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24 - Nino Rota

Per conoscere ‘tutta’ la musica del compositore Nino Rota

UN amico magico

Certo, di strada se ne è fatta tanta e Rota stessosarebbe lietissimo nel vedere che in quasi tutti

i negozi di musica abbondano ormai spartiti ed in-cisioni delle sue opere, cosa che in vita non ebbe lagioia di vedere, eccezion fatta per le solite colonnesonore che lo hanno reso famoso ma che in passatoquasi ne hanno occultato la produzione più impor-tante, quella che lui considerava la ragione stessadel suo lavoro di compositore, e pare che final-mente i beckmesser e i bidelli di Darmstadt stianoperdendo il vecchio potere assoluto di esaltare odumiliare secondo dictat ideologici, tanto stiticiquanto filosoficamente meno plausibili di quelloche andavano rivendicando. Il verbo dell’incomu-nicabilità e dell’autoreferenzialità sembrerebbe

ormai destinato ad entrare negli scantinati dellevecchie cose smesse e poco usate e rientrano incampo le cose costituite di buona materia-primabene adoperata. In sostanza sono crollate misera-mente le rodomontate dello snobistico ignorarel’indifferenza dell’uditorio reale (certo non quellodegli addetti ai lavori o dei piduisti delle nuoveconsonanze e delle dame di carità del dopo-vienna), degli ascoltatori attenti ed amanti dellabuona musica che da un certo momento in poi nonsono riusciti ad assimilare le nuove proposte, purabituati alle novità di Stravinsky o Prokofiev nonaltrimenti che di Bartok o Copland o Shostakovicho Britten e via discorrendo. L’ostracismo di re-gime, intollerante e supponente con cui, con la pro-

I trent’anni trascorsi da quando Nino Rota ci ha lasciato (1979) sono volati. Fra un anno (2011) si ricorderà il primo centenario della sua nascita; in tale pros-

sima ricorrenza per la prima volta si getta uno sguardo sistematico sulla sua pro-duzione musicale, nell’intento di tracciare un profilo il più completo possibile delmusicista. Mentre è in uscita il catalogo delle sue opere e si confida sul coinvolgi-mento di Riccardo Muti, scoperto da Rota, nell’opera di rivalutazione critica della

sua opera, compresa quella cinematograficadi Nicola Scardicchio

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tezione anche di illustri esecutori e mentori, certamusica veniva aprioristicamente rifiutata in favoredi quell’altra, ben altrimenti allineata ed obbe-diente, ha fatto per troppo tempo strage di autoricome Casella o Malipiero, Castelnuovo-Tedesco,Pizzetti, Britten, Barber, per non dire che dei primiche ci vengono in mente. E la persecuzione ha cer-cato di soffocare le voci dei più recenti Rota, Ger-vasio, Ghedini ed altri ancora, colpevoli dicomporre musica in cui la modernità del linguag-gio non si autoesibisce e, soprattutto non irrita e di-sorienta anche l’ascoltatore esperto, che alla lungaresta esasperato dai bizantinismi di chi esprime co-stantemente l’incapacità di esprimersi, un’afasialinguacciuta e petulante che si autocelebra in festi-val e laboratori in cui non si elaborano, come sa-rebbe giusto, nuovi materiali, ma si autoeleggononuovi santi-vergini-martiri. I successi cordiali dipubblico che accompagnavano le esecuzioni dellamusica di Rota e degli altri “reietti” a loro voltaisterizzavano i talebani del nuovo a tutti i costi,che, apparentemente ed ufficialmente disinteressatiall’apprezzamento della fruizione, vedevano cosìmortificato il loro ego supponente e la loro vanitàpseudo-intellettuale.Certo a Nino Rota dispiaceva sentirsi accusare dipassatismo: da bambino suonava e studiava con at-tenzione le musiche di Stravinsky (che frequentò econ cui ebbe una fitta corrispondenza, andata pur-troppo perduta nell’incendio di casa Rota durante ibombardamenti milanesi della seconda guerramondiale) come perfino quelle di Satie, autorescandaloso all’epoca e sconsigliato ai giovani al-lievi in quanto potenziale rovinatore dell’orecchioe del gusto musicale. E solo al critico sordastro opartigianamente in mala fede la musica di Rota po-teva sembrare semplicemente tonale: le più com-plesse soluzioni linguistiche nelle opere delmusicista non sono mai esibite in quanto tali el’ascolto agevole e sempre comprensibile mette aproprio agio l’ascoltatore esperto quanto il meno

accorto. Ma che la facilità dell’ascolto corri-sponda al semplicismo delle tecniche compo-sitive è una reale idiozia. E anche quandoRota si allinea alla concezione chiaramente tonale,sempre lo fa in modo originale, personale, “croc-cante”, mai stolidamente ripetitivo, con una capa-cità di utilizzare il vecchio linguaggio in modo resoattuale dall’attualità dei contenuti. Dicevano gli an-tichi: rem tene, verba sequuntur, e davvero se si haqualcosa da dire verranno anche le parole giuste, sesi possiedono i ferri del mestiere. E Rota ne aveva,e solidissimi. Contrappuntista abilissimo, come di-mostrano innumerevoli tratti delle sue opere (bastipensare al quadruplo canone mensurale nella fugaBibebant nell’oratorio Mysterium), le straordinariecapacità tecniche del musicista si manifestano nellepagine musicali in forma di variazione. E non si di-mentichi che i più grandi musicisti sono statigrandi autori di variazioni.Come sempre accade presso i veri “autori”, i crea-tori genuinamente fecondi, anche in Rota alla mae-stria si accompagnava una modestia esemplare.Mai si sarebbe sentito Rota pontificare cattedrati-camente, pur considerando che nelle sue opinioniera solidamente strutturato, anche grazie ad unastraordinaria e profondissima cultura filosofica eletteraria. Rota si esprimeva disinvoltamente in in-glese, francese, tedesco, spagnolo e russo, padro-neggiava latino e greco antico ed aveva nozioninon superficiali di ebraico biblico e riusciva a tra-durre con una certa facilità i geroglifici egizi. Maquesta vastità di interessi e di cultura non intaccòmai la semplicità della personalità del maestro, ecerto si trattava di una semplicità conquistata, noncerto della leggerezza del bagaglio culturale, purmai esibito ma sempre adoperato come strumentorealizzatore di cose concrete musicali e non. At-tento indagatore di ciò che attiene allo spirito conatteggiamento laico e scevro da misticismi chiesa-stici, ma intimamente alla ricerca dei significati ul-timi della natura dell’Uomo, Rota della cultura

Se mi daNNo del ciNematografaro, NoN mi offeNdo

"Non credo a differenze di ceti e di livelli nella musica. Secondo me, la differenza fra musica 'leggera','semileggera', 'seria', è del tutto fittizia. Le musiche di Offenbach, che ormai sono vicine ai 150 anni,saranno leggere fin che si vuole, ma di una leggerezza che dura nel tempo e ha una formidabile vitalità.Mentre c'è molta musica della stessa epoca che, rispettabilissima, erudita e serissima, ci rompe le sca-tole e basta! Il termine 'musica leggera' si riferisce solo alla leggerezza di chi l'ascolta, non di chi l'hascritta. E, in fondo, la leggerezza dell'ascolto è una specie di immolazione della propria presunzione auna facilità degli altri di ascoltare. Per questo non mi offendo, quando mi danno del 'cinematografaro':musica per film o altra musica, vi metto sempre lo stesso impegno. E' diverso soltanto ilterritorio tec-nico in cui mi muovo". Nino Rota

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CINEMA

La musica per il cinema, innanzitutto. Sarebberidicolo, oltre che fuorviante ed inesatto, ri-

durre l’importanza di questa produzione di Rota,non diversamente da quanto sarebbe il continuare aparlarne come di quella fondamentale a cui le altre

opere farebbero da singolare pendant.Più volte il Maestro ebbe a dire che le esigenze, inordine ai tempi di realizzazione ed alla necessità di

adeguarsi al linguaggio del regista di turno (e que-sto valeva, ovviamente, anche per quanto riguar-dava le musiche per il teatro, la radio e latelevisione), avevano costituito per lui un eserciziodi concretezza e velocità che avevano positiva-mente informato di sé anche l’altra produzione.Pertanto, sia pur senza indugiarvi troppo, vale lapena di considerare la collaborazione integrale conFederico Fellini, dallo Sceicco Bianco (1952) aProva d’orchestra (1978), con la sola eccezione

aveva la considerazione del serbatoio costituitodalle migliori riflessioni artistiche, letterarie e filo-sofiche partorite dall’intelligenza umana, un serba-toio da cui attingere per approfondire laconoscenza di se stesso che ogni essere intelligentedovrebbe kantianamente perseguire, alla ricerca diuna verità non fine a se stessa ma mezzo per la rea-lizzazione di quella divinizzazione di noi stessiche, a dirla con Platone, si conquista con la gnosis,una conoscenza che trascende qualsiasi limite epregiudizio.È assolutamente da sciocchi e disinformati pensareche un uomo di tale conformazione filosofica po-tesse essere un semplice tradizionalista incapace dinuove e trasgressive affermazioni musicali. Al con-trario proprio l’aver battuto fin da bambino le vie

più nuove della musica aveva reso Rota immune dacomplessi di sorta e capace ben presto di immagi-nare quali sarebbero stati i progressivi naufragi oinseccamenti delle scelte fatte al tavolino invece-che sul campo. E se gli dispiacque essere ingiusta-mente stigmatizzato, lo confortò la stima dimusicisti comunque seriamente impegnati e prepa-rati come Luciano Berio o Luigi Dallapiccola, Gof-fredo Petrassi e Bruno Maderna, spesso impegnatinell’esecuzione della sua musica; ma ancor più eral’amore dei pubblici più disparati che confermaRota che quella strada era giusta, come tutte lestrade che comunque portano da qualche parte: eRota era convinto che ognuno dovesse poi indivi-duare e percorrere con i propri mezzi la propriastrada.

UNo SgUardo alla prodUzioNe di rota

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del breve episodio Agenzia matrimoniale nel filmcollettivo L’amore in città, commentato dal compe-tente Mario Nascimbene. Fu di fatto una collaborazione che oltre a costituireuna prestigiosa pagina della storia del cinema e delrapporto tra regista e musicista nel cinema italianoe mondiale della seconda metà del novecento, è unesempio di vera e propria simbiosi. Non per nienteda La città delle donne in poi la presenza della mu-sica nei lavori del regista riminese non ebbe quellapregnanza e quel significato poetico e ritmante chein film come La strada (1954) o 8 e ½ (1963) oGiulietta degli spiriti (1965) era diventato paradig-matico ed assoluto.E la collaborazione con Luchino Visconti per Le

notti bianche (1957), Rocco e i suoi fratelli (1960)e Il Gattopardo (1963) oltre a significative produ-zioni teatrali (memorabili le musiche per il goldo-niano Impresario delle Smirne (1957) o perl’Arialda di Giovanni Testori spettacolo che nel1960 scatenò una feroce reazione censoria), si tra-dusse in alcuni autentici capolavori che restano trale massime realizzazioni del genere.Accanto alle fortunate esperienze di Guerra e Pace

di King Vidor (1956) o dei film shakespeariani diFranco Zeffirelli La bisbetica domata (1967) e so-prattutto Romeo e Giulietta portato al cinema nel1968 dopo le fortunatissime esperienze teatrali in-glese ed italiana, senza trascurare i lavori per il ci-nema di Eduardo De Filippo o di Luigi Zampa,Renato Castellani o Mario Monicelli, sarà il casodi riferirsi alla sapida collaborazione con LinaWertmüller per il cinema ma soprattutto per lo sto-rico sceneggiato a puntate televisivo Il giornalino

di Gian Burrasca che nel 1964 consegnò Rota allacelebrità presso un pubblico ancor più vasto e sen-sibile quale quello dei bambini, che cantavano asquarciagola e dovunque la celeberrima Pappa col

pomodoro com’anche l’inno dei collegiali congiu-ranti Siam tutti per uno, con tanto di fischio e bum.E quanti critici “dalle nari troppo sollevate daterra” - come Rota ebbe a chiamarli – stigmatizza-rono la facilità delle tante canzoni, invero spessoraffinatissime e tutt’altro che banali, che il musici-sta compose sui versi bellissimi e croccanti dellageniale regista per quel loro musical televisivo.

TEATRO MUSICALE

L’esser nato a Milano da una famiglia dellabuona borghesia con una genealogia musicale

prestigiosa di parte materna costituì decisamenteuna partenza agevolata per un fanciullo tanto do-tato ed insieme capace di costante e tenace applica-

zione al pur severo studio della musica. ENino, senza mai venir meno ai suoi doveri discolaro intelligente e vivace, potè frequentareil teatro alla Scala, anche in virtù dell’amicizia deisuoi genitori con Arturo Toscanini. E sempre conimmutato entusiasmo e commozione Rota ricor-dava le emozioni seguite alle rappresentazioni delmussorgskiano Boris Godunov o del Pèlleas et Mè-

lisande di Debussy ma, soprattutto del Parsifal diWagner e della prima assoluta (aprile ’26) dellapucciniana Turandot, alla cui prova generale assi-stè nel palco dei Visconti insieme al ventenne Lu-chino che studiava il violoncello ed era per questoin confidenza già da allora con Nino.I frutti della frequentazione del teatro d’operagiunsero presto: a soli quattordici anni il ragazzoscrisse libretto e musica per un’opera tratta dallafavola di Andersen Il principe porcaro. L’operanon venne eseguita mai vivente l’autore e solo nel2003 il Teatro La Fenice di Venezia provvide aproporne la prima esecuzione. Purtroppo non fueseguita nella stesura orchestrale redatta dal giova-nissimo compositore, essendo andata “smarrita”(sic!) la partitura manoscritta, forse “prelevata” daqualche collezionista senza scrupoli. Alla strumen-tazione ho personalmente provveduto su incaricodella Fenice, dietro suggerimento dei dirigenti delsettore musicale della Fondazione Giorgio Cini,presso la quale è depositato il Fondo Rota, accu-dito e gestito da un comitato tecnico di cui mionoro di essere uno dei componenti, sotto l’egidadi Giovanni Morelli e la presidenza onoraria diRiccardo Muti. Quello che non solo io stesso nelpor mano alla strumentazione ho constatato diretta-mente, ma che è stato rilevato da tutti coloro chehanno potuto ascoltare questo primo lavoro operi-stico di Rota, sono gli strumenti compositivi e lacompetenza nell’uso delle voci e nella struttura-zione drammaturgia del giovanissimo autore. Lostesso stile armonico e contrappuntistico sonomolto avanzati, certamente sensibili alle più recentiformulazioni linguistiche stravinskiane. Non si di-mentichi che il giovanissimo Rota trascorreva conla famiglia le sue vacanze a Ventimiglia e che ognimattina prendeva il trenino che lo portava a Monte-carlo, dove alla stazione trovava ad aspettarlo IgorStravinsky stesso, con cui trascorreva l’intera gior-nata.Solo nel 1938, ormai sistematosi in Puglia dopo laparentesi di studi di perfezionamento al Curtis In-stitute di Philadelphia [i], Rota, dopo un’attività es-senzialmente dedicata alla composizione di musicada camera, ritornò al teatro d’opera con un melo-dramma su libretto di Ernesto Trucchi tratto dal-

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l’Orlando Furioso dell’Ariosto.L'opera, in tre atti e quattro parti, fu terminata nel-l'autunno del 1942 e nello stesso anno venne inse-rita per volontà del sovrintendente Bindo Missirolinel cartellone della stagione del Teatro delle Novitàdi Bergamo, che venne trasferita a Parma per man-canza di fondi (assorbiti dalla Stagione d'Opera"extra" tenutasi alla Scala e al Reale di Milano aiprimi di ottobre) ed anche per paura delle frequentiincursioni aeree su Bergamo. La prima rappresen-tazione di Ariodante fu fissata per il 18 novembredel 1942 ad apertura della stagione lirica parmensedel Regio. Malauguratamente l'esecuzione venneinterrotta proprio da un'incursione aerea non ap-pena calato il sipario sul primo atto; si dovette cosìattendere la seconda rappresentazione, fissata il 20novembre per assistere all’esecuzione completa . Ariodante, concepita durante il periodo tarantino ecompiuta negli anni della guerra, è un'opera gran-diosa e magniloquente, un melodramma d’im-pronta ottocentesca, con arie, duetti, cori,concertati, scene spettacolari e sonorità piene. [ii]Nel 1943 Rota completa la composizione della suaterza opera lirica Torquemada, in quattro atti, an-cora su libretto di Ernesto Trucchi, tratto dalla tra-gedia omonima di Victor Hugo.Il tema centrale dell'opera, ambientata in epocacontroriformistica, è il potere: quello politico, dicui si serve il re per piegare alle sue voglie la fan-ciulla di cui è invaghito; quello religioso, ancorapiù pericoloso, impersonato dal Grande InquisitoreTorquemada, convinto per cieco fanatismo dellanecessità di dover redimere l'uomo dal peccato at-traverso il sacrificio del corpo per la salvezza del-l'anima. L'opera fu tenuta nel cassetto per ben quarantatre

anni e venne rappresentata per la prima volta solonel 1976 nel corso della stagione lirica del Teatrodi San Carlo di Napoli. Anche per questo lavoro sirinnovò la consueta frattura tra il giudizio della cri-tica, imbarazzata dall'ascolto di questo "suo giova-

nile e sanguigno revival del melodramma", ed ilpubblico entusiasta.Ulteriore contributo al teatro musicale è la comme-dia lirica in un atto I due Timidi. Presentata al Pre-mio Italia 1950, l'opera era stata concepitaoriginariamente per l'esecuzione radiofonica, il chespiega la presenza in "primo piano" del ciabattino-narratore in assenza di azione scenica. La vicendanarra di due timidissimi giovani innamorati i qualinon riescono a comunicare i reciproci sentimenti efiniscono, per colpa di un equivoco, per sposarepersone che non amano. La loro segreta passione,soffocata dalla timidezza, si trasforma in reciprocainsofferenza. L'opera, nella produzione rotiana rap-presenta quel che può essere per Puccini La Bo-

héme, tanto i sentimenti e le malinconie, i sottiliumorismi e le amarezze, i richiami realistici ed ilbozzettismo più accurato appaiono armonizzati inalterna, dolcissima, romantica cadenza.Nel panorama della musica contemporanea sonopoche le opere teatrali che hanno avuto successotale da essere rappresentate con ampia frequenzanel corso delle stagioni liriche di tutto il mondo.Tra queste figura Il Cappello di paglia di Firenze.L'opera in quattro atti su libretto di Nino Rota, dalvaudeville omonimo di Eugéne Labiche, era statascritta "quasi per gioco" da Rota tra il 1944 e il1945, nel corso di due estati e, successivamente,abbandonata in un cassetto per dieci anni, tanto cheRota diceva che aveva dimenticato di averla com-posta. Fu un suo amico, il Maestro Simone Cuccia

(direttore artistico del Teatro Mas-simo di Palermo) a cui il musicistaaveva fatto sentire l'opera nel '45, ainserire, quasi ad insaputa dell'autore,Il Cappello di paglia nel cartellonedella stagione lirica del 1955, costrin-gendo Rota a riprendere in esame ilvecchio abbozzo buttato giù a matitae a ‘sistemare‘ l'opera per la primarappresentazione al teatro palermi-tano fissata nell'aprile di quell'anno.[iii] La trama intricata ed esilarante dellapochade di Labiche, propone, in uncrescendo comico irresistibile, situa-zioni sempre più paradossali e ritmisempre più frenetici fino ad un se-reno e rasserenante finale in cui ven-giorgio Strehler, Nino rota, Nino Sanzogno

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gono chiariti e risolti tutti gli equivoci.Nella musica de Il Cappello di paglia, scritta colsorriso sulle labbra, per divertimento e per il pia-cere di cimentarsi in "un'opera buffa, comica,

quasi operettistica" (Rota), riecheggiano esplicita-mente, filtrati da un gusto raffinato e magistrale, imodi propri del linguaggio musicale del passato,da Donizetti a Rossini (ad esempio, tra l’altro, peril concertato finale del III atto), a Offenbach (nellasillabazione rapida e nelle espressioni icastiche ecaricaturali), alla musica da "Café Chantant", adarmonie tipicamente pucciniane, a richiami ver-diani. Da questa utilizzazione non irriverente, maallegra, gioviale e disinvolta degli stilemi del pas-sato, perfettamente riconoscibili pur nel loro abiletravestimento, nasce la comicità della musica chesi adatta con naturalezza alla farsesca macchina

teatrale del vaudeville di Labiche.In occasione del Festival di Spoleto del 1959, perla sezione Fogli d’album, Mario Soldati scrisse unbreve e vivace bozzetto teatrale intitolato Scuola di

guida, un divertente duetto scenico tra un apparen-temente rigido ingegnere istruttore ed una sventatae sensuale allieva: alla fine la strana coppia, dopobattibecchi, chiacchiere ed un piccolo incidente, siscopre imprevedibilmente innamorata. La musicadi Rota, frizzante ed ammiccante, interpretò perfet-tamente il delizioso idillio che, con la regia diFranco Zeffirelli e la direzione di Carlo Franci,piacque moltissimo al sofisticato pubblico spole-tino. Sempre nel 1959 Rota compose altre due operineradiofoniche, Lo scoiattolo in gamba e La notte

del nevrastenico. La prima è una favola musicalein un atto e quattro quadri, il cui libretto è statoscritto da Eduardo De Filippo, elaborando un temascolastico della figlia Luisa. L'opera venne rappre-sentata poi per la prima volta in forma scenicapresso il Conservatorio Niccolò Piccinni di Baridagli allievi dello stesso istituto nel 1973. La notte

di un nevrastenico è un dramma buffo in un attosul significativo libretto di Riccardo Bacchelli. Latrama "sceneggiata con molta arguzia" (Eugenio

Montale [iv]), presenta con un senso dell'iro-nia anche un po' amaro, un tipico personaggiodell’agitata epoca moderna, un ricco nevraste-nico malato d'insonnia. Con questo lavoro Rota ot-tenne un riconoscimento importante, il PremioItalia 1959. L'opera fu rappresentata in forma sce-nica nel '60 alla Piccola Scala ottenendo un vivis-simo successo come è stato ricordato da un criticod'eccezione, appunto Eugenio Montale, che volleevidenziare il merito di Rota "vero poeta umori-sta": "Solo, o quasi solo, tra gli odierni composi-

tori teatrali egli si preoccupa di far sentire le

parole anche quando dal recitativo si alzano le vo-

lute della melodia." [v]Tra il '63 e il '65 Rota si dedicò alla composizionedi una tra le sue opere più significative per l'espres-sione musicale così semplice, naturale e spontanea

e, ancora di più, per i profondi valori simbolici, al-legorici ed esoterici in essa racchiusi: Aladino e lalampada magica, opera rappresentata per la primavolta al teatro San Carlo di Napoli nel gennaio del'68. L'interesse per la letteratura favolistica è sem-pre stato presente nella produzione di Rota, e per-ciò il progetto di una fiaba musicale, suggerito aRota da Vinci Verginelli (autore del libretto del-l'opera) fu accolto dal musicista come un dono,perché la storia di Aladino gli offriva la possibilitàdi trattare "quegli elementi che da tempo, forse da

sempre, cercavo per un'opera teatrale in musica:

nel tessuto leggero e, apparentemente "disimpe-

gnato" della favola... Ma nella favola orientale gli

elementi perenni del mito si occultano e quasi non

si avvertono attraverso lo scorrere sempre sor-

prendente del racconto, che sembra invitare più al

trattenimento e al divertimento che non alla medi-

tazione. Questa qualità, conservata fedelmente dal

poeta nella stesura del libretto, è forse la caratteri-

stica che più mi ha attratto e mi ha persuaso alla

realizzazione dell'opera". [vi]La Visita Meravigliosa, scritta tra il '65 e il '69 sulibretto di Rota stesso, dopo la prima rappresenta-zione al Teatro Massimo di Palermo nel '70, l'operaha avuto molte altre esecuzioni ed un’incisione di-

disegno di federico fellini

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scografica per la direzione di Giuseppe Grazioli,edita nel '93 da LA BOTTEGA DISCANTICA. Èla storia di un angelo caduto sulla terra, dove vieneaccolto con indifferenza e ostilità perfino dagli uo-mini di chiesa, tutti incapaci di accettare la diver-sità dell’ospite, presto stigmatizzato ed emarginatoinsieme al protagonista dell’opera, un reverendo

protestante che invece accetta di affrontare l’in-quietudine ed i dubbi che anche in lui genera il sin-golare ospite.Ultima produzione di Nino Rota per il teatrod’opera fu la discussa Napoli milionaria, compostatra il 1973 ed il 1977, sul libretto che Eduardo DeFilippo aveva tratto dalla sua celebre commediaomonima del 1945. Ma ora la commedia si eravolta in tragedia: un finale pessimistico e sconfor-tato mette termine alla vicenda con l’affermazioneche “la guerra non è finita, non è finito niente!” Lasperanza di un domani più felice, una volta passata“ ’a nuttata”, è stata tradita dai fatti: una desolantebarbarie (già nel 1977!) è il panorama morale chefa da sfondo ad un’umanità sempre più umiliata edegradata. Presentata come inaugurazione del XX Festival deiDue Mondi di Spoleto e trasmesso in diretta ed inmondovisione il 22 giu gno del 1977, l’opera subìun assalto fin troppo previsto: alle accuse di svoltaa sinistra del festival spoletino si affiancaronoquelle della critica, scandalizzata non solo, more

solito, dallo stile rotiano, ma adesso anche dal fattoche il musicista avesse “osato” musicare un tale ca-

polavoro del teatro del novecento. Sulla questionemusicale è inutile ripetere ancora quanto finoraspesso riferito: basterà dire che il successo di pub-blico fu entusiastico, con vere e proprie ovazioniagli autori ed al cast di prim’ordine dello spetta-colo. Ciòche allora, ma ancor più oggi, con uno sguardo

reso più equilibrato dal trascorrere del tempo, sem-brò e sembra grottesco, fu l’atteggiamento di co-loro che accusavano Rota delle manomissioni delplot narrativo e di una reale impronta più plebeache popolaresca della lingua. A nessuno venne in mente che sarebbe stato piùcorretto e leale osare una dichiarazione in tal sensoriferita all’autore del testo stesso, che, a torto o aragione, talvolta forzando la mano al compositore,aveva scelto quelle soluzioni di lingua e di ordituradella sua nuova formulazione del dramma. Ma criticare Eduardo richiedeva una tempra che acerti individui spesso manca. E cosìattaccarono il più isolato Rota, evidente-mente non difeso da chiesuole e campanili, ma sal-damente fermo nelle sue convinzioni.

GRANDI OPERE CORALI

Fin da bambino Nino Rota fu sensibile al tra-scendente e quando nel 1922 il poeta e filosofo

Silvio Pagani don al ragazzo un libretto per un ora-torio intitolato L’infanzia di San Giovanni Battista,il santo di cui il giovanetto portava il nome, si eb-

curriculum autografo di Nino rota. prima pagina

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bero i primi singolari frutti del suo talento. Dapoco era mancato il padre Ercole e Nino restò affa-scinato e convinto dal bel testo del Pagani, ele-gante ed insieme adatto alla giovane età deldedicatario. Egli mise in musica l’oratorio per soli,coro e orchestra, che ebbe ben presto un’esecu-zione pubblica per l’interessamento del maestroAlessandro Perlasca il 21 aprile 1923 nella saladell’Istituto dei Ciechi di Milano sotto la direzionedel maestro Chiesa.Tra le numerosissime proposte di ripresentarel’opera venne accettata solo quella “ di un certo

Charles Wattinne … direttore dei famosi cori della

cattedrale di Turcoing. Egli … chiedeva che gli ve-

nisse concesso di eseguire nella cattedrale di Tur-

coing L’Infanzia di San Giovanni Battista…

Questa volta Nino… corse in scena e salutò ridente

e felice un pubblico delirante… Fu chiesto il bis a

gran voce: Nino salì sul podio, impugnò la bac-

chetta e in mezzo ad un silenzio compatto attaccò

la seconda parte dell’Oratorio. “ [vii]Dopo la composizione di un Messa di Requiem nel1923-24, fino agli anni ’60 non troviamo numerid’opera importanti nella produzione del composi-tore, che si era dedicato, accanto ai lavori cinema-tografici, alle sue prime opere ed a molta musicasinfonica e cameristica.Contemporaneamente alla fioritura di opere stru-mentali diverse, nacquero nuove composizioni co-rali e vocali di ispirazione religiosa o, meglio,sacra: oltre al mottetto Tota Pulchra es Maria

(’61), per soprano, tenore ed organo, Rota composeuna Missa S. Mariae V. Dicata (’60) più volte revi-sionata, per quattro voci maschili ed organo e laMissa Brevis (’61). Nella Missa Brevis, si può os-servare come la non comune sapienza contrappun-tistica, la ricchezza degli impasti vocali, il rilievodato alla parte organistica che non costituisce unsemplice supporto delle voci, siano elementi fon-damentali.

Il Mysterium Catholicum, venne scritto daRota quasi di getto, in poco più di due mesi,dal febbraio al marzo del 1962, nel corso deiquali lavorò con tale felicità e facilità di ispira-zione da essere indotto ad affermare di aver avutola sensazione, durante la stesura dell'opera, di es-sere "accompagnato da un vento favorevole".E' stato lo stesso Rota a spiegare la genesi di que-sto suo lavoro: "Il motivo mi fu dato dalla Citta-

della di Assisi che ogni anno, intorno al '60,

commissionava ad un musicista un oratorio su un

versetto del Credo. A me capitò un argomento che

mi attrasse subito, anche perché vedevo la possibi-

lità di svolgerlo in modo non confessionale, cioè in

un modo liberamente religioso, ed era il tema del-

l'Universalità della Fede. Ne venne fuori un testo

molto bello che fu plasmato da Vinci Verginelli su

questo tema molto complesso e fu fatto con testi

dei Vangeli e dei primi scrittori cristiani". [viii] E' importante notare la coincidenza temporale diquesto lavoro di Rota con un evento importantis-simo nella storia della Chiesa: l'apertura del Conci-lio Vaticano II.L'impegno nella produzione sacra generò l'equi-voco critico di una sua adesione alla schiera deicompositori cosiddetti "cattolici". Per questo mo-tivo Rota eliminò l'aggettivo "Catholicum" dal ti-tolo originario dell'oratorio.Ispirata da una profondissima spiritualità e da unaconoscenza che attinge ai principi più profondidella sapienza ermetica è l'altra importante opera diargomento sacro scritta da Rota, assieme al Myste-

rium, negli anni della maturità: La Vita di Maria,rappresentazione sacra per soli, coro e orchestra.La genesi, la struttura e le fonti letterarie di que-st’opera sono state descritte dallo stesso autore nelprogramma di sala della prima esecuzione, avve-nuta nel corso della XXV Sagra Musicale Umbranella Basilica di San Pietro in Perugia il 24 settem-bre del 1970, sotto la direzione dello stesso autore:

cara rai, che fiNe ha fatto il film SU rota?

Che fine ha fatto il film su Nino Rota, dal titolo Un amico magico ,prodotto dalla Rai e realizzato daSuso Cecchi D’Amico e Mario Monicelli nel 1999, a vent’anni esatti dalla morte del noto musicista?Se lo chiedeva ancora quattro o cinque anni fa anche la nota sceneggiatrice che non riusciva a spie-garsi come mai la Rai non l’avesse mai trasmesso, neppure nei suoi palinsesti notturni dove talvolta fi-niscono tante buone cose. Si tratta pur sempre di un film realizzato da due delle più grandi firme delnostro cinema. “E’ un bel film - assicurava Suso Cecchi D’Amico- Io stessa mi sono fatta fare dellecopie di fortuna per farlo vedere in occasione di manifestazioni in onore di Rota, in giro per l’Italia.Ci sono immagini ‘rubate’ - data la ben nota timidezza e riservatezza di Rota - mai viste prima. Unvero peccato non trasmetterlo. Ho saputo che circola in videocassetta. Non so altro”. A tutt’oggi, quelfilm la Rai non l’ha ancora trasmesso.

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32 - Nino Rota

"La Vita di Maria è il mio lavoro più recente. Ini-

ziato nell'autunno del 1968, esso attua e integra

un'idea che risale a molti anni addietro: quella di

musicare i primi capitoli del Vangelo di S. Luca

che raccontano l'infanzia di Gesù.La spinta a intraprendere l'opera mi fu un suggeri-

mento di Beppe Menegatti, il quale auspicava la

realizzazione di una rappresentazione coreografica

sulla vita della Madonna. Tale suggerimento fece

rinascere in me sotto una forma nuova l'antica e

ambita idea, convergendola nella immagine di

Maria e consentendomi di raffigurarla nella sua

interezza e diversità.Non vi era dubbio però, da parte mia, che l'opera,

se pure attuata coreograficamente, avrebbe dovuto

assumere una struttura musicale non solo sinfo-

nica ma anche vocale, condotta su testi autentici e

particolarmente significanti". [ix]Il nucleo centrale di questo polittico, che com-prende gli episodi che vanno dall'ottavo al tredice-simo, costituì l'oratorio Il Natale degli Innocenti.Infatti, durante la stesura de La Vita di Maria, Rotaricevette l'incarico di scrivere un lavoro sull'infan-zia di Gesù. Con quegli stessi episodi che eranostati già concepiti per la sacra rappresentazione,realizzò una prima versione dell'oratorio Il Nataledegli Innocenti, eseguito a Roma nella Basilicadell'Ara Coeli dall'Accademia Filarmonica Ro-mana nel marzo del 1970. Nel 1970 Siciliani commissionò al musicista, perconto della RAI, una composizione per la celebra-zione del centenario di Roma Capitale d'Italia. No-nostante Rota avesse in precedenza lavorato sucommissione (basti pensare al Mysterium), il carat-tere celebrativo dell'evento finì per inibire la purprolifica immaginazione creativa del musicista, chenon riuscì a terminare l'opera entro la data presta-bilita. Evidentemente la rappresentazione di Romacome Capitale non lo interessava affatto; tanto èvero che da questo progetto maturò, poco tempodopo, l'idea della cantata Roma Capomunni, perbaritono, coro e orchestra, con cui Rota volle espri-mere liberamente e senza alcun vincolo di caratterecelebrativo "gli aspetti più significativi e, per così

dire, universali della Città Eterna". [x] Come giàper l'opera Aladino e la lampada magica e per glioratori Mysterium e La Vita di Maria, anche perquesta cantata Rota si avvalse della collaborazionedi Vinci Verginelli per la scelta e la traduzione deitesti.Solo in apparenza cantata profana, Roma Capo-

munni è un’opera impregnata di profonda spiritua-lità e di una religiosità lontana da ogni limitazionedi origine confessionale, ispirandosi invece ai va-

lori della tradizione gnostica che risale al mondoclassico.L'opera è stata eseguita in prima assolutail 17 giugno 1972 dall'Orchestra Sinfonica e Corodella RAI, diretti dall'autore, presso l'Auditoriumdel Foro Italico a Roma, nel corso di una seratamonografica, dedicata cioè alle sole musiche ro-tiane (ricordiamo che in questa circostanza Rotapresentò per la prima volta nella sua integrità laSinfonia sopra una Canzone d'amore).

SINFONICA E BALLETTI

Subito dopo la laurea in lettere, "conseguita

anche per avere un mestiere di riserva", comeamava dire scherzando, Rota concorse per l'inse-gnamento dell'armonia presso il Liceo Musicale diTaranto. Al termine del secondo anno presso il Liceo di Ta-ranto, Rota decise di partecipare al concorso peresami indetto dal Liceo Musicale Niccolò Piccinnidi Bari: classificatosi primo in graduatoria, ottennela cattedra di armonia e contrappunto e si trasferì aBari, stabilendo la sua residenza a Torre a Mare. Inquel borgo di pescatori, a cui dedicò l'Inno a Torre

a Mare, portòa compimento nel ‘39 la sua Prima

Sinfonia, dopo una gestazione di quattro anni. Lapartitura, dedicata a Goffredo Petrassi, ebbe imme-diata esecuzione a Venezia durante la Stagione Sin-fonica de La Fenice, diretta da Nino Sanzogno:nella stessa serata furono eseguite alcune opere di

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Bela Bartok, che dichiaròin quell’occasione che laSinfonia di Rota andava considerata come unadelle più importanti opere sinfoniche contempora-nee.Nel ‘43 Rota completa a Torre a Mare la sua Se-

conda Sinfonia detta Tarantina, in gestazione dal1938, in cui il linguaggio talvolta diviene più chetonale addirittura modale richiamando, per certi ca-ratteri, composizioni precedenti come la Sonata

per viola e pianoforte (’35).Nel 1947 Rota concepì la Sinfonia sopra una can-

zone d'amore e il Concerto per arpa e orchestra

dedicato a Clelia Gatti Aldrovandi, una delle piùcelebri arpiste dell'epoca, composizione il cui lin-guaggio è dichiaratamente neoclassico, e che testi-monia assieme alla Sarabanda e toccata per arpa(’45) e alla Sonata per flauto e arpa (’37) una par-ticolare predilezione e congenialità di Rota perquesto strumento.La Sinfonia sopra una canzone d'amore è una "Sin-

fonia fuori serie", come disse scherzosamente l'au-tore, riferendosi al fatto che essa non venivaindicata come terza sinfonia. La partitura, che fucomposta da Rota in pochi mesi, subì infatti diversirimaneggiamenti fino al 1972, anno in cui fu ese-guita per la prima volta integralmente dall'Orche-stra Sinfonica della RAI di Roma all'Auditoriumdel Foro Italico, diretta dall'autore.La sinfonia si articola secondo gli schemi tradizio-nali: un "Allegro" iniziale bitematico, a cui fa se-guito uno “Scherzo“ dal ritmo insolito di 5/4, unterzo movimento, "Andante sostenuto", di caratterelirico ed un “Finale“ drammatico che si concludeciclicamente con la ripresa del tema iniziale, quelloche dà il titolo alla sinfonia. Questo tema fu scritto

originariamente per il film La donna della

montagna (’43) di Renato Castellani. Utiliz-zato nella sinfonia, ricomparve successiva-mente anche nel film La leggenda della montagna

di cristallo (’49) di Henry Cass. Se con questotema abbiamo l'esempio del passaggio di un'ideamusicale da un genere "leggero" ad uno "colto",scopriamo anche nelle opere di Rota la frequenteutilizzazione di brani “classici“ in contesti diffe-renti. Il caso più emblematico è costituito dall'im-piego integrale del terzo e quarto movimento dellaSinfonia sopra una canzone d'amore come colonnasonora del film di Luchino Visconti Il Gattopardo

del 1963.Composte nel 1953 e dedicate a Fernando Previ-tali, che ne diresse l'anno successivo la prima ese-cuzione, le Variazioni sopra un tema gioviale. Illavoro è costituito da un tema con otto variazionicaratterizzate da grande fantasia inventiva e dallaconsueta abilità tecnica. Lo stesso Rota volle chia-rire che la denominazione qualificativa dell'opera -gioviale - doveva essere letta nel senso etimologicodella parola: cioè "come aggettivo di Giove: pia-

neta da cui piovono influssi di serenità contenta”.Nino Rota si adoperò affinchè anche la sua cittàd'adozione, Bari, avesse una sua orchestra stabile:nacque così l'orchestra della Fondazione Concerti "Piccinni", di cui Rota fu direttore artistico dal '53al '57. Nel concerto del 4 aprile 1957, tenutosipresso l'Accademia Filarmonica Romana, venneanche presentata in prima esecuzione assoluta laTerza Sinfonia di Rota, diretta dall'autore ed ese-guita dall'orchestra della Fondazione. La composizione aderisce al clima della poeticaneoclassica, esposta da Mario Castelnuovo-Tede-

Nino rota e federico fellini

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detta dell'autore, un brano "più breve e di carattere

più leggero", formato da una serie di cinque pezzi(Valzer Fantasia, Ballo figurato, Romanza, Quadri-glia, Can-Can) con cui Rota ha voluto rievocare se-renamente, senza nostalgia, al di là di alcun finepolemico o caricaturale "una serata di musiche e di

danze del tempo passato”.Tra questi due concerti si inserisce un'altra compo-sizione per pianoforte ed orchestra, la Fantasia

sopra dodici note del "Don Giovanni" (’60), co-struita sulle note della frase "Non si pasce di cibo

mortale chi si pasce di cibo celeste" cantata dalCommendatore nel finale dell'opera di Mozart. Lafrase nella completa successione delle note formauna serie dodecafonica e già dalle prime battute sipuò notare come questa non sia una composizione"facile" all'ascolto, anche per l'invenzione, conti-nuamente trascolorante, sui richiami delle note mo-zartiane, di idee musicali espresse con una purezzatimbrica originale e spesso con un linguaggio oscu-ramente ermetico. A proposito della produzione seria, i primi anni '60vedono, assieme alla fioritura di opere pianistiche edi composizioni di ispirazione religiosa, di cui ab-biamo già detto, la creazione di nuove musiche,quali il balletto Fantasia Tricromatica (I rappre-sentazione a Napoli, Teatro San Carlo, il 3dic.1961) e l'Ouverture La Fiera di Bari (’63),"musica d'occasione" composta per l'inaugurazionedella Fiera Campionaria barese.La straordinaria "abilità artigianale" di Rota nelmettere in risalto le possibilità espressive dei varistrumenti musicali, ha prodotto opere di grande in-teresse per il modo in cui il musicista ha saputoequilibrare in una superiore sintesi formale il di-scorso musicale dell'orchestra con le esigenzeespressive dei diversi strumenti solisti. Nella suavasta produzione così figurano un Concerto per

trombone e orchestra (’68), due Concerti per vio-

loncello e orchestra, rispettivamente del 1972 e del1973, un Divertimento concertante per contrab-

basso e orchestra (’68), la Ballata per corno e or-

chestra Castel del Monte (’74) e un Concerto per

fagotto e orchestra (1974-77).Il Divertimento concertante per contrabbasso e or-

chestra ci consente di parlare della collaborazionedi Rota col noto contrabbassista Francesco Petrac-chi, per il quale il compositore aveva scritto ilbrano, il cui secondo movimento, "Marcia", fucomposto prendendo spunto dagli esercizi (scale,arpeggi, passaggi cromatici, ecc.) che Rota sentivaeseguire dagli allievi della classe di contrabbassonel corso delle lezioni tenute da Petracchi. Il successo del film La Strada e l'attualità della vi-

sco nel 1929 sulla rivista "Pegaso", riassumibilenel rifiuto del soggettivismo ottocentesco e roman-tico, nel recupero della semplicità del mondo popo-lare, nella immediatezza espressiva e nellachiarezza lessicale. Tra le opere sinfoniche vanno ancora annoveratil'Allegro Concertante per coro e orchestra del ’53,il Concerto in fa per orchestra (‘58-61) dedicato aFernando Previtali, le Meditazioni per coro e or-

chestra ('54). Nel 1957, nel corso della XII SagraMusicale Umbra nel teatro Morlacchi di Perugia,venne rappresentato il primo dei cinque balletticomposti da Rota, la Rappresentazione di Adamo

ed Eva, su coreografie di Aurel Millos. Anche inquesto genere musicale Rota ribadisce il suo le-game con il linguaggio tradizionale; come acuta-mente sottolineava Giorgio Vigolo: "un garboarmonico, una piacevole vena melodica e l'orche-stra trasparente" sono "tutte cose che rivelano lamano di un musicista che la sa più lunga di quantola sua ingenuità apparente, il suo gusto per la gra-zia e la semplicità potrebbero far supporre". [xi]Nino Rota era un pianista abilissimo e, nella suaproduzione per la tastiera, spiccano ben quattro la-vori per pianoforte e orchestra. Il primo, il Con-

certo in do per pianoforte e orchestra, scritto daRota tra il 1959 e il 1960, fu dedicato ad uno deipiù celebri solisti contemporanei, Arturo BenedettiMichelangeli.Ben più eseguito, inciso e conosciuto è, invece, ilConcerto Soirée composto tra il 1961 e il 1962.Entrato stabilmente nel repertorio pianistico, que-sto lavoro ebbe la sua prima esecuzione nel 1962 alTeatro Olimpico di Vicenza con l'autore in veste disolista, accompagnato dall'Orchestra della RAI diMilano diretta da Bruno Maderna. Rispetto alprimo Concerto in Do, il Concerto Soirée è, a

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cenda narrata, col suo dualismo tra il mondo dellafantasia e del sogno e quello della cruda realtà,suggerirono a Rota la trasposizione in forma di bal-letto dell'opera cinematografica felliniana.Nacque cosìnell'estate del 1966 il balletto in unatto e 12 quadri La Strada, su soggetto di FedericoFellini e Tullio Pinelli, che venne rappresentatonello stesso anno alla Scala con le coreografie diMario Pistoni e l'interpretazione di Carla Fracci nelruolo di Gelsomina con un successo di critica(tranne le solite poche eccezioni) e di pubblicotrionfali. Immediatamente Rota ricavò dalla parti-tura una Suite che è tuttora una delle pagine sinfo-niche del musicista più eseguite ed amate.Dei primi anni '70 sono le musiche del balletto mi-tologico Aci e Galatea (’71) di Marcella Otinelli,ispirato alle Metamorfosi ovidiane, i due Concerti

per violoncello e orchestra e la Ballata per corno e

orchestra Castel del Monte (’74).Sempre nel '76 il compositore ricevette l'incaricodal coreografo francese Maurice Béjart di scriverele musiche per Le Molière imaginaire, un balletto-commedia in due atti in cui si intrecciano recita-zione, danza, canto, musica, e in cui, attraversoframmenti delle opere di Molière e personaggi delteatro molieriano, che ripercorrono certi momentidella sua esistenza, viene raccontata una sorta diimmaginaria biografia del commediografo fran-cese. Assieme a pagine propriamente rotiane, vi sirilevano richiami alla musica da balletto romanticae novecentesca, alla musica francese di fine otto-cento e dell'epoca del Re Sole.Dopo il trionfale successo de Le Molière imagi-

naire, il binomio Béjart-Rota ha prodotto nel 1978un altro balletto intitolato Amor di Poeta in cui

sono presenti, oltre alle musiche rotiane, i Di-

chterliebe di Schumann. Come il Ballet duXXéme siecle anche il Balletto del Centro Mudradi Bruxelles, diretto da Micha van Hoecke, ha ese-guito numerosi spettacoli con le musiche di Rota.Ricordiamo la rappresentazione nel 1981 a Pistoiain prima mondiale, nell'ambito della rassegna"Omaggio a Nino Rota" di due nuovi balletti-com-media: L'Aquila e l'Uccello del Paradiso, sulla mu-sica del Concerto Soirée, e Ricordi sui 15 Preludi

per pianoforte.

Nel 1977 Rota rielaborò un precedente lavoro, ilNonetto, iniziato nel 1959, e compose il Concerto

per fagotto ed orchestra, il cui primo movimento ècostituito dalla Toccata per fagotto e pf. del 1974.Inoltre scrisse un Pezzo in Re per clarinetto e pia-

noforte, e la Rabelaisiana, un ciclo di tre liriche sutesti tratti dal Gargantua et Pantagruel di FrancoisRabelais, presentato nel Festival della Valle d'Itria(Martina Franca), nell'agosto del 1977.Anche la scelta di musicare Rabelais si spiega conl'interesse di Rota per l'esoterismo. Infatti Rotaaveva una particolare ammirazione per il cinque-centesco autore francese, delle cui opere, tra l'altro,possedeva numerose edizioni, perché nei suoiversi, oltre all'altissimo valore letterario trovava,sapientemente occultata, la testimonianza di pro-fonde verità spirituali.Il 15 dicembre 1978 venne eseguito per la primavolta nell'Auditorium della RAI di Napoli l'ultimacomposizione ‘classica‘ di Rota, il Concerto in mi

per pianoforte e orchestra intitolato Piccolomondo antico, solista l'autore, direttore MicheleMarvulli. Parlando di questa opera FedeleD'Amico così scrisse: "Col Concerto per piano››

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forte e orchestra la sua nativa disposizione a inca-

stonare eclettismi disinnescandone la carica origi-

naria e facendoli omogenei arnesi di un suo

specifico, solleticante divertimento, tocca il ver-

tice… Si aggiunga lo spettacolo di Rota pianista in

un pezzo zeppo di virtuosismi trascendentali, ter-

minato poi di comporre (dunque di studiare) ap-

pena pochi giorni dopo (sic!) l'esecuzione". [xii]

MUSICA DA CAMERA

E PIANISTICA

Alle prime composizioni per canto e pianofortededicate alla cugina paterna Maria Rota, can-

tante di repertorio cameristico - sette liriche suversi di Tagore (Quando tu sollevi la lampada al

cielo, del ‘22; Perché si spense la lampada?, del‘23; Illumina tu, o fuoco, del ‘24; Ascolta, o cuore,del ‘24; Io cesserò il mio canto, del ’24) e di Nic-col Tommaseo (Il presagio e La figliola del Re,entrambe del ’25) - si affiancano nel suo catalogo,dopo il rientro in Italia, altre liriche su versi diFrancesco Petrarca (Ballata e Sonetto del Petrarca,’33) e di Lina Schwarz (Tre liriche infantili, Il pa-storello e altre due liriche infantili, entrambe scrittenel ’35). Con La passione (’38) la produzione di li-riche per voce e pianoforte cessòquasi del tutto.Sono di questo periodo importanti composizioni

cameristiche: Ippolito gioca (’30), per pianoforte,dedicato al figlioletto di Il debrando Pizzetti, unadeliziosa e brillante pagina che testimonia della ri-trovata armonia con il suo vecchio maestro; Ballo

della villanotta in erba per pianoforte (’31); Inven-

zioni per quartetto d'archi (’32), dai modi dichiara-tamente ispirati allo stile di Malipiero; la suiteBalli (’32); la Sonata per viola e pianoforte (’34);il Quintetto per flauto, oboe, viola, violoncello e

arpa (’35), dedicato alla madre; la Sonata per vio-

lino e pianoforte (’37), entrata nel repertorio fissodel duo Materassi-Dallapiccola; la Sonata per

flauto e arpa (’37), dedicata a Clelia Gatti Aldro-vandi e della quale Gianandrea Gavazzeni in Mu-sicisti d'Europa ha scritto: "E' forse la musica più

perfetta offerta da Rota… Qui pare il fiottar di

voce d'un Ravel italiano, arcaico, intimissimo;

d'uno che ha inventato uno stile prima inesistente."[xiii] Per pianoforte, accanto ad una intimistica Ba-

gattella, composta per la rivista Domus nel 1941,negli anni ’40 troviamo un Waltz (’45), il cui temaritroveremo nel secondo atto del Cappello di pa-

glia ed una articolata e complessa Fantasia in sol,composta tra il ’44 ed il ’45: un’opera recente-mente ritrovata ed anch’essa edita dalla casa edi-trice tedesca SCHOTT: nemo propheta in patria!

Nel ‘43 Rota compose la Piccola offerta musicale

per quintetto di fiati dedicata ad Alfredo Casella enel ‘45 Sarabanda e toccata per arpa.

NeaNche UNa Strada Nella SUa Bari! Per capire quale fosse il rapporto di Rota con il ‘suo’ Conservatorio e con gli studenti bisognerebbe aver frequentato l'isti-tuto negli anni della sua direzione: più che una scuola stricto sensu, era una grande famiglia, della quale Rota poteva essereben considerato il capostipite. Docenti, allievi, gli erano noti dal primo all'ultimo: di ciascuno conosceva interessi, attitudini,pregi e difetti e per tutti aveva sempre una parola, un consiglio, estremamente pertinenti. Paterno nelle sue attenzioni, Rota era capace di fare telefonate lunghissime dall'estero per informarsi sulle condizioni di sa-lute di un allievo malato, o magari di un docente o per chiedere notizie di un esame, di un concerto tenuto da una persona alui cara. E in molte occasioni, quando intravvedeva il talento in uno studente poco abbiente, provvedeva, senza troppa pub-blicità, ad acquistare di tasca propria lo strumento musicale necessario e a farglielo recapitare. Questi e molti altri aneddoti sono decisamente importanti per comprendere perché ancora oggi il ricordo di Rota sia vivo neitanti ex allievi - molti dei quali attuali docenti - del Conservatorio "Niccolò Piccinni", dove tra l'altro il maestro - che certonon aveva problemi finanziari - visse per anni in condizioni francescane, facendo della direzione anche la sua casa e accet-tando di farsi accudire dalla famiglia del custode . In occasione del trentennale della sua scomparsa, diverse associazioni ba-resi gli hanno dedicato concerti commemorativi: per tutte, il Collegium Musicum di Rino Marrone e l'Eurorchestra diFrancesco Lentini. Non mi sembra però di esagerare nel sostenere che, se i musicisti portano ancora Rota nel cuore, Bari siastata molto avara nei suoi confronti e, dopo avergli intitolato l'Auditorium, (quello per inciso che, in attesa delle ristruttura-zione da poco avviata, è rimasto chiuso a lungo, quasi quanto il Petruzzelli), ha ritenuto di essersi messa a posto la co-scienza. E proprio per questo mi domando: è possibile che nessuno abbia mai pensato di dedicare una strada, una piazza a un musici-sta dell'importanza di Rota che proprio a Bari ha legato buona parte della propria vita? Senza nessuna polemica, noto che, ditanto in tanto, vengono proposti nomi di personaggi molto meno significativi per la vita cittadina. Rota invece aveva pratica-mente "inventato" il Conservatorio barese, curandone personalmente l'alta qualità del corpo docente; a Bari, nella sua pic-cola stanza, aveva composto la maggior parte delle colonne sonore che ancora oggi sono note in tutto il mondo e chevengono abbinate ai nomi di Fellini, Visconti, Vidor, Zeffirelli, Coppola. E tra queste c'è anche quel tema del "Padrino" chegli valse l'Oscar. E' così assurdo ricordare agli amministratori comunali baresi che Nino Rota meriterebbe un po' di atten-zione anche a livello toponomastico?

Ugo Sbisà

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NOTE

1[i] Con Rosario Scalero per la composizione e con Fritz Reiner per la direzione d’orchestra.2 [ii] Ernesta Rota Rinaldi, Giorno per giorno, dattiloscritto, inedito. Questo secondo diario giornaliero della madre di Rota si riferisce all’anno 1942 e contiene annotazionidi carattere privato, informazioni sulla vita del musicista e sulla sua attività, descrivendo anche le sue prime esperienze cinematografiche.3 [iii] G. Vergani, Intervista…, in De Santi P. M., op. cit., p. 39, nota 33.4 [iv] Eugenio Montale, Prime alla Scala, A. Mondadori ed., 1981, pp. 304-307.5 [v] Eugenio Montale, op. cit., p. 306.6[vi] Nino Rota, Nota dell’Autore, nel programma di sala della prima rappresentazione di iAladino e la Lampada Magica, Teatro di San Carlo, Napoli, gennaio 1968, ri-prese nel programma di sala dell’edizione nella Stagione 1975-76 del Teatro dell’Opera di Roma.7 [vii] E. Rota Rinaldi, op cit.8 [viii] Nino Rota in Voi ed io, VII trasmissione, 1978.9 [ix] Note dell’Autore inserite nel programma di sala della prima esecuzione de La Vita di Maria, XXV Sagra Musicale Umbra, settembre 1970.10 [x] Nino Rota, presentazione al disco Roma Capomunni, RAI, Roma 1972, fuori commercio.11 [xi] Giorgio Vigolo, Il balletto biblico, in Mille e una sera all’opera e al concerto, Sansoni, 1971, p. 381.12 [xii] F. D’Amico, ibid.13 [xiii] Gianandrea Gavazzeni, Brevi capitoli su Nino Rota ( 1934-1940 ), in Musicisti d’Europa. Studi sui contemporanei, Milano, Suvini Zerboni, 1954, pp. 225-ss.14[xiv] Guido Agosti, Note sulle Variazioni e fuga nei dodici toni sul nome di Bach, nel programma di sala di Omaggio a Nino Rota, a cura di P. M. De Santi, Pistoia, 30

VI-1981, p. 17.15 [xv] Giorgio Vigolo, op. cit. p.600

Le Variazioni e fuga nei dodici toni sul nome diBach per pianoforte solo del ‘50, successivamenteelaborate per orchestra, rappresentano il lavoro piùimpegnativo nel catalogo “serio” rotiano: la com-posizione, da molti ritenuta il capolavoro pianisticodi Rota. Come sottolineò Guido Agosti, essa "ri-vela pienamente una tecnica compositiva e una co-noscenza dello strumento e della tastiera (suonavaegli stesso il pianoforte con estrema facilità) para-gonabile per stupenda invenzione delle diverse so-norità e per l'equilibrio del linguaggio, a quella diChopin e di Ravel. Come in Chopin e in Ravel, nonv'è una nota di troppo, la preziosità non diventavizio". [xiv]Pur se l'attività cinematografica dovette assorbirglimolte energie e molto tempo, Rota riuscì negli anni’50 a comporre numerose composizioni da camerae orchestrali: tra le prime ricordiamo la versionedefinitiva del Quartetto per archi (’54), l'Elegia

per oboe e pianoforte (’55), il Trio per flauto vio-

lino e pianoforte (’58).Sempre nell'ambito della produzione pianistica, iQuindici Preludi per pianoforte (’64) occupano unposto particolare. Si tratta di componimenti dibreve durata ma di ampio fluire, vere miniaturemusicali, che altrettanto rappresentano diversi at-

teggiamenti in cui il musicista rivela quell'in-timismo suo proprio: intimismo che noncessa di richiedere di frequente, comunque, il mas-simo impegno da parte dell'esecutore.Del 1962 sono le Cadenze di flauto ed arpa per il

Concerto K.299 di W. A. Mozart, dedicate a CleliaGatti Aldrovandi e Severino Gazzelloni ("scritte da

Rota con così devoto spirito mozartiano, che quasi

non si riconosceva la mano diversa", G. Vigolo)[xv]. Nel 1965 assieme alla Sonata per organocompose il Concerto per archi (quasi una rivisita-zione del concerto barocco).Nel ’72 Rota volle commemorare il suo maestrocon una nuova composizione, il Cantico in memo-

ria di Alfredo Casella, per voce, tromba, chitarra eorgano, improntata ad una severità commossa e dialto sentire. Dello stesso anno è la Sonata per ot-

toni e organo. Del 1974 è il Pezzo in Re per clari-

netto e pianoforte.

È ancora in corso di realizzazione il catalogo defi-nitivo delle opere di Rota, nel quale compaiono ul-teriori opere di generi diversi ancora inedite e dicui si erano perse le tracce. Non ci meraviglieremmo se tra esse comparisseropagine valide ed interessanti. @

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