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3 Idee per insegnare la biologia con Saraceni, Strumia OSSERVARE E CAPIRE LA VITA Edizione azzurra • © Zanichelli 2011 UNITÀ 3. L’attività delle cellule Esistono molti tipi di enzimi e ciascuno di essi riconosce solo un particolare tipo di rea- gente (detto substrato). Certi enzimi sono attivi soltanto in presenza di particolari mole- cole organiche – le vitamine – e di cofattori come gli ioni metallici Mg 2 , Fe 2 , Zn 2 . Il trasporto passivo Per poter svolgere le proprie attività le cellule devono compiere continuamente due azioni: rifornirsi di alcuni materiali ed eliminarne altri. Acqua, ossigeno, anidride carbonica, zuccheri, sostanze di rifiuto ecc. entrano ed escono in ogni istante dalle cellule. Gli scambi di materiali tra la cellula e l’ambiente esterno si verificano a livello della membrana plasmatica. Alcune molecole possono attraversare la membrana plasmatica senza che le cellule compiano alcun lavoro, cioè senza utilizzare energia. Il movimento delle sostanze che avviene senza dispendio energetico da parte della cellula si chiama trasporto passivo. Nel trasporto passivo le particelle si spostano da una parte all’altra della membrana plasmatica a seconda della loro concentrazione, cioè dal lato dove sono più concentrate verso quello dove lo sono meno. L’ossigeno, l’anidride carbonica e alcune piccole mo- lecole organiche attraversano la membrana grazie a questo meccanismo di trasporto passivo detto diffusione semplice. enzima substrato prodotti B Il substrato entra nel sito attivo. D L’enzima libera i prodotti e rimane inalterato dalla reazione. Il suo sito attivo è nuovamente disponibile. A All’inizio il sito attivo dell’enzima – una piccola tasca che ha una forma complementare a quella del substrato – è vuoto. C Il substrato si scinde nei prodotti.

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UNITÀ 3. L’attività delle cellule

Esistono molti tipi di enzimi e ciascuno di essi riconosce solo un particolare tipo di rea-gente (detto substrato). Certi enzimi sono attivi soltanto in presenza di particolari mole-cole organiche – le vitamine – e di cofattori come gli ioni metallici Mg2�, Fe2�, Zn2�.

Il trasporto passivo Per poter svolgere le proprie attività le cellule devono compiere continuamente due azioni: rifornirsi di alcuni materiali ed eliminarne altri. Acqua, ossigeno, anidride carbonica, zuccheri, sostanze di rifi uto ecc. entrano ed escono in ogni istante dalle cellule. Gli scambi di materiali tra la cellula e l’ambiente esterno si verifi cano a livello della membrana plasmatica. Alcune molecole possono attraversare la membrana plasmatica senza che le cellule compiano alcun lavoro, cioè senza utilizzare energia. Il movimento delle sostanze che avviene senza dispendio energetico da parte della cellula si chiama trasporto passivo. Nel trasporto passivo le particelle si spostano da una parte all’altra della membrana plasmatica a seconda della loro concentrazione, cioè dal lato dove sono più concentrate verso quello dove lo sono meno. L’ossigeno, l’anidride carbonica e alcune piccole mo-lecole organiche attraversano la membrana grazie a questo meccanismo di trasporto passivo detto diffusione semplice.

enzima

substrato

prodotti

B Il substrato entra nel sito attivo.

D L’enzima libera i prodotti e rimane inalterato dalla reazione. Il suo sito attivo è nuovamente disponibile.

A All’inizio il sito attivo dell’enzima – una piccola tasca che ha una forma complementare a quella del substrato – è vuoto.

C Il substrato si scinde nei prodotti.

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UNITÀ 3. L’attività delle cellule

CITOPLASMALIQUIDOEXTRACELLULARE

molecola d’acqua

molecola di soluto

Altre molecole e alcuni ioni, pur essendo di dimensioni contenute, non riescono a passare tra i fosfolipidi della membrana plasmatica. L’ingresso e l’uscita di queste sostanze sono regolati dall’attività di particolari proteine presenti nella membrana. Tale modalità di trasporto passivo, mediata da proteine di membrana, è detta diffusione facilitata. Le proteine che attraversano il doppio strato fosfolipidico formano dei pori che permettono il passaggio di specifi ci ioni e sono dette canali ionici. Essi si aprono e si chiudono in risposta a segnali ricevuti dalla membrana plasmatica e in questo modo la cellula regola il movimento delle sostanze in entrata e in uscita. Anche l’osmosi, cioè la diffusione dell’acqua attraverso la membrana plasmatica, è facilitata dalla presenza di speciali canali (canali per l’acqua) formati da proteine che attraversano la membrana. Nel processo di osmosi l’acqua diffonde dalla soluzione meno concentrata (detta ipotonica) verso la soluzione più concentrata (cioè ipertonica).

Nella diffusione semplice le molecole passano liberamente attraverso il doppio strato fosfolipidico.

La diffusione facilitata è possibile grazie a proteine (canali ionici) inserite nella membrana plasmatica, che permettono ad alcuni ioni di attraversarla.

Anche i canali per l’acqua sono proteine inserite nella membrana plasmatica.

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UNITÀ 3. L’attività delle cellule

Il trasporto attivo Per trasportare alcune sostanze attraverso la membrana plasmatica le cellule sono a volte costrette a consumare energia. In questo caso si parla di trasporto attivo. Il trasporto attivo sposta le molecole di soluto dalla parte della membrana dove sono meno concentrate a quella dove lo sono di più. Il trasporto attivo si svolge con modalità diverse a seconda delle dimensioni delle molecole spostate. Il trasporto delle molecole di piccole dimensioni viene effettuato dalla cellula grazie a particolari proteine presenti nella membrana plasmatica. Queste protei-ne «pompano» attivamente il soluto da un lato all’altro della membrana e fanno sì che esso possa accumularsi all’interno o all’esterno della cellula.

Il trasporto attivo delle ma-cromolecole verso l’esterno e verso l’interno della cellula avviene invece secondo due meccanismi chiamati rispetti-vamente esocitosi ed endoci-tosi. La cellula utilizza il proces-so di esocitosi per trasportare fuori dal proprio citoplasma grandi quantità di materiali e quello di endocitosi per tra-sportare all’interno macromo-lecole o altre particelle. I due processi sono analoghi ma av-vengono in senso inverso. Un tipo particolare di en-docitosi è la fagocitosi, che consiste nella cattura di par-ticelle alimentari da parte di organismi unicellulari, come le amebe.

citoplasmaliquido

extracellulare

energiaATP

ADP P

ENDOCITOSI

A La membrana plasmatica forma unafossetta intorno alle macromolecole datrasportare nella cellula

B Si forma una vescicolache circonda le macromolecole

C La vescicola penetranel citoplasma della cellula

ESOCITOSI

A Una vescicola piena di macromolecole si muove verso la membrana cellulare

B La vescicola si fonde con la membrana cellulare C Il contenuto della vescicola

viene riversato all'esterno della cellula

Una molecola si lega alla proteina di trasporto.

L’ATP fornisce l’energia necessaria. La proteina di trasporto rilascia la mole-cola sul lato opposto della membrana.

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UNITÀ 4. Le cellule e l’ereditarietà

La vita delle cellule Nel corso della loro vita, tutte le cellule (sia quelle eucariotiche sia quelle procariotiche) aumentano di volume assumendo sostanze dall’ambiente esterno e utilizzando queste sostanze per produrre nuove molecole (come proteine, lipidi, acidi nucleici). Queste molecole entrano a far parte delle strutture delle cellule, oppure svolgono particolari funzioni al loro interno. Una cellula vive e compie le proprie funzioni fi no al momento in cui si divide e il suo contenuto viene distribuito tra due nuove cellule fi glie. Ogni cellula fi glia, che riceve circa metà della massa della cellula madre, comincia a crescere fi no al momento in cui si dividerà a sua volta. Nelle cellule procariotiche la divisione cellulare avviene in modo molto semplice. Le cellule eucariotiche vanno incontro, invece, a una serie regolare e ripetitiva di pro-cessi di crescita e divisione che nel loro insieme vengono chiamati ciclo cellulare. Il ciclo cellulare può essere diviso in cinque fasi principali: G1, S, G2, mitosi e citodieresi. Durante le fasi G1, S, G2, che vengono chiamate complessivamente interfase, la cellu-la cresce, sintetizza nuove molecole e nuovi organuli e in particolare duplica il DNA. L’interfase corrisponde circa al 90% del ciclo cellulare ed è seguita da due fasi chia-mate rispettivamente mitosi e citodieresi. La mitosi e la citodieresi portano alla forma-zione di due cellule fi glie separate, ciascuna delle quali possiede un nucleo circondato dal citoplasma. Ogni cellula fi glia è ora pronta per iniziare il suo processo di crescita e divisione, ricominciando il ciclo. La duplicazione delle cellule in alcuni tessuti è bilanciato dal processo di morte cel-lulare programmata (apoptosi).

Il DNA e i cromosomi Il DNA ha la capacità di duplicarsi, originando copie identiche di se stesso, durante la fase S del ciclo cellulare. Come avviene la duplicazione? Al momento della duplicazione, la molecola di DNA si apre (come una cerniera) a partire da una sequenza specifi ca di nucleotidi, detta punto di origine. A partire da un punto di origine, alcuni enzimi spezzano i legami che tengono unite le basi azotate. Esse, quindi, si separano e i due fi lamenti si dividono. A questo punto altre proteine si legano ai singoli fi lamenti per mantenerli separati. Dopo essersi separati i due fi lamenti

mitosi

citodieresi

S

G 1

G2

INTERFASE

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UNITÀ 4. Le cellule crescono e si riproducono

si comportano come stampi: ciascuno di essi «dirige» la sintesi di un nuovo fi lamento complementare. Ecco cosa avviene: se sul vecchio fi lamento è presente un nucleotide che contiene la base A, al nuovo fi lamento si aggiunge un nucleotide che porta la base T (e viceversa); C si appaierà invece solo con G (e viceversa). I nucleotidi vengono aggiunti ai fi lamenti in costruzione uno alla volta (in una sola direzione), grazie all’intervento di enzimi spe-cifi ci chiamati DNA-polimerasi. Quando tutti i tratti dei due fi lamenti sono stati duplicati, il processo termina.

Nelle cellule eucariotiche, durante l’interfase, il DNA contenuto nel nucleo si presenta sotto forma di cromatina, una massa «indistinta» di fi lamenti lunghi e sottili. I fi lamenti che formano la cromatina sono costituiti, oltre che da molecole di DNA, da speciali proteine, chiamate istoni, che contribuiscono a compattare la doppia elica, fungendo da «rocchetto» attorno al quale il DNA si avvolge. Il nome cromatina si riferisce al fatto che questa sostanza è in grado di legare i colo-ranti che si usano in microscopia e pertanto appare colorata se osservata al microscopio (dal greco chroma = colore). Durante la mitosi, il DNA si avvolge più volte intorno agli istoni; in tal modo la cro-matina si compatta e diventano visibili i cromosomi. Ogni cromosoma è formato da due parti identiche, due «bastoncini» che sono chia-mati cromatidi. Ogni cromatidio corrisponde a una singola molecola di DNA. I due cromatidi «fratelli» si sono formati in seguito alla duplicazione del DNA e alla produ-zione di istoni, durante la fase S del ciclo cellulare. Il numero di cromosomi è caratteristico di ogni specie: per esempio il moscerino della frutta ne possiede 8, il cavallo 64, il cane 78 e gli esseri umani 46.

GC

A T

T A

C

T

G

CG

A

GC

T A

C

G

A T

G C

GC

A T

T A

C

T

G

CG

A

GC

T A

C

G

AT

GC

GC

A T

T T AA

CC

T T

G

CG

AA

GGC C

T T AA

C

G G

AA T T

GG C C

filamentooriginale

filamentooriginale

filamentonuovo

filamentonuovo

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UNITÀ 4. Le cellule e l’ereditarietà

La divisione cellulare Durante l’interfase del ciclo cellulare, la cellula è cresciuta, ha prodotto nuove proteine e nuove strutture (come le membrane) e ha duplicato il proprio DNA attraverso i pro-cessi che abbiamo descritto nei paragrafi precedenti. A questo punto la cellula è pronta per dividersi generando due cellule fi glie:– con la mitosi si suddivide il materiale nucleare della cellula madre;– nella fase di citodieresi avviene la separazione del citoplasma. Nella mitosi si riconoscono quattro fasi, chiamate profase, metafase, anafase e telofase. La citodieresi inizia prima che la mitosi si sia conclusa. Al termine della citodieresi le due cellule fi glie contengono tutte le componenti che caratterizzano una cellula com-pleta, anche se gli organuli possono essere distribuiti in modo disomogeneo nelle due cellule.

membrananucleare

cromosomi

cromosomi

InterfasePrima dell’inizio della mitosi, non è ancora possibile distinguere i cromosomi al microsco-pio perché la cromatina non è suffi cientemente condensata.

Profase– La cromatina si condensa e diventano visibili (al microscopio ottico) i cromosomi.– I microtubuli si dispongono a formare il fuso mitotico a partire da due strutture che contengono i centrioli. – La membrana nucleare si disgrega e le fi bre del fuso agganciano i cromosomi.

Metafase– Le fi bre del fuso, allungandosi e accor-ciandosi, determinano l’allineamento dei cro-mosomi lungo il piano equatoriale della cellula.– In ciascun cromoso-ma, un cromatidio è legato ai microtubuli provenienti da un polo del fuso; l’altro croma-tidio a quelli del polo opposto.

Anafase– I microtubuli si accorciano trascinando i cromatidi fratelli verso i poli opposti della cellu-la. Da questo momento, ciascun cromatidio è considerato un cromoso-ma indipendente. – Altre fi bre, non attaccate ai cromatidi, si allontanano facendo allungare la cellula. – Al termine dell’anafase le due serie di cromo-somi hanno raggiunto i due poli.

Telofase– Si riforma la membra-na nucleare attorno ai due gruppi di cromo-somi, che iniziano ad apparire meno conden-sati.– Il fuso mitotico si disgrega e le fi bre che lo compongono tornano a far parte del citosche-letro. – Alla fi ne della mitosi i due nuovi nuclei sono geneticamente identici.

centriolo

fusomitotico

cromosoma

centriolo

cromatidio

1

2

3

4

5

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UNITÀ 4. Le cellule e l’ereditarietà

Cellule diploidi e cellule aploidi Tutti gli organismi, sia animali sia vegetali possiedono un patrimonio genetico (in que-sto modo viene defi nito il corredo di cromosomi caratteristico). I cromosomi di ciascu-na specie sono diversi per numero e dimensione da quelli di tutte le altre specie. Per quasi tutti gli organismi il corredo cromosomico è costituito da coppie di cromoso-mi tra loro simili, detti pertanto cromosomi omologhi. Per esempio, il nostro corredo cromosomico è costituito da 23 coppie di cromosomi. Le 23 coppie di cromosomi umani sono di due tipi: 22 coppie sono formate da cromo-somi presenti sia nei maschi sia nelle femmine (gli autosomi), mentre l’ultima coppia è costituita dai cromosomi sessuali, che determinano il sesso di un individuo. Nella specie umana, le femmine possiedono una coppia di cromosomi sessuali omologhi chia-mati X; i maschi possiedono un cromosoma X e uno chiamato Y, diversi per grandezza e forma, che rappresentano un’eccezione all’omologia dei cromosomi. Una cellula che contiene coppie di cromosomi omologhi è detta diploide. Tutte le cellule del nostro corpo – con la sola eccezione delle cellule uovo (o ovuli) e degli sper-matozoi – sono diploidi. Cellule uovo e spermatozoi, chiamati nel loro insieme gameti, sono cellule aploidi, cioè con un numero dimezzato di cromosomi. La fecondazione ripristina il numero diploide di cromosomi. Nel ciclo vitale dell’es-sere umano, dall’ovulo – fecondato da uno spermatozoo – deriva lo zigote, una cellula diploide che ha ricevuto metà del corredo cromosomico da un genitore e metà dall’altro. Lo zigote va incontro a molte divisioni cellulari e l’organismo si accresce. Attraverso le divisioni mitotiche, tutte le cellule dell’organismo ricevono i 46 cromosomi dello zigote e sono diploidi. Le uniche cellule aploidi vengono prodotte negli organi riproduttivi degli individui adulti (negli animali, le ovaie e i testicoli) mediante uno speciale tipo di divisione cellulare chiamato meiosi , di cui parleremo nel prossimo paragrafo.

cel lu leaploidi

cel lu le diploidi

me

iosi

fecondazio

ne

cellulauovo (n)

spermatozoo (n)

feto (2n)

adulti (2n)

zigote (2n)

Nel momento della fecon-dazione i nuclei aploidi dei gameti si fondono producen-do nuovamente una cellula diploide (lo zigote).

A partire dallo zigote, grazie a una serie di processi di divisione cellulare (mitosi), si forma l’enorme numero di cellule che costituisce l’orga-nismo pluricellulare.

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UNITÀ 4. Le cellule e l’ereditarietà

La divisione meiotica e la produzione di gameti RRicapitolando, le cellule eucariotiche si possono dividere in due modi:– la mitosi produce cellule con lo stesso numero di cromosomi della cellula madre;– la meiosi produce cellule aploidi, cioè con un patrimonio genetico dimezzato rispet-to a quello della cellula madre. Entrambi i processi sono preceduti da una sola duplicazione del DNA, che avviene durante l’interfase del ciclo cellulare. La meiosi comprende due divisioni successive del nucleo e della cellula e produce quattro cellule fi glie.

Nella profase I della meiosi si verifi ca il crossing-over, uno scambio di segmenti corrispondenti tra cromosomi omologhi che genera nuove combi-nazioni di nucleotidi. I cromosomi che derivano da questo processo sono diversi da quelli di partenza e portano una mescolanza delle caratteristiche genetiche che l’individuo aveva a sua volta ricevuto dai genito-ri. Gli scambi avvengono a caso, motivo per cui le combinazioni possibili sono milioni. Ne deri-va che ogni gamete prodotto da un individuo è diverso da tutti gli altri prodotti dallo stesso in-dividuo.

InterfasePrima dell’inizio della meiosi I avviene la duplicazione dei cromosomi.

Profase I- La cromatina si condensa e diventano visibili i cromosomi, formati da cromatidi identici. - I cromosomi omologhi si appaiano formando delle strut-ture dette tetradi (costituite da 4 cromatidi). - I cromosomi appaiati si scambiano tra loro alcuni segmenti durante un processo detto crossing-over.

Metafase I- Le tetradi si allineano sul piano equatoriale della cellula.- Per ogni tetrade i microtubuli del fuso legati a uno dei due cromosomi omologhi proven-gono da uno dei due poli della cellula, mentre l’altro cromo-soma è attaccato alle fi bre che provengono dal polo opposto.

Anafase ILe tetradi si dividono e i cromosomi omologhi migra-no verso i poli opposti della cellula.

Telofase II cromosomi raggiungono i poli della cellula. Ogni cromo-soma è ancora formato da due cromatidi.

CitodieresiContemporaneamente alla telo-fase I si verifi ca la citodieresi. Ogni cellula fi glia contiene un solo cromosoma (due cromatidi) di ciascuna coppia di omologhi.

1 4

2

3

InterfaseLa meiosi I è seguita da una breve interfase durante la quale il DNA non viene duplicato. La cromatina si condensa nuova-mente.

Meiosi IILa meiosi II è sostanzialmente simile a una mitosi, con la differenza che ha inizio da una cellula in cui il patrimonio genetico non è stato duplicato.Nell’anafase II, i due cromatidi di ciascun cromosoma si sepa-rano e migrano ai poli opposti del fuso, diventando cromoso-mi indipendenti.

Telofase II e citodieresi La telofase II e la citodieresi avvengono contemporanea-mente. Si formano 4 cellule fi glie, ciascuna con un assetto aploide di cromosomi.

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UNITÀ 4. Le cellule e l’ereditarietà

I caratteri ereditari Ciascun individuo possiede delle caratteristiche fi siche che permettono di riconoscerlo come appartenente a una certa specie e di distinguerlo rispetto ad altri esemplari della stessa specie. Queste caratteristiche sono trasmesse da una generazione all’altra (dai genitori ai fi gli): sono, cioè, caratteri ereditari. Lo studio scientifi co dell’ereditarietà costituisce la branca della biologia che è detta genetica. Questa disciplina deve il proprio nome al fatto che le unità trasmissibili di generazione in generazione sono chiamate geni. Un singolo gene corrisponde ad un determinato tratto di DNA, mentre l’insieme dei geni, o genoma, corrisponde all’intero DNA e costituisce il patrimonio genetico di un individuo o di una specie. L’azione di un gene si manifesta in un carattere attraverso una serie di passaggi: il messaggio del DNA viene «trascritto» nell’RNA e poi «tradotto» nelle proteine, le quali determinano, in ultima analisi, il fenotipo di un certo carattere, ossia il modo in cui si manifesta nell’individuo. L’espressione di alcuni geni è infl uenzata anche dall’ambiente (quantità di luce, tem-peratura ecc.) in cui l’organismo cresce. Il moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) è uno degli organismi più utiliz-zati per gli esperimenti di genetica. I motivi di questa scelta sono che il ciclo di vita del moscerino è molto rapido e che la sua prole è generalmente numerosa. Ciò permette di osservare molte generazioni e di effettuare analisi statistiche. I genotipi della Drosophila e i fenotipi che determinano sono tra i meglio studiati. La fi gura qui sotto mostra i pas-saggi che portano a un determinato fenotipo partendo dal patrimonio genetico.

DNAmRNA

proteina

cellulavia metabolica

Drosophila melanoga-ster possiede quattro coppie di cromosomi che, se colorati, mo-strano delle bande.

cromosomi organismo

Una porzione del DNA di un cromosoma, che non necessariamente corrisponde a una banda, costituisce un gene.

A partire da un determi-nato gene viene trascritta una molecola di RNA mes-saggero complementare a un fi lamento del DNA del gene in questione.

Gli occhi della Droso-phila sono composti da molte unità, gli ommatidi, a loro volta formati da più cellule fotorecettrici. La presenza in esse della rodopsina determina il fenotipo colore rosso.

L’mRNA viene successivamente tradotto nella proteina corri-spondente. Un tipo di proteina importante per la visione in Drosophila è la rodopsina, che contiene un pigmento rossa-stro, responsabile della cattura della luce.

Le cellule fotorecettrici sono formate da un corpo cellulare e da un prolungamento, nelle cui membrane altamente ripiegate si accumulano grandi quantità di rodopsina.

[A. S

yred

/ S

PL /

Gra

zia

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[Eye

of S

cien

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SPL

/ G

razi

a Ne

ri]

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UNITÀ 4. Le cellule e l’ereditarietà

La prima legge di Mendel Lo studio dell’ereditarietà dei caratteri ebbe inizio intorno alla metà dell’Ottocento con gli esperimenti dell’abate Gregor Mendel. Incrociando piante di pisello che mostrava-no caratteri differenti, egli giunse a formulare due leggi considerate ancora oggi le basi della genetica. Dall’analisi dei risultati Mendel formulò quattro ipotesi. 1. Ogni carattere è trasmesso da un «fattore ereditario» che è presente in due forme alternative. Oggi il fattore ereditario è chiamato gene e le due forme alternative alleli. 2. Per ogni carattere un organismo ha due alleli, uno ereditato da un genitore, uno dall’al-tro. La combinazione dei due alleli costituisce il genotipo dell’individuo per quel dato carattere. I due alleli di ciascun gene possono essere uguali – e in questo caso l’individuo è omozigote per quel carattere – oppure diversi – e quindi l’individuo è eterozigote.3. Le coppie di alleli di ciascun gene si separano (segregano) al momento della forma-zione delle cellule riproduttive (i gameti) che pertanto possiedono un solo allele per ogni gene. La coppia di alleli si riforma con la fecondazione.4. Quando un individuo è eterozigote per un certo carattere, uno dei due alleli viene espresso nel fenotipo mentre l’altro non ha effetti visibili. L’allele che controlla il fenoti-po dell’eterozigote è chiamato allele dominante, mentre l’altro è detto allele recessivo. Queste ipotesi confl uiscono nella prima legge di Mendel, o «legge della segregazione dei caratteri»: le coppie di alleli di un gene si separano (segregano) durante la formazione dei gameti, in modo che metà dei gameti riceverà un allele e metà l’altro.

La seconda legge di Mendel La seconda legge di Mendel prende in considerazione la trasmissione contemporanea di due caratteri differenti. Questa legge afferma che due caratteri vengono trasmessi in maniera indipendente. La trasmissione degli alleli avviene secondo meccanismi casuali, quindi alla genetica si applicano le leggi della probabilità. Le leggi di Mendel sono state poi confermate dai moderni studi di genetica e biologia cellulare e sono in accordo con ciò che accade durante la meiosi, il processo di formazione dei gameti.

La pianta della generazione P con fi ore viola produce gameti che portano un allele dominante, indicato per convenzione con la maiuscola (C). La pianta con fi ore bianco produce gameti con un allele recessivo, indicato con c.

La pianta della generazione F1 produce metà dei gameti con l’allele C e metà con l’allele c.

Le piante della generazione F2 mostrano due fenotipi differenti (causati da 3 genotipi diversi) in rapporto di 3:1.

Il quadrato di Punnett è lo schema usato dai genetisti per analizzare i fenotipi e i genotipi attesi in un incrocio.

tipi di gametifemminili

tipi di gametimaschili

P

F1

F2

C c

cc

cc

CC

X

CC

C

c

C

c

Cc

Cc Cc

gameti

autoimpollinazione

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UNITÀ 4. Le cellule e l’ereditarietà

La segregazione degli alleli avviene, durante il processo di meiosi, nel momento della se-parazione dei cromosomi omologhi. Ogni cellula diploide possiede due serie di cromo-somi omologhi, ciascuna ereditata da uno dei due genitori. Gli alleli di uno stesso gene si trovano nello stesso punto, detto locus, di ognuno dei due cromosomi omologhi. Durante la metafase I della meiosi, subito dopo il crossing-over, i cromosomi si sepa-rano e migrano verso i due poli della cellula. I cromosomi e con essi gli alleli fi niranno pertanto in due gameti differenti confermando quanto affermato dalla prima legge di Mendel.

Tuttavia Mendel prese in considerazione solo caratteri trasmessi da geni collocati su cromosomi differenti. I geni situati su uno stesso cromosoma possono venire trasmessi anch’essi in maniera indipendente, qualora vengano casualmente separati dal crossing-over, oppure possono venire trasmessi insieme. In quest’ultimo caso si parla di caratteri associati. Più due geni sono vicini sul cro-mosoma, maggiore sarà l’associazione genica esistente tra essi. La probabilità che essi vengano separati da un evento di crossing-over è difatti bassa, mentre aumenta con l’aumentare della distanza. Il meccanismo della dominanza che è descritto dalle leggi di Mendel è uno dei siste-mi di trasmissione dei caratteri più semplici. In realtà, l’ereditarietà procede secondo modelli solitamente più complessi, che sono stati compresi soltanto molti anni dopo gli studi mendeliani. I caratteri possono essere infl uenzati da diversi tipi di interazioni tra alleli: se nessuno dei due alleli domina sull’altro, si parla di dominanza incompleta; se invece sono coin-volti più alleli dominanti, si parla di codominanza. I caratteri possono anche essere infl uenzati dall’azione di più geni:– nel caso vi sia una semplice somma di effetti si parla di ereditarietà poligenica;– nel caso invece l’effetto di un gene mascheri l’azione di un altro si parla di epistasi.

La pianta della generazione P con semi gial-li e lisci produce gameti che portano alleli RY. La pianta avente semi verdi e rugosi produce gameti che portano alleli ry.

La pianta della generazione F1 produce un quarto di gameti con gli alleli RY, un quarto con gli alleli Ry, un quarto con gli alleli rY e un quarto con gli alleli ry.

Le piante della generazione F2 mostrano quattro fenotipi differenti (causati da 9 genotipi diversi) in rapporto di 9:3:3:1.

gametifemminili

gametimaschili

RY

RY

rY

Ry

ry

RY

rY

Ry

ry

ry

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rryy

RRYY

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X

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gameti

1_4

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P

F1

F2

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UNITÀ 8. Le teorie sull’evoluzione

Dal creazionismo alla teoria dell’evoluzione Già dall’antichità, la varietà della vita sulla Terra e la sua origine sono state oggetto di studio da parte di fi losofi e scienziati. Fino alla metà del XVIII secolo l’opinione prevalente era che le specie fossero state create da Dio e fossero pertanto immutabili nel tempo. L’idea che la comparsa delle specie sia opera di un Creatore e perciò che esse siano perfette e immutabili è nota con il nome di creazionismo. Il pensiero creazionista do-minò la cultura occidentale per molti secoli. Più tardi gli studi compiuti in campo biologico e geologico portarono gradualmente all’affermazione dell’idea che le specie si evolvono, cioè cambiano nel tempo. Il primo tentativo di spiegare il meccanismo con il quale le specie evolvono si deve a Jean Baptiste Lamarck. Egli propose la teoria dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti. Lamarck era convinto che le specie cambiassero nel tempo e aveva intuito che i cam-biamenti fossero adattativi, cioè aumentassero le probabilità di sopravvivenza degli in-dividui nell’ambiente. Lamarck fu il primo scienziato che tentò spiegare come le specie cambiassero da una generazione all’altra evolvendo. Secondo Lamarck, gli esseri viventi hanno una tendenza innata a evolvere verso una complessità maggiore. Egli riteneva inoltre che gli organi degli animali potessero svilupparsi di più o di meno a seconda dell’uso. I cambiamenti avvenuti durante la vita di un organismo venivano quindi tra-smessi alle generazioni successive. Questo meccanismo evolutivo suggerito da Lamarck, noto come ereditarietà dei ca-ratteri acquisiti, si rivelò inesatto e fu soppiantato dalle tesi proposte da Darwin.

Le prove a sostegno dell’evoluzione Le prove a sostegno dell’evoluzione sono numerose e provengono da diversi campi di studio. Alcune evidenze sono di natura geologica: la documentazione fossile, per esem-pio, mostra come alcune specie siano cambiate nel tempo. Altre prove derivano dall’anatomia comparata, la disciplina che studia le analogie e le differenze tra le strutture anatomiche nei diversi gruppi animali.

Secondo la teoria dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti applicata all’evoluzione delle giraffe, un antenato di questi animali che possedeva un collo corto brucava le erbe della savana.

In seguito a un cambiamento ambientale, l’antenato delle giraffe inizia a brucare le foglie degli alberi, che si trovano più in alto, provocando uno stiramento e un allunga-mento del collo.

Per questa ragione, con il passare del tempo, le giraffe acquisiscono un collo più lungo rispetto ai loro antenati e lo trasmettono ai loro discendenti.

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UNITÀ 8. Le teorie sull’evoluzione

Le somiglianze anatomiche che accomunano specie differenti indicano infatti una di-scendenza comune. Per esempio, l’arto dei vertebrati, pur mostrando grandi differenze nella forma e nel-la funzione, è caratterizzato da un modello anatomico comune a tutti i gruppi. Gli arti anteriori degli uccelli e dei mammiferi sono costituiti dagli stessi elementi scheletrici.

Ulteriori conferme della teoria evolutiva vengono dall’embriologia comparata, cioè dal confronto tra gli embrioni dei vertebrati nei primi stadi del loro sviluppo: specie molto diverse mostrano fasi iniziali di sviluppo simili, come retaggio della loro storia evolutiva. Infi ne, anche la moderna biologia molecolare, supportata dai dati paleontologici, ha fornito una conferma della teoria evolutiva. I biologi molecolari hanno recentemente dimostrato che in due specie strettamente imparentate le sequenze di basi nel DNA e le sequenze di amminoacidi nelle proteine presentano una somiglianza maggiore rispetto a quelle di specie più lontane dal punto di vista fi logenetico. Mettendo in relazione il grado di somiglianza a livello molecolare tra due specie per le quali si conosce la data della separazione da un antenato comune, è possibile utiliz-zare alcune proteine come veri e propri orologi molecolari.

La teoria dell’evoluzione di Darwin La teoria dell’evoluzione delle specie è indissolubilmente legata al nome di Charles Darwin (1809-1882). Il naturalista inglese, infatti, fornì molte prove a sostegno dell’idea che gli organismi mutano nel tempo e propose la spiegazione del meccanismo con cui il cambiamento avviene. Secondo Darwin l’evoluzione delle specie procede con un meccanismo che può esse-re riassunto in quattro punti principali.

coccodrillo

uccello balena

radio

falangi

ossa del carpo

omero

ulna

pipistrelloessereumano

tetrapode ancestrale

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UNITÀ 8. Le teorie sull’evoluzione

1. Ogni popolazione tende a produr-re prole in eccesso, cioè un numero di discendenti superiore a quello che le risorse dell’ambiente in cui vive possono sostenere. La sovrapprodu-zione di prole ha come conseguen-za la lotta per la sopravvivenza tra i componenti di una stessa popola-zione. Quindi, per ogni generazione sopravvive solo una parte dei discen-denti. 2. Ogni popolazione mostra al pro-prio interno una notevole variabilità dei caratteri. Alcune caratteristiche si rivelano più favorevoli di altre, in quanto permettono all’individuo che le possiede di adattarsi all’ambiente e di sfruttare meglio le risorse natu-rali che ha a disposizione.3. Il diverso adattamento all’am-biente naturale dei membri di una popolazione si traduce in un successo riproduttivo differenziato. Il successo riproduttivo diversifi cato costituisce la selezione naturale, ritenuta da Darwin il meccanismo che sta alla base dell’evoluzione. 4. Le caratteristiche favorevoli che hanno permesso agli individui di una popolazione un miglior adattamento all’ambiente sono caratteri ereditabi-li, cioè vengono trasmessi alla prole. La selezione artifi ciale promossa dagli allevatori su alcune specie agi-sce allo stesso modo della selezione naturale, ma accelera e amplifi ca gli effetti sulle popolazioni.

C Le giraffe con il collo lungo si riproducono in misura mag-giore rispetto a quelle con il collo corto, in quanto sono meglio adattate all’ambiente in cui vivono.

D Le giraffe con il collo lungo trasmettono alla propria prole i loro caratteri. Dopo più generazioni la popolazione è composta da un numero maggiore di individui con il collo lungo.

A Secondo la teoria della selezione naturale applicata all’evoluzione delle giraffe, un antenato di questi animali che possedeva un collo corto produce una prole sovrabbon-dante.

B La popolazione di giraffe presenta al suo interno indi-vidui con una lunghezza del collo variabile. Gli individui con il collo più lungo iniziano a brucare le foglie degli alberi e trovano quindi nuova fonte di nutrimento. Gli individui con il collo corto non posso-no farlo.