31/10/12 Blog Notes, Weblog di Giuseppe Granieri · l'attenzione sulle notizie false che circolano...

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31/10/12 Blog Notes, Weblog di Giuseppe Granieri 1/10 www.bookcafe.net La tempesta perfetta dei Social Media Cose scritte altrove. «I critici dei social media», scrive Mathew Ingram, «si divertono a puntare l'attenzione sulle notizie false che circolano durante grandi eventi come lUragano Sandy. Ma Twitter e altri servizi sono velocissimi nel correggere queste anomalie e sono diventati parte integrante dell'ecosistema delle news in continua espansione». L'Espresso, Media Shift, Twitter è «la macchina della verità» per le notizie Il problema è quello di avere le competenze e i di conoscere i tool necessari per fare fact-checking ai tempi dei social media. Sei ancora un bravo giornalista se non ti muovi a tuo agio con questi strumenti nuovi? Gridare al fake non è una strategia. L'Espresso, Media Shift, Giornalisti con l'uragano sbagliato Posted by g.g. | # | Media | 10/31/2012 Tweet Tweet 0 L'uragano ai tempi di Instagram Come avevamo già visto con il terremoto negli USA e con quello in Emilia, Twitter in caso di grandi eventi svolge un ruolo molto interessante nella narrazione collettiva (e in quella giornalistica). E come era già capitato (circolavano Tweet del tipo: «È più saggio scappare prima e solo "poi" twittare»), anche con l'uragano Sandy ci sono annotazioni un po' buffe e un po' serie. il New York's fire department -ad esempio- ha dovuto avvisare la gente di non usare Twitter per chiedere aiuto in caso di emergenza: meglio continuare con il tradizionale 911. (via @annamasera ). Sul fronte della narrazione, Sandy ci sta facendo sperimentare però una novità importante. Con Instagram che viaggia ormai sui 100 milioni di utenti, il racconto per immagini diventa sempre più pregnante. Al momento in cui scrivo, l'hashtag #sandy raccoglie già quasi mezzo milione di foto. Così, ad esempio, Chris Akerman e Peter Ng hanno creato Instacane , un sito dedicato alla copertura dell'uragano attraverso Instagram. Poynter, invece, fa notare che una delle foto più condivise (quella delle sentinelle del milite ignoto sotto la pioggia, che ha avuto decine di migliaia di condivisioni e like) non ha nulla a che fare con Sandy. È stata scattata a settembre . E l'Atlantic ha un bell'articolo che spiega come distinguere le foto reali di Sandy da quelle finte: InstaSnopes: Sorting the Real Sandy Photos from the Fakes . Per i giornalisti, invece, questi eventi sono un'occasione importante per sperimentare. Così Jeff Sonderman propone 5 modi creativi per raccontare l'uragano . Andrew Beaujon, invece, raccoglie i 6 meme che stanno circolando su Sandy . Sul sul versante dei consigli pratici, ecco come curare la narrazione dell'uragano ripostando foto altrui che hanno valore di notizia . E se dovesse servire, ecco come mettere facilmente le foto di Instagram sul proprio blog o sul proprio sito: Embedding Images from Instagram . Twitter: @gg | Instagram: @ggranieri. Posted by g.g. | # | Media | 10/30/2012 Tweet Tweet 12 L'intelligenza della città mail | bio | rss | twitter | facebook © Laterza, 2009 © Laterza 2006 © Laterza 2005 (4a edizione: 2009) © Presença 2006 Consiglia Consiglia questo elemento prima di tutti i tuoi amici. Consiglia 29 people recommend this.

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La tempesta perfetta dei Social Media

Cose scritte altrove.«I critici dei social media», scrive Mathew Ingram, «si divertono a puntarel'attenzione sulle notizie false che circolano durante grandi eventi comelUragano Sandy. Ma Twitter e altri servizi sono velocissimi nel correggerequeste anomalie e sono diventati parte integrante dell'ecosistema dellenews in continua espansione».L'Espresso, Media Shift, Twitter è «la macchina della verità» per le notizie

Il problema è quello di avere le competenze e i di conoscere i toolnecessari per fare fact-checking ai tempi dei social media. Sei ancora unbravo giornalista se non ti muovi a tuo agio con questi strumenti nuovi?Gridare al fake non è una strategia. L'Espresso, Media Shift, Giornalisti con l'uragano sbagliato

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/31/2012

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L'uragano ai tempi di Instagram

Come avevamo già visto con il terremotonegli USA e con quello in Emilia, Twitter incaso di grandi eventi svolge un ruolomolto interessante nella narrazionecollettiva (e in quella giornalistica).E come era già capitato (circolavanoTweet del tipo: «È più saggio scappareprima e solo "poi" twittare»), anche conl'uragano Sandy ci sono annotazioni unpo' buffe e un po' serie.il New York's fire department -adesempio- ha dovuto avvisare la gente dinon usare Twitter per chiedere aiuto incaso di emergenza: meglio continuare con

il tradizionale 911. (via @annamasera).

Sul fronte della narrazione, Sandy ci sta facendo sperimentare però unanovità importante. Con Instagram che viaggia ormai sui 100 milioni diutenti, il racconto per immagini diventa sempre più pregnante.Al momento in cui scrivo, l'hashtag #sandy raccoglie già quasi mezzomilione di foto.

Così, ad esempio, Chris Akerman e Peter Ng hanno creato Instacane, unsito dedicato alla copertura dell'uragano attraverso Instagram.Poynter, invece, fa notare che una delle foto più condivise (quella dellesentinelle del milite ignoto sotto la pioggia, che ha avuto decine di migliaiadi condivisioni e like) non ha nulla a che fare con Sandy. È stata scattataa settembre.E l'Atlantic ha un bell'articolo che spiega come distinguere le foto reali diSandy da quelle finte: InstaSnopes: Sorting the Real Sandy Photos fromthe Fakes.

Per i giornalisti, invece, questi eventi sono un'occasione importante persperimentare. Così Jeff Sonderman propone 5 modi creativi per raccontarel'uragano.Andrew Beaujon, invece, raccoglie i 6 meme che stanno circolando suSandy.

Sul sul versante dei consigli pratici, ecco come curare la narrazionedell'uragano ripostando foto altrui che hanno valore di notizia.E se dovesse servire, ecco come mettere facilmente le foto di Instagramsul proprio blog o sul proprio sito: Embedding Images from Instagram.Twitter: @gg | Instagram: @ggranieri.

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/30/2012

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L'intelligenza della città

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L'intelligenza della città

L'idea delle città intelligenti (smart cities)è un tema sempre più caldo, perchèagisce in modo sensibile su due concettistrategici per il secolo a venire: sviluppoe qualità della vita.Ed è ovviamente uno dei grandi businessdel ventunesimo secolo, non a casogiganti come IBM ne hanno fatto unoslogan e una prospettiva commerciale.

Ma è anche una sfida affascinante perchiunque si dedichi a immaginare il futuro,in termini di progettazione e soluzioni.Così, se ti interessa, condivido -senza

alcuna pretesa di costruire un quadro generale- qualche appunto mio equalche lettura che mi è parsa significativa.

1. Le città sono sempre state intelligenti

In un bellissimo libro, che tuttavia non esiste in ebook (e secondo me èdifficile da trovare anche su carta), Steven Johnson racconta come lecittà tendano ad assumere delle proprie configurazioni anche a prescinderedal modo in cui sono governate. C'è una forma di intelligenza che emergedalle semplici attività di cittadini. «Una città», scrive Steven, «è una sorta di amplificatore di configurazioni:i suoi quartieri sono un modo per quantificare ed esprimere ilcomportamento ripetuto delle più ampie collettività: catturano informazionerelativa al comportamento del gruppo e condividono quella informazione

con il gruppo». Così succede che, «poiché quelle configurazioni sono restituite allacomunità, piccoli cambiamenti del comportamento possono rapidamentetrasformarsi in vasti movimenti». E nel cambiamento della città.E conclude: «Non c'è bisogno che regolamenti e pianificazioni creinodeliberatamente queste strutture. Tutto ciò che serve sono alcune migliaiadi individui e alcune semplici regole di interazione».Se vuoi approfondire: La nuova scienza dei sistemi emergenti.

2. La città come computer a cielo aperto

L'Economist ha un bellissimo articolo che parla, tra l'altro, del lavoro diCarlo Ratti (italiano prestato al MIT di Boston), uno dei più noti ricercatorisul tema delle Smart Cities.Un paio di anni fa parlammo proprio di questo al Festival della Scienza conCarlo (e con Peter Ludlow). La presentazione che fece Carlo fu illuminante.Il pezzo dell'Economist, tutto da leggere, spiega quale può essere il ruolodella mole di dati che le tecnologie digitali stanno producendo sulle attivitàcittadine. «Gli smartphone sempre più diffusi e tutti i dispositivi connessi»,scrive il settimanale, «stanno trasformando le nostre città in fabbriche didati».Leggi tu stesso: Open-air computers.

3. Le città come network più veloci

Tra le varie riflessioni che il pezzo dell'Economist propone, ce n'è una cheappare scontata, ma che scontata non è. Ne scrivevamo qualche giorno fada un altro punto di vista.La qualità delle interazioni mediate dalla tecnologia non comporta -comemolti ancora credono- una riduzione della qualità delle relazioni.«Le conversazioni elettroniche», scrive l'economist, «possono rinforzareinvece di indebolire le relazioni faccia-a-faccia. La comunicazioneelettronica, sempre più a buon mercato, può portare a creare delleeconomie costruite su relazioni più intense, in grado di richiedere molto piùcontatto». Ma le comunicazioni con i nuovi strumenti digitali portano intelligenzanell'organizzazione e -soprattutto, a mio modo di vedere- una maggiorecircolazione delle idee.E la ricerca ci dice che quanto più velocemente circolano le idee, tanto piùaumenta la capacità di una comunità di creare sviluppo. E c'è anche unacorrelazione forte tra la quantità di idee in circolazione e la qualità delleidee che una cultura può esprimere. Se vuoi farti un'idea, puoi partire da qui: The Medici Effect

4. Abbiamo già tutti i bit necessari

Sugli aspetti tecnologici si sta facendo tantissimo lavoro. Per costruirti unaprospettiva puoi dare un'occhiata a un post di Boyd Cohen, che proponedei casi esemplari.Boyd ragiona anche sulla definizione, suggerendo come l'idea di Smart Citytenda ad essere ambigua. «Alcuni», scrive, «riducono il concetto alla fornitura di servizi ai cittadiniutilizzando le nuove tecnologie. Io preferisco una definizione più ampia: lecittà intelligenti usano queste tecnologie per essere più efficientinell'utilizzo delle proprie risorse, risparmiando sui costi, migliorando i servizie la qualità della vita».Cohen, poi fa degli esempi concreti. Il titolo è: The Top 10 Smart Cities OnThe Planet.

5. Il vicinato intelligente

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3/10www.bookcafe.net

C'è un altro post interessante che puoi puoi leggere.È un post in cinque punti. E il primo di questi, quello del vicinatointelligente, è affascinante soprattutto se ricordiamo quello che ha scrittoJohnson e di cui abbiamo parlato prima.«I quartieri sono il microcosmo base della città. Se vuoi rendere intelligenteuna città, devi partire dal renderla intelligente al livello di quartiere».Si intitola 5 Ways The Smart City Will Change How We Live In 2012

6. Il cittadino intelligente

In tutte queste sfide affascinanti che si stanno portando avanti, c'è unaspetto che secondo me viene trattato come condizionale, ma checondizionale non è. Se il punto di partenza è che (nelle città come negli ambienti di rete) sonole dinamiche sociali a determinare le configurazioni, forse non bastainnestare semplicemente della tecnologia. Per quanto intelligente.Magari sbaglio, ma forse potrebbe essere interessante spostare più inprofondità il layer di progettazione. Partire dal riconoscere le configurazionilocali, e usare la tecnologia per innestare dei circoli virtuosi.Ma forse non bisogna concentrarsi solo su hardware e software, perchèl'effetto della tecnologia è quasi sempre derivato dal modo in cui migliaia dipersone la usano. E dalla cultura e dalla consapevolezza con cui i nuovi epotenti strumenti sono utilizzati.Bisogna lavorare molto per esaltare quel livello di intelligenza emergente dicui parlava Johnson.

Una delle strade potrebbe essere più culturale che tecnologica: bisognacominciare a elaborare anche racconti diversi della città. E qui laresponsabilità non può non tornare, per esempio, sui media locali (quelliche costruiscono la cornice sociale e la narrazione) e sulle istituzioni chehanno il compito (e il dovere) di lavorare sulla cultura dellacontemporaneità.Va costruita, come diceva anche Luca tempo fa, una visione. E questo èinvece compito dei politici e dei progettisti.Ma il punto vero, forse, è quello che coglie Aubrey De Grey: «Il futuro e lesue narrazioni, sia scritte che orali, sono creati dalla gente del presente».E secondo me, mai come oggi, abbiamo bisogno di acceleratori culturali cherendano smart i cittadini mentre proviamo a rendere smart le città.Ma questo è tutto un altro discorso.

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/29/2012

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Blog, libri e social. Com'è cambiato il mondo

Cose scritte altrove.«Man mano che i nuovi media diventano più diffusi», scrive Jason Pontinsulla Technology Review del MIT, «siamo portati ad immaginare che gliscrittori adattino la loro prosa alle esigenze delle nuove piattaforme dipubblicazione. Ma questo non sta accadendo». Perché? La Stampa, Terza Pagina, Blog, libri e social. Com'è cambiato il mondo.

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/29/2012

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La politica dei 140 caratteri

Sull'Espresso oggi in edicola (ilNonSoloCyber questa settimana toccavaa me), una riflessione su come parteimportante della conversazione politicaamericana si sia spostata su Twitter.Trascrivo un passaggio, approfittando perlinkare la fonte:

«Rispetto alle ultime elezioni presidenziali,Twitter è cresciuto molto e staassumendo un ruolo centrale nel dibattitopolitico americano. "L'ultima campagna"ha commentato Garance Franke-Ruta,senior editor dell'Atlantic, "era stata

incentrata soprattutto sui blog e sull'importanza crescente del giornalismoonline. Quest'anno invece il ruolo di Twitter è determinante, perché buonaparte delle conversazioni si è spostata lì. A partire da quelle degli insider".Il Guardian, riportando le parole di Franke-Ruta, nota l'importanza diTwitter anche durante i confronti tra i candidati. E mette nell'occhiello unconcetto interessante: "il dibattito politico si sta muovendo dal ciclo di 24ore delle notizie a quello dei 140 caratteri di Twitter". Il modo stesso in cui

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4/10www.bookcafe.net

ore delle notizie a quello dei 140 caratteri di Twitter". Il modo stesso in cuii candidati utilizzano il popolare social network è interessante. Quando,durante la convention repubblicana, Clint Eastwood ha fatto il suo discorsocon la sedia vuota dell'invisibile Obama, lo staff del Presidente ha rispostoin tempo reale. La foto postata su Twitter con la didascalia "questa sediaè occupata" ha fatto rapidamente il giro del mondo, rilanciata dai mediatradizionali. Ma anche durante il primo dibattito televisivo tra i duecontendenti, lo staff di Obama confutava in diretta le posizioni di Romney.Twitter dunque è sempre più la fonte per i giornalisti e il luogo in cui sitende a far opinione. "Il rischio", nota Stepehen Mills sul Guardian, "è chequesta tendenza possa portarci verso una politica più veloce ma anche diqualità più bassa"»L'Espresso, La sfida politica ora è su Twitter, non online.

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/26/2012

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Io amo il mio computer perché i miei amici ci vivono dentro

Cose scritte altrove.Ma il virtuale, per chi ancora usa questa parola pericolosa, finisceesattamente dove incontriamo l'altro. Parlando, discutendo,emozionandoci, abbiamo un impatto sulla vita del nostro interlocutore. Equesto, se è differente nei modi, nel suo senso ultimo è totalmente realtà.«Noi storicamente ci siamo evoluti», scrive Chris Abraham, «attraverso le

limitazioni delle nostre menti connesse con quelle dei nostri amici. E non èuna metafora, è letteralmente così. Noi utilizziamo le persone con cuiabbiamo relazioni come estensioni attive per pensare e ragionare». E lascienza dimostra che queste relazioni determinano anche l'assetto e losviluppo del nostro cervello.«Le nostre menti quindi si estendono anche includendo le menti di chi cista intorno». E, se prima avevamo a disposizione solo la gente del vicinatogeografico, Internet espande tantissimo tutto questo.

L'Espresso, Media Shift, Io amo il mio computer perché i miei amici civivono dentro

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/26/2012

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Generazione Whatsapp

Io non sono mai stato un grammar-nazi.Anzi, ho sempre tifato molto perl'evoluzione del linguaggio. E anchepersonalmente tendo a usare lagrammatica in modo qualche voltacreativo.Certo, in molti casi sono scelte stilisticheconsapevoli. In molti altri, invece, letecnologie che abbiamo a disposizione ciportano a scrivere in un certo modo.Giocando online, o in chat, ad esempio iostesso non riesco mai a scrivere la parola«comunque» per intero, optando sempreper «cmq». Anche se non arrivo mai agli

estremi di usare la k al posto del ch o di usare «dv» per «dove».Probabilmente questi 20 anni che vanno dagli SMS a Whatsapp hannocontribuito molto a cambiare le nostre abitudini di uso della lingua. Anchese, collocandolo nella storia, non è un fenomeno nuovo. Tachigrafia eBrachilogia hanno alle spalle un lungo percorso.

Così, se ti interessa il tema e se vuoi farti un'idea in maniera rapida,Edudemic ha una bellissima infografica che riassume lo stato della ricercasull'evoluzione del linguaggio in questi anni e con gli strumenti di texting dicui disponiamo.La trovi qui: How Texting Is Changing Your Grammar . E -se sei un professore o un insegnante- vale la pena di dare un'occhiataanche a un altro post: The 60-Second Guide To Texting In The Classroom.

È facile immaginare che le nuove tecnologie stiano accelerando questoprocesso di innovazione nell'uso della lingua. Ed è molto interessanteannotare che la spinta evolutiva (almeno per la lingua inglese) vienesoprattutto dai cosiddetti «giovani adulti».

Se poi hai voglia di approfondire la questione, e di capire come si innova lalingua che usiamo, Mark Nichol lo spiega in modo semplice.«Come fa una cultura a stabilire se un modo di scrivere e di parlare ècorretto?»Sebbene gli oltranzisti possano decidere di rifarsi a una fonte accreditata

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5/10www.bookcafe.net

(che so, i Lincei o un prestigioso dizionario), è necessario capire chequesto «appoggio» è solo uno dei possibili. Ed è generalmente quello chealtri possono considerare «conservativo».La risposta alla domanda di Mark, infatti, è più complessa: ci sono diverseforze che intervengono e nessuna è necessariamente più autorevoledell'altra. «Il corpo del linguaggio», spiega eff icamente Mark, «è determinato da unprecario consenso basato sulle prescrizioni di grammatici e linguisti, sullatradizione e sull'innovazione degli scrittori professionisti e sulle abitudiniorali e di scrittura della gente comune». E conclude: «È la tensione tra queste forze il processo che fa evolvere illinguaggio». Poi suggerisce che, alla fine, la tecnologia ci aiuta -facendo l'esempio delself-publishing- a innovare ancora di più. Il che, forse, è anche un modoper trovare la nostra voce quando scriviamo. Ma non fidarti della mia sintesi e fatti un'idea tua. Sono scelte personali,alla fine: Who Is in Charge of Language?

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/23/2012

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10 punti per l'osservazione scientifica dell'indolenza

(Diceva un saggio: «di un gatto non saraimai padrone. Al massimo socio alla pari»)

1. Mettiti sull'uscio della porta dello studioe dille con voce ferma: «Andiamo Gaia,esci».2. Osservala mentre ti guarda e decide.3. Fai finta di inziare a chiudere la porta,sapendo che odia essere chiusa dentro. 4. Osservala mentre stabilisce che tuttosommato può far contento il bipede, perquieto vivere.5. Non spazientirti mentre con esasperatalentezza si avvia verso la porta.

6. Metti in conto che al quarto passo avrà urgenza di leccarsi per lavarsi lazampa anteriore destra. La vita è fatta di priorità. E certe operazioniesigono calma e dedizione.7. Non illuderti quando ormai è quasi sulla soglia.8. Non stupirti quando all'improvviso decide che è divertente se tornasotto la scrivania (posto tattico da cui è praticamente impossibile riuscirea prenderla di peso).9. Fai qualcos'altro e torna dopo qualche minuto.10. Riparti dal punto 1.

(Questo post rientra nell'ipotetica categoria cats & nerds. A mia discolpaposso dire che in 10 anni di blog è il terzo in tutto. Gli altri due sono qui equi. Ah, quella nella foto è Tigra, non Gaia.).

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/22/2012

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Il giornalismo dopo Newsweek

«I giornali e i settimanali», leggiamo suForbes, «sono come Wile E Coyotesospeso nel vuoto in attesa di cadere.Sono ancora lì, ma non hanno più la terrasotto i piedi. E il precipizio è profondo escosceso».L'articolo di Andrew Bender recuperaquesta efficace citazione di AndrewSullivan e ragiona sulla chiusuradell'edizione di carta del prestigiosoNewsweek.Io il mio punto della situazione l'ho fattoqui, ma la similitudine con il famosopersonaggio dei cartoon meritava la

citazione. E il pezzo vale i cinque minuti di lettura: Newsweek's Move ToDigital: The Death Of Print, Or Just The Death Of Newsweek?.La svolta di Newsweek è stato un colpo psicologico molto forte, quindicontinuano a scriverne un po' tutti. Merita una segnalazione il post di CraigMod (uno dei più famosi book designer) che inizia dicendo:«Dimentichiamoci tutto quello che sappiamo sui periodici di carta». Il titoloti dà una bella traccia: How magazines will be changed forever. Certo, sebbene sul medio periodo il destino della carta sia segnato, c'èanche molta opportunità e molta speranza (ma solo per chi ha voglia diaggiornarsi in fretta e di innovare).

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6/10www.bookcafe.net

aggiornarsi in fretta e di innovare).David Carr del New York Times dice che «la velocità con cui sta cambiandoil giornalismo toglie il respiro». Ma, aggiunge, «Io non riesco a immaginaretempi migliori per fare questo mestiere».Leggi tu stesso: New York Times David Carr Addresses W&L JournalismEthics Institute.Va letto poi un pezzo del Guardian su come il digitale sta ridisegnando ilgiornalismo: Digital age rewrites the role of journalism.Per chiudere, Steve Buttry pubblica le slide del suo workshop all'Universitàdel Colorado. E ha ragione @claudiogiua: «Sono 117 slide che molti di noiutilizzeranno».Da sfogliare e studiare: Digital Journalism.

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/22/2012

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Anatomia delle recensioni

Cose scritte altrove.«I book blogger», mi disse un amico scrittore tempo fa, «ma chi se nefrega dei book blogger». Questo mio amico, che aveva sempre pubblicato su carta (con editoriimportanti), stava affrontando per la prima volta il problema di doverlanciare un libro solo in digitale. E stavamo ragionando su come cambianole modalità e l'approccio, quando la distribuzione non passa per le librerie

fisiche. La Stampa, Terza Pagina, Anatomia delle recensioni.

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/22/2012

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L'inarrestabile declino della carta stampata

Cose scritte altrove.«Il declino della carta stampata», ha detto il Tg1 delle venti, «negli StatiUniti è inarrestabile».La notizia era quella che ieri ha scosso un po tutti. Newsweek, da gennaio,smetterà di stampare la sua edizione di carta. E, a sentire il Tg1, laprossima testata a fermare le rotative potrebbe essere addirittura Time. L'Espresso, Media Shift, L'inarrestabile declino della carta stampata

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/22/2012

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Nascondi subito quel Blackberry!

Il mio secondo Blackberry è spiratoquesta estate, dopo almeno quattro annidi onorato servizio. In realtà l'ho quasisempre sempre tenuto in affiancamentoall'iPhone, come numero di lavoro. Ma c'è stato anche un periodo -unannetto buono- in cui prima di provare ilmondo del touch e delle app,scherzosamente prendevo in giro ipossessori degli iPhone. Sbagliavo clamorosamente, però era ungioco. Un gioco molto diffuso tra nerd egeek, che -fortunatamente- la maggiorparte di noi prende solo sul versante

scherzoso. Oggi la rivalità giocosa è tra possessori di aggeggi Apple e possessori diaggeggi con Android. Un tempo lo era tra PC e Mac (questa dura ancora) ec'è stato persino un momento in cui ci si sfotteva tra Blackberry e restodel mondo. Accade anche altrove: si scherza tra guzzisti e bmwuisti,eccetera. Nulla di diverso dal tifo calcistico, in fondo. Però sono anche segnali di come evolve il mercato e di quali brand riesconoa creare engagement. E riconoscerli ci aiuta un po' a guardare letendenze.Di fatto, all'improvviso, quello che è stato il primo vero smartphone hacominciato a perdere appeal. E la notizia di questi giorni -soprattutto pergli appassionati di Instagram- è che forse anche chi possiede un Blackberrypotrebbe avere finalmente accesso alla popolare app di fotografia. Propriocon l'ultimo treno.

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7/10www.bookcafe.net

Ma, per quelli che sanno prenderla con spirito, c'è un articolo del New YorkTimes molto curioso. Descrive il Blackberry come una pecora nera. E iltitolo con cui il pezzo viene lanciato sul giornale suona più o meno così:«Presto! Nascondi quel Blackberry. È troppo fuori moda».E anche il testo del link dell'articolo la dice senza mezzi termini: IlBlackberry diventa fonte di vergogna.Quick, Hide the BlackBerry, Its Too Uncool.

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/17/2012

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Hey, Twitter. Come stai?

Twitter è il mio social network preferito(mi trovi qui). Lo è per diverse ragioni, tracui quella di essere asimmetrico.Mi pareva di notare, però, in questeultime settimane, una diminuzione dellasua efficacia. È probabilmente unapercezione temporanea, destinata asfumare nei giorni che verranno.Però è interessante notare che ancheAlan Jacobs ha notato una diminuzionedel «dinamismo» delle conversazioni. E hascritto un post intitolato The Decline andFall of Twitter?.Anche qui, è mera chiacchiera. Cui

risponde Razib Khan con la sua opinione: Twitter is not declining.Ma i due link davvero utili, su Twitter, sono altri.Il primo è un post di Kevin Locker che è una buona lettura per i giornalisti(e anche per chi vuole stare nella modernità senza farne un mestiere).Si intitola: 5 Stats on Who Makes The Twitter Narrative (and/or Whos Onand Uses Twitter).Il secondo merita più di qualche riflessione. È un pezzo del Guardian daltitolo autoesplicativo: How Twitter is winning the 2012 US election.

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/17/2012

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A chi appartiene il futuro

Cose scritte altrove.«Il futuro», scrive il Wall Street Journal, «non appartiene a coloro cheabbassano il volume, cancellano le proprie iscrizioni o si disconnettono dallarete».Piuttosto, «il futuro appartiene a coloro che imparano a variare la propriadieta informativa, che sanno ascoltare gli importanti -ma poco evidenti-segnali deboli. A coloro che si addentrano nel mondo per scoprire lepersone interessanti, le idee illuminanti e i posti, i prodotti e i servizi di cui

hanno bisogno». L'Espresso, Media Shift, A chi appartiene il futuro

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/17/2012

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5 versioni del futuro (dei giornali)

Cose scritte altrove.«Al momento», scrive Pierluca Santoro, «contrariamente ai numerosiproclami [pour cause?] sul tema, a cominciare dalla famosissima ultimapagina del NYTimes, che by the way avrebbe dovuto essere nel 2013, leevidenze dello studio confermano che le media company continuano econtinueranno ad avere un ruolo centrale». L'Espresso, Media Shift, 5 versioni del futuro (dei giornali)

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/17/2012

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Istruzioni per salvare il libro di carta

Cose scritte altrove.Diverse tendenze in atto non sono destinate a invertirsi. L'aumento di libripubblicati è una conseguenza diretta dell'abbattimento dei costi dipubblicazione e distribuzione che il digitale consente. Una simile opportunità sarà sempre più in grado di ridisegnare il modo in cuil'editoria funziona. E il mercato -diventando un mercato in cui il libro non èpiù una risorsa scarsa, ma una risorsa abbondante- sarà sempre piùcompetitivo. La Stampa, Terza Pagina, Istruzioni per salvare il libro di carta.

Pos ted by g.g. | # | Media | 10/17/2012

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i 5 comandamenti degli smartphone

«Gli smartphone», scrive Jon Mitchell,«non sono solo uno strumento dipotenziamento personale. Sono dei nodi diuna rete che può rendere più intelligenteun'intera città».Per questo, dice, «Dobbiamo usare glismartphone per supportare la nostracomunità».Jon sta proponendo i suoi 5comandamenti per l'utilizzo di questiaggeggi (sempre più fondamentali nellanostra vita). Ma nel ragionamento cilascia anche un'altra definizione che a mepare interessante.

«Gli smartphone sono dei droidi assistenti in grado di estendere il poteredella nostra creatività e della nostra capacità di osservazione».E non a caso, tra i comandamenti, mette «Aiuterò le altre persone con ilmio smartphone».Se hai voglia, dedica cinque minuti a una lettura che potrebbe portarti aconsiderare in maniera diversa l'aggeggio che spesso utilizzi e che tiaccompagna ogni giorno.The 5 Commandments For Smartphone Owners.

Pos ted by g.g. | # | Media | 11/10/2012

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Prepararsi al declino della carta

Cose scritte altrove.Le Monde Diplomatique, il cui claim è «costruire un senso al mondo intornoa noi», ci regala un lungo articolo sul declino della carta e sull'innovazionedel digitale.La parte a mio parere interessante è quando viene sottolineato quello chequi consideriamo il valore aggiunto del giornalismo.«Un giornale indipendente», scrive Serge Halimi, «deve essere capace diaiutare i lettori a imparare e a capire meglio. Deve fare ordine nel caos,non semplicemente aggiungere informazioni a quel caos». L'Espresso, Media Shift, Prepararsi al declino della carta

Pos ted by g.g. | # | Media | 11/10/2012

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A scuola con i tablet, le app e gli ebook

Cose scritte altrove.«Quello che sicuramente sappiamo è che la nuova scuola, con i nuovistrumenti, deve darsi un'impostazione diversa. Deve essere in grado disaper preparare i giovani per un mondo che richiede loro competenze moltodiverse.

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Page 9: 31/10/12 Blog Notes, Weblog di Giuseppe Granieri · l'attenzione sulle notizie false che circolano durante grandi eventi come ... Steven Johnson racconta come le ... In tutte queste

31/10/12 Blog Notes, Weblog di Giuseppe Granieri

9/10www.bookcafe.net

E deve saperli educare a vivere in un ambiente in cui l'informazione èubiqua e interdipendente. Deve insegnare a pensare in modo digitale e -probabilmente - abbandonare le sue consuetudini analogiche». La Stampa, Terza Pagina,

Pos ted by g.g. | # | Media | 11/10/2012

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Se Facebook ti tratta come un brand

«Non conta che tu pensi o meno a testesso come un brand», scrive ChrisBaraniuk, «né che tu consideri unacommodity le informazioni sulla tua vita. Ècosì per il fatto stesso che usiFacebook».Chris sta commentando le due notizie diieri: Facebook, il miliardo di utenti e lapossibilità di pagare per dare più visibilitàagli status o ai post. Ammetto di non condividere molto il suolessico, ma è una lettura che puòstimolare qualche riflessione, anchecritica. Il titolo è: Facebook's Vision: Our

Identities as Brand Identities.Il tema è interessante, soprattutto per coloro che hanno compreso l'utilitàdi gestire in modo professionale la propria presenza in rete. È una skill cheè sempre più necessaria per chiunque lavori nei media (dal giornalista alcomunicatore), ma anche per tutti coloro che hanno un'attività cherichieda di essere trovati da clienti o datori di lavoro.E ancora di più per chi il lavoro lo sta cercando ancora.Così può essere utile, magari, condividere la ricerca fatta da Ryan Cordellsu The Chronicle of Higher Education.Ryan mette insieme una buona base di risorse per cominciare a ragionaresul modo in cui gestiamo la nostra identità online e per provare a utilizzaremeglio la rete.Da studiare con attenzione, seguendo tutti i link: Creating and Maintaininga Professional Presence Online.

Pos ted by g.g. | # | Media | 05/10/2012

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No, internet non è una malattia

Cose scritte altrove.Da qualche giorno nel mondo anglofono circolano titoloni più o meno aeffetto. Il tema è apparentemente serio: l'internet addiction, ovvero ladipendenza da Internet, è stata aggiunta nella lista ufficiale dei «disordinimentali».

Come spesso capita con certe non-notizie (tipo: Facebook fa ingrassare oInternet ci rende stupidi), i media vanno a nozze con la semplificazione. E iblogger scientifici fanno opera di debunking, ovvero di recupero della veritàscientifica.Così, se ti dovesse capitare di leggere che i bambini che usano gli schermipotrebbero essere dei disturbati mentali o che -come scrive Forbes-l'internet addiction sta per essere classificata come malattia mentale, forseti conviene andare oltre il titolo e approfondire. L'Espresso, Media Shift, No, internet non è una malattia

Pos ted by g.g. | # | Media | 05/10/2012

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I book blogger possono uccidere la critica?

Cose scritte altrove.«I book blogger», dice Sir Peter Stothard, «possono uccidere la criticaletteraria e rovinare la letteratura». Stothard, che a sua volta è un blogger, è stato l'editore del supplementoletterario del Times per un decennio ed è il chair della giuria del BookerPrize di quest'anno. Qualche giorno fa, in un articolo sull'Independent, hafatto dichiarazioni forti: «La critica professionale deve confrontarsi oggicon una concorrenza straordinaria». «È meraviglioso che ci siano tanti book blogger», ha affermato, «così comeè bello che ci siano tanti siti web dedicati ai libri. Ma essere un critico è

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31/10/12 Blog Notes, Weblog di Giuseppe Granieri

10/10www.bookcafe.net

è bello che ci siano tanti siti web dedicati ai libri. Ma essere un critico èmolto differente dal condividere i propri gusti. Non tutte le opinioni hannolo stesso valore». La Stampa, Terza Pagina, I book blogger possono uccidere la critica?

Pos ted by g.g. | # | Media | 05/10/2012

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