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2.4 Climatologia Dal punto di vista meteoclimatico l’Emilia Romagna è un’area particolarmente interessante: la particolare struttura geo-morfologica, caratteristica della regione, è responsabile della genesi di anomalie termiche e precipitazioni talvolta anche molto intense. Tra i fenomeni più noti, vi è la ciclogenesi sul golfo ligure e lo sviluppo dell’attività temporalesca che ne deriva, soprattutto in estate, con spesso associati fenomeni grandinigeni e, meno frequentemente, trombe d'aria: la particolare conformazione della Pianura Padana, infatti, influenza la distribuzione delle precipitazioni, poichè l'arco alpino rappresenta un ostacolo imponente per le correnti atmosferiche provenienti da sud che vengono convogliate, attraverso il Mar Adriatico, verso il nord dell'Italia; nel passaggio sul mare le masse d'aria, relativamente calde, aumentano il loro contenuto di umidità e tendono in genere a separarsi in due rami: uno percorre la Pianura Padana in direzione nord-ovest e l'altro, verso nord-est, passa attraverso le Alpi Carnie e Giulie. Il moto ascendente indotto dall'orografia determina il raffreddamento delle masse d'aria fino alla condensazione del vapore acqueo in esse contenuto, producendo precipitazioni ad intensità massima sul Nord Italia quando si ha un minimo depressionario al suolo, nei pressi del Golfo di Genova o dell'alto-medio Tirreno. Le precipitazioni in queste situazioni sono particolarmente abbondanti nella zona appenninica a ridosso della Liguria. Il Golfo di Genova, infatti, è una delle zone in cui è più frequente la formazione di cicloni appunto per la configurazione dell'arco alpino, per la posizione sottovento del Mar Ligure rispetto alle correnti atlantiche nord-occidentali, per il contrasto termico tra la massa d'aria proveniente dai settori settentrionali ed il Mediterraneo, soprattutto in autunno. Quando l'area depressionaria si sposta verso est nell'area padano-adriatica, le precipitazioni si intensificano sull'Appennino e sulle aree pianeggianti vicine e possono risultare anche piuttosto abbondanti. Figura 2.4.1: Precipitazione media annua nel periodo 1960-1999 (mm/anno). Il clima nella provincia di Piacenza La particolare posizione geografica della provincia, posta a ridosso della catena appenninica occidentale, distante dalle influenze climatiche dell’Adriatico, ma prossima al golfo ligure risente della ciclogenesi di cui sopra; la catena appenninica rallenta e riduce gli effetti prodotti dalle correnti perturbate atlantiche provenienti da Ovest (frequenti fenomeni di Föhen) e blocca il percorso di sistemi nuvolosi provenienti da est, amplificando di conseguenza l’entità delle precipitazioni. 36

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2.4 Climatologia Dal punto di vista meteoclimatico l’Emilia Romagna è un’area particolarmente interessante: la particolare struttura geo-morfologica, caratteristica della regione, è responsabile della genesi di anomalie termiche e precipitazioni talvolta anche molto intense. Tra i fenomeni più noti, vi è la ciclogenesi sul golfo ligure e lo sviluppo dell’attività temporalesca che ne deriva, soprattutto in estate, con spesso associati fenomeni grandinigeni e, meno frequentemente, trombe d'aria: la particolare conformazione della Pianura Padana, infatti, influenza la distribuzione delle precipitazioni, poichè l'arco alpino rappresenta un ostacolo imponente per le correnti atmosferiche provenienti da sud che vengono convogliate, attraverso il Mar Adriatico, verso il nord dell'Italia; nel passaggio sul mare le masse d'aria, relativamente calde, aumentano il loro contenuto di umidità e tendono in genere a separarsi in due rami: uno percorre la Pianura Padana in direzione nord-ovest e l'altro, verso nord-est, passa attraverso le Alpi Carnie e Giulie. Il moto ascendente indotto dall'orografia determina il raffreddamento delle masse d'aria fino alla condensazione del vapore acqueo in esse contenuto, producendo precipitazioni ad intensità massima sul Nord Italia quando si ha un minimo depressionario al suolo, nei pressi del Golfo di Genova o dell'alto-medio Tirreno. Le precipitazioni in queste situazioni sono particolarmente abbondanti nella zona appenninica a ridosso della Liguria. Il Golfo di Genova, infatti, è una delle zone in cui è più frequente la formazione di cicloni appunto per la configurazione dell'arco alpino, per la posizione sottovento del Mar Ligure rispetto alle correnti atlantiche nord-occidentali, per il contrasto termico tra la massa d'aria proveniente dai settori settentrionali ed il Mediterraneo, soprattutto in autunno. Quando l'area depressionaria si sposta verso est nell'area padano-adriatica, le precipitazioni si intensificano sull'Appennino e sulle aree pianeggianti vicine e possono risultare anche piuttosto abbondanti.

Figura 2.4.1: Precipitazione media annua nel periodo 1960-1999 (mm/anno).

Il clima nella provincia di Piacenza La particolare posizione geografica della provincia, posta a ridosso della catena appenninica occidentale, distante dalle influenze climatiche dell’Adriatico, ma prossima al golfo ligure risente della ciclogenesi di cui sopra; la catena appenninica rallenta e riduce gli effetti prodotti dalle correnti perturbate atlantiche provenienti da Ovest (frequenti fenomeni di Föhen) e blocca il percorso di sistemi nuvolosi provenienti da est, amplificando di conseguenza l’entità delle precipitazioni.

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2.4.1 Temperatura Il ciclo stagionale delle temperature nell’Italia Settentrionale mostra che, nei mesi di Gennaio, Novembre e Dicembre, le temperature massime assumono i valori più bassi nella parte centrale della Pianura Padana; questo è dovuto in parte alla nebbia che, riducendo la quantità di radiazione solare, impedisce a queste zone di raggiungere valori analoghi a quelli dei luoghi in cui non è presente il fenomeno. Le aree costiere, invece, registrano temperature più elevate perché, nella stagione fredda, la temperatura media superficiale dell'acqua del mare è di qualche grado superiore alla corrispondente temperatura dell'aria sulla terra. Per di più non sono interessate dal fenomeno della nebbia. La temperatura media della provincia è influenzata dall’orografia del territorio. I valori medi annui in pianura si attestano intorno ai 12-13 °C, mentre le zone più fredde sono poste al confine tra la provincia di Piacenza e Genova, dove si registrano valori di temperatura media annua inferiori ai 9 °C. Le temperature minime invernali sono tra le più basse della regione e le massime estive, seppur elevate, risultano inferiori ai valori massimi registrati nelle aree centrali, probabilmente per la più attiva ventilazione generata dalla vicinanza ai rilievi appenninici.

Fig. 2.4.2 Distribuzione delle temperatura media annua (1990-2001), provincia di Piacenza 2.4.2 Precipitazioni Le precipitazioni massime si osservano nelle zone montane, in particolare al confine con la Liguria e con la provincia di Parma. In queste zone i valori di precipitazione rilevati sono compresi tra 1400 e 1900 mm di pioggia. I valori di precipitazione media annua nelle zone di pedecollina e di pianura sono compresi tra 650 e 766 mm.

11.212.613.3

12.5

12.5

12.8

11.9

12.4

11.0

11.612.5

12.6

12.1 13.0

13.4

10.0

9.7

8.97

7.5

8

8.5

9

9.5

10

10.5

11

11.5

12

12.5

13

13.5

La zona di Villanova d’Arda, vicino al confine con il parmense, denota un valore di precipitazione più alto rispetto alla media della pianura circostante. Considerando l’effetto della quota si stimano valori di precipitazione compresi tra 2100 e 2300 mm nelle cime più alte del crinale appenninico. La distribuzione delle precipitazioni nel corso dell’anno segue un andamento bimodale, generalmente rilevato nella pianura padana: il mese mediamente più piovoso risulta essere ottobre con valori superiori a 100 mm in pianura e superiori a 280 mm in montagna; mediamente molto piovosi risultano anche essere settembre e novembre, mentre il secondo picco di precipitazione si registra nel mese di aprile. I minimi di precipitazione media annua si registrano in febbraio ed in luglio.

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Fig. 2.4.3 Distribuzione delle temperature medie annue (1990-2001), provincia di Piacenza Le tendenze del clima nel territorio provinciale sono quindi allineate a quelle a scala più ampia: sicuramente è in corso un innalzamento della temperatura, mentre la piovosità si mantiene praticamente costante come quantità totale, anche se diversa è la sua distribuzione; piove cioè per periodi più brevi ed in modo più intenso, come avviene ai tropici (tropicalizzazione del clima).

737.5652.7689.2

653.2

770.2

690.5

682.4

666.7

731.6

709.7766.8

684.6 718.2

702.2

1448.3

1216.5

1904.9

60070080090010001100120013001400150016001700180019002000210022002300

La conseguenza per il territorio si traduce in una mutata interazione acqua-terreno, che governa il bilancio idroclimatico: esso consiste nella differenza tra i volumi d’acqua in entrata al terreno attraverso le precipitazioni e quelli in uscita attraverso l’evaporazione superficiale e la traspirazione dalle piante (evapotraspirazione); in situazione di equilibrio, la differenza è zero e la disponibilità idrica nei terreni è adeguata alla esigenze delle coltivazioni; in situazione di deficit, le colture non dispongono della necessaria quantità d’acqua; in caso di surplus, gli apporti idrici sono in eccesso e l’acqua si allontana dal terreno originando fenomeni più o meno intensi di percolazione e ruscellamento.

Fig. 2.4.4 Bilancio idroclimatico annuale, provincia di Piacenza (dati espressi in mm di precipitazioni al netto dell’ETP, evapotraspirazione).

-339-325

-350

-168

-269

-259

-359

-295-185

-179 -250

-242

-400-300-200-10001002003004005006007008009001000110012001300140015001600170018001900

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2.5 Idrografia 2.5.1 Reticolo Idrografico Superficiale

Da un punto di vista geografico i bacini idrografici della provincia di Piacenza sono, a partire da Ovest: il Bardonezza, il Lora-Carogna, il Carona-Boriacco, il Cornaiola, il Tidone, il Loggia, il Vescovo, il Raganella, il Trebbia, il Rifiuto, il Nure, il Chiavenna, il Cavo Fontana (artificiale), l’Arda e l’Ongina; lo Stirone ed in parte l’Arda e l’Ongina segnano in alcuni tratti il confine con la Provincia di Parma. Il confine idrografico dell’area supera quello amministrativo della Provincia, ed è rappresentato, oltre che dal Po a Nord, dallo spartiacque appenninico a Sud, dal bacino del Torrente Bardonezza a Ovest e dal bacino del Torrente Stirone ad Est. I principali corsi d’acqua che scorrono all’interno dei bacini sono il Tidone con l’affluente Luretta, il Boriacco, il Trebbia con l’affluente Aveto, il Nure, il Riglio, il Chero, il Chiavenna, il Vezzeno, il Cavo Fontana (artificiale), l’Arda, l’Ongina. I corsi d’acqua situati ad Est del Nure sono caratterizzati dall’assenza di un vero bacino montano, avendo origine nella porzione collinare della Provincia (figura 2.5.1). Nell’inquadramento del reticolo idrografico provinciale è opportuno suddividere il territorio in due settori, posti rispettivamente a Nord e a Sud della congiungente “Diga di Molato” - Bobbio - Farini d’Olmo - Casali di Morfasso. A Nord di tale linea i corsi d’acqua raggiungono il Po con andamento SO - NE, mantenendosi pressoché paralleli tra di loro e ortogonali all’asse appenninico. Il Torrente Tidone (a Mottaziana), il Torrente Luretta (a Rivarossa) ed il Fiume Trebbia (a Rivergaro) sono però caratterizzati da una brusca deviazione di percorso, con rotazione in senso antiorario e passaggio dalla direzione NE alla N. Tali deviazioni sono state probabilmente favorite da recenti movimenti tettonici del substrato, che hanno esercitato un’azione di richiamo sui corsi d’acqua verso le aree di relativo abbassamento. Il fiume Trebbia riprende, poi, l’andamento NE a valle di Quartazzola, forse anche a causa di interventi antropici. In diversi tratti di pianura i corpi idrici superficiali scorrono lungo dossi sopraelevati di qualche metro rispetto alla campagna circostante, prodotti dalla deposizione di materiali alluvionali a seguito delle numerose esondazioni che si sono verificate nel corso dei secoli, prima che i corsi d’acqua venissero arginati artificialmente. Per quanto riguarda il settore collinare e di montagna, a Sud della linea sopra menzionata, la direzione di deflusso SO - NE appare meno regolare, con frequenti divagazioni verso NO. Questo si verifica perché in queste zone l’andamento dei corsi d’acqua è influenzato, oltre che dalla pendenza, da fattori litologici (diversi gradi di erodibilità, aggiramenti di rocce più resistenti ecc.) e strutturali (giacitura degli strati, presenza di linee di faglia, sollevamenti differenziali, ecc.). In queste zone il reticolo idrografico è in fase di “ringiovanimento”, ossia di ripresa dell’attività erosiva. Ciò è dovuto sia a fattori antropici, quali l’intensa attività estrattiva esercitata negli alvei fluviali nel corso degli anni e le opere di rimboschimento effettuate lungo i versanti vallivi, sia all’innalzamento cui è sottoposta la catena appenninica, che determina l’aumento di pendenza e quindi di capacità erosiva da parte dei corsi d’acqua. Questo fenomeno comporta in alcuni casi la riattivazione di frane quiescenti e l’innesco di nuovi fenomeni franosi a causa del progressivo scalzamento della base dei versanti.

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Figura 2.5.1: Reticolo idrografico superficiale: principali bacini dell’area di studio.

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Bacino del Torrente Bardonezza Il bacino del Bardonezza è il più occidentale della Regione Emilia Romagna, ha un’estensione di

43,7 Km2 e gravita per 2/3 nel territorio di competenza della provincia di Pavia. Solamente due Comuni piacentini insistono, infatti, su questo bacino: il Comune di Castel San Giovanni e il Comune di Ziano Piacentino, gli altri (Arena Po, Bosnasco, Montù Beccaria, Rovescala, San Damiano e Santa Maria della Versa) ricadono in provincia di Pavia. Il bacino è costituito dall’unico torrente Bardonezza, che si estende per una lunghezza di 21,6 Km. Bacino del Carona-Boriacco Il bacino, noto anche con la denominazione “Pianura tra Bardonezza e Tidone”, ha

un’estensione di 34,4 Km2 e comprende il Rio Boriacco, che si forma per confluenza del Rio Carona con il Rio Lora e dopo un cammino di circa 3 Km confluisce nel fiume Po; il Rio Lora ha

uno sviluppo di 6,9 Km ed un bacino imbrifero di 7 km2, mentre il Rio Carona si sviluppa per

circa 15 Km ed un bacino imbrifero di 26,6 Km2 . Il bacino comprende anche il Rio Grande, canale artificiale ad uso irriguo e drenante, derivato dal torrente Tidone, che nel primo tratto del suo corso assume la denominazione di Rio Macinatoio e confluisce nel Boriacco a valle di Castel San Giovanni come Rio Molinatoio; il Rio Canello, piccolo canale, quasi totalmente intubato, che confluisce nel Carona, a valle di Borgonovo e il Rio Cane che vi confluisce all’altezza di Castel San Giovanni. Bacino del Torrente Tidone Il bacino del Torrente Tidone ha un’estensione di 353,4 Km2, dei quali circa 82 ricadono in territorio extra provinciale. Il Torrente Tidone nasce dal Monte Penice (1000 m s.l.m.), in provincia di Pavia; dopo un iniziale andamento Sud-Nord compie un’ansa e assume direzione Nord-Est finchè entra in provincia di Piacenza in località Fabbiano, dopo circa 13 Km. All’altezza di Trebecco è interrotto da uno sbarramento artificiale che dà origine all’invaso del Molato, quindi abbandona la zona collinare proseguendo con andamento a meandri fino a Veratto, in comune di Sarmato; confluisce infine nel Po dopo un percorso in provincia di Piacenza di 32 chilometri. I suoi affluenti principali sono i torrenti Tidoncello, Chiarone e Luretta in destra, il torrente Morcione in sinistra. Bacino del fiume Trebbia Amministrativamente il bacino del Trebbia, vasto circa 1085 km2, è ripartito tra il territorio

piacentino (716 km2), la provincia di Genova e quella di Pavia (totale extraregionale 369 m2). Nasce sull’Appennino Ligure, dalle pendici del monte Prela (1406 m) e Lavagnola (1118 m) in comune di Torriglia (Genova) e confluisce nel Po, a Ovest di Piacenza, dopo un percorso di circa 116 Km, poco a Ovest di Piacenza. Dopo circa 15 km di percorso tortuoso, con marcate caratteristiche torrentizie, riceve dalla sinistra due ricchi affluenti provenienti dai versanti del monte Antola: il Brugneto e il Cassingheno. Poco più a valle riceve in destra orografica il Pescia, dalla zona di Fontanigorda e fra gli abitati di Gorreto e Brugneto il Terenzone e il Dorbera che segnano l’ingresso del Trebbia in Provincia di Piacenza. In questo tratto vi confluiscono il Boreca, che è il terzo affluente come estensione di bacino dopo l’Aveto e il Perino e secondo come portata dopo l’Aveto; quindi l’Avagnone, entrambi affluenti di sinistra. Poco a monte di Marsaglia riceve l’Aveto, lungo circa 30 Km che ne

raddoppia la portata a causa dell’alta piovosità del suo bacino, che ha superficie pari a 257 m2

circa. La piovosità in questo tratto è influenzata dalla zona di transizione tra il clima continentale della Pianura Padana e quello tirrenico sub-litoraneo della Liguria: le precipitazioni variano da 700 mm/anno in pianura a 2000 mm/anno in montagna, quantitativi che inseriscono la Val Trebbia tra le zone più piovose dell’intero territorio nazionale. A valle di Marsaglia i contributi significativi si limitano al Curiasca di S. Michele, in località S. Salvatore; al Bobbio proveniente dal Monte Penice, presso Bobbio; al Fosso degli Aregli (o Arelli) a Barberino ed al Perino.

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Il tratto montano, che si sviluppa per circa 95 Km dalla sorgente fino a Rivergaro, presenta un alveo profondamente incassato nel substrato roccioso, con morfologia caratterizzata da meandri incastrati in roccia, con curvatura generalmente elevata. Il tratto di pianura scorre in un’ampia conoide con alveo tipicamente ramificato fino alla confluenza in Po, con ampie aree golenali e notevoli depositi alluvionali. Il bacino di alimentazione, sotteso dalla sezione di

Rivergaro, misura circa 938 Km2. Bacino del Rio Rifiuto Il bacino del Rifiuto si estende per 16,8 km2, ed è delimitato fisicamente a Nord dal Fiume Po, ad Est Sud-Est dal bacino del Torrente Nure, ed infine ad Ovest Sud-Ovest dal bacino del Fiume Trebbia. Si tratta di una porzione di territorio isolata idrologicamente a sud attraverso un sistema di canali di bonifica che provvedono alla cattura dei deflussi, alla loro regimazione e al loro scarico. Il comune di Piacenza è l’unico che insiste su questo territorio, da cui la denominazione di bacino “Città di Piacenza”. Date le modificazioni avvenute nel tempo sul suo territorio di competenza, non viene più considerato “bacino” ai sensi del D.Lgs. 152/99. Bacino del Torrente Nure Il Nure ha origine dal Monte Nero-Monte Maggiorasca sull’Appennino Ligure, a circa 1800 m s.l.m., al confine con la provincia di Genova: si sviluppa con il tipico orientamento SO-NE e confluisce nel Po a Est di Piacenza, nei pressi di Roncaglia, dopo aver percorso circa 75 Km, di cui 43 nella parte montana del bacino.

Il bacino misura complessivamente 466 Km2. Dalla sorgente sino a Ferriere scorre in un alveo inciso in una valle stretta e con versanti molto acclivi, con un percorso di circa 10 km: qui riceve qui il Grondana, proveniente dai versanti compresi tra i monti Carevolo, Aserei e Albareto; proseguendo nel suo corso la valle tende gradualmente ad allargarsi, e a Bosconure riceve il Lardana e il Lavaiana. Nel restante tratto fino alla foce si hanno solo affluenti minori (Lobbia, Restano, Groppo Ducale). Vista la forma stretta e allungata del bacino, il reticolo secondario è tutto di dimensioni relativamente contenute, sviluppato attorno all’asta principale, con sottobacini sottesi

dell’ordine dei 20-40 Km2. Bacino del Torrente Chiavenna Ha origine dal monte Taverne (806 m s.l.m.) e confluisce nel Po all’altezza di Caorso, il bacino di alimentazione è compreso per la maggior parte nella zona collinare della provincia. Nel tratto di pianura riceve in sponda sinistra il Chero a Roveleto e il Riglio, nel quale confluisce il Vezzeno, a monte di Caorso; i bacini dei due tributari sono di dimensioni simili (poco meno di 50 Km2), maggiori di quello del Chiavenna (32 Km2 circa). La superficie totale del bacino misura 360,1 km2. Il reticolo idrografico secondario, poco articolato, è sviluppato prevalentemente nella parte di pianura, con andamento preferenziale parallelo alle tre aste principali. Bacino del Cavo Fontana Il bacino del Cavo Fontana si estende per 157 km2 di superficie localizzata a ridosso del fiume Po, tra i torrenti Chiavenna e Arda, drenata da un complesso reticolo di canali artificiali ad uso irriguo per le aree agricole dei comuni della bassa pianura orientale (Castelvetro, Monticelli d’Ongina, Villanova sull’Arda, S. Pietro in Cerro, Cortemaggiore e Fiorenzuola d’Arda). Il Cavo Fontana, corpo idrico artificiale, ha origine dalla confluenza di due sistemi di canalizzazioni: il sistema del Cavo Fontana Alta e Bassa, che raccoglie le acque dei canali Scolo la Valle, Fosso Budello, Rio Mezzano, Canale della Sforzesca, Canale di S. Protaso, Scolo Ravacolla, Cavo Manzi, Cavo La Fontana, Cavo Acquanegra; il sistema del Cavo La Morta che raccoglie il contributo dello scolo Gambina. Bacino del Torrente Arda Il bacino del Torrente Arda ha una superficie complessiva di 289 km2 e confina a Nord con il Fiume Po, ad Est e a Sud con il bacino del Taro, a Sud-Ovest con il bacino del Nure e ad Ovest

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con il bacino del Chiavenna. Il reticolo idrografico del bacino è composto da due sistemi distinti, rispettivamente l’Arda e l’Ongina. La confluenza dell’Ongina in Arda avviene poco prima della foce ed è il risultato di un intervento artificiale. All’interno degli argini del Po, all’altezza di Polesine Parmense, è ancora presente il precedente alveo dell’Ongina, “Ongina Vecchia”, che confluisce direttamente nel Po circa tre chilometri a valle della foce dell’Arda. Il torrente Arda nasce sul monte Menegosa (1356 m s.l.m.), ha un percorso con direzione SO-NE; presso Mignano è interrotto da uno sbarramento artificiale che dà origine all’omonimo lago, ad uso prevalentemente irriguo, con capacità di invaso di 15 milioni di m3. Il bacino idrografico dell’Ongina, di forma stretta e allungata, sottende un’area di 152 Km2 che si sviluppa dalla zona montana del Comune di Vernasca fino alla bassa pianura del Fiume Po, compresa tra i torrenti Stirone ed Arda. L’Ongina ha una parte collinare decisamente più modesta rispetto all’Arda, con un reticolo idrografico molto poco articolato e per gran parte artificiale nel tratto di pianura, formato da un complesso reticolo di canali ad uso irriguo per le aree agricole dei comuni di Vernasca, Castell’Arquato, Alseno, Fiorenzuola, Besenzone e Villanova sull’ Arda. Fiume Po La sponda destra del fiume Po segna il confine fra Emilia e Lombardia nel tratto compreso nel territorio della provincia di Piacenza. Il Po è influenzato dalle caratteristiche dei suoi affluenti, sostanzialmente di due tipi: di origine alpina-glaciale e appenninica. La prima è caratterizzata da regime fluviale con apporto idrico regolato, dato dallo scioglimento delle nevi, con picco di deflusso estivo; la seconda da regime torrentizio, alimentato tipicamente dal flusso superficiale e sotterraneo prodotto dalle precipitazioni, accompagnato da notevole trasporto solido, con minimo stagionale in estate, spesso con siccità assoluta. Il Po raccoglie nel suo percorso da Ovest verso Est tutti gli affluenti piacentini di destra, corsi d’acqua appenninici; i tratti montani di questi torrenti cedono grandi quantità d’acqua all’acquifero sotterraneo in corrispondenza del margine della pianura alluvionale, caratterizzata da elevata permeabilità con effetto drenante. Nel tratto piacentino l’asta fluviale ha una connotazione prevalentemente artificiale, per le opere di difesa e di sistemazione idraulica (figura 2.5.2).

Figura 2.5.2 Ambito territoriale del bacino del Fiume Po: in grigio l’area di studio.

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2.5.2 Acquifero sotterraneo Idrologia della media collina La media collina non dispone di serbatoi naturali, capaci di accumulare ed erogare per tutto l’anno quantitativi di acqua di una certa rilevanza pratica. Dal punto di vista geologico ciò trova una logica giustificazione nella grande diffusione di rocce impermeabili o semimpermeabili. Le risorse idriche sotterranee di questo settore del territorio provinciale sono pertanto modeste e per di più notoriamente fluttuanti nell’arco dell’anno solare, con cali cronici estivi e/o autunnali, quando vengono a mancare le precipitazioni, indispensabili per il ravvenamento delle locali falde effimere. Questo quadro si presenta con monotonia nei tratti medio-inferiori delle valli dei torrenti Arda, Chero, Riglio, Vezzeno, Nure, Trebbia, Luretta e Tidone. In tali zone le risorse idriche, disponibili anche nelle stagioni più aride, si sono rivelate le falde di subalveo dei corsi d’acqua principali. Lo sfruttamento delle falde di subalveo non presenta a tutt’oggi problemi dal punto di vista della quantità. Esso potrebbe tuttavia implicarne altri per quanto attiene alla qualità (inquinamenti collegati agli scarichi che vengono dispersi negli alvei di alcuni corsi d’acqua). Un altro ambiente idrogeologico si riscontra poi nei settori della bassa collina, con particolare evidenza nelle porzioni occidentale ed orientale del territorio provinciale. Qui in effetti le risorse idriche sotterranee sembrerebbero, a tutt’oggi, modeste, ma a differenza di quanto accade nella media collina, non si riscontrano forti escursioni stagionali. In effetti le risorse idriche sotterranee dei citati settori della bassa collina sono legate alla presenza di falde relativamente profonde (20 - 30 m) che, in alcuni casi, vengono ad assumere un comportamento idrologico di tipo artesiano. Dal punto di vista geologico tale situazione si ricollega alla presenza di serie sedimentarie marine, trasgressive, ad assetto monoclinale con immersione verso l’antistante pianura (zone di Castell’Arquato, Rezzano di Carpaneto, Sariano di Gropparello, Ziano). In tali successivi monoclinali le falde acquifere sono ovviamente insediate nei livelli permeabili (arenarie e conglomerati, più o meno sabbiosi), che vengono alimentati in parte dalle precipitazioni meteoriche, ma soprattutto dai vari corsi d’acqua locali, attraverso processi di dispersione delle falde di subalveo. Da rilevare che anche questo particolare tipo di alimentazione risulta purtroppo esposto al pericolo di inquinamenti. Il rischio di inquinamenti per alcune delle falde in questione aumenta anche in relazione al fatto che durante la perforazione di alcuni pozzi si possono provocare mescolamenti con acque ferruginose provenienti da falde soggiacenti e talora anche interposte a quelle sature di acqua dolce potabile. Idrogeologia della pianura Nella pianura vera e propria le risorse idriche sotterranee risultano, di norma, più cospicue e più uniformemente distribuite. Nella fattispecie esse sono identificabili nella falda freatica, presente pressoché ovunque, e molto spesso anche in altre artesiane soggiacenti a questa (da una sino a tre). Sedi naturali di falde acquifere sono le intercalazioni ghiaiose e sabbiose comprese nella coltre di sedimenti fluviali deposti dal Po e dai suoi affluenti appenninici durante l’era quaternaria. La consistenza ed il numero degli acquiferi in questione risultano tuttavia variabili da zona a zona, in funzione di diversi fattori, quali la vicinanza di paleoconoidi e lo spessore complessivo del materasso alluvionale che, come è noto, riposa su un substrato, generalmente impermeabile, intensamente corrugato. In relazione a ciò è possibile distinguere, nell’ambito della pianura piacentina, tre compartimenti idrogeologicamente differenziati sia per la disponibilità di risorse idriche sotterranee sia per la vulnerabilità delle medesime in rapporto al pericolo di potenziali inquinamenti. Queste suddivisioni tengono conto del fatto che nelle porzioni occidentale (zone di Borgonovo e Castelsangiovanni) ed orientale (Carpaneto ed Alseno), stante la modesta profondità del substrato marino (da 35 a 50 m) le falde idriche risultano numericamente ridotte (una, due al massimo) e caratterizzate da una bassa resa specifica (portate medie dei pozzi comprese fra 2 e 8 l/s). A questa norma generale fanno tuttavia eccezione le locali fasce di pianura sviluppatesi a cavallo delle aste torrentizie, fasce lungo le quali l’incremento delle ghiaie acquifere provoca un sensibile miglioramento delle rese dei pozzi. Condizioni idrogeologicamente migliori si riscontrano invece nel settore centro-settentrionale della pianura compresa fra gli alvei del Tidone e dell’Arda : in questa fascia si rileva un

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notevole incremento dello spessore della coltre alluvionale (60 - 150 m) ed un notevole sviluppo degli orizzonti dei paleconoidi (conoidi del Tidone, del Luretta, del Trebbia, del Nure, del Riglio e del Chero). In questa porzione di pianura le disponibilità idriche sotterranee risultano pertanto uniformemente elevate, con un palese massimo nella fascia impostata sul paleconoide del Fiume Trebbia. In questa fascia infatti i numerosi pozzi finora perforati erogano quantitativi di acqua assai elevati, senza dar luogo ad apprezzabili depauperamenti delle falde emunte. L’unico aspetto negativo di questo ricco sistema idrogeologico, collegato alla conoide del Trebbia, è rappresentato dalla scarsa protezione contro gli inquinamenti. In effetti nel corpo della paleconoide i diaframmi argillosi e limosi (impermeabili) sono alquanto rari e per di più discontinui, per cui eventuali sostanze inquinanti, immesse nell’alveo del Trebbia, potrebbero propagarsi con relativa facilità alle falde sotterranee soprattutto a partire dalla porzione alta della conoide (zona di Rivergaro). La sola formazione geologica che potrebbe, in una certa misura, opporsi alla penetrazione in profondità di sostanze inquinanti è rappresentata dai conglomerati che, proprio nella conoide del Trebbia, presentano un eccezionale sviluppo. Un’adeguata protezione naturale contro il rischio di possibili inquinamenti delle falde idriche produttive non sussiste purtroppo anche per le conoidi degli altri corsi d’acqua precedentemente menzionati, con particolare riferimento alle zone di Ponte dell’Olio, S. Giorgio e Fiorenzuola. A proposito di esposizione al rischio di inquinamenti si ricorda, per quanto ovvio, che la falda freatica è ovunque indifesa, per la sua naturale collocazione superficiale e per l’assenza di livelli impermeabili a tetto.

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2.6 Vulnerabilità intrinseca dell’acquifero L'inquinamento delle risorse idriche costituisce, nella sua accezione generale, una realtà estremamente complessa in cui agiscono diversi e concomitanti fattori di generazione. Tenuto conto della caratterizzazione territoriale della provincia di Piacenza, oltre ad una ricognizione sulle principali forme di inquinamento puntuale o diffuso all'interno dei vari bacini idrografici (quali la popolazione civile, le attività produttive, la zootecnica e l'agricoltura), in occasione della stesura del PTCP 2000 è stata per la prima volta elaborata in formato digitale la Carta della Vulnerabilità dell’Acquifero. La Carta provinciale è stata redatta dal Servizio Pianificazione Territoriale con specifiche consulenze esterne, sulla scorta dei dati disponibili, secondo la metodologia CNR che prevede l’individuazione di diverse classi di vulnerabilità in riferimento a parametri di permeabilità, profondità dell’acquifero, litologia di superficie, differenti tipologie d’acquifero. 2.6.1 Vulnerabilità e tutela delle zone ad elevata permeabilità Con il termine vulnerabilità degli acquiferi si intende “la suscettibilità specifica dei sistemi acquiferi, nelle loro diverse componenti e nelle diverse situazioni geometriche e idrodinamiche, ad ingerire e diffondere anche mitigandone, gli effetti, di un inquinamento fluido o idroveicolato tale da produrre impatto sulla qualità dell’acqua sotterranea nello spazio e nel tempo” (Civita, 1987). La protezione delle acque sotterranee presuppone, quindi, conoscenze approfondite sulla circolazione idrica del sottosuolo. Tali conoscenze sono acquisibili solo attraverso accurati studi interdisciplinari che comprendono specifiche competenze relative all’idrologia, idrogeologia, geochimica, idrochimica e microbiologia. Nell’intento di fornire una articolazione delle aree maggiormente esposte alla contaminazione è stata redatta la Carta della vulnerabilità degli acquiferi all’inquinamento che rappresenta la possibilità di penetrazione e propagazione, in condizioni naturali, di inquinanti provenienti dalla superficie nei serbatoi idrici ospitanti la falda generalmente libera e da qui, quando possibile, nel sistema acquifero più profondo. Come si è detto la metodologia impiegata è quella proposta dal Gruppo Nazionale Difesa Catastrofi Idrogeologiche - “Vulnerabilità degli acquiferi” che in base al criterio di zone omogenee, permette la valutazione del grado di vulnerabilità, in termini qualitativi, attraverso intervalli opportunamente preordinati per situazioni tipo, utilizzando la tecnica della sovrapposizione. Il metodo è stato ampiamente utilizzato ed affinato nelle zone di alta e media pianura delle province limitrofe emiliane (Parma, Reggio Emilia, Modena) e grazie alla sua duttilità viene applicato all’intera pianura piacentina, con particolare attenzione alle conoidi alluvionali dei corsi d’acqua. Pertanto la cartografia elaborata può essere agevolmente collegata a quelle già esistenti, per produrre una caratterizzazione unitaria della vulnerabilità degli acquiferi a scala regionale. I parametri di base presi in considerazione nella legenda per la definizione della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi sono: la litologia di superficie, la profondità del tetto delle ghiaie ed il tipo di acquifero (libero o confinato). L’analisi incrociata di tali elementi consente la perimetrazione, nell’ambito del territorio, di aree a differente grado di vulnerabilità ovvero di aree in cui gli acquiferi sotterranei risultano più o meno protetti dallo strato insaturo sovrastante e presenta pertanto un maggiore o minore rischio di contaminazione dall’eventuale percolazione di sostanze inquinanti. La ricostruzione delle caratteristiche della litologia di superficie è stata effettuata utilizzando i dati della carta pedologica a scala 1:25.000 prodotta dalla R.E.R. ed i fogli della carta geologica pubblicati dal Servizio Cartografico e Geologico della Regione Emilia Romagna. A tale scopo sono inoltre stati considerati i dati provenienti dalle cartografie, nonché i risultati delle interpretazioni di sondaggi geognostici e prove penetrometriche allegate ai Piani Regolatori Generali e ai Piani di Attività Estrattiva comunali. Per la definizione della profondità del tetto delle ghiaie è stata presa in considerazione la

profondità del primo orizzonte con significativo valore di permeabilità (K compresa tra 10-4 e

10-1 cm/s) incontrato a partire dal piano campagna. I dati necessari alla redazione di questo tematismo sono stati reperiti presso l’Amministrazione Provinciale e Regionale e riguardano le stratigrafie dei pozzi per acqua, i sondaggi geognostici e le prove penetrometriche. Il risultato

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ha portato alla definizione di aree omogenee discriminate rispetto al valore di 10 metri di profondità dal piano campagna del tetto delle ghiaie. La distinzione tra acquifero con falda libera o confinata si basa sulla morfologia della superficie piezometrica (netta diminuzione del gradiente idraulico) e sulla struttura idrogeologica. Tale distinzione risulta particolarmente significativa in quanto la presenza di una falda in pressione o protetta da orizzonti impermeabili ostacola la propagazione in profondità di un eventuale inquinante dalla superficie. Per la differenziazione della tipologia degli acquiferi sono state considerate le informazioni dedotte dalle sezioni idrogeologiche interpretative, dalla carta delle Isopieze e dai dati forniti dal Servizio Cartografico della Regione Emilia Romagna (RER, ENI-AGIP “Riserve Idriche Sotterranee della Regione Emilia Romagna, S.EL.C.A. 1998) . In particolare le aree che corrispondono alla parte apicale e mediana delle conoidi dei corsi d’acqua appenninici, insieme con quelle del dominio del F. Po, sono state considerate a falda libera; le aree di interconoide o la parte frontale delle conoidi, la media e bassa pianura nel settore est del territorio provinciale, sono invece caratterizzate da falda confinata (Fig. 2.6.1).

Figura 2.6.1 Carta della vulnerabilità intrinseca della provincia di Piacenza 2.6.2 Prime valutazioni sul grado di vulnerabilità Passando all’analisi dei risultati ottenuti dall’applicazione della metodologia si evidenziano le seguenti emergenze (Fig. 2.6.2). Nel settore posto ad ovest del T. Tidone il grado di vulnerabilità prevalente ricade nella classe Media e Bassa. Questo è dovuto essenzialmente agli apporti di materiali fini dei torrenti appenninici; in particolare nei terrazzi alluvionali a monte di Castel San Giovanni si nota la presenza di coperture superficiali limoso-argillose di notevole spessore che abbassano il grado di vulnerabilità. I settori centrale sud orientale della carta sono caratterizzati da un grado di vulnerabilità Alto. Rilevanti sono le alluvioni grossolane delle conoidi del F. Trebbia e del T. Nure (essenzialmente ghiaiose o ghiaiose-sabbiose) scarsamente ricoperte da depositi limo-argillosi a più bassa permeabilità.

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Media loc. AltaEstremamente ElevataElevataAltaMediaBassa

Vulnerabilità

Figura 2.6.2: Carta della Vulnerabilità intrinseca della provincia di Piacenza: dettagli. La falda si presenta libera e nei primi 10 metri di profondità si evidenzia la presenza di livelli acquiferi significativi, in diretta connessione idraulica con il sistema acquifero profondo. Le aree maggiormente vulnerabili, quelle classificate come Estremamente Elevato sono limitate prevalentemente agli attuali alvei fluviali dei principali corsi d'acqua, costituiti da alluvioni ghiaiose o ghiaiose-sabbiose molto permeabili, per lo più disperdenti ed in diretta connessione idraulica con i vari acquiferi. Le aree a grado di vulnerabilità Elevato sono invece localizzate ai margini degli alvei attuali dei principali corsi d'acqua, in corrispondenza cioè delle relative fasce golenali. Queste comprendono gli apporti fluviali più recenti costituiti da sedimenti ad elevata permeabilità (ghiaie prevalenti) e rappresentano zone di ricarica dell'intero sistema acquifero caratterizzate da alti coefficienti d'infiltrazione. In genere, allontanandosi dalle aste fluviali, si nota una diminuzione del grado di vulnerabilità del sistema; in modo particolare nelle zone di interconoide si rileva la presenza di consistenti coperture limo-argillose a bassa permeabilità che riducono i valori alla classe Media. Nel settore orientale (est del T.Nure) muovendosi dall'alta pianura verso Nord si passa dal grado di vulnerabilità Alto a quello Medio e Basso, all'incirca in corrispondenza della via Emilia, dove potenti coperture di natura prevalentemente argillosa, a bassa permeabilità, costituiscono importanti fattori di protezione dell'acquifero più superficiale tali da caratterizzare l'intera area con un grado di vulnerabilità Basso. L'assenza quindi di livelli ghiaiosi di spessore significativo nei primi 10 metri di profondità e le condizioni di falda ovunque confinata o semiconfinata, mettono in chiara evidenza un ambiente a ridotta circolazione delle acque. Inoltre la presenza di falde in pressione garantisce un ulteriore ostacolo alla propagazione in profondità, nel mezzo liquido, di potenziali sostanze inquinanti. A Nord dell'allineamento Caorso, San Pietro in Cerro, Busseto, si rientra in un grado di vulnerabilità Medio, fino al limite del dominio dei depositi di pertinenza del fiume Po. Più articolata si presenta invece la situazione attorno agli abitati di S. Giorgio e Pontenure per la presenza di depositi superficiali o affioranti del T. Nure caratterizzati da una granulometria grossolana ed un grado di vulnerabilità Alto, con molta probabilità pertinenti ad un paleoalveo del torrente Nure avente direzione NE; in questo settore si individuano anche ambiti caratterizzati da una profondità del tetto delle ghiaie superiore ai 10 metri dal p.c. che

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determinano, di fatto, un grado dì vulnerabilità più basso rispetto alle zone adiacenti. Infine la fascia del dominio sedimentario ed idraulico del fiume Po risulta definito da un grado di vulnerabilità Alto e/o Elevato, determinato da una soggiacenza ridotta (generalmente inferiore ad 1-2 metri dal p.c.) e dalla presenza di litologie superficiali sabbioso-limose. La fascia si presenta particolarmente estesa nel settore orientale del territorio in esame seguendo gli allineamenti dei paleomeandri per poi restringersi nel settore occidentale a causa della vicinanza del margine collinare all’asta fluviale del F. Po. Lungo il settore meridionale della carta, coincidente con il sistema dei terrazzi più antichi, è presente una classe di vulnerabilità Bassa, variabile localmente a Media/Alta. I terrazzi sono caratterizzati da una copertura loessica e da paleosuoli argilllosi-limosi con spessori tali da raggiungere anche i 10 m, ma che si presentano in alcuni settori parzialmente erosi evidenziando il substrato costituito da ghiaie alterate ricche in matrice argillosa-limosa. Il grado di vulnerabilità naturale dell'acquifero non è invece chiaramente definibile per le aree ad elevate concentrazioni urbane: interventi antropici quali impermeabilizzazioni, scavi, ecc. hanno infatti indotto importanti alterazioni alle condizioni originarie, anche se il rischio può considerarsi nel complesso Elevato. 2.6.3 Dinamica insediativa e vulnerabilità La Carta costituisce una elaborazione con metodologia unificata, sulla base-dati disponibile, dell’assetto vulnerabile del territorio provinciale e rappresenta uno strumento di pianificazione dinamico, da affinare attraverso conoscenze implementabili nel tempo anche dal Sistema Informativo Territoriale. In grande sintesi, la lettura della cartografia evidenzia una suddivisione del territorio provinciale in quattro macro aree con differenti condizioni di vulnerabilità:

• fascia lungo il fiume Po, con grado di vulnerabilità Elevato ed Alto e spessore variabile, caratterizzata da un livello argilloso di confinamento alla profondità di circa 15-20 m abbastanza continuo;

• zona est (bacini dei torrenti Stirone, Chiavenna, Ongina e vari cavi minori), con gradi di vulnerabilità Media e Bassa dovuta ad alluvioni principalmente di natura limo argillosa;

• zona centrale (bacini dei Fiume Trebbia e T. Nure) con grado di vulnerabilità Elevato, caratterizzata da un potente acquifero superficiale, sede della falda principale, che dai terrazzi antichi si estende sino alla città di Piacenza;

• zona ovest (bacini dei torrenti Tidone, Boriacco, ecc) con grado di vulnerabilità prevalente Medio, spesso Basso, in cui la ricarica dell’acquifero principale risulta essere di tipo diretto solo localmente.

La cartografia redatta ha permesso inoltre una schematica verifica dell’impatto per insediamenti civili ed industriali sulle acque sotterranee, considerando una sorta di ricognizione sulla dinamica insediativa (Fig. 2.6.3).

Figura 2.6.3 Vulnerabilità e dinamica insediativa nella provincia di Piacenza.

1

21

434

44746

942156

2061

1178168

36014

281

36101665173

864

0 1000 2000 3000 4000

area c entri1828

area c entri1970

area c entri1994 B-bassa

P-med ia loc . a ltaM-med iaA-a ltaE-eleva taEE-ex eleva ta

Superf. ha

Sviluppo

Vulnerabilità

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Le sovrapposizioni, rese possibili dall’informatizzazione georeferenziata degli elaborati, con gli strumenti urbanistici comunali organizzati nel BUS-PRG, forniscono una visione d’insieme della pressione antropica indotta da insediamenti storici, consolidati, recenti o in previsione sul territorio in rapporto sempre alle classi di vulnerabilità, evidenziando situazioni di possibile rischio nel territorio considerato. Gran parte degli insediamenti storici sono posti su aree a vulnerabilità da bassa a media, in particolare per la presenza di localizzazioni sulla conoide del Trebbia e del Nure. Con il passare degli anni si nota l’espansione della città capoluogo e delle cinture urbane: cioè si amplia il settore d’attenzione (insistenza su grado Alto ed Elevato) sia come % sia come area occupata (ha). Dalla sommatoria di tutte le aree omogenee perimetrate, si ottiene un alto grado di insistenza su zone a vulnerabilità significativa. Circa il 70% ad esempio delle attività produttive ricade in un grado di vulnerabilità superiore ad Alto. Anche per gli spandimenti e grandi allevamenti è altissima la percentuale di insistenza su aree a rischio (Figura 2.6.4). A questo proposito si ricorda che è già in atto un programma provinciale per il nuovo piano di settore, mentre risultano evidenti incongruenze con l'attuale articolazione degli ambiti di spandimento in vigore (LR 50/'90).

Numero allevamenti intensivi

0

2

13

78

11

EE

E

A

M

P

B

Figura 2.6.4 Distribuzione degli allevamenti intensivi per classi di vulnerabilità nella provincia di Piacenza.

2.6.4 Conclusioni L’intervento ha principalmente lo scopo di presentare e nel contempo mettere in luce alcune delle possibili applicazioni che un progetto come quello della carta della Vulnerabilità provinciale può determinare. Con attenzione all’importanza che gli acquiferi assumono nell’ambito piacentino, ad esempio, nelle Norme Tecniche di attuazione del P.T.C.P. sono state integrate zone di tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei, specificando le direttive per una corretta tutela e introducendo limitazioni d’uso ove la vulnerabilità degli acquiferi risulta elevata o estremamente elevata. In generale, in queste zone è esplicitamente vietato l’esercizio di nuove discariche per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani. Riconoscendo la necessità di approfondire le indagini sul territorio provinciale per raggiungere una rappresentazione corretta e definitiva dei corpi idrici sotterranei, la normativa di attuazione prevede la possibilità da parte dei Comuni di elaborare, in sede di pianificazione comunale, specifiche di zona e/o norme che derivino da studi sulla vulnerabilità degli acquiferi di maggior dettaglio. Alla Provincia la carta permette un controllo mirato delle varie e molteplici attività che l’Ente è chiamato a coordinare. In particolare diventa fondamentale nella redazione di piani di settore (PIAE, PISR, Mobilità, ecc) e nella fase gestionale autorizzativa (spandimenti, scarico dei produttivi in acque superficiali ecc). L’elaborato può divenire pertanto, per Provincia e Comuni, uno strumento in continua evoluzione (sulla base dell’aumento della conoscenza tramite indagini dirette e nuovi modelli interpretativi) assolutamente legato ad una progettualità e ad una tutela urbanistico - ambientale di rilevanza territoriale. Il sistema ambientale determina il quadro delle invarianti e quindi delle azioni poste a presidio dell'obiettivo della “sostenibilità ecologica dello sviluppo”. E’ necessario percorrere questa strada per integrare uno sviluppo socio-economico compatibile con la tutela dell'ambiente ed attivare un più strategico impiego delle risorse stesse, mantenendole in buone condizioni per le generazioni future.

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2.7 Uso reale del suolo Nei territori ad agricoltura intensiva come la Pianura Padana le agro-tecnologie costituiscono senza dubbio il principale fattore di inquinamento diffuso dei terreni e degli acquiferi di superficie e di modifica degli equilibri ambientali ed ecologici. L’agricoltura padana, come del resto quella di gran parte dei paesi occidentali, si è attualmente dedicata ad un numero sempre più limitato di colture, ad uno sfruttamento intensivo del territorio e ad un massiccio impiego di prodotti chimici per reintegrare la fertilità dei suoli (concimazione), per difendere le colture dagli attacchi parassitari (insetticidi, anticrittogamici) e per adeguare le produzioni alle esigenze dell’industria di trasformazione (maturanti, ecc.). Lo studio dell’Uso Reale del Suolo costituisce un’informazione indispensabile riguardo al reperimento di dati attendibili di distribuzione sul territorio di fertilizzanti azotati di sintesi, attraverso la ricognizione delle coltivazioni praticate sul territorio. La carta URS a scala regionale (1:25.000), ottenuta dal “Volo Italia” del 1994, fotointerpretata dalla Regione Emilia Romagna (Figura 2.7.1), non consente di ottenere un’informazione di dettaglio come quella ottenuta con l’acquisizione di immagini dedicate a scala provinciale. Per questo motivo la Provincia di Piacenza ha acquisito immagini satellitari del territorio di interesse, ottenendo una cartografia a scala intermedia (1:25.000) con buona affidabilità e a costi relativamente contenuti (vedi paragrafo 2.8.1 Telerilevamento). Inoltre, per stimare l’impatto dei fertilizzanti azotati di sintesi sul territorio, i dati di vendita sarebbero comunque di difficile reperimento, e non forniscono una corretta localizzazione geografica della quantità realmente distribuita; la richiesta diretta agli agricoltori è improponibile, sia per la complessità dell’indagine (intervista porta a porta?), sia per la diffidenza che tali domande ingenerebbero negli intervistati. E’ però indispensabile, per stimare l’impatto ambientale della fertilizzazione, una dettagliata analisi quantitativa e qualitativa delle categorie e dell’entità dei prodotti realmente impiegati, sia sull’insieme del territorio interessato (essenzialmente la fascia della pianura e della prima collina), sia suddivisi per aree ambientali affini, quali ad es. i bacini idrografici. Si è pensato quindi di ricorrere all’analisi effettuata dall’Amministrazione Provinciale di Piacenza, Dipartimento Politiche di Gestione del territorio e Tutela dell’ambiente, U.O.A. Monitoraggio delle risorse territoriali e ambientali, relativa all’impatto ambientale da prodotti chimici utilizzati nelle pratiche agricole sul territorio piacentino durante un’annata agraria campione (1998), a cui si riferiscono le stime della distribuzione di N alle colture di seguito riportate. Dell’indagine che sintetizza sia qualitativamente, sia quantitativamente la massa di prodotti chimici impiegati sui seminativi durante la stagione agraria 1998, si utilizzano i dati relativi ai concimi, calcolati per singolo bacino idrografico sulla base della Carta dell’Uso Reale del Suolo relativa ai seminativi annuali, realizzata da immagini satellitari (figura 2.7.2).

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Figura 2.7.1 Carta regionale dell’Uso Reale del Suolo: dettaglio della provincia di Piacenza.

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2.7.1 Telerilevamento La fonte principale di informazioni telerilevate è una serie di immagini Landsat5-TM, caratterizzate da utile risoluzione spettrale (Telespazio); il satellite monta a bordo 2 sensori, MSS e TM (Thematic Mapper), che produce riprese terrestri su 7 distinte bande elettromagnetiche: 3 nel visibile, 3 nell’infrarosso vicino e medio, con risoluzione geometrica al suolo di 30 m, 1 nell’infrarosso termico, con risoluzione di 120 m. Le immagini sono state importate nell’ambiente di lavoro Ermapper rel. 6.1, georeferenziate e rettificate in base ad un set di punti di controllo a terra, ottenendo l’intera fascia di pianura piacentina al di sotto dei 200 m s.l.m. avente coordinate UTM:

Vertice/coord. UTM UTM Est UTM Nord Vertice NO 523936 4999282 Vertice SE 583036 4963930 estensione 59.1 km 35.4 km

Le immagini ottenute sono state sovrapposte ai confini amministrativi; la tecnica di classificazione mediante SW Ermapper impiegata è stata quella assistita (supervised) con algoritmo di Massima Verosimiglianza (Maximum Likelihood, ML), che si basa sull’individuazione di verità a terra, simultanee o confrontabili con i passaggi del satellite, impiegate sia per la classificazione, sia per testare i risultati (matrici di confronto previsto/osservato). Sulla base dei rilievi a terra sono state analizzate le firme spettrali dei campi ritenuti omogenei, per individuare classi di copertura ben separabili; non si è potuto disporre però di verità a terra per le orticole minori (pisello, aglio e cipolla), per le colture minori (girasole, sorgo) e per la frutticoltura, che comunque occupano una bassa quota del territorio agrario di pianura. Inoltre per le colture arboree (vite, pioppo, bosco misto), non disponendo di rilievi a terra se non per i seminativi, è stata utilizzata la carta URS della RER (Figura 2.8.1), verificata su ortofoto pancromatiche digitali a 1 m di risoluzione (riprese Aima, 1996). Sono state quindi ricavate le stime delle superfici investite per ogni seminativo monitorato; e sono state calcolate sia per l’intero territorio di pianura della provincia, sia per le porzioni di pianura dei singoli bacini idrografici principali. Sono state desunte ulteriori informazioni anche dalla raccolta dei Bollettini di Assistenza Agrometeorologica e delle Produzioni Integrate dell’anno 1998 e dalla analisi delle schede generali e settimanali della Rete provinciale di monitoraggio agrofenologico. Moltiplicando i consumi unitari per le superfici totali si sono ottenuti i consumi totali, suddivisi per coltura monitorata e per bacino idrografico. Le classi di uso del suolo considerate sono state: Bietola, Grano e Orzo, Mais, Medica ed erbai vari, Pomodoro, Soia, Acqua, Pioppo, Vite, Bosco misto, Urbano e non vegetato; le orticole minori e la frutticoltura non sono state classificate. I bacini considerati nella localizzazione quantitativa degli investimenti sono stati: Bardonezza e pianura tra Bardonezza e Tidone, Tidone, Pianura tra Tidone e Trebbia, Trebbia, Nure, Chiavenna, Arda e Cavo Fontana, Stirone. La carta tematica ottenuta è riportata in Fig. 2.7.2.

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Figura 2.7.2 – Mappa della classificazione dell’Uso Reale del Suolo, provincia di Piacenza, anno 1998, elaborata sulla base di immagini Landsat-TM. In nero i confini dei principali bacini idrografici; in rosso l’isoipsa dei 200 m slm, presa come limite della pianura. Legenda: rosso=pomodoro, arancio=grano, giallo=mais, blu=bietola, verde marcio=soia, verde chiaro=medica, verde scuro=pioppo, violetto=vite, marrone=bosco, grigio=non vegetato, celeste=acqua.

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2.7.2 Risultati L’annata agraria 1998 è stata caratterizzata da condizioni climatiche non particolarmente lontane dalla norma, anche se tendenzialmente siccitose. Le colture esaminate sono le seguenti: Cereali autunnali; Pomodoro; Barbabietola; Mais; Soia; Cipolla, Pisello; Fruttiferi (Tabella 2.8.1).

Tutti i bacini N° interv. Conc. (N) Tot. Kg/Ha CEREALI AUTUNNALI (Frumento) 1.7 98.6 BARBABIETOLA 1.5 85 MAIS 1 145 SOIA 1 -- CIPOLLA 1 40 PISELLO 1 40 FRUTTIFERI Drupacee 1 100**

Pomacee 1 100** **I dati relativi alla concimazione sono stati ricostruiti a partire dai Bollettini Agrometeorologici e di P.I. e dalle testimonianze dei tecnici. Tab. 2.7.1 Colture, 1998; concimazione in N, n° interventi e dose tot in kg/ha.

Nel caso del Pomodoro, in virtù dell’elevato numero di campi monitorati nel ‘98, le informazioni sono state suddivise nei limiti del possibile per bacino idrografico; nei bacini in cui non erano presenti campi monitorati (Nure, Tidone) sono stati inseriti valori intermedi tra i bacini circostanti. Mancando dati dettagliati sulla concimazione, sono stati inseriti valori medi corrispondenti alla pratica diffusa sul territorio.

Bacini N° interv. Conc. (N) Tot. Kg/Ha Arda 1 60 Chiavenna 1 50 Nure 1 45 Trebbia 1 40 Pianura Tidone-Trebbia 1 30 Tidone 1 35 Bardonezza 1 35

Tab. 2.7.2 Pomodoro, 1998; concimazione in N, n° di interventi e dose tot. in Kg/Ha.

Sulla base della stima delle dosi unitarie distribuite per ogni tipologia di trattamento e per ogni coltura è stato possibile calcolare i quantitativi totali di prodotti distribuiti ripartiti per bacino idrografico di pianura. Dall’incrocio delle informazioni desunte dal telerilevamento (colture asteriscate in tabella 2.8.3) e dalla raccolta dei Bollettini di Assistenza Agrometeorologica e delle Produzioni Integrate del 1998 e dalla analisi delle schede generali e settimanali della Rete provinciale di monitoraggio agrofenologico (per cipolla, pisello, fruttiferi) si è ottenuta la seguente tabella riepilogativa relativa alle superfici occupate da seminativi; va ricordato che le superfici si riferiscono alla sola fascia di pianura del territorio provinciale, al di sotto dei 200 m di altitudine: Classi di uso del suolo

BACINO Superficie in Ha

pianura Bardonezza-Tidone

Tidone pianura Tidone Trebbia

Trebbia Nure Chiavenna Arda e Cavo Fontana

Totali

Bietola* 293 147 753 910 1.109 1256 1.350 5.818 Grano-Orzo* 1.341 1.293 1.162 2.673 1.657 3.562 4.977 16.665 Mais* 301 324 494 779 401 1.380 3.455 7.134 Medica* 3.038 2.175 1.558 2.483 894 3.069 6.046 19.263 Pomodoro* 680 612 880 2.917 1.560 3.289 3.325 13.263 Soia* 694 198 644 496 99 595 3.767 6.493 Cipolla 71 71 71 71 71 71 71 497 Pisello 214 214 214 214 214 214 214 1.498 Drupacee 7 7 7 7 7 7 108 150 Pomacee 20 20 20 20 20 20 200 320

Tabella 2.7.3 Stima delle superfici investite per i principali seminativi e per ogni bacino (Ha), classificate con tecniche di remote sensing (solo *) e corrette statisticamente, per l’annata 1998.

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Le superfici relative alle orticole minori (Cipolla, Pisello) e ai frutticoli (drupacee e pomacee), sono state considerate sulla base dei dati del Censimento dell’Agricoltura del ‘92 e delle statistiche agrarie fornite dallo SPAA - Rer per il ‘97 e il ‘98; le orticole minori sono state ripartite equamente su tutti i bacini principali, mentre i fruttiferi sono stati dislocati al 60-70% nel bacino dell’Arda (bassa pianura del Po) e per il restante 30-40% equamente negli altri bacini principali. Moltiplicando le superfici investite per bacino, per le dosi totali distribuite per Ha, si ottengono i volumi globali di prodotti chimici distribuiti nel corso del 1998 per ogni coltura e per ogni bacino, espresse in kg (Tabella 2.7.4).

Coltura Pian. B-T Tidone Pian. T-T Trebbia Nure Chiav Arda Totali CEREALI 132.223 127.490 114.573 263.558 163.380 351.213 490.732 1.643.169

BIETOLA 24.905 12.495 64.005 77.350 94.265 106.760 114.750 494.530

POMODORO 23.800 21.420 26.400 116.680 70.200 164.450 199.500 622.450

MAIS 43.645 46.980 71.630 112.955 58.145 200.100 500.975 1.034.430

SOIA

CIPOLLA 2.840 2.840 2.840 2.840 2.840 2.840 2.840 19.880

PISELLO 8.560 8.560 8.560 8.560 8.560 8.560 8.560 59.920

MEDICA

DRUPACEE 700 700 700 700 700 700 10.800 15.000

POMACEE 2.000 2.000 2.000 2.000 2.000 2.000 20.000 32.000

Totali 238.673 222.485 290.708 584.643 400.090 836.623 1.348.157 3.921.379

Tabella 2.7.4 Volumi totali in kg di concimi azotati (N) distribuiti per ogni coltura monitorata e per ogni bacino idrografico di pianura nel corso dell’annata agraria 1998. Da quanto sopra si ricava che nel 1998 viene stimato un consumo complessivo di 3921 ton. di concimi azotati, la maggior parte dei quali sono stati impiegati sui cereali autunnali (1643 ton.) e sul mais (1034 ton.); di queste 3921 ton., le quote maggiori vengono distribuite nei bacini dell’Arda (1348 ton.), del Chiavenna (836 ton.) e del Trebbia (585 ton.), (figura 2.7.3).

1348

837

585

239

400

291

222

15

Bacini1516 - 291292 - 585586 - 837838 - 1348

Fig. 2.7.3 Stima del consumo totale di concimi azotati per bacino idrografico, anno 1998.

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2.8 Attività agricole e zootecniche Come già detto nel paragrafo 2.1, la vocazione prevalente di gran parte dell’area della provincia di Piacenza è agricola ed è ovvio che la zootecnia rivesta una notevole importanza in questo settore; è altresì noto che le attività agro-zootecniche costituiscono una fonte di notevole impatto ambientale, soprattutto da quando la tipologia di conduzione delle aziende agricole é profondamente cambiata, assumendo un tasso di industrializzazione sempre più elevato. Nell’agricoltura pre-industriale, che si avvaleva di un modello di sviluppo ambientalmente sostenibile, il sistema agricolo era basato su regole e pratiche consolidate dall’esperienza e corrette da una gestione paziente e attenta basato su:

avvicendamento colturale allevamento sostenuto dalla produzione vegetale dell’azienda riciclo dei reflui domestici e animali compatibilità delle colture (bassi consumi idrici, utilizzo basso-moderato di pesticidi, ecc.) impiego elevato di manodopera a buon mercato reddito mediamente basso.

Parallelamente, esistevano regole “ambientali molto restrittive”, quali la conservazione del letame, degli alberi da frutto, degli alberi da palo, di siepi, ecc., che erano contenute nei contratti di affitto e di mezzadria. Ovviamente, questo modello di sviluppo aveva una ricaduta economica modesta ed un costo sociale elevato. Ai giorni nostri, l’incompatibilità sta tra sistema ambientale e dominio (socio)-economico, tra valore naturale e beni produttivi. Rispetto a 20 anni fa, le aziende agricole piacentine hanno avuto una notevole trasformazione produttiva, infatti da aziende con pluralità di coltivazioni e indirizzo produttivo misto, con produzioni vegetali e zootecniche, si è passati ad aziende altamente specializzate, con la prevalenza di un solo indirizzo produttivo (vegetale o zootecnico) e all'interno di questi spesso si riscontra la monocoltura e l'allevamento di una sola specie. Gli allevamenti zootecnici prevalenti sono i bovini con la presenza di 84.000 capi per la produzione di latte e carne, seguono gli allevamenti di suini con 147.000 capi, quelli di ovini e caprini che interessano rispettivamente 5.450 e 850 animali, mentre l'allevamento di equini interessa 3.050 capi. La dislocazione degli allevamenti sul territorio provinciale è così ripartita (tab. 2.8.1)

SPECIE TIPO DI PRODUZIONE PIANURA COLLINA MONTAGNA TOTALE BOVINI LATTE 424 20 186 630 CARNE 246 104 125 475 SUINI CARNE 70 11 14 95 OVINI LATTE 12 CARNE 12 CAPRINI LATTE+CARNE 70 EQUINI CARNE 27 12 93 132

Tabella 2.8.1 Distribuzione allevamenti (dati Servizio Agricoltura-Provincia Piacenza, 2005).

La distribuzione degli allevamenti sul territorio è rappresentata in figura 2.8.1 e 2.8.2, rispettivamente per i bovini e per i suini:

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Figura 2.8.1 Distribuzione territoriale degli allevamenti bovini; Figura 2.8.2 Distribuzione territoriale degli allevamenti suini 2.8.1 Spandimento di fanghi in agricoltura I fanghi di depurazione sono rifiuti speciali che residuano dagli impianti di trattamento delle acque reflue (di insediamenti industriali, civili, di allevamenti zootecnici, ecc.) e come tali sono soggetti alle disposizioni di cui al D. Lgs. 05/02/1997, n. 22 (Decreto Ronchi); sono inoltre oggetto di specifica normativa per il loro utilizzo a scopi agronomici secondo il D.Lgs.27/01/1992, n. 99, che ha recepito la Direttiva 86/278/CEE. Il D.Lgs. 99/92 considera i fanghi di depurazione un concime naturale idoneo alla fertilizzazione di terreni agricoli in quanto ricchi di sostanze quali azoto e fosforo e non semplicemente dei rifiuti. La Regione Emilia Romagna ha integrato la normativa nazionale in materia di spandimento con la Delibera di Giunta 16.04.1996, n. 736 (criteri procedurali per il rilascio delle autorizzazioni allo spandimento, più volte aggiornata e modificata), con la Delibera di Consiglio 11.02.1997, n. 570 (Piano stralcio per la tutela delle acque per il comparto zootecnico), con la Circolare 16/10/1997 (criteri tecnici e aspetti procedurali), ed infine con la delibera di Giunta 30.12.2004, n° 2773 (Primi indirizzi alle Province per la gestione e l’autorizzazione all’uso dei fanghi di depurazione in agricoltura) di recentissima emanazione. Per legge vengono valutate le caratteristiche agronomiche del fango, e l’ottenimento dell’autorizzazione all’utilizzo dei fanghi in agricoltura, rilasciata dalla Provincia, è vincolata al rispetto di alcuni precisi requisiti, come ad esempio il rispetto dei limiti massimi di concentrazione di metalli pesanti e il possesso di particolari proprietà fertilizzanti (tenore di carbonio organico, azoto, fosforo, ecc. …). Il rispetto di tali requisiti deve essere dimostrato attraverso apposite analisi, fornite dagli utilizzatori dei fanghi. Anche i terreni destinati a ricevere i fanghi, che vengono identificati da specifiche comunicazioni, (notifiche), devono possedere precisi requisiti stabiliti dal D.Lgs. n. 99/1992, che devono risultare da apposite analisi, come per i fanghi. L’utilizzo in agricoltura dei fanghi biologici è pertanto auspicabile, in quanto consente di riutilizzare un efficace fertilizzante azotato alternativo ai concimi di sintesi ed evita la collocazione in discarica con i connessi problemi di carattere ambientale ed economico. Questi aspetti positivi, derivanti dal riutilizzo in agricoltura, non devono però creare conseguenze negative sull’ambiente circostante, come rilascio di metalli pesanti (soprattutto per i fanghi originati dai depuratori civili e industriali)

che, seppur in quantità contenute, vengono assorbiti dai terreni; eccessivo apporto di azoto, che può inquinare le acque superficiali e sotterranee (i fanghi

applicabili non possono superare i limiti quantitativi fissati per l’azoto in 170/kg/ha/anno per i terreni classificati vulnerabili e la quantità di 340 kg/ha/anno nei terreni classificati non vulnerabili).

Per i fanghi biologici in particolare si sono inoltre riscontrati inconvenienti derivanti da un inadeguato trattamento di stabilizzazione come stabilito dalla normativa; tale inadeguatezza, specie se lo spandimento viene operato nella stagione estiva, porta alla formazione di emissioni odorigene sgradevoli, evitabili con l’interramento, mediante aratura, svolto subito dopo le operazioni di spandimento. Alcuni Comuni (Agazzano, Sarmato e Alseno) hanno inserito nei propri P.R.G. norme regolanti lo spandimento quali la distanza minima da centri

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abitati e da residenze, l’obbligo di presentazione di piani di utilizzazione agronomica da parte degli agricoltori utilizzatori. Relativamente ai fanghi biologici, gli spandimenti avvengono esclusivamente nei comuni di pianura e pedecollina, con prevalenza per i comuni di Agazzano, Alseno, Borgonovo Val Tidone, Cadeo, Fiorenzuola d’Arda e San Giorgio Piacentino. In fig. 2.8.3, è riportata la distribuzione territoriale degli spandimenti, relativa all’anno 2000 con l’identificazione delle zone interessate.

.

Figura 2.8.3 Spandimento fanghi, anno 2000. Figura 2.8.4 Spandimento liquami, anno 2000. 2.8.2 Spandimento di liquami zootecnici Il liquame zootecnico rappresenta un ottimo fertilizzante da utilizzare nelle normali pratiche di concimazione effettuata nell’attività di coltivazione dei fondi agricoli per garantire l’apporto dei nutrienti necessari allo sviluppo delle colture. Il liquame è un bene economico efficace in grado di apportare un utile contenuto di azoto al terreno agrario a condizione che ciò avvenga nel rispetto delle norme che ne regolano lo spandimento e secondo le buone pratiche agricole (Codice di buona pratica agricola, D. M. 19.04.1999). In particolare, al fine di evitare inconvenienti di carattere igienico ed ambientale, bisogna evitare l’utilizzo nei periodi di divieto, l’apporto di quantità eccessive, la formazione di fenomeni di ruscellamento, la distribuzione su terreni coltivati a orticole i cui prodotti possono essere consumati crudi, la produzione di odori, anche tramite l’adozione di alcuni semplici accorgimenti al momento della sua applicazione sul terreno quali: il rapido interramento, l’utilizzo di getti a bassa pressione. La Legge Regionale 24.04.1995, n. 50, “Disciplina dello spandimento sul suolo dei liquami provenienti da insediamenti zootecnici e dello stoccaggio degli effluenti di allevamento”, rappresenta la normativa di riferimento che attualmente regola la distribuzione del liquame zootecnico. La Regione Emilia Romagna, inoltre, nell’ambito della propria attività di pianificazione (Piano stralcio per la tutela delle acque per il comparto zootecnico) ha definito la Carta della Vulnerabilità, nella quale sono individuate zone a diversa capacità recettiva del liquame zootecnico, che sono le stesse viste per i fanghi. Le zone vulnerabili comprendono le aree nelle quali, per le caratteristiche idrogeologiche degli acquiferi, vi è maggior rischio di inquinamento delle acque sotterranee rispetto all’utilizzo in agricoltura di liquami zootecnici e di altri fertilizzanti azotati; conseguentemente l’apporto unitario di azoto organico consentito nelle aree vulnerabili è stabilito nella misura massima di 170 kg/ha/anno, mentre in quelle non vulnerabili il limite è pari a 340 kg/ha/anno. La normativa tecnica sullo spandimento dei liquami zootecnici prescrive l’adozione di altre particolari cautele: in prossimità di laghi, bacini e corsi d’acqua, è necessario mantenersi ad una distanza di almeno dieci metri ed in corrispondenza dei punti di captazione dei pozzi, occorre rispettare una zona di rispetto pari a duecento metri. Lo svolgimento dell’attività di spandimento dei liquami zootecnici è soggetto al rilascio di un’apposita autorizzazione di competenza della Provincia, a seguito di apposita istanza comportante una procedura differente a seconda del tipo di allevamento e della sua dimensione. Nel territorio provinciale i liquami provengono principalmente da allevamenti bovini e suini, ubicati prevalentemente nella zona di pianura (fig. 2.8.1 e 2.8.2).

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La distribuzione territoriale è rappresentata in figura 2.8.4.

Figura 2.8.5 Rapporto tra superficie destinata allo spandimento e superficie totale comunale. Figura 2.8.6 Quantitativi massimi di azoto in kg/ha/anno spandibili sui terreni autorizzati. Sulla base dei dati in possesso del Servizio Agricoltura (competente per la Provincia di Piacenza in ordine ai procedimenti autorizzativi) si possono aggregare per comune le superfici interessate dallo spandimento di liquami zootecnici (suddivise tra quelle site in area non vulnerabile e vulnerabile) unitamente al carico massimo annuo di azoto apportabile. E’ interessante osservare come lo spandimento interessi soprattutto i comuni di pianura e di collina; infatti nella figura 2.8.5, in cui è rappresentato il rapporto tra la superficie destinata allo spandimento e la superficie totale comunale, si può notare che in alcuni comuni di pianura a vocazione fortemente agricola, quali Cortemaggiore, Gragnano Trebbiense, Villanova sull’Arda, Fiorenzuola d’Arda, più del 40% del territorio è destinato alla pratica di spandimento dei liquami, arrivando anche a punte superiori al 50% per i comuni di Besenzone e Cadeo. Ovviamente, a causa della sfavorevole morfologia del territorio, i comuni di montagna sono scarsamente interessati dal riutilizzo dei liquami zootecnici come ammendante su suolo agricolo. In fig. 2.8.6 sono rappresentati i quantitativi massimi di azoto in kg/ha/anno apportabili sui terreni autorizzati, rapportati alla superficie totale comunale: il confronto tra i vari comuni conferma quanto già visto sopra, ossia che la Bassa Pianura, proprio per effetto della sua vocazione agricola e zootecnica, sia la porzione del territorio maggiormente interessato dallo spandimento dei liquami. Ovviamente al carico di azoto derivante dalla pratica di spandimento di liquami e fanghi (fonte organica), si aggiunge quello derivante da fertilizzazione effettuata con l’ausilio di prodotti di sintesi, di natura inorganica. Purtroppo le informazioni relative a tale pratica agricola sono di difficile reperimento, in quanto non esiste, su scala provinciale, un catasto dei dati relativi alle vendite e/o all’effettivo impiego in agricoltura. La stima del contributo di azoto inorganico è stata effettuata nel paragrafo 2.8, Uso Reale del Suolo.

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