27 GENNAIO 2009 S.MESSA nel Parrocchia S.Maria Assunta -Madonnetta di Sarcedo-

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27 GENNAIO 2009

S.MESSA nel

Parrocchia S.Maria Assunta

-Madonnetta di Sarcedo-

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27 GENNAIO : IL GIORNO della MEMORIA

Il 27 gennaio si celebra La Giornata della Memoria. E’ una giornata speciale, una giornata dedicata al ricordo della “Shoah”, lo sterminio del popolo ebraico. Una giornata per ricordare che tanti anni fa, durante la seconda guerra mondiale, milioni di uomini, donne e bambini sono stati perseguitati con le leggi razziali e poi strappati alla loro vita e portati nei lager da dove, solo in pochi sono tornati. E’ un pezzo agghiacciante della nostra storia ed è importante non dimenticarla

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Atto Penitenziale

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AUSCHWITZ

…..Scusa Signore ,se bussiamo alle porte del tuo cuore siamo noi….

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DEPORTAZIONE

Scusa, Signore, se chiediamo mendicanti dell’amore, un ristoro da Te….

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I LAGER

….Così la foglia quando è stanca cade giù…ma poi la terra ha una vita sempre in più…….

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…così la gente quando è stanca vuole Te.. e Tu, Signore,hai una vita sempre in più…sempre in più!

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Scusa, Signore ,se entriamo nella reggia della luce..…siamo noi…..

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Scusa Signore, se sediamo alla mensa del tuo corpo per saziarci di Te……

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Scusa ,Signore, quando usciamo dalla strada del tuo amore…siamo noi…

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Scusa, Signore, se ci vedi solo all’ora del perdono ritornare da Te…..

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2 Re 25, 1-7

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Salmo Responsoriale

• Ripetiamo insieme:

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Lungo i fiumi di Babilonia sedevamo in pianto ricordandoci di Sion.

Sospese ai pioppi di quella terra tenevamo le nostre cetre.

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Sì, là ci chiesero parole di canto quelli che ci avevano deportati, canzoni di giubilo quelli che ci tenevano oppressi:”Cantateci dei canti di Sion”.Come cantare i canti del Signore in terra straniera?

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Se mi dimenticassi di te Gerusalemme, s’inaridisca la mia destra;s’attacchi al palato la mia lingua, se non mi ricordassi di te; se non ponessi Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.

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Matteo 27, 39-50

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Lettura di un brano tratto dal romanzo

Di Elie Wiesel

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La notte 

Ho visto altre impiccagioni, ma non ho mai visto un condannato piangere, perché già da molto tempo questi corpi inariditi avevano dimenticato il sapore amaro delle

lacrime.Tranne che una volta. L'Oberkapo del 52° commando dei cavi era un olandese: un

gigante di più di due metri. Settecento detenuti lavoravano ai suoi ordini e tutti l'amavano come un fratello. Mai nessuno aveva ricevuto uno schiaffo dalla sua

mano, un'ingiuria dalla sua bocca. Aveva al suo servizio un ragazzino un pipel, come lo chiamavamo noi. Un bambino

dal volto fine e bello, incredibile in quel campo. (A Buna i pipel erano odiati: spesso si mostravano più crudeli degli adulti. Ho visto un giorno uno di loro, di tredici anni, picchiare il padre perché non aveva fatto bene

il letto. Mentre il vecchio piangeva sommessamente l'altro urlava: «Se non smetti subito di piangere non ti porterò più il pane. Capito?». Ma il piccolo servitore

dell'olandese era adorato da tutti. Aveva il volto di un angelo infelice). Un giorno la centrale elettrica di Buna saltò. Chiamata sul posto la Gestapo

concluse trattarsi di sabotaggio. Si scoprì una traccia: portava al blocco dell'Oberkapo olandese. E lì, dopo una perquisizione, fu trovata una notevole

quantità di armi. L'Oberkapo fu arrestato subito. Fu torturato per settimane, ma inutilmente: non fece alcun nome. Venne trasferito ad Auschwitz e di lui non si senti più parlare.

Ma il suo piccolo pipel era rimasto nel campo, in prigione. Messo alla tortura restò anche lui muto. Allora le S.S. lo condannarono a morte, insieme a due detenuti

presso i quali erano state scoperte altre armi.

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Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell'appello: tre corvi neri. Appello. Le S.S. intorno a

noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati incatenati, e fra loro il piccolo pipel, l'angelo dagli

occhi tristi. Le S.S. sembravano più preoccupate. Più inquiete del solito.

Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco. Il capo del campo lesse il verdetto. Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le

labbra. L'ombra della forca lo copriva. Il Lagerkapo si rifiutò questa volta di servire da boia.

Tre S.S. lo sostituirono. I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli

vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi. - Viva la libertà! - gridarono i due adulti.

Il piccolo, lui, taceva.

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- Dov'è il Buon Dio? Dov'e? - domandò qualcuno dietro di me. A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.

Silenzio assoluto. All'orizzonte il sole tramontava. Scopritevi! - urlò il capo del campo. La sua voce era rauca.

Quanto a noi, noi piangevamo. - Copritevi!

Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile:

anche se lievemente il bambino viveva ancora... Più di una mezz'ora restò così, a lottare fra la vita e la morte,

agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era

ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare:

- Dov'è dunque Dio? E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:

- Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca... Quella sera la zuppa aveva un sapore di cadavere.

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Canto: “C’eri tu alla croce di Gesù?”

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Primo Levi

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Nato nel 1919 a Torino, da genitori di religione ebraica, Primo Levi si diploma nel al liceo classico e si iscrive al corso di laurea in chimica presso la facoltà di Scienze dell’Università di Torino. . Comincia così la sua carriera di

chimico, che lo porta a vivere a Milano, fino all’occupazione tedesca: il 13 dicembre del '43 viene catturato e successivamente trasferito al campo di raccolta di Fossoli, dove comincia la sua odissea. Nel giro di poco tempo,

infatti, il campo viene preso in gestione dai tedeschi, che convogliano tutti i prigionieri ad Auschwitz. È il 22 febbraio del '44: data che nella vita di Levi

segna il confine tra un "prima" e un "dopo". L’autore è deportato a Monowitz, vicino Auschwitz, in un campo di lavoro i cui prigionieri sono al

servizio di una fabbrica di gommaPrimo Levi è tra i pochissimi a far ritorno dai campi di concentramento..

Quale testimone di tante assurdità, sente il dovere di raccontare, descrivere l’indescrivibile, affinchè tutti sappiano, tutti si domandino un perché, tutti

interroghino la propria coscienza: comincia a scrivere, elaborando così il suo dolore, il suo annientamento, il suo avventuroso ritorno a casa. .Tra le sue

opere ricordiamo “Se questo è un uomo” e “La tregua”.L’11 aprile del 1987 Primo Levi muore suicida. Dirà di lui Claudio Toscani:

«L’ultimo appello di Primo Levi non dice non dimenticatemi, bensì non dimenticate».

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Voi che vivete sicuriNelle vostre tiepide case;Voi che trovate tornando a seraIl cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomoChe lavora nel fangoChe non conosce paceChe lotta per mezzo paneChe muore per un sì e per un no . Considerate se questa è una donna,Senza capelli e senza nomeSenza più forza di ricordareVuoti gli occhi e freddo il gremboCome una rana d'inverno:

Meditate che questo è stato:Vi comando queste parole:Scolpitele nel vostro cuoreStando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi;Ripetetele ai vostri figli:O vi si sfaccia la casa,La malattia vi impedisca,I vostri cari torcano il viso da voi.

Primo Levi

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Etty Hillesum

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Etty Hillesum nasce nel 1914 in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica.

Ragazza brillante, intensa, con la passione della letteratura e della filosofia, si laurea in giurisprudenza e si iscrive quindi alla facoltà

di lingue slave; quando intraprende lo studio della psicologia, divampa la seconda guerra mondiale e con essa la persecuzione

del popolo ebraico.Durante gli ultimi due anni della sua vita, scrive un diario

personale che abbraccia tutto il 1941 e il 1942, anni di guerra e di oppressione per l’Olanda, ma per Etty un periodo di crescita e,

paradossalmente, di liberazione individuale.Seguendo quindi un proprio itinerario, Etty matura una sensibilità religiosa che da’ ai suoi scritti una grande dimensione spirituale e si avvia sulla strada del dono di sé a Dio ed ai fratelli, nel suo caso il popolo ebraico, la cui sorte sceglie di condividere pienamente.

Muore ad Auschwitz nel novembre del 1943.

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“Mio Dio, cercherò di non appesantire l'oggi con le mie preoccupazioni per il domani. Cercherò di aiutarti perchè tu non venga distrutto dentro di me.Tu non puoi aiutare noi, ma siamo noi a dover aiutare te, e così aiutiamo noi stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi. Sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi ad ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all'ultimo la tua casa in noi”.

Cfr da Etty Hillesum

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Elisa Springer

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Elisa Springer è nata a Vienna nel 1918 , in una famiglia di commercianti di origine ungherese . E' sopravvissuta ad

Auschwitz e altri lager nazisti come Berger, Belsen e Therezin . Dopo essere stata liberata, nel Maggio del 1945, nel 1946, si

trasferisce in Italia in provincia di Taranto.. Dopo aver dovuto tenere nascosta per decenni la sua vicenda di

ebrea perseguitata, scrisse, con l’aiuto del figlio medico, Silvio, la sua autobiografia, «Il silenzio dei vivi». E’ morta a Matera nel 2004.

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Io,Elisa Springer, ho visto Dio. Nel fumo di Birkenau , che alzava al cielo il dolore del mondo, e spergeva sulla terra l’odore acre della sofferenza. Ho visto Dio. Ho visto Dio, percosso e flagellato, sommerso dal fango, inginocchiato a scavare dei solchi profondi sulla terra, con le mani rivolte verso il cielo, che sorreggevano i pesanti mattoni dell’indifferenza. Ho visto Dio dare all’uomo forza, per la sua disperazione, coraggio alle sue paure, pietà alle sue miserie, dignità al suo dolore. Poi lo avevo smarrito…insieme al mio nome, diventato numero sulla carne bruciata, inciso nel cuore con l’inchiostro del male, e scolpito nella mente, dal peso delle mie lacrime. Ho ritrovato Dio mentre spingeva le mie paure al di là dei confini del male e mi restituiva alla vita, con una nuova speranza: io ero viva in quel mondo di morti. Dio era lì, che raccoglieva le mie miserie e sollevava il velo delle mie oscurità. Era lì, immenso e sconfitto, davanti alle mie lacrime.

da “Il silenzio dei vivi”

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Elie Wiesel

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Elie Wiesel nacque nel 1928, in un villaggio all'epoca in territorio ungherese, attualmente in Romania.

Nell'estate del 1944 Elie Wiesel, i genitori e le tre sorelle, furono deportati, insieme a tutti gli ebrei della zona, nel campo di

sterminio di Auschwitz.Al loro arrivo il sedicenne Wiesel e suo padre furono selezionati per i lavori pesanti e inviati nella fabbrica di gomma del vicino

villaggio di Buna.Lui e suo padre riuscirono a sopravvivere fino al gennaio 1945, quando i sovietici si avvicinarono ad Auschwitz e il

campo fu rapidamente evacuato.Padre, madre e la sorella più piccola, non riuscirono a

sopravvivere agli ultimi mesi di prigionia.Viene trasferito in Francia, in un orfanotrofio. Dopo pochi anni, nel

1949, si iscrive alla Sorbonne a Parigi. Incomincia un carriera giornalistica collaborando con riviste e giornali francesi.Vive

attualmente a Boston ..

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“ Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai “.

Elie Wiesel "La notte “

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Offertorio

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Consacrazione

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Padre Nostro….

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Il segno della pace…..

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Testimonianza di Stefania sul suo Pellegrinaggio ad

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Tutti noi sappiamo, cos’è accaduto ad Auschwitz e in tutti gli altri campi di sterminio che noi oggi vogliamo ricordare nel giorno della memoria. Ma perché?Perché un uomo di nome Hitler considerava il popolo ebreo una razza inferiore? Perché doveva a tutti i costi essere annientata?A queste domande hanno potuto rispondere solo i pochi sopravvissuti che con grande coraggio hanno gridato al mondo e a una generazione che non sapeva niente, tutto il loro dolore.Ora il mondo sa, e vuole ricordare proprio per non dimenticare.Il mio desiderio di andare a visitare quei luoghi si è avverato lo scorso agosto.Vi posso assicurare che non è stato per niente facile; sentirne parlare è un conto, ma varcare il cancello del primo campo di sterminio con la scritta “il lavoro rende liberi”, è stato devastante per il cuore e la mente.

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Arrivati al campo, il sole cominciava a scaldarci, c’era ad attenderci una guida che ci ha fornito delle cuffiette e ci ha raccomandato di fare silenzio in rispetto del luogo.Al di là della rete vedevo tanti stabili costruiti con piccoli mattoni rossi, e mi chiedevo: tutto qua?Magari fosse stato tutto lì! Ancora pochi passi ed ero all’interno del campo.L’aria si fece tesa, pesante, e il sole non ci riscaldava più.

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La guida cominciò a descriverci tutti gli orrori, le persecuzioni che hanno dovuto subire i deportati; in quei cortili arrivarono a migliaia e subito venivano smistati : uomini che potevano servire venivano risparmiati, giovani donne venivano sottoposte ad esperimenti scientifici che di scientifico non avevano davvero niente, mentre anziani e bambini venivano avviati verso le “camere a gas”, e poi i loro corpi gettati e bruciati nei “forni crematori” per cancellarne tutte le tracce.Che posto maledetto !!Stanze piene di scarpe, scarpette, montagne di capelli, occhiali, pigiami e oggetti a loro cari.Appesi alle pareti, file interminabili di fotografie di uomini con gli sguardi persi nel vuoto. Niente sorrisi, niente battiti di cuore che sussultano di emozioni, niente gioia, ma solo disperazione, odio, dolore, lacrime. . .non più vivere ma sopravvivere.Prima di fare questo viaggio,mi ero preparata con cura un pezzo di stoffa bianca, scrivendo “per non dimenticare”. Lo volevo deporre a nome mio e di tutti i giovani della nostra parrocchia, sul “muro della morte”, ma trovandomi davanti le mie mani iniziarono a sudare, e stringendo forte quel pezzo di stoffa mi emozionavo sempre di più, allora mia mamma e Michela l’ hanno deposto per tutti noi.

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Ci hanno spiegato che con il passare del tempo, Auschwitz era diventato insufficiente per contenere tutte quelle persone, diventate ormai solo numeri per la macchina di sterminio del reich. I tedeschi allora fecero costruire un campo molto più grande: Birkenau, un’immensa distesa con tantissime baracche in legno, dove la sopravvivenza era a dir poco disumana. Tutto questo era una vera fabbrica della morte da cui il nome Shoà (sterminio), il peggior genocidio che sia mai avvenuto al mondo. Furono circa sei milioni i deportati e circa sei milioni i morti.Attorno a me tanti volti increduli e occhi pieni di lacrime. Come è potuto accadere?Il mio ultimo sguardo prima di uscire si è soffermato nuovamente su quel cancello e su quella scritta; pensando a tutti quei sogni, a tutte quelle speranze infrante e a quelle povera gente, la quale libertà la potevano trovare solo attraverso la morte.Solo così potevano essere finalmente liberi!Purtroppo ancora oggi nel mondo si fanno le guerre e si continua a morire di fame, per l’ egoismo di chi ha il potere, ma noi giovani possiamo cancellare questo male, attraverso la cultura, il rispetto, il dialogo e l’ amicizia, e con il sorriso di chi sa amare e rispettare la vita !

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“A Birkenau, il Portone della morte, non si richiuderà più sulla memoria, il binario che l’attraversa, non si fermerà più sulla rampa, ma si frantumerà, disperdendosi, davanti all’altare delle coscienze e

della conoscenza, davanti ai ceri della preghiera e ai fiori del riscatto.

Lì, in quel punto, si incontreranno i giovani liberi, i ragazzi della pace, e lì ad Auschwitz-Birkenau, dalle ceneri sparse fra le zolle, continuerà

a nascere la nostra vita!”

Elisa Springer: “Il silenzio dei vivi”

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"Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e i suoi discendenti per portare il tuo Nome fra i popoli. Siamo profondamente rattristati per il comportamento di coloroche nel corso della storia hanno provocato sofferenze a questi tuoi figlie chiedendo il Tuo perdono vogliamo impegnarci in una fratellanza sincera con il popolo dell'Alleanza"

La preghiera di papa Giovanni Paolo II al muro del pianto