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3.1. Muri attivi e muri passivi alle spinte L’impianto dell’edificio tradizionale è costituito da una maglia costituita da due ordini di murature tra di loro ortogonali (Fig. 13). Il comportamento delle murature degli edifici sotto sisma può essere allora facilmente schematizzato assumendo che le spinte sismiche possano essere decomposte nelle due direzioni ortogonali della maglia dell’edificio. In particolare, se l’azione sismica è diretta lungo uno dei lati della maglia, si individuano due ruoli differenti per la parete muraria, quello di parete attiva e quello di parete passiva o neutra, a seconda che abbiano il proprio piano parallelo ovvero ortogonale all’azione sismica (Abruzzese, D., Como, M., Grimaldi, A.,1986). Ovviamente le pareti passive devono avere resistenza non inferiore a quella delle pareti attive, in modo da evitare l’insorgere di collassi anticipati prima del venir meno del sistema resistente principale. 3.2. La distribuzione lungo l’altezza delle forze sismiche agenti sulle pareti passive La condizione di carico che viene considerata agente sulle strutture dell’edificio prevede la presenza di carichi verticali costanti, rappresentativi del peso proprio della struttura, e di forze orizzontali gradualmente crescenti di intensità e proporzionali alle masse dell’edificio. Tali ultime forze sono rappresentative, sia pure in modo convenzionale, dell’azione sismica. Solo in situazioni particolari le azioni sismiche potranno presentare anche una distribuzione di forze verticali. Figura 18 – Maglia muraria tipica di un edificio in muratura. Sulla base delle precedenti valutazioni, le azioni sismiche S agenti sulle masse dell’edificio saranno costituite da una distribuzione di forze orizzontali proporzionali alle masse dell’edificio e crescenti in modo monotono con un fattore di carico λ. L’edificio dovrà essere in grado di assorbire l’azione delle forze S nel suo stato limite ultimo. Si consideri pertanto una generica pianta di un edificio regolare isolato in muratura, come rappresentato in Fig. 18 e si ammetta che l’edificio sia investito dal sisma convenzionale di normativa avente la direzione indicata nella figura. Come detto, le pareti in muratura aventi direzione ortogonale a quella del sisma costituiscono le pareti neutre, mentre quelle a giacitura parallela al sisma sono le cosiddette pareti attive. Possiamo ora considerare le masse di un generico campo di parete neutra, compreso tra due pareti attive adiacenti, come schematicamente indicato nella Fig. 19. Tali masse sono concentrate nelle mezzerie degli interpiani. Sia ora: – k , l’indice di interpiano; – P k , il peso del campo di parete neutra nel generico interpiano e compreso tra due pareti attive; ζ k , la quota mezzeria dell’interpiano k, pari alla distanza tra il livello 0 e la mezzeria x y

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3.1. Muri attivi e muri passivi alle spinte

L’impianto dell’edificio tradizionale è costituito da una maglia costituita da due ordini di

murature tra di loro ortogonali (Fig. 13). Il comportamento delle murature degli edifici sotto sisma può essere allora facilmente schematizzato assumendo che le spinte sismiche possano essere decomposte nelle due direzioni ortogonali della maglia dell’edificio. In particolare, se l’azione sismica è diretta lungo uno dei lati della maglia, si individuano due ruoli differenti per la parete muraria, quello di parete attiva e quello di parete passiva o neutra, a seconda che abbiano il proprio piano parallelo ovvero ortogonale all’azione sismica (Abruzzese, D., Como, M., Grimaldi, A.,1986). Ovviamente le pareti passive devono avere resistenza non inferiore a quella delle pareti attive, in modo da evitare l’insorgere di collassi anticipati prima del venir meno del sistema resistente principale. 3.2. La distribuzione lungo l’altezza delle forze sismiche agenti sulle pareti passive

La condizione di carico che viene considerata agente sulle strutture dell’edificio prevede la

presenza di carichi verticali costanti, rappresentativi del peso proprio della struttura, e di forze orizzontali gradualmente crescenti di intensità e proporzionali alle masse dell’edificio. Tali ultime forze sono rappresentative, sia pure in modo convenzionale, dell’azione sismica. Solo in situazioni particolari le azioni sismiche potranno presentare anche una distribuzione di forze verticali.

Figura 18 – Maglia muraria tipica di un edificio in muratura.

Sulla base delle precedenti valutazioni, le azioni sismiche S agenti sulle masse dell’edificio saranno costituite da una distribuzione di forze orizzontali proporzionali alle masse dell’edificio e crescenti in modo monotono con un fattore di carico λ. L’edificio dovrà essere in grado di assorbire l’azione delle forze S nel suo stato limite ultimo.

Si consideri pertanto una generica pianta di un edificio regolare isolato in muratura, come rappresentato in Fig. 18 e si ammetta che l’edificio sia investito dal sisma convenzionale di normativa avente la direzione indicata nella figura. Come detto, le pareti in muratura aventi direzione ortogonale a quella del sisma costituiscono le pareti neutre, mentre quelle a giacitura parallela al sisma sono le cosiddette pareti attive.

Possiamo ora considerare le masse di un generico campo di parete neutra, compreso tra due pareti attive adiacenti, come schematicamente indicato nella Fig. 19. Tali masse sono concentrate nelle mezzerie degli interpiani. Sia ora:

– k , l’indice di interpiano; – Pk, il peso del campo di parete neutra nel generico interpiano e compreso tra due pareti attive; – ζk, la quota mezzeria dell’interpiano k, pari alla distanza tra il livello 0 e la mezzeria

x

y

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dell’interpiano k.

Figura 19 – L’edificio in muratura investito dal sisma e la singola parete resistente nel proprio piano. Per effetto delle oscillazioni dell’edificio, eccitato dallo scuotimento sismico alla sua base, le accelerazioni orizzontali varieranno lungo l’altezza. Di conseguenza le forze di inerzia, che sollecitano le varie masse del campo di parete, devono anch’esse crescere con l’altezza.

Un modo semplice e sufficientemente approssimato per considerare tale effetto è quello che fa riferimento ai coefficienti γk di distribuzione di piano che sono così definiti (Fig. 20)

ik k

i i

P

Pγ ς

ς

∑=

(44)

Alla (21) corrisponde una variazione delle accelerazioni crescente linearmente con l’altezza. Di

conseguenza, con la (38) si aumentano convenientemente le masse poste più in alto e si riducono quelle più in basso. Le spinte sismiche Fk agenti sulle masse delle pareti neutre applicate nelle mezzerie degli interpiani sono allora

k k kF Pλγ η= (45)

con il parametro η definito come nella (19) e quindi come

o s

qβη χ=

(40)

Figura 20 – La distribuzione delle masse del campo di parete neutra poste alle mezzerie degli interpiani. e dove i vari parametri coinvolti sono stati illustrati al par. 3. Nella (21) è stato introdotto il moltiplicatore λ, un parametro che indica il graduale crescere

4

3

2

ζ1

ζ2

ζ3

ζ4

P4

P3

P2

P1 1

0

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uniforme di tutte le spinte Fk , in modo tale che per λ = 1 le forze sismiche agenti sono quelle di norma .

a) b) Figura 21 – a) Le spinte sismiche agenti sul campo di parete neutra poste alle quote degli interpiani; b) la

distribuzione delle masse dei solai valutate come uniformemente distribuite negli interpiani. Al posto delle forze concentrate Fk applicate nelle mezzerie degli interpiani, è conveniente far

riferimento alle spinte pk uniformemente distribuite lungo gli interpiani (Fig. 21a). Si ha

k kk

k

Pph

γλη=

(45’)

Le fasce orizzontali continue presenti nelle pareti neutre a livello solaio (Fig. 19) sono soggette a

forze orizzontali che si sviluppano all’interno delle masse dei solai che si appoggiano su tali fasce. A causa delle oscillazioni della parete, anche le masse dei solai sono soggette ad accelerazioni variabili linearmente con l’altezza. Nella Fig. 21b sono rappresentati i pesi Qk delle varie masse dei solai con le relative loro quote zk rispetto al livello 0. Si ammette che le forze sismiche agenti sulle fasce orizzontali che sostengono il campo di solaio si ripartiscano sulle due fasce dove il solaio appoggia in modo che ognuna di esse venga impegnata dalla metà della spinta sismica che compete alla massa dell’intero campo di solaio (Fig.22).

Anche per queste masse le forze sismiche corrispondenti risentiranno della quota zk rispetto al livello 0 dove sono collocate ; in analogia alle (39) si hanno le corrispondenti forze di piano

k k kS Qλγ η= (46)

dove: –Qk è il peso della metà del campo di solaio al generico interpiano compreso tra due pareti attive –zk è la quota dell’interpiano k, pari alla distanza tra il livello 0 e la quota del solaio al livello k. – kγ il coefficiente di distribuzione delle masse dei solai definito, con la (21), come

ik k

i i

Qz

Q zγ

∑=

(47)

Naturalmente, quando si verificheranno le fasce orizzontali, si andrà effettivamente a vedere se

quella fascia, in relazione all’orditura del solaio, è effettivamente impegnata anche dalla forza orizzontale derivante dalla massa del solaio.

4

3

2

z1

z2

z3

z4

Q4

Q3

Q2

Q1

1

0

S4

S3

S2

S1

4

3

2

ζ1

ζ2

ζ3

ζ4

p4

p3

p2

p1 1

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Figura 22 – Le spinte dovute alle masse dei solai agenti sulle fasce di piano.

In conclusione, pertanto, sulle pareti neutre si hanno distribuzioni di forze variabili a tratto lungo la verticale dovute alle accelerazioni orizzontali che investono le masse dei muri e forze orizzontali di piano rappresentative delle azioni che investono le masse dei solai.

Nelle pagine successive, dopo aver esaminato i diversi sistemi di trasferimento delle spinte, si procederà alla valutazione delle relative resistenze di sfondamento. Tali valutazioni si incentreranno nella determinazione dei relativi moltiplicatori limiti λο dei vari sistemi resistenti che caratterizzano la trasmissione delle spinte relative alle pareti neutre. Il più piccolo di tali moltiplicatori non dovrà risultare inferiore al moltiplicatore di collasso delle pareti attive dell’edificio.

3.3. Resistenza dei muri sotto spinte agenti in direzione ortogonale al loro piano 3.3.1. Aspetti generali del problema

Il caso più frequente di muro soggetto ad azioni ortogonali al suo piano è il muro di facciata

dell’edificio colpito da azione sismica trasversale. La fotografia riportata in Fig. 23 è particolarmente impressionante. Essa illustra la situazione riscontrata in una strada della città di Messina dopo il terremoto del 1908

Figura 23 – Una strada di Messina dopo il terremoto del 1908.

Lo schema più semplice di muro sotto azione orizzontale ortogonale al proprio piano è quello del muro indefinito continuo, senza alcun vincolo in testa, soggetto a spinte trasversali. Il collasso del muro è di regola caratterizzato in tal caso da un meccanismo di ribaltamento, di quelli già esaminati precedentemente nello studio della resistenza laterale del pannello murario.

diatoni

ortostati

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Figura 24 – Tessuto murario composto secondo ortostati e diatoni ed esempi di tessiture irregolari (da Giuffrè, 1988).

Il tessuto murario è realizzato dalla disposizione dei blocchi secondo diatoni ed ortostati (Fig.

24). Tale disposizione intrecciata dei blocchi conferisce unità e compattezza al tessuto della muratura (Giuffrè, 1988). è evidente quindi che il muro, in assenza di diatoni, risulta costituito da due filari indipendenti di blocchi, disposti uno sull’altro. È l’ammorsamento tra i paramenti esterno ed interno che gioca ruolo determinante.

Si comprende quindi immediatamente, dall’esame della Fig. 25, come la presenza dei diatoni sia essenziale alla resistenza laterale del muro. La mancanza di diatoni comporta infatti il dimezzamento della resistenza laterale del muro.

Nei paragrafi precedenti si è valutata la resistenza laterale del semplice schema di muro riportato anche nella Fig. 4. Possiamo pensare che l’azione sismica orizzontale agente sul muro abbia distribuzione triangolare lungo l’altezza (Fig. 26). Il meccanismo di collasso è quel

Figura 25– Diversa resistenza laterale del muro a seconda della presenza o meno di diatoni nel suo tessuto murario.

lo del semplice ribaltamento al piede. Tale meccanismo riproduce, in modo semplificato, il

meccanismo di collasso del muro. Se con So si indica la spinta complessiva agente, pari a po H/2 . Nel caso volessimo, sia pure

approssimativamente, mettere in conto la resistenza a compressione kσ della muratura, avremmo, in analogia con la (15)

3 (1 )4

o m

k

S BG H

σσ

= −

(15’)

Figura 26 – Collasso laterale del muro soggetto a spinta sismica.

po

B

H

G

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se mσ è la compressione media del pannello sotto il solo carico verticale G. Il fattore

3 (1 )4

m

k

BH

σσ

(48)

equivale quindi al fattore η prima introdotto con la (22). Dall’esame della (26) si può calcolare il rapporto tra spinta di collasso e peso, rapporto che, in sostanza, misura l’accelerazione media di collasso del muro. Ad esempio, con il valore di un’altezza pari a 4,00 m, una larghezza B di 0,60 m, per una muratura di buone caratteristiche resistenti risulta all’incirca / 0,11oS G ≈ , mentre per una muratura di scarsa resistenza tale rapporto si riduce a 0,08. Se allora si assume q = 3 ed s = 1(suolo rigido), inoltre che, mediamente, la massima accelerazione che investe la massa del muro, quella che colpisce la sommità del muro, sia 2,5 volte maggiore di quella a terra,cioè si assume βo = 2,5 , il rapporto tra spinta limite So e peso G del muro sarebbe all’incirca pari a 0,833χ . Per un edificio ad esempio, situato in zona 2 risulta χ = 0,25 dovrebbe essere invece all’incirca 0, 21η ≈ e per la zona 3 risulta 0,125η ≈ . La resistenza laterale del muro singolo,rapportata al peso, dai calcoli svolti risulta invece non superiore a 0,11 quindi è davvero troppo bassa. Situazioni analoghe si hanno con altre geometrie tipiche del muro. È evidente quindi la grande vulnerabilità sismica dei muri isolati o dei muri con carenti vincoli trasversali, come peraltro la Fig. 23 mostra con grande chiarezza. Il caso più frequente di muro soggetto ad azioni ortogonali al suo piano è il muro di facciata dell’edificio. Poiché la resistenza del muro a questo tipo di azione è tanto più elevata quanto più il muro è vincolato trasversalmente, si comprende l’esigenza, per gli edifici in zona sismica, di realizzare una maglia muraria per quanto possibile compatta.

Figura 27 – Buon ammorsamento tra muri d’angolo. Nei normali edifici in muratura i muri trasversali hanno interassi che non superano i 6–7 metri ed

hanno una maglia muraria caratterizzata dalla presenza di due ordini di murature non distanziate molto tra loro. Oltre alla necessità che il muro presenti una struttura compatta e con paramenti bene ammorsati tra loro, è anche necessario che i muri dei due ordini siano bene vincolati nei cantonali, nei martelli e negli incroci. La Fig. 27 fornisce un esempio di buon ammorsamento tra i muri di spigolo mentre la Fig. 28 illustra alcuni danneggiamenti tipici dei cantonali per difetto d’ammorsamento tra muri d’angolo. Le Figg. 29 e 30 descrivono vari casi di collasso per sfondamento dei muri di facciata.

Il problema dell’adeguamento antisismico dei vecchi edifici, ed in particolare di quelli storici, si presenta pertanto con tutta la sua drammaticità e problematica (Di Pasquale, 1982, Giuffrè 1986, Giangreco 1983, Pozzati 1986).

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Figura 28 – Danneggiamenti di cantonali per difetto d’ammorsamento dei muri d’angolo.

Occorre pertanto predisporre degli opportuni rinforzi. Gli ingegneri del passato hanno effettuato numerosi tentativi per migliorare la resistenza delle pareti degli edifici alle azioni ortogonali al loro piano. La Fig. 31 fornisce uno schema di un progetto, che risale all’ottocento, di costruzione di un edificio antisismico, a pianta stellare (Ruffolo, 1912).

Figura 29 – Sfondamento della parte superiore di un muro di facciata.

Figura 30 – Collasso della zona d’an-golo di un edificio.

Oltre agli spessori massicci dei muri, n questo schema si può notare come le murature di facciata

dovessero essere realizzate curve, con la concavità all’esterno, e vincolate agli spigoli a spessi contrafforti, in modo da offrire la piena resistenza ad arco orizzontale alle spinte orizzontali. Per l’adeguamento antisismico degli edifici esistenti in muratura il primo intervento è quindi quello di rinforzare le pareti nei riguardi delle azioni ad esse ortogonali.

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Figura 31 – Sezione e pianta di un progetto dell’ottocento di un edificio antisismico in muratura (da Ruffolo, 1912). 3.3.2. Trasmissione delle forze orizzontali. Sistemi di trasferimento di spinta

La trasmissione delle forze orizzontali che investono le pareti neutre avviene mediante sistemi

resistenti ad arco che si mobilitano all’interno di fasce continue di muratura verticali ed orizzontali di piano come indicato in Figg. 32 e 33.

La Fig. 33 illustra le fasce verticali lungo le quali si trasmettono le spinte agenti. La presenza dei vani nelle pareti impone infatti che la trasmissione degli sforzi avvenga per archi verticali. Dovrà verificarsi inoltre l’aggancio delle fasce verticali alle fasce orizzontali presenti a livello solaio. Tali fasce orizzontali di piano, a loro volta, dovranno poi agganciarsi alle pareti attive, cioè alle pareti a giacitura parallela alla direzione delle spinte.

Figura 32 – Sistema resistente della parete muraria

Figura 33 – Sistema resistente ad archi verticali

3.3.2.1. Sistema di trasferimento ad archi verticali delle spinte sismiche nelle pareti passive Nello schema di Fig. 33 è riportato lo schema di trasmissione ad archi verticali che si può

mobilitare nelle suddette fasce verticali. Naturalmente, per l’efficienza di tale sistema di trasferimento, è necessario che le spinte esercitate da tali archi verticali, in particolare in sommità, possano venire opportunamente contrastate. A ciò sopperisce, come si vedrà più avanti, la presenza del cordolo superiore in c.a., da realizzare come rinforzo.

Per l’efficienza del sistema resistente che si può mobilitare all’interno delle pareti passive occorre anzitutto quindi verificare la capacità delle fasce verticali delle pareti passive a trasferire le loro spinte sugli archi orizzontali di piano.

Sono i muri all’ultimo piano quelli più vulnerabili al collasso per sfondamento, sia perché le azioni sismiche risultano qui più intense e sia perché i muri qui sono di minore spessore e meno vincolati. In genere il collasso dei muri ai piani inferiori può avvenire subito dopo il collasso, a cascata, dei muri soprastanti.

È immediato riconoscere che in assenza del solaio che va a scaricarsi sulla fascia orizzontale all’ultimo piano, il solo peso della fascia orizzontale di muratura, in genere di modesta altezza, non può garantire una pressione sufficiente ad impedire per attrito lo slittamento delle fasce verticali nel contatto tra fasce verticali e la fascia orizzontale superiore. In tali condizioni sarà necessario realizzare in testa alle murature dell’ultimo piano cuciture di connessione tra fasce verticali e fascia orizzontale, ed ovviamente tirantature agli spigoli, come si dirà più avanti, per assorbire le spinte laterali delle fasce resistenti orizzontali.

In alternativa, può essere opportuno eseguire, al posto delle fasce orizzontali tirantate, un cordolo di coronamento in c.a. che corra in giro sulle murature. Tale tipo di intervento, frequente nella pratica tecnica, viene realizzato con facilità all’ultimo piano, a differenza invece dei piani sottostanti. Il cordolo in c. a., di norma di larghezza eguale o di poco inferiore a quella del muro, può essere realizzato, ad esempio, insieme al solaio di copertura, in sostituzione di quello esistente.

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Per effetto della compenetrazione del calcestruzzo tra i giunti e per effetto del peso del cordolo stesso e dello scarico di un eventuale solaio sul cordolo, si può produrre una efficace connessione tra muro e cordolo in direzione trasversale al muro. L’efficienza di tale connessione va però verificata. Ovviamente, il peso del cordolo e dello scarico, se esistente, del solaio di copertura, contribuiscono, per effetto dell’attrito, a migliorare il vincolo trasversale in testa alle fasce verticali di muro passivo. Se però c’è poco carico dal cordolo sul muro, questo non è sufficientemente vincolato trasversalmente in testa e, slittando rispetto al cordolo, può collassare trasversalmente pur in presenza del cordolo, come è stato tante volte riscontrato. In definitiva, per vincolare il muro di facciata, o qualunque altro muro, trasversalmente in testa, non è sufficiente la sola presenza del cordolo. La realizzazione di cuciture di connessione in certi casi può essere necessaria.

Naturalmente, poi, il cordolo in c.a., che lavora a flessione e taglio nel piano orizzontale, deve presentare sufficiente resistenza per poter trasmettere a sua volta le azioni orizzontali, che prende dalle fasce di parete neutra, sui muri attivi. Solo in tali condizioni la testa del muro, in definitiva, può considerarsi vincolata trasversalmente, ma libera di sollevarsi.

In definitiva, pertanto, il rinforzo da realizzare all’edificio sarà costituito dalla eventuale sostituzione del solaio di copertura, dall’esecuzione di un cordolo in c.a. in giro alle murature all’ultimo piano, con armature in connessione con quelle della soletta del nuovo solaio, e tirantature orizzontali in tutti gli altri piani solaio secondo gli schemi prima descritti.

3.3.2.2. Sistemi di trasferimento delle spinte lungo l’orizzontale a livello di piano In ogni interpiano gli archi verticali che si sviluppano nella parete muraria si vanno ad innestare

nelle fasce orizzontali continue che corrono a livello dei solai, come schematicamente illustrato nella precedente Fig. 30.

Nell’edificio moderno in muratura in tali fasce orizzontali corrono i cordoli in c.a. Questi ricevono le spinte dalle fasce verticali delle pareti passive e le trasmettono alle pareti attive. Tale azione di connessione è particolarmente efficace per la presenza delle solette dei solai in c.a., di regola presenti nei moderni edifici in muratura, le cui armature si risvoltano nel cordolo presente in giro nelle murature.

Nell’edificio tradizionale i cordoli risultano invece assenti né possono facilmente essere ricostruiti, a meno che non si tratti dell’ultimo piano. In tal caso il vincolo trasversale alle fasce verticali di parete neutra può essere realizzato ai livelli di piano dalle fasce murarie continue orizzontali che corrono a quota solaio al di sopra dei vani se risultano opportunamente rinforzate da catene o tiranti. All’interno di tali fasce continue si possono allora mobilitare archi resistenti orizzontali (Fig. 34). Nelle connessioni interne di tale fasce con i muri attivi trasversali, in corrispondenza cioè dei martelli murari, si producono azioni taglianti e spinte orizzontali: le spinte di regola si bilanciano tra loro ma le azioni taglianti determinano forze di strappo che tendono a rompere la connessione tra muri passivi ed attivi. Tali azioni di strappo vengono contrastate da tirantature orizzontali.

Figura 34 – Sistema resistente ad arco orizzontale attivato nelle fasce orizzontali di piano

Agli spigoli del muro di perimetro agisce invece una spinta che deve essere opportunamente contrastata. La sola connessione presente nella struttura muraria, costituita dalla compenetrazione dei blocchi, se non adeguatamente rinforzata, può essere infatti incapace a sostenere tale spinta.

La contemporanea presenza di azioni sismiche agenti nell’altra direzione ortogonale, come si

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verifica nella realtà, comporta sugli spigoli la presenza di azioni spingenti nei due sensi. Ciò rende gli spigoli degli edifici, e particolarmente quelli all’ultimo piano, particolarmente vulnerabili, come ha illustrato la precedente Fig. 30.

Un primo sistema di rinforzo della connessione tra i muri, molto semplice ad eseguirsi, è quello che utilizza fasce di piano tirantate. Il modo più semplice di disporre tali tiranti è quello indicato in Fig. 35. Tale disposizione comporta solo la perforazione dei muri nel loro spessore: di regola, i tiranti corrono nei massetti dei solai o immediatamente sotto di essi. Con tale disposizione, nelle pareti di perimetro i tiranti corrono parallelamente ai muri dal loro lato interno. Nella Fig. 36, in particolare, è considerato uno schema di maglia muraria particolarmente semplice, proprio per analizzare nelle sue linee essenziali il meccanismo di trasmissione delle relative spinte orizzontali. In figura sono indicate schematicamente le distribuzioni di forze orizzontali trasmesse dalle fasce verticali di muro

Figura 35 – Un sistema di connessione a tirantature in un edificio murario storico.

. Dall’esame di tale figura si osserva che i due archi orizzontali che si sviluppano all’interno

delle fasce di piano, l’arco BC e l’arco FE, si vengono a trovare in una posizione differente rispetto alla corrispondente posizione del tirante. Se ammettiamo, ad esempio, che l’azione sismica sia diretta lungo l’asse y, nell’arco FE il tirante emerge dalle imposte dell’arco. Quest’ultimo risulta quindi tirantato nel modo tradizionale: lo schema resistente è in tal caso il classico arco a spinta eliminata. L’arco BC presenta invece il tirante nella posizione rovescia. L’arco BC alle sue imposte esercita le spinte S” e le azioni taglianti V”.

Figura 36 – Il sistema a quattro murature : rinforzo delle pareti e trasmissione degli sforzi. Tali azioni taglianti V” si inseriscono direttamente su tiranti BF e CE e vengono quindi trasmesse come retro–spinta alle pareti attive BF e CE dalle piastre posteriori di ancoraggio, applicate in F e in E.

B

A C

D

EF

y

R R

x

T’

V”

S”

V”

S”

S”

V” B

b

x

S”

(T”y)” Sp α

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Figura 37 – L’equilibrio del nodo B.

L’assorbimento della spinta S”, trasmessa anch’essa dall’arco BC, richiede il coinvolgimento anche del tirante BF poiché il tirante AD non è in asse con S”.

Nel nodo B, vincolato dalle piastre dei tiranti, si mobilita il puntone inclinato BA tratteggiato nelle Fig. 36 e 37. La spinta S” viene così assorbita in parte dal tirante BF attraverso l’aliquota (T”y )” ed in parte dal suddetto puntone che prende lo sforzo Sp. Tale aliquota (T”y )”, essendo

( " )""yTb

a S=

(49)

Risulta

( " )" "ybT Sa

=

(50)

Complessivamente quindi il tirante BF assorbe il tiro

" " "ybT V Sa

= +

(51)

Il puntone inclinato B trasmette la forza di compressione Sp contro la piastra di ancoraggio del tirante BC e contro la parete attiva BF.

Possiamo approssimativamente ammettere che la parete BF reagisca in direzione parallela al tirante BF. Lo sforzo Sp si va così a scaricare contro la parete BF e sul tirante trasversale BC. Se indichiamo con T”x la forza di trazione nel tirante BC e con R”y l’azione trasmessa dal puntone sulla parete BF (Fig. 37), risulterà

" "x yaT Rb

=

(52)

Per l’equilibrio alla traslazione del nodo B nella direzione y d’altra parte deve aversi

" " " 0y yV T R− + = (53) Di conseguenza si ha

" "ybR Sa

=

" "xT S= (54)

In definitiva il tirante BF assorbe, oltre al taglio V” direttamente trasmessogli dall’arco BC anche

l’aliquota S”b/a, dovuta alla non coassialità tra la spinta S” dell’arco BC ed il tirante AD; il tirante AD assorbe il tiro S”.

L’arco FE trasmette invece direttamente la sua spinta S’ sul tirante FE che assorbe il tiro

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' 'xT S= (55)

mentre il taglio V’ si scarica direttamente dall’arco sulla parete attiva BF. Sulla parete attiva BF agisce in definitiva la spinta

' " " " ' "BFb bT V S V S V Va a

= − + + = +

(56)

Situazione analoga è quella che si verifica sul lato destro. Gli sforzi nei tiranti ora determinati sono conseguenza dei meccanismi di trasferimento delle

spinte dagli archi di piano sulle pareti attive. A tali sforzi vanno aggiunti, come si vedrà più avanti, gli sforzi conseguenti all’azione, esplicata dal tirante di connessione tra i maschi della stessa parete.

Figura 38 – Il caso di muri trasversali molto distanziati.

La situazione è più complessa quando i muri AC e FD, su cui vanno ad agire le azioni

orizzontali, sono lunghi, come si ha nel caso della Fig. 38. In tal caso lungo i lati AC e FD non possono mobilitarsi archi orizzontali, che sarebbero troppo lunghi e troppo ribassati.

Il problema si può risolvere disponendo il puntone centrale BE costituito da un profilato metallico con piastre terminali, come indicato nella Fig. 39, in modo da dimezzare la luce AC. Tali piastre di ancoraggio verranno disposte all’interno del muro e saranno collegate a contro–piastre mediante bullonature passanti nel muro. Alle piastre interne sono connessi i doppi tiranti diagonali indicati in figura.

Figura 39 – Il sistema a pareti lunghe con puntone centrale e tiranti diagonali. Quando le fasce verticali nell’interpiano delle pareti neutre trasmettono alle fasce orizzontali le

spinte sismiche, in quest’ultime si mobiliteranno sistemi resistenti ad archi orizzontali sulle luci AB e BC. Analogamente si ha sulla parete FD

Come nel caso precedente, per rendere attivi gli archi AB e BC, entrambi a tirante rovescio, entreranno in funzione i tiranti ad essi ortogonali. Il puntone centrale in acciaio riesce così a trasferire le spinte ai due muri attivi trasversali AF e CD diretti nella direzione sismica

Le spinte agenti sulla fascia ABC sono assorbite dagli archi AB e BC. Questi, a loro volta, trasferiscono tali spinte alle pareti attive AF e CD ed inoltre alla coppia di tiranti BE.

A C

D F

A B C

D E F

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Il trasferimento del taglio e della spinta dagli archi AB e BC alle pareti AF e CD richiede la presenza dei tiranti AC , AF e CD. Le spinte degli archi AB e BC si bilanciano tra loro in B mentre i tagli sono assorbiti dai tiranti BE.

Le forze orizzontali agenti sulla parete FD si trasferiscono, attraverso gli archi FE e ED, sulle pareti FA e CD e vanno sul nodo B attraverso il puntone BE; successivamente, attraverso i tiranti diagonali, si scaricano ancora sulle pareti AF e CD. L’altra coppia di tiranti diagonali entra in funzione quando la spinta sismica inverte il proprio senso d’azione.

Agganci particolari, mediante cuciture, dovranno essere predisposti nella connessione dei tiranti diagonali agli spigoli dei muri.

In alternativa ai sistemi di connessione ora considerati, possono essere realizzate connessioni tra pareti neutre e pareti attive mediante solette orizzontali in c.a. cucite in giro alle murature intorno ad ogni vano. Tale tipo di intervento viene realizzato in particolare quando l’intervento di rinforzo antisismico è associato alla sostituzione dei solai esistenti, a causa del riscontrato loro stato di degrado o per una loro riscontrata inadeguatezza alla richiesta di più pesanti carichi accidentali. Il tipo di solaio più indicato in sostituzione dei solai esistenti, è quello con travi metalliche e soletta collaborante in c.a.

I solai esistenti in genere sono costituiti da solai in legno o da solai in antichi profilati NP in ferro. Entrambi questi vecchi tipi di solaio prevedono un elevato interasse tra le travi, più elevato dell’interasse presente tra i travetti dei normali solai in c. a. L’utilizzo di nuovi solai con travi di acciaio consente così di conservare gli stessi interassi dei solai pre–esistenti e quindi di non produrre, con ulteriori forature, gravi danneggiamenti alle murature.

Figura 40 – Soletta in c.a. di solaio cucita in giro alle murature.

Figura 41 – Particolare attacco cuciture al muro.

Le Figg. 40 e 41 illustrano uno schema delle connessioni da realizzare tra le solette dei solai in

c.a. e le murature dell’edificio. La Fig. 41 illustra un particolare delle cuciture con le murature. Va rilevato, d’altra parte, che tale tipo di rinforzo può essere realizzato in un edificio storico solo in casi molto particolari.

3.3.3. Resistenza del sistema di trasferimento delle spinte per fasce verticali

Si procede ora alla valutazione della resistenza allo sfondamento delle pareti neutre. Tra queste,

la parete più vulnerabile è di regola quella posta all’ultimo piano. In tal caso è possibile che, al posto delle tirantature prima descritte, sia presente in giro ai muri un cordolo in c.a., eventualmente cucito alle murature. La testa delle fasce verticali del muro verrà quindi considerata impedita di traslare in direzione orizzontale ma libera invece di sollevarsi. Naturalmente, dovrà poi verificarsi che tali sistemi di vincolo siano effettivamente in grado di sostenere le azioni che ad essi trasmette il muro nella sua condizione limite di collasso. Si ammette inoltre che il sistema dei tiranti o il cordolo abbiano a loro volta sufficiente resistenza, in modo da poter garantire in testa al muro il trasferimento delle spinte per fasce orizzon

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tali.

Figura 42 – Il muro soggetto inizialmente alle sole forze peso e poi anche a spinte orizzontali ortogonali al suo piano.

Lo schema base per valutare la resistenza trasversale del muro così rinforzato, al collasso sotto spinte ortogonali al proprio piano, è quindi quello unidimensionale indicato in Fig. 42. Nel primo schema a sinistra di Fig. 43 è schematicamente rappresentato il tratto di muro considerato sotto l’azione del proprio peso. Esso è relativo ad un generico interpiano, ed in particolare per esempio l’ultimo di Fig. 33.

Il muro, di altezza H, è vincolato in testa dal pendolo che impedisce che la sezione terminale del muro possa spostarsi in direzione orizzontale. Il muro è inizialmente soggetto solo al suo peso g, costante ed uniformemente distribuito, ad un eventuale peso Q in testa. Nello schema a destra della stessa Fig. 42, oltre ai carichi verticali, agiscono sul muro, ortogonalmente al suo piano, anche forze orizzontali spingenti crescenti proporzionalmente con il moltiplicatore λ. Le forze spingenti sono costituite dalla forza concentrata λQ applicata in testa e da un carico orizzontale uniformemente distribuito e pari a λg.

Figura 43 – Il muro vincolato trasversalmente in testa e soggetto a spinta.

Il problema che ci si pone è quello di valutare fino a che valore dell’intensità delle spinte il sistema di

g

Q

λ

Q

R

λQ

θ

α

x

(H – x)

λq

Q

G2

G1

B A

C

D

B

C

DH

θ α

θ

λQ RB

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trasferimento delle forze per archi verticali risulta efficace. Si intende quindi determinare l’entità del moltiplicatore di collasso delle spinte nello schema di funzionamento del muro per fasce verticali.

Nella Fig. 43 è tracciata una generica deformazione di sfondamento del muro, rappresentata dal meccanismo CDB. Questo prevede la presenza di incernieramenti in C, cioè al piede del muro, in D, posta dal lato opposto al bordo CB ed alla distanza x dalla sezione di piede, ed infine in B, alla testa del muro, nella sezione di connessione con il pendolo orizzontale che impedisce il verificarsi di spostamenti orizzontali. La posizione di tali incernieramenti è concorde con la posizione dei punti di tangenza della curva delle pressioni indicata in Fig. 37, cioè dell’arco che si mobilita all’interno del muro. La condizione di vincolo alla testa del muro determina nel meccanismo il valore dell’angolo α come funzione dell’angolo θ (Fig. 43) da cui

( )H

H xα θ=

− (57)

Nella condizione di collasso la curva delle pressioni del muro è quella indicata con tratteggio nel

secondo schema di Fig. 38. Il tratto del muro compreso tra la sua base e l’incernieramento D pesa G1, mentre il tratto superiore pesa G2. I pesi G1 e G2 sono proporzionali alla lunghezza dei tratti di muro cui essi si riferiscono. Il peso del muro per unità di lunghezza è

GgH

= (58)

e si ha quindi, per il peso complessivo G,

1 2G G G gH= + = (59)

( )H H xθ α= − (60)

Si applica il teorema cinematico e si valuta un moltiplicatore cinematico delle spinte. Il lavoro

spingente risulta

12spL q Hxλ θ+=

(61)

Per il lavoro resistente, conseguente al sollevamento dei vari carichi verticali, si ha

1 2 22 2 2 2 2resB B B B BL Q Q G G Gθ α θ θ α= − − − − −

(62)

e quindi

1 2 2( ) ( ) [( ) ]2 2 2resB B B HL Q G G Q G Q G Q G

H xθ α θ= − + + − + = − + + +

− (62’)

Per il teorema cinematico, eguagliando il lavoro spingente a quello resistente, risulta

1 [( ) ]2 2

B Hq Hx Q G Q GH x

λ θ θ+ = + + +−

(63)

da cui ricaviamo il moltiplicatore cinematico

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[(1 2 ) ]B Hq QHx H x

λ ψ+ = + +−

(64)

avendo posto GQ

ψ =

(65)

pari al rapporto tra il peso Q applicato in testa ed il peso complessivo del muro. Il moltiplicatore

( )xλ + è funzione della distanza x da terra della cerniera interna D. Il moltiplicatore di collasso oλ delle spinte è pari al minimo della funzione ( )xλ + al variare della posizione della cerniera D per 0 x H≤ ≤ . la funzione ( )xλ + va all’infinito per 0x → e per x H→ . La ricerca del minimo della funzione ( )xλ + può quindi essere effettuata valutando il valore x x= in corrispondenza del quale si annulla la derivata /d dxλ + . Si ha

2 2[(1 2 ) ] 0( )

d q B H B HQ Qdx Hx H x Hx H xλ ψ= − + + + =

− − (66)

dalla quale si perviene all’equazione di secondo grado

2 2(1 2 ) 4(1 ) 2(1 ) 0x Hx Hψ ψ ψ+ − + + + = (66’)

Poiché il discriminante di tale equazione vale

28 (1 )H ψΔ = + le radici dell’equazione sono

24(1 ) 8 (1 )2(1 2 )H H

xψ ψ

ψ+ ± +

=+ (66”)

La soluzione cercata x non può risultare maggiore di H. La radice x risulta

2(1 ) 12(1 )

(1 2 )x H

ψψ

ψ+ −

= ++

(67)

e la spinta di collasso vale

0

[(1 2 ) ]( )ox H

B Hq QMin q x Hx H xλ ψλ

≤ ≤

+= = + +−

(68)

ovvero, dopo alcuni sviluppi

2 1 (1 2 ) (1 2 )[(1 2 ) ]

2(1 ) 2(1 ) 1 (1 2 ) 2(1 )[ 2(1 ) 1]oqHBQ

ψ ψλ ψψ ψ ψ ψ ψ

+ += + +

+ + − + − + + − (68’)

da cui ricaviamo

min ( )o oBH

λ ψ= Λ

(69)

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dove

min1 (1 2 ) (1 2 )( ) [(1 2 ) ]

2(1 ) 2(1 ) 1 (1 2 ) 2(1 )[ 2(1 ) 1]oψ ψψ ψ

ψ ψ ψ ψ ψ ψ+ +

Λ = + ++ + − + − + + −

(70)

La funzione Λomin(ψ) è diagrammata in Fig. 44. È interessante valutare di quanto aumenta la

resistenza del muro nel sistema rinforzato, cioè del muro con il vincolo in testa come in Fig. 42, rispetto a quella del muro a testa libera. Per quest’ultimo il diagramma degli spostamenti da meccanismo è riportato con l’ultimo diagramma a destra della Fig. 43. In tal caso i lavori spingente e resistente risultano rispettivamente

21* ( 1)2 2spL q H QH HQ ψλ θ λ θ λ θ= + = +

(71)

*( ) ( 1)2 2resBL G Q HQ ψθ λ θ= + = +

(72)

da cui ricaviamo il moltiplicatore di collasso

( 1)*2( 1)

2

BH

ψλ ψ+

=+

(73)

Figura 44 – La funzione Λomin(ψ) al variare del rapporto ψ tra il peso della parete e il carico applicato in testa.

È interessante valutare il rapporto tra la resistenza del muro vincolato in testa rispetto a quella

del muro libero in testa. Risulta allora

* ( )oλ ψλ

= Φ

(74)

dove la quantità

( 2) 1 (1 2 ) (1 2 )( ) [(1 2 ) ]( 1) 2(1 ) 2(1 ) 1 (1 2 ) 2(1 )[ 2(1 ) 1]ψ ψ ψψ ψψ ψ ψ ψ ψ ψ ψ

+ + +Φ = + +

+ + + − + − + + − (75)

misura il miglioramento della resistenza al collasso per sfondamento del muro sotto spinta conseguente al rinforzo eseguito. La Fig. 45 fornisce il diagramma della funzione Φ(ψ).

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Figura 45 – Rapporto Φ(ψ) tra le resistenze allo sfondamento del muro vincolato o libero in testa. Dall’ispezione del diagramma di Fig. 45 è evidente che il vincolo in testa si dimostra molto efficace e la resistenza allo sfondamento rispetto al muro non rinforzato aumenta vistosamente. La reazione del pendolo in testa, che indichiamo con RB , allo stato di collasso della parete costituisce il carico trasversale che sollecita il cordolo e deve essere trasferito alle pareti murarie attive. È importante perciò procedere alla valutazione di tale reazione. Con riferimento alla Fig. 43, la reazione RB viene determinata con la condizione che la risultante di tutte le forze agenti sul tratto DB del muro deve passare per la cerniera D. Si ha quindi

2( )( ) / 2 ( ) / 2 ( ) / 2 0B o oR Q H x QB q H x g H x Bλ λ− − − − − − − = (76) e quindi

[ ( ) / 2] / 22( )B o

BR Q Q q H x gBH x

λ= + + − +−

(77)

La resistenza allo sfondamento delle pareti murarie sotto azioni ortogonali al loro piano, in

particolare di quelle di facciata, è in genere poco elevata e non sempre è facile aumentarla. Il raggiungimento di livelli sufficienti di resistenza nelle pareti passive sotto azioni ortogonali al

loro piano è d’altra parte necessario per non avere collassi anticipati rispetto a quello delle pareti murarie sotto azioni contenute nel loro piano. 3.3.4. Resistenza dei rinforzi nelle fasce orizzontali delle pareti passive

Le forze orizzontali BR impegnano il cordolo a flessione e taglio nel piano orizzontale. Il

cordolo pertanto dovrà essere verificato per controllare se è in grado di assorbire tali sollecitazioni senza collassare prima del collasso della parete. Analogamente dovrà effettuarsi se, al posto del cordolo, è presente un sistema di arco/tiranti.

Il sistema ad archi orizzontali trasferisce spinte sugli spigoli del fabbricato. La contemporanea presenza di azioni sismiche anche nell’altra direzione ortogonale determina una particolare vulnerabilità degli spigoli degli edifici in muratura non opportunamente rinforzati, come può essere immediatamente riconosciuto esaminando i danni indotti da eventi sismici nei centri storici e di cui un esempio significativo è illustrato nella Fig. 30.

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Figura 46 – La fascia orizzontale di piano impegnata al trasferimento delle spinte sulle pareti attive.

Il sistema di rinforzo ad archi orizzontali da realizzare, se all’ultimo piano, può essere quello accompagnato dalla esecuzione di cuciture orizzontali nello spigolo passanti nella muratura, in grado di assorbire le spinte, ed eventualmente anche il cordolo di coronamento superiore in c.a. in modo da migliorare il trasferimento delle spinte dalle fasce verticali a quelle orizzontali.

Le cuciture orizzontali (Fig. 46), se cementate nella muratura, consentono di ridurre la lunghezza delle stesse. Il carico sismico orizzontale agente sulle fasce orizzontali è costituito:

– dall’azione orizzontale R trasmessa dalle fasce verticali; – dall’azione orizzontale T trasmessa dal solaio se in appoggio sulla fascia. La spinta degli archi orizzontali può essere valutata con semplicità note le azioni R ed S. Se

indichiamo rispettivamente con

MR MT (78) i valori dei momenti flettenti dovuti ai carichi R e T, valutati in mezzeria delle travi appoggiate di luce eguale alla luce netta degli archi, la spinta S dell’arco varrà

R SM MSf+

=

(79)

se indichiamo con f la freccia dell’arco, di poco inferiore allo spessore del muro momenti MR ed MT sono funzioni del moltiplicatore oλ delle spinte agenti sulla fascia orizzontale. Il progetto delle cuciture potrà essere eseguito in modo che il sistema ad archi orizzontali abbia resistenza non minore di quella del sistema di trasferimento ad archi verticali. Situazioni analoghe possono essere realizzate agli altri piani. 3.4. Resistenza dei muri nel loro piano. La parete muraria multipiano con aperture 3.4.1. Modello della parete a maschi rigidi non resistenti a trazione con connessioni orizzontali

elastiche unilatere La Fig. 47 illustra i quadri fessurativi tipici rilevati nelle pareti di facciata di un edificio in

muratura colpito da sisma. Il danneggiamento della parete è conseguenza di rilevanti spinte sismiche che hanno agito nel piano della parete. La presenza di lesioni ad X fa capire che le azioni orizzontali, come è da aspettarsi, si siano invertite durante lo scuotimento sismico.

La parete muraria multipiano, di cui si intende valutare la resistenza nel proprio piano, è regolare ed è costituita da fasce verticali piene di sezione rettangolare ed intervallate da adiacenti file verticali di aperture. Essa costituisce la componente strutturale principale dell’edificio in muratura. Si comprende pertanto l’importanza dello studio di tale elemento. Si ammette che nella parete siano presenti, sopra i vani, travi metalliche sufficientemente incassate nella muratura, in genere di numero due su ogni vano. Salvo indicazione contraria, tutte le travi metalliche dello stesso livello di piano sono eguali tra loro ed Mo è il relativo momento resistente limite. Si ammette inoltre che vi siano tiranti orizzontali passanti che collegano i vari maschi o pilastri della parete.

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Figura 47 – Danneggiamento di una parete muraria soggetta ad azione sismica nel suo piano.

Nella parete, caratterizzata da Np piani e da Nm maschi, possiamo individuare un reticolo di

riferimento costituito dagli assi dei tratti di interpiano dei maschi e delle fasce sui vani. In generale, i maschi possono avere larghezza diversa ai vari piani e pertanto il reticolo degli assi

delle suddette fasce può presentare dei disassamenti. I punti di intersezione degli assi dei maschi con quelli delle piattabande sono i nodi della parete. Con l’indice i si indica il generico maschio murario e con l’indice j il generico livello di piano (Fig. 48).

Il nodo (i, j) è quindi intersezione dell’ l’asse del maschio i con il livello j. In ogni nodo possiamo localizzare la forza peso Gij rappresentativa delle masse che competono al nodo (i, j). Su tale punto più avanti verranno forniti chiarimenti. Ciò premesso, per descrivere l’azione sismica agente nel piano della parete, vengono individuate delle forze orizzontali convenzionali, affette da un moltiplicatore λ , applicate ad ogni nodo della parete e che indichiamo con λFij. Se zi indica la quota del livello j rispetto alla base della parete, le forze Fij vengono espresse in funzione delle forze verticali di nodo G’ij, in generale differenti da quelle Gij precedenti, in quanto le G’ij, che verranno in seguito meglio specificate, sono rappresentative anche delle quote delle masse delle pareti neutre.

Figura 48 – La parete multipiano con aperture e travi piattabande sui vani.

Naturalmente, la presenza di idonee cuciture potrà consentire che nel sollevamento delle masse che

competono alle singole pareti figurino anche quelle delle relative quote di parete neutra, in modo da far aumentare la resistenza della parete.

Non si ritiene prudente infatti affidare la trasmissione delle forze di taglio lungo le superfici di contatto tra i due ordini di parete alla resistenza a taglio — e quindi alla resistenza a trazione — della muratura. Le spinte di nodo Fij vengono quindi espresse attraverso la relazione

'ij j ijF Gλγ η= (80)

( j )

(i)

Gij

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dove il coefficiente η è quello di normativa fissato dalla (43) ed i coefficienti iγ , i cosiddetti coefficienti di distribuzione, sono ottenuti come

p

p

N

jj

j j N

j jj

Wz

W zγ =

(81)

essendo

'mN

j iji

W G= ∑

(82)

il cosiddetto peso sismico relativo al piano j e

1

pN

jj

W W=

= ∑

(83)

è il peso sismico complessivo della parete. I coefficienti di distribuzione γi distribuiscono le forze orizzontali lungo la verticale in modo da descrivere, sia pure approssimativamente, l’andamento reale delle accelerazioni orizzontali lungo l’altezza dell’edificio e quindi spinte crescenti linearmente con l’altezza.

La parete è sollecitata da forze verticali di nodo Gij che, per ipotesi, assumiamo fisse, e da spinte di nodo λFij che crescono uniformemente con il parametro λ. Si osserva allora che, quando λ = 1, la distribuzione delle spinte ai vari piani della parete è proprio quella di normativa.

Man mano che, col crescere del parametro di carico λ, crescono le spinte orizzontali λFij , i vari maschi cominciano a subire delle deformazioni e quindi delle piccole inflessioni elastiche, di non facile determinazione a causa della fessurazione che si accompagna a tale deformazione. Ad un certo punto del processo di carico la parete più debole, fessurandosi alla sua base, si avvicinerà alla condizione di ribaltamento e quindi, una volta raggiuntala, ruotando rigidamente al piede, si farà sostenere dalle altre pareti adiacenti impegnando i collegamenti orizzontali presenti tra i maschi.

Tali collegamenti, che potranno essere o i tiranti ovvero le piattabande murarie poste sui vani, trasmetteranno alle altre pareti gli esuberi di spinta che il maschio collassato non è più in grado di assorbire.

Gli spostamenti orizzontali della parete conseguenti a tale rotazione risultano ben più elevati di quelli dovuti alle piccole deformazioni elastiche della parete stessa. Adottando quindi per i maschi il modello di muratura rigida a compressione e non reagente a trazione, si approssima bene la cinematica della parete che precede il collasso.

In definitiva, per la muratura della parete multipiano si ammette il modello di comportamento rigido non resistente a trazione mentre, per i collegamenti orizzontali, quello elastico unilatero.

Più precisamente, i tiranti di collegamento reagiranno elasticamente a trazione, ma non a compressione. Il contrario accadrà per le piattabande poste sui vani, assimilate a travi puntone in muratura, che, invece, non reagiscono a trazione. Si ammette inoltre che le travi metalliche, che corrono anch’esse sui vani — per essere infisse nella muratura senza piastre terminali o cuciture — vincolino le pareti solo attraverso la loro deformabilità flessionale e siano caratterizzate da un momento flettente limite Mo. 3.4.2. Possibili meccanismi di collasso della parete. Moltiplicatore cinematico delle spinte

Col proseguire del processo di carico, ad un dato punto la parete multipiano raggiunge il suo

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stato di collasso, caratterizzato da un definito meccanismo a spostamenti laterali. Vari possono essere i meccanismi di collasso della parete: la Fig. 49 ne indica alcuni esempi. Il

primo meccanismo è quello più frequente se i momenti limiti delle travi metalliche sui vani non sono troppo elevati e se la parete è sufficientemente regolare.

Ammetteremo pertanto che il meccanismo di collasso sia quello che chiamiamo “di rotazione globale” e che è quello del primo schema di Fig. 48: si esaminerà più avanti se ciò si verifica effettivamente. Tutti i pilastri ruotano al piede dello stesso angolo θ a causa della presenza delle connessioni orizzontali che impongono ad ogni livello eguali spostamenti orizzontali.

Certamente, la presenza delle tirantature orizzontali di connessione costituisce condizione necessaria per il verificarsi di tale meccanismo al collasso della parete. A tale meccanismo possono essere associate resistenze abbastanza elevate, in quanto sia perché con esso tutte le masse della parete sono coinvolte, e sia perché tutte le travi metalliche sui vani partecipano alla resistenza della parete stessa. Tutto ciò sempre che non si verifichino collassi anticipati con meccanismi locali, di cui sono esempi il secondo ed il terzo meccanismo di Fig. 49.

Figura 49 – Diversi meccanismi di collasso della parete nel suo piano.

Più avanti si effettueranno analisi approfondite per verificare se il collasso della parete nel suo piano avvenga effettivamente secondo il meccanismo di rotazione globale su indicato. Ovviamente, giocando sui parametri meccanici della parete, potrà essere possibile che il collasso avvenga effettivamente secondo il suddetto meccanismo.

La Fig. 50 riporta in dettaglio lo schema della parete che si avvia al collasso secondo il meccanismo di rotazione globale sotto le spinte λoFij , se λo è il moltiplicatore di collasso delle spinte.

La valutazione del moltiplicatore di collasso λo delle spinte viene effettuata determinando dapprima il moltiplicatore cinematico corrispondente al suddetto meccanismo globale e verificandone successivamente la relativa condizione di compatibilità statica. Il moltiplicatore cinematico delle spinte associato a tale meccanismo può essere ottenuto facilmente utilizzando il teorema cinematico e quindi eguagliando il lavoro resistente a quello spingente lungo il meccanismo stesso. Il lavoro attivo delle spinte risulta

1 1 1

p pm

j

N NN

sp ij j tot ji j j

L F z F zθλ θλ= = =

= =∑∑ ∑

(84)

sommando quindi le spinte di nodo lungo il piano e quindi considerando la spinta di piano

1

m

j

N

tot iji

F F=

= ∑

(85)

Gij λoFij

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Figura 50 – Il meccanismo di collasso globale della parete multipiano.

Il lavoro resistente è invece dovuto sia al sollevamento dei pesi Gij, che si produce con l’attivarsi

del meccanismo, sia alla dissipazione plastica che si sviluppa nelle piattabande metalliche costrette ad incurvarsi nelle sezioni di attacco alle pareti. La prima aliquota del lavoro resistente si calcola una volta determinati i bracci bij di sollevamento dei pesi Gij e vale

1 1

pm NN

soll ij iji j

L G bθ= =

= − ∑∑

(86)

Per il calcolo della dissipazione plastica occorre valutare gli incurvamenti plastici che si

verificano nelle travi metalliche all’innesco della rotazione θ che caratterizza il meccanismo. Si ipotizza che tutte le travi metalliche dello stesso livello siano tra loro eguali: i momenti limiti saranno allora contrassegnati con il solo indice di piano j.

Gli incurvamenti plastici che si producono nelle sezioni B e C della trave metallica posta sul vano subito a destra del maschio i ( Fig. 51, 52) sono dovuti alla rotazione relativa (θ + α) dove

1i

ii

BL

α θ+=

(87)

Figura 51 – Le distorsioni angolari che si producono nelle sezioni di innesto delle piattabande nei maschi murari.

se Bi+1 è la larghezza del maschio i+1 ed Li è la larghezza del vano che segue il maschio i e che costituisce il vano i afferente al maschio i. Il lavoro plastico che si produce nella singola trave metallica relativa al livello j ed al maschio i è quindi

1

, 2 ( 1)ipi i o j

i

BD ML

θ+= +

(88)

θ θ

A B

C D

E F θ

αi

Li Bi+1

i i+1

Moj Moj

αi + θ αi + θ

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Figura 52 – Momenti limiti positivi o negativi agenti nelle sezioni di innesto delle travi piattabande.

Sommando la dissipazione plastica che si sviluppa allo stesso livello j per tutti i maschi i e poi sommando per tutti i piani j si ha

1 11 1

1 1 1 12 ( 1) 2 ( 1)

p pm mN NN Ni i

p o j o jj i j ii i

B BD M ML L

θ θ− −

+ +

= = = =

= + = +∑ ∑ ∑ ∑

(89)

dove la seconda somma è estesa a tutti i maschi fino al penultimo, perché, quando i = Nm –1, la dissipazione plastica è quella relativa alle travi metalliche poste sopra l’ultimo vano del livello j. La Fig. 53 riporta lo schema di calcolo del momento limite Mo per una sezione di trave metallica. Il calcolo del moltiplicatore cinematico λ+ delle spinte orizzontali relativamente al meccanismo assunto si ottiene annullando la somma di tutti i lavori resistenti e spingenti che si producono durante il prodursi del meccanismo

0p soll spD L L+ + = (90) ovvero

11

1 1 1 1 1 12 ( 1) 0

p p pm m mN N NN N Ni

o j ij ij ij jj i i j i ji

BM G b F zL

θ θ θλ−

++

= = = = = =

− + − + =∑ ∑ ∑∑ ∑∑ (91)

Il moltiplicatore cinematico λ+ delle spinte risulta quindi

11

1 1 1 1

1

2 ( 1)p pm m

p

N NN Ni

ij ij o ji j j i i

N

totj jj

BG b ML

F z

θλ

−+

= = = =+

=

+ +=

∑∑ ∑ ∑

(92)

Figura 53 – Momento limite della sezione della trave in acciaio: Fo = 10 x 0,8 x 2400/1,15 kg; Mo = Fo x h*; h* = 9,6

cm.

Il valore di λ+ non dipende in alcun modo dalle caratteristiche di elasticità dei collegamenti orizzontali. Tale valore rappresenterà l’effettiva resistenza limite della parete nel suo piano se gli sforzi che si sviluppano in tutta la parete sotto l’azione delle spinte λ+Fij risultano essere

staticamente ammissibili. In tal caso il moltiplicatore λ + delle spinte è il moltiplicatore di collasso λο.Dall’esame della (67) si riconosce che, a causa dei diversi valori che possono assumere i bracci di sollevamento bij, il moltiplicatore cinematico delle spinte in genere varia al variare della direzione dell’azione spingente. Il calcolo della resistenza sismica della parete andrebbe quindi svolto nei due sensi; la resistenza sismica della parete è poi, ovviamente, la più piccola tra questi valori delle resistenze. Secondo normativa, la verifica sismica della parete, sulla base di quanto espresso con la (94), risulterà soddisfatta se la resistenza della parete nel suo piano, espressa dal moltiplicatore di collasso λo, non è inferiore all’intensità della spinta sismica valutata secondo normativa. Poiché la

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distribuzione delle spinte rappresentativa dell’azione sismica da normativa è quella che si ottiene dalla (56) ponendo λ = 1, deve risultare

0 1λ ≥ (93) 3.4.3. Sforzi nei collegamenti orizzontali allo stato limite della parete. Condizioni di compatibilità

Perché λ+

possa rappresentare l’effettivo moltiplicatore di collasso della parete, ad esso devono corrispondere sforzi nella parete, nei tiranti e nelle piattabande, in equilibrio con i carichi agenti e tali da assicurare stato di sollecitazione ammissibile in tutte le sezioni dei maschi e dei collegamenti: le catene devono infatti risultare o scariche o tese e le piattabande o scariche o compresse. Le interazioni tra i collegamenti al raggiungersi della condizione cinematica di equilibrio sono le nostre incognite e devono essere quindi determinate.

Le interazioni che intervengono dal secondo al penultimo e quindi all’equilibrio dei vari maschi vanno distinte in quelle che sollecitano il primo maschio, quelle che sollecitano i maschi i che includono tutti i maschi dal secondo al penultimo e quindi per i, che assume i valori compresi tra 2 ed (Nm – 1) e quelle che sollecitano l’ultimo maschio.

Si considerano tutte le azioni agenti sui maschi, come indicato in Fig. 54. Gli sforzi assiali trasmessi dalla piattabanda orizzontale sono quelli che seguono il pilastro e sono indicati con

1, jN , ( 2,3,... 1)i j mN i N= −

mNN (94)

Lo sforzo N1,j agisce quindi nella piattabanda muraria posta al livello j a destra del pilastro 1; analogamente per gli altri sforzi Ni,j (i = 2, ..Nm – 1) nelle piattabande a destra dei pilastri i fino al pilastro (Nm

– 1); invece lo sforzo NNm,j agisce alla sinistra del pilastro Nm. Inoltre, più semplicemente,

ojM (95)

sono i momenti limite esercitati sul maschio dalle travi metalliche, tutte eguali per tutte le travi allo stesso livello j, e

1,o jT , ( 2,3,... 1)oi j mT i N= − ,moN jT (96)

Figura 54 – Forze agenti sui maschi della parete.

sono rispettivamente i tagli ultimi esplicati dalle travi metalliche a rinforzo dell’architrave muraria che segue il pilastro 1, il pilastro i ( 2,3,... 1)mi N= − , ed ancora quelli che precedono l’ultimo

NNm,j

GNmj

λFNmj

Moj

ToNm–

j

bNmj (Nm)

Ni–1,j

Gij

λFij

Moj

Toi–1,j

Nij

Moj

Toi,j

j

bij (i)

G1j

λF1j N1j

Moj

Toi1j

j

B1j (1)

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pilastro, indicati quindi in modo analogo a quello utilizzato per gli sforzi assiali. Si ha inoltre (Fig. 55)

,

2 ojoi j

i

MT

L=

(97)

Infine, i tiri nelle catene sono indicati con

Tj (98) Per quanto riguarda i pilastri, la condizione di compatibilità dello stato di sollecitazione interno

si esprime quindi con le disuguaglianze

/ 2 ( ) / 2 j j jB e z B− ≤ ≤ (99)

dove ( )je z è l’eccentricità dello sforzo assiale nel maschio j alla generica quota z. Per quanto riguarda le piattabande puntone ed i tiranti, le condizioni di ammissibilità statica, in relazione ai segni considerati nelle precedenti equazioni di equilibrio, sono

, 0, 0i j iN T≥ ≥ (100) Figura 55 – Taglio limite nella piattabanda metallica che precede e che segue il pilastro i.

Nella (76) quindi sono assunti positivi gli sforzi di compressione nelle piattabande murarie ed ancora positivi gli sforzi di trazione nelle catene. La verifica delle condizioni di compatibilità nei maschi richiede la preliminare valutazione delle sollecitazioni nei collegamenti allo stato limite della parete. Per giungere alla formulazione di un procedimento di soluzione, è utile in un primo tempo raccogliere insieme tutte le incognite relative ad un dato tipo di connessione sommando i loro momenti al piede di ogni maschio murario. Successivamente si mostrerà poi come poter pervenire alla determinazione livello per livello delle incognite. È utile quindi considerare cumulativamente tutti gli sforzi nei tiranti e tutti gli sforzi nei puntoni relativamente ad un singolo maschio attraverso le posizioni

1

pNNi ij j

iM N z

=

= ∑

(101)

1

pNT

i ii

M T z=

= ∑

(102)

dove:

– NiM è il momento al piede degli sforzi esercitati sul pilastro i dai puntoni relativi alla campata

che segue dopo il pilastro i; – TM è il momento al piede degli sforzi esercitati dai tiranti.

Moj Moj

Li

Toi,j Toi,j

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Analogamente, con riferimento alla Fig. 49, si pone

1 1 1 1,1 1 1 1 1

1,1 1 1

, 2 + , 2,3,... 1

+ ,

p p p p p

p p p

m m m m

N N N N NS S

j j o j i ij ij o j oi j i mj j j j j

N N NSN N j N j o j oN j i

j j j

M G b M M G b M T B i N

M G b M T B

−= = = = =

−= = =

= + = + = −

= +

∑ ∑ ∑ ∑ ∑

∑ ∑ ∑(103)

1

pNRi ij j

jM F z

=

= ∑

(104)

dove:

– SiM è il il momento stabilizzante agente sul maschio i dovuto ai pesi Gij ed alle azioni

esplicate dalle piattabande metalliche; – R

iM è il momento ribaltante delle spinte valutate con λ = 1. Con tali posizioni possono scriversi le equazioni di equilibrio alla rotazione al piede dei singoli

pilastri murari al collasso della parete. Queste sono: – per il primo maschio,

1SM− + 1

RMλ + 1 NM− = 0TM+ (105) – per il maschio i (i = 2, …, Nm –1),

SiM− + R

iMλ+ 1NiM −+ = 0N

iM− (106) – per l’ultimo maschio,

m

SNM− +

m

RNMλ+ 1m

NNM −+ = 0TM− (107)

Tali condizioni registrano quindi lo stato di equilibrio limite dei singoli maschi al collasso della

parete. Attraverso le interazioni assiali delle piattabande e dei tiranti vi saranno dei maschi che sono sostenuti da altri e maschi su cui altri invece si appoggiano.

Definiamo ora la resistenza laterale del singolo maschio i, individuata dal moltiplicatore di collasso parziale delle spinte ojλ , quella resistenza cui corrisponde il raggiungimento della condizione di equilibrio limite al piede del singolo maschio i in assenza di interazioni assiali con gli altri maschi e quindi

0S R

i oi iM Mλ− + = (j = 1,2.., Nm ) (108) Il moltiplicatore di collasso parziale del singolo maschio è pertanto

Si

oi Ri

MM

λ = (109)

Il maschio più debole è quello cui corrisponde il più piccolo valore tra i oiλ . Al crescere di λ la

condizione di ribaltamento nel maschio più debole è raggiunta pertanto quando il moltiplicatore λ

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delle forze orizzontali raggiunge il valore:

* ( )o oiMinλ λ= (110) Con la definizione dei moltiplicatori di collasso parziale dei singoli maschi le equazioni (105),

(106) e (107) possono essere scritte in una forma più maneggevole:

1 1 1( )N T RoM M M λ λ+− = − (105’)

1 ( )N N Ri i i oiM M M λ λ+

−− = − (106’)

1 ( )m m m

T N RN N oNM M M λ λ+

−− = − (107’) Si osserva ora che con le (105’), (106’) e (107’) si può immediatamente ritrovare ancora

l’espressione (86) del moltiplicatore cinematico delle spinte. Infatti, se sommiamo le Nm equazioni di equilibrio, scompaiono i momenti dovuti alle interazioni e si ha

1 10

m mN NS Ri i

i iM Mλ+

= =

− + =∑ ∑

(111)

da cui otteniamo il moltiplicatore cinematico delle spinte agenti sulla parete:

1

1

m

m

NSi

iN

Ri

i

M

Mλ+ =

=

=∑

(112)

Infatti risulta

1 1

, 11 1 1 1 1 1 1

( ) 2 ( )p p pm m m mN N NN N N N

Si ij ij o j oi j i

i i j i j i jM G b M T B

− −

+= = = = = = =

= + +∑ ∑∑ ∑ ∑ ∑ ∑

(113)

1 1

11 1 1 1 1 1

2( ) 2 ( )

p p pm m mN N NN N Noj

ij ij o j ii j i j i j i

MG b M B

L

− −

+= = = = = =

= + +∑∑ ∑ ∑ ∑ ∑

1

1

1 1 1 12 (1 )

p pm mN NN Ni

ij ij o ji j i j i

BG b ML

−+

= = = =

= + +∑∑ ∑ ∑

Infine, tenendo conto dell’espressione (103) di S

iM riesce in definitiva come la (92)

11

1 1 1 1

1

2 (1 )p pm m

p

N NN Ni

ij ij o ji j i j i

N

ij jj

BG b ML

F zλ

−+

= = = =+

=

+ +=

∑∑ ∑ ∑

(114)

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Va osservato che l’analisi svolta ha considerato la muratura infinitamente resistente a compressione. Tale ipotesi, come discusso nell’ambito del pannello murario, comporta di regola una buona approssimazione nella valutazione della resistenza della parete. È possibile peraltro considerare l’influenza della resistenza finita a compressione correggendo la (92) attraverso il fattore

(1 )m

k

σσ

(115)

dove σm è la compressione media verticale presente al piede dei maschi e σk è la resistenza a compressione della muratura, anch’essa relativa alla muratura al piede dei maschi. In tal modo il moltiplicatore delle spinte (68) diventa

11

1 1 1 1

1

2 (1 )ˆ (1 )

p pm m

p

N NN Ni

ij ij o ji j i j i m

Nk

ij jj

BG b ML

F z

σλσ

−+

= = = =+

=

+ += −

∑∑ ∑ ∑

(114’)

Negli edifici di regola il fattore (115) è minore di 1/10 per cui il suo effetto sulla resistenza è

relativamente rilevante. In conformità alla normativa al posto della effettiva resistenza a compressione della muratura si deve considerare prudenzialmente una resistenza ridotta, la resistenza di calcolo fd pari a

k

dm Rd

f σγ γ

=⋅

(116)

dove γm è un coefficiente di sicurezza relativo alla resistenza del materiale, da assumere eguale a 2 ovvero a 2,5 a seconda del tipo di muratura: per una muratura in pietra squadrata, ad esempio in tufo, risulta γm = 2,5; il coefficiente γRd considera le incertezze relative alla determinazione delle effettiva resistenza della muratura e e può essere assunto pari a 1,2. In definitiva risulta al più fd = σk/(2,5 x 1,2) per cui il fattore correttivo (90) diventa

(1 ) (1 ) (1 2,5 1, 2)m m mm Rd

d k kfσ σ σγ γ

σ σ− = − ⋅ ⋅ ≈ − ⋅ ⋅

(117)

Se per esempio risulta σm/ σk = 4/50 = 0,08 risulta (1– σm/ fd) = 0,76. Il considerare una

resistenza ridotta a compressione nella muratura può comportare una non trascurabile riduzione di resistenza della parete.

L’esecuzione di idonee cementazioni nella muratura dei maschi in tutto il primo interpiano, può costituire un utile intervento al fine di ridurre l’effetto riduttivo di resistenza dovuto al fattore (117).

3.4.4. Sollecitazione nei collegamenti orizzontali e verifica della compatibilità statica dello stato limite nella parete

Si osserva ora che le equazioni di equilibrio disponibili sono quelle di annullamento del

momento complessivo al piede dei maschi e quindi sono pari a nM . Le incognite sono invece costituite:

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– dagli (nM –1) momenti (j=1,2,... 1)Nj MM n − ;

– dal momento TM ; – dal moltiplicatore λ+ . Le incognite sono quindi pari a ( Mn + 1) e le equazioni disponibili sono solo Mn . Il problema è

quindi una volta iperstatico. Vedremo allora come costruire l’ultima equazione mancante e risolvere quindi il problema. Il sistema di mN equazioni (107’,108’,109’), rispettivamente nelle ( 1)mN − incognite N

iM (i = 1, 2,...Nm–1) e nell’ incognita TM , e quindi contenente in tutto mN incognite, essendo stata già valutata l’incognita λ+ , presenterà tra le sue mN equazioni, una equazione che è combinazione lineare delle altre. Sono quindi presenti in tutto solo 1mN − equazioni linearmente indipendenti a cui corrisponde una semplice infinità di soluzioni, in relazione alla natura iperstatica del problema dovuta alla sovrabbondanza dei vincoli interni colleganti i maschi. Tuttavia, a causa del carattere unilatero delle connessioni orizzontali, ad esse occorre anzitutto associare le ulteriori condizioni

10 (per 1,...., ); 0N T

i mM i N M−≥ = ≥ (118)

in conseguenza della unilateralità dei vincoli costituiti dalle catene e dagli architravi. Le equazioni (105, 106, 107) sono state infatti definite considerando le architravi murarie compresse e le tirantature metalliche tese. Solo in questo modo lavorano tali connessioni orizzontali e quindi si hanno le (118) (Fig. 56). Per la soluzione del sistema delle equazioni (107’,108’,109’), associato alla (112) va però osservato che almeno una delle incognite N

iM e TM deve essere eguale a zero. Infatti, se la catena al collasso della parete è in tiro e quindi gli sforzi Tj non sono nulli, la catena si sarà allungata. Non è possibile allora che tutte le architravi orizzontali possano essere compresse in quanto, se le catene sono tese, gli allineamenti di piano dovranno essersi allungati e non accorciati. La presenza di compressione in tutti gli architravi orizzontali è quindi incompatibile con la presenza di trazione nelle tirantature. Ciò comporta che, se gli sforzi nei tiranti non sono nulli, in almeno una campata la compressione assiale che si esercita nelle architravi della parete deve essere zero. Viceversa, se le architravi sono tutte compresse le catene devono risultare scariche. Deve pertanto essere verificata in ogni caso la condizione

1 2 1....... 0m

N N N TNM M M M−⋅ ⋅ ⋅ = (119)

cioè almeno una delle incognite deve risultare nulla. Le incognite effettive diventano quindi 1mN − ed il problema ha così soluzione univoca. Tale risultato si chiarisce ancora meglio esaminando qualche esempio concreto. La parete di Fig. 56 è sottoposta a spinte da sinistra verso destra. Nel disegno sono stati indicati a tratto continuo i tiranti ed a tratteggio i puntoni. La parete più debole è la prima e sarà quindi questa a ruotare per prima facendosi sostenere dalla seconda parete. Si ribalterà poi la seconda e successivamente la terza che si fa sostenere sull’ultima. Tutte le travi puntone sono sollecitate mentre i tiranti risultano scarichi.

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Figura 56 – I collegamenti tiranti ed i collegamenti puntoni. Se le spinte agiscono invece da sinistra verso destra, quando va in ribaltamento il primo maschio

entreranno in funzione i tiranti che riporteranno sull’ultimo maschio gli esuberi di spinta che il primo maschio non è in condizioni di sostenere.

Può verificarsi che, col crescere delle spinte, vadano gradualmente in ribaltamento prima il secondo e poi il terzo maschio, scaricando sempre sull’ultimo maschio attraverso i tiranti le spinte che non sono in grado di sostenere. Quando anche l’ultimo maschio raggiunge la condizione di ribaltamento i tiranti sono in tensione e tutte le piattabande sono compresse, tranne quelle poste tra l’ultimo e il penultimo maschio che sono invece scariche.(Fig. 57).

È chiaro quindi che a seconda della geometria dei maschi e dell’entità delle forze in gioco e quindi, in definitiva, a seconda delle resistenze al ribaltamento (103) dei singoli maschi , si può di regola intuire quali sono i collegamenti che si presentano scarichi al raggiungimento della condizione di collasso.

Figura 57 – Il caso delle tirantature tese con la conseguente fessurazioni di una fila di architravi al collasso della parete.

È possibile ottenere le incognite zero del sistema delle suddette equazioni esaminando direttamente il segno dei termini noti. Infatti, dalla (105’), se nell’equazione j il segno dei termini noti è positivo, l’incognita j non può essere zero, altrimenti l’incognita j – 1 dovrebbe essere negativa, contraddicendo la condizione (118). L’esame del segno dei termini noti in ogni equazione permette di escludere almeno un’incognita in questa ricerca concatenata. È utile, a tal proposito, osservare che se il segno di tutti i termini noti fosse lo stesso, si avrebbe un risultato assurdo in quanto tutte le incognite dovrebbero essere escluse da questa ricerca. Ma almeno un segno dei termini noti deve essere differente dagli altri perché il moltiplicatore di collasso oλ è incluso nell’insieme dei moltiplicatori di collasso locale oiλ . Un esempio svolto dettagliatamente più avanti illustrerà ancora più approfonditamente tale ricerca. Una volta poi risolto il sistema e determinati quindi i momenti

1 2 1, , ......., ,

m

N N N TNM M M M− (120)

si procederà alla individuazione degli sforzi nelle catene o nei puntoni piattabanda.

Per la valutazione degli sforzi nei singoli tiranti le equazioni precedenti risultano insufficienti a causa della iperstaticità dei vincoli orizzontali interni lungo l’altezza. Gli sforzi nelle connessioni orizzontali per ipotesi producono solo deformazioni elastiche e non possono perciò essere messi in connessione con il meccanismo di collasso. Gli sforzi incogniti nelle connessioni sono infatti associati alla deformazione della parete che si produce durante il processo di carico, prima del collasso. Questi sforzi, poi, si mantengono invece costanti durante lo sviluppo del meccanismo di

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collasso. Si analizzi ora l’evoluzione delle deformazioni della parete durante il crescere dei carichi.

All’inizio le pareti murarie produrranno solo piccole deformazioni elastiche e le interazioni tra i maschi murari, trasmesse dalle connessioni, saranno trascurabili perché gli spostamenti orizzontali dei maschi saranno quasi uguali tra di loro. D’altra parte, col progredire del processo di carico, per alcuni maschi verrà raggiunta e superata la condizione di ribaltamento. Gli spostamenti orizzontali in questi maschi diventeranno allora molti più grandi degli spostamenti degli altri pilastri non ancora collassati. L’ordine di grandezza degli spostamenti dei maschi dipende dalla rotazione rigida al piede e dalle deformazioni elastiche delle connessioni.

Possiamo trascurare gli spostamenti dei maschi dovuti alle loro deformazioni elastiche e considerare solo gli spostamenti dovuti alla loro rotazione rigida. La distribuzione lungo l’altezza degli sforzi nei tiranti sarà quindi variabile linearmente. Se le catene sono tutte eguali, come avviene di norma, si ha quindi

j

j ii

zT T

z=

(121)

e, tenendo in conto la (96), risulta ancora

2

1

p

jTj N

ii

zT M

z=

=

(122)

Gli sforzi (116) rappresentano solo la terza quota degli sforzi complessivi agenti nei tiranti. Lo

sforzo complessivo jtotT nel tirante al livello j si ottiene sommando alla (96) lo sforzo ' "y yT T= ,

fornito dalla (28) del precedente paragrafo 3.3.2.2. Si ha così

( " " )jtot o jbT V S Ta

λ= + +

(123)

Figura 58 – Zone resistenti delle sezioni dei maschi con l’indicazione della fila dei collegamenti che è risultata scarica

(Da A. Iannotti, tesi di laurea a.a. 2006–2007). Relazioni analoghe si hanno per gli sforzi nelle piattabande. Nella Fig. 58 si riportano alcuni

risultati di analisi di pareti multipiano soggette a forze orizzontali nel loro piano ottenuti da A. Iannotti nel corso della sua tesi di Laurea (a.a. 2006–3007). Si individuano in figura lo sviluppo delle fasce resistenti e la relativa curva delle pressioni lungo i maschi murari. Gli scatti delle ampiezze delle fasce a livello di piano sono dovuti all’azione dei momenti flettenti di snervamento e dei relativi sforzi di taglio trasmessi ai maschi dalle travi metalliche di rinforzo poste al di sopra dei vani.

3.4.5. Verifica dell’infissione delle travi metalliche nei muri

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L’infissione delle piattabande metalliche nella muratura determina forti interazioni tra travi

metalliche e muratura all’atto dell’innescarsi del meccanismo di collasso: tali interazioni possono anche comportare il collasso della muratura intorno alla piattabanda e determinare quindi il disincastro delle travi metalliche dal muro con la conseguente perdita di resistenza da parte della parete. Occorre pertanto procedere ad una verifica della condizione di incastro e quindi della lunghezza a del tratto infisso (Fig. 59).

Figura 59 – Stato di sollecitazione nella trave piattabanda all’atto dell’innescarsi del meccanismo di collasso nei muri.

Alle estremità della trave si sono sviluppati i momenti di plasticizzazione Mo e, per l’equilibrio, i relativi tagli To.

Nella Fig. 60 è illustrato lo stato di equilibrio interno nella trave piattabanda all’innescarsi del

meccanismo di collasso della parete. Nelle sezioni della trave metallica a filo muro si sono prodotti i momenti di plasticizzazione Mo e quindi, per l’equilibrio, i tagli

2 o

oMTL

=

(124)

se L è la larghezza del vano. Nella Fig. 59 sono rappresentati lo stato di sollecitazione agente sulla sezione a filo parete del tratto infisso e, di conseguenza, le azioni complessive M ed N esplicate dalla muratura intorno al tratto infisso, di profondità a che equilibrano tale tratto.

Per l’equilibrio intorno il centro del tratto infisso, se M indica il momento di tutte le azioni esplicate dalla muratura intorno ad a, deve essere infatti

/ 2o oM T a M= + (125)

Sul tratto infisso agisce una forza

oN T= (126) Le azioni sollecitanti il tratto infisso di trave metallica sono quindi rappresentate dalle

componenti di momento e di forza assiale

o oM T a M= + oN T= (127)

Figura 60 – L’equilibrio del tratto di trave piattabanda che si innesta nella muratura.

a

M N

oM

oT

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Occorre verificare se il tratto infisso ha resistenza sufficiente ad assorbire le azioni sollecitanti

(121). La muratura al limite della resistenza esplicherà una distribuzione di sollecitazioni del tipo di quella rappresentata in Fig. 61 dove la compressione limite σo è la sollecitazione di schiacciamento della muratura. La situazione è allora analoga a quella di una sezione presso–inflessa allo stato plastico. Il dominio di interazione tra i generici valori limiti M , N è espresso dall’equazione

20

0

[1- ( ) ] NM MN

=

(128)

dove 2

0 0 0 0 4

baM N baσ σ= =

(129)

indicano rispettivamente il momento limite e la forza assiale limite, funzione della lunghezza di infissione, che possono essere applicati sul tratto infisso di trave metallica. Nella (128) a è la lunghezza di infissione, b la larghezza delle ali della trave, σ0 la resistenza a compressione della muratura.

Figura 61 – La distribuzione di compressioni limiti σo intorno al tratto di putrella infisso nella muratura.

In forma adimensionale, ponendo cioè

, o o

M Nm nM N

= =

(130)

il dominio delle resistenze (122) prende la forma

21m n= − (128’)

Le azioni sollecitanti M, N definite dalle (101) hanno eccentricità λ

o o

o

T a MT

λ +=

(131)

La Fig. 62 descrive il dominio limite rappresentato dalla (128’). Il procedimento di verifica della

lunghezza di infissione è quindi chiaro. Sono assegnate infatti le azioni sollecitanti M ed N definite dalle (127) e quindi la loro eccentricità definita dalla (131). Occorre quindi verificare se il punto di sollecitazione cade o non cade all’interno del dominio.

Dal dominio delle resistenze possiamo ricavare, per l’assegnata eccentricità λ e quindi per l’assegnato rapporto λ tra momento resistente M e sforzo assiale resistente N , i corrispondente valori di N ovvero di M .

N M

σο

σο

a/2 a/2

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Figura 62 – Il dominio limite M , N .

Nella (100’) si pone quindi

MN

λ=

(132)

con l’eccentricità λ fornita dalla (103). Ricaviamo allora la condizione

2 4 1 0n n

+ − =

(133)

determinatrice della forza resistente n corrispondente all’assegnata eccentricità λ. La soluzione della (133) fornisce

2

22 4 1na aλ λ

= − + +

(134)

In conclusione, si fissa la dimensione della sezione delle travi metalliche da disporre sui vani

della parete e la relativa lunghezza di infissione a. Con il valore dell’eccentricità λ fornito dalla (131) e per la prefissata lunghezza a del tratto

infisso, si calcola, con la (134), la corrispondente forza resistente adimensionalizzata n ; con questa calcoliamo, con la (128’), il momento resistente adimensionalizzato m .

La sollecitazione resistente non può risultare maggiore della sollecitazione agente. Deve quindi aversi (Fig. 57)

2

221 [ 2 4 1]

o

Mm ma a Mλ λ

= − − + + ≤ =

(135)

con l’eccentricità λ fornita dalla (131) ed M dalla prima delle (127). Assegnata quindi la lunghezza a di infissione, si calcola l’eccentricità λ dell’azione sollecitante e, mediante la (127), si confronta il corrispondente momento resistente con il momento agente adimensionalizzato M/ 0M . Se la (135) è verificata, e cioè se il punto di sollecitazione è interno al dominio di ammissibilità statica dell’innesto, la lunghezza di infissione fissata a è sufficiente, altrimenti questa dovrà essere

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aumentata e dovrà rifarsi di nuovo il calcolo. 3.4.6. Resistenza sismica dell’edificio isolato

Il collasso dell’edificio ha luogo quando la più debole delle sue pareti collassa nel suo piano e

sempre che non si verifichino collassi anticipati di pareti fuori del proprio piano. Nella Fig. 63 è schematicamente indicato il collasso della parete più debole. È evidente che solo

diaframmi rigidi orizzontali, solidali alle murature, presenti in tutti i campi di solaio ad ogni piano dell’edificio potranno impedire il singolo collasso delle pareti e quindi il collasso dell’edificio.

È molto raro infatti che in un tradizionale edificio in muratura siano presenti solai con solette rigide cucite in giro alle murature. Una parete che raggiunge la sua resistenza limite non può essere sostenuta dalle altra pareti, mancando infatti la connessione alle altre pareti.

Quando una parete raggiunge la sua resistenza limite, è raggiunta la resistenza limite dell’edificio. Questa è quindi definita dalla più piccola tra le resistenze delle pareti dei due ordini e quindi dal moltiplicatore

( )oEDIF oPARkMinλ λ= (136)

Figura 63 – Il collasso della parete più debole dell’edificio.

se ,oPar kλ è il moltiplicatore di collasso nel proprio piano della generica kma parete dell’edificio. Per il rispetto delle indicazioni di normativa dovrà risultare allora

1oEDIFλ ≥ (137) La valutazione dei moltiplicatori limiti oiλ di collasso parziale dei campi di parete in direzione

ortogonale al loro piano, ovvero di collasso parziale di qualche fascia di piano, consente di verificare che non si verifichino rotture anticipate. Il soddisfacimento della condizione

( ) ( )oi oPARkMin Minλ λ> (138)

comporta che la minima delle resistenze allo sfondamento oiλ tra tutte le pareti murarie sotto azione ad esse ortogonale risulta maggiore della più piccola resistenza ( )okMin λ delle pareti nel loro piano. Tale condizione è quindi in grado di assicurare che la sicurezza al collasso dell’edificio possa essere quella del collasso nel proprio piano della più debole tra le varie pareti murarie. 3.4.7. Resistenza sismica di agglomerati di edifici

Nei centri storici è quasi sempre impossibile ritrovare un edificio isolato dal contesto degli

edifici adiacenti per caratteristiche di morfologia e densità del costruito. Frequentemente gli edifici

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si sviluppano uno adiacente all’altro ed allineati lungo il sistema stradale. La verifica della sicurezza sismica degli edifici dei centri storici dovrà prevalentemente

verificare la sicurezza al collasso delle pareti murarie dei fronti su strada sotto azione ortogonale al proprio piano e poi quella delle più deboli pareti nel loro piano.