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La psicoterapia delle psicosi nel training psicoanalitico Eberhard Jung, Berlino Credo che un breve excursus storico sulla psichiatria dinamica sia importante per mostrare l'evoluzione che ha portato alla situazione su cui si basa il nostro lavoro attuale. È noto che i prodromi o gli inizi di una psichiatria dinamica si possono far risalire ai medici stregoni e agli sciamani dei popoli primitivi. Già essi infatti curavano e guarivano con mezzi psicologici. Ma la concezione dinamica, in particolare nell'ambito della psichiatria, ha subito nel tempo numerose metamorfosi ed è stata sempre trattata in modo estremamente ambivalente, come un bambino antipatico. Le scoperte nel campo della fisica e della chimica o della fisiologia sono state in genere accettate molto più facilmente. L'approccio dinamico nella psichiatria è stato particolarmente trascurato nei periodi in cui c'è stata una ipertrofia delle scienze naturali. Questo fenomeno può essere facilmente documentato con un esempio dei nostri tempi, se seguiamo la marcia trionfale degli psicofarmaci lungo la via della loro diffusione e la confrontiamo con il gran numero di interventi che sono stati necessari perché il pen-

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La psicoterapia dellepsicosi nel trainingpsicoanalitico

Eberhard Jung, Berlino

Credo che un breve excursus storico sulla psichiatriadinamica sia importante per mostrare l'evoluzione che haportato alla situazione su cui si basa il nostro lavoroattuale.È noto che i prodromi o gli inizi di una psichiatriadinamica si possono far risalire ai medici stregoni e aglisciamani dei popoli primitivi. Già essi infatti curavano eguarivano con mezzi psicologici. Ma la concezionedinamica, in particolare nell'ambito della psichiatria, hasubito nel tempo numerose metamorfosi ed è statasempre trattata in modo estremamente ambivalente,come un bambino antipatico. Le scoperte nel campo dellafisica e della chimica o della fisiologia sono state ingenere accettate molto più facilmente. L'approcciodinamico nella psichiatria è stato particolarmentetrascurato nei periodi in cui c'è stata una ipertrofia dellescienze naturali. Questo fenomeno può essere facilmentedocumentato con un esempio dei nostri tempi, seseguiamo la marcia trionfale degli psicofarmaci lungo lavia della loro diffusione e la confrontiamo con il grannumero di interventi che sono stati necessari perché ilpen-

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siero dinamico trovasse spazio nell'ambito della psichiatria.Ma ancora oggi ha un posto sicuro solo in pochi luoghi.Nonostante continui pericoli e le continue crisi, si puòtuttavia seguire un'evoluzione costante dagli inizi fino aisistemi dinamici dei nostri tempi.100 anni fa sembrava che finalmente il bando fosse venutomeno.Allora le speranze furono grandi, ma ben presto seguì unnuovo declino. La cosiddetta scuola psichiatrica hacontinuato a proliferare in contrapposizione con laconcezione dinamica all'interno del suo campo spe-cialistico e ha fissato dei limiti ancora più netti. Così lapsichiatria e la psicoterapia si sono trovate l'una di fronteall'altra come due fratelli nemici. Le oscillazioni che hannocaratterizzato i primi seri tentativi di una psichiatriadinamica, sono alimentate e sostenute dalla nettaopposizione coscientemente tracciata tra soma e psiche.Anche in Germania la psichiatria e la psicoanalisi seguonovie del tutto separate.Tanto più bisogna deplorare il fatto che le ricerchecondotte alla clinica psichiatrica Burgholzli di Zurigo acavallo del secolo non abbiano portato a una svoltaall'interno della psichiatria (1). Bleuler collegò con l'arrivo diC. G. Jung a questa clinica nel 1901 l'espresso desideriodi analizzare l'inconscio dei pazienti schizofrenici tramitel'esperimento di associazione, e con ciò fu postochiaramente l'accento sull'importanza della psicodinamica.Particolare menzione meritano anche psichiatri americanicome Brill, Peterson e Putnam, che molto prima dellaprima guerra mondiale hanno collegato la psicoanalisi conla psichiatria americana.C. G. Jung ha un posto importante tra i pionieri dellapsichiatria dinamica. Con la sua analisi dell'inconscioindipendentemente dalla psicoanalisi, anch'egli riprese ladualità caduta in oblio di psiche « conscia » e « inconscia »e sottolineò l'importanza del « rapporto affettivo » nellarelazione con il paziente. Merita la nostra attenzione ilprincipio umanitario sostenuto in particolare dalla scuola diZurigo. Già

(1) E. Jung, « Ueber denBeitrag der AnalytischenPsychologie C. G. Jungs zurpsychiatrischen Forschung »,Zeitschrift fur AnalytischePsychologie, 4, 2, 1973, p.105.

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(2) C. G. Jung, « II con-tenuto della psicosi »,Psicogenesi delle malattiementali (Opere, 3), Torino,Boringhieri, 1971, p. 171.

(3) C. G. Jung, « Die FamiliareKonstellation », GesammelteWerke Band 2, Zurich,Rascher - Verlag, 1979, p.488.

(4) H. K. Fierz, « Klinik undAnalytische Psychologie »,Studien aus dem C. G. Jung -Institut Zùrich, Rascher-Verlag, 1963, vol. XV.

(5) C. T. Frey-WehrIin, «Behandiung chronischerPsichosen », Analyt. Psy-chol., Basilea, Karger-Ver-lag,1978, vol. 9, 2. p. 132.

nelle prime opere psichiatriche di Jung troviamo ripetutiaccenni al fatto che il clima psicologico della cllnicarappresenta tutt'altro che un lusso superfluo. Tutto ciò cheforma questo clima è una componente essenziale dellemisure terapeutiche che influiscono sui pazienti. Oltre adesternare la sua alta esigenza scientifica e il suo livelloelevato, Jung non ha mai esitato a esprimersi sui problemiterapeutici quotidiani. In forma assai polemica egli critica icontinui tentativi di somatizzare la schizofrenia: « il malatomentale... è un essere umano, che soffre come noi diproblemi che sono di tutti gli uomini, e non è una macchinacerebrale che abbia avuto un guasto ... Se cerchiamoinvece di immedesimarci nei segreti umani del malato,anche la follia svela il suo sistema, e noi riconosciamonella malattia mentale soltanto una reazione insolita aproblemi affettivi che non sono estranei a nessuno di noi »(2).Dei suoi lavori di ricerca con l'esperimento di associazionedi parole riguardo all'analisi della schizofrenia deve esserecitato qui solo lo studio fatto insieme con Emma Furst,poiché esso merita attenzione in relazione con la terapiafamiliare, riconosciuta oggi tanto come campo di ricercaquanto come metodo terapeutico (3).Come psicologi analisti dobbiamo segnalare comeomissione e deplorare il fatto che non sia stato continuatoil lavoro di allora per la sua importanza per la ricercapsichiatrica e l'ulteriore evoluzione. Non si devono peròdimenticare le poche eccezioni — come le operescientifiche di Fierz (4) e di Frey-Wehriin (5). Jung stesso,che fino alla sua morte ha rivolto il proprio interessescientifico alla schizofrenia, nel corso degli anni ha ridottomolto il lavoro terapeutico con gli psicotici. In questo sensoanch'egli appartiene ai terapeuti della psicosi inizialmentemolto impegnati, che si sono poi ritirati dalla clinicapsichiatrica dedicandosi prevalentemente alla terapia deidisturbi nevrotici.Ancora oggi la maggior parte dei colleghi, durante ilperiodo di training per diventare psicoterapeuti analisti, sitrovano di fronte all'opposizione tra psi-

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chiatria, da un lato, e concezione psicodinamica, dall'altro,soprattutto quando continuano durante il training a lavorarein una clinica psichiatrica.Se oggi venisse realizzato il training a tempo pieno, ci sidovrebbe preoccupare seriamente per il successo deglisforzi attuali di integrazione e temere una nuova scissionetra psichiatria e psicoterapia e ciò in un periodo in cui lapsichiatria da parte sua si sforza di arrivare aun'integrazione della concezione dinamica.

In sintesi, Volk (6) ha contrapposto i ruoli nettamentedelimitati e perfino antitetici dello psichiatra e dellopsicoanalista. Ha dimostrato che cosa si pretenda dalcandidato in training psiconalitico, che per anni vieneesposto a questa tensione e ci si aspetta che la sopporti operfino che la risolva. Volk mette in evidenza i diversiconcetti diagnostici e le diverse strategie terapeutiche, inbase a cui entrambi pretendono di volta in volta unatteggiamento e un'attività terapeutica diversa. Resta perlui invincibile la polarità tra le due discipline, che opprimeparti-colarmente i colleghi giovani, poiché esse si esclu-dono per la loro opposizione e contraddizione. Così nelmigliore dei casi i due corsi di training si svolgono l'unoaccanto all'altro. Non si può offrire un sostegno chefavorisca l'integrazione, se coloro che devono comunicarele conoscenze e trasmettere le esperienze non hannocompiuto essi stessi questo passo.

Per l'ammissione al training le esperienze di rapporto congli psicotici rappresentano un criterio molto importante,probabilmente perché in questi casi è possibile unriconoscimento molto precoce basato su una diagnosidifferenziale. Dovrebbe quindi aumentare la sicurezza concui si fa una diagnosi di nevrosi. In ogni caso, con ciò nonsi intende includere gli psicotici nella cura psicoterapeutica.Nella pratica, per fare delle esperienze preziose sotto laprotezione dell'istituzione con pazienti agitati, aggressivi econ tendenze suicide la clinica psichiatrica è senz'altroabbastanza buona. Così fino ad oggi la psicoterapia dellepsicosi non è integrata nei

(6) W. Volk, Zur Polaritat vontiefenpsychologischerAusbildung und Psychiatrie,Theorie und Praxis derPsychoanalyse, Bonz-Verlag,1979, p. 265.

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corsi di training. Ben presto anche quei colleghi che peranni si sono dedicati con interesse alla psicoterapia dellepsicosi si limitano alla cura delle nevrosi.Del resto si deve segnalare come un'impressionanteprova di carenza il fatto che un training talmente lungo edifferenziato e una forma di terapia basata sul rapportopersonale tra medico e paziente non siano riusciti acreare, a offrire e a comunicare le premesse necessarioper la terapia delle psicosi e per il rapporto con questogruppo di pazienti.Generalmente i didatti favoriscono negli allievi le riservementali piuttosto che un confronto critico con taleproblema. In ogni caso, una specializzazione nellapsicoterapia delle psicosi esclude il corso di training perdiventare psicoanalista. Quando un collega iniziaprecocemente a curare le psicosi, la sua attività vieneguardata con particolare sospetto. Non ci si fida di lui e siesamina attentamente se dietro l'interesse specialistico edietro il suo lavoro quotidiano non sia riconoscibileun'ostinazione maggiore di quella che gli è concessadurante il corso di training. In ciò probabilmente ha unruolo preciso il fatto che a volte i colleghi che si dedicanoalla psicoterapia sono particolarmente originali e ostinati.Così accanto alla critica che un collega nella sua attività dianalista lavori « in maniera troppo psichiatrica », c'èanche quella che egli nel suo lavoro di psichiatra sia «troppo analista ».Nella grande clinica psichiatrica da me diretta, che con lasua disponibilità di 950 posti letto è competente per lacompleta assistenza territoriale di 5 circoscrizioni diBerlino, abbiamo sviluppato una concezione terapeuticacon cui cerchiamo di realizzare sia i compiti terapeuticiche il training.A causa di vari problemi che si presentano, abbiamopredisposto un'articolazione funzionale oltre a quellasettoriale. Così dei pazienti scelti conformemente alle loroesigenze terapeutiche particolari possono essere curaticon una psicoterapia basata sulla psicologia del profondo.Accanto a una specifica unità di reparto per la terapiadelle malattie nevrotiche,

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competente per tutta la clinica, è a disposizione di ognidivisione un reparto per la cura psicoterapeutica di quellemalattie nevrotiche e psicotiche per le quali la psicoterapiaanalitica in senso proprio non è indicata.Questo reparto, che può ospitare 30 pazienti, accettapersone o per ricovero diretto o per trasferimento daireparti chiusi. Per creare un'atmosfera che sia il piùpossibile vicina alle condizioni della vita reale fuori dellaclinica, vengono ricoverati insieme donne e uomini, insiemecon altri pazienti di età diversa. Oggi abbiamo alle spalleun'esperienza di oltre 10 anni per valutare l'efficacia delnostro lavoro (7). Naturalmente, nel corso degli anniabbiamo modificato il nostro metodo terapeutico, nellamisura in cui noi stessi siamo cambiati. In questo senso èovvio che prendiamo le mosse da una divisione psichiatricao da un'unità di reparto come gruppo dinamico, il cui lavoroè espressamente e prevalentemente determinato dallanecessità del cambiamento e dall'ulteriore evoluzione.Naturalmente tale progetto può riuscire solo se vengonoinclusi tutti coloro che prendono parte alla terapia comecollaboratori. Qui posso solo accennare all'importanza delpositivo processo di evoluzione dei collaboratori nonmedici. In ogni caso, nel corso di parecchi anni si è riuscitia sviluppare un'atmosfera di fiducia, di muta sincerità e diinteresse reciproco, alla cui creazione partecipano ipazienti e i collaboratori in ugual misura.L'evoluzione avvenuta negli ultimi anni si può sche-matizzare nel modo seguente:Se partiamo dai desideri regressivi molto forti di un gruppodi pazienti ricoverati per una terapia clinico-ospedaliera,allora non ci meravigliamo dei desideri regressivi chetalvolta si manifestano perfino con distorsioni estreme dopoun'assistenza e un sostegno passivo. II fatto che questidesideri non possano e non debbano essere soddisfattiporta necessariamente alla manifestazione di malumori einsoddisfazioni, delusioni e rimproveri. Dopo che ci èdiventata chiara la rimozione di altre esigenze molto

(7) E. Jung, « Interaktion undBeziehung im analytisch-therapeutischen Prozess mitPsychosekranken », Analyt.Psychol., cit., 1979, vol. 10,pp. 23-41.

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più importanti ma anche più pericolose, proprio su questopiano materiale o orale, in un primo momento abbiamoassunto su di noi il ruolo della madre che nega e quindiabbiamo dato l'avvio a una lunghissima e produttiva fasedi confronto. Con nostra grande sorpresa, in uno stadiosuccessivo si è avuta l'elaborazione della delusionevissuta nei confronti del padre, sia che questi fossemancato completamente oppure che si fosseampiamente negato. Ma in ogni caso si era dimostratotroppo debole. I desideri repressi erano così statimobilitati e si è potuto chiarire in che misura questifossero stati spostati sul marito e sul partner, che daparte sua — considerato alla luce di questi desideriinconsci — rappresentava la figura del debole. Trascorsialtri mesi, abbiamo potuto lavorare per la prima voltasulla base sicura di un transfert paterno positivo, e conciò si è creato un contrappeso molto importante al-l'accentuazione materna, che invece è più forte nelquadro di un orientamento clinico. È relativamente facilericonoscere se nel transfert si cerca prevalentemente lacompensazione di un deficit. Attributi come coerente,ordinato, puntuale, scientifico, preciso, aperto, disposto aldialogo, incline, sperimentato, scomodo sono alloravissuti in modo prevalentemente positivo.Non mi è possibile qui esaminare più a fondo la si-tuazione terapeutica iniziale più difficile, cioè quella deipazienti a cui manca la percezione di malattia e lamotivazione alla terapia. Nelle mie argomentazioni sullaparte cattiva di sé e sull'oggetto cattivo, prenderò inconsiderazione le basi dell'immagine ostile che simanifesta regolarmente in queste persone e che vieneproiettata sulla cllnica e sui terapeuti. In questi casi, aiterapeuti si pone il problema di capire da dove essitraggano le premesse e la forza per affrontarequotidianamente una situazione in cui sono rifiutati,oltraggiati, minacciati e attaccati. Si pone qui in tutta lasua portata il problema pressante della qualità deltraining.Come cerchiamo allora di risolvere il problema e i compitidel training? Per me non c'è dubbio che la

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struttura teorica della psicologia analitica e le esperienzepratiche acquisite con il suo uso terapeutico offrano dellepremesse sufficienti per un modello integrativo.La psicoterapia delle psicosi, in particolare nel quadrospecialistico di un ricovero in clinica, richiede l'inclusionedella psicoterapia di gruppo, che è stata troppo a lungoscreditata e trascurata, particolarmente dalla psicologiaanalitica. Con essa però è strettamente collegato ilpensiero dinamico della psichiatria. Le riserve dellapsicologia analitica nei confronti della terapia di grupporisalgono essenzialmente alle argomentazioni moltocritiche di C. G. Jung. Egli non solo ha messo in evidenzala coppia di opposti collettività-individuo o società-personalità, ma per lungo tempo ha semplicemente inteso ifenomeni di gruppo e la dinamica di gruppo sulla base diuna psicologia delle masse giudicata in modo negativo eperciò li ha rifiutati come metodo terapeutico. Ancora nellasua opera della maturità Mysterium coniunctionis (8) lamassa appare come un mostro, che nella sua primitività sidistingue per « il primordiale piacere dell'assassinio el'ebbrezza del sangue ». Queste riserve mentali hannoprodotto in generale un forte effetto frenante, per cui imetodi di terapia di gruppo in un primo tempo sono statisviluppati solo singolarmente. La psicoanalisi invece haabbandonato le sue riserve precedenti, e quindiinizialmente ci siamo orientati sulle sue ipotesi e le sueesperienze.Seifert (9), per primo nella letteratura specialistica in linguatedesca, ha chiesto che a proposito del nostro metodo nonsi parli di masse, ma di grandi gruppi: « I grandi gruppiprovocano lo sviluppo di metodi e di nuovi punti di vista,che rendono possibile la soluzione di molteplici problemiche spesso sono sicuramente pericolosi. Proprio a questoproposito la psicologia analitica dovrebbe e potrebbe offrireimportanti contributi, non da ultimo sulla base delladinamica compensatoria da essa riconosciuta tracoscienza collettiva e inconscio collettivo. L'Io del singolodeve affermarsi tra queste due forze ».

(8) C. G. Jung, Mysteriumconiunctionis, G. W. 14/2,Zurich, Rascher - Verlag,1968, p. 117.

(9) Th. Seifert, << Die Grup-pentherapie im Rahmen deranalytischen Psychologie »,Analyt. Psychol., 1974, vol. 5,pp. 30-44.

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(10) Ibidem, p. 37.

(11) M. Grotjahn, « Grup-pentherapie in der psy-chiatrischen Praxis », Psy-chologie des XX Jahrhun-derts, Munchen, Kindler-Verlag, 1980, vol. X, p. 978.

(12) L. Kreeger (Hrsg.), DieGrossgruppe, Konzepte derHumanwissenschaften, ErnstKlett - Verlag, 1977.

Da ciò Seifert trae la conclusione che « la terapia di gruppooffre la possibilità di elaborare in maniera costruttiva deiproblemi centrali della psicologia analitica, cioè quelli delrafforzamento del singolo di fronte ai pericoli dei grandigruppi »(10).

Con la nostra proposta di terapia globale, consistente nellaterapia di gruppo, in gruppi grandi e piccoli, ed anche insedute di terapia familiare e in colloqui individuali,possiamo scoprire importanti compiti terapeutici, poichéessa tiene conto dei diversi interessi dello psicotico.Attraverso la partecipazione dei collaboratori alle singolesedute di gruppo si rivelano dei compiti essenziali deltraining. L'uso terapeutico della dinamica e dell'interazionenei grandi gruppi è ancora oggi largamente agli inizi.Anche l'opera enciclopedica in 15 volumi « La psicologiadel XX secolo » — ogni volume comprende più di 1000pagine — dedica non più di mezza pagina al tema deigrandi gruppi. Troviamo solo un breve accenno a LeonelKreeger, che ha riferito le prime osservazioni. Lì MartinGrotjan(11) dice: « Ma finora non si è riusciti ne apadroneggiare la tecnica ne a superare le difficoltà didescrizione di questo gruppo... Alcune deduzioni e alcunipostulati psicoanalitici del sistema teorico di Melanie Kleindiventano chiaramente accessibili all'osservazione direttanei grandi gruppi. Ma non è sicuro se lo stato attuale dellaterapia di gruppo permetta già degli esperimenti di ricerca,con cui sia possibile analizzare o anche solo descrivere iprocessi di gruppo nei grandi gruppi ».Già da parecchi anni avevamo acquisito importantiesperienze con il modello terapeutico da noi sviluppato,che comprendeva il lavoro in grandi gruppi terapeutici,quando nel 1978 apparve una prima pubblicazione piùestesa di Leonel Kreeger proprio sul tema del grandegruppo (12). Nelle esperienze che venivano lì riportateabbiamo trovato un'importante conferma del nostro lavoro.Però avevamo iniziato in un periodo in cui l'uso terapeuticodel grande gruppo era ancora quasi sconosciuto. In basealle nostre osservazioni e alle nostre esperienze, possia-

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mo enunciare la tesi centrale che il lavoro terapeutico neigrandi gruppi non mette in pericolo l'individuazione delsingolo, ma anzi può favorirla, e che il singolo nonsoccombe fatalmente all'offerta regressiva e non diventavittima della sua passività, ma che proprio negli psicotici laregressione ai primi stadi dello sviluppo giova molto allaterapia. Definiamo « grande gruppo » quello formato dacirca 25 pazienti di un reparto che ne comprende in totale30 e consideriamo invece « piccolo gruppo terapeutico »,che è stato ben analizzato scientificamente, quello limitatoa 5, o al massimo 7-8 partecipanti. Proponiamo questadelimitazione in base alle nostre esperienze, anche se Asche altri (13) indicano nel numero di 50 partecipanti il confineoltre il quale un piccolo gruppo diventa un cosiddettogrande gruppo. Nell'ordine di grandezza da noi scelto imèmbri estroversi tendono a dominare le interazioni,mentre quelli introversi si ritraggono. La discussione èmeno esplorativa e per mezzo di essa vengono accettate ledifferenze non risolte tra i mèmbri. Tuttavia, dai partecipantial gruppo si pretende di più che in ogni altra situazioneterapeutica. Il fatto che il gruppo reagisce in modo piùarrendevole al leader e al suo intervento rappresenta unatentazione per il leader stesso e un pericolo per il gruppo,nella misura in cui l'istigazione può subentrare al postodella guida. Di regola in una settimana si tengono duesedute del grande gruppo della durata di 60 minuti. Unaparte dei pazienti, a causa di precedenti esperienzepsicotiche, è già stata curata in altre cliniche o anche nellanostra e così si accerta che le malattie e le terapieprecedenti non rappresentano una controindicazione.In questi anni abbiamo accertato che nella maggior partedei casi il processo dinamico all'interno del gruppo inducemolto presto a una collaborazione attiva anche quei pazientiche all'inizio erano ancora incerti sulla motivazione dellaloro terapia. Per quanto riguarda l'esame dì realtà i pazienticomunicano reciprocamente quanto sia importante la lorocollaborazione per il successo della terapia.

(13) ibidem, p. 117.

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Dall'immediatezza dell'esperienza vissuta all'interno delgruppo deriva un influsso così positivo che può essereesercitato solo dai terapeuti in faticosi colloqui individualicon pazienti ambivalenti e fissati nella loro resistenza.Non possiamo in alcun modo confermare le riserveavanzate da C. G. Jung nei confronti degli esiti dinamiciall'interno di un gruppo. Egli le ha motivate con i pericoli acui l'individuo sarebbe esposto nel gruppo e a cuisoccomberebbe troppo facilmente:1. Rinunzia e mancata percezione della responsabilitàpersonale.2. Possibilità di essere istigato.3. Passività.4. Schivare l'individuazione.5. Trascuranza della forza creativa dell'individuo. Jungnon ha compiuto il passo di dire fino a che punto possanoessere utilizzati i rischi e i modi di comportamento delsingolo nel gruppo, e ciò è tanto più spiacevole in quantoegli con la sua psicologia analitica ha sviluppato deiconcetti teorici praticabili, cioè applicabili nella terapia.Nel grande gruppo, come unità sociale più grande subitodopo la famiglia, vengono rappresentati i valori, i principie le norme valide in una società più o menoconsciamente, ma in ogni caso in modo molto chiaro.In tale gruppo vengono abbandonati i tabù che pro-teggono l'intimità della famiglia e così il singolo sulla viadella sua autonomia si presenta in pubblico superando lepaure che sempre accompagnano questo processo. Eglisi libera dalle limitazioni poste frequentemente dallafamiglia e viene così messo in condizione di esporrel'aspetto sociale del suo problema. Quindi il lavoro neigrandi gruppi, in quanto lezione oggettiva per eccellenza,è particolarmente adatto allo studio della coscienzacollettiva, delle sue dominanti e in particolare della suarigidità. Un esempio a questo proposito: due giovanidonne comunicano di essere di fronte al problema di po-tere e volere far nascere i loro bambini o di doverdecidere di interrompere la gravidanza. Chiedono se

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un'interruzione non sia perfino logicamente necessaria acausa della loro malattia, cioè a causa della loro attualesituazione di vita e del loro stato di sviluppo in quelmomento, in particolare per quanto riguarda l'assunzionedì compiti e funzioni materne. Subito si sviluppa unconfronto tra i partecipanti maschi del gruppo, da unaparte, e queste due donne, dall'altra. Dalla parte maschileviene sollevata la esigenza che una buona madre debbaovviamente accettare il proprio bambino ed anche volerlofare nascere. È sorprendente che le due donne incinte, inquesta situazione vengono lasciate sole, cioè in un primomomento non ricevono alcun tipo di appoggio, neppuredalle altre donne.Così devono « assumersi la responsabilità » da sole difronte agli uomini. Esse respingono decisamente la lororichiesta e protestano contro il fatto di dover confermarela loro immagine di donne e di madri, sottomettendosi adessa. Ben presto diventa chiaro ciò che gli uomini siaspettano dalla buona madre. Ora le partecipanti donnedel gruppo sono d'accordo tra loro e proprio per ilproblema del loro essere donne e madri, che è per lorofondamentale, pretendono qualcosa di più del diritto dipartecipare al discorso. Esse si oppongono al fatto che daparte degli uomini vengano loro imposte delle idee moralie dei valori, facendo anche leva sui sensi di colpa e sulsospetto che siano cattive, che non valgano nulla e nonsiano abbastanza dotate di abnegazione e altruismo. Conciò non si prende per nulla in considerazione il fatto che ledue donne sono lasciate sole dai loro compagni o uomini,anche nella decisione di accettare il bambino o diabortire. Così si rafforza in loro stesse la sensazione ditrovarsi nel ruolo del bambino abbandonato, per cui nonpossono vivere l'esperienza e reagire come donne omadri. Diventa chiaro che esse stesse da bambine sonostate deluse e abbandonate dai loro padri. Le loroesperienze negative si ripetono nel rapporto con ilpartner, con il marito, e ora anche all'interno dellasituazione di gruppo. Ma questa discussione e il confrontocon le norme e i valori che determinano la

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(14) K. Theweleit, Man-nerphantasien, Verlag RoterStern, 1977, vol. 1 e 2.

coscienza collettiva sono solo apparentemente chiari edevidenti. Nello stesso tempo — cioè nel corso del processoterapeutico avvenuto nella settimana — il processodinamico più importante si è svolto sul piano dell'inconsciocollettivo.Klaus Theweleit, nel libro sulle « Fantasie degli uomini »(14) ha presentato questa tematica e questa problematicain una dimensione storica. L'immagine sbagliata dell'uomocon i falsi ideali dovuti all'educazione è un problema quasiinsolubile sia per gli uomini che per le donne. Essi hannospesso una personalità non sviluppata e infantile e inquesto atteggiamento infantile hanno paura — a ragione— come confermano affermazioni simili a questa: « Odio ilmio uomo per la sua infantilità, non è un uomo! » L'uomorimasto infantile non può comunicare alla sua donna lasicurezza desiderata, almeno se ella ha bisogno del suosostegno e del suo aiuto. « Io ero quasi prossima al partoed egli prima della nascita stava già nel letto di parto.M'inginocchiai davanti al suo letto e lo implorai di andare allavoro, affinchè avessimo qualcosa da mangiare. Glienesarei stata molto grata, anche se mia madre aveva semprepreteso gratitudine da me. A questo proposito fino ad ogginon ho capito perché ella mi abbia raccontato per anni chealcuni giorni prima del termine calcolato per la mia nascitaper poco non ero caduta nel gabinetto, perché ero venutaal mondo con una nascita improvvisa e precipitosa. Ero af-fogata nelle feci nel vero senso della parola! »Si può vedere assai bene la profondità del livello diregressione con l'esempio di un sogno di una dellepartecipanti al gruppo:Ho visto davanti a me grandi vene. Rosse fuori e nere dentro. Ho fatto unbalzo e sono rimasta sospesa nella profondità. Le vene andavano nellaterra e quando arrivavo alla fine c'erano molti letti in un grande ambiente.I medici erano seduti insieme nel locale ed io parlavo con loro e con ipazienti. Poi volevo ritornare. Ma la strada era sempre ostruita da barriereelettroniche. Lì accanto c'erano alcune persone. Non volevano lasciarmipassare. Mi è costata molta fatica passare attraverso gli ostacoli, ma l'hofatto. Quando sono tornata sopra, ho potuto respirare di nuovo e mi sonosentita così infinitamente liberata.

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Dopo che la paziente aveva raccontato questo sognoalcuni mèmbri del gruppo hanno comunicatospontaneamente sogni analoghi, con la stessa tematicadi base e lo stesso simbolismo, nei quali si potevasempre scorgere la profondità della loro regressione.L'esempio di sogno citato indica in modo particolarmentechiaro la regressione archetipica nella madre. Tuttavianon è sognato il ritorno nel grembo della madrepersonale, ma piuttosto si tratta di un ingresso nellamadre terra in base alla necessità di un'unione o di unavita con la terra invece di una vita contro la natura e laterra. Con ciò la sognatrice manifesta uno dei problemicollettivi più attuali e più scottanti del nostro tempo. Ingenere viviamo troppo contro la natura, contro la terra econtro la nostra stessa vita, che stiamo distruggendoperché combattiamo contro la nostra natura e il nostromondo come se ne fossimo nemici inesorabili, In questosogno gli ostacoli minacciosi sulla via per la vitaassumono la forma delle barriere elettroniche di unatecnica ostile alla vita.II lavoro terapeutico nei grandi gruppi indica in modoparticolarmente chiaro la gerarchia dei vari livelli diregressione, poiché esso stesso offre lo spazio per taleprofondità. È questo il livello del rapporto duale simbioticotra madre e bambino, è il livello del Sé primario. Poiché idisturbi nell'area primaria sono rilevanti per la malattiapsicotica, per motivi terapeutici noi tendiamo a favorirequesta profondità di regressione, per lo meno in queipazienti che visibilmente credono in questa via. Partendoda lì possiamo dedicarci ai primi disturbi dell'Io con laformazione di un Sé individuale, di un'essenza propriadopo il superamento dell'unità simbiotica totale con lamadre. A nostro avviso, il grande gruppo simbolizza lamadre arcaica che abbraccia tutto, che come buonamadre rappresenta il mondo, il mondo della fiducia.Quindi non stupisce che la regressione a questa primafase di sviluppo riattivi anche antiche offese traumatiche.Sono rivissute così le sensazioni di non valere nulla e diessere rifiutati. Ma queste sensazioni di non ispirarefiducia e di non essere accettati

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sono accompagnate dalla sensazione insopportabile diessere malvagi e cattivi. Tutto quello che si accompagna aqueste sensazioni viene respinto e ri volto contro lapropria esistenza e il proprio sviluppo. A questo propositosi può solo accennare all'origine delle cosiddetteschizofrenie coinestetiche. Per avere un atteggiamentopositivo tendente alla conservazione della vita, tutto ilmale deve essere eliminato al livello di questa primaesperienza.Con l'esperienza di essere malvagi, privi di valore e cattiviè strettamente collegato il problema della di-struttività. Laregressione protegge lo psicotico, tra l'altro, dal confrontocon la propria aggressività latente, egli conoscel'estensione e il pericolo dei micidiali impulsi latenti,mescolati ai sentimenti di odio. Partendo dal fatto che eglinon è in grado di controllarli, deve temere che anche il suoterapeuta non riesca a fronteggiarli. Non esente dadesideri e sensazioni magiche di onnipotenza, Ioangosciano straordinariamente le sue fantasie dismembramento.Antichi impulsi cannibaleschi si confondono con ildesiderio di smembrare l'altro per la sua forza e la suapotenza e di assorbirlo in sé, per essere così egli stessopiù forte e il più possibile vicino all'altro. Lacomunicazione, verbale o non verbale, è vissuta comestraordinariamente minacciosa, perché con essadiventerebbero evidenti le fantasie angosciose. A questolivello anche il linguaggio è vissuto come distruttivo,disgregante, egoistico e ostile, cioè la verbalizzazionedelle fantasie turba il rapporto con l'ambiente circostantein tale misura estrema che viene evitato completamenteogni tipo di rapporto. « II processo verbale dell'analisi » —dice Theweleit — « non si può avviare con i pazienti chenon dispongono di un lo edipico. L" io ' non è presente,perché lo sviluppo della persona è stato turbato in un pe-riodo in cui il bambino non ha un ' Io ' o non è un ' lo ', nepsichicamente ne fisiologicamente » (15). Oggi sappiamoche l'Io non si sviluppa semplicemente dallo statoinconscio, ma si differenzia dalla simbiosi madre-bambino, dall'unità duale di questo rapportostraordinariamente importante nelle prime fasi di svi-

(15) ibidem, vol. I, p.256.

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luppo. Se il distacco dal rapporto simbiotico non riesce, siavranno gravi disturbi di importanti funzioni dell'Io. Il piùgrave di essi è che non si sviluppi affatto o sì sviluppi soloinsufficientemente la capacità di accettare rapporti con unoggetto. Mentre all'lo edipico resta sempre alla fine lacapacità di rimozione, quello così precocemente turbatodeve anche sopportare la consapevolezza dei suoiimpulsi distruttivi e così nel migliore dei casi può solotenerli nascosti.Nel grande gruppo la profondità della regressione diventapossibile perché ha il sostegno di tutti, senza però chetutti debbano parteciparvi attraverso l'espressioneverbale. Una parte — in particolare gli introversi — puòpermettersi di essere solo attentamente interessata.Quindi i partecipanti sostengono insieme la situazione digruppo, cercando e sopportando insieme il livello dellefantasie inconsce, e questo è molto importante per ilprocesso terapeutico, anche se in un primo momento nonsempre tutti partecipano alla sua espressione verbale.Tutti sono però interessati all'eliminazione della con-flittualità, al rifiuto dello stato di insicurezza, del senso dinon essere accolti e accettati. L'esperienza psichicavissuta nell'intimo viene dunque proiettata nelleinterazioni dove può essere rappresentata, e a ciò tuttisono decisamente interessati. Il grande gruppo offreproprio il teatro migliore per questa messa in scena.Il processo terapeutico va avanti con l'integrazione di unproprio aspetto del Sé, finora non integrato. Lacomunicazione non verbale ha in ciò grandissimaimportanza, se si tratta di mettere gli altri in unasituazione e in una disposizione affettiva simile a quellavissuta da uno o più partecipanti del gruppo. Trasformaree rappresentare tutto ciò a livello scenico è il lavorocomune del gruppo. In questo modo viene portataall'esterno l'esperienza incompatibile con il sentimentopsichico interiore e almeno alcuni partecipanti del gruppodevono conservare un ruolo determinato fino a quandociò sia raggiunto.

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Nel grande gruppo diventano particolarmente evidenti lestrutture primarie di comunicazione. In particolare illeader del gruppo deve sopportare transfert arcaici earchetipici. Accettarli è una delle sue funzioni e dei suoicompiti più importanti, poiché attraverso di essi sonomobilitati desideri arcaici. Bisogna anche tener contodella dimensione dell'angoscia e delle sensazioni distupore, che diventano evidenti in relazione a ciò. L'utilitàterapeutica della situazione del grande gruppo si basa inprimo luogo sul fatto che tutti noi, dopo una prima fase disviluppo nella famiglia primaria, entriamo a far parte diraggruppamenti sociali più grandi. Tuttavia il lavoro neigrandi gruppi non sostituisce il lavoro nei piccoli gruppi ela terapia individuale.La conoscenza precisa del modo in cui si verificano iltransfert e il controtransfert è determinante per ilsuccesso della terapia. Uno dei miei pazienti si trovavasotto la pressione angosciosa delle sue fantasie e deisuoi impulsi di dovermi assassinare e fare a pezzi.Sentendo con certezza di avere delle forze magiche eonnipotenti, era sicuro di distruggermi veramente, ma eraanche ugualmente sicuro di perdermi facendolo. In unprimo momento seguì la via di un nuovo episodiopsicotico della durata di alcuni giorni. Il contatto con luinon s'interruppe mai neppure durante questo periodo.Allora egli mi spiegò anzitutto che niente aveva piùscopo, che egli era proprio malato psichicamente e chenulla poteva cambiare. Egli voleva lasciare la città eandare in un'altra regione. Il fatto che egli a questo puntopreferisse la malattia psichica come male minore mi con-fermò la dimensione del pericolo. Ma egli avrebbeserbato eterna memoria del fatto che io potevo sosteneredi fronte a lui ciò che provava, perché avevo capito la suasituazione. Se a questo punto non avesse sentito unallentamento della sua pressione interna, avrebbeperduto inutilmente la sua ultima occasione. Prima o poisarebbe certamente diventato un vero assassino eavrebbe dovuto passare il resto della vita in prigione.La sua vita e il suo sviluppo si erano interrotti al-

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l'età di 8 anni. Nato durante la guerra, era stato trasferito inuna regione rurale. La sua sensibile anima infantile non erariuscita ad elaborare le esperienze alla fattoria, dovecontinuamente si macellavano, si facevano a pezzi e simangiavano gli animali. Dopo il ritorno in patria egli nonebbe la sicurezza che l'assassinio e la sofferenza noncontinuassero dappertutto. Trovò conferma alla suasfiducia nell'osservazione e nell'esperienza dei rapporti cheintercorrevano tra i suoi cari e i parenti.Dopo che egli aveva potuto abbandonare la sua corazza,gli furono accessibili anche delle antiche esperienze, peresempio il fatto che entrambi i genitori portassero occhialicon lenti spesse a causa della loro forte miopia, così cheegli vedeva rivolti su di sé gli occhi della madre moltoingranditi, quando durante il gioco guardava in alto verso dilei.In base alle nostre esperienze, è necessaria unadefinizione inequivocabile del cosiddetto transfert positivo,che noi a questo punto definiamo nel modo seguente: ilrapporto con il terapeuta deve essere tale da permettere lamanifestazione degli impulsi omicidi, sadici ecannibaleschi. Bisogna stare attenti alla pericolosità di uncomportamento apparentemente affettuoso e amichevole,nella misura in cui nasconde l'angoscia e mette così inpericolo la terapia, il paziente i suoi terapeuti. Ciò ètutt'altro che un atteggiamento diabolico dello psicotico.Piuttosto egli non ha più bisogno di proteggere il terapeuta,se ha la possibilità di manifestare il suo impulso didistruggerlo. Allora la disintegrazione dell'Io non è piùsinonimo di distruzione, se è riuscito il confronto conl'aspetto distruttivo in quanto parte della personalità. Alloraneppure i rapporti con gli oggetti sono più totali, poiché nonsi richiede più tutta la persona in ogni situazione. Soloadesso il paziente può aspirare e arrivare allasoddisfazione che « alcune parti si uniscono con parti dialtri oggetti e formano unità produttive transitorie, che sisciolgono di nuovo, affinché si possano formare altre unitàproduttive » (16).Qui non posso esaminare a fondo la teoria dei cosid-

(16) Ibidem, voi., I, p. 263.

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(17) M. Mahler (1968), Lepsicosi infantili, TorinoBoringhieri, 1972, pp. 63 e 72.

(18) K. Theweleit, op. cit., vol.Il, pp. 244 e 310.

detti oggetti parziali e la sua importanza per i rapportioggettuali.Margaret Mahler (17) ha coniato il concetto di « mec-canismi di mantenimento ». Ella lo usa a proposito delcomportamento aggressivo dei bambini psicotici perdescrivere i meccanismi " con i quali l'Io che si stadisintegrando regredisce... quando gli manca la capacitàpercettiva integrativa ».Il fatto che la madre e il bambino sono in realtà dueindividui separati smentisce necessariamente l'ideaillusoria di un loro confine comune.Theweleit (18) parla di uomini non compiuti, non generatifino in fondo, che restano imprigionati in un determinatostadio distruttivo del loro sviluppo, oltre il quale non vannoper non frammentare il loro lo fisico. In questo senso unmio paziente dice: « Vivo ancora nell'utero, dipendoancora dalla placenta, il mio cordone ombelicale non èancora tagliato ».La fantasia o l'atto aggressivo-distruttivo è inoltre untentativo di comunicare all'lo una sensazione di « Io », cioèdi una struttura o un'unità psichica circoscritta, nonesposta alla dissociazione. Se questo Io è messo inpericolo, l'esperienza degli impulsi distruttivi o anche l'attodistruttivo può assumere la funzione di tenere insieme unlo minacciato dalla dissociazione.Deve essere evitata ogni apertura verso l'esterno. Ilpaziente in questione non può aprirsi, non può lasciareavvicinare nulla accanto a sé, ancor meno accoglierla olasciarla entrare in sé. Difficilmente si verifica ancora unadiffusione, i pori vengono chiusi per evitare la perditacompleta, il disfacimento di un lo debole e minacciato.Ricambio è sinonimo di mescolanza: è possibile solo seviene conservata la struttura dell'Io, cioè tutto deve esseree restare in sintonia con l'Io.A nostro avviso, è questo il problema centrale della terapiacon gli psicofarmaci. È ammesso solo ciò che è buono. Giàalcuni giorni dopo l'inizio della terapia farmacologica inmisura crescente con la remissione della sintomatologiapsicotica primaria, si rendono evidenti gli effetti collaterali avolte in-

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sopportabili dei diversi medicinali. Queste alterazionimobilitano grandissime paure, proprio a causa deimutamenti che vengono percepiti nella vita corporea,nella sensibilità, nell'esistenza affettiva e perfinonell'attività della fantasia. Così nell'ambito parziale dellaterapia con gli psicofarmaci si sviluppa una lotta di potere.Il terapeuta diventa nemico del paziente, un violentoscassinatore che infrange con la forza i confini e il bloccodel malato imponendosi egli stesso come oggettonegativo e cattivo, con la conseguenza inevitabile cheviene eliminato, cioè respinto. Su questa base si devonointendere anche le frequenti affermazioni dei pazienti diessere avvelenati dai terapeuti.La tesi da cui sono partito era che il grande gruppo comesituazione terapeutica offre abbastanza e da la possibilitàdi regredire ai livelli dei primi disturbi. Il processoterapeutico guidato da un analista esperto può diventaretrasparente mediante la partecipazione di altri colleghi.Sono ovviamente necessario delle discussioni successivea proposito di ogni seduta. Esse danno ai colleghi che sitrovano in una fase relativamente iniziale del training,un'idea sufficiente dei rapporti dinamici e comunicanoanche importanti conoscenze sui rapporti terapeutici.Così essi possono continuare a lavorare nei loro piccoligruppi terapeutici e anche nelle sedute individuali con lasicurezza e la cura necessario. Certamente i risultati diquesto lavoro affluiscono di nuovo nel grande gruppo.

È noto che nel lavoro terapeutico con gli psicotici ci sipresenta di volta in volta una certa dinamicaparticolarmente accentuata e questo ci permette diriconoscere senza molte difficoltà la costellazionearchetipica di volta in volta interessata. Ma di fronte a noisi presenta anche la coscienza collettiva in tutta la suarigidità e anche nella sua limitatezza che impedisce losviluppo. In questo modo si può anche rendere evidentel'importanza dell'aspetto sociale. C. G. Jung ha sempreaccennato alla relatività e anche ai pericoli di una terapiache sia sottoposta

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alla ristrettezza di una determinata tecnica terapeutica.L'inclusione delle varie malattie psichiche e psi-chiatrichenel quadro dei nostri sforzi psicoterapeutici richiede unamaggiore flessibilità del terapeuta, ma in particolareanche di quei colleghi che fanno il training in modoresponsabile. Se integriamo i nostri corsi di trainingincludendovi per esempio le malattie psicotiche e seteniamo conto delle variazioni dei quadri clinici, ciconfronteremo nello stesso tempo oltre che con laresponsabilità, che assumiamo in relazione alla cura digruppi più ampi di pazienti, anche con la relatività delleipotesi da noi fatte. Merita attenzione l'inequivocabileaumento dei disturbi psichici più gravi, in particolare deidisturbi narcisistici, dei casi borderline e degli episodi edelle reazioni psicotiche. Sarebbe una prova di carenzadella nostra psicologia analitica, se essa non riuscisse acomprendere meglio il suo compito dal punto di vista diuna cura globale psichiatrica o psicoterapeutica.

Trad. di LUCIA RISPOLI

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