a parlargli delbasket in carrozzina, e ad indirizzarlo in quella direzione. Il cestista non aspettavaaltro: e già nel 1996 tornò sui campi da gioco. E nuovamente a livello professioni-stico. Giocò un anno in Bosnia, poi uno a Cantù ('97 – '98), il successivo in Francia.Poi tornò in Italia, dove militò a Macerata per quattro anni (dal '99 al 2003), perpoi approdare a Gorizia, in serie A2. Dove gioca tuttora, con la maglia dellaCastelvecchio Gradisca. Una vera e propria rinascita, maturata soprattutto grazieallo sport. Prima Izet giocava contro grandi del basket jugoslavo come Alibegovice Bodiroga; ma, come nota lui stesso: “Frequentare le persone in carrozzina mi hafatto capire cosa conta nella vita”. Una grande lezione. Non solo di basket.

Luigi Calisi

Quando lo sport perdeTragedia in Iraq:

tifoso uccide calciatore Questa è la notizia: a Hilla, 100 km daBaghdad, Heidar Kazem, giocatore del Sinyer,serie A irachena, segna un gol nella partitacontro il Buhayrat; improvvisamente si acca-scia a terra, colpito alla testa da un colpo dipistola esploso da un “tifoso” della squadraavversaria. L'uomo, secondo fonti delMinistero degli Interni, è stato immediata-mente arrestato. Kazem, invece, è morto subi-to dopo il ricovero in ospedale.Personalmente, sono rimasto per qualchemomento senza parole; poi, cominciando ariflettere sull'accaduto, ho cercato di immagi-nare l'episodio e contestualizzare una sinteticanotizia nella cronaca sportiva. In un paesecome l’Iraq, che sta faticosamente cercando di imboccare la via della ricostruzio-ne e del ritorno alla normalità dopo le vicende che tutti conosciamo, lo sport e inparticolare il calcio sembrano rappresentare sia un'oasi "felice" in cui sfogare letensioni quotidiane sia la motrice della locomotiva di un nuovo corso; la nazio-nale irachena di calcio – i “Leoni di Babilonia” come vengono chiamati i giocato-ri da stampa e sostenitori – ha vinto l'ultima Coppa d' Asia e per qualchemomento ha consentito a molti tifosi di scendere in strada e festeggiare i propribeniamini, lasciando da parte contrasti etnici, religiosi e politici. Nonostante lavittoria riportata nella Coppa d'Asia, la nazionale non può ancora giocare le par-tite casalinghe nel proprio paese proprio perché il territorio è considerato moltopericoloso. Ed ecco che, se da una parte lo sport può rappresentare uno dei mezziper unire la società e la nazione irachena, dall'altra è purtroppo terreno fertile eambito obiettivo di azioni terroristiche e intimidatorie. Penso che il caso in que-stione, benché riguardi solamente uno squilibrato (categoria che è più o menorappresentata in tutti i Paesi) e non risponda a un predeterminato scopo terrori-stico, ci possa far comprendere la misura in cui l’Iraq necessita di un aiuto con-creto da parte dei paesi occidentali per superare le difficoltà e le differenze di unpopolo sconvolto dalla guerra: è estremamente dannoso che persino quello chepotremmo definire uno dei più promettenti spiragli di luce nel buco nero che èoggi l’Iraq, possa essere oscurato da episodi del genere, contribuendo a rendereancora più incerto e travagliato l'animo degli iracheni, che vedono incrinata eintaccata la più importante valvola di sfogo: lo sport.

Flavio Donnini

Ciò che è avvenuto a Trigoria sabato 14 marzo è unqualcosa d’ inedito per il calcio italiano.Indipendentemente dai colori che si sostengono l’affetto manifestato dai tifosi romanisti nei con-fronti dei propri “ eroi “ è qualcosa che non puòlasciare indifferenti. L’ Italia è sempre accusata diessere una nazione dove non vi è cultura sportivae dove si tende sempre a scaricare le responsabili-tà di una sconfitta sulla sfortuna o sull’ arbitro. Itifosi Romanisti si sono riversati in 10.000 nella“casa” della loro squadra per manifestare ai gioca-tori affetto e gratitudine per aver gettato il cuoreoltre l’ ostacolo e per aver proferito il massimoimpegno in campo nonostante le condizioni pre-carie di molti componenti della rosa. Indipendentemente dalle loro capacità tecni-che, i tifosi hanno elogiato tanto Totti, quanto Diamoutene, in quanto hanno rico-nosciuto che tutti i giocatori hanno gettato sull’ erba dell’ Olimpico il loro 200 % eche se alla fine non ce l'hanno fatta è stata solamente per sfortuna e per la crude-le lotteria dei calci di rigori mai amica dei colori giallorossi (la dolorosa finale persacontro il Liverpool proprio all’ Olimpico docet). I giallorossi hanno tenuto testa aduna delle tre compagini inglesi che sfidavano il nostro calcio, e cosi facendo hannodimostrato che con tanto coraggio e grinta, ma anche ovviamente capacità tecni-co-tattiche, nessuna partita è poi cosi “ impossibile “ e questo i tifosi della Roma l’

hanno capito e hanno affollato i campi di allenamen-to. I tifosi, 'convocati' a Trigoria dalle radio romane finda giovedì scorso, in questo modo hanno voluto tribu-tare il loro affetto alla squadra di Luciano Spalletti eringraziarli per la prestazione contro l'Arsenal. Altroche contestazione: i tifosi si sono mobilitati per soste-nere la squadra e si sono presentati in massa all'alle-namento di rifinitura prima della trasferta a Genovacon la Sampdoria. Tanti, talmente tanti che i giocato-ri, nonostante le transenne, sono rimasti bloccati neltraffico sulla strada che porta al centro tecnico giallo-rosso. Tutti davanti ai cancelli del campo A, quello conle tribune. Come previsto, la Roma ha aperto i cancel-li per permettere ai tifosi di assistere all'allenamento

odierno. I sostenitori dei giallorossi, sistemati dietro una delle due porte, hannoanche acceso dei fumogeni e sono stato messi ai bordi del campo due striscioni conle scritte 'A testa alta e fieri dei nostri valorosi condottieri', e '11.3.09 il vostrocoraggio premiato. Per noi nessuno ha sbagliato'. Al momento dell'entrata dei gio-catori sul campo, ci sono stati cori ed incitamenti per tutti, in particolare Totti eRiise, che si sono fermati a firmare autografi per la gente dietro la rete di protezio-ne. Un ottimo esempio di vera cultura sportiva.

Andrea Pelagatti

Bagno di folla a Trigoria per celebrare... un'eliminazioneUna grande dimostrazione di tifo e cultura sportiva

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