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G. Giappichelli editore – torino

Comitato di direzione

Fabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerralorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari

Maria cecilia Fregni, alessandro GiovanniniMaurizio logozzo, Giuseppe MariniSalvatore Muleo, Franco paparella

livia Salvini, loris tosi

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Tax Law Quarterly

© copyright 2013 - Amici della Rivista Trimestrale di Diritto Tributarioregistrazione presso il tribunale di torino, 5 aprile 2012, n. 22

Direttore responsabile: eugenio della Valle

Direzione e Redazionec/o Giuseppe MariniVia dei Monti parioli n. 48 - 00197 romatel. [email protected]

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Comitato di direzioneFabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerra, lorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari, Maria cecilia Fregni, alessandro Giovannini, Maurizio logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco paparel-la, livia Salvini, loris tosi

Comitato scientifico dei revisoriniccolò abriani, Jacques autenne, pietro Boria, andrea carinci, Giuseppe cipolla, Silvia cipollina, Gianluca contaldi, daria coppa, Giacinto della cananea, augu-sto Fantozzi, andrea Fedele, luigi Ferlazzo natoli, alfredo Garcia prats, daniel Gutman, Manlio ingrosso, enrico laghi, Salvatore la rosa, carlos lopez espa-dafor, raffaello lupi, enrico Marello, Gianni Marongiu, enrico Marzaduri, Salvo Muscarà, Mario nussi, carlos palao taboada, leonardo perrone, raffaele perrone capano, Francesco pistolesi, Gianni puoti, claudio Sacchetto, Salvatore Sammar-tino, angelo Scala, roman Seer, Maria teresa Soler roch, paolo Stancati, dario Stevanato, Giuliano tabet, Francesco tesauro, Giuseppe tinelli, antonio Uricchio, Giuseppe Zizzo

Comitato di redazioneantonio Viotto (coordinatore), ernesto Bagarotto, Gianluigi Bizioli, Susanna can-nizzaro, pier luca cardella, anna rita ciarcia, Marco di Siena, Stefano dorigo, antonio Marinello, pietro Mastellone, Michele Mauro, annalisa pace, damiano pe-ruzza, Federico rasi, laura torzi, caterina Verrigni

Tutti i contributi pubblicati nella Rivista sono stati sottoposti alla valutazione colle-giale da parte del Comitato di direzione e alla revisione anonima da parte di due dei componenti del Comitato scientifico dei revisori, in base all’apposito Regolamento (consultabile sul sito www.giappichelli.it/Home/riviste10.aspx?codice=R10)

Amministrazione: presso la casa editrice G. Giappichelli, via po 21 – 10124 torino

INDICE-SOMMARIO

pag.

Gli Autori e i Revisori IX Dottrina E.M. Bagarotto, L’applicazione della novellata disciplina in materia

di “costi da reato” agli effetti reddituali degli acquisti conclusi nel-l’ambito delle c.d. frodi carosello (The application of the new “cost of crime” rule to the income effects of acquisitions concluded in the framework of so-called carousel fraud) 267

M. Castillo Solsona, I meccanismi sulla riduzione dei conflitti tri-butari nell’ordinamento giuridico spagnolo (The mechanisms to reduce tax litigation in the spanish legal system) 287

G. Ingrao, Limiti di utilizzo dei poteri istruttori fiscali nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio (Limits to the use of tax prelimina-ry investigation powers during separation and divorce proceedings) 309

G. Marini, Note in tema di elusione fiscale, abuso del diritto e appli-cazione delle sanzioni amministrative (Remarks on (tax) avoidance, abuse of right and application of administrative penalties) 325

A. Panizzolo, Spunti di riflessione sulla sospensione della riscossione coattiva dell’avviso di accertamento esecutivo nell’attuale sistema normativo (Some remarks on the automatic suspension of the forced tax collection of the “enforceable” notice of assessment in the actual legal system) 343

G. Petrillo, L’osservanza del principio di proporzionalità Ue nell’in-dividuazione di criteri presuntivi “ragionevoli” (The compliance with the EU principle of proportionality in the identification of “rea-sonable” presumptive criteria) 373

INDICE-SOMMARIO RTDT - n. 2/2013

VIII

pag.

G. Scanu, La fiscalità del turismo: un’opportunità per le Regioni, una tentazione per lo Stato (Tourism taxation: an opportunity for the Regions, a temptation for the State) 401

Giurisprudenza

Cass., sez. V, 19 ottobre 2012, n. 17949 – Pres. Merone, Rel. Virgilio,

con nota di A. Marcheselli, La rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto tra regole processuali e garanzie di difesa del contribuente (The “abuse of law” exception raised by the court ex officio between procedural rules and taxpayer’s rights protection) 433

Cass., sez. V, 5 ottobre 2012, n. 17010 – Pres. D’Alonzo, Rel. Virgilio, con nota di F. Pistolesi, L’impugnazione “facoltativa” del diniego di interpello “disapplicativo” (The “optional” appeal against the de-nial of the “disapplication” ruling) 451

Corte cost., 26 aprile 2012, n. 109 – Pres. Quaranta, Rel. Gallo, con no-ta di L. Trombella, La tutela cautelare nel processo tributario nel-la “nuova” giurisprudenza della Corte costituzionale (Precautiona-ry measures and tax proceedings in the light of the “new” Constitutio-nal Court case law) 475

GLI AUTORI E I REVISORI

Ernesto Marco Bagarotto Dottore di ricerca in economia aziendale, Università di Venezia Mercedes Castillo Solsona Prof.ssa Titular de Derecho Financiero y Tributario, Università di Lleida Giuseppe Ingrao Professore associato di Diritto tributario, Università di Messina Alberto Marcheselli Professore associato di Diritto finanziario, Università di Genova Giuseppe Marini Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Roma Tre Antonio Panizzolo Dottore di ricerca in diritto tributario, Università “La Sapienza” di Roma Giovanna Petrillo Professore associato di Diritto tributario, Seconda Università di Napoli Francesco Pistolesi Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Siena Giuseppe Scanu Ricercatore t.d. di Diritto tributario, Università di Sassari Lorenzo Trombella Dottore di ricerca in Diritto processuale tributario, Università di Pisa

La revisione dei contributi pubblicati è stata effettuata da: Pietro Boria (Pro-fessore ordinario di Diritto tributario, Università di Foggia); Andrea Carinci (Professore straordinario di Diritto tributario, Università di Bologna); Giuseppe

GLI AUTORI E I REVISORI RTDT - n. 2/2013

X

Maria Cipolla (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Cassino); Gianluca Contaldi (Professore ordinario di Diritto internazionale e dell’Unione Europea, Università di Macerata); Andrea Fedele (Professore emerito di Diritto tributario, Università di Roma La Sapienza); Luigi Ferlazzo Natoli (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Messina); Salvatore La Rosa (Pro-fessore ordinario di Diritto tributario, Università di Catania); Raffaello Lupi (Professore ordinario di diritto tributario, Università di Roma Tor Vergata); Enri-co Marello (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Torino); En-rico Marzaduri (Professore ordinario di Diritto processuale penale, Università di Pisa); Mario Nussi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Udi-ne); Francesco Pistolesi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di siena); Salvatore Sammartino (Professore ordinario di Diritto tributario, Uni-versità di Palermo); Dario Stevanato (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Trieste); Giuseppe Tinelli (Professore ordinario di Diritto tributa-rio, Università di Roma Tre); Antonio Felice Uricchio (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Bari); Giuseppe Zizzo (Professore ordinario di Diritto tributario, Università LIUC – Castellanza)

DOTTRINA

SOMMARIO: E.M. Bagarotto, L’applicazione della novellata disciplina in materia di “costi

da reato” agli effetti reddituali degli acquisti conclusi nell’ambito delle c.d. frodi carosello (The application of the new “cost of crime” rule to the income ef-fects of acquisitions concluded in the framework of so-called carousel fraud)

M. Castillo Solsona, I meccanismi sulla riduzione dei conflitti tributari nell’or-dinamento giuridico spagnolo (The mechanisms to reduce tax litigation in the spanish legal system)

G. Ingrao, Limiti di utilizzo dei poteri istruttori fiscali nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio (Limits to the use of tax preliminary investigation powers during separation and divorce proceedings)

G. Marini, Note in tema di elusione fiscale, abuso del diritto e applicazione delle sanzioni amministrative (Remarks on (tax) avoidance, abuse of right and ap-plication of administrative penalties)

A. Panizzolo, Spunti di riflessione sulla sospensione della riscossione coattiva dell’avviso di accertamento esecutivo nell’attuale sistema normativo (Some remarks on the automatic suspension of the forced tax collection of the “enfor-ceable” notice of assessment in the actual legal system)

G. Petrillo, L’osservanza del principio di proporzionalità Ue nell’individuazio-ne di criteri presuntivi “ragionevoli” (The compliance with the EU principle of proportionality in the identification of “reasonable” presumptive criteria)

G. Scanu, La fiscalità del turismo: un’opportunità per le Regioni, una tentazione per lo Stato (Tourism taxation, an opportunità for the Regions, a temptation for the State)

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Ernesto Marco Bagarotto

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Ernesto Marco Bagarotto

L’APPLICAZIONE DELLA NOVELLATA DISCIPLINA IN MATERIA DI “COSTI DA REATO” AGLI EFFETTI

REDDITUALI DEGLI ACQUISTI CONCLUSI NELL’AMBITO DELLE C.D. FRODI CAROSELLO

THE APPLICATION OF THE NEW “COST OF CRIME” RULE TO THE INCOME EFFECTS OF ACQUISITIONS CONCLUDED IN THE FRAMEWORK OF SO-CALLED CAROUSEL FRAUD

Abstract Anteriormente all’introduzione del D.L. n. 16/2012 la deducibilità dei costi soste-nuti nell’ambito di una “frode carosello” è stata fortemente messa in dubbio, in par-ticolare alla luce della normativa in materia di costi da reato contenuta nell’art. 14 della L. n. 537/1993. Per effetto della novella apportata a quest’ultima disposizione, sebbene residuino taluni dubbi interpretativi, gli utilizzatori di fatture soggettivamen-te inesistenti, indipendentemente dal ruolo assunto nella frode – sebbene prosegua-no a sottostare a conseguenze in materia di IVA – possono dedurre il costo “do-cumentato” da detta fattura alle stesse condizioni a cui gli altri costi sono deducibili. Parole chiave: imposte sui redditi, frodi carosello, costi da reato, condizioni di deducibilità, capacità contributiva Before the introduction of Law Decree No. 16 of 2012, the tax deductibility of costs sup-ported in a “carousel fraud” came under criticism, particularly due to the discipline on criminal costs provided by Art. 14, Law No. 537 of 1993. As a result of the amendment made to such provision, although there are still some interpretative doubts, utilisers of subjectively non-existent invoices, regardless of their role played in the fraud – although they remain subject to VAT consequences – shall deduct the cost supported by adequate documentation from that invoices at the same conditions as other tax deductible costs. Keywords: income taxes, carousel frauds, criminal costs, requirements for tax deduc-tibility, ability to pay

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SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La rilevanza delle frodi “carosello” nell’ambito delle imposte sui redditi. – 3. Segue: le eccezioni di incostituzionalità della normativa in materia di costi da reato. – 4. L’intervento del legislatore. – 5. La posizione (più complessa) dei soggetti “a monte” della frode.

1. Introduzione

Nel presente lavoro ci si soffermerà sul tema dei riflessi delle frodi IVA – e, in particolare, delle c.d. frodi carosello

1 – nell’ambito dell’imposizione reddituale, alla luce della novella disciplina in materia di “costi da reato”, contenuta nell’art. 14 della L. n. 537/1993.

Si tratta di un argomento che, sebbene in passato abbia dato luogo a pro-blematiche particolarmente complesse, oggi sembrerebbe in gran parte ri-

1 Sebbene siano ipotizzabili diverse forme di frode “carosello”, lo schema di massima a cui si farà riferimento nel prosieguo è quello in cui un soggetto residente in un Paese UE (che ha precedentemente acquistato le merci che saranno oggetto della frode) cede ad una prima società residente in Italia (missing trader) delle merci che vengono successivamente cedute ad una o più società “filtro”, anch’esse residenti (buffer), che a loro volta cedono le merci al “reale acquirente” nazionale (broker), il quale provvederà a commercializzare le merci. Sfruttando il regime di non imponibilità della prima operazione (cessione intraco-munitaria al missing trader) ed il mancato versamento delle imposte da parte dei soggetti “a monte” del broker, quest’ultimo riesce di fatto ad “incamerare” (sotto forma di riduzione del costo d’acquisto sostenuto) l’IVA che avrebbe dovuto versare ai propri fornitori. Tra i molti lavori che hanno affrontato il tema delle conseguenze fiscali delle frodi “carosello” v. AMATUCCI, Frodi carosello e consapevolezza del cessionario IVA, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 3 ss.; BASILAVECCHIA, Sulla prova della responsabilità del cessionario nelle frodi IVA, in Corr. trib., 2007, p. 1625; BEGHIN, Le frodi Iva e il malleabile principio di neutralità, in Corr. trib., 2010, p. 1511; LOGOZZO, IVA e fatturazione per operazioni inesistenti, in Riv. dir. trib., 2011, p. 288; MARELLO, Oggettività dell’operazione Iva e buona fede del soggetto passivo, in Riv. dir. fin., 2008; ID., Frodi iva e buona fede del soggetto passivo, in Giur. it., 2011, p. 1214; TESAURO, Appunti sulle frodi carosello, in Giur. it., 2011, p. 1213; ZIZZO, Incertezze e punti fermi in tema di frodi carosello, in Corr. trib., 2010, p. 962; MARCHESELLI, Frodi carosello e frodi sui costi: profili procedimentali e processuali tra giusto procedimento e giusto processo, in Giur. it., 2011, p. 1221; CARDILLO, Tutela della buona fede e dell’affidamento del soggetto pas-sivo nelle frodi iva mediante operazioni «carosello», in Rass. trib., 2008, p. 246; COVINO-LUPI, Frodi carosello: responsabilità solidale per l’acquirente «incauto» come principio genera-le?, in Dialoghi trib., 2011, p. 421; MONDINI, Falso materiale ed ideologico nelle frodi Iva, in Rass. trib., 2008, p. 1788; DE SIENA, Operazioni soggettivamente inesistenti e detraibilità IVA, in Rass. trib., 2007, p. 211; DORIGO, Frodi Carosello e detraibilità dell’iva da parte del cessio-nario: il difficile percorso «comunitario» della giurisprudenza della corte di cassazione, in Dir. prat. trib., 2009, I, p. 1251.

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solto, considerato che esso è stato affrontato in modo pragmatico dal legi-slatore, con l’introduzione di una norma che, stando anche al primo inter-vento giurisprudenziale in materia, sembra avere sortito effetti condivisibili, quantomeno con riferimento ai casi più diffusi di frode “carosello”.

Come vedremo, tuttavia, restano alcuni dubbi, legati alla inevitabile di-versità delle fattispecie ipotizzabili ed alla formulazione della novella norma-tiva, forse non adeguatamente meditata, come sempre più spesso accade in ambito tributario

2.

2. La rilevanza delle frodi “carosello” nell’ambito delle imposte sui redditi

La principale ragione che, fino all’emanazione del D.L. n. 16/2012 3, ha

condotto ad interrogarsi sulle conseguenze reddituali delle frodi “carosello” è legata alla nota norma sui c.d. “costi da reato” (comma 4 bis dell’art. 14 della L. n. 537/1993, introdotta ad opera della L. n. 289/2002), in forza del-la quale (nella sua formulazione originaria) nella determinazione dei redditi non erano ammessi in deduzione i componenti negativi di reddito «ricon-ducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti»

4. Si trattava di una norma dalla formulazione infelice e che ha fatto molto

discutere 5. Essa, invero, è stata invocata dall’Amministrazione finanziaria

2 Sulle lacune della tecnica legislativa in ambito tributario v., da ultimo, MARONGIU, Il parlamento convertito alle “conversioni”: l’abuso del decreto legge fiscale, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 653.

3 Va ricordato che le modifiche apportate all’art. 14 della L. n. 537/1993 sono retroat-tive, trovando applicazione «anche per fatti, atti o attività posti in essere» prima dell’en-trata in vigore della novella, a condizione che risultino più favorevoli «tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4 bis previgente non si siano resi definitivi».

4 Sulla opportunità di impiegare la locuzione “costi da reato” v. FRANSONI, Indeducibili-tà dei costi da reato ed eterogenesi dei fini, in Rass. trib., 2012, p. 1428, il quale preferisce di-stinguere i “costi da reato” (i «decrementi patrimoniali che sono conseguenza diretta del-l’azione illecita») dai “costi del reato” («i decrementi patrimoniali che sono la conseguen-za diretta di atti perfettamente leciti i quali sono però diretti a consentire il compimento di attività illecite»).

5 Per un approfondimento del testo previgente v. TESAURO, Indeducibilità dei costi illeciti: profili critici di una norma di assai dubbia costituzionalità, in Corr. trib., 2012, p. 426 ss.; GIOVANNINI, Principi costituzionali e nozione di costo nelle imposte sui redditi, in Rass. trib., 2011, p. 609 ss.; TUNDO, L’indeducibilità dei costi illeciti tra dubbi di costituzionalità e inter-

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anche per disconoscere la deducibilità dei costi sostenuti nell’ambito delle frodi “carosello” e documentati da fatture qualificate come soggettivamente inesistenti

6, in quanto detti componenti negativi di reddito – a prescindere dalla loro effettività – venivano ritenuti riconducibili ad un atto qualificabile come reato, eppertanto indeducibili ai sensi del comma 4 bis dell’art. 14 del-la L. n. 537/1993

7. Tale posizione, al di là della sua (difficile) conciliabilità con il testo e la

ratio della norma, conduceva a conseguenze spesso irragionevoli e, in parti-colare, similmente a quanto si verifica nell’ambito dell’IVA, all’amplificazio-ne ed alla moltiplicazione delle basi imponibili, per effetto del mantenimento della tassabilità dei ricavi dichiarati a seguito della cessione delle merci pre-cedentemente acquistate (nell’ambito di operazioni soggettivamente inesi-stenti) e del contemporaneo accertamento della indeducibilità dei costi che hanno consentito il conseguimento di detti ricavi

8; il tutto, per di più, non in capo ad un unico soggetto, bensì a tutti i soggetti coinvolti nel disegno fraudolento.

Si assisteva, dunque, all’accertamento di maggiori redditi imponibili, cor-rispondenti in realtà a costi sostenuti dal soggetto coinvolto nella frode, cioè all’accertamento di un reddito lordo, in palese contrasto con il principio co- pretazione restrittiva, in Corr. trib., 2011, p. 57 ss.; ID., Ancora dubbi di costituzionalità sulla indeducibilità dei costi da reato, in Corr. trib., 2011, p. 2840; VIGNOLI-COVINO-LUPI, Costi da reato: una interpretazione conforme alla determinazione della ricchezza ai fini tributari, in Dialoghi trib., 2011, p. 636 ss.; MOSCATELLI, Ancora sulla rilevanza dei “costi da illecito” nella determinazione del reddito imponibile, con particolare riferimento alle somme dovute a titolo di sanzione, in Rass. trib., 2002, p. 975.

6 Va da sé che, diversamente, non è necessario invocare la disposizione sui costi da reato per disconoscere la deducibilità dei costi documentati da fatture oggettivamente inesistenti.

7 Di più, nella Circolare 42/E/2005 si sosteneva l’applicabilità della norma addirittura ai costi generali: «Atteso che la norma fa riferimento a costi e spese “riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato”, nel caso in cui l’illiceità coinvolga la complessiva attività esercitata dal contribuente, l’indeducibilità riguarderà tutti i costi e le spese soste-nuti in relazione all’attività stessa; diversamente nel caso in cui l’illiceità coinvolga solo uno o più “fatti o atti” nell’ambito della propria attività lecita, l’indeducibilità riguarderà sia i costi e le spese a questi specificamente afferenti, sia una quota dei costi riconducibili all’at-tività in generale ossia comuni a più fatti o atti, alcuni leciti e altri illeciti. In tale ultima ipo-tesi, la quota indeducibile dovrà essere determinata con criteri di proporzionalità in rela-zione alla fattispecie esaminata».

8 Il contrasto con il principio di capacità contributiva della posizione a sostegno della indeducibilità dei costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti viene diffusa-mente argomentato da BEGHIN, L’interpretazione adeguatrice naufraga nelle perigliose acque del paradiso fiscale, in Riv. dir. trib., 2011, II, p. 207.

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stituzionale di capacità contributiva sotto il profilo della effettività 9. Accer-

tamento che poteva essere elevato in capo a tutti i soggetti coinvolti, con il conseguente possibile incremento degli imponibili complessivamente accer-tati in funzione della lunghezza della “catena” di operatori coinvolti

10. Conseguenza che nell’ambito delle imposte sui redditi (in cui la base im-

ponibile dovrebbe essere rappresentata dal reddito complessivo) è ancor me-no accettabile che nell’ambito dell’IVA, laddove, nei casi di frode “carosello”, per giustificare i rischi di duplicazione d’imposta a seguito di accertamento dell’indetraibilità dell’IVA assolta “a monte”, si invoca la cartolarità del tri-buto e la normativa che riconosce espressamente la debenza dell’imposta indicata nelle fatture per operazioni inesistenti

11. Tant’è che, sul versante dell’imposizione reddituale, il disconoscimento

della deducibilità di costi effettivi, ma documentati da fatture soggettivamen-te inesistenti, comporta effetti paradossali: il soggetto che acquista e cede

9 Quantomeno aderendo alla dottrina maggioritaria, secondo cui l’art. 53 Cost. neghe-rebbe la possibilità di introdurre tributi di tipo confiscatorio: per un primo riferimento sul punto e senza pretesa di esaustività, v. MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, part. p. 373 ss.; FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2010, p. 155 ss.; TOSI, Il requisito di effettività, in MOSCHETTI (a cura di), La capacità con-tributiva, Padova, 1993, p. 128 ss., ai quali si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografici.

10 Gli imponibili accertati erano perciò destinati ad incrementare in funzione della “lun-ghezza” della catena fraudolenta, sebbene tale allungamento non comportasse l’occulta-mento di maggiori redditi all’Erario.

11 L’art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972, stabilisce che «se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le impo-ste relative sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura». Secondo la Corte di Cassazione, tale disposizione andrebbe letta «nel senso che il tributo viene ad essere con-siderato “fuori conto” e la relativa obbligazione, conseguentemente “isolata” dalla massa di operazioni effettuate, “estraniata”, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione tra iva “a valle” ed iva “a monte”, che presiede alla detrazione d’imposta di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19. E ciò per il rilievo che il versamento dell’iva ad un soggetto che non sia la ge-nuina controparte – aprendo la strada ad un indebito recupero dell’imposta: v. Cass. nn. 4750/10, 5718/07, 14337/02) – è evento dirompente, nell’ambito del complessivo siste-ma iva, essendo questo finalizzato a che l’imposta sia versata a chi ha eseguito prestazioni imponibili, perché la compensi con l’imposta, a sua volta, corrisposta per l’acquisto di beni e di servizi (v. Cass. nn. 4750/10, 309/06, 12353/05)» (Cass., 11 novembre 2011, n. 23626). Per un approfondimento sull’art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972, v., per tutti, LO-GOZZO, op. cit., p. 288; FICARI, Indetraibilità dell’imposta ed operazioni oggettivamente inesi-stenti tra dimostrazione della fattispecie e sanzione «impropria» in capo all’intestatario, in Rass. trib., 2001, p. 222 ss.; SALVINI, La detrazione iva nella sesta direttiva e nell’ordinamento interno: principi generali, in Riv. dir. trib., 1998, I, p. 135.

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merci “in nero”, in caso di accertamento, dovrebbe avere la possibilità di es-sere assoggettato a tassazione sul reddito netto, potendo invocare la dedu-zione dei costi sostenuti, ai sensi dell’art. 109, comma 4, TUIR. Di converso, il soggetto che dichiara i ricavi e documenta i costi con fatture soggettiva-mente inesistenti, per effetto del disconoscimento dei costi sostenuti, ver-rebbe tassato sul reddito lordo

12. Né sembra possibile fare leva su argomentazioni di tipo etico – nel senso

che la tassazione dovrebbe non prendere in considerazione i componenti reddituali originati nell’ambito di attività contrarie alla legge – se non altro in considerazione del fatto che, come noto, anche i ricavi derivanti da illeciti civili, penali ed amministrativi sono imponibili, ai sensi del comma 4 del già citato art. 14 della L. n. 537/1993

13. Orbene, la citata prassi seguita dall’Amministrazione è stata da subito

oggetto di forti critiche. La normativa sui costi da reato, infatti, non sembrava volta a provocare

l’indeducibilità dei costi documentati da operazioni soggettivamente inesi-stenti.

12 D’altro canto, la posizione del soggetto coinvolto in una frode “carosello” è caratte-rizzata dalla tendenziale corrispondenza dei costi e dei ricavi dichiarati a quelli effettiva-mente sostenuti e conseguiti, sebbene il fornitore che risulta documentalmente diverga da quello effettivo. Un elemento di conferma del limitato impatto delle frodi “carosello” sulle imposte dirette lo si può ritrarre dalla giurisprudenza pronunciata in ambito penale-tributario, che ha negato la sussistenza del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000) in caso di intervenuta deduzione di costi documentati da fatture soggettivamente inesi-stenti, ferma restando la punibilità del comportamento nel caso in cui alla contabilizza-zione della fattura sia conseguita anche la detrazione della relativa imposta sul valore ag-giunto. In tal senso si veda, da ultimo, la sentenza della Cass., 22 febbraio 2012, n. 7039: «il delitto previsto dal D.Lgs. n. 74/2000, art. 2, è integrato, per le imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva delle operazioni figuranti nelle fatture (relativa alla diversità totale o parziale tra costi indicati e sostenuti) mentre, con riguardo all’Iva, il reato com-prende anche la inesistenza soggettiva, cioè, quella relativa alla diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione e quello precisato in fattura» (similmente v. la sent. 16 marzo 2010, n. 10394).

13 Non manca chi, con ampie argomentazioni ed invocando la necessità di anteporre al principio di effettività i principi di solidarietà e legalità, condivida la scelta di rendere inde-ducibili i costi da reato e, di converso, critichi la scelta di rendere imponibili i proventi da reato: «È proprio l’art. 53, Cost. ... che come norma espressione del principio di solidarie-tà e del canone della legalità, impedisce di riportare al presupposto d’imposta componenti, positivi o negativi, in irrimediabile conflitto con gli interessi generali dell’ordinamento» (così GIOVANNINI, op. cit., p. 609 ss.).

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La formulazione letterale era molto incerta: la “riconducibilità” a fatti, at-ti o attività qualificabili come reato è concetto molto labile e che si prestava a diverse letture. Alcuni elementi, però, deponevano per una limitazione della sua portata.

In primo luogo, non può dimenticarsi che la disposizione in argomento era stata introdotta sulla scia di talune raccomandazioni dell’OCSE

14, che miravano a contrastare la corruzione dei pubblici ufficiali a livello internazio-nale attraverso la negazione della deducibilità delle tangenti pagate a pub-blici ufficiali stranieri e non contenevano indicazioni in ordine all’opportu-nità di rendere indeducibili tutti i costi riconducibili a reati

15. A ciò si aggiunga – tornando alla formulazione del testo normativo – che

non era chiaro il significato dell’inciso in base al quale veniva «fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti». Tale inciso poteva es-sere inteso come finalizzato al contenimento degli effetti potenzialmente dirompenti della norma e confermava, per quanto potesse occorrere, la ne-cessità di operarne una lettura costituzionalmente orientata, sotto il profilo sia procedimentale – per esempio, con riferimento alle problematiche legate all’esigenza di rispettare la presunzione di innocenza (art. 27, comma 2, Cost.)

16 – sia sostanziale, con conseguente possibilità di invocare il princi-pio di capacità contributiva.

L’Amministrazione finanziaria, di contro, propendeva per la tesi secondo cui la norma si riferisse alla deduzione dei “costi connessi all’esercizio” di di-ritti costituzionalmente garantiti e, in particolare, alle «spese necessarie per l’assistenza legale in tutte le fasi del procedimento e del processo penale»

17. Anche la giurisprudenza si è dimostrata, sia pure non sistematicamen-

te 18, molto rigida sul punto. Si veda, in particolare, la sentenza della Cass. 11

14 V., in particolare, le Raccomandazioni del Consiglio OCSE C(94)75/FINAL, C(96)27/FINAL e C (97) 123/FINAL.

15 Sul punto si soffermano anche BEGHIN, L’interpretazione adeguatrice, cit., p. 208; e MARCHESELLI, Spunti di riflessione sull’indeducibilità dei costi da reato, in Dialoghi trib., 2009, p. 225 ss.

16 Sul punto TESAURO, op. cit., p. 429, evidenzia che «se si può ammettere che sia ema-nato un avviso di accertamento, prima della condanna definitiva, di certo non è però con-sentito, prima della condanna definitiva, che sia portato ad esecuzione l’avviso di accerta-mento che presuppone un reato. L’esecuzione dell’effetto di un reato (qual è l’indeducibi-lità dei costi), se non è preceduto da un giudicato di condanna, viola l’art. 27 Cost.».

17 Così la Circolare 26 settembre 2005, n. 42. 18 Ed invero, la sentenza della Cass. 8 settembre 2006, n. 19353 ha affermato che «In

tema di accertamento delle imposte sui redditi, e in particolare del reddito d’impresa, se

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novembre 2011, n. 23626, secondo cui la deduzione del costo documentato da una fattura soggettivamente inesistente comporterebbe il venire meno dell’«indefettibile requisito ... rappresentato della relativa inerenza all’im-presa, intesa come rapporto tra un costo e lo svolgimento della specifica at-tività che costituisce ragion d’essere stessa dell’impresa, che è onere del con-tribuente comprovare ... Infatti – come appare prendere atto lo stesso legi-slatore, nel precludere l’ammissione in deduzione di costi e spese ricondu-cibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato (v. la L. n. 537/1993, art. 14, comma 4 bis, introdotto dalla L. n. 289/2002, art. 2, comma 8) – la deri-vazione dei costi da attività integrante illecito penale, in quanto tale espres-sione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’at-tività istituzionale dell’impresa, non può, infatti, che comportare la rottura, già in termini oggettivi, del nesso di “inerenza” tra i costi medesimi e quell’attività ...».

Similmente, la precedente sent. 29 aprile 2011, n. 9537 – pur senza ri-chiamare la L. n. 537/1993 – ha affermato che i costi derivanti da fatture soggettivamente inesistenti originate nell’ambito di una frode “carosello” possono essere dedotti ai fini delle imposte dirette, non solo a condizione che i beni oggetto delle transazioni contestate siano stati realmente acqui-stati e pagati, la fatturazione sia avvenuta per un importo uguale a quello contabilizzato e i costi siano indiscutibilmente inerenti all’attività d’impresa della società acquirente, ma anche che il contribuente provi la propria buo-na fede (cioè, in sostanza, di non aver avuto consapevolezza della frode) mediante mezzi di prova diversi dall’effettiva disponibilità dei beni acquista-ti e dall’effettivo pagamento del prezzo.

Quest’ultima pronuncia richiama espressamente la precedente sent. 24 luglio 2009, n. 17377, che sembra comunque aver fatto applicazione della regola della indeducibilità dei costi da reato, posto che afferma che «il dirit-to alla deduzione da parte del committente/cessionario nelle ipotesi consi-derate deve ritenersi condizionato alla circostanza di non avere avuto con-sapevolezza della falsità ideologica della fattura rilasciata a fronte dell’opera-zione, vale a dire della diversità tra il soggetto effettivamente cedente e quel- alcuni costi contabilizzati e portati in deduzione dal reddito siano rappresentati da fatture che l’Amministrazione finanziaria ritiene irregolari, il contribuente è ammesso a provare che l’operazione ed il corrispondente esborso sono reali, a prescindere dalla falsità della fattura; dovendosi, in caso di esito positivo della prova, riconoscere la deducibilità del co-sto inerente alla produzione del reddito, nella misura in cui risulta contabilizzato ed impu-tato al conto dei profitti e delle perdite relativo all’esercizio di competenza».

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lo indicato nella fattura, non potendo evidentemente riconoscersi legittima la deduzione di un costo derivante da operazione posta in essere mediante un comportamento penalmente illecito». In altre parole, la Suprema Corte ha ritenuto che la dimostrazione della mancata partecipazione al reato da parte dell’acquirente consenta di escludere l’indeducibilità dei costi da que-sto sostenuti

19. La deduzione del costo sostenuto nell’ambito di una frode “carosello”,

dunque, veniva sottoposta a condizioni sostanzialmente analoghe a quelle a cui era (ed è) tendenzialmente subordinata la detrazione della relativa im-posta sul valore aggiunto nonché la non punibilità ai fini penali, incentrate sulla dimostrazione della buona fede ed estraneità alla frode del soggetto che ha acquistato e commercializzato i beni oggetto del “carosello”. In base ai principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, infatti, l’ac-quirente mantiene il diritto alla detrazione qualora non sapesse e non potes-se sapere che l’acquisto concluso era effettuato nell’ambito di una più ampia operazione fraudolenta, perpetrata da soggetti terzi

20. In definitiva, si affermava che i costi documentati da fatture soggettiva-

mente inesistenti erano indeducibili, riconoscendo così la possibilità che il

19 Per un commento alla sentenza v. LOVISOLO, Operazioni soggettivamente inesistenti ed «inerenza soggettiva»: la cassazione ribadisce la propria «giurisprudenza del disvalore», in Riv. giur. trib., 2010, p. 422. Similmente, sia pure incidentalmente ed in un caso in cui non era chiaro se i costi contestati fossero oggettivamente o soggettivamente inesistenti, v. la sent. 17 dicembre 2010, n. 25617. Tra le pronunce di merito v. CTP Ravenna, 10 dicem-bre 2008, n. 112 e CTR Veneto, 16 dicembre 2010, n. 76 (riferita ad una particolare vi-cenda in cui l’emittente della fattura risultava fiscalmente residente in un Paese black list).

20 Il tema è stato affrontato, sia pure in modo non del tutto uniforme, dalla giurispru-denza sia comunitaria sia nazionale: in particolare, v. Corte di Giustizia, sentt. 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03; 6 luglio 2006, C-439/04 e 440/04 (in cui si legge che «qualora una cessione sia operata nei confronti di un soggetto passivo che non sapesse e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in una frode commessa dal venditore, l’art. 17 della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che osta ... per il detto soggetto passivo la perdita del diritto alla deduzione dell’IVA ... Per contro, qualora risulti acclarato, alla luce di elementi obiettivi, che la ces-sione sia stata effettuata nei confronti di un soggetto passivo che sapesse o avrebbe dovuto sapere di partecipare, con il proprio acquisto, ad un’operazione che si iscriveva in una fro-de all’IVA, spetta al giudice nazionale negare al detto soggetto passivo il beneficio del dirit-to alla deduzione»); Cass., sent. 13 marzo 2009, n. 6124 («nel caso di operazioni soggetti-vamente inesistenti, il committente-cessionario conserva il diritto alla deduzione dell’impo-sta pagata qualora dalle circostanze del caso risulti che egli non sapeva e non poteva sapere di partecipare con il proprio acquisto ad una operazione che si iscriveva in una frode all’imposta»); 21 gennaio 2011, n. 1364; 24 luglio 2009, n. 17377; 30 gennaio 2007, n. 1950.

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contribuente venisse assoggettato a tassazione sui ricavi lordi; e che detti costi tornavano ad essere deducibili nei casi in cui sussistevano i requisiti necessari per detrarre la relativa imposta sul valore aggiunto.

3. Segue: le eccezioni di incostituzionalità della normativa in materia di costi da reato

Il panorama legislativo testé ricordato è stato “scosso” da due ordinanze che hanno sollevato l’eccezione di incostituzionalità della normativa sull’in-deducibilità dei costi da reato.

Un primo tentativo non è andato a buon fine: l’ord. della Corte cost. n. 73/2011, infatti, non ha affrontato nel merito la questione di legittimità co-stituzionale sollevata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Terni, avendola dichiarata inammissibile per motivi procedimentali.

Un secondo tentativo è stato fatto dalla Commissione Tributaria Regio-nale del Veneto, sezione staccata di Verona, con l’ord. 11 aprile 2011, n. 27.

La Commissione veneta, con un’articolata ordinanza, ha sollevato dubbi di legittimità della norma sotto diversi profili, rilevando – per quel che qui è di maggior interesse – che il comma 4 bis avrebbe determinato una «evi-dente alterazione dei criteri normativi di quantificazione del tributo a mezzo di una irragionevole amplificazione della base imponibile», con conseguen-te assoggettamento ad imposizione di somme che non sono espressione della capacità contributiva del soggetto passivo, ed affermando in modo as-sai significativo che per effetto di detta disposizione «si finisce per tassare una ricchezza inesistente»

21. L’ordinanza, inoltre, ha evidenziato l’impossibilità di superare il contra-

sto con il principio di capacità contributiva grazie alla ridefinizione di un concetto di «inerenza in termini eticamente orientati, e cioè in termini tali che sia da considerare – per presunzione assoluta – non inerente alla stessa attività di (lecito) esercizio dell’impresa tutto ciò che si correli alla commis-sione di un reato»

22, dovendosi, semmai, applicare un criterio di “neutralità

21 L’ordinanza – richiamando la sentenza della Corte cost. n. 103/1967 – ricorda che vi è un «limite di razionalità alla discrezionalità del legislatore nel campo tributario, limite che positivamente si invera nel precetto dell’art. 53 Cost., e detto limite non può non ope-rare anche con riferimento alla necessaria rilevanza (in un quadro di determinazione anali-tica dell’imponibile) degli elementi negativi del reddito, allorquando essi generano un reddito positivo che resta concretamente sottoposto a tassazione».

22 La anomalia della imponibilità dei componenti positivi e della contemporanea inde-

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fiscale”, cioè di indifferenza dell’imposizione (sia sul versante dell’imponibi-lità dei proventi, sia sul versante della deduzione dei costi) rispetto alla licei-tà del comportamento del contribuente.

Né, secondo i Giudici veronesi, sarebbe possibile invocare la tesi, soste-nuta da Amministrazione finanziaria e Corte di Cassazione, secondo cui la norma in esame potrebbe essere giustificata in considerazione delle sue fi-nalità sanzionatorie

23. Qualora il prelievo scaturente dall’applicazione del comma 4 bis avesse

natura e finalità esclusivamente sanzionatorie, invero, si potrebbe ritenere su-perabile il problema del rispetto del principio di capacità contributiva

24. L’at-tribuzione di natura sanzionatoria al prelievo in argomento risulta, però, tut-t’altro che agevole, se non altro in considerazione della difficoltà di scindere il prelievo derivante dall’applicazione del comma 4 bis (corrispondente alle imposte computate sul maggior reddito scaturente dall’indeducibilità dei costi) dal complessivo prelievo a titolo d’imposta. Ed a questo proposito – sebbene non possa sottacersi che la Corte costituzionale abbia tendenzial-mente avallato, sia pure in casi diversi da quello di specie, l’introduzione di sanzioni improprie

25 – parte della dottrina ritiene che solo le vere e proprie sanzioni sarebbero senza dubbio escluse dal campo di applicazione dell’art. 53 Cost., mentre il principio di capacità contributiva dovrebbe essere rispet-tato da quelle «conseguenze dell’illecito che, sotto forma di limiti alle de-trazioni o di legittimazione ad accertamenti più o meno approssimati, con-corrono a determinare il debito d’imposta»

26. ducibilità dei componenti negativi era già stata messa in rilievo da MOSCATELLI, Conside-razioni sui «costi da illecito» nella determinazione del reddito imponibile, in Riv. dir. trib., 2000, I, 1182.

23 La natura sanzionatoria viene incidentalmente sostenuta nelle sentenze della Su-prema Corte 19 giugno 2008, n. 16750 e 17 dicembre 2010, n. 25617: «Quando ... l’uffi-cio si limita a disconoscere soltanto i costi (perché ritenuti fittizi), l’incremento del reddito tassabile è consequenziale, salvo che il contribuente non provi che i costi siano stati co-munque sostenuti e non ricorrano ipotesi di reato che ne impediscono la deduzione (nel qual caso la indeducibilità assume connotazione sanzionatoria e quindi non è a rischio di collisione con il principio di cui all’art. 53 Cost.)».

24 Su tale aspetto si sofferma – commentando la nuova versione del comma 4 bis – FRAN-SONI, op. cit., p. 1437, che richiama come esempio di strumento tributario impiegato esclu-sivamente per finalità afflittive l’imposta sui profitti di guerra e di contingenza.

25 Per una rassegna della giurisprudenza in materia v. DEL FEDERICO, Sanzioni impro-prie ed imposizione tributaria, in PERRONE-BERLIRI (a cura di), Diritto tributario e Corte Co-stituzionale, Napoli, 2006, p. 519 ss.

26 Così MOSCHETTI, Il principio di capacità contributiva, cit., p. 311, secondo cui «alla

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Per di più, se si volesse comunque assegnare al prelievo in esame natura esclusivamente sanzionatoria, sarebbe necessario valutarne la compatibilità con le regole applicabili alle misure aventi simile natura, quali la non appli-cabilità degli interessi e di sanzioni sulle sanzioni

27, la intrasmissibilità agli eredi, ecc.

28 E, prima ancora – come correttamente rilevato dalla citata or-dinanza – con i principi di ragionevolezza, determinatezza e proporzionali-tà

29, poiché nel nostro ordinamento non vi dovrebbe essere spazio per una violazione di un dovere giuridico deve certo seguire una conseguenza negativa, ma non un’imposizione arbitraria». Similmente v. DE MITA, L’influsso della giurisprudenza della Corte costituzionale sul diritto tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1981, p. 608; ID., Sono legitti-me le disposizioni che prevedono sanzioni improprie?, in Corr. trib., 1981, p. 751; COPPA-SAMMARTINO, Sanzioni tributarie, in Enc. dir., 1989, p. 425. Critici in materia di sanzioni improprie sono anche FALSITTA, op. cit., p. 172; FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, p. 630. Con specifico riferimento alla normativa in materia di indeducibilità dei costi da reato v. MARONGIU, Abuso del diritto o abuso del potere?, in Corr. trib., 2009, p. 1078, che sostiene che il comma 4 bis sia in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., poiché la liceità o illi-ceità di un comportamento non è un fatto idoneo a giustificare un prelievo differenziato: «una cosa è infatti prevedere detta indeducibilità come sanzione correlata ad inadempi-menti, a precetti che trovano giustificazione nell’esigenza di tutelare interessi interni all’ordinamento tributario (ad esempio quello di consentire all’Amministrazione una più agevole attività accertativa), altro invece è utilizzare la leva fiscale in guisa di ulteriore de-terrente rispetto al compimento di illeciti penali». Per una critica sulla giustificazione in termini sanzionatori della norma sull’imponibilità dei proventi da reato, invece, v. FEDELE, Imposizione fiscale o ablazione sanzionatoria per i proventi da illecito?, in Rass. trib., 1999, p. 1622 ss. Da ultimo, per un’ampia rassegna sul delicato tema delle sanzioni improprie v., per tutti, DEL FEDERICO, op. cit., p. 519, ove sono rinvenibili ampi riferimenti.

27 Sul tema, con riferimento alla novellata normativa, v. CARINCI, La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla dipendenza rovesciata (con diversi dub-bi e numerose incongruenze), in Rass. trib., 2012, p. 1478.

28 In argomento, con specifico riferimento al comma 4 bis in esame, v. MARCHESELLI, Indeducibilità dei costi illeciti: una norma incostituzionale dagli esiti paradossali, in Dialoghi trib., 2009, pp. 226-227 (il quale evidenzia che, quand’anche fosse possibile introdurre un tributo con finalità esclusivamente sanzionatoria, a questo dovrebbero applicarsi le garan-zie procedurali e sostanziali previste per gli illeciti); BEGHIN, L’interpretazione adeguatrice, cit., p. 207 [«la confusione tra questi due aspetti (funzione sanzionatoria, da un lato; fun-zione impositiva, dall’altro) declina inevitabilmente nella emarginazione del principio se-condo il quale l’Ires, in armonia con l’art. 53 Cost., deve colpire ricchezze novelle, effettive, concretamente riconducibili a un determinato contribuente, quand’anche il citato contri-buente le abbia prodotte contra legem»]. Con riferimento al novellato testo normativo v. CARINCI, op. cit., pp. 1463-1464.

29 Sul punto, l’ordinanza richiama l’insegnamento della Corte costituzionale secondo cui, fermo restando che le valutazioni relative alla proporzione tra la pena prevista ed il fat-to contemplato rientrano nell’ambito del potere discrezionale del legislatore, l’esercizio di tale potere può essere censurato in relazione agli artt. 3, 27 e 97 Cost. qualora non sia stato

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norma sanzionatoria in cui l’ammontare della sanzione rischia di essere in-determinato

30 e non proporzionato alla gravità dell’illecito, venendo con-cretamente a dipendere da «fattori del tutto casuali, non ultimo il rapporto usuale tra costi e ricavi che – settore per settore – risulta enormemente va-riabile, si che (nel complesso) la maggior o minor incidenza dell’indetraibi-lità dei costi finisce per essere del tutto indipendente dall’effettivo ammon-tare dell’Imposta evasa»

31.

4. L’intervento del legislatore

Il legislatore ha ridisegnato la disciplina in argomento con l’art. 8 del D.L. n. 16/2012

32. rispettato il criterio di ragionevolezza e la sanzione comminata risulti così irrazionale ed arbi-traria (sentt. nn. 360/1995 e 49/1989). In argomento v. anche DEL FEDERICO, op. cit., p. 542, che evidenzia come, alla luce dell’orientamento rigorista della Corte costituzionale in mate-ria, le forme di garanzia per il contribuente derivino proprio dalla prospettiva sanzionatoria e non da quella impositiva (incentrata sul comma 1 dell’art. 53). In particolare, l’Autore – al termine di un articolato studio sulle sanzioni improprie – perviene alla conclusione che le sanzioni improprie lato sensu afflittive (aventi «certamente funzione punitiva, seppure con-corrente con altre funzioni e non prevalente») siano sindacabili alla luce degli artt. 3, 24, 53 e 97 Cost., mentre le “sanzioni camuffate” (aventi prioritariamente funzione punitiva e tra cui potrebbe rientrare quella di cui si tratta) debbano rispettare tutti i principi costituzionali in materia punitiva ed i principi generali di cui al D.Lgs. n. 472/1997.

30 Si pensi, peraltro, che la concreta determinazione dell’importo dovuto per effetto dell’applicazione del comma 4 bis viene ad essere influenzato, per esempio, dalla presenza di perdite d’esercizio o pregresse idonee ad “assorbire”, in tutto o in parte, i maggiori im-ponibili corrispondenti ai costi accertati come indeducibili; nel caso di soggetti “trasparen-ti”, invece, dall’aliquota marginale dei soci.

31 L’ordinanza richiama anche il contrasto con il principio di personalità della respon-sabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.), poiché la normativa in esame determinava una conseguenza sanzionatoria in capo agli enti persone giuridiche per le condotte dei propri legali rappresentanti. Sul contrasto della normativa in esame con il principio della persona-lità della responsabilità penale v. anche TESAURO, op. cit., p. 426. Per una posizione diversa v., invece, LUPI, Una sanzione amministrativa collegata ai reati, in SANTACROCE-STEVANA-TO-LUPI, Il «restyling» della regola di indeducibilità dei costi finalizzati ad attività criminose, in Dialoghi, 2012, p. 157, il quale ritiene che sarebbe «insostenibile la tesi formalistica se-condo cui, siccome societas delinquere non potest, allora la indeducibilità non scatterebbe per i costi da reato relativi a soggetti diversi dalle persone fisiche. Come se il company crime non esistesse, mentre la convenzione internazionale si riferiva essenzialmente agli illeciti societari commessi dalle corporations, secondo quanto è notorio in materia di rapporti con governi di Paesi del terzo mondo».

32 Per un primo commento della novella v. TUNDO, Le modifiche a favore del contribuente

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In realtà l’intervento operato è duplice: da un lato, modificativo della vec-chia norma sui costi da reato e, dall’altro lato, integrativo con riferimento alla fattispecie dei costi oggettivamente inesistenti.

La neointrodotta normativa, invero, è connotata da un deciso pragmati-smo e sembra nascere dalla volontà di scongiurare un giudizio negativo da parte della Corte costituzionale

33. Ora, il novellato comma 4 bis dell’art. 14 della L. n. 537/1993 stabilisce

che non sono deducibili «i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualifica-bili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia eserci-tato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura pe-nale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 del-lo stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale».

Già ad una prima lettura del testo normativo, emerge chiaramente la vo-lontà di limitare le ipotesi di indeducibilità rispetto al passato.

La norma – oltre a richiedere l’avvenuto esercizio dell’azione penale (e non solo la comunicazione di reato), introducendo così un vaglio esterno all’Amministrazione finanziaria – abbandona il concetto equivoco della ri-conducibilità e limita l’indeducibilità alle sole spese riferite a beni e servizi direttamente utilizzati per il compimento dei reati consistenti in delitti non colposi (con esclusione, dunque, di contravvenzioni e delitti colposi)

34. Deve, dunque, essere individuato un nesso di causalità, strumentalità, di-

retto tra il bene o servizio acquisito sostenendo il costo e l’attività delittuosa posta in essere

35. non fugano i dubbi di incostituzionalità sull’indeducibilità dei costi da reato, in Corr. trib., 2012, p. 2138; ID., Indeducibilità dei costi da reato: i difficili rapporti tra processo penale e tri-butario, in Corr. trib., 2012, p. 1682; FRANSONI, op. cit., p. 1427; CARINCI, op. cit., p. 1459; DI GIOVINE, L’indeducibilità dei costi da reato ed il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale: il punto di vista del penalista, in Rass. trib., 2012, p. 1383.

33 Tant’è che la Corte costituzionale, a seguito dell’ord. 16 luglio 2012, n. 190, ha resti-tuito gli atti relativi al procedimento, citato in precedenza, attivato dalla Commissione Tribu-taria Regionale del Veneto, sezione staccata di Verona, affinché questa valuti la rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, in considerazione delle modifiche apportate dall’art. 8 del D.L. n. 16/2012.

34 La irragionevolezza della scelta operata dal legislatore di discriminare il trattamento dei costi riconducibili ai soli delitti non colposi viene sottolineata da CARINCI, op. cit., p. 1463.

35 Si pensi, ad esempio, al compenso pagato per il furto di un segreto industriale o il sabo-

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Di contro, il legislatore non condiziona l’indeducibilità del componente negativo alla circostanza che il suo sostenimento concretizzi un comporta-mento illecito

36. Sono perciò indeducibili i costi sostenuti nell’ambito di un comportamento penalmente irrilevante successivamente impiegati per commettere un reato. Parimenti, sono indeducibili i costi sostenuti nell’am-bito di un comportamento penalmente rilevante ed impiegati nell’ambito del compimento di un reato. Diversamente, non può invocarsi l’indeducibi-lità dei costi sostenuti nell’ambito di un comportamento penalmente rilevan-te ma che hanno comportato l’acquisto di beni o servizi impiegati per finali-tà diverse dal compimento di un reato

37. L’applicazione della norma in esame, dunque, richiede di attendere che i

beni o servizi acquisiti per effetto del sostenimento del costo siano concre-tamente impiegati: se questi sono impiegati direttamente nella commissione del delitto non colposo, allora essi – sempre che il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale – divengono indeducibili

38. La previsione che i beni o servizi debbano essere utilizzati direttamente,

sembra richiedere, da un lato, l’effettuazione di una verifica oggettiva – che prescinda, dunque, dai profili soggettivi, legati per esempio, alla volontà di impiego ai fini della commissione di un eventuale reato – e, dall’altro lato, taggio dell’impianto di un concorrente. Altri esempi proposti dalla recente Circolare 3 agosto 2012, n. 32/E sono quelli della spesa finalizzata alla corruzione di un pubblico ufficiale per ottenere l’aggiudicazione di un appalto pubblico e delle spese postali sostenute per realizzare truffe. In argomento CARINCI, op. cit., p. 1467, evidenzia che, poiché la normativa prende in considerazione «costi inerenti di cui si contesta la deducibilità» ai sensi della disciplina con-tenuta nell’art. 14, comma 4 bis, della L. n. 537/1993 (e non costi di cui si contesta l’ineren-za), non sarebbe possibile invocare la giurisprudenza che addossa al contribuente l’onere di provare la deducibilità del costo. Incomberebbe, perciò all’Amministrazione finanziaria l’o-nere di dimostrare l’impiego diretto dei beni e dei servizi nella commissione dell’illecito pe-nale, poiché altrimenti si costringerebbe il contribuente «a fornire la prova negativa, come tale diabolica, del non diretto utilizzo di un dato fattore nella commissione dell’illecito».

36 Nello stesso senso v. FRANSONI, op. cit., p. 1435, che evidenzia come tale conclusione sia confermata dalla posizione dell’Agenzia delle entrate, secondo cui la regola dell’indedu-cibilità varrebbe anche per i costi connessi al reato in via mediata.

37 In argomento v. anche in STEVANATO, Le ricadute in tema di falsa o deviante documen-tazione di operazioni effettive, in SANTACROCE-STEVANATO-LUPI, op. cit., p. 153 ss., il quale evidenzia che, affinché trovi applicazione l’indeducibilità, «occorre ... che il bene o il servizio venga utilizzato per il compimento di un illecito penale ... Quando invece il fattore produtti-vo, benché acquisito incidentalmente violando un precetto penale, è impiegato in un’atti-vità lecita, non si pone alcun problema di deducibilità del costo».

38 Come rileva CARINCI, op. cit., p. 1465, si tratta dei costi dei «fattori di produzione impiegati nella commissione del delitto».

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che i beni o servizi non siano stati impiegati solamente in via mediata (ben-sì, per l’appunto, diretta) per la commissione del reato

39. La norma, anche nella sua nuova formulazione, resta contraddistinta da

aspetti tutt’altro che facili da risolvere e ripropone, quantomeno in parte, gli interrogativi già emersi con riferimento al testo previgente in merito al rap-porto con la presunzione di non colpevolezza; alle interconnessioni tra pro-cesso penale e processo tributario

40; al rispetto del principio di capacità contributiva, alla asimmetria con la regola della tassazione dei ricavi deri-vanti da attività illecite

41; ed alle conseguenze del riconoscimento della sua natura sanzionatoria

42.

39 Sembra perciò eccessivamente estensiva l’interpretazione sostenuta dall’Agenzia del-le entrate, secondo cui l’indeducibilità può riguardare la «quota dei componenti negativi afferenti all’ordinaria attività d’impresa che abbiano avuto un rapporto di strumentalità con la commissione del reato, seppur sostenuti non esclusivamente per il compimento del-lo stesso» nonché «altri componenti negativi quali quelli relativi, ad esempio, a interessi passivi, accantonamenti, sopravvenienze passive, ammortamenti, minusvalenze e così via» (Circolare n. 32/E/2012). Sull’impossibilità di considerare indeducibili i costi preparatori e le spese generali (salvo, forse, l’ipotesi di attività interamente illecita) v. CARINCI, op. cit., p. 1466. Sull’impossibilità di considerare indeducibili i costi sostenuti nell’ambito di un’at-tività che ha realizzato un reato omissivo v. la Circolare n. 32/E/2012: «La necessità di individuare, ai fini del recupero, i soli costi sostenuti e direttamente utilizzati per il compi-mento di delitti non colposi, ricorre anche con riguardo alle ipotesi di reato omissivo, in relazione alle quali potranno ritenersi deducibili, secondo le regole generali, i componenti negativi sostenuti nell’ordinaria attività d’impresa. Tale fattispecie ricorre, ad esempio, nel caso in cui nell’attività industriale di un’impresa questa commetta il reato di inquinamento ambientale, non provvedendo all’acquisto e all’istallazione di un depuratore; in tal caso, non essendo stati sostenuti costi diretti alla commissione del delitto non colposo, tutti i costi sostenuti per l’acquisto e l’utilizzo dei fattori produttivi dovranno ritenersi deducibili».

40 Il legislatore ha tentato di attenuare la posizione del soggetto di cui venga accertata l’innocenza attraverso un sistema di rimborsi, che peraltro non trova applicazione nel caso in cui intervenga prescrizione: «Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussisten-za di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 529 del codice di proce-dura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non am-missibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi». Le incoe-renze e le problematiche applicative di tale previsione sono state sottolineate da CARINCI, op. cit., p. 1469 ss., il quale conclude evidenziando che sarebbe stato opportuno meditare sulla possibilità di sospendere il processo tributario in pendenza di quello penale.

41 Su tali argomenti v. TESAURO, op. cit., p. 426 ss.; TUNDO, Ancora dubbi di costituziona-lità, cit., p. 34 ss.; MARCHESELLI, Indeducibilità dei costi illeciti, cit., p. 225 ss.

42 In argomento v. FRANSONI, op. cit., p. 1438 e CARINCI, op. cit., p. 1463, n. 18, che rile-

Ernesto Marco Bagarotto

283

Vero è, infatti, che, attraverso l’introduzione del requisito dell’avvenuto esercizio dell’azione penale ed il richiamo ai soli costi direttamente impiega-ti per il compimento di delitti non colposi, le ipotesi di indeducibilità sono state circoscritte a fattispecie più ristrette (e ricollegabili a comportamenti del contribuente che, evidentemente, il legislatore ha ritenuto più “gravi”) ma all’interno del più ristretto ambito applicativo restano fermi i sopra indi-cati interrogativi, ivi inclusi quelli riferiti alla violazione del principio di ca-pacità contributiva (e, in particolare, del corollario della imponibilità del red-dito netto) considerato che i proventi conseguiti per effetto dell’esercizio di attività consistenti in delitti non colposi (e non sottoposti a confisca) pro-seguiranno ad essere tassati al lordo dei relativi costi

43. Si può, invece, ritenere che la posizione dell’utilizzatore di fatture sogget-

tivamente inesistenti, grazie alla novella legislativa, sia stata definita coeren-temente: i costi effettivamente sostenuti, ma documentati da fatture sogget-tivamente inesistenti, devono ora ritenersi deducibili, non realizzando il presupposto di indeducibilità fissato dal citato comma 4 bis. Ed invero, il co-sto di acquisto di un bene destinato ad essere commercializzato (indipen-dentemente dal fatto che si tratti di costo documentato da una fattura inesi-stente sotto il profilo soggettivo) non può considerarsi sostenuto al fine di commettere un reato; esso, piuttosto, è sostenuto al fine di acquistare il be-ne e trarre profitto grazie alla sua successiva rivendita

44. Tant’è che secondo la Relazione governativa al D.L. n. 16/2012 «l’inde-

ducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture ... che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, ferme re-stando le regole generali in materia di detrazione della relativa IVA e in te-ma di deduzione previste dal TUIR ... ove del caso, l’indeducibilità dei costi rappresentati in documenti emessi da soggetti che in tutto o in parte non hanno effettivamente posto in essere l’operazione, sarà, comunque, rilevabi-le per effetto delle altre disposizioni normative eventualmente applicabili e vano come la disciplina transitoria dettata dall’art. 8, comma 3, del D.L. n. 19/2012, ispira-ta al favor rei, confermi la natura sanzionatoria della previsione in argomento.

43 Dubbi riproposti anche da CARINCI, op. cit., p. 1464. Sulle necessità di sottoporre ad imposizione i proventi da reato al netto dei relativi costi – sempre che siano certi ed ine-renti – v. anche TOSI, La tassazione dei redditi da attività delittuose, in Riv. dir. trib., 1997, I, p. 114.

44 Secondo la Circolare n. 32/2012, tuttavia, resterebbe indeducibile il costo sostenuto per la “commissione” riconosciuta all’emittente delle fatture soggettivamente inesistenti, in quanto si tratterebbe di costo direttamente utilizzato per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo.

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connesse ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi».

Analoga posizione è stata assunta dalla Corte di Cassazione con le sentt. nn. 10167, 10168, 10169 e 10170/2012 e che, si badi, sono espressamente riferite ad un caso in cui il contribuente era consapevole della frode, cioè ad un caso in cui l’imposta sul valore aggiunto eventualmente indicata nelle fat-ture d’acquisto – che documentano il costo giudicato deducibile – risulta indetraibile

45. I costi derivanti da fatture soggettivamente inesistenti, dunque, non pos-

sono più considerarsi indeducibili per il fatto di essere documentati da fat-ture soggettivamente inesistenti, ma potrebbero esserlo solo nel caso in cui il contribuente non riesca a dimostrare le condizioni ordinariamente richie-ste per la loro deducibilità.

In definitiva, l’utilizzatore della fattura soggettivamente inesistente, indi-pendentemente dal ruolo assunto nella frode – pur potendo sottostare a con-seguenze in materia di IVA – può dedurre il costo “documentato” da detta fattura alle stesse condizioni a cui gli altri costi sono deducibili: il costo, quin-di, dovrà esser stato effettivamente sostenuto, dovrà essere di competenza, inerente, certo ed obiettivamente determinabile.

5. La posizione (più complessa) dei soggetti “a monte” della frode

Come testé evidenziato, l’intervento del legislatore sembra aver risolto (sul versante delle imposte sui redditi) la delicata posizione dei soggetti che hanno concluso un acquisto effettivo, ma inesistente sotto il profilo sogget-tivo, quali sono tipicamente i soggetti che partecipano ad una frode “caro-sello” in qualità di broker.

Di converso, la posizione dei soggetti che partecipano alla frode in posi-zione intermedia (c.d. missing trader e buffer) può essere più delicata.

45 La Suprema Corte, in particolare, ha pronunciato il seguente principio di diritto: «In tema di imposte sui redditi, a norma della L. n. 537/1993, art. 14, comma 4 bis, nella formu-lazione introdotta con il D.L. n. 16/2012, art. 8, comma 1, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono so-stenuti nel quadro di una c.d. “frode carosello”, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consa-pevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del TUIR siano in contrasto con i principi effettività, inerenza, competenza, certezza, determina-tezza o determinabilità». Un altro caso di applicazione (retroattiva) della nuova disciplina si rinviene nella sent. 18 giugno 2012, n. 133 della CTR Lombardia, sez. Brescia.

Ernesto Marco Bagarotto

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Le società missing trader e buffer, invero, potrebbero – al pari del broker – essere accusate di aver ricevuto e ceduto effettivamente la merce e di aver realizzato acquisti soggettivamente inesistenti, nel qual caso dovrebbero ap-plicarsi le regole viste in precedenza in ordine alla deducibilità dei costi so-stenuti.

Senonché, nel caso in cui detti soggetti – come è ragionevole ipotizzare che possa accadere – partecipino alla frode senza realizzare alcuno scambio di merce, bensì configurandosi come mere “cartiere” – che si limitano a ri-cevere ed emettere fatture – si potrebbe fuoriuscire dall’ipotesi affrontata dalla norma.

Ed invero, il costo d’acquisto contabilizzato dalla “cartiera” potrebbe es-sere considerato oggettivamente inesistente, poiché la merce documentata in fattura non è mai stata acquistata dalla “cartiera”, essendo stata compraven-duta direttamente tra il cedente “a monte” e l’acquirente broker. Ed i costi oggettivamente inesistenti, come noto, sono indeducibili, a prescindere dal-la normativa in materia di costi da reato.

Se così fosse – a rigore – i costi sostenuti dalla “cartiera” sarebbero inde-ducibili perché oggettivamente inesistenti, con conseguente riproposizione dei rischi di amplificazione della base imponibile, risolti dal novellato com-ma 4 bis con riferimento ai soggetti che hanno concluso acquisti soggetti-vamente inesistenti

46. Si potrebbe però invocare la previsione del comma 2 dell’art. 8 del D.L.

n. 16/2012, in forza del quale «non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o al-tri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi».

La norma può apparire equivoca, perché non specifica se si riferisca solo a beni e servizi non effettivamente scambiati “in assoluto” (cioè beni non esistenti tout court) o anche a beni non acquistati e non venduti dal contri-buente accertato, ma oggetto di una transazione tra altri soggetti (come può accadere nell’ipotesi dei missing trader e dei buffer).

A prima vista parrebbe che il legislatore intendesse riferirsi alla prima ipotesi: sembra, infatti, che la norma sia stata “congegnata” per le fattispecie

46 Sembra ragionevole ritenere che il legislatore abbia dedicato minore attenzione alle problematiche connesse alla posizione fiscale delle “cartiere”, atteso che queste, nella norma-lità dei casi, sono società totalmente prive di risorse idonee a far fronte ai debiti tributari accumulati a fronte delle imposte dovute.

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in cui un soggetto, per diverse ragioni (per esempio, per ricorrere al credito) “gonfi” il proprio giro d’affari emettendo fatture (attive) per operazioni og-gettivamente inesistenti e, specularmene, contabilizzi fatture (passive) per operazioni oggettivamente inesistenti, al fine di “neutralizzare” il proprio comportamento ai fini reddituali.

A ben vedere, tuttavia, la disposizione, richiamando i componenti positi-vi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, sembra idonea a compren-dere anche il caso della “cartiera” che riceve ed emette fatture nell’ambito di una frode “carosello”.

Conseguentemente, la “cartiera” dovrebbe essere tassata solamente sul “margine” eventualmente conseguito, posto che i ricavi non sarebbero tas-sabili fino a concorrenza dei costi contabilizzati (ma inesistenti, eppertanto indeducibili): vi sarebbe, per quel che riguarda le imposte, un risultato simi-le a quello visto per gli acquisti soggettivamente inesistenti, in cui, per effet-to della deducibilità del costo sostenuto, il contribuente – coerentemente con i principi generali in materia di tassazione diretta – viene assoggettato a tas-sazione sul reddito netto.

Vi è, tuttavia, una marcata differenza rispetto all’ipotesi del comma 1, in quanto il successivo comma 2 stabilisce che «si applica la sanzione ammini-strativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati»

47. Sicché, qualora tale impostazione venisse accolta, ai soggetti che hanno

assunto un ruolo di pura “cartiera” sarebbe riservato un trattamento deterio-re, in termini di sanzioni, rispetto ai soggetti broker. Circostanza che potreb-be apparire ragionevole, considerato che, mentre questi ultimi sono respon-sabili del “solo” utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesisten-ti, i primi – secondo la ricostruzione testé ipotizzata – sono responsabili sia dell’emissione sia dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

47 A ciò si aggiunga che in nessun caso si applicano le disposizioni in materia di conti-nuazione (art. 12 del D.Lgs. n. 472/1997) e che la sanzione è riducibile esclusivamente in caso di acquiescenza (art. 16, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997).

Mercedes Castillo Solsona

I MECCANISMI SULLA RIDUZIONE DEI CONFLITTI TRIBUTARI

NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO SPAGNOLO

THE MECHANISMS TO REDUCE TAX LITIGATION IN THE SPANISH LEGAL SYSTEM

Abstract L’analisi dei meccanismi sulla riduzione dei conflitti tributari nell’ordinamento giuridico spagnolo può essere svolta sotto più punti di vista. Innanzi tutto, dalla prospettiva dei meccanismi sulla riduzione dei conflitti tra i contribuenti e l’Am-ministrazione finanziaria di natura convenzionale, in senso ampio. Tra questi meccanismi possono distinguersi gli accordi previi di valorizzazione previsti nella normativa regolatrice di alcune imposte e gli atti d’ispezione con acuerdo. Ma, da un’altra prospettiva, si osserva che esistono determinati organi amministra-tivi, la cui finalità è ridurre la cause in materia tributaria. Tra questi organi si può fare riferimento, in particolare, agli organi economico-amministrativi locali e al Consell Tributari del Comune di Barcelona. Parole chiave: conflitti, riduzione, accordi previi di valorizzazione, atti con acuer-do, organi economico-amministrativi The mechanisms provided by the Spanish legal system to reduce tax litigation may be analysed from different perspectives. On the one hand, it should be analysed from the point of view of conventional mecha-nisms for reducing tax litigations between tax authority and taxpayers. For instance, the advanced pricing agreements laid down by the discipline of certain taxes and the tax inspection reports con acuerdo. On the other hand, there are also some administrative bodies specifically aimed at re-ducing lawsuits in tax matters. Among these bodies, a particular mention shall be made to economic-administrative local bodies and the Consell Tributari of Barcelona’s Municipality.

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Keywords: conflicts, reduction, advanced pricing agreements, the tax inspection re-ports con acuerdo, economic-administrative bodies

SOMMARIO: 1. I meccanismi di riduzione dei conflitti tributari di natura convenzionale, in senso ampio. – 2. Gli organi economico-amministrativi e il Consell Tributari del comune di Barcelona come meccanismi di riduzione dei conflitti tributari.

1. I meccanismi di riduzione dei conflitti tributari di natura convenzionale, in senso ampio

1.1. Introduzione

Nell’ordinamento giuridico tributario spagnolo, insieme ai principi con-stituzionali finanziari contenuti nell’art. 31 della Costituzione del 1978

1 e ai derivati del Diritto dell’UE, esistono un insieme di principi legali che sono fondamentali per lo sviluppo e la corretta applicazione del Diritto tributario. Questi principi sono: il principio di non discrezionalità

2, il principio d’indi-sponilità del credito tributario

3 e il principio d’autotutela del credito tribu-tario, che si giustifica con il raggiungimento dell’interesse generale che si persegue con l’istituzione e l’applicazione dei tributi.

Questi principii sono tradizionali nell’ordinamento giuridico tributario spa-gnolo. Ma la loro vigenza non ha impedito che, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, la dottrina sollevava la possibile ammisibilità, nel Diritto tri-butario spagnolo, delle convenzioni, accordi e altre tecniche transazionali

4.

1 «Todos contribuirán al sostenimiento de los gastos públicos de acuerdo con su capacidad económica mediante un sistema tributario justo inspirado en los principios de igualdad y pro-gresividad que, en ningún caso, tendrá alcance confiscatorio».

2 Art. 6 della Ley 58/2003, del 17 dicembre, General Tributaria («El ejercicio de la po-testad reglamentaria y los actos de aplicación de los tributos y de imposición de sanciones tienen carácter reglado y son impugnables en vía administrativa y jurisdiccional en los términos esta-blecidos en las leyes») in riferimento all’art. 103.1 della Costituzione del 1978 che stabilisce «la Administración Pública sirve con objetividad los intereses generales y actúa de acuerdo con los principios de eficacia, jerarquía, descentralización, desconcentración y coordinación con sometimiento pleno a la ley y al Derecho».

3 Art. 18 della Ley 58/2003, General Tributaria. 4 Zornoza Pérez, dopo aver fatto riferimento, in un lavoro pubblicato nel 1996, all’assen-

Mercedes Castillo Solsona

289

A questo, senza dubbio, ha contribuito che nell’ambito del Diritto ammini-strativo, l’art. 88.1 della Ley 30/1992, del 26 novembre, de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común, avesse introdotto il termine convenzionale come modo di finalizzazione della procedura amministrativa

5.

za di riflessione teorica seria sopra l’ammisibilità dei convegni, contratti, patti e transazioni tributarie, frutto del rifiuto che suscitó la mancata regolarizzazione per legge delle obliga-zione tributarie, derivata dalla regolazione di determinate valutazioni globali di base im-ponibile, fondamentalmente nella sua modalità di convegni di gruppi di contribuenti, ció che porta a considerare in merito alla regola di indisponibilità dell’obbligazione tributaria come principio assoluto, indiscusso e indiscutibile, si interrogava sopra le ragioni che po-tevano giustificare l’ammisibilità delle tecniche convenzionali. E a tal senso, poneva di manifesto che «(...) la creciente complejidad de la realidad social y económica sobre la que inciden las normas tributarias dificulta, cada vez en mayor medida, que toda la actividad administrativa esté rigurosamente predeterminada por ley, y que la aplicación de las leyes no puede concebirse como un proceso mecánico, pues es habitual el empleo de conceptos jurídicos indeterminados y las cuestiones de calificación dan lugar a dudas que difícilmente admiten soluciones unívocas. Porque siendo ello así, el sometimiento de la Administración – y singular-mente de la tributaria – a la ley, no se garantiza mejor a través de un acto impuesto unilateral-mente por los órganos competentes, que mediante el empleo de técnicas convencionales, que permiten un diálogo sobre las cuestiones controvertidas en la interpretación de las leyes que re-sulten aplicables, en orden a resolver las incertidumbres o inseguridades planteadas y que, por ello, se muestran particularmente adecuadas para la solución de problemas complejos». ZOR-NOZA PÉREZ, ¿Qué podemos aprender de las experiencias comparadas?. Admisibilidad de los convenios, acuerdos y otras técnicas transaccionales en el Derecho tributario español, in Crónica Tributaria, n. 77, 1996, pp. 121-122 e 126.

A partire dalla seconda metà degli anni ’90 si susseguirono i lavori di ricerca sugli accordi in materia fiscale, tra cui bisogna indicare i seguenti: AA.VV., Convención y arbitra-je en el Derecho tributario, Instituto de Estudios Fiscales-Marcial Pons, Madrid, 1996; SER-RANO ANTON, La terminación convencional de procedimientos tributarios y otras técnicas tran-saccionales, Madrid, AEAF, monografía n. 9, 1996; GONZALEZ-CUELLAR, Los procedimien-tos tributarios: su terminación transaccional, Colex, Madrid, 1998 e, più recentemente, FERREIRO LAPATZA, Solución convencional de conflictos en el ámbito tributario: una propuesta concreta, in Quincena Fiscal, n. 9, 2003, pp. 11-20 e CALVO VERGEZ, Los acuerdos fiscales en el Derecho tributario. Especial referencia al tratamiento de las fórmulas convencionales de terminación de los procedimientos tributarios en el proyecto de Ley para la reforma de la Ley General Tributaria: aspectos sustantivos y procedimentales, RCT, Centro de Estudios Finan-cieros, n. 249, 2003, pp. 135-174.

5 Secondo l’art. 88.1 della Ley 30/1992, «las Administraciones Públicas podrán celebrar acuerdos, pactos, convenios o contratos con personas tanto de derecho público como privado, siempre que no sean contrarios al Ordenamiento jurídico ni versen sobre materias no suscepti-bles de transacción y tengan por objeto satisfacer el interés público que tienen encomendado, con el alcance, efectos y régimen jurídico específico que en cada caso prevea la disposición que lo regule, pudiendo tales actos tener la consideración de finalizadores de los procedimientos admi-

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Varie furono le ragioni che si manifestarono in favore dell’introduzione di meccanismi di carattere convenzionale nell’ordinamento giuridico tribu-tario spagnolo:

– il principio d’efficacia nell’azione dell’amministrazione; – la speranza di ridurre il numero di ricorsi presentati per gli obbligati

tributari; o – il fatto che, ogni volta, si richiede sempre più, la collaborazione degli

obbligati tributari nell’attività di verifica e investigazione operata dagli orga-ni di gestione e ispezione tributaria.

Nell’attualità, esistono, nell’ordinamento giuridico tributario spagnolo, varie figure di natura convenzionale, in un senso più o meno ampio. Tra queste figure è possibile distinguere:

– gli accordi previi di valorizzazione; e – gli atti d’ispezione con acuerdo.

1.2. Gli accordi previi di valorizzazione

a) Concetto e natura giuridica

Gli accordi di valorizzazione consistono nella facoltà che le norme tribu-tarie concedano agli obbligati tributari di presentare una proposta di valo-rizzazione sopra diversi aspetti relativi alla fattispecie di determinati tributi con la finalità che l’Amministrazione accetti o no questa valorizzazione. Nel caso che questa proposta sia accettata vincolerà entrambi: obbligato tributa-rio e Amministrazione finanziaria.

Gli accordi previi di valorizzazione furono creati con una doppia finalità: da una parte, dare una maggiore sicurezza alle relazioni tra gli obbligati tri-butari e l’Amministrazione e, dall’altra, evitare o ridurre, per quanto possibi-le, la litigiosità in materia tributaria, fondamentalmente negli aspetti relativi alla comprovazione dei valori

6. nistrativos o insertarse en los mismos con carácter previo, vinculante o no, a la resolución que les ponga fin». Per un commento a questo articolo si v. PAREJO ALFONSO, El art. 88 de la Ley 30/1992, de 26 de noviembre: el pacto, acuerdo, convenio o contrato en el procedimiento admi-nistrativo, in AA.VV., Convención y Arbitraje en el Derecho Tributario, Instituto de Estudios Fiscales-Marcial Pons, Madrid, 1996, pp. 21-76.

6 In tal senso si espressero, tra gli altri, MARTÍN QUERALT, Algo más que una reforma: los acuerdos previos sobre precios de transferencia, in Tribuna Fiscal, n. 66, aprile 1996, p. 6.

Mercedes Castillo Solsona

291

Per quanto riguarda la natura giuridica di questi accordi, la dottrina ha sostenuto due tesi: una, ove considera che si tratta di un meccanismo di transazione ed un’altra ove opina che soltanto si tratta di una procedura di “comprobacion” tributaria previa la realizzazione della fattispecie

7. Secondo il mio punto di vista, e considerando quanto detto già precedentemente da González-Cuellar, si può affermare che si tratta di un meccanismo transatti-vo in senso ampio, in particolare nel caso che l’Amministrazione tributaria approvi altra proposta alternativa di valutazione distinta da quella formulata per gli obbligati tributari durante la procedura

8.

b) Evoluzione ed esempi nell’ordinamento tributario spagnolo

Gli accordi previi di valorizzazione apparirono, per la prima volta, nella redazione originaria della Ley 43/1995, del 27 dicembre, del Impuesto sobre Sociedades

9, per quanto riguarda:

– la valorizzazione delle operazioni tra persone o entità vincolate a prezzi di trasferimento

10; – la fissazione, nella subcapitalizzazione, d’un coefficiente d’indebitamen-

to sul capitale fiscale diverso da quello legalmente previsto 11; e

– la valutazione delle spese corrispondenti ai progetti di ricerca e svilup-po o di innovazione tecnologica, agli effetti di applicare la deduzione per at-tività di ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica

12.

La promulgazione della Ley 1/1998, del 26 febbraio, de Derechos y Ga-rantías de los Contribuyentes, ha comportato l’introduzione di un regime giu-ridico generale in materia di accordi previi di valorizzazione che, negli anni successivi, sarebbe stato poi riprodotto nell’art. 91 della vigente Ley 58/2003, General Tributaria. Secondo questo precetto, «quando le Leggi o Regola-menti propri d’ogni tributo così lo prevedono» gli obbligati tributari potran-no sollecitare l’Amministrazione finanziaria che determini «con carattere previo e vincolante» la valutazione, a effetti fiscali, di redditi, prodotti, beni, spese e altri elementi determinanti del debito tributario.

7 Un esame di entrambe le tesi si puó vedere in VICENTE-ARCHE COLOMA, Los acuerdos previos de valoración en el I.R.P.F., Cuadernos Fiscales, Edersa, Madrid, 2002, pp. 182-203.

8 GONZALEZ-CUELLAR, op. cit., p. 292. 9 In italiano, Imposta sul Reddito delle Società. 10 Art. 16.6 della Ley 43/1995, del Impuesto sobre Sociedades. 11 Art. 20.1 della Ley 43/1995. 12 Art. 33 della Ley 43/1995.

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292

Per quanto riguarda la procedura, lo stesso art. 91 della Ley General Tri-butaria prevede che l’obbligato tributario deve presentare la richiesta per iscritto, prima della realizzazione della fattispecie o entro il termine previsto dalla normativa di ogni tributo, dovendo questa richiesta essere accompagna-ta da una proposta di valorizzazione. L’accordo che adotta l’Amministrazio-ne finanziaria assumerà la forma scritta e indicherà la valorizzazione e il suo carattere vincolante.

Gli effetti dell’accordo adottato dall’Amministrazione sono i seguenti:

a) a condizione che non si modifichi la legislazione o non varino signifi-cativamente le circonstanze economiche che fondarono la valorizzazione, l’Amministrazione finanziaria è obbligata a applicare i valori espressi nello ac-cordo. Questo accordo avrà un massimo di vigenza di tre anni, eccetto che la normativa preveda un termine diverso;

b) la mancata risposta dell’Amministrazione alla richiesta dell’obbligato tributario entro il termine stabilito, implica l’accettazione dei valori proposti dall’obbligato tributario. Quindi, il silenzio è positivo;

c) infine, gli accordi di valorizzazione non sono ricorribili, ma lo sono le liquidazioni tributarie derivate da questi accordi.

Nell’attualità, sono esempi di accordi previi di valorizzazione previsti nel-le legge e regolamenti propri di diverse imposte dell’ordinamento giuridico tributario spagnolo, i seguenti:

A) Quelli relativi alla valorizzazione delle operazioni effettuate tra perso-ne o entità vincolate

13. L’art. 16.7 del Texto Refundido de la Ley del Impuesto sobre Sociedades (TRLIS) del 2004 prevede che i soggetti passivi possono chiedere all’Amministrazione finanziaria di determinare la valorizzazione del-le operazioni effetuate tra persone o entità vincolate, con carattere previo alla realizzazione di queste operazioni. Questa richiesta deve essere accompa-gnata da una proposta del soggetto passivo, che deve fondarsi sul valore di mercato e deve contenere una descrizione del metodo proposto e un’analisi giustificata dalla forma di applicazione dello stesso, rispetto al principio di libera competenza.

Tuttavia, la regolamentazione prevista nell’art. 16.7 del TRLIS del 2004 e negli artt. dal 22 al 29 del Reglamento del Impuesto sobre Sociedades è diver-

13 Art. 16.7 del vigente Texto Refundido de la Ley del Impuesto sobre Sociedades, approvato dal Real Decreto Legislativo 4/2004, del 5 marzo, in riferimento agli artt. da 22 a 29 del Regla-mento del Impuesto sobre Sociedades, approvato dal Real Decreto 1777/2004, del 30 luglio.

Mercedes Castillo Solsona

293

sa da quella dell’art. 91 della Ley 58/2003, General Tributaria, per due ra-gioni. In primo luogo, perché l’accordo di valorizzazione avrà validità du-rante i periodi d’imposta che si concretano nello stesso senza che possa ec-cedere i quattro anni

14 e, in secondo luogo, perché se l’Amministrazione non risponde alla proposta di valorizzazione del soggetto passivo entro il termi-ne di 6 mesi, questa proposta deve considerarsi respinta.

In qualsiasi caso, la risoluzione che pone fine alla procedura potrá: ap-provare la proposta di valorizzazione presentata dall’obbligato tributario; approvare, con l’accettazione dell’obbligato tributario, una proposta di valo-rizzazione che differisca da quella inizialmente presentata o rifiutare la pro-posta di valorizzazione formulata dall’obbligato tributario.

B) Un altro esempio di accordo previo di valorizzazione era, fino alla promulgazione del Real Decreto-ley 12/2012, del 30 marzo

15, e, in conse-guenza, riguardo ai periodi d’imposta fino al primo gennaio del 2012, la fis-sazione, in materia di subcapitalizzazione, di un coefficiente di indebitamen-to sul capitale fiscale diverso da quello previsto nell’art. 20.1 del Texto Re-fundido de la Ley del Impuesto sobre Sociedades del 2004.

Infatti, riguardo ai periodi d’imposta iniziati fino al 1° gennaio del 2012, l’art. 20.1 del TRLIS disponeva che «quando l’indebitamento netto remu-nerato, diretto e indiretto, di una entità, escluse le finanziarie, con un’altra/e persone o entità non residenti in Spagna con quelle che siano vincolate, ec-ceda il risultato nell’applicazione del coefficiente 3 sul capitale fiscale, gli in-teressi accumulati che corrispondono all’eccesso saranno considerati divi-dendi». Questa previsione non era applicabile quando l’entità vincolata, non residente in Spagna, era residente in un altro Stato dell’UE, a meno che risiedesse in un territorio qualificato come paradiso fiscale

16. In questo contesto, secondo l’art. 30.2 del Texto Refundido de la Ley del

Impuesto sobre Sociedades, i soggetti passivi potevano sottoporre all’Ammini-strazione tributaria, nei termini stabiliti per le operazioni vincolate, una pro-posta di coefficiente di indebitamento sul capitale fiscale diverso del coeffi-

14 Però nel caso di variazione significativa delle circostanze economiche esistenti al momento dell’approvazione dell’accordo dell’amministrazione tributaria, questo potrà es-sere modificato per adeguarlo alle nuove circostanze reali.

15 BOE del 31 marzo. 16 Art. 20.3 del Texto Refundido de la Ley del Impuesto sobre Sociedades. L’ordinamento

giuridico tributario spagnolo non prevede una definizione di paradiso fiscale ma il Real De-creto 1080/1991, del 5 luglio (BOE del 13 luglio) stabilisce fino a quarantotto Stati e terri-tori che sono qualificati paradisi fiscali.

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ciente 3 previsto nell’art. 20.1 del Texto Refundido. Questa proposta doveva fondarsi sull’indebitamento che il soggetto passivo avesse potuto ottenere, in condizioni normali di mercato, da persone o entità non vincolate.

C) Anche per quanto riguarda l’Imposta sul Reddito delle Società, l’art. 30 del Reglamento del Impuesto sobre Sociedades del 2004 prevede un altro esempio di accordo previo di valorizzazione quando stabilisce che le entità che vogliano sviluppare attività di ricerca o di innovazione tecnologica pos-sono chiedere all’Amministrazione tributaria la valorizzazione delle spese corrispondenti a queste attività, con carattere previo e vincolante, agli effetti dell’applicazione della deduzione della quota dell’Imposta sul Reddito delle Società per attività di ricerca e innovazione tecnologica, prevista nell’art. 35 del Texto Refundido de la Ley del Impuesto sobre Sociedades del 2004.

In questo caso, a differenza dei precedenti, e seguendo il regime generale stabilito dall’art. 91 della Ley General Tributaria, la mancanza di risposta dell’Amministrazione, nel termine massimo di 6 mesi, implicherà l’accetta-zione della valorizzazione proposta dal contribuente.

D) La Disposizione Addizionale seconda del Reglamento del Impuesto so-bre la Renta de las Personas Físicas

17, aprovato dal Real Decreto 439/2007, del 30 marzo, prevede che le persone o entità che soddisfano redditi del la-voro in natura

18 e che, in conseguenza, devono fare versamenti in contanti, possono chiedere all’Amministrazione tributaria la valorizzazione di quei redditi, secondo le regole dell’imposta, agli esclusivi effetti di determinare il versamento in contanti.

Come può osservarsi, c’è una differenza tra questo esempio e i precedenti. Nel caso degli esempi relativi all’Imposta sul Reddito delle Società, l’accor-

17 In italiano, Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche. 18 L’art. 17 della Ley 35/2006, del 28 novembre, del Impuesto sobre la Renta de las Per-

sonas Físicas, definisce i redditi di lavoro come tutte le controprestazioni o utilità, qualsiasi sia la sua denominazione o naturalezza, in denaro o in natura, che derivino, direttamente o indirettamente, dal lavoro personale.

A differenza dei redditi di lavoro in denaro, i redditi di lavoro in natura hanno bisogno di regole di valorizzazione che sono previste nell’art. 43 della Ley 35/2006. Secondo que-sto precetto, che ha carattere generale, i redditi in natura si valuteranno per il loro valore di mercato, con alcune specialità relative alla utilizzazione di viveri; utilizzazione o consegna di veicoli automobilistici; prestiti con interessi inferiori a quello del denaro corrente; pre-stazioni come manutenzione, alloggio, viaggi e altri; quote soddisfatte in virtù di un con-tratto di sicurezza; quantità destinate a soddisfare spese di studi e manutenzione del con-tribuente o di altre persone legate allo stesso per vincoli di parentela; contribuzioni soddi-sfatte dai promotori di piani di pensione, etc.

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do riguarda la obbligazione tributaria principale, ma nel caso della Disposi-zione Addizionale seconda del Reglamento del Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas, l’accordo riguarda un’obbligazione autonoma dell’ob-bligazione tributaria principale

19. La persona o entità obligata a soddisfare il versamento in contanti deve

presentare una richiesta per scritto prima dalla consegna del bene o della prestazione del servizio. Questa richiesta deve essere accompagnata da una proposta de valorizzazione con riferimento, tra altri aspetti, alla regola di va-lorizzazione applicata e al le circostanze economiche che sono state prese in considerazione.

La risoluzione che pone fine alla procedura potrà: approvare la proposta formulata inizialmente dai richiedenti; approvare altra proposta, alternativa a quella formulata dai richiedenti nel corso della procedura o rifiutare la proposta. Tuttavia, anche in questo caso, la mancanza di risposta dell’Am-ministrazione finanziaria alla richiesta dell’obbligato tributario, nel termine massimo di 6 mesi, implicherà l’accettazione della sua valorizzazione.

E) Per concludere, l’ordinamento giuridico spagnolo prevede un esem-pio relativo all’Imposta sul Reddito dei non Residenti

20. Il Texto Refundido de la Ley del Impuesto sobre la Renta de no Residentes del 2004 distingue tra la tassazione dei redditi ottenuti per entità e persone fisiche per mezzo di sta-bilimento permanente

21 e la tassazione dei redditi ottenuti senza stabilimento permanente

22, fissando, in ogni caso, la fattispecie, il periodo d’imposta, la maturità e la procedura di determinazione della base d’imposta e dal debito tributario.

Per quanto riguarda la base d’imposta dello stabilimento permanente, l’art. 18 del Texto Refundido de la Ley del Impuesto sobre la Renta de No Resi-dentes del 2004 stabilisce che la detta base si determina secondo il regime generale dell’Imposta sul Reddito delle Società, con alcune peculiarità che fanno riferimento, tra altri aspetti, alle spese di direzione e di generale am-

19 Per capire la struttura delle obbligazione tributarie che integrano la relazione giuridi-co tributaria nell’ordinamento giuridico spagnolo, v. artt. da 19 a 29 della Ley 58/2003, General Tributaria.

20 Questa imposta è regolata nel Texto Refundido de la Ley del Impuesto sobre la Renta de no Residentes, aprovatto dal Real Decreto Legislativo 5/2004, del 5 marzo, e nel Reglamento del Impuesto sobre la Renta de No Residentes, aprovatto dal Real Decreto 1776/2004, del 30 luglio.

21 Artt. 16 fino al 23 del Texto Refundido del 2004. 22 Artt. 24 fino al 32 del Texto Refundido del 2004.

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ministrazione. Nel caso di queste spese, il Texto Refundido della Ley del Im-puesto sobre la Renta de No Residentes prevede che siano deducibili sempre che ricorrano i seguenti requisiti

23:

– evidenziazione nei documenti contabili dello stabilimento permanente; – constatazione, mediante memoria informativa presentata con la dichia-

razione, degli importi, criteri e moduli di riparto; – razionalità e continuità dei criteri di imputazione adottati. Il requisito

della razionalità dei criteri di imputazione si riterrà compiuto quando questi si basano sull’utilizzazione di fattori realizzata dallo stabilimento permanen-te e nel costo totale di detti fattori. In quei casi ove non fosse possibile uti-lizzare questo criterio, l’imputazione potrà realizzarsi con riferimento alle seguenti grandezze: cifra di affari; costi e spese dirette; inversión media negli elementi di immobilizzazione materiale affetto a attività o negozi e inversión media totale negli elementi affetti a attività o negozi.

In questo contesto, l’art. 3 del Reglamento del Impuesto sobre la Renta de no Residentes del 2004 prevede che i contribuenti non residenti che operano in Spagna per mezzo di stabilimento permanente, possono presentare al-l’Amministrazione finanziara proposte per la valorizzazione della parte delle spese di direzione e di generale amministrazione che corrispondano allo stabilimento permanente e che sia deducibile per la determinazione della sua base d’imposta. La trattazione e risoluzione delle richieste si porterà a termine mediante la procedura stabilita per le proposte di deduzione di spe-sa in relazione alla gestione prestata da entità vincolate.

1.3. Gli atti d’ispezione con acuerdo

a) Concetto e classi d’atti d’ispezione

Gli atti d’ispezione sono documenti pubblici, formalizzati al termine del-l’ispezione, in cui si raccoglie il risultato della attività d’ispezione. Negli at-ti d’ispezione o si propone la regolarizzazione che si stimi conveniente o si dichiara che la situazione del soggetto ispezionato è corretta, è secondo Diritto

24. Nel caso che si stimi conveniente la regolarizzazione tributaria, l’art. 154.1

della Ley General Tributaria prevede tre classi d’atti d’ispezione: gli atti

23 Art. 18.1.b) del Texto Refundido del 2004. 24 Art. 143 della Ley 58/2003, General Tributaria.

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d’ispezione con acuerdo 25, gli atti d’ispezione de conformidad

26 e gli atti d’ispezione de disconformidad

27. Gli atti d’ispezione con acuerdo, che, in ita-liano, vengono definiti come accertamento con adesione, si firmano in de-terminati casi che analizzerò nel prossimo epigrafe.

b) Casi e analisi degli atti d’ispezione con acuerdo

Gli atti d’ispezione con acuerdo furono, secondo quanto dice la propria Exposición de Motivos della Ley General Tributaria del 2003, una delle modi-fiche principali introdotte da questa legge «come strumento al servizio dell’obiettivo di ridurre i conflitti nell’ambito tributario». A questo motivo la dottrina aggiunge la esperienza della pratica negoziatoria degli atti e la complessità tecnica dell’ordinamento tributario in determinati aspetti di qua-lificazione e valutazione

28. In quali casi si può documentare l’attività d’ispezione per mezzo d’atti

con acuerdo? Secondo l’art. 155.1 della Ley General Tributaria, per avanzare la proposta di regolarizzazione, l’ispezione finanziaria ha bisogno di:

a) concretare l’applicazione di concetti giuridici indeterminati, ma non di qualsiasi concetto giruridico indeterminado soltanto i referiti alla valoriz-zazione, stima o misurazione di elementi o bene imponibili, per esempio, di concetti come spesa necessaria;

b) apprezzare dei fatti che siano determinanti per la corretta applicazio-ne della regola nel caso concreto

29; c) realizzare stime, valutazioni o misurazioni di dati, elementi o caratteri-

stiche rilevanti per l’obbligazione tributaria, che non possano quantificarsi in misura certa.

25 Art. 155 della Ley General Tributaria del 2003, in riferimento all’art. 186 del Regla-mento general de inspección y gestión, approvato dal Real Decreto 1065/2007, del 27 luglio.

26 Art. 156 della Ley General Tributaria del 2003, in riferimento all’art. 187 del Regla-mento general de inspección y gestión del 2007.

27 Art. 157 della Ley General Tributaria del 2003, in riferimento all’art. 188 del Regla-mento general de inspección y gestión del 2007.

28 SOLER ROCH, Prólogo a MARTINEZ MUÑOZ, Las actas con acuerdo en la nueva LGT, Marcial Pons, Madrid, 2004, p. 14.

29 Già dalla promulgazione della Ley General Tributaria del 2003, la pronuncia circa questo caso meritò la critica della dottrina segnalandosi che per la sua ampliezza è carente per concretare quei casi dove gli atti con acuerdo devono utilizzarsi. GARCÍA-OVIES SARAN-DESES, Procedimiento de inspección, in CALVO ORTEGA, La nueva Ley General Tributaria, Thomson-Civitas, 2004, p. 554.

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Come può osservarsi, si tratta di casi che si riferiscono agli elementi di fat-to, al fondamento giuridico e alla quantificazione del debito tributario. Allora, se l’Amministrazione tributaria, previamente alla liquidazione del debito tri-butario, crede che è possible arrivare ad un accordo su alcuni di questi casi, informerà il soggetto ispezionato, che potrà fare una proposta per arrivare all’accordo. Questo accordo può essere totale o parziale però, ad ogni modo, la sua caratteristica generale evidenzia che ci troviamo di fronte ad un mecca-nismo di soluzione di conflitti tributari di natura convenzionale

30. Le condizione per firmare un atto d’ispezione con acuerdo sono due:

– l’autorizzazione dell’organo competente per liquidare (generalmente, l’ispettore capo); e

– la costituzione di una garanzia (custodia, avallo di caratere solidario di entità di crédito ...) sufficiente per garantire la riscossione delle quantità che possano derivarsi dell’atto.

Se ricorrono entrambe le condizioni, l’accordo si perfezionerà mediante la firma dell’atto per l’ispezione tributaria e per il soggeto ispezionato o il suo rappresentante

31. Ma se nel momento segnalato per la firma dell’atto con acuerdo, il soggetto ispezionato non produrrà il documento giustificati-vo della costituzione di garanzia, si considererá che ha rinunciato alla forma-lizzazione dell’atto con acuerdo

32. In fine, devono sottolinearsi i seguenti effetti della firma d’un atto d’ispe-

zione con acuerdo:

a) la riduzione della sanzione ad un 50% 33, sempre che il soggetto ispe-

zionato rinunci alla procedura sanzionatoria separata 34;

30 Sopra tutti, FERREIRO LAPATZA, op. cit., pp. 15-17. 31 Come ci segnala Bilbao Estrada, il procedimento per la sottoscrizione di un atto con

acuerdo è lo stesso che per le attuazioni d’ispezione, comportando soltanto determinate specialità relative all’inserzione dell’accordo. BILBAO ESTRADA, Cuestiones procedimentales en materia de actas con acuerdo a la luz del Proyecto de Reglamento general de las actuaciones y los procedimientos de gestión e inspección tributaria y otras normas tributarias, in Crónica Tributaria, n. 122, 2007, p. 63.

32 Art. 186.6 del Reglamento General de Gestión e Inspección del 2007. 33 Art. 188.1.a) della Ley 58/2003, General Tributaria. 34 L’art. 208 della Ley General Tributaria prevede, con carattere generale, che il proce-

dimento sanzionatorio si svilupparà in forma separata alla liquidazione del tributo che ha dato luogo alla sanzione. Nonostante, questo stesso precetto preveda due eccezioni a que-sta regola generale: l’opzione che si offra al contribuente di rinunciare espressamente

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b) il contenuto dell’atto con acuerdo si riterrà integramente accettato dall’obbligato e dall’Amministrazione tributaria. La liquidazione e la sanzio-ne derivate dall’atto con acuerdo soltanto possono essere oggetto di impu-gnazione in via amministrativa per la procedura di dichiarazione di nullità di pieno diritto

35, senza pregiudizio del ricorso che possa provenire in via con-tenziosa-amministrativa per l’esistenza di vizi nel consenso

36.

c) Gli atti d’ispezione con acuerdo e gli atti d’ispezione de conformidad

Gli atti d’ispezione de conformidad si formalizzano quando, prima dei cri-teri esposti e delle prove apportate dall’ispettore “attuario”, l’obbligato tri-butario presta la sua conformità alla proposta di liquidazione, praticata nel-l’atto, facendosi registrare così nella stessa. Questa proposta acquisisce ca-rattere di atto amministrativo della liquidazione tributaria, ritenendosi noti-ficato il suo contenuto sempre che, trascorso un mese, a partire dal giorno seguente alla data dell’atto, non si comunichi all’obbligato l’accordo dell’or-gano competente rettificando la proposta di liquidazione per alcuni dei mo-tivi previsti dalla Ley 58/2003, General Tributaria

37. In tutti questi casi, se l’ispettore capo decide di rettificare l’atto, detterà il corrispondente atto di liquidazione che dovrà essere notificato convenientemente, tenendo in con- all’inoltro separato e indipendente dei procedimenti tendenti alla regolazione della propria situazione tributaria e all’imposizioni di sanzioni e il caso che il contribuente sottoscriva un atto con acuerdo, in quel caso, l’inoltro congiunto deriva dalla legge.

35 Art. 155.6, in riferimento all’art. 217, entrambi della Ley General Tributaria. 36 Art. 155.6 in fine della Ley General Tributaria. 37 Secondo l’art. 156.3 della Ley General Tributaria, questi motivi sono i seguenti: a)

Errore nell’apprezzamento dei fatti. In questi casi, l’ispettore capo non discute i fatti che sono stati provati, ma la loro valutazione o il loro apprezzamento, per quello che accorde-rà, con forma motivata, l’inizio del corrispondente espediente amministrativo, notifican-dolo all’interessato che può formulare allegazioni entro i 15 giorni seguenti alla notifica dell’accordo adottato. b) Applicazione scorretta delle norme giuridiche. In questo caso, l’ispettore capo neanche discute i fatti e la loro valutazione, ma capisce che è stato prodot-to un errore di diritto; il trattamento di questo caso è lo stesso della lett. a). c) Errori mate-riali. In questo caso, la valutazione dei fatti e l’applicazione delle norme si considera corret-ta, però l’ispettore capo individua errori di calcolo nella quantificazione. d) Attuazioni in-complete. L’ispettore capo non ha dubbi su ciò che è stato attuato, però capisce che si deve completare con più attuazioni, già che considera che manca la realizzazione di alcune pro-ve o che non ha sufficienti fondamenta. In questo caso si lascia senza efficacia l’atto deposi-tato e si ordina di completare le azioni per un termine non superiore a tre mesi. Il risultato delle azioni complementari si documenterà negli atti, che si tramuteranno in questo caso, in disaccordo.

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to sempre che il termine massimo previsto per il procedimento ispettorio nell’art. 150.1 della Ley 58/2003 rimane inalterabile

38. La sottoscrizione di un atto de conformidad genera i seguenti effetti:

a) i fatti raccolti nell’atto e accettati dall’interessato si ritengono certi, e non possono essere impugnati, salvo che si provi che si è incorsi in un errore di fatto; invece, l’interessato, nonostante la sua conformità, può ricorrere in punto di diritto;

b) per l’imposizione di sanzioni che possano procedere come conse-guenze di queste liquidazioni, sarà applicata una riduzione del 30%

39 che si ridurrà in un 25% se si realizza l’entrata totale dell’importo restante di detta sanzione – una volta applicata la riduzione del 25%– nel termine previsto nell’art. 62.2 della Ley General Tributaria

40, sempre e quando non si presenti ricorso o reclamo contro la liquidazione o sanzione.

Gli atti di ispezione con acuerdo e gli atti d’ispezione de conformidad han-no in comune una natura “autocompositiva”. Tuttavia, i loro presupposti di fatto sono diversi: metre gli atti con acuerdo hanno carattere bilaterale, ovve-ro, i loro effetti vincolano l’obbligato tributario e l’Amministrazione finan-ziaria, gli atti de conformidad riguardano un atto unilaterale che solo vincola il soggetto

41.

38 Secondo questo precetto, le attuazioni del procedimento d’ispezione dovranno con-cludersi in un termine di 12 mesi a partire dalla data di notifica all’obbligato tributario del suo inizio. Nonostante, questo termine potrà ampliarsi con un altro periodo che non può eccedere i 12 mesi: a) quando le attuazione ispettorie rivestano una speciale complessità. b) quando con il passare delle stesse si scopre che l’obbligato tributario ha occultato all’amministrazione tributaria alcune delle attività professionali che realizza.

39 Art. 156, in riferimento all’art. 188.1, entrambi della Ley General Tributaria. 40 L’art. 62.2 della Ley General Tributaria prevede che nel caso di debitti tributari risultan-

ti dalle liquidazioni effettutate dall’amministrazione, il pagamento nel periodo volontario dovrà farsi nei seguenti termini: a) se la notifica della liquidazione si effettua entro i primi 15 giorni del mese, dalla data di ricezione della notifica fino al 20 del mese seguente o, se non fosse possibile, fino al momento in cui sia possibile; b) se la notifica della liquidazione si ef-fettua dal giorno 16 del mese fino alla sua fine, dalla data di ricezione della notifica fino al 5 del secondo mese successivo o, se non fosse possibile, nell’immediato susseguente.

41 Cosi González-Cuellar, che segnala che ciascuna figura è diretta ad assicurare la pace giuridica in casi differenti. Negli atti con acuerdo si vuole evitare il conflitto attraverso la fissazione concordata di una questione reale o giuridica sopra quella che ricade in una in-certezza. Invece, negli atti de conformidad il fatto o questione giuridica è unilateralmente stabilito dall’ispezione, giacché non vi è alcun dubbio sulla sua determinazione o perché, considerandola incerta, si ritiene conveniente fissarla di forma unilaterale e l’obbligato tri-

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In ogni caso, la dottrina 42 sollecitò, gia dall’inizio, la necessità di ricalcare

le differenze esistenti tra gli accordi e gli atti. L’accordo che si integra nell’atto unicamente ricade su un aspetto determinato della liquidazione, il così detto presupuesto habilitante, ma la fissazione dei restanti elementi che conduce alla determinazione del debito tributario corrisponde, in esclusiva, all’ispezione.

2. Gli organi economico-amministrativi e il Consell Tributari del comune di Barcelona como meccanismi di riduzione dei conflitti tributari

2.1. La via economico-amministrativa

I reclami economico-amministrativi fanno parte di quelle materie, dove la legge prevede la loro interposizione, e insieme al ricorso di reposición

43, della via amministrativa che è necessario che si esaurisca prima di presenta-re il ricorso contenzioso amministrativo.

La via economico-amministrativa, sorse nell’ultimo terzo del secolo XIX 44.

butario soddisfa quanto stabilito, senza influenzare il contenuto. Il soggetto non si pro-nuncia sulla correzione o fissazione della questione nel senso che lo ha realizzato l’ammini-strazione; semplicemente si aderisce, in cambio di un beneficio come è la riduzione della sanzione. GONZÁLEZ-CUELLAR SERRANO, Las actas de conformidad y las actas con acuerdo en la nueva Ley General Tributaria, in AA.VV., Estudios en homenaje al profesor Pérez de Ayala, Dykinson, Madrid, 2007, p. 464.

42 Sopra tutti, BILBAO ESTRADA, Luces y sombras de las actas con acuerdo: un estudio de su régimen jurídico, in AA.VV., La aplicación de los tributos en la nueva Ley General Tributaria, XLIX Semana de Estudios de Derecho Financiero, 2005, pp. 371-372.

43 Il ricorso di reposición in via tributaria è regolato, con carattere generale, negli artt. 222 fino al 225 della Ley 58/2003. General Tributaria e ha, in quei casi dove si procede con la presentazione di reclami economico-amministrativi, un carattere potestativo e previo a questa.

44 In sintesi, può ritenersi la Ley del 31 dicembre 1881, dalla quale si approvarono le basi per la procedura nei reclami economico-amministrativi, e il Real Decreto del 31 di-cembre 1881, come i primi testi normativi nei quali i reclami economico-amministrativi si regolarono di forma completa e sistematica. I tribunali economico-amministrativi ricevet-tero tale denominazione in virtù del Real Decreto-ley del 16 giugno 1924, effettuandosi la nuova regolazione della procedura economico-amministrativa del Reglamento del 29 giu-gno 1924 e la procedura economico-amministrativa dopo esser stato oggetto di riforma attravero il Real Decreto del 15 aprile 1890, per il quale si approvò il regolamento dei re-clami economico-amministrativi dove, per la prima volta, si distinse tra atti di gestione, atti di risoluzione e atti oggetto di reclamo, fu successivamente oggetto di regolazione nel Re-glamento del 29 giugno 1924 e nel Decreto 2085/1959, del 26 novembre.

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I motivi per creare i Tribunali Economico-Amministrativi furono, essenzial-mente, due:

a) la difficoltà tecnica e la frequenza delle controversie in materia tributa-ria, cosí come;

b) il desiderio di separare l’attività di gestione dei tributi della risoluzione dei ricorsi presentate per gli obbligati tributari.

Fino alla promulgazione della Ley 7/1985, de Bases de Régimen Local, era possibilie presentare reclami economico-amministrativi tanto contro gli atti di applicazione dei tributi statali cosi come contro gli atti di applicazione dei tributi locali

45. Ma l’art. 108 della Ley 7/1985 soppresse la via economico-amministrativa nell’ambito tributario locale, al momento in cui stabilì che contro la risoluzione, espressa o tacita, del ricorso di reposición – quindi un ricorso davanti allo stesso organo che ha emanato l’atto – presentato contro gli atti di applicazione dei tributi locali, gli interessati potevano presentare, direttamente, ricorso contenzioso amministrativo, senza dover ricorrere, in conseguenza, ai Tribunali Economico-Amministrativi per esaurire la via am-ministrativa

46.

Sotto la vigenza della Ley General Tributaria del 1963, che regolò i reclami economico-amministrativi nei suoi artt. 163 fino al 171, si susseguirono altri due regolamenti approva-ti rispettivamente, dal Real Decreto 1999/1981, del 20 agosto, e il Real Decreto 391/1996, del 1 marzo. Nell’attualità la Ley 58/2003, General Tributaria, regola i reclami economico-amministrativi nel capitolo IV del suo Titolo V, sviluppato per i artt. 28 fino al 79 dal Re-glamento general en materia de revisión en via administrativa, approvato dal Real Decreto 520/2005, del 13 marzo, Un’analisi dell’evoluzione storica dei reclami economico-ammi-nistrativi può vedersi in CASTILLO SOLSONA, El régimen de las reclamaciones económico-administrativas, in AA.VV., Estudios de Derecho Financiero y Tributario en Homenaje al Pro-fesor Calvo Ortega, Tomo I, Editorial Lex Nova, Valladolid, 2005, pp. 1017-1018.

45 L’art. 2 del Real Decreto 1999/1981, determinava che si sostanziavano in via econo-mico-amministrativa i reclami che si sono dedotti sopra le seguenti materie: la gestione, ispezione e riscossione dei tributi ed, in generale, di tutte le entrate di diritto pubblico del-lo Stato e dell’Amministrazione locale e istituzionale e la gestione, ispezione e riscossione dei tributi ceduti dallo Stato alle Comunità Autonome o dei carichi stabiliti da queste sui tributi dello Stato.

46 Come spiegò, tra gli altri, Tornos Mas «aunque el Tribunal Constitucional había declarado la constitucionalidad de la vía económico-administrativa en la esfera local, el legislador básico optó por la supresión (...) La opción del legislador básico puede afirmarse (...) que estuvo dominada por la defensa del principio de autonomía local (...) la duda se plantea en torno al acierto o no de la decisión adoptada y, en este sentido, creo que se debió atender también a la posición del recurrente y situar junto al principio de autonomía local el derecho del administrado a la tutela judicial efectiva. Desde esta perspectiva más

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303

In conseguenza, attraverso l’entrata in vigore della Ley 7/1985, nella via economico-amministrativa unicamente si sostanziarono i reclami dedotti con-tro gli atti di gestione, ispezione e riscossione dei tributi, oneri parafiscali e, in generale, di tutte le entrate di diritto pubblico dello Stato, così come con-tro gli atti di gestione, ispezione e riscossione dei tributi ceduti dallo Stato alle Comunità Autonome o dei carichi stabiliti da queste su tributi dello Stato.

Più tardi, la Ley 39/1988, del 28 dicembre, reguladora de las Haciendas Locales, avrebbe poi recuperato la via economico-amministrativa nell’ambi-to locale, ma soltanto riguardo a determinati atti di gestione dell’Impuesto sobre Bienes Inmuebles e dell’Impuesto sobre Actividades Económicas, la cui com-petenza si attribuiva – e continua ad essere attribuita – allo Stato. In effetti, tanto l’Impuesto sobre Bienes Inmuebles come l’Impuesto sobre Actividades Eco-nómicas si caratterizzano per essere imposte locali, di gestione condivisa tra lo Stato e i comuni.

Trattandosi dell’Impuesto sobre Bienes Inmuebles, si distingue tra la ge-stione catastale, la cui competenza si attribuisce allo Stato, e la gestione tri-butaria, la cui competenza si attribuisce ai comuni. L’oggetto della gestione catastale è la valutazione dei beni immobili ed è pòssibile ricorrere proprio agli atti in via economico-amministrativa innanzi ai Tribunali Economico-Amministrativi, regolati nell’art. 228 della Ley 58/2003, General Tributaria.

Invece, la gestione tributaria dell’Impuesto sobre Bienes Inmuebles com-prende le funzioni di riconoscimento e negazione di esenzioni e benefici, la realizzazione delle liquidazioni, la risoluzione di espedienti di devoluzione di entrate indebite così come le attuazioni di assistenza e informazione al contribuente in relazione a questi atti. La gestione tributaria corrisponde ai Comuni e, con carattere generale, i suoi atti non possono essere oggetto di ricorso in via economico-amministrativa, con l’eccezione che analizzeremo quando esamineremo le figure degli organi economico-amministrativi locali.

amplia, la solución debió haber sido otra. Se pudo haber mantenido el principio de auto-nomía local con un Tribunal Económico-administrativo de diversa composición, sin por ello suprimir un recurso administrativo que, por plantearse ante un órgano no vinculado jerár-quicamente a la Administración autora del acto y por la competencia de sus miembros, ofrecía al administrado una vía eficaz de impugnación. Al no haberse hecho así, los efectos negativos han sido dobles. El administrado, en especial por recursos de escasa cuantía, queda de hecho limitado al recurso administrativo ordinario y, por tanto, a la decisión de la Admini-stración autora del acto. Por otro lado, la no solución de los conflictos en vía administrativa aumenta la conflictividad en vía judicial (...)». TORNOS MAS, El Consell Tributari del Ayunta-miento de Barcelona, in Documentación Administrativa, n. 220, 1989, pp. 210-211.

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304

Nel caso dell’Impuesto sobre Actividades Económicas, si distingue tra: la gestione del censimento, che include tutte le attuazioni avviate verso la for-mazione e il mantenimento della matrícula di detta imposta e che è attribui-ta allo Stato

47; l’ispezione dell’imposta, attribuita allo Stato, sebbene con la possibilità che lo Stato la deleghi ai comuni e la gestione tributaria, ridotta alla liquidazione e alla riscossione dell’imposta, e che corrisponde, in tutti i casi, ai comuni.

Ugualmente come accade con gli atti di gestione catastale dell’Impuesto sobre Bienes Inmuebles, gli atti di gestione di censimento dell’Impuesto sobre Actividades Económicas sono ricorribili in via economico-amministrativa, in-nanzi ai Tribunali Economico-Amministrativi. Mentre, gli atti di gestione tributaria dell’Impuesto sobre Actividades Económicas non sono ricorribili in via economico-amministrativa, con l’eccezione di quella a cui abbiamo fatto riferimento quando abbiamo esaminato l’Impuesto sobre Bienes Inmuebles, di quei municipi dove esistono organi economico-amministrativi locali.

2.2. Il Consell Tributari del Comune di Barcelona

Dopo la soppresione per la Ley 7/1985, de Bases de Régimen Local, della via economico-administrativa nell’ambito locale, sorse, nel 1988, il Consell Tributari del Comune di Barcelona, con la finalità di mitigare, nel municipio di Barcelona, due delle conseguenze derivate dalla detta soppressione:

– il rincaro dei ricorsi per il contribuente, giacché le procedure innanzi ai Tribunali Economico-Amministrativi Provinciali erano gratuite ma le pro-cedure innanzi la giurisdizione contenziosa amministrativa, no;

– il ritardo nella risoluzione dei ricorsi contro gli atti di applicazione dei tributi locali, derivato dalla necessità di dover ricorrere, direttamente, ai Tri-bunali Contenziosi Amministrativi.

Il Consell Tributari del Comune di Barcelona si configuró come un orga-no consultivo e le sue funzioni sono:

a) dettare tutte le proposte di risoluzione dei ricorsi presentate contro gli atti di applicazione dei tributi e altre entrate di diritto pubblico;

47 La formazione della matrícula dell’Impuesto sobre Actividades Económicas consiste nella identificazione, da parte dell’amministrazione tributaria dello Stato, dei contribuenti di detta imposta. Questa attività di formazione della matrícula, insieme con la qualificazio-ne delle attività economiche e la fissazione delle quote relative alle diverse attività impren-ditoriali, professionali o artistiche corrisponde allo Stato.

Mercedes Castillo Solsona

305

b) informare, con carattere previo alla sua approvazione provvisoria, le ordinanze fiscali di Barcelona; e

c) redigere gli studi e i lavori che siano incaricati in materia tributaria lo-cale

48.

I membri che, successivamente, hanno fatto parte del Consell Tributari sonno state persone di riconoscuta competenza tecnica in materia tributaria locale che hanno sviluppato il proprio lavoro, secondo quanto stabilito dai successivi Regolamenti regolatori di questo organo, secondo i principi di in-dipendenza e oggettività. Il loro intervento nel proceso di risoluzione dei ri-corsi presentati dai contribuenti contro gli atti di applicazione dei tributi e di altre entrate di diritto pubblico dettati dal Comune di Barcelona è consi-stito – e consiste – fondamentalmente, nelle redazione di proposte di riso-luzione precettive, anche se non vincolanti, previe alla risoluzione di quei ricorsi da parte del Comune.

Tuttavia, anche se non si tratta di dettami non vincolanti, deve sottoli-nearsi che durante i ventiquattro anni di esistenza del Consell Tributari, e dopo aver emesso circa 29.000 proposte di risoluzione, soltanto in due oc-casioni il Comune di Barcelona non ha ratificato la proposta di risoluzione presentata dal Consell.

Il lavoro del Consell Tributari del Comune di Barcellona, sviluppato dal 1988, ha comportato una notevole riduzione, nel municipio di Barcelona, dei conflitti in materia tributaria locale. Tra le altre ragioni poiché il comune di Barcelona ha adeguato la sua amministrazione di imposta alla dottrina formulata dal Consell Tributari nelle sue proposte di risoluzione dei ricorsi e nei suoi rapporti.

Il successo del Consell Tributari del Comune di Barcelona fu l’origine dell’introduzione, per la Ley 57/2003, del 16 dicembre, de Medidas para la Modernización del Gobierno Local, dei cosidetti organi per la risoluzione dei reclami economico-amministrativi nell’ambito locale. Questi organi hanno come finalità, come dichiara la Exposición de Motivos della Ley 57/2003, di «abbassare il prezzo e fare agile la difesa dei diritti dei cittadini nell’ambito tributario locale e ridurre i conflitti nella via contenziosa amministrativa».

48 Un’analisi delle caratteristiche e funzione dal Consell Tributari del Comune di Barce-lona puo verdersi, tra altri, nei seguenti lavori: AGULLO AGÜERO, Recursos no formales y Consell Tributari de Barcelona: una función quasiarbitral, in AA.VV., Convención y Arbitraje en el Derecho tributario, cit., pp. 277-290; FONT LLOVET, El Consell Tributari: funciones con-sultivas, in AA.VV., Convención y Arbitraje en el Derecho tributario, cit., pp. 297-307 e TOR-NOS MÁS, op. cit., pp. 207-226.

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2.3. Gli organi economico-amministrativi locali

La Ley 57/2003, de Medidas para la Modernización del Gobierno local, in-trodusse la Ley 7/1985, de Bases de Régimen Local, un nuovo Título – il Títu-lo X –, denominato Régimen de organización de los municipios de gran pobla-ción. Il Capitolo III di detto Título X è dedicato alla gestione economico-finanziaria di questi municipi ed in esso si prevede l’istituzione degli organi per la risoluzione dei reclami economico-amministrativi nell’ambito locale solo nei municipi di grande popolazione

49. Quali sono i municipi ai quali, secondo la Ley 7/1985, risulta applicabile

il regime di organizzazione dei municipio di grande popolazione? Secondo l’art. 121 di detta legge, sono i seguenti:

A) Obbligatoriamente: – nei municipi, la cui popolazione sia superiore a i 250.000 abitanti

50; e – nei municipi capoluoghi di provincia, la cui popolazione sia superiore

ai 175.000 abitanti.

B) Discrezionalmente, sempre che cosí lo decidano le corrispondenti As-semblee Legislative, su iniziativa dei rispettivi Comuni: – nei municipi che siano capoluoghi di province, capoluoghi di Comuni-

tà Autonoma o sedi d’istituzioni autonomiche; e – nei municipi, la cui popolazione, sia superiore a 75.000 abitanti, e che

presentino circostanze economiche, storiche e culturali speciali.

In questi municipi si prevede l’esistenza di organi economico-ammini-strativi locali, le cui funzioni sono le seguenti:

a) conoscere e risolvere i reclami su atti di gestione, liquidazione, riscos-

49 Un’analisi può vedersi in CASTILLO SOLSONA, La competencia tributaria en la Ley 57/2003, de Medidas para la Modernización del Gobierno Local, in La Ley de Modernización del Gobierno Local, Estudis 17, Fundació Carles Pi i Sunyer d’Estudis Autonòmics i Locals, Barcelona, 2004, pp. 153-169.

50 Tuttavia, nel caso del municipio di Barcelona, che ha più di 250.000 abitanti, la Di-sposizione transitoria quarta della Ley 57/2003, de Medidas para la Modernización del Go-bierno Local, stabilì che mentre ancora non si aprovava il regime speciale di Barcelona, non si applicava, in questo municipio, il regime organizzativo previsto nel Título X della Ley 7/1985. Tre anni più tardi, la Ley 1/2006, del 13 marzo, regolatrice del Régimen Especial de Barcelona, decretó il mantenimento del Consell Tributari, che ha un regime giuridico diffe-rente, in alcuni aspetti, da quello degli organi economico-amministrativi previsti nel Título X della Ley 7/1985, nonostante questi si sono ispirati nel Consell Tributari.

Mercedes Castillo Solsona

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sione e ispezione di tributi ed entrate di diritto pubblico, che siano di com-petenza municipale;

b) emettere giudizi sui progetti di ordinanze fiscali; c) l’elaborazione di studi e proposte in materia tributaria, nel caso di ri-

chiesta dagli organi municipali competenti in materia tributaria.

Come può osservarsi, si tratta di funzioni che assomigliano a quelle del Consell Tributari del Comune di Barcelona, sebbene esista una notevole dif-ferenza. Dato il suo carattere consultivo, il Consell Tributari detta proposte di risoluzione dei ricorsi e valuta le ordinanze fiscali di Barcelona. Invece, gli organi economico-amministrativi locali risolvono i reclami economico-am-ministrativi contro gli atti di gestione, liquidazione, riscossione e ispezione di tributi e entrate di diritto pubblico di competenza municipale

51 e emet-tono pareri sui progetti di ordinanze fiscali

52. La Ley 7/1985, nella sua redazione dalla Ley 57/2003, stabilisce che la

composizione, competenze, organizzazione e funzionamento degli organi e-conomico-amministrativi locali così come il procedimento dei reclami pre-sentate innanzi gli stessi deve regolarsi mediante Regolamento approvato dal Pleno del Comune del municipio di grande popolazione del quale si trat-ti, con riferimento a quello stabilito nella Ley General Tributaria e nel Regla-mento en materia de revisión en via administrativa, approvato dal Real Decreto 520/2005, del 13 maggio. In ogni caso, la Ley 7/1985 prevede che gli organi economico-amministrativi locali sarano costituiti da un numero dispari di membri, con un minimo di 3, designati dal Pleno e la sua funzione deve ba-sarsi in criteri di indipendenza tecnica e oggettività.

Nell’attualità esistono più di 30 organi economico-amministrativi locali con diverse denominazioni: Tribunal Económico Administrativo (Bilbao, Se-villa), Tribunal Económico Administrativo Municipal (Madrid, Toledo), Con-sejo Económico Administrativo (Murcia, Valladolid), Consejo de Reclamacio-nes Económico Administrativas (Córdoba), Jurado Tributario (Málaga, Va-

51 Sono tributi e entrate di diritto pubblico di competenza municipale i seguenti: l’Im-puesto sobre Bienes Inmuebles; l’Impuesto sobre Actividades Económicas; l’Impuesto sobre Ve-hículos; l’Impuesto sobre Construcciones, Instalaciones y Obras; l’Impuesto sobre el Incremento de Valor de los Terrenos de Naturaleza Urbana; le tasse locali; i contributi speciali e i prezzi pubblici. Tutte queste entrate sono regolate nel Texto Refundido de la Ley de Haciendas Lo-cales, approvato dal Real Decreto Legislativo 2/2004, del 5 marzo, e nelle corrispondenti ordinanze fiscali approvate dai differenti municipi.

52 Le ordinanze fiscali sono norme di carattere regolamentare che sviluppano le norme contenute nei precetti del Texto Refundido de la Ley de Haciendas Locales del 2004.

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lencia), Consell Tributari (Palma de Mallorca) e Consejo Económico Admini-strativo Municipal (Oviedo).

L’esistenza di organi economico-amministrativi locali nei municipi di gran-de popolazione determina che la strada di revisione degli atti di gestione, li-quidazione, riscossione e ispezione dei tributi e entrate di diritto pubblico di competenza municipale sia diversa, a seconda che si tratti di un municipio di grande popolazione dove esista un organo per la risoluzione dei reclami economico-amministrativi locali o di un municipio che non abbia la consi-derazione di municipio di grande popolazione o che, sebbene possa tenere questa considerazione, non lo abbia richiesto.

Nei municipi di grande popolazione dove esistono organi per la risolu-zione dei reclami economico-amministrativi, il contribuente può presentare, con carattere previo al reclamo economico-amministrativo, un ricorso fa-coltativo di reposición. Contro la risoluzione del ricorso di reposición dovrà, necessariamente, presentare reclami economico-amministrativi innanzi al-l’organo economico-amministrativo locale prima di presentare ricorso con-tenzioso amministrativo

53. Invece, contro gli atti di gestione, liquidazione, riscossione e ispezione dei

tributi e entrate di diritto pubblico di competenza municipale dettati dai re-stanti municipi, unicamente si può presentare ricorso di reposición, che non avrà carattere facoltativo, ma obbligatorio. Contro la risoluzione di questo ri-corso è possibile presentare, direttamente, ricorso di carattere amministrativo.

53 Questi reclami esistono senza pregiudizio dei fatti per i quali la legge prevede il re-clamo economico-amministrativo in materia di tributi locali innanzi ai Tribunali Econo-mico-Amministrativi dello Stato che, come sappiano, fanno riferimento agli atti di gestio-ne catastale dell’Impuesto sobre Bienes Inmuebles e agli atti di gestione del censimento del-l’Impuesto sobre Actividades Económicas.

Giuseppe Ingrao

LIMITI DI UTILIZZO DEI POTERI ISTRUTTORI FISCALI NELL’AMBITO DEI GIUDIZI

DI SEPARAZIONE E DIVORZIO

LIMITS TO THE USE OF TAX PRELIMINARY INVESTIGATION POWERS DURING SEPARATION AND DIVORCE PROCEEDINGS

Abstract Il crescente numero di procedimenti di separazione e divorzio ove, tra l’altro, oc-corre accertare la capacità patrimoniale e reddituale dei coniugi al fine di stabilire l’entità dell’assegno di mantenimento impone una indagine sulla effettiva possi-bilità da parte della Guardia di finanza o degli Uffici fiscali, chiamati in causa dal giudice per svolgere accertamenti patrimoniali sui coniugi, di utilizzare i pene-tranti poteri istruttori che la legge riconosce nell’ambito dell’accertamento del-l’obbligazione tributaria. La previsione contenuta nelle norme civilistiche sul di-vorzio e sull’affidamento dei figli in merito alla possibilità di disporre un accer-tamento della polizia tributaria ha consentito il formarsi di interpretazioni giuri-sprudenziali favorevoli all’applicazione dei poteri istruttori tributari, ma discuti-bili in quanto trascurano la cornice entro cui è collocata la loro disciplina. Parole chiave: separazione, divorzio, assegno di mantenimento, poteri istruttori fiscali, limiti di utilizzo The increasing number of separation and divorce proceedings, during which it is ne-cessary, among other things, to ascertain the asset and income capacity of the spouses in order to determine the amount of alimony, needs an analysis on the effective possi-bility of the Italian tax police (Guardia di Finanza) or tax offices, called upon by the judge in order to carry out a tax assessment on the spouses, to make use of pervasive preliminary investigation powers that the law acknowledges during the assessment of tax liability. The provision contained in the civil discipline on divorce and custody of minor children allowing a possible assessment of tax police has led to courts’ interpre-

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tations favorable to the application of investigation powers, which are nevertheless questionable since they do not take into account the framework of the discipline. Keywords: separation, divorce, alimony, tax preliminary investigation powers, use limitations

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La normativa civilistica sugli accertamenti della polizia tributaria sui redditi e i patrimoni dei coniugi. – 3. Dall’acquisizione della dichiarazione tributaria all’espletamento di un accertamento della polizia tributaria. – 4. Limiti all’utilizzo dei poteri istruttori fiscali. – 5. Conclusioni.

1. Premessa

Pur non essendo un tema strettamente tributario, in quanto non attinen-te alla individuazione e misurazione della capacità economica di un soggetto al fine di quantificare l’entità dell’imposizione fiscale, l’indagine circa la pos-sibilità di esercizio dei “poteri fiscali” nell’ambito dei giudizi civili di separa-zione e divorzio interessa, comunque, il comparto tributario, posto che pre-suppone la corretta individuazione del campo di applicazione di disposizio-ni legislative che regolamentano il rapporto Fisco-contribuente

1. In questi ultimi anni, nell’ambito giudizi di separazione e divorzio, stia-

mo assistendo con una certa frequenza alla disposizione da parte dell’auto-rità giudiziaria ordinaria di accertamenti della polizia tributaria finalizzati ad accertare beni, redditi ed in generale il tenore di vita dei coniugi

2. Tale ten-denza è stata certamente incentivata dai recenti provvedimenti con cui, nel procedimento tributario di accertamento, si è rafforzata la possibilità di

1 Si segnala, infatti, il pregevole contributo di PISTOLESI, Le indagini finanziare disposte dal giudice nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 847.

2 Va segnalato che la Cassazione (sent. n. 9915/2007) ritiene che i giudici di merito deb-bano effettuare i dovuti approfondimenti rivolti ad un pineo accertamento delle riscorse economiche dei coniugi. Per una analisi della posizione dei giudici di merito favorevole al pieno utilizzo dei poteri istruttori fiscali nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio si veda BUTTIGLIONE, Assegni per il coniuge e i figli. Quando e quanto, in Rivista AIAF, n. 3, 2011, p. 16; FANTICINI, Accertamento delle potenzialità economiche delle parti, anche a mezzo della polizia tributaria, in Responsabilità genitoriale e affidamento dei figli, Regole e prospettive dopo la L. n. 54/2006, Reggio Emilia 6 maggio 2006, reperibile su internet.

Giuseppe Ingrao

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espletamento delle c.d. indagini bancarie e finanziarie 3 e si è consacrata la

possibilità per il Fisco di superare la segretezza dei rapporti intrattenuti dai contribuenti con le società fiduciarie

4. Rileva ancora la recente creazione da parte dell’Agenzia delle entrate di amplissime banche dati ove vengono rile-vate le spese di una certa entità che consentono di determinare il “tenore di vita” del contribuente, utilizzate – come è noto – per la rettifica della dichia-razione con il c.d. accertamento sintetico. È poi da considerare la possibilità per il Fisco di acquisire, grazie allo scambio di informazioni con le autorità fiscali straniere, notizie relative ad eventuali disponibilità economico/patri-moniali all’estero

5. Non vanno, infine, trascurate le informazioni a disposi-zione del nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza in rela-zione alla normativa antiriciclaggio.

È del tutto evidente che le informazioni reddituali, patrimoniali e di spe-sa acquisibili dal Fisco potrebbero essere efficacemente utilizzate per l’indi-viduazione della situazione economica dei coniugi in base alla quale deter-minare l’assegno di mantenimento per i figli ed in generale regolare i rap-porti patrimoniali tra i coniugi in caso di separazione e divorzio.

La comprensibile tendenza di utilizzare le “prerogative” del Fisco, tradi-zionalmente ricondotte alla necessità di contrastare l’evasione fiscale, ed in particolare l’occultamento di materia imponibile

6, nell’ambito dei giudizi civili di separazione e divorzio, ove comunque vengono in risalto valori di

3 Rafforzamento riconducibile, tra l’altro, alla istituzione dell’anagrafe dei rapporti ban-cari e finanziari. Detta anagrafe è operativa a decorrere dal 2006.

4 L’art. 32, comma 1, n. 7, D.P.R. n. 600/1973 consente al Fisco, qualora sussistano ef-fettive esigenze dell’attività di accertamento, di richiedere alle società fiduciarie l’indicazio-ne del soggetto nel cui interesse vengono detenuti e amministrati beni, strumenti finanzia-ri e partecipazioni in imprese, specificamente individuati (cioè dagli oggetti ai soggetti); si consente peraltro di richiedere alle società fiduciarie se il soggetto sottoposto ad accerta-mento abbia affidato l’incarico di amministrare e gestire, mediante intestazione fiduciaria, beni e strumenti finanziari (cioè dai soggetti agli oggetti).

Sul tema v. GALLO, Sugli obblighi tributari gravanti su una società fiduciaria di mera am-ministrazione e sulle conseguenze di una loro eventuale violazione, in Rass. trib., 1998, p. 1122; CORASANITI, I poteri istruttori dell’amministrazione finanziaria nei confronti delle società fidu-ciarie, in Dir. prat. trib., 2004, p. 313.

5 Sul tema, per tutti, v. BUCCISANO, Cooperazione amministrativa internazionale in mate-ria fiscale, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 669 ss.

6 È da escludere che l’utilizzo di tali poteri possa essere di ausilio per accertare ipotesi di c.d. evasione interpretativa, dove cioè le contenzioni mosse al contribuente si sostanzia-no nella irregolare qualificazione giuridica dei fatti rappresentati nella contabilità, nonché nella irregolare applicazione delle norme fiscali sostanziali.

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ampia meritevolezza, non può prescindere, però, dall’esistenza di una espres-sa copertura normativa in tal senso, che nel caso di specie, come avremo modo di argomentare, sembra non sussistere.

2. La normativa civilistica sugli accertamenti della polizia tributaria sui red-diti e i patrimoni dei coniugi

Gli artt. 5 e 6 della legge sul divorzio (n. 898/1970) dispongono che il giudice, per l’emanazione dei provvedimenti relativi all’affidamento dei figli ed al rapporto patrimoniale tra i coniugi, deve acquisire la dichiarazione dei redditi ed ogni altro documento rilevante ai fini dell’accertamento della loro situazione economica e può “avvalersi della polizia tributaria” per effettuare indagini sui redditi, sui patrimoni e sul tenore di vita.

Anche l’art. 155 c.c., in tema di provvedimenti riguardanti i figli nel con-testo della separazione tra coniugi, riformulato dalla L. n. 54/2006, dispone che ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura pro-porzionale al proprio “reddito”

7 e, ove le informazioni di carattere econo-mico fornite dai genitori

8 non risultino sufficientemente motivate, il giudice dispone un “accertamento della polizia tributaria” sui redditi e sui beni og-getto della contestazione

9, anche se intestati a soggetti diversi 10.

Nell’ambito dei processi di separazione e divorzio, la scelta del legislato-re è stata, quindi, quella di attenuare il principio generale cui è informato il processo civile, e cioè quello dispositivo, in quanto il giudice può andare alla

7 Il riferimento al reddito è da intendersi in senso generico, poiché anche il mero pos-sesso di beni mobili ed immobili potrebbe essere utilizzato quale parametro per determi-nare l’assegno di mantenimento. Non a caso, infatti, lo stesso legislatore stabilisce che, ove sorgano contestazioni, l’accertamento della polizia tributaria debba riguardare redditi e beni del soggetto.

8 L’art. 706, comma 3, c.p.c., stabilisce che al ricorso e alla memoria difensiva sono alle-gate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate.

9 È stato omesso il riferimento al tenore di vita dei coniugi, ma una interpretazione logica della noma conduce comunque a ritenere possibile lo svolgimento di indagini sul loro te-nore di vita.

10 Quest’ultima previsione è chiaramente volta a far valere l’intestazione fittizia di red-diti e beni a soggetti terzi, contestando quindi la natura simulata di eventuali atti traslativi po-sti in essere a favore di congiunti nell’immediatezza del giudizio di separazione. Appare tut-tavia complessa l’imputazione ad un coniuge di redditi intestati a terzi in mancanza di una pronuncia giurisprudenziale che accerti la simulazione.

Giuseppe Ingrao

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ricerca della prova dei fatti rilevanti per la decisione ed in particolare per la corretta determinazione dell’assegno di mantenimento da corrispondere al coniuge più debole e ai figli.

La dottrina civilistica ha evidenziato che la formulazione letterale delle predette disposizioni lascia spazio ad incertezze applicative. Si discute, in par-ticolare, se al giudice sia consentito esercitare tale potere, oltre che nel caso in cui esista una contestazione circa l’effettiva entità della situazione eco-nomico/patrimoniale dei coniugi, anche qualora, pur in mancanza di conte-stazione, non ritenga verosimile la documentazione fornita

11. Ancora non è certo se, in caso di contestazione, il giudice sia obbligato a disporre l’accer-tamento della polizia tributaria, ovvero quest’ultima decisione sia frutto di una sua valutazione discrezionale

12. Infine si dubita se l’accertamento della polizia tributaria possa essere disposto, solo dopo l’infruttuoso esperimento degli altri poteri istruttori

13, ed esclusivamente per la determinazione del-l’assegno di mantenimento dei figli (essendo menzionato espressamente nell’art. 155 c.c. in tema di provvedimenti riguardo ai figli e non anche nella legge sul divorzio)

14.

11 L’esperibilità dei poteri inquisitori del giudice è secondo una parte della dottrina da collegare alla natura del diritto controverso, e segnatamente nel caso dei diritti della prole, che sono di natura indisponibile, non è soggetta al limite della contestazione della veridicità dei fatti indicati dalle parti; mentre per quel che concerne l’assegno di mantenimento in favore dei coniugi, trattandosi di diritti disponibili, sussiste il limite della contestazione. V. LIUZZI, Poteri dell’autorità giudiziaria e indagini tributarie anche a carico di terzi, in Famiglia e diritto, 2006, p. 595.

È prassi diffusa dei tribunali attivare le indagini della polizia tributaria solo nel momento in cui vi siano evidenti discrepanze tra il “tenore di vita” dei coniugi e la documentazione acquisita, e ciò forse per la scarsa consapevolezza circa il fatto che la dichiarazione tributa-ria rappresenta, in molti casi, solo una “fotografia parziale” delle sostanze economiche dei coniugi.

La giurisprudenza di legittimità (Cass., 17 maggio 2005, n. 11230; Cass., 7 marzo 2006, n. 4872) ritiene che solo l’esistenza di una contestazione possa legittimare l’espleta-mento di indagini, in quanto avvalersi in situazioni ordinarie di un simile potere vuol signi-ficare derogare alle regole generali sull’onere della prova.

12 A favore della tesi circa la natura discrezionale di tale potere v. Cass. n. 8417/2000, n. 10344/2005, n. 2625/2006, la quale ha affermato che il potere del giudice di avvalersi della polizia tributaria «rientra nella sua discrezionalità e non può essere considerato an-che come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche».

13 Sul punto v. PISTOLESI, op. cit., p. 853. 14 A favore dell’impossibilità di estendere in via analogica tale potere v. LIUZZI, Poteri

dell’autorità giudiziaria, cit., p. 597.

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Senza indugiare su queste tematiche di “stampo” strettamente civilistico, e tralasciando altresì il problema relativo a quali elementi patrimoniali e red-dituali rilevano ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, occupiamoci specificamente delle modalità attraverso cui il giudice possa verificare la situazione economico patrimoniale dei coniugi; aspetto nel quale si inserisce appunto l’eventuale disposizione di un accertamento della poli-zia tributaria e la connessa questione dei poteri che tale organo può eserci-tare per acquisire informazioni da rassegnare al giudice.

3. Dall’acquisizione della dichiarazione tributaria all’espletamento di un ac-certamento della polizia tributaria

Sebbene la giurisprudenza univocamente affermi che, per verificare i mezzi economici delle parti, il giudice non necessariamente sia vincolato al-le risultanze della dichiarazione dei redditi

15 potendo egli fondare il suo con-vincimento su altri elementi, il predetto documento rappresenta lo strumen-to principalmente utilizzato nei giudizi di separazione e divorzio per la quanti-ficazione della situazione economica dei coniugi, soprattutto in sede di prov-vedimenti provvisori

16. È, infatti, prassi diffusa che il giudice, prima dell’as-sunzione dei provvedimenti provvisori, qualora le parti non abbiano adem-piuto spontaneamente all’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi, previsto dall’art. 5, comma 9, della L. n. 898/1970

17, ordini loro di produrre in giudizio detto documento

18.

15 V. Cass., 14 maggio 2005, n. 10135; Cass., 11 marzo 2006, n. 5379; Cass., 12 giugno 2006, n. 13592.

16 In altri ordinamenti giuridici, tra cui Francia, Regno Unito, Germania, esiste l’obbli-go per le parti di rendere una dichiarazione giurata sui beni che compongono il proprio pa-trimonio e il proprio reddito. Sul punto v. RIMINI, L’accertamento del reddito e del patrimo-nio delle parti nei giudizi di separazione e divorzio: proposta per un modello di discolsure, in Famiglia e diritto, 2011, p. 742.

17 In verità tale norma ha un contenuto ben più ampio rispetto a quello assegnato di nor-ma dai giudici, in quanto obbliga i coniugi a presentare non solo la dichiarazione dei reddi-ti ma anche una dichiarazione di “più ampio respiro” che involge sia gli elementi reddituali personali globalmente considerati che quelli patrimoniali.

18 Qualora il contribuente non possieda altri redditi oltre quello di lavoro dipendente non è obbligato a presentare la dichiarazione e quindi la certificazione del sostituto di im-posta (c.d. modello CUD) assume la valenza della dichiarazione.

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Nel caso in cui le parti non adempiano al predetto ordine di esibizione, il giudice, esercitando i poteri istruttori disciplinati dall’art. 213 c.p.c., può or-dinare direttamente all’Agenzia delle entrate o al sostituto di imposta di tra-smettere la documentazione fiscale del soggetto; in alternativa può determi-nare induttivamente le sostanze economiche dei coniugi.

Anche ove vengano acquisite le dichiarazioni tributarie, possono, tutta-via, permanere dubbi sulla effettiva consistenza economico/patrimoniale dei coniugi, e ciò per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo perché la dichiarazione riguarda solo una parte dei redditi prodotti (ne restano fuori quelli esenti e quelli soggetti ad imposizione sostitutiva); secondariamente perché la dichiarazione non contiene informazioni relative alla complessiva situazione patrimoniale 19.

Qualora uno dei coniugi abbia, peraltro, il sospetto che le dichiarazioni tributarie esibite non rappresentino fedelmente la situazione reddituale del-l’altro coniuge, può proporre istanza all’Agenzia delle entrate per verificare se l’Ufficio abbia emesso un atto di accertamento in rettifica delle dichiara-zioni presentate nei periodi di imposta precedenti la separazione. In tal ca-so, la giurisprudenza amministrativa ha di recente chiarito che l’Agenzia del-le entrate non può rifiutarsi di esibire gli atti impositivi notificati all’altro coniuge, unitamente a tutta la documentazione che è posta a base dell’ac-certamento tributario, quali il processo verbale di constatazione, relazioni della Guardia di finanza, ecc.

20. Non vi sono infatti esigenze di segretezza che legittimerebbero il rifiuto, essendosi concluso il procedimento di accer-tamento.

L’acquisizione della dichiarazione dei redditi, nonché della dichiarazione prevista dal citato art. 5 della legge sul divorzio

21, per tali motivi, potrebbe rappresentare solo il punto di partenza per la determinazione della capacità economica dei coniugi, soprattutto quando su questo specifico punto siano state mosse contestazioni dalle parti.

19 Dalla dichiarazione emerge, infatti, esclusivamente la composizione del patrimonio immobiliare del contribuente, rinvenibile nel quadro relativo ai redditi fondiari. Emergono altresì gli immobili e le altre attività finanziarie detenute all’estero, rinvenibile nel quadro relativo al c.d. monitoraggio fiscale.

20 V. TAR Friuli Venezia Giulia, 8 ottobre 2012, n. 363. 21 È discusso se l’obbligo di produzione riguardi solo la dichiarazione dell’ultimo anno o

quella degli ultimi anni precedenti. Sul punto v. CIPRIANI, Processo di separazione e divorzio, in Foro it., 2005, V, p. 141; TOMMASEO, La disciplina processuale della separazione e del di-vorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Famiglia e diritto, 2006, p. 9.

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Qualora siano necessarie specifiche competenze, il giudice ha, peraltro, facoltà di disporre una consulenza tecnica contabile per valutare la docu-mentazione acquisita; tale potere può essere esercitato anche per svolgere ulteriori accertamenti presso pubblici registri, ovvero richiedere acquisire e valutare la documentazione relativa a rapporti bancari la cui esistenza emer-ga dagli atti processuali, ecc.

Nel caso in cui il giudice si avvalga di un consulente, è opportuno sotto-lineare che la quantificazione della “sostanza economica” delle parti resta ancorata alle risultanze della documentazione acquisita agli atti processuali; il consulente non può quindi andare alla ricerca di redditi o beni non comu-nicati dai coniugi.

In presenza di contestazione delle parti sulla “bontà” di tali documenti, o qualora il giudice evidenzi una discrasia tra il tenore di vita di un coniuge e i redditi dichiarati (o accertati dall’Ufficio impositore), e quindi qualora occor-ra andare alla ricerca di ciò che non traspare dai documenti depositati nel fa-scicolo processuale, l’unico strumento che può utilizzare il giudice è quello di chiedere un accertamento della polizia tributaria, salvo che ritenga di acquisi-re autonomamente le informazioni, esercitando i poteri di cui all’art. 210 c.p.c.

22. Nel momento in cui il giudice decide di espletare tale accertamento,

emerge il problema dell’individuazione dei poteri che la polizia tributaria può utilizzare per l’espletamento dell’incarico. I dubbi sono certamente deter-minati dal fatto che la normativa sul divorzio e sui provvedimenti riguardo ai figli non specifica se la polizia tributaria possa esercitare i poteri tipica-mente utilizzati nell’ambito del procedimento tributario di accertamento, quali un’ispezione delle scritture contabili del coniuge (qualora svolga atti-vità d’impresa), un’indagine bancaria e finanziaria, un’indagine presso le so-cietà fiduciarie, ecc.

Va evidenziato, tuttavia, che la formulazione dell’art. 155 c.c., come risul-tante dalla modifica apportata dalla L. n. 54/2006, è differente da quella contenuta nella legge sul divorzio degli anni ’70. La prima norma recita in-fatti «il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria», la secon-da «il giudice si avvale della polizia tributaria». È certo che la possibilità di “avvalersi” della polizia tributaria sia consentita nell’ambito dei poteri che il

22 Sulla possibilità di richiedere d’ufficio informazioni anche ad istituti bancari v. LIUZZI, Allegazione delle dichiarazioni dei redditi e poteri istruttori del giudice nel processo di separa-zione di divorzio alla luce delle leggi nn. 80/2005 e 54/2006, in Famiglia e diritto, 2006, p. 225.

Giuseppe Ingrao

317

codice civile e il codice di rito assegnano al giudice; mentre potrebbe soste-nersi che la formulazione da ultimo introdotta nell’art. 155 c.p.c. deporrebbe nel senso che l’accertamento della polizia tributaria venga espletato anche al di fuori dei poteri assegnati al giudice dalle norme civilistiche e quindi se-condo i poteri assegnati alla polizia tributaria per gli accertamenti fiscali.

La possibilità di procedere con attività istruttorie che rientrano nell’am-bito del procedimento tributario di accertamento è peraltro discussa anche qualora il giudice, senza disporre della polizia tributaria, ordini (invocando l’art. 213 c.p.c.) direttamente all’Agenzia dell’entrate la trasmissione di dati acquisibili mediante l’esercizio dei suoi poteri.

4. Limiti all’utilizzo dei poteri istruttori fiscali

Stante la genericità della formulazione dell’art. 155 c.c., e nonostante la differente espressione utilizzata nella legislazione del 2006 rispetto a quella degli anni ’70, riteniamo che l’esatta portata applicativa della disposizione deve essere risolta muovendo dalla “cornice” entro cui sono inseriti i poteri istruttori della polizia tributaria utilizzabili in ambito fiscale. Anche l’esame delle singole disposizioni in tema di poteri istruttori è d’ausilio per la risolu-zione della problema.

La dottrina civilistica, denunciando la scarsa armonizzazione delle nor-me in subiecta materia, ritiene che se il giudice si avvale della collaborazione della polizia tributaria questa può operare «come la polizia giudiziaria opera alle dipendenze del processo penale»

23, e, quindi, ci sembra di potere de-durre «come la polizia tributaria opera nel momento in cui collabora con l’Agenzia delle entrate».

Anche attenta dottrina tributaria 24 ha evidenziato che, escludendo la

possibilità di esercitare i poteri istruttori tributari, ed in particolare, la possi-bilità di accedere all’archivio dei rapporti finanziari, si mutilerebbe la possi-bilità di acquisire dati, notizie ed informazioni rilevantissimi per l’istruttoria del processo di separazione.

Pur comprendendo le esigenze di apprestare la migliore tutela ai figli ed al coniuge debole in relazione alla determinazione dell’assegno di manteni-mento, a mio avviso, tale conclusione non convince, in quanto trascura che

23 V. RIMINI, op. cit., p. 741. 24 V. PISTOLESI, op. cit., p. 854.

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l’esercizio dei poteri istruttori previsti dalle disposizioni normative sull’ac-certamento tributario, essendo spesso altamente invasivo della sfera giuridi-ca dei privati, può giustificarsi sul piano costituzionale, in quanto finalizzato a tutelare l’interesse collettivo alla riscossione dei tributi.

Sostenere l’utilizzo dei poteri istruttori al di là dei limiti espressamente ricavabili dalle norme appare, quindi, discutibile, anche qualora si tratti di un procedimento, quale quello di separazione dei coniugi, nel quale emer-gono interessi altamente meritevoli, ma pur sempre di natura privatisti-ca

25. Ci si può chiedere se una eventuale espressa e generica estensione nor-

mativa di tali poteri ai procedimenti di separazione, possa ritenersi frutto di un ragionevole bilanciamento dei principi costituzionali.

Ove si desse risposta positiva, si dovrebbe però considerare che un even-tuale futuro ampliamento dei poteri fiscali

26, finirebbe per ricadere automa-

25 La natura privatistica dell’interesse che innesca l’indagine è chiaramente evidenziata da PISTOLESI, op. cit., p. 847.

26 L’ampliamento dei poteri istruttori tributari non può ritenersi compatibile con i va-lori costituzionalmente tutelati per il sol fatto di essere finalizzato alla tutela dell’interesse col-lettivo all’accertamento e riscossione dei tributi. Se il legislatore decide di intervenire per introdurre nuovi poteri istruttori tributari, o potenziare quelli esistenti, deve comunque contemperare l’interesse pubblico alla riscossione dei tributi con gli interessi privati costi-tuzionalmente garantiti all’inviolabilità della persona, all’inviolabilità del domicilio, alla se-gretezza della corrispondenza, ed in generale alla tutela della riservatezza dell’individuo.

Le norme sui poteri istruttori sono anche sindacabili costituzionalmente sotto il delica-to profilo della ragionevolezza e proporzionalità (art. 3 Cost.), nonché per la loro coerenza con gli artt. 97 e 24 Cost. È di grande attualità il dibattito sulla esigenza di assicurare, in determinati casi, una immediata tutela giurisdizionale avverso l’esercizio dei poteri istrut-tori, svincolata rispetto alla impugnazione dell’atto di accertamento. Sul punto DEL FEDE-RICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della pro-spettiva italiana, Milano, 2010, p. 220; ID., I principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in materia tributaria, in Riv. dir. fin., 2010, I, p. 206; MULEO, L’applicazione del-l’art. 6 CEDU anche all’istruttoria tributaria a seguito della sentenza del 21 febbraio 2008 del-la Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Ravon e altri c. Francia e le ricadute sullo schema processuale vigente, in Riv. dir. trib., 2008, IV, p. 198; MARCHESELLI, Accessi, verifiche fiscali, e giusto processo: una importante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. giur. trib., 2008, p. 743; ZIZZO, Le autorizzazioni nelle indagini tributarie, in Corr. trib., 2009, p. 3565; GLENDI, Indagini tributarie e tutela giurisdizionale, ivi, 2009, p. 3616.

Vi è poi da aggiungere che in determinati casi, e segnatamente quando la norma pro-cedimentale ha un impatto diretto sulla quantificazione dell’onere tributario, anche l’art. 53 può costituire una valido parametro nel giudizio di costituzionalità. V. FANTOZZI, (voce) Accertamento tributario, in Enc. giur. Treccani, 2006, p. 3; MOSCHETTI, Avviso di accertamento tributario e garanzie del cittadino, in Dir. prat. trib., 1986, I, p. 1911 ss. Per interessanti spunti

Giuseppe Ingrao

319

ticamente anche su un altro procedimento (quello di separazione e divor-zio), quando invece le valutazione discrezionali fatte sul piano legislativo so-no tipicamente tributarie.

Va peraltro considerato che, in sede di applicazione concreta delle dispo-sizioni sulle indagini tributarie, possono determinarsi conflitti con le previ-sioni di cui al D.Lgs. n. 196/2003 che tutelano la privacy del contribuente

27, che possono al limite giustificarsi per finalità tributarie, ma non per altre esi-genze. La recente normativa, con cui si è disposto l’obbligo di segnalare al-l’anagrafe dei rapporti finanziari non solo gli estremi dei rapporti, ma anche il saldo iniziale e finale, nonché gli importi totali di addebiti e accrediti

28, ha, infatti, innescato forti dubbi di violazione della normativa sulla privacy

29, che sono state evidenziate nel parere, sia pur positivo, reso dal Garante della privacy sul provvedimento dell’Agenzia delle entrate con cui si è data attua-zione alla norma in questione

30. Orbene, se questo è il contesto nel quale va inquadrata la spettanza dei

poteri istruttori degli Uffici fiscali e della polizia tributaria appaiono evidenti le difficoltà di estenderne l’utilizzo (a maggior ragione in mancanza di una espressa previsione legislativa) in ambiti differenti da quello fiscale, anche se connessi a situazioni in cui emergono interessi meritevoli di particolare tu-tela, come quelli relativi alla famiglia, nel caso di giudizi di separazione e di-vorzio

31.

sulla forza condizionante dell’art. 53 Cost. nei confronti della fase di attuazione del tributo v. altresì POGGIOLI, Riflessioni critiche in tema di operazioni fittizie e accertamento del reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 2008, II, p. 304 ss.

27 In questi termini v. BASILAVECCHIA, La tutela della riservatezza nelle indagini tributarie, in Corr. trib., 2009, p. 3577.

28 V. art. 11, del D.L. n. 201/2001. 29 Sul punto v. altresì MULEO, Il principio europeo dell’effettività della tutela e gli anacroni-

smi delle presunzioni legali tributarie alla luce dei potenziamenti dei poteri istruttori dell’ammi-nistrazione finanziaria, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 685.

30 Con riguardo a tale provvedimento, si possono prospettare dubbi di ragionevolezza e proporzionalità, posto che l’accesso alle movimentazioni bancarie non è subordinato alla valutazione del rischio di comportamenti infedeli del contribuente, e quindi all’intenzione di svolgere un’attività di accertamento nei sui confronti. L’esame delle risultanze bancarie e finanziarie viene di fatto condotto non solo per la rettifica del reddito imponibile, ma an-che, e in modo discutibile, per la selezione dei contribuenti da sottoporre a controllo.

31 Per una differente posizione v. PISTOLESI, op. cit., p. 855, il quale precisa che «se il potere istruttorio esercitabile dalla polizia tributaria combaciasse con quello del giudice non vi sarebbe ragione per fruire della collaborazione di tale organo».

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L’importanza della natura pubblica degli interessi tutelati dalle norme sui poteri istruttori degli Uffici finanziari è stata lucidamente evidenziata dalla Corte costituzionale nella nota sent. n. 51/1992 sul c.d. segreto bancario

32. In tale occasione il giudice delle leggi ha affermato che «al livello dei princi-pi costituzionali resta fermo che le scelte discrezionali del legislatore, ove si orientino a favore della tutela del segreto bancario, non possono spingersi fino al punto di fare di quest’ultimo un ostacolo all’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, ovvero fino al pun-to di farne derivare il benché minimo intralcio all’attuazione di esigenze co-stituzionali primarie, come quelle connesse all’amministrazione della giusti-zia e, in particolare, alla persecuzione dei reati». Si è poi aggiunto che al do-vere di riserbo a cui sono tenute le imprese bancarie non corrisponde un di-ritto costituzionalmente protetto per il cliente e che la sfera di riservatezza con la quale vengono tradizionalmente circondati i conti e le operazioni de-gli utenti dei servizi bancari è direttamente strumentale all’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici. Il dovere di riserbo non è quindi connesso alla protezione della sfera economica del contribuente

33. Sempre con riferimento alle indagini bancarie e finanziarie, la cui appli-

cazione certamente rappresenta un importante fattore che induce i giudici a disporre accertamenti tramite la polizia tributaria, non può non tenersi in de-bito conto il fatto che l’art. 7, comma 11, D.P.R. n. 605/1972, in tema di ana-grafe dei rapporti finanziari, prevede che le informazioni comunicate dagli intermediari possono esser utilizzate per espletare accertamenti tributari di-sciplinati dal D.P.R. n. 600/1973 e D.P.R. n. 633/1972 e per le attività di ri-scossione coattiva dei tributi, nonché da parte dell’autorità giudiziaria per l’espletamento di accertamenti finalizzati ad acquisire prove nel corso di procedimenti penali sia nella fase delle indagini preliminari che nelle fasi successive.

32 Sul tema si veda per tutti SCHIAVOLIN, Appunti sulla nuova disciplina delle indagini ban-carie, in Riv. dir. trib., 1992, I, p. 30; SACCHETTO, Il segreto bancario. Profili di tutela, in il Fi-sco, 1994, p. 8283; FICARI, Spunti in materia di documentazione bancaria ed accertamento dei redditi tra evoluzione normativa e dibattito giurisprudenziale, in Riv. dir. trib., 1995, I, p. 913; MULEO, “Dati”, “dabili” e “acquisibili”, nelle indagini bancarie tra prove ed indizi (e cenni mi-nimi sull’abrogazione delle sanzioni improprie), in Riv. dir. trib., 1999, II, p. 600; SERRANÒ, Indagini finanziarie e accertamento tributario, Torino, 2012.

33 Sul punto v. FRANSONI, Indagini finanziarie, diritto alla riservatezza e garanzie proce-dimentali, in Corr. trib., 2009, p. 3857.

Giuseppe Ingrao

321

La non inclusione dell’utilizzo dei dati contenuti nell’anagrafe dei rap-porti finanziari per le indagini connesse a questioni tipicamente civilistiche si giustifica appunto per la minore rilevanza degli interessi coinvolti rispetto a quelli connessi alla riscossione dei tributi, ovvero all’accertamento di fatti penalmente rilevanti.

Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 19 gennaio 2007, in tema di modalità e termini di comunicazione dei dati all’Anagrafe tributaria da parte degli operatori finanziari, prevede, in ogni caso, che i dati e le notizie siano utilizzate nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei contribuenti ed in particolare di riservatezza e protezione dei dati per-sonali. L’accesso alle informazioni ivi contenute da parte dell’autorità giudi-ziaria, e degli altri soggetti indicati nell’art. 4, D.I. 4 agosto 2000, n. 269, è subordinato alla stipula di apposite convenzioni.

5. Conclusioni

In definitiva, dalla generica formulazione normativa della legge sul divor-zio e dell’art. 155 c.c., non può desumersi un automatico utilizzo nel proce-dimento di separazione dei poteri istruttori che la polizia tributaria ha a di-sposizione quando effettua accertamenti fiscali.

La considerazione per cui, tramite l’utilizzo dei poteri fiscali da parte del-la polizia tributaria (chiamata in causa dal giudice), si appresterebbe una migliore tutela ai figli ed al coniuge debole in relazione alla determinazione dell’assegno di mantenimento

34, a mio avviso, non può indurre a sostenere la tesi opposta, in quanto, nonostante la meritevolezza dei valori, si finirebbe per trascurare il fatto che i poteri fiscali, altamente invasisi della sfera privata del contribuente, si giustificano esclusivamente per la tutela dell’interesse collettivo alla riscossione del tributo.

È quindi da escludere che il giudice civile possa formulare agli Uffici im-positori una richiesta di acquisizione di informazioni ritraibili dall’anagrafe

34 V. PISTOLESI, op. cit., pp. 855-856, il quale comunque evidenzia che la polizia tributaria non può disporre di tutte le attribuzioni che ne caratterizzano l’attività in sede tributaria pro-prio per la differente natura (pubblicistica e privatistica) degli interessi coinvolti e dovendosi comunque tener conto della richiesta del giudice e delle concrete esigenze dell’istruttoria. Inoltre aggiunge che l’esercizio dei poteri della Polizia tributaria in sede di accertamento tri-butario implica una interferenza nella sfera delle libertà individuali del privato che ben si giu-stifica in considerazione dell’interesse pubblico che contraddistingue tale attività.

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tributaria e da altre banche dati utilizzate dal Fisco per l’accertamento dei tributi

35. Parimenti è da escludere, nel caso in cui il giudice deleghi la polizia tributaria, che l’accertamento sui beni e i redditi dei coniugi possa avvenire con l’ausilio dei poteri istruttori fiscali.

D’altra parte, l’art. 2 del D.Lgs. n. 68/2001, in tema di adeguamento dei compiti della Guardia di finanza, stabilisce che essa si avvale dei poteri istruttori previsti dal D.P.R. n. 600/1973 e dal D.P.R. n. 633/1972 esclusi-vamente per lo svolgimento delle funzioni di politica economica e finanzia-ria a tutela del bilancio pubblico, in relazione alle materie espressamente de-scritte nel comma 2; e tra queste ultime non è indicata la ricerca e repres-sione delle violazioni di disposizioni sancite nel codice civile, anche se tute-lano interessi di peculiare meritevolezza quali sono quelli riconducibili alla famiglia.

È sostenibile, quindi, che la polizia tributaria, qualora il giudice civile di-sponga un accertamento dei beni, dei redditi e del tenore di vita dei coniugi, non possa avvalersi dei poteri che utilizza nel quando agisce per la repres-sione delle violazioni finanziarie.

In particolare, può acquisire dati presso la Camera di commercio, il Pub-blico registro automobilistico, la conservatoria dei registri immobiliari, può appurare l’iscrizione a circoli privati, può richiedere chiarimenti ai coniugi in relazione alla documentazione prodotta, ecc.

36. Inoltre il giudice istrutto-re può assegnare alla polizia tributaria

37 il compito di svolgere valutazioni tecniche sulla documentazione acquisita agli atti processuali.

Quanto detto consente, peraltro, di affermare che in nessun caso i fun-zionari del Fisco o della polizia tributaria possano subire procedimenti pe-nali per essersi rifiutati di fornire al giudice civile informazioni sulla posizio-ne bancaria e finanziaria dei coniugi, nonché altri dati ed elementi rinvenibi-li nell’anagrafe tributaria, o tramite esercizio dei poteri istruttori

38. Nella

35 In senso contrario v. Trib. Palermo, 18 gennaio 2008; App. Cagliari, 28 gennaio 2011. 36 In questi termini v. GANGEMI-RASI, Accertamento del reddito dei coniugi e limiti al se-

greto fiduciario, in Trust e attività fiduciarie, 2006, p. 556; MARCHETTI, Postilla alla nota “Accertamento del reddito dei coniugi e limiti al segreto fiduciario” ovvero molto rumore per nulla, ivi, 2006, p. 503.

37 In alternativa alla nomina di un consulente tecnico di ufficio. 38 È accaduto che l’Agenzia delle entrate sia si rifiutata di trasmettere al giudice istrutto-

re informazioni relative ai rapporti bancari e finanziari intrattenuti da un soggetto che era parte in giudizio di separazione. La Direzione regionale delle entrate, confortata dal parere della Direzione centrale accertamento, al proposito aveva evidenziato che in base alle dispo-

Giuseppe Ingrao

323

stessa misura deve escludersi che il coniuge, nei cui confronti il giudice ab-bia disposto un’indagine patrimoniale della polizia tributaria, possa subire un procedimento penale in relazione alla nuova fattispecie di reato introdot-ta dall’art. 11, D.L. n. 201/2011, consistente nell’esibire scritture, documen-ti e atti falsi in tutto o in parte, essendo questo comportamento penalmente rilevante solo se attuato in sede di indagini fiscali

39. Va notato, infine, che se l’Agenzia delle entrate abbia svolto un’attività di

controllo nei confronti di un coniuge conclusasi con la notifica di un atto di accertamento, allora i risultati dell’indagine fiscale devono essere esibiti al co-niuge richiedente, ovvero al giudice che ne abbia fatto richiesta, non sussi-stendo esigenze di segretezza dopo la conclusione del procedimento di accer-tamento.

sizioni normative vigenti l’utilizzo delle informazioni dell’anagrafe tributaria è circoscritto a questioni tributarie e penali, essendo così esclusa la sussistenza del potere di fornire in-formazioni da utilizzare nell’ambito di procedimenti civili. In ogni caso è stata evidenziata la mancanza di una apposita convenzione tra Agenzia e Ministero di Grazia e Giustizia che autorizzasse la trasmissione dei dati dell’anagrafe tributaria. Sul punto v. DELL’ARIA, Poteri e limiti del giudice istruttore nell’accertamento dei redditi e del patrimonio dei coniugi nei giudi-zi di separazione e divorzio, tra accertamenti di polizia tributaria e interrogazione dell’anagrafe tributaria – poteri di ufficio e refluenze penali, in www.diritto.it, 25 marzo 2010.

39 Il comportamento consistente nel dichiarare o fornire notizie non rispondenti al vero è punito penalmente solo se collegato alla copertura di reati tributari. Sulle criticità di tale previsione v. BASILAVECCHIA, Emersione (diretta o indiretta) degli imponibili, in Corr. trib., 2012, p. 40.

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Giuseppe Marini

NOTE IN TEMA DI ELUSIONE FISCALE, ABUSO DEL DIRITTO E APPLICAZIONE DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE*

REMARKS ON (TAX) AVOIDANCE, ABUSE OF RIGHT AND APPLICATION OF ADMINISTRATIVE PENALTIES

Abstract La Corte di Cassazione, con la sent. 30 novembre 2011, n. 25537, ha enunciato il principio secondo cui, ai fini della sanzionabilità amministrativa delle condotte elusive o abusive, è necessaria una espressa previsione legislativa; ciò porta ad escludere che una sanzione amministrativa in materia tributaria possa essere ap-plicata a fronte della violazione non di una precisa disposizione di legge ma di un principio generale, quale quello antielusivo, ritenuto immanente al sistema anche anteriormente alla introduzione di una normativa specifica. Parole chiave: elusione, abuso del diritto, principio di legalità, sanzioni ammini-strative, certezza del diritto In its decision No. 25537 of November 30, 2011, the Italian Supreme Court pointed out that the application of administrative penalties related to avoidance or abusive practices is subject to an express statutory provision. It follows that an administrative tax penalty cannot be applied to sanction the violation of a mere general principle, such as the anti-avoidance principle, which is deemed to be immanent in the legal sys-tem before the enactment of statutory provisions. Keywords: Tax avoidance, abuse of right, principle of legality, administrative penal-ties, legal certainty

* Il presente studio è stato svolto nell’ambito della ricerca “L’abuso del diritto nel dialogo tra Corti nazionali ed internazionali” finanziata dall’Istituto di Studi politici “S. Pio V”.

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SOMMARIO: 1. Ricostruzione giurisprudenziale dell’abuso del diritto in ambito tributario. – 2. Il problema della sanzionabilità delle condotte elusive/abusive. Tesi dottrinali e giurisprudenziali. – 3. La tesi sostanzialista nella giurisprudenza di legittimità. – 4. Considerazioni critiche. – 5. Il dise-gno di legge delega e prospettive de iure condendo.

1. Ricostruzione giurisprudenziale dell’abuso del diritto in ambito tributario

Nello studio dell’abuso del diritto in ambito tributario occorre muovere dalla ricostruzione giurisprudenziale della nozione, come essa è andata deli-neandosi attraverso l’interlocuzione tra le Corti nazionali e sovranazionali, sullo sfondo, in particolare, del diritto di matrice europea, dal quale l’elabo-razione domestica ha tratto la sua principale fonte di ispirazione

1. Vale la pena ripercorrere brevemente le fondamentali tappe di questa

evoluzione per coglierne elementi utili anche ai fini di una delle principali questioni che si agitano attorno all’accertamento dell’abuso, quella dell’ap-plicabilità delle sanzioni.

All’origine della vicenda, come è noto, sta una svolta della giurisprudenza comunitaria.

Con la sentenza Halifax del 21 febbraio 2006, per la prima volta il princi-pio dell’abuso, operante come tale anche al di fuori dei casi specifici previsti dalla normativa europea, è stato affermato dalla Corte di Giustizia in mate-ria tributaria: «la sesta direttiva in materia tributaria deve essere interpreta-ta come contraria al diritto del soggetto passivo di detrarre l’IVA assolta a monte, allorché le operazioni che fondano tale diritto integrino un compor-tamento abusivo». Si è altresì precisato che, affinché «possa parlarsi di com-portamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l’appli-cazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva, e della legislazione nazionale che le traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo persegui-to da quelle stesse disposizioni» e deve «altresì risultare, da un insieme di elementi obiettivi, che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale».

Da queste premesse la Corte trae la conseguenza che «ove si constati un comportamento abusivo, le operazioni implicate devono essere ridefinite in

1 Sulla giurisprudenza comunitaria in tema di abuso del diritto cfr. da ultimo PIANTA-VIGNA, Abuso del diritto fiscale nell’ordinamento europeo, Torino, 2011, p. 57 ss.

Giuseppe Marini

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maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato», pur rilevando – sempre sul piano delle conseguenze – che «la constatazione dell’esistenza di un comporta-mento abusivo non deve condurre a una sanzione, per la quale sarebbe ne-cessario un fondamento normativo chiaro e univoco, bensì e semplicemente a un obbligo di rimborso di parte o di tutte le indebite detrazioni dell’IVA assolta a monte» (punto 93).

Affermazioni non dissimili si ritrovano, peraltro, in un’altra sentenza del-la Corte di Giustizia, la decisione 14 dicembre 2000, C-110/99, Emsland-Stärke, richiamata dalla stessa sentenza Halifax, ove si afferma anche (punto 56) che «l’obbligo di rimborsare le restituzioni percepite, qualora l’esisten-za dei due elementi costitutivi di una pratica abusiva venisse confermata, non violerebbe il principio di legalità. Infatti, l’obbligo di rimborso non co-stituirebbe una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento giuridico chiaro e non ambiguo, bensì la semplice conseguenza della consta-tazione che le condizioni richieste per l’ottenimento del beneficio derivante dalla normativa comunitaria sono state create artificiosamente, rendendo indebite le restituzioni concesse e giustificando, di conseguenza, l’obbligo di restituzione».

Dalle decisioni della Corte di Giustizia, dotate della medesima cogenza riconosciuta alle norme comunitarie direttamente applicabili, la Cassazione ha tratto ispirazione e, quel che più conta, un preciso parametro di riferi-mento.

Con la sent. 5 maggio 2006, n. 10353 si afferma, infatti, che «la sesta di-rettiva aggiunge nell’ordinamento comunitario, direttamente applicabile in quello nazionale, alla tradizionale bipartizione dei comportamenti dei con-tribuenti in tema di IVA, in fisiologici e patologici (propri delle frodi fiscali), una sorta di tertium genus in dipendenza del comportamento abusivo ed e-lusivo del contribuente, volto a conseguire il solo risultato del beneficio fi-scale, senza una reale ed autonoma ragione economica giustificatrice delle operazioni economiche che risultano eseguite in forma solo apparentemen-te corretta ma in realtà elusiva».

Orientamento confermato dalla giurisprudenza successiva, la quale ha avuto anche modo di precisare che: i) «il disconoscimento del diritto alla deduzione per oneri derivanti da meccanismi elusivi [...] prescinde dall’ac-certamento della simulazione o del carattere fraudolento dell’operazione» (Cass., sent. 29 settembre 2006, n. 21221); ii) non sono idonee ad escludere l’abusività del comportamento «ragioni economiche meramente marginali

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e teoriche, inidonee a fornire una spiegazione alternativa dell’operazione ri-spetto al mero risparmio fiscale»; iii) «incombe sul contribuente fornire la prova dell’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di ca-rattere non meramente marginale o teorico» (Cass., sent. 4 aprile 2008, n. 8772; Cass., sent. 21 aprile 2008, n. 10257).

La Corte di Giustizia poi con la sentenza sul caso Part Service S.r.l. del 21 febbraio 2008, alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cor-te di Cassazione – per sapere se la nozione di abuso del diritto, definita dalla sentenza Halifax come «operazione essenzialmente compiuta ai fini di con-seguire un vantaggio fiscale», fosse da intendere nel senso che l’abuso di di-ritto ricorre solo quando la finalità del risparmio di imposta sia l’unica che giustifica l’operazione, o anche quando questa finalità si accompagni a ra-gioni economiche pur assolutamente marginali o irrilevanti – ha risposto che l’esistenza di una pratica abusiva può essere affermata anche qualora il vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale, ancorché non esclusivo, non essendo l’abuso impedito allorché nell’operazione concorrano – pur margi-nalmente – altre ragioni economiche.

L’estensione dell’abuso del diritto alle imposte sui redditi era già stata operata dalla Sezione tributaria della Corte di Cassazione facendo esclusi-vamente riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia sul caso Halifax e, dunque, al solo diritto europeo (Cass., sent. 29 settembre 2006, n. 21221; Cass., sent. 4 aprile 2008, n. 8772; Cass., sent. 21 aprile 2008, n. 10257; Cass., sent. 17 ottobre 2008, n. 25374). Le Sezioni Unite hanno, pertanto, proseguito in siffatto indirizzo ma con l’importante precisazione secondo cui l’esistenza di un principio generale antielusivo in tema di tributi non ar-monizzati deve essere rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria bensì «negli stessi princìpi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano e, in particolare, nei princìpi di capacità contributiva e di progressi-vità dell’imposizione» di cui all’art. 53 Cost.

Su queste basi, le Sezioni Unite (sentt. 23 dicembre 2008, nn. 30055 e 30057) hanno individuato un generale principio antielusivo, affermando che «l’esistenza nel sistema tributario di specifiche norme antielusive non con-trasta con l’individuazione di un generale principio antielusione, ma è piut-tosto sintomo dell’esistenza di una regola generale». Tale principio «pre-clude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’im-posta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’o-perazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici».

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Conclusione che non contrasta con la riserva di legge (art. 23 Cost.), non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì «nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in es-sere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali»

2, e che com-porta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventual-mente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vi-gore in epoca successiva al compimento dell’operazione.

Un indiretto conforto alla linea seguita dalla giurisprudenza nazionale sulla matrice non comunitaria del principio dell’abuso del diritto in materia di tributi non armonizzati si rinviene ora nella recente sentenza della Corte di Giustizia del 29 marzo 2012 (causa 3M Italia C-417/10), emessa sul rin-vio pregiudiziale formulato dalla Corte di Cassazione con ordinanza 4 ago-sto 2010, n. 18055, avente ad oggetto un caso di dividend stripping.

Nell’ordinanza di rinvio, prendendosi atto dell’orientamento della giuri-sprudenza di legittimità circa la fonte non comunitaria della clausola antie-lusione in materia di imposte non armonizzate, la Corte aveva chiesto ai Giudici comunitari:

– se il principio del contrasto all’abuso del diritto in materia fiscale, così come definito nelle sentenze Halifax e Part Service, costituisca un principio fondamentale del diritto comunitario soltanto in materia di imposte armo-nizzate e nelle materie regolate da norme di diritto comunitario secondario, ovvero si estenda, quale ipotesi di abuso di libertà fondamentali, alle materie di imposte non armonizzate, quali le imposte dirette, quando l’imposizione ha per oggetto fatti economici transnazionali, quale l’acquisto di diritti di godimento da parte di una società su azioni di altra società avente sede in altro Stato membro o in uno Stato terzo;

– a prescindere dalla risposta al precedente quesito, se sussista un inte-resse di rilevanza comunitaria alla previsione, da parte degli Stati membri, di adeguati strumenti di contrasto all’elusione fiscale in materia di imposte non armonizzate.

In risposta ai quesiti posti dalla Cassazione, la Corte di Giustizia ha rite-nuto l’esclusiva competenza degli Stati membri in materia d’imposizione di-retta, salvo il rispetto dei princìpi generali e dei diritti fondamentali del dirit-

2 Così testualmente Cass., sez. un., sent. 23 dicembre 2008, n. 30055.

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to comunitario, affermando che «è giocoforza constatare che nel diritto del-l’Unione non esiste alcun principio generale dal quale discenda un obbligo per gli Stati membri di lottare contro le pratiche abusive nel settore della fi-scalità diretta».

2. Il problema della sanzionabilità delle condotte elusive/abusive. Tesi dot-trinali e giurisprudenziali

2.a) Tra i vari dubbi che il tema dell’abuso solleva, di particolare rilievo risulta quello relativo alla sanzionabilità, amministrativa e/o penale, delle con-dotte elusive o abusive

3.

3 Allo stato della elaborazione giurisprudenziale l’elusione di cui all’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973 e l’abuso (avente fonte comunitaria per i tributi armonizzati e costituzionale per i tributi non armonizzati) finiscono sostanzialmente per coincidere, in quanto feno-meni omogenei, e il loro rapporto dovrebbe essere risolto in base al principio di specialità. In dottrina sul tema cfr. tra gli altri FRANSONI, Abuso del diritto, elusione e simulazione: rap-porti e distinzioni, in Corr. trib., 2011, p. 13 ss., secondo il quale è «palese che le due norme – quella recata dall’art. 37-bis e quella contenuta nel principio generale [di cui all’art. 53 Cost.] – coincidono per quanto attiene all’efficacia «prescrittiva» (ossia la non opponibi-lità all’Amministrazione di talune condotte) e all’individuazione dei caratteri generali delle condotte non opponibili. Esse si differenziano, invece, per ciò che attiene all’ambito di ri-ferimento delle condotte medesime: il generale principio antielusivo elaborato dalla giuri-sprudenza riguarda qualunque operazione; viceversa, la disposizione semigenerale di cui all’art. 37-bis ha ad oggetto solo talune operazioni fiscali elencate nel terzo comma»; LA ROSA, Abuso del diritto ed elusione fiscale: differenze ed interferenze, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 707 ss.; FICARI, Spigolature tributarie sulla rilevanza sanzionatoria della condotta elusiva ed abusiva, in corso di pubblicazione in Riv. dir. trib., nel senso della diversità e della nulla parentalità dei due fenomeni; BEGHIN, Evoluzione e stato della giurisprudenza tributaria: dalla nullità negoziale all’abuso del diritto nel sistema impositivo nazionale, in MAISTO (a cu-ra di), Elusione ed abuso del diritto tributario, Milano, 2009, p. 23 ss.; ID., L’abuso del diritto tra capacità contributiva e certezza dei rapporti Fisco-contribuente, in Corr. trib., 2009, p. 823 ed ivi nota 4; ZIZZO, L’elusione tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario: defi-nizioni a confronto e prospettive di coordinamento, in MAISTO (a cura di), op. cit., p. 57 ss.; CIPOLLINA, Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili interni e comunitari, in Giur. it., 2010, p. 7 ss. Già da tempo FALSITTA, Spunti critici e ricostruttivi sull’errata commistione di simula-zione ed elusione nell’onnivoro contenitore detto “abuso del diritto”, in Riv. dir. trib., 2010, II, p. 350, stigmatizzava la commistione tra elusione/abuso da un lato ed evasione dall’altro operata in giurisprudenza «che tende ad inglobare nella categoria dell’abuso del diritto tributario una serie di comportamenti del contribuente che si possono ascrivere de plano, e da che mondo è mondo sempre sono stati incasellati, nella categoria della simulazione o, detto diversamente, della ingannevole (falsa) rappresentazione – messa in scena dal con-tribuente – dei fenomeni della realtà rilevanti per il diritto tributario».

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Limiteremo in questa sede l’esame al primo aspetto, anche se talune con-siderazioni possono considerarsi riferibili anche al secondo

4. Due recenti sentenze della Corte di Cassazione, una della sezione tributa-

ria (Cass., sent. 30 novembre 2011, n. 25537 5), l’altra di quella penale (Cass.,

sent. 28 febbraio 2012, n. 7739), hanno sancito la sanzionabilità dei compor-tamenti elusivi, sia sotto il profilo amministrativo che sotto quello penale.

Sentenze che si uniformano alla tesi autorevolmente avanzata 6, secondo

cui l’unica condizione perché le sanzioni si applichino è che, al pari dell’eva-sione, sussista una maggiore imposta cui il contribuente si è sottratto pari alla differenza tra quanto dichiarato e quanto effettivamente dovuto.

Se l’elusione ridonda in una infedele dichiarazione dei redditi 7 la norma

astrattamente applicabile è, come noto, quella di cui all’art. 1, D.Lgs. n. 471/ 1997 in base alla quale «se nella dichiarazione è indicato [...] un reddito imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzio-ne amministrativa dal cento al duecento percento della maggior imposta o della differenza del credito».

Ciò posto, il problema dell’irrogabilità delle sanzioni a seguito e per l’effetto dell’applicazione della norma semigenerale antielusiva di cui all’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973 è stato tradizionalmente affrontato e risolto in

4 Cfr. da ultimo DELLA VALLE, Brevi note in tema di rilevanza sanzionatoria della condotta elusiva/abusiva, in Rass. trib., 2012, p. 1118 ss.

5 Di recente la Cassazione è tornata sul tema con ord. 30 gennaio 2013, n. 2234 con la quale è stato rigettato il ricorso proposto dalla contribuente e confermata la legittimità del-la irrogazione delle sanzioni. Nella stringata motivazione di tale ordinanza, diversamente da quanto affermato con la sent. n. 25537/2011, sembrerebbe irrilevante, ai fini sanziona-tori, la distinzione tra elusione codificata ed elusione non codificata. Infatti, pur vertendo-si, nella fattispecie de qua, in materia oggetto di elusione codificata (la pretesa impositiva azionata con l’impugnato avviso di liquidazione era relativa all’imposta di registro per la quale vige la norma antielusiva di cui all’art. 20, D.P.R. n. 131/1986), si afferma che «ai fini dell’applicazione delle sanzioni è irrilevante se il minor versamento deriva da una vio-lazione, oppure da una elusione, di norme impositive», e che l’applicabilità delle sanzioni consegue «al minor versamento di qualunque tipo di imposta».

6 Cfr. GALLO, Rilevanza penale dell’elusione fiscale, in Rass. trib., 2001, p. 321 ss., e NUSSI, Elusione tributaria ed equiparazione al presupposto nelle imposte sui redditi, in Riv. dir. trib., 1998, I, p. 505 ss. In tal senso anche SCREPANTI, Elusione fiscale, abuso del diritto e applica-zione delle sanzioni amministrative e penali, in Rass. trib., 2011, p. 418.

7 Vi sono comportamenti elusivi che non rifluiscono in violazioni dichiarative (si pensi, ad esempio, all’omessa effettuazione di ritenute sui redditi indicati nel Modello 770).

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ragione della differente qualificazione e natura che si era portati a riconosce-re alla disposizione medesima

8. Oggi il problema si pone anche riguardo agli accertamenti fondati sul divieto di abuso, come principio generale, ela-borato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, operante come tale al di fuori dei casi edittali.

Quanto alla cosiddetta “elusione codificata” 9, negano l’applicazione delle

sanzioni quelle opinioni secondo le quali l’art. 37 bis rappresenterebbe una norma di natura meramente procedurale, indirizzata alla sola Amministra-zione finanziaria e diretta a disciplinare l’esercizio di un peculiare potere della stessa amministrazione. A sostegno di questa impostazione si adduco-no vari argomenti: la collocazione sistematica della disposizione nell’ambito del decreto specificamente dedicato all’accertamento (D.P.R. n. 600/1973), piuttosto che nel tessuto sostanziale dell’imposizione fornito dal TUIR, come pure la previsione di un peculiare procedimento in contraddittorio in cui l’Amministrazione non solo «disconosce i vantaggi tributari» ma, so-prattutto, applica «le imposte determinate in base alle disposizioni eluse». Discende da tale ricostruzione come necessario presupposto per l’applica-zione dell’art. 37 bis sia l’intervento dell’Amministrazione finanziaria e la ne-gazione in capo al contribuente di un obbligo (assistito da sanzione in caso di sua inosservanza) di dare spontanea applicazione alla regola (disconoscen-do, sul piano fiscale, gli effetti delle operazioni compiute), in sede di predi-sposizione della propria dichiarazione

10. Si aggiunge che nel testo dell’arti-

8 Sul punto MARCHESELLI, Elusione, buona fede e principi del diritto punitivo, in Rass. trib., 2009, p. 401 ss., il quale partendo «dall’interrogativo su cosa sia l’elusione» – ovvero «il pro-fittamento da parte del contribuente delle maglie lasciate aperte dalla lettera della legge» – giunge ad affermare che «stabilire se un contribuente debba essere o meno punito per una pratica elusiva corrisponde allora a stabilire se debba prevalere il dovere del contribuente di individuare lo spirito della legge e salvaguardarlo dalla lettera della legge stessa, in supplenza del legislatore, ovvero il dovere (o meglio l’onere) del legislatore di formulare leggi coerenti con le loro finalità e con lo spirito che le anima [...]. Se si ritenesse prevalere il dovere del contribuente si andrebbe in contrasto con i principi di buona fede, ragionevolezza e proporzio-nalità, che, elevati al livello dei rapporti tra legislatore e cittadino, implicano che ciascuno de-gli attori si dovrebbe attivare ragionevolmente, nell’esercizio dei suoi doveri e poteri, e nel limite del sacrificio accettabile, per preservare le ragioni dell’altra parte».

9 Sintagma attribuito a DEL FEDERICO, Elusione e illecito tributario, in Corr. trib., 2006, p. 3110 ss.

10 TESAURO, Elusione e abuso nel diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 692 ss.; CORRADO, Elusione tributaria, abuso del diritto (comunitario) e in applicazione delle sanzioni amministrative in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 580 ss.; BASILAVECCHIA, Presupposto ed effetti del-la sanzionabilità dell’elusione, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 799.

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colo manca ogni previsione riferita all’irrogazione delle sanzioni (il comma 6, inibendo la riscossione fino alla sentenza di I grado, si riferisce, in effetti, alla sola maggiore imposta e agli interessi, trascurando le sanzioni).

In questo senso, si sono pronunciate numerose Commissioni di merito. Sulla stessa linea, ma in una diversa prospettiva, si sostiene che l’art. 37 bis

andrebbe letto come norma volta a imporre all’Amministrazione finanziaria un’interpretazione analogica, «vale a dire l’estensione a fattispecie atipiche o innominate del regime fiscale (più oneroso) previsto dalla legge per atti o negozi o relativi collegamenti tipici o nominati purché le due serie produca-no risultati simili»

11. Ai fini che qui occupano, in ogni caso, anche per questa tesi le sanzioni non

sarebbero applicabili, posto che l’analogia esclude, per definizione, la possi-bilità di soddisfare i princìpi di tassatività e di legalità, che debbono informa-re il sistema sanzionatorio

12. Va anche ricordata la tesi della sanzione impropria, secondo cui le con-

seguenze dell’elusione riconosciuta come tale ex art. 37 bis sarebbero di at-tribuire al disconoscimento dei vantaggi tributari non la natura di prelievo d’imposta, bensì di sanzione pecuniaria commisurata all’ammontare dell’im-posta elusa. In tale ottica non risulterebbe quindi ipotizzabile anche l’ulte-riore irrogazione di una sanzione propria (quella in ipotesi prevista dall’art. 1, D.Lgs. n. 471/1997).

In questo senso si rinvengono precedenti nella giurisprudenza di merito 13.

La soluzione opposta, che propende per l’applicazione delle sanzioni, as-segna alla norma in commento natura sostanziale, diretta a disciplinare non tanto l’esplicarsi di un potere dell’Amministrazione, ma funditus i corretti termini del dovere di contribuzione, ossia la misura della manifestazione di capacità contributiva colta dalla specifica imposta. Questa natura implica uno specifico dovere per il contribuente, che ne risulterebbe diretto destina-tario, di farne applicazione in sede di compilazione della dichiarazione dei

11 Così FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2012, p. 224. 12 In tal senso, FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa” tra opponibilità simulazione e

riqualificazione, in Riv. dir. trib., 2010, p. 1126 ss., secondo cui «la rilevazione della natura “elusiva” od “abusiva”, ovvero la “riqualificazione” di un’operazione non [può] mai deter-minare l’applicazione di sanzioni fiscali penali», e che «allo stato attuale della normativa di rango primario, nessuna sanzione afflittiva può essere applicata in relazione al ricono-scimento della natura elusiva di un’operazione».

13 CTP Milano, sent. 13 dicembre 2006, n. 278.

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redditi. Con la conseguenza di dover subire, in caso di omissione, l’applica-zione delle sanzioni per infedele dichiarazione.

Va pure osservato che anche chi riconosce all’art. 37 bis natura sostanziale e, per questa via, conclude per la sanzionabilità del contribuente che, in sede di dichiarazione non ne abbia fatto applicazione, ammette la possibilità di ve-rificare, caso per caso, la sussistenza di un’obiettiva condizione di incertezza ex art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997

14. Questa prospettiva sembra sostenu-ta, soprattutto, sulla base della necessità di conformare il regime punitivo ad esigenze di giustizia ed equità, escludendo dall’applicazione della misura san-zionatoria quei comportamenti non dotati di una significatività manifesta e che permangono in un quadro dubbio e di effettiva incertezza. Di questo av-viso appare anche un filone giurisprudenziale della Suprema Corte

15. 2.b) Può osservarsi incidentalmente come, nella discussione tra le oppo-

ste prospettazioni, non decisivo sia parso l’argomento – emerso anche nella giurisprudenza più recente – legato al disposto del comma 6 dell’art. 37 bis. La lettera della disposizione non fornisce sostegno, in realtà, né all’una né al-l’altra tesi.

14 Sulla scusabilità dell’errore del contribuente nei cui confronti sia contestato l’abuso del diritto cfr. CORDEIRO GUERRA, Non applicabilità delle sanzioni amministrative per la vio-lazione del divieto dell’abuso del diritto, in Corr. trib., 2009, p. 771 ss. In giurisprudenza cfr. Cass., sent. 25 maggio 2009, n. 12042 secondo cui è configurabile l’esimente in questione in ragione dell’incertezza che regnava all’epoca dei fatti di causa sull’esistenza o meno di un generale potere antielusivo (con nota di FICARI, Principio di collaborazione e buona fede, disapplicazione delle sanzioni amministrative tributarie ed abuso del diritto nelle imposte sul reddito, in Il Fisco, 2009, p. 5319 ss., ad avviso del quale l’incertezza relativa alla natura elu-siva dell’operazione, «avendo natura non normativa, ma fattuale e dipendendo di volta in volta da circostanze empiriche relative alla qualificazione di un fatto rispetto ad un unico dettato, non potrebbe soddisfare i requisiti per la disapplicazione di cui all’art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997»). In argomento v. FIORENTINO, Qualificazione fiscale dei contratti di impresa: abuso e sanzionabilità, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 193, ad avviso del quale nel caso dell’abuso non vi è illecito, illecito che è invece presupposto dall’esimente della obiet-tiva incertezza della normativa tributaria; CARINCI, Elusione tributaria, abuso del diritto ed applicazione delle sanzioni amministrative in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 793 ss., ad avviso del quale la sanzionabilità sarebbe esclusa in considerazione del fatto che l’art. 37 bis è una “norma sulle norme” che si limita ad autorizzare l’Agenzia a non applicare alcune norme ed applicarne altre.

15 Cass., sent. 23 marzo 2012, n. 4685; in argomento cfr. da ultimo LOGOZZO, La scu-sante dell’illecito tributario per obiettiva incertezza della legge, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 387 ss., e, tra gli altri, COLLI VIGNARELLI, Elusione, abuso del diritto e applicabilità delle sanzioni amministrative, in Boll. trib., 2009, p. 677 ss.

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Da un lato, il comma stabilisce che «le imposte o le maggiori imposte accertate [...] sono iscritte a ruolo», senza alcun riferimento espresso alle sanzioni; sennonché la mancanza di una menzione espressa non assume de-cisa rilevanza nel senso di escludere l’applicabilità delle sanzioni, dal mo-mento che il rinvio della riscossione delle imposte al momento della pro-nuncia del primo giudice si giustifica in relazione ad esigenze di “prudenza” nell’applicazione di una normativa di particolare complessità, mentre, quanto alle sanzioni, tale precauzione era comunque assicurata secondo la normativa vigente al momento dell’introduzione dell’art. 37 bis, che le voleva riscuoti-bili solo dopo l’ultima pronuncia non impugnata o impugnabile per cassa-zione.

Dall’altro, il riferimento indiretto alle sanzioni non è sembrato univoca-mente espressivo di una netta volontà legislativa di ritenere applicabile la sanzione amministrativa all’accertamento della fattispecie elusiva tipizzata, ma sarebbe da considerare una necessaria conseguenza compilativa, impo-sta dal tenore della norma richiamata, che, al momento dell’introduzione dell’art. 37 bis, concerneva appunto la riscossione del tributo e delle sanzioni (riferimento poi venuto meno per effetto dell’art. 19, D.Lgs. n. 472/ 1997, rubricato “Esecuzione delle sanzioni”).

Detto altrimenti, le diverse posizioni emerse muovono da differenti pun-ti di vista: il disconoscimento dell’abuso come fatto di genesi legislativa e, prima ancora, costituzionale, ovvero come risultato di un’attività ammini-strativa di accertamento.

Secondo la teoria affermativa della sanzionabilità il disconoscimento de-riva direttamente dalla legge ed è connesso all’esigenza di assicurare che l’obbligazione d’imposta sia conformata, sin dall’origine, ai princìpi costitu-zionali, segnatamente quello della capacità contributiva. In questa prospet-tiva grava sul contribuente, in presenza di una o di una serie di operazioni aventi il connotato dell’elusività alla stregua dell’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/ 1973, indicare gli imponibili e liquidare le imposte in dichiarazione, appli-cando le disposizioni aggirate e non opponendo, fin da subito, all’Ammini-strazione finanziaria i vantaggi tributari conseguenti alle operazioni compiute.

A questa impostazione si oppone la tesi secondo cui il disconoscimento non può che conseguire ad una attività istruttoria procedimentale dell’am-ministrazione. La dichiarazione diventa infedele, a posteriori, una volta esau-rito tale procedimento; il contribuente, pertanto, non compie violazione al-cuna al momento della presentazione della dichiarazione e quindi non è san-zionabile.

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Sotto tale profilo, l’orientamento delineatosi nella recente giurispruden-za della Cassazione sembra decisamente propendere nel senso che il disco-noscimento dell’elusione derivi, in via immediata, direttamente dalla legge e anzi trovi diretto fondamento nella Costituzione.

Indipendentemente dalla genesi del disconoscimento come fatto derivan-te dalla legge ovvero risultato di un procedimento amministrativo, il dato rilevante è che l’elusore riconosciuto come tale ha presentato una dichiara-zione nella quale sono indicati un imponibile ed un’imposta inferiori a quelli accertati. Tanto sarebbe sufficiente per far scattare la sanzionabilità ai sensi dell’art. 1, D.Lgs. n. 471/1997.

Questa conclusione si vuole giustificata, in via generale, anche in relazione a ragioni di giustizia ed eguaglianza di trattamento tra fattispecie non dissi-mili sul piano degli effetti, in termini, cioè, di riduzione dell’imposta dovuta: il rispetto del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in combinato con il dovere di concorso in ragione della capacità contributiva ex art. 53 Cost., imporrebbe pertanto un trattamento non differenziato anche quanto ai pro-fili sanzionatori.

Si fa notare, tuttavia, come queste considerazioni valgono solo se esiste e venga applicata una norma specifica, rivolta a contrastare il fenomeno elusi-vo. Infatti laddove tale norma non venga applicata o venga estesa oltre i casi espressamente previsti, il soggetto non è posto in grado di rappresentarsi con certezza se un dato comportamento è espressamente previsto come illecito da una norma di legge, in contrasto con il principio di stretta legalità (e con le sue declinazioni di tassatività e sufficiente determinatezza delle disposi-zioni punitive), che connota il sistema sanzionatorio, anche amministrativo.

Se, come chiarito dalla Cassazione, il riconoscimento di un generale di-vieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nell’im-posizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo sco-po di eludere l’applicazione di norme fiscali, e come tale non viola l’art. 23 Cost., una più pregnante copertura legislativa deve assistere il regime puni-tivo, in materia sia amministrativa sia penale.

Ne risulta che nei casi di inopponibilità dei comportamenti elusivi conte-stati seguendo le procedure di cui all’art. 37 bis ma per materie e comporta-menti non ivi tassativamente previsti, così come, a maggior ragione, nei casi in cui si prescinda dalla disposizione specifica, ricorrendo al principio ge-nerale, le sanzioni amministrative (e, a maggior ragione, quelle penali) non possono applicarsi.

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Viene, pertanto, in considerazione il principio, sancito dalla Corte di Giu-stizia nella sentenza Halifax, prima menzionato, secondo cui «la constata-zione dell’esistenza di un comportamento abusivo non deve condurre ad una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro ed univoco».

Altra e diversa questione è quella relativa alla non applicabilità delle san-zioni per obiettiva incertezza che l’individuazione della portata e dell’ambi-to di applicazione dell’art. 37 bis e del principio generale antiabuso potreb-bero recare con sé, ricorrendo in fattispecie particolarmente complesse.

Dubbio è, a mio avviso, un ricorso generalizzato a tale esimente, atteso che le incertezze interpretative possono assumere rilievo solo in quanto ap-prezzate alla luce del complessivo e concreto atteggiarsi della fattispecie, nei singoli casi, molti dei quali appaiono “privi di valide ragioni economiche”.

Occorre, tuttavia, considerare che la valutazione della sussistenza o meno, nelle singole fattispecie concrete, delle ricordate “valide ragioni economiche” è successiva rispetto a quella della sussistenza – sempre nelle singole fattispe-cie concrete – di un indebito vantaggio fiscale; e ciò in quanto laddove tale vantaggio fosse pienamente legittimo, la condotta del contribuente potrebbe anche non essere assistita o giustificata da alcuna ragione economica.

Ne consegue che non possono escludersi casi in cui il contribuente, che ha agito in assenza di una valida ragione economica, ritenga di aver comun-que realizzato un vantaggio fiscale lecito diversamente da quanto accertato dall’Amministrazione finanziaria, con evidenti ed obiettive condizioni di in-certezza nell’applicazione della norma tributaria di cui all’art. 37 bis.

3. La tesi sostanzialista nella giurisprudenza di legittimità

La Corte di Cassazione, con la sent. 30 novembre 2011 16, n. 25537,

sembra aderire alla tesi sostanzialista. Due sono i passaggi da sottolineare (sui quali sostanzialmente sembra

poggiare anche la motivazione della sentenza della Cass. pen. 28 febbraio 2012, n. 7739

17):

16 La sentenza è annotata da CONTRINO, Sull’ondivaga giurisprudenza in tema di appli-cabilità delle sanzioni amministrative tributarie nei casi di elusione codificata e abuso/elusione, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 261 ss.; si rinvia alla nota 5 per le osservazioni in merito ai più recenti arresti giurisprudenziali sul tema.

17 Per un commento della sentenza cfr. DELLA VALLE, op. cit., p. 1118 ss.; BASILAVECCHIA,

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– la legge non considera per l’applicazione delle sanzioni quale criterio scriminante la violazione della legge o la sua elusione o aggiramento, essen-do necessario e sufficiente che le voci di reddito evidenziate nella dichiara-zione siano inferiori a quelle accertate o siano “indebite” secondo quanto espressamente menzionato nel comma 1 dell’art. 37 bis citato. In sostanza le sanzioni si applicano per il solo fatto che la dichiarazione del contribuente sia difforme rispetto all’accertamento

18. Un percorso analogo è seguito per affermare la rilevanza penale della

condotta elusiva. L’art. 1, lett. f), D.Lgs. n. 74/2000 fornisce una definizione molto ampia dell’imposta evasa: «la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contri-buente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della sca-denza del relativo termine», definizione questa idonea a ricomprendere l’im-posta elusa, che è, appunto, il risultato della differenza tra l’imposta effetti-vamente dovuta, cioè quella della operazione che è stata elusa, e l’imposta dichiarata, cioè quella autoliquidata sull’operazione elusiva;

– per l’applicazione di sanzioni, vigendo il principio di stretta legalità tratto dalla normativa in materia penale (D.P.R. n. 472/1997), è necessaria una norma che espressamente le preveda. Tale ultima considerazione, cer-tamente condivisibile, porta ad escludere che una sanzione amministrativa in materia tributaria possa essere applicata a fronte della violazione non di una precisa disposizione di legge ma di un principio generale, quale quello antielusivo ritenuto immanente al sistema anche anteriormente alla intro-duzione di una normativa specifica, come ritenuto dalla Corte (Cass., sez. un., sent. 23 dicembre 2008, n. 30055) e dalla giurisprudenza comunitaria. Riguardo alla quale può rammentarsi che la sentenza Halifax dichiara espressamente che «la constatazione della esistenza di un comportamento

Quando l’elusione costituisce reato, in Riv. giur. trib., 2012, p. 385 ss.; ESCALAR, Un caso esem-plare di trasformazione indebita del divieto di abuso del diritto in norma impositiva in bianco, in Riv. giur. trib., 2012, p. 385 ss.

18 La Corte aggiunge in proposito l’argomento letterale fondato sul testo del comma 6 della disposizione, secondo cui le maggiori imposte accertate sono iscritte a ruolo «secon-do i criteri di cui all’art. 68, D.Lgs. n. 546 del 1992, concernente il pagamento dei tributi e delle sanzioni pecuniarie in corso di giudizio», ciò renderebbe evidente che il legislatore ritiene l’applicazione di sanzioni come effetto naturale dell’esito dell’accertamento in ma-teria di atti elusivi. Sulla forza dell’argomento abbiamo già detto.

Giuseppe Marini

339

abusivo non deve condurre ad una sanzione per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro e univoco».

Le medesime considerazioni sono svolte per segnare il limite della rilevan-za penale delle pratiche elusive, posto che, ad avviso del giudice di legittimità, «non qualunque condotta elusiva ai fini fiscali può assumere rilevanza penale, ma solo quella che corrisponde ad una specifica ipotesi di elusione espressa-mente prevista dalla legge». Una responsabilità penale può sussistere, dun-que, solo con riferimento alla realizzazione di una delle condotte elencate nel comma 3 dell’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973 (o anche delle condotte che possano dare luogo ad un’interposizione fittizia ex art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973, qualora si ritenga che possa questa costituire una forma di elu-sione fiscale

19), in relazione alle quali può essere chiesto, tramite la procedura d’interpello prevista dall’art. 21, L. n. 413/1991, il parere preventivo dell’Am-ministrazione finanziaria. Al contrario e per le stesse ragioni, la Corte esclude che possano essere fonte di responsabilità penale le condotte che, pur non es-sendo riconducibili nell’elenco di cui al comma 3 dell’art. 37 bis, siano co-munque da qualificarsi come elusive ai sensi della nozione di abuso del diritto elaborata dalla giurisprudenza interna e comunitaria. La Corte, nella consa-pevolezza di come il generale principio antielusivo sia suscettibile di applica-zione generalizzata, mostra, dunque, di condividere l’opinione di chi ne ha e-videnziato la ontologica atipicità. Ad avviso della Corte, pertanto, «nel cam-po penale non può affermarsi l’esistenza di una regola generale antielusiva, che prescinda da specifiche norme antielusive, così come, invece, ritenuto dalle citate Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione, mentre può affermarsi la rilevanza penale di condotte che rientrino in una specifica disposizione fiscale antielusiva».

4. Considerazioni critiche

Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità non mi sem-brano dirompenti né tanto meno sfornite di un adeguato sostegno teorico.

19 Cass., sent. 10 giugno 2011, n. 12788 e sent. 15 aprile 2011, n. 8671, con nota di BA-SILAVECCHIA, L’interposizione soggettiva riguarda anche comportamenti elusivi?, in Corr. trib., 2011, p. 2968 ss.; per la tesi della rilevanza penale ex art. 3, D.Lgs. n. 74/2000 di condotte elusive basate sull’interposizione soggettiva, v. IELO, Mezzi fraudolenti, simulazione contrat-tuale e falsità contabile, in Il Fisco, 2010, p. 3789.

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È forse vero che esse si inseriscono in un quadro applicativo complesso e, come detto, profondamente innovato dalla giurisprudenza degli ultimi anni, creando un’asimmetria nel sistema punitivo, che effettivamente pone l’esi-genza di un intervento normativo.

Come è stato osservato, quel che suscita perplessità è che distinguere tra elusione codificata ed elusione non codificata onde ritenere penalmente o amministrativamente rilevante sul piano sanzionatorio, per ragioni ricondu-cibili al principio di legalità e certezza del diritto, solo la prima, finisce con il separare concettualmente elusione ed abuso (quest’ultimo fenomeno copre evidentemente l’area dell’elusione non codificata) rendendo il sistema san-zionatorio penale e amministrativo di dubbia costituzionalità

20. Viene, in particolare, denunciato il rischio che in tal modo si renda arbi-

tro della rilevanza penale del comportamento elusivo/abusivo la stessa Am-ministrazione finanziaria; se, infatti, l’art. 37 bis e le specifiche norme antie-lusive sono la testimonianza positiva di un principio antiabuso non scritto ricavabile vuoi dall’ordinamento comunitario quanto ai tributi armonizzati, vuoi dall’art. 53 Cost. quanto ai tributi non armonizzati, e l’Amministrazio-ne finanziaria è libera nella selezione dell’uno o dell’altro strumento (tra l’al-tro quello dell’abuso rilevabile d’ufficio dal Giudice), la scelta dello strumento finisce con il determinare l’effetto sanzionatorio. Infatti, eletta la via dell’a-buso non vi sarebbe rilevanza penale; eletta la via dell’elusione codificata, al-l’opposto, scatterebbe la rilevanza penale della condotta.

Questa incoerenza si avverte con immediatezza se si pone mente al fatto che il settore dell’IVA, com’è noto, risulta sfornito di una clausola antielusi-va semigenerale del tipo dell’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973 sicché la reazio-ne al comportamento elusivo/abusivo è ivi prevalentemente affidata al prin-cipio generale antiabuso (qui di derivazione europea)

21. Ne consegue una asimmetria sanzionatoria tra comparto delle imposte

sui redditi (e, quanto al sistema sanzionatorio amministrativo, dell’IRAP), da un lato, e comparto IVA, dall’altro, che non ha precedenti nel nostro or-dinamento e non si giustifica in alcun modo

22.

20 Peraltro, come già sottolineato alla nota 5, la stringata motivazione della recente ord. 30 gennaio 2013, n. 2234 potrebbe indurre a ritenere superata, ai fini della rilevanza san-zionatoria, la distinzione tra elusione codificata ed elusione non codificata.

21 Sull’elusione/abuso nel sistema dell’IVA, tra gli altri, cfr. SALVINI, L’elusione IVA nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, in Corr. trib., 2006, p. 3097 ss., e PAROLINI, Com-menti a margine sulla dottrina dell’abuso del diritto applicata all’imposta sul valore aggiunto, in MAISTO (a cura di), op. cit., p. 407 ss.

22 DELLA VALLE, op. cit., p. 1124.

Giuseppe Marini

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5. Il disegno di legge delega e prospettive de iure condendo

Alle soluzioni giurisprudenziali segue un intervento legislativo che si pro-fila, a questo punto, come necessario.

Come noto, il disegno di legge di riforma fiscale, approvato dal Consiglio dei Ministri presieduto dal Sen. Mario Monti il 16 aprile 2012

23, reca una specifica delega al Governo finalizzata all’introduzione nel sistema tributa-rio di una definizione generale di abuso del diritto, da unificare con quella dell’elusione fiscale, rendendola applicabile a tutti i tributi. La delega preve-de anche specifiche regole procedimentali destinate a garantire un confron-to con l’Amministrazione finanziaria e a salvaguardare il diritto di difesa del contribuente.

L’intervento – si legge nella relazione governativa – si rende necessario per contemperare l’aspettativa delle imprese di operare in un quadro più stabile e certo con la necessità per il fisco di disporre di uno strumento più efficace per la lotta ai fenomeni elusivi. La definizione di una serie di “punti fermi” ha effetti positivi anche per l’Amministrazione finanziaria, che può svolgere con maggiore rapidità ed efficacia la sua funzione di contrasto del-l’elusione, indirizzando la propria attenzione sui casi meno dubbi e ridu-cendo così le possibilità di contenzioso e l’incertezza sulle sanzioni.

Quanto allo specifico tema della sanzionabilità dell’abuso sul piano pe-nale, può segnalarsi come l’influenza della giurisprudenza sembra aver con-dotto ad una “correzione” in corso d’opera, nel lasso di tempo intercorrente dall’approvazione in Consiglio dei Ministri alla presentazione alle Camere, mediante la eliminazione dal testo del disegno di legge, attualmente in corso di esame al Senato, della disposizione che escludeva tout court la rilevanza penale dell’abuso.

È interessante notare come, intervenendo in audizione alla Commissio-ne Finanze e Tesoro del Senato nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sulla riforma fiscale l’allora Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze Grilli af-fermava: «verrà anche attuata una revisione del sistema sanzionatorio pena-le secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravi-tà dei comportamenti. In proposito verrà dato più rilievo al reato tributario per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e uti-

23 Il riferimento è al disegno di legge trasmesso alla Camera dopo alcuni interventi cor-rettivi, contraddistinto dal n. 5291 Atti camera di “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita”.

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lizzo di documentazione falsa; mentre si prevede l’esclusione della rilevanza penale per i comportamenti ascrivibili all’abuso del diritto e all’elusione fi-scale».

In buona sostanza, nell’impianto originario del disegno di legge delega elusione fiscale ed abuso venivano ricondotti al principio unitario del divieto di abuso del diritto, prevedendosi la sanzionabilità amministrativa della con-dotta posta in essere in violazione del divieto, ma non anche quella penale.

Con la più recente versione del disegno di legge delega è stata eliminata l’espressa esclusione della rilevanza penale dell’elusione/abuso ed è scom-parsa la previsione della riscuotibilità delle sanzioni dopo la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (che, sia pure indirettamente, confer-mava la sanzionabilità amministrativa delle condotte elusive/abusive).

Come il sistema risulterà nell’immediato futuro non è dato sapere dipen-dendo evidentemente dalla sorte del disegno di legge delega, per nulla chia-ro al riguardo.

Quel che è certo è che il regime sanzionatorio da ultimo delineato dalla Suprema Corte, ove confermato dalla successiva giurisprudenza, richiede un necessario coordinamento tra principio generale antiabuso non scritto e singole disposizioni antielusive, per assicurare quell’esigenza di certezza che deve informare ogni sistema tributario e i connessi profili punitivi.

Antonio Panizzolo

SPUNTI DI RIFLESSIONE SULLA SOSPENSIONE DELLA RISCOSSIONE COATTIVA DELL’AVVISO

DI ACCERTAMENTO ESECUTIVO NELL’ATTUALE SISTEMA NORMATIVO

SOME REMARKS ON THE AUTOMATIC SUSPENSION OF THE FORCED TAX COLLECTION OF THE “ENFORCEABLE”

NOTICE OF ASSESSMENT IN THE ACTUAL LEGAL SYSTEM

Abstract Il legislatore tributario ha di recente introdotto un’ipotesi di sospensione auto-matica della riscossione coattiva dell’avviso di accertamento esecutivo, per un pe-riodo di centottanta gironi decorrente dall’affidamento in carico dell’atto all’a-gente della riscossione. Lo scopo del presente lavoro è, in primo luogo, di analiz-zare i confini applicativi di questa inibitoria e il suo collegamento con le altre ipo-tesi di sospensione dell’esecuzione previste nell’ordinamento tributario italiano nonché, in secondo luogo, di valutare se il contribuente possa godere di una tute-la giurisdizionale effettiva contro l’avviso di accertamento esecutivo, anche a fronte dei poteri degli uffici competenti di accelerare l’esecuzione coattiva in presenza di fondato pericolo per la riscossione. Parole chiave: sospensione, accertamento, esecutivo, tutela, contribuente The tax legislator has recently introduced a case of automatic suspension of forced tax collection of the so-called “enforceable” notice of assessment, for a period of one hun-dred eighty days starting from the entrustment of the tax collector. The aim of this paper is firstly to analyse the application limits of this institute and its connection with other cases of tax recovery suspension provided by Italian tax law and, secondly, to consider if the taxpayer is entitled to enjoy an effective judicial protection against the “enforceable” notice of assessment, also in presence of powers exercised by tax offices competent to speed up the forced tax collection in case of justified danger for collection. Keywords: suspension, tax assessment, enforceable, protection, taxpayer

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SOMMARIO: 1. La sospensione ope legis dell’esecuzione dell’avviso di accertamento dalla versione originaria del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, alla disciplina contenuta nella legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106. – 2. I confini applicativi della sospensione automatica dell’esecuzione dell’avviso di accertamento. – 3. I poteri di derogare alle sospensioni ope legis affidati all’agenzia delle en-trate e all’agente della riscossione. – 4. La tutela del contribuente contro i poteri di accelerazio-ne della riscossione dei tributi. – 5. L’inapplicabilità della sospensione ope legis alle azioni caute-lari e conservative. – 6. Luci ed ombre sull’effettività della tutela anticipatoria nel processo tri-butario.

1. La sospensione ope legis dell’esecuzione dell’avviso di accertamento dalla versione originaria del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, alla disciplina conte-nuta nella legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106

L’art. 7 del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, passato alle cronache con il nome di “decreto legge sviluppo”, sotto la rubrica “Semplificazione fiscale”, ha in-trodotto delle modificazioni alla disciplina tributaria vigente con l’obiettivo dichiarato di ridurre il peso della burocrazia che grava sulle imprese e, più in generale, sui contribuenti.

La struttura dell’articolo in commento, anche a seguito delle modificazioni apportate dalla legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106, è rimasta la se-guente: nel comma 1, dalla lett. a) alla lett. t-bis), sono elencate descrittiva-mente le nuove misure che il legislatore è intenzionato ad adottare; il succes-sivo comma 2, invece, dalla lett. a) alla lett. gg-undecies), riporta analitica-mente le disposizioni di legge occorrenti per introdurre nell’ordinamento le misure precedentemente descritte.

Concentriamo la nostra attenzione sulle proposizioni normative che ri-guardano la temporanea sospensione della riscossione dell’avviso di accerta-mento esecutivo

1. L’art. 7, comma 1, lett. m), del D.L. n. 70/2011, rimasto invariato a seguito

della conversione in legge, indica la volontà del legislatore d’urgenza di intro-durre la «attenuazione del principio del “solve et repete”. In caso di richiesta di sospensione giudiziale degli atti esecutivi, non si procede all’esecuzione fino alla decisione del giudice e comunque fino al centoventesimo giorno».

1 Sugli avvisi di accertamento esecutivi si rinvia alla lettura dei contributi di vari Autori, raccolti nel volume di GLENDI-UCKMAR (a cura di), La concentrazione della riscossione nel-l’accertamento, Padova, 2011.

Antonio Panizzolo

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L’art. 7, comma 2, lett. n), n. 3, nella sua versione originaria, onde perse-guire l’obiettivo di cui sopra, aggiungeva una lett. b-bis) al comma 1 dell’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 212, che così recitava: «In caso di richiesta, da parte del contribuen-te, della sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato ai sensi dell’artico-lo 47 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, l’esecuzione forzata di cui alla lett. b) è sospesa fino alla data di emanazione del Provvedimento che decide sull’istanza di sospensione e, in ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni dalla data di notifica dell’istanza stessa. La so-spensione di cui al periodo precedente non si applica con riguardo alle azio-ni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore».

In sede di conversione, l’originaria versione della disposizione di legge in commento è stata completamente stravolta ed alla fine il legislatore s’è limi-tato ad aggiungere alla lett. b) del comma 1 dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010 il seguente periodo: «L’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di cen-tottanta giorni dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione degli atti di cui alla lettera a); tale sospensione non si applica con riferimento alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore».

Le differenze tra le due versioni sono evidenti. Nella versione originaria, era chiara la volontà del legislatore di introdur-

re la sospensione ope legis dell’esecuzione forzata dell’avviso di accertamen-to subordinatamente alla condizione della presentazione dell’istanza di so-spensione giudiziale dell’atto impugnato.

Nella versione convertita in legge, invece, la sospensione ope legis non è legata ad alcuna condizione ed opera automaticamente, per il solo fatto del-l’affidamento in carico all’agente della riscossione dell’avviso di accertamen-to esecutivo.

Quanto alla decorrenza nel tempo, mentre nella prima stesura si preve-deva la sospensione dell’esecuzione forzata fino alla data di emanazione del Provvedimento che decide sull’istanza di sospensione e, in ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni dalla data di notificazione dell’i-stanza stessa, nell’ultima stesura si è optato per la fissazione di un termine fisso pari a centottanta giorni dall’affidamento in carico dell’accertamento esecutivo all’agente della riscossione.

L’assetto normativo delineato dalla conversione in legge del D.L. n. 70/ 2011 origina un problema interpretativo, dovuto alla mancanza di allineamen-

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to tra le enunciazioni descrittive delle misure o dichiarazioni programmati-che contenute nel comma 1 e le disposizioni modificative, correttive o inte-grative contenute nel comma 2.

Il comma 1, lett. m), dell’art. 7 del D.L. n. 70/2011, continua a prevedere la sospensione ope legis dell’avviso di accertamento esecutivo solo in caso di richiesta di sospensione giudiziale da parte del contribuente. Non così, come detto, la versione attualmente in vigore della lett. b), del comma 1, dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010, che riconosce la sospensione ope legis degli avvisi di accertamento per un periodo di centottanta giorni, indipendentemente dal-la proposizione del ricorso.

Sorge a questo punto la necessità di chiarire come debbano essere rac-cordate queste due proposizioni legislative, che originano un’antinomia normativa nel senso tecnico del termine, visto che dal processo interpretati-vo degli enunciati del comma 1 fuoriesce una norma diversa da quella che deriva dall’interpretazione degli enunciati contenuti nel comma 2

2. Al riguardo, in mancanza di ulteriori specificazioni, il conflitto tra norme

può essere risolto ricorrendo al classico “criterio cronologico” 3, secondo il

quale la norma successiva (introdotta in sede di conversione del decreto legge) prevale sulla norma precedente (introdotta in sede di emanazione del decreto legge), laddove sia in grado a delineare con sufficiente chiarezza il perimetro applicativo della legge.

Se si accetta questa impostazione, per dare coerenza all’ordinamento giuridico, si deve giungere alla conclusione che nell’attuale assetto normati-vo, per effetto delle disposizioni successivamente introdotte dalla lett. n), del comma 2, dell’art. 7, che danno attuazione a quanto previsto nella lett. m) del precedente comma 1, la sospensione ope legis ha una durata di centot-tanta giorni dall’affidamento in carico dell’avviso di accertamento esecutivo e produce i propri effetti inibitori anche in ipotesi di mancata impugnazione dell’avviso di accertamento o di rigetto dell’istanza di sospensione ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992.

2 Si ricorda che le antinomie normative riguardano i conflitti tra norme e non tra dispo-sizioni di legge.

3 Nella specie, peraltro, parrebbe esservi spazio per invocare un sorta di “criterio dell’attuazione”, che consentirebbe all’interprete di privilegiare la norma che attua il pro-gramma contenuto in un’altra norma. In questo senso, del resto, sembra deporre lo stesso art. 7 del D.L. n. 70/2011, laddove specifica che le disposizioni del comma 2 vengono in-trodotte «in funzione di quanto previsto al comma 1».

Antonio Panizzolo

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Altro aspetto che merita di essere segnalato è il riferimento all’istituto del “solve et repete” contenuto nella lett. m) del comma 1 dell’art. 7 del D.L. n. 70/2011. Il “solve et repete”, com’è noto, subordinava l’ammissibilità in giudizio all’accompagnamento del certificato di pagamento dell’imposta ed è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo all’inizio degli anni sessanta per violazione degli artt. 3, 24 e 113 Cost. Sicché, appare priva di logica la dichiarazione di voler attenuare gli effetti di un istituto che non è più vigen-te nell’ordinamento tributario da circa cinquant’anni e che comunque non aveva nulla a che vedere con la riscossione delle imposte, degli interessi e delle sanzioni richiesti con l’avviso di accertamento

4. Con ogni probabilità, però, attraverso il riferimento impreciso al princi-

pio del “solve et repete”, il legislatore ha inteso affermare la volontà di intro-durre delle misure che contribuiscano ad offrire una tutela anticipatoria ef-fettiva avverso gli avvisi di accertamento esecutivi, onde evitare che i lunghi tempi processuali penalizzino i contribuenti ingiustamente compulsati, co-stringendoli a pagare delle somme non dovute prima che un organo giudi-ziario si pronunci sull’istanza di sospensione presentata ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992

5. In questa prospettiva, dunque, la dichiarazione programmatica di voler

attenuare il principio del “solve et repete” deve essere trattata alla stregua di una “risorsa di senso” da utilizzare nel processo interpretativo delle disposi-zioni contenute nella lett. n) del comma 2 dell’art. 7 del D.L. n. 70/2011.

L’approfondimento del significato di questa affermazione ci porterebbe lontano ed esulerebbe dai limiti del presente lavoro. Tuttavia, pur senza en-trare nel merito di un dibattito plurisecolare, non posso esimermi dal fare qualche considerazione

6.

4 Così LA ROSA, Riparto delle competenze e “concentrazione” degli atti nella disciplina della riscossione, in GLENDI-UCKMAR (a cura di), op. cit., p. 77.

5 Secondo GLENDI, Notifica degli atti «impoesattivi» e tutela cautelare ad essi correlata, in GLENDI-UCKMAR (a cura di), op. cit., p. 34, nella sua improprietà, il richiamo al “solve et repete” «esprime efficacemente l’intentio legis di una procrastinazione delle conseguenze immediatamente solutorie o esattive e di una maggiormente garantita possibilità di accesso giurisdizionale contro gli atti “impoesattivi” con effetti immediatamente sospensivi».

6 Le riflessioni che seguono sono state maturate a seguito della lettura dei seguenti testi o articoli: ALEXY, Teoria dell’argomentazione giuridica, Milano, 1998, p. 176 ss.; ASCOLI, La interpretazione delle leggi, Roma, 1928, p. 26 ss.; BARCELLONA, L’interpretazione del diritto come autorirpoduzione del sistema giuridico, in Riv. crit. dir. priv., 1991, p. 50 ss.; BETTI, Le categorie civilistiche dell’interpretazione, in Riv. it. sc. giur., 1948, p. 45 ss.; BETTI, Interpreta-zione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, p. 141 ss.; BOBBIO, Sul ragionamento dei

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Il punto di partenza è la constatazione che il processo di concretizzazione giuristi, in Riv. dir. civ., 1955, I, p. 3 ss.; BOBBIO, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, p. 350 ss.; BOBBIO, Diritto e logica, in Riv. int. fil. dir., 1962, p. 16 ss.; BULYGIN, Sull’interpretazione giuridica, in COMANDUCCI-GUASTINI (a cura di), Analisi e diritto 1992. Ricerche di giurisprudenza analitica, Torino, 1992, p. 11 ss.; CASSESE, Introduzione allo studio della normazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1992, p. 322; DENOZZA, La struttura dell’interpretazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, I, p. 20 ss.; DICIOTTI, Va-ghezza del diritto e controversie giuridiche sul significato, in COMANDUCCI-GUASTINI (a cura di), op. cit., p. 97 ss.; ENGISCH, Introduzione al pensiero giuridico, Milano, 1970, p. 74 ss.; ESSER, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto, Napoli, 1983; FERRAJOLI, Interpretazione dottrinale e interpretazione operativa, in Riv. int. fil. dir., p. 299; GIANFORMAGGIO, L’interpretazione della Costituzione tra applicazione di regole ed argomen-tazione basata su principi, in Riv. int. fil. dir., 1985, p. 89 ss.; GIULIANI, Le disposizioni sulla legge in generale: gli articoli da 1 a 15, in Trattato di diritto privato. Premesse e disposizioni preliminari, diretto da P. Rescigno, Torino, 1992, p. 214; GIULIANI, Dialogo e interpretazione nell’esperienza giuridica, in GIULIANI-PALAZZO-FERRANTI, L’interpretazione della norma civile, Torino, 1996, p. 3 ss.; GORLA, L’interpretazione del diritto, Milano, 1941; GORLA, I prece-denti storici dell’art. 12 disposizioni preliminari del codice civile del 1942 (un problema di diritto costituzionale?), in Foro it., 1969, V, pp. 113 e 122; GUASTINI, (voce) Interpretazione, I, In-terpretazione dei documenti normativi, in Enc. giur. Treccani, 1989, XVII, p. 10 ss.; GUASTINI, Dalle fonti alle norme, Torino, 1992, p. 85 ss.; GUASTINI, Enunciati interpretativi, in Ars in-terpretandi. Annuario di ermeneutica giuridica, Padova, 1997, p. 35 ss.; GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messi-neo, vol. I, t. 1, Milano, 1998, p. 8 ss.; LOSANO, I modelli sistemici dalle scienze biologiche alle teorie di Lhumann, in Soc. del dir., n. I, 2000, p. 39; LUBERTO, Il negozio giuridico come fonte del diritto: alcune osservazioni sulla crisi della legge, in Soc. del dir., n. 2, 2000, p. 109; LUZZA-TI, La vaghezza delle norme, Milano, 1990, p. 114 ss.; MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996; MODUGNO, Appunti di teoria dell’interpretazione, Padova, 1998, p. 36 ss.; MONATERI, Interpretare la legge, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 594 ss.; MONATERI, (vo-ce) Interpretazione del diritto, in Dig. disc. priv., sez. civ., 1993, X, pp. 34-35; MOSSINI, Il si-gnificato proprio delle parole e l’intenzione del legislatore, in Riv. dir. civ., 1972, p. 336; PARE-SCE, (voce) Interpretazione (filosofia), in Enc. dir., 1972, XXII, p. 204 ss.; PERELMAN-OL-BRECHTS TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Torino, 1966 e 1989; PIGA, (voce) Prassi amministrativa, in Enc. dir., XXXIV, 1985, p. 842; PINO, La ricerca giu-ridica, Padova, 1996, p. 268 ss.; SACCO, Il concetto di interpretazione nel diritto, Torino, 1947, p. 167 ss.; SACCO, Alcune novità in materia di interpretazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1951, p. 7853 ss.; SACCO, L’interpretazione, in Trattato di diritto civile. Le fonti del diritto italiano. Le fonti non scritte e l’interpretazione, diretto da Sacco, Torino, 1999, p. 181 ss.; SCARPELLI, (voce) Semantica giuridica, in Noviss. dig. it., 1969, XVI, p. 994 ss.; STRANGAS, Il posto sistematico dell’interpretazione in assoluto ed i rapporti tra pluralità e fedeltà dell’interpretazione giuridica, in Riv. int. fil. dir., 1996, p. 301; TARELLO, Il “problema dell’interpretazione”: una formulazione ambigua, in Riv. int. fil. dir., 1966, p. 353; TARELLO, L’interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu-F. Messineo-L. Mengoni, Milano, 1980, p. 44 ss.; TARUFFO, Trattato di diritto civile e commer-ciale. La prova dei fatti giuridici, vol. III, t. 2, sez. 1, Milano, 1992, p. 84 ss.; ZACCARIA, L’arte dell’interpretazione, Padova, 1990, p. 60 ss.

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del diritto muove dalla lettura di una o più disposizioni di legge e giunge all’individuazione di una norma, ossia di un precetto applicabile ad un caso della vita.

Il passaggio dalle disposizioni alle norme è tutt’altro che lineare e sconta le insidie che derivano da fattori quali l’individuazione degli enunciati fonte, l’ambiguità o la vaghezza dei termini che compongono una proposizione di legge, l’adattamento del linguaggio all’uso, il contesto culturale dei parlanti, l’evoluzione diacronica del linguaggio, l’orizzonte di conoscenza degli inter-preti, la presenza di termini giuridici indeterminati o che sono determinabili attraverso il richiamo a regole o a valori etico-sociali, le lacune e così via.

Non di rado, viene a mancare del tutto (o viene completamente reciso) il radicamento agli enunciati fonte, con la conseguenza che alcune norme si formano a prescindere dal (o addirittura in contrasto rispetto al) tenere let-terale della legge.

In questo contesto, l’individuazione di una norma da applicare ad un caso concreto della vita, lungi dal disvelare un significato racchiuso negli enun-ciati di legge, è sempre e comunque una costruzione dell’interprete, una va-riabile dipendente dal processo di significazione, irriducibile a dinamiche meccanicistiche o sillogistiche.

Il sistema giuridico, pur muovendo dai testi di legge, ha una struttura aperta, in continua evoluzione, pronta a cogliere gli stimoli provenienti dalla società civile. Legislazione, interpretazione ed applicazione, lungi dall’essere attività dissociate, concorrono assieme, in un processo ininterrotto di posi-tivizzazione, ad allargare i confini del diritto esistente, immettendovi ele-menti anche estranei ai testi di legge.

Ovviamente, questo non significa che tutte le potenzialità di attuazione del diritto siano destinate, in concreto, a rivelarsi effettivamente praticabili o che il diritto dipenda unicamente dalla sensibilità dei soggetti preposti al-l’applicazione della legge. Al contrario, è possibile controllare i fattori di di-spersione connaturati in ogni processo di concretizzazione del diritto, in quanto sussiste una forte pressione sugli interpreti affinché ogni operazioni ermeneutica si svolga entro gli spazi di sviluppo che definiscono l’identità di un sistema giuridico e che sono tracciati dal susseguirsi di riflessioni teori-che e pratiche in sede di rappresentazione del sistema di sé stesso.

Ecco allora che l’individuazione di una determinata norma, soprattutto allorché accolga delle attribuzioni di significato del tutto sganciate dal testo di legge, deve essere imputata a delle “risorse di senso” condivise o condivi-sibili all’interno della comunità giuridica: “risorse di senso” che, sebbene

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messe in continua discussione, costituiscono gli ammortizzatori per com-prendere e regolare la complessità sociale.

Tutto ciò in un rapporto dialettico tra il vecchio e il nuovo, assicura una ragionevole produttività dell’attività ermeneutica, senza che essa trasmodi in arbitrio dell’interprete.

Il sistema giuridico, al cospetto di un caso concreto da regolare, non ha la pretesa di foggiare una sola decisione esatta: consapevole della complessità sociale, insopprimibile pure nel mondo del diritto, esso si accontenta di fis-sare dei limiti plausibili allo sviluppo delle operazioni interpretative ed ap-plicative.

Ma la “discrezionalità” degli interpreti non è illimitata e, onde evitare sal-ti nel vuoto, deve giocoforza muoversi tra i paletti posti dalle “risorse di sen-so” entro le quali l’ordinamento può ragionevolmente espandersi in un dato momento storico e che sono racchiuse nei principi costituzionali e comuni-tari, nell’eredità delle precedenti esperienze giurisprudenziali, nella prassi amministrativa, nella dogmatica, nelle elaborazioni teoriche della dottrina, nonché in tutti quei comportamenti, atti o attività idonei a fondare l’adesio-ne di una comunità giuridica (o, almeno, di una parte di essa) ad un deter-minato modo di interpretare e di applicare un testo di legge.

Nel caso di specie, è lo stesso legislatore che, attraverso una particolare tecnica legislativa, ha introdotto una “risorsa di senso”: è dunque innegabile che di essa se ne debba tener conto in sede di sviluppo della successiva atti-vità interpretativa e applicativa, al fine di dissipare qualsivoglia dubbio nel passaggio dalle disposizioni alle norme nella materia oggetto della presente trattazione.

2. I confini applicativi della sospensione automatica dell’esecuzione dell’avviso di accertamento

L’avviso di accertamento esecutivo è una novità introdotta dal legislatore tributario dall’art. 29 del D.L. n. 78/2010, conv. dalla L. n. 122/2010, con l’obiettivo di potenziare l’attività di riscossione.

Com’è noto, la funzione tipica dell’avviso di accertamento è ben sintetiz-zata dalla locuzione di “atto impositivo”, ossia, senza entrare nel merito di antiche dispute, di strumento che fissa la pretesa tributaria in capo al contri-buente, con atto suscettibile di divenire definitivo in caso di mancata impu-gnazione entro i termini di legge.

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Prima della riforma, le somme ritenute dovute, a titolo provvisorio oppu-re a titolo definitivo, per essere riscosse richiedevano il compimento di altri atti e precisamente:

– la formazione del ruolo da parte dell’ufficio competente; – la sottoscrizione del ruolo da parte del titolare dell’ufficio; – la consegna del ruolo all’agente della riscossione; – la notificazione della cartella di pagamento.

In questo contesto, l’agente della riscossione era legittimato ad agire co-attivamente sul patrimonio del contribuente solo dopo che erano decorsi inutilmente sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento: la qual cosa, se combinata con una o più sospensioni dei termini di impu-gnazione e con i tempi burocratici per compiere gli atti suddetti, avveniva mediamente dopo un anno dalla notificazione dell’avviso di accertamento.

In questo arco temporale, il contribuente aveva la possibilità di difender-si avanti le commissioni tributarie e, se meritevole, di ottenere la sospensio-ne dell’esecuzione dell’atto impugnato ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/ 1992.

Il sistema novellato, limitatamente ad alcune imposte, ha semplificato il passaggio dall’accertamento alla riscossione, cumulando nell’avviso di accer-tamento tre distinte funzioni:

– quella classica, come detto, di “atto impositivo”; – quelle nuove, di titolo esecutivo e di precetto

7.

L’avviso di accertamento, dunque, diviene esso stesso titolo esecutivo (pri-ma, il titolo esecutivo era il ruolo); e lo diviene, come dispone la lett. b) del-l’art. 29, per il semplice decorso di sessanta giorni dalla sua notificazione.

Tale termine, si badi bene, è un termine perentorio, che non si presta ad essere prorogato per effetto, ad esempio, della sospensione feriale dei ter-mini o della presentazione dell’istanza di accertamento con adesione.

L’intimazione ad adempire è disciplinata dalla lett. a) dell’art. 29, ove è al-tresì previsto che l’avviso di accertamento debba contenere l’avvertenza che, se non si effettuerà il pagamento, si procederà ad esecuzione forzata.

Ora, la grande novità della riforma è che l’intimazione ad adempiere non

7 Così CARINCI, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento “esecutivo” ex DL n. 78/ 2010, in Riv. dir. trib., 2011, pp. 165-166.

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è collegata ad un termine fisso, com’era prima per la cartella, ma ad un ter-mine mobile, ossia il termine di presentazione del ricorso

8. Questo significa che le vicende che incidono sul termine per impugnare,

quali la sospensione feriale o la sospensione a seguito di presentazione del-l’istanza di accertamento con adesione, si ripercuotono anche sull’intima-zione ad adempiere, spostando in avanti la scadenza dell’obbligo di paga-mento dei tributi.

La riforma attuata dal D.L. n. 78/2010 ha introdotto un nuovo istituto, che semplifica gli adempimenti prima legati alla formazione e alla trasmis-sione del ruolo: si tratta dell’affidamento in carico all’agente della riscossio-ne delle somme dovute a seguito della notificazione dell’avviso di accerta-mento.

Sotto il profilo temporale, l’affidamento in carico è legato non al perfe-zionamento del titolo esecutivo (termine fisso) ma all’intimazione ad adem-piere (termine mobile) e deve essere effettuato dopo che siano inutilmente decorsi non meno di 30 giorni dalla scadenza dell’obbligo di pagamento

9. L’art. 29 del D.L. n. 78/2010, nella sua versione originaria, era stato im-

postato in modo da esporre il contribuente all’esecuzione coattiva sin dal mo-mento della ricezione in carico dell’accertamento da parte dell’agente della riscossione.

L’obiezione era evidente: un sistema così congegnato presentava dei dub-bi di legittimità costituzionale alla luce degli artt. 24 e 113 Cost., giacché l’e-secuzione forzata poteva iniziare prima che il contribuente avesse il tempo di rivolgersi al giudice tributario e chiedere la sospensione giudiziale dell’av-viso di accertamento impugnato.

È questa la ragione che ha indotto il legislatore ad intervenire successiva-mente e ad inserire l’istituto della sospensione ope legis dell’esecuzione for-zata dell’avviso di accertamento.

Nel prosieguo, ci soffermeremo ad analizzare la norma che fuoriesce dal-l’interpretazione dell’art. 7, comma 2, lett. n), n. 3, del D.L. n. 70/2011, a se-guito della conversione attuata dalla L. n. 106/2011.

8 Sul carattere “mobile” di detto termine si rinvia a CARINCI, La concentrazione della riscos-sione nell’accertamento (ovvero un nuovo ircocervo tributario), in GLENDI-UCKMAR (a cura di), op. cit., p. 54.

9 Il termine di 30 giorni è un termine dilatorio, che dunque non può essere accorciato – salvo quanto si dirà in seguito a proposito del c.d. “affidamento straordinario” – dall’a-genzia delle entrate.

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Lo studio critico del testo evidenzia la volontà del legislatore di introdur-re una sospensione automatica dell’esecuzione forzata dell’avviso di accer-tamento per un periodo di tempo massimo di centottanta giorni decorrente dall’affidamento in carico dell’atto medesimo all’agente della riscossione.

In questo arco temporale, l’agente della riscossione non ha il potere di avviare gli atti di espropriazione forzata del patrimonio del contribuente, benché l’art. 29, comma 1, lett. b), del D.L. n. 78/2010, disponga che l’av-viso di accertamento diviene esecutivo decorsi sessanta giorni dalla sua noti-ficazione.

L’inibitoria automatica in esame, si badi bene, riguarda solo l’esecuzione forzata e non sospende l’obbligo di pagamento dei tributi, che permane in capo al contribuente e che lo espone al pagamento degli interessi moratori nonché dell’aggio della riscossione dal giorno successivo al termine ultimo per presentare ricorso, come previsto dalla lett. f) dell’art. 29 predetto.

Come anticipato, la sospensione ope legis in commento esplica efficacia in-dipendentemente dal comportamento del contribuente, per il solo fatto del-l’affidamento in carico dell’avviso di accertamento all’agente della riscossione.

Se il contribuente non ha presentato ricorso, tutte le somme richieste a titolo di imposte, di interessi e di sanzioni divengono interamente eseguibili in via coattiva con decorrenza dal centottantunesimo giorno successivo all’affidamento in carico dell’avviso di accertamento all’agente della riscos-sione

10. In presenza di ricorso, invece, operano due sospensioni ope legis:

– la sospensione automatica dell’efficacia esecutiva dell’avviso di accer-tamento prevista dall’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, limitatamente ai due terzi delle imposte e dei relativi interessi, nonché a tutte le sanzioni irrogate, sino alla data di pubblicazione della sentenza di I grado

11 (che, a differenza dell’inibitoria esaminata in precedenza, sospende anche l’obbligo di paga-mento del tributo);

– la sospensione automatica introdotta dal D.L. n. 70/2011, che differi-sce di centottanta giorni l’eseguibilità in via coattiva della quota di un terzo delle imposte e degli interessi richiesti con l’avviso di accertamento esecutivo.

10 Così anche LOVISOLO, Gli accertamenti “impo-esattivi”, la riscossione frazionata e la tu-tela cautelare oltre il 1° grado di giudizio, in Dir. prat. trib., 2012, p. 96.

11 La sospensione automatica opera parzialmente anche nel secondo grado di giudizio, secondo le regole fissate dall’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992.

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La data di cessazione di efficacia di quest’ultima sospensione ope legis non dovrebbe prestarsi ad equivoci interpretativi, essendo fissa ed individuabile nel centottantunesimo giorno successivo all’affidamento in carico delle som-me immediatamente riscuotibili all’agente della riscossione.

Maggiori problemi, invece, origina l’individuazione della data dalla quale decorrono i centottanta giorni dell’inibitoria in discorso.

Il legislatore, con l’art. 8 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, ha aggiunto un ul-timo periodo all’art. 29, comma 1, lett. b), del D.L. n. 78/2010, imponendo all’agente della riscossione di informare il debitore, mediante lettera racco-mandata semplice, di aver preso in carico le somme per la riscossione.

Incerti sono gli effetti che debbono essere ricollegati a questa comunica-zione.

La scelta del legislatore di ricorrere alla raccomandata semplice e di pre-scriverne l’invio all’indirizzo di notificazione dell’avviso di accertamento, ha indotto i primi commentatori a ritenere che si tratti di un atto di “pura cor-tesia”, del tutto inidoneo a produrre effetti nei rapporti tra l’agente della ri-scossione e il contribuente

12. Stando a questa impostazione, la sospensione ope legis decorrerebbe sem-

pre e comunque dal momento dell’affidamento in carico dell’avviso di ac-certamento all’agente della riscossione, indipendentemente dalla conoscen-za di questo atto da parte del contribuente (che potrebbe non aver ricevuto la raccomandata semplice, anche in conseguenza del trasferimento della propria residenza ad un indirizzo diverso rispetto a quello di notificazione dell’avviso di accertamento).

In realtà, poiché l’affidamento in carico sancisce il momento dal quale viene formalmente incaricato l’agente della riscossione ad eseguire coatti-vamente le maggiori somme accertate, è ragionevole dubitare che effetti co-sì invasivi nella sfera patrimoniale del contribuente possano prodursi a sua insaputa, sulla base di un atto meramente interno tra l’agenzia delle entrate e il medesimo agente della riscossione.

Sicché, l’auspicio è che in futuro, sulla base dei principi costituzionali ed anche al di là della lettera della legge, i Giudici competenti possano orien-tarsi nel senso di ritenere che l’affidamento in carico produca i propri effetti solo dal momento in cui il contribuente ne abbia avuto conoscenza legale nei modi e nelle forme di legge

13.

12 In questo senso, sia pur criticamente, CARINCI, Comunicazione al contribuente della presa a carico delle somme da riscuotere con atto impoesattivo, in Corr. trib., 2012, p. 969.

13 Prima ancora che la legge introducesse l’obbligo di comunicazione menzionato nel

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Come detto in precedenza, la decisione della Commissione tributaria competente di respingere l’istanza di sospensione giudiziale dell’atto impu-gnato non si sostituisce alla sospensione ope legis prevista dall’art. 29, com-ma 1, lett. b), del D.L. n. 78/2010

14, la quale ultima continuerà a produrre i propri effetti inibitori fino alla naturale decorrenza del termine di centottan-ta giorni dalla comunicazione dell’affidamento in carico dell’avviso di accer-tamento all’agente della riscossione.

La qual cosa non deve sorprendere, giacché, avendo il legislatore fatto la scelta di proteggere il contribuente dall’esecuzione forzata nei centottanta giorni successivi all’affidamento in carico a prescindere dal suo comporta-mento, è naturale pensare che tale tutela non venga meno tanto nelle ipotesi di mancata presentazione del ricorso, quanto nelle ipotesi di reiezione della sospensione nel corso del giudizio. testo, LA ROSA, op. cit., p. 89, osservava che, «venuti meno il ruolo e la cartella di pagamento, dovrebbe restare comunque ferma l’esigenza che l’eventuale ricorso all’esecuzione forzata amministrativa venga preceduta dalla formale comunicazione, al contribuente, dell’avvio del procedimento di riscossione coattiva dei “carichi” derivanti da accertamenti esecutivi. Sareb-be anzi auspicabile che ciò fosse chiarito con espresse disposizioni normative. Ritengo che l’onere di tale adempimento dovrebbe essere posto a carico dell’agente della riscossione, in quanto naturale corollario della sua decisione di procedere, appunto, ad espropriazione for-zata; e penso che il regime sostanziale e processuale di tale atto, in quanto vero e proprio Provvedimento ablativo, dovrebbe corrispondere a quello sinora riservato (appunto) al ruo-lo ed alla cartella di pagamento». In senso contrario rispetto alle conclusioni di cui al testo GLENDI, L’oscuro transito dall’Agenzia delle entrate ad Equitalia nella riscossione degli atti im-poesattivi, in Corr. trib., 2012, p. 1014, laddove afferma che non v’è dubbio che l’«affidamen-to in carico», o «affidamento del carico» «che dir si voglia, è una fattispecie a rilevanza ef-fettuale, non solo nell’ambito dei rapporti interni tra Agenzia delle entrate e agente della ri-scossione, ma anche per, e nei confronti del, contribuente». Qui è ancora da segnalare che l’agenzia delle entrate, con il Provv. 30 giugno 2011, n. 99696 ha reso noto che l’affidamento formale della riscossione in carico all’agente si intende effettuato alla data di trasmissione del flusso di carico e che ove «il flusso di carico, in assenza di fondato pericolo per il positivo esi-to della riscossione, sia comunque trasmesso nel periodo intercorrente tra il termine ultimo per il pagamento e il trentesimo giorno successivo, l’affidamento formale della riscossione in carico all’agente, anche ai fini dell’esecuzione forzata, si intende effettuato al trentunesimo giorno successivo alla data ultima per il pagamento». Secondo l’agenzia delle entrate, dun-que, l’affidamento in carico potrebbe essere effettuato anche prima della decorrenza dei tren-ta giorni successivi alla data di scadenza del termine di pagamento. In questa ipotesi, cosa succederebbe se al contribuente venisse comunicato in anticipo l’affidamento in carico? Stando alla prospettiva auspicata nel testo, si dovrebbe giungere alla conclusione che tale comunicazione, essendo anticipata rispetto alle previsioni normative, non sia idonea a pro-durre la conoscenza legale dell’atto di affidamento in carico nei termini di legge.

14 Come era previsto nell’originaria versione dell’art. 7, comma 2, lett. n), del D.L. n. 70/2011, riportata nel par. 1.

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Una volta trascorso il termine di centottanta giorni, la sospensione ope legis perde automaticamente efficacia e l’agente della riscossione è legittima-to ad intraprendere gli atti di esecuzione forzata del patrimonio del contri-buente.

Qui è ancora da osservare che il D.L. n. 70/2011 ha altresì introdotto il comma 5 bis all’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, che così dispone: «L’istanza di sospensione è decisa entro centottanta giorni dalla data di presentazione della stessa».

È molto probabile che il legislatore – onde evitare vuoti di tutela cautela-re – avesse intenzione di coordinare la durata della sospensione ope legis del-le somme provvisoriamente eseguibili in pendenza di giudizio con i tempi di decisione dell’istanza di sospensione giudiziale, onde fare in modo che, una volta decorso il termine di centottanta giorni dall’affidamento in carico, al contribuente meritevole fosse garantita la tutela anticipatoria sino alla data della pubblicazione della sentenza

15. Solo che, evidentemente, benché sia sempre auspicabile un rapido inter-

vento in materia cautelare, non sussistono strumenti giuridici per imporre ai Giudici di pronunciarsi nel termine di centottanta giorni dalla presentazio-ne dell’istanza di sospensione. Occorre allora chiedersi: quali sono le conse-guenze giuridiche nel caso in cui i Giudici si pronuncino dopo il centottan-tesimo giorno?

La risposta non si presta ad equivoci: la decisione cautelare emessa ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, benché pronunciata tardivamente, è del tutto idonea a produrre i propri effetti e, quindi, a sottrarre il contri-buente dall’alea dell’esecuzione forzata o anche ad arrestare quest’ultima, nel caso in cui sia stata avviata a seguito dello spirare del termine di sospen-sione ope legis.

Un’ultima annotazione.

15 Questo coordinamento può avvenire con successo se il contribuente presenta l’istan-za di sospensione contestualmente al ricorso, giacché il Giudice, se si pronuncia nei cen-tottanta giorni successivi alla presentazione dell’istanza, riesce ad emettere il Provvedi-mento cautelare nel vigore della sospensione ope legis (che, ricordiamolo, al di fuori delle ipotesi in cui sussista il fondato pericolo per la riscossione, cessa di avere efficacia non pri-ma che siano trascorsi duecentodieci giorni dalla scadenza del termine di proposizione del ricorso). Se tuttavia il contribuente decide di presentare l’istanza con atto separato succes-sivamente al ricorso, allora non vi è alcuna garanzia che la decisione cautelare, ancorché pronunciata nei centottanta giorni successivi alla presentazione dell’istanza, intervenga entro il periodo di vigenza dell’inibitoria legale prevista dalla lett. b) dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010.

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Il comma 5 bis in commento evidenzia chiaramente che la volontà del le-gislatore è quella di fare pressione affinché il Provvedimento che decide sull’istanza cautelare venga pronunciato entro il lasso temporale di vigenza della sospensione ope legis delle somme provvisoriamente eseguibili in pen-denza di giudizio.

Devono pertanto considerarsi infondate in diritto eventuali interpreta-zioni pretorie che, valorizzando la circostanza che il contribuente non corre il rischio di subire atti esecutivi in pendenza di sospensione ope legis, giun-gano a rigettare l’istanza di sospensione giudiziaria per mancanza del pre-supposto dell’imminenza del danno o per mancanza dell’interesse ad otte-nere un Provvedimento cautelare

16.

3. I poteri di derogare alle sospensioni ope legis affidati all’agenzia delle en-trate e all’agente della riscossione

Le sospensioni ope legis dell’esecuzione degli avvisi di accertamento com-mentate nel precedente paragrafo non vengono sempre garantite al contri-buente.

La lett. c), del comma 1, dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010, prevede che «in presenza di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione, decorsi sessanta giorni dalla notifica degli atti di cui alla lettera a), la riscossione del-le somme in essi indicate, nel loro ammontare integrale comprensivo di in-teressi e sanzioni, può essere affidata in carico agli agenti della riscossione anche prima dei termini previsti alle lettere a) e b)».

Qui ad essere sacrificata è la sospensione ope legis prevista dall’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973: all’agenzia delle entrate, infatti, viene attribuito il pote-re di affidare in carico all’agente della riscossione, sin dal giorno successivo rispetto alla scadenza del termine di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento, tutte le somme richieste a titolo di imposte, interessi e san-zioni.

Stando alla lettera della legge, il potere in discorso può essere esercitato non solo in pendenza del termine di trenta giorni per l’affidamento in carico all’agente della riscossione [termine previsto dalla lett. b)], ma anche, una

16 Similmente GAFFURI, Aspetti critici della motivazione relativa agli atti d’imposizione e l’esecutività degli avvisi di accertamento, in Riv. dir. trib., 2011, p. 607; GLENDI, Notifica degli atti, cit., p. 30.

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volta decorsi i sessanta giorni dalla notificazione dell’avviso di accertamento, in pendenza del termine di proposizione del ricorso a seguito di sospensio-ne feriale o di presentazione dell’istanza di accertamento con adesione [ter-mine previsto dalla lett. a)]

17. L’accelerazione dell’affidamento in carico all’agente della riscossione di

tutte le somme richieste con l’avviso di accertamento, già prevista in passa-to

18, non è lasciata alla discrezionalità dell’agenzia delle entrate, ma è legata alla presenza di presupposti di fatto assai rigorosi, che, nell’ambito di un’ap-profondita analisi della situazione economico-patrimoniale del contribuen-te, possano reggere la presunzione che vi sia il giustificato timore di perdere il credito erariale

19. Il contribuente, stanti gli effetti potenzialmente lesivi del potere in parola,

deve essere sempre in grado di controllare se il suo esercizio sia stato con-forme a legge: ecco perché è necessario che l’agenzia delle entrate esponga nell’avviso di accertamento o notifichi in un apposito atto (ancorché non previsto dalla legge) le motivazioni in relazione alla sussistenza di un fonda-to pericolo per la riscossione

20.

17 Così GLENDI, L’oscuro transito, cit., p. 1013. 18 L’art. 11 del D.P.R. n. 602/1973, ancora in vigore, attribuisce agli uffici finanziari il

potere di iscrivere in ruoli straordinari l’intero importo a titolo di imposte, interessi e san-zioni risultante dall’avviso di accertamento, in presenza di fondato pericolo per la riscos-sione.

19 Inutile dire che l’adozione di questa misura latamente cautelare deve esse improntata alla massima prudenza, in modo da contemperare la tutela dell’interesse erariale e i pre-giudizi patrimoniali a carico del contribuente. Il fondato pericolo per il positivo esito della riscossione, pertanto, deve emergere da una pluralità di elementi, anche di carattere indi-ziario, alla luce dei quali appaia assai probabile che il contribuente possa dissolvere il pro-prio patrimonio, onde sottrarsi al pagamento della pretesa fiscale. La presunzione, dunque, deve poggiarsi sia su elementi statici, quali la consistenza patrimoniale, la qualità del pa-trimonio, le ipoteche o gli altri vincoli che gravano sul patrimonio; sia su elementi dinami-ci, quali l’effettuazione in epoca recente di atti di dismissione, la messa in liquidazione o la cessazione dell’attività d’impresa, l’effettuazione di operazioni straordinarie e così via.

20 In questo senso GAFFURI, op. cit., p. 606, per il quale «l’atto di trasmissione del credi-to all’agente deve, a maggior ragione, essere notificato al debitore e recare un’adeguata spiegazione delle ragioni che inducono a nutrire seriamente il timore per il successo della promuovenda procedura esecutiva, qualora una simile motivazione già non sia contenuta nell’avviso di accertamento». Invece, mi pare di capire che per CARINCI, Comunicazione al contribuente, cit., p. 970, non sarebbe possibile la notificazione di un apposito atto succes-sivo alla notificazione dell’avviso di accertamento, con la conseguenza che «se l’Agenzia ritiene che sussista un fondato pericolo per la riscossione lo deve motivare nell’avviso di accertamento», giacché «non è possibile, una volta notificato l’avviso di accertamento, mu-

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In mancanza di queste motivazioni, non potendosi pensare che una scel-ta così invasiva possa sfuggire al controllo giudiziale, deve essere considerata illegittima a tutti gli effetti di legge la pretesa di sottoporre a provvisoria ese-cuzione l’ammontare integrale delle somme a titolo di imposte, interessi e sanzioni, per il semplice decorso del termine di sessanta giorni dalla notifi-cazione dell’avviso di accertamento

21. In ogni caso, è bene sottolinearlo, la decisione dell’agenzia delle entrate

di affidare in carico in via anticipata tutte le somme richieste con l’avviso di accertamento non priva il contribuente della sospensione ope legis prevista dalla lett. b) dell’art. 29, con la conseguenza che, se prima non sono trascor-si centottanta giorni dall’affidamento in carico straordinario, l’agente della riscossione non ha il potere di procedere all’espropriazione forzata del pa-trimonio del contribuente.

Si tratta di una conclusione che, a mio modo di vedere, è pacifica dalla lettura del combinato disposto delle lett. b) e c) del comma 1 dell’art. 29, giacché la lett. c) deroga unicamente al termine di trenta giorni previsto nel-la lett. b), non anche all’inibitoria legale contenuta nella medesima lett. b) 22. tare il regime da accertamento ordinario ad accertamento per il caso di fondato pericolo per il buon esito della riscossione. Troppo differenti i rispettivi regimi per ammettere una simile “conversione”, senza un contestuale obbligo motivazionale al contribuente, evi-dentemente non più possibile dal momento che non è prevista la notifica di alcun ulteriore atto». Francamente, non mi pare si possa condividere quest’ultima opinione, in quanto gli elementi giustificativi del timore di perdere il credito erariale possono emergere dopo la notifica dell’avviso di accertamento e ciò non può precludere all’agenzia delle entrate l’e-sercizio del potere di agire ai sensi della lett. c) del comma 1 dell’art. 29 del D.L. n. 78/ 2010 (anche perché, come diremo nel testo, all’esercizio di questo potere è pregiudizial-mente legato il potere dell’agente della riscossione di anticipare l’esecuzione coattiva del patrimonio del contribuente, in presenza di elementi idonei a pregiudicare la riscossione dei tributi). Sul punto, è da menzionare l’idea di GIOVANNINI, Fondato pericolo per la riscos-sione ed esazione straordinaria nell’accertamento esecutivo, in Riv. trim. dir. trib., n. 1, 2012, p. 127, secondo la quale, per l’ipotesi di sopravvenuta conoscenza del rischio, sarebbe d’ob-bligo «una soluzione alternativa, che rivitalizzi ... uno degli atti indicati nella lett. a) del-l’art. 29, i quali soltanto, nel nuovo procedimento, possono acquisire natura e funzione del titolo esecutivo in luogo del ruolo: individuare quell’atto nell’avviso di rideterminazione e vedere in questo anche l’atto depositario della motivazione».

21 Secondo GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti d’accertamento, in Rass. trib., 2011, p. 34, al cospetto della scelta del legislatore di non subordinare l’avvio della ri-scossione straordinaria ad un atto successivo al titolo esecutivo, «non sarebbe azzardato sollevare dubbi di legittimità della disposizione contenuta nella lettera c) in relazione agli artt. 24 e 97 della Costituzione, ed anzi sembrerebbe soluzione obbligata».

22 Similmente MICALI, L’evoluzione della disciplina della riscossione e la concentrazione nell’accertamento, in Boll. trib., n. 6, 2012, p. 410. Di diverso avviso, invece, GIOVANNINI,

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Il sacrificio di quest’ultima è invece previsto nella seconda parte della lett. c) del comma 1 dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010, emendata proprio dal D.L. n. 70/2011, laddove dispone che «Nell’ipotesi di cui alla presente let-tera, e ove gli agenti della riscossione, successivamente all’affidamento in ca-rico degli atti di cui alla lettera a) vengano a conoscenza di elementi idonei a dimostrare il fondato pericolo di pregiudicare la riscossione, non opera la sospensione di cui alla lettera b)»

23. L’agente della riscossione, dunque, è il soggetto investito dalla legge del

potere di decidere di agire coattivamente nei confronti del contribuente an-che prima del decorso del periodo di centottanta giorni di sospensione ope legis: ma questo potere può essere esercitato subordinatamente al realizzarsi di due condizioni.

In primo luogo, occorre che si sia verificata l’ipotesi di cui alla prima par-te della lett. c) e che quindi l’agenzia delle entrate abbia già ravvisato la pre- Fondato pericolo per la riscossione, cit., p. 125; CARINCI, La concentrazione della riscossione, cit., p. 55; e ATTARDI, Forma, contenuto ed effetti dell’atto di riscossione: dalla cartella all’accerta-mento esecutivo, in BASILAVECCHIA-CANNIZZARO-CARINCI (a cura di), La riscossione dei tributi, Milano, 2011, p. 114. In proposito, per le ragioni evidenziate nel testo, mi pare indubitabi-le che la prima parte della lett. c) dell’art. 29 in commento preveda testualmente la volontà di sacrificare unicamente la sospensione ope legis prevista dall’art. 15 del D.P.R. n. 602/ 1973 e non anche quella disciplinata dalla lett. b) del medesimo art. 29. Quel che piuttosto si può dire è che, poiché nella prima parte della lett. c) è previsto che l’affidamento in cari-co possa avvenire per il semplice decorso del termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’avviso di accertamento, ancorché siano ancora pendenti i termini di proposizione del ricorso a seguito di sospensione feriale o di presentazione di istanza di accertamento con adesione, allora ne deriva che anche la sospensione ope legis introdotta dal D.L. n. 70/2011 viene in parte sacrificata, giacché i centottanta giorni di inibitoria, invece di decorrere do-po trenta giorni dalla scadenza del termine di impugnazione, si consumerebbero – almeno in parte – proprio in pendenza dei termini di proposizione del ricorso e del termine di trenta giorni predetto.

23 Gli Autori menzionati nella nota precedente, che ritengono che la sospensione ope legis venga meno con il semplice avvio dell’affidamento straordinario da parte dell’agenzia delle entrate, devono giocoforza tentare di svalutare la portata precettiva della seconda parte della lett. c), per escludere – al di là della chiara formulazione testuale – che la non opera-tività dell’inibitoria di centottanta giorni sia legata ad un atto dell’agente della riscossione. In questa prospettiva, diversa da quella di cui al testo, GIOVANNINI, Fondato pericolo per la riscossione, cit., p. 125, secondo cui la disposizione contenuta nella seconda parte della lett. c) «appare ultronea perché, come cercherò di chiarire, la sola possibilità di offrirle dignità interpretativa è di ritenere che all’agente della riscossione competa una funzione bensì propulsiva del procedimento – di segnalazione degli eventi – ma non provvedimentale, funzione, quest’ultima, che può spettare soltanto all’Agenzia delle entrate quale titolare del credito e del potere formativo del titolo giuridico idoneo a legittimare l’avviso dell’ese-cuzione straordinaria, ...».

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361

senza di un fondato pericolo per la riscossione ed abbia provveduto all’affi-damento in carico straordinario di tutte le somme a titolo di imposte, inte-ressi e sanzioni richieste con l’avviso di accertamento

24. Secondariamente, affinché non operi la sospensione di centottanta giorni,

è necessario che l’agente della riscossione venga a conoscenza di elementi idonei a dimostrare il fondato pericolo di pregiudicare la riscossione.

Sicché, dopo che l’agenzia delle entrate ha formulato un giudizio com-plessivo di sussistenza di un fondato pericolo per il positivo esito della ri-scossione, l’agente della riscossione è tenuto ad individuare la presenza di atti posti in essere in tempi recenti che rendano palese il rischio di dissolvi-mento del patrimonio del contribuente e la conseguente necessità di proce-dere in tempi molto rapidi alla riscossione coattiva

25. Anche in questa ipotesi, pur nel silenzio di legge, è ragionevole supporre

che in capo all’agente della riscossione sussista l’obbligo di comunicare al contribuente gli elementi che sarebbero idonei a dimostrare la sussistenza del presupposto del fondato pericolo di pregiudicare la riscossione del cre-dito erariale.

4. La tutela del contribuente contro i poteri di accelerazione della riscossione dei tributi

In questo contesto, occorre ora chiedersi come possa tutelarsi il contri-buente di fronte ad iniziative dell’agenzia delle entrate, prima, e dell’agente della riscossione, poi, miranti ad accelerare l’esecuzione coattiva del suo pa-trimonio.

24 Non mi pare condivisibile l’opinione di COPPOLA, La concentrazione della riscossione nell’accertamento: una riforma dagli incerti profili di ragionevolezza e coerenza interna, in Rass. trib., 2011, p. 1434, secondo cui l’agente della riscossione sarebbe legittimato a «procedere ad esecuzione forzata anche con riferimento ad avvisi di accertamento “ordinari” ...», senza che operi la sospensione legale prevista dalla lett. b) dell’art. 29. L’idea, infatti, che l’agente della riscossione possa accelerare la riscossione coattiva anche in mancanza di affidamento straordinario è smentita proprio dal tenore letterale della seconda parte della lett. c) dell’art. 29, che espressamente circoscrive il potere del medesimo agente della riscossione unicamente all’ipotesi disciplinata nella «presente lettera», ossia all’ipotesi in cui vi sia sta-to l’affidamento straordinario da parte dell’agenzia delle entrate.

25 Si pensi ad atti di alienazione miranti a sottrarre beni all’esecuzione forzata oppure ad iscrizioni ipotecarie di altri debitori sui beni del contribuente.

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Il primo rimedio è sicuramente la sospensione giudiziale dell’avviso di accertamento impugnato ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, che può essere richiesta solo se sia ancora pendente il giudizio di I grado

26. Se il contribuente non ha chiesto la sospensione nel ricorso, allora può

farlo con atto separato (comma 1), chiedendo altresì, vista l’eccezionale ur-genza, la provvisoria sospensione dell’esecuzione al presidente (comma 3).

Se invece la sospensione non è ancora stata discussa, il contribuente po-trebbe limitarsi a presentare un’istanza di celere fissazione dell’udienza di trattazione, esponendo altresì la nuova situazione venutasi a determinare a seguito dell’avvio anticipato del pignoramento. Tuttavia, proprio in ragione dell’urgenza a provvedere, nulla vieta al contribuente di presentare una nuova istanza cautelare, al fine di chiedere al presidente un decreto di sospensione inaudita altera parte.

Infine, se la prima istanza di sospensione è stata rigettata, in considerazio-ne del mutamento delle circostanze iniziali, il contribuente potrebbe chiedere la modifica del Provvedimento cautelare ai sensi del comma 8 dell’art. 47

27.

26 Non sussistono problemi nel caso in cui non sia ancora stata fissata l’udienza di trat-tazione ai sensi dell’art. 31 del D.Lgs. n. 546/1992. Nella diversa ipotesi in cui sia già avve-nuta la discussione in pubblica udienza e si sia in attesa di pubblicazione della sentenza ai sensi dell’art. 37, si potrebbe dubitare che possa essere presentata la sospensione dell’atto impugnato ai sensi dell’art. 47. Si potrebbe sostenere che è privo di senso chiedere un Prov-vedimento cautelare, visto che il collegio ha già deliberato o è tenuto a deliberare entro trenta giorni dall’udienza di trattazione (art. 35) e visto che il collegio è poi tenuto a pub-blicare la sentenza entro trenta giorni dalla data della deliberazione (art. 37). In sostanza, il lasso temporale assai breve che dovrebbe passare dalla discussione alla pubblicazione della sentenza (al massimo 60 giorni), non giustificherebbe la tutela anticipatoria del contri-buente. In realtà, com’è noto, a volte capita che i termini di cui sopra vengano dilatati a di-smisura e che le sentenze vengano depositate anche oltre un anno dall’udienza di trattazione. La qual cosa, in sé, giustificherebbe l’attivazione di un Provvedimento cautelare a garanzia dei diritti del contribuente, con possibilità di chiedere l’urgente sospensione dell’esecuzio-ne ai sensi del comma 3 dell’art. 47. In questo senso deporrebbe la lettera dell’art. 47, che non pone alcun impedimento a chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’avviso di ac-certamento nelle more della pubblicazione della sentenza ed anzi parrebbe confermare que-sta possibilità, laddove espressamente prevede che gli effetti della sospensione cessino alla data di pubblicazione della sentenza (comma 7) e che il collegio, in caso di mutamento delle circostanze e su istanza motivata di parte, possa revocare o modificare il Provvedi-mento cautelare prima della (pubblicazione della) sentenza. Tuttavia, una tale conclusione non potrebbe dirsi pacifica, visto che è assai diffusa la convinzione che, con la chiusura dell’udienza di trattazione della causa ai sensi degli artt. 33 e 34 del D.Lgs. n. 546/1992, resti preclusa qualsiasi ulteriore attività processuale delle parti, ivi compresa la possibilità di presentare l’istanza di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato.

27 In questo senso GLENDI, Nuovi profili della tutela cautelare a fronte degli atti “impo-esattivi”, in Corr. trib., 2012, p. 539.

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363

Il secondo rimedio, invece, è frutto di una riflessione sul bisogno del con-tribuente di ricevere una protezione effettiva anche nella fase di riscossione coattiva, alla luce delle previsioni contenute nell’art. 29 del D.L. n. 78/2010

28. Sotto questo profilo, mi pare che la novella in commento induca chiara-

mente a ritenere che il perfezionamento dell’esecutività dell’avviso di accer-tamento, per il semplice decorso del termine di sessanta giorni dalla sua no-tificazione, non sia sufficiente a far maturare in capo all’agente della riscos-sione il diritto-potere di agire coattivamente nei confronti del contribuente. A questo evento, debbono aggiungersi dei fatti o degli atti ulteriori, che pos-sono essere previsti espressamente dalla legge (come, ad esempio, il decor-so del periodo di sospensione feriale, il decorso di trenta giorni dalla sca-denza del termine di pagamento o il decorso di centottanta giorni dall’affi-damento in carico dell’avviso di accertamento) ovvero che sono legati ad iniziative del contribuente, dell’agenzia delle entrate o dell’agente della ri-scossione (si pensi al decorso del termine di sospensione di novanta giorni a seguito di presentazione dell’istanza di accertamento con adesione, all’affi-damento in carico delle somme riscuotibili o alla comunicazione dell’affida-mento in carico al contribuente).

Nella situazione ordinaria, dunque, se non sopravviene la sospensione giudiziale, l’agente della riscossione è legittimato a pignorare i beni del con-tribuente solo con il compimento di tutti gli atti e i fatti predetti.

In alcuni casi, l’agenzia delle entrate e l’agente della riscossione medesimo possono, in presenza di situazioni di fatto peculiari, anticipare i tempi del-l’esecuzione coattiva in capo al contribuente, ponendo in essere ulteriori atti contenenti adeguate motivazioni in merito al timore di perdere in credito erariale.

Così stando le cose, direi che il diritto-potere dell’agente della riscossio-ne di agire in via coattiva nei confronti del contribuente costituisce una sor-ta di fattispecie complessa a formazione progressiva, che ha come presuppo-sto iniziale il perfezionamento dell’esecutività dell’avviso di accertamento e che può assumere diverse configurazioni a seconda degli atti che vengono compiuti dal contribuente, dall’agenzia delle entrate o dall’agente della ri-scossione.

28 Secondo SCHIAVOLIN, Quale tutela per i soggetti passivi?, in GLENDI-UCKMAR (a cura di), op. cit., p. 135, per scongiurare lesioni del diritto di difesa occorre individuare delle so-luzioni facendo ricorso all’interpretazione evolutiva e costituzionalmente conforme.

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Orbene, stante l’insopprimibile bisogno di tutela – anche cautelare – del contribuente, è evidente che ogni violazione commessa in punto di compi-mento di questi atti deve poter essere prontamente sindacata in giudizio.

In proposito, tenendo conto del riparto delle giurisdizioni e delle preclu-sioni contenuti negli artt. 2 e 19 del D.Lgs. n. 546/1992 e 57 del D.P.R. n. 602/1973, mi pare ragionevole giungere alla conclusione che spetti alle Commissioni tributarie provinciali la cognizione del diritto-potere dell’a-gente della riscossione di agire in via coattiva nei confronti del contribuente

29. Il passo successivo, in sintonia con la natura del processo tributario, è quel-

lo di individuare quali siano gli atti impugnabili all’interno della fattispecie complessa legittimante l’esecuzione coattiva dei beni del contribuente.

Sotto questo profilo, direi che l’interesse ad agire del contribuente è rav-visabile sia nei confronti dell’atto con il quale l’agenzia delle entrate comu-nica al contribuente la decisione di affidare in carico all’agente della riscos-sione tutte le somme richieste con l’avviso di accertamento (che, a mio mo-do di vedere, se debitamente motivato, può anche essere diverso dall’avviso di accertamento), sia nei confronti dell’atto con il quale l’agente della ri-scossione delibera di procedere alla riscossione coattiva senza rispettare il periodo di centottanta giorni di sospensione ope legis previsto dall’art. 29, comma 1, lett. b), del D.L. n. 78/2010.

Nel caso in cui questi atti non siano reputati conformi a legge, il contri-buente deve essere messo nelle condizioni di tutelarsi in sede giudiziale e di chiedere la sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992.

E se nessuno di questi atti venisse notificato al contribuente e questi avesse notizia dell’avvio anticipato dell’azione esecutiva solo a seguito del pignoramento dei suoi beni?

In questa ipotesi, il pignoramento costituirebbe il pretesto per rivolgersi al Giudice tributario ed eccepire l’illegittimità del comportamento dell’a-gente della riscossione per mancata notificazione degli atti presupposti le-

29 In una prospettiva analoga BOLETTO, Pignoramento “inatteso” e tutela del contribuente, in GLENDI-UCKMAR (a cura di), op. cit., p. 477, secondo cui, dal combinato disposto degli artt. 2 e 19 del D.Lgs. n. 546/1992 e 57 del D.P.R. n. 602/1973, emerge «la volontà del legislatore di attribuire alle Commissioni tributarie la giurisdizione in merito alle contro-versie aventi ad oggetto la fondatezza della pretesa e l’esistenza del diritto processuale ad agire in via esecutiva forzata, e al giudice ordinario la giurisdizione in merito alle contro-versie aventi ad oggetto la legittimità degli atti del procedimento di riscossione coattiva successivi alla cartella di pagamento (o all’avviso di mora)».

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gittimanti il diritto-potere di agire in via coattiva nei confronti del contri-buente

30.

5. L’inapplicabilità della sospensione ope legis alle azioni cautelari e conser-vative

Molto delicato è il problema dell’interpretazione dell’ultima parte della lett. b) del comma 1 dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010, ove si dice che la so-spensione ope legis «non si applica con riguardo alle azioni cautelari e con-servative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore».

Tale proposizione normativa sembra consentire all’agenzia delle entrate o all’agente della riscossione di porre in essere, anche in pendenza di sospen-sione ope legis, delle misure protettive delle ragioni erariali onde evitare che il debitore distragga i beni all’eventuale procedura di espropriazione forzata.

Ma quali sono i confini applicativi di questi poteri? Un contributo importante al fine di circoscriverne la latitudine è dato

dalla constatazione che la legge si riferisce testualmente alle «azioni» caute-lari e conservative nonché ad ogni altra «azione» prevista dalle norme or-dinarie a tutela del creditore. Ora, senza entrare nel dettaglio di annosi di-battiti dottrinali, mi pare pacifico ritenere che il termine “azione” abbia una propria rilevanza giuridica ed identifichi il potere di un soggetto giuridico di provocare l’esercizio della giurisdizione nella sede competente. In questa prospettiva ermeneutica, le precisazioni contenute nella disposizione di leg-ge in commento mirano a chiarire che la sospensione ope legis non intralcia le azioni cautelari e conservative intentate o da intentare nelle competenti sedi giudiziarie dall’agenzia delle entrate o dall’agente della riscossione.

Ecco allora che, nei centottanta giorni successivi all’affidamento in carico all’agente della riscossione, restano fermi i poteri di adottare le misure cau-telari e conservative autorizzate dal Giudice nell’ambito dei procedimenti previsti dall’art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992

31 ovvero di avviare le azioni sur-

30 Secondo GLENDI, Nuovi profili della tutela cautelare, cit., pp. 539-540, contro il pigno-ramento anticipato, in difetto del presupposto legittimante, è da ritenere proponibile l’op-posizione al pignoramento ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avanti al Giudice ordinario, ove è possibile chiedere la sospensione dell’esecuzione ai sensi del successivo art. 618 c.p.c.

31 Le misure cautelari e conservative previste dall’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997 pre-suppongono l’instaurazione di un procedimento giudiziale avanti al Presidente della Com-

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rogatorie o revocatorie previste dagli artt. 2900 e 2901 c.c. Invece, in mancanza di un’azione giudiziaria, si deve giungere giocofor-

za alla conclusione che, in pendenza della sospensione ope legis di centot-tanta giorni, l’agente della riscossione non abbia il potere di adottare misu-re come l’ipoteca o il fermo amministrativo, previste dagli artt. 77 e 86 del D.P.R. n. 602/1973.

Si tratta di una conclusione che, oltre dalla lettera della legge, appare supportata anche dal dato sistematico e dallo spirito della legge.

Sotto il profilo sistematico, l’art. 49, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973, a seguito delle modifiche operate dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, contiene una formulazione testuale sostanzialmente identica a quella in commento, ai sensi della quale «il concessionario può altresì promuovere azioni caute-lari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore».

Il legislatore tributario ha qui inteso attribuire all’agente della riscossio-ne, nell’ambito della fase esecutiva disciplinata dal D.P.R. n. 602/1973, la legittimazione processuale ad azionare tutti i mezzi di tutela del credito di cui è titolare l’ente impositore in qualità di creditore nei rapporti con i con-tribuenti

32. Se così è, è evidente che l’inciso in commento, inserito alla fine del 2004

nel comma 1 dell’art. 49, non intendeva affatto riferirsi alle iscrizioni del fermo amministrativo o dell’ipoteca, visto che tali poteri erano già a disposi-zione dell’agente della riscossione per espressa previsione dei menzionati artt. 77 e 86

33. La qual cosa induce a ritenere che il medesimo inciso, riprodotto di re-

cente nell’ultima parte della lett. b) in commento, non attribuisca affatto missione tributaria provinciale, che si conclude con sentenza che accerta l’eventuale sussi-stenza dei presupposti per iscrivere l’ipoteca o il sequestro conservativo sui beni del debi-tore d’imposta; l’attuale assetto normativo prevede che tali misure continuino ad essere efficaci a favore dell’agente della riscossione.

32 Sul punto PUOTI-CUCCHI-SIMONELLI, La nuova riscossione tributaria, Padova, 2012, p. 338 ss.

33 Altro argomento sistematico a sostegno della tesi di cui al testo è che i primi commi degli artt. 77 e 86 prescrivono che i poteri di iscrivere l’ipoteca e il fermo amministrativo possono essere utilizzati «decorso inutilmente il termine di cui all’art. 50, comma 1»: os-sia il termine dal quale l’agente della riscossione può procedere all’espropriazione forzata del patrimonio del contribuente. La qual cosa conferma ancora una volta che nelle more della sospensione ope legis, ove è inibita l’esecuzione forzata, non sono possibili le iscrizioni né del fermo amministrativo né dell’ipoteca.

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all’agente della riscossione la possibilità di iscrivere il fermo amministrativo o l’ipoteca in pendenza della sospensione ope legis di centottanta giorni.

Sotto il profilo dello spirito della legge, vale la pena ricordare che il legi-slatore, attraverso la dichiarazione di voler attenuare il principio del “solve et repete”, ha espresso la volontà di garantire una tutela anticipatoria effettiva avverso gli avvisi di accertamento esecutivi, onde evitare che i tempi del processo rechino pregiudizio ai contribuenti destinatari di atti illegittimi. In questo contesto, come si può pensare che, nelle more della sospensione ope legis, possano essere attivate, su iniziativa dell’agente della riscossione, le mi-sure del fermo amministrativo o dell’ipoteca, che non di rado sono molto più penalizzanti rispetto all’avvio dell’esecuzione forzata?

In conclusione, mi pare pacifico che, nel vigore dell’inibitoria legale pre-vista dall’art. 29, comma 1, lett. b), del D.L. n. 78/2010, l’agente della riscos-sione non abbia il potere di adottare i provvedimenti di iscrizione di ipoteca e di fermo amministrativo, previsti rispettivamente dagli artt. 77 e 86 del D.P.R. n. 602/1973, ma nemmeno altre misure latamente cautelari o con-servative che non presuppongano un’azione avanti ad un organo giurisdi-zionale

34.

6. Luci ed ombre sull’effettività della tutela anticipatoria nel processo tributario

Il sistema attualmente vigente prevede la mitigazione dell’esecutività del-l’avviso di accertamento attraverso:

1. la sospensione amministrativa della riscossione di cui all’art. 39 del D.P.R. n. 602/1973, richiamato dall’art. 29, comma 1, lett. g), del D.L. n. 78/2010;

2. la sospensione ope legis ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, sub-ordinatamente all’ipotesi di presentazione del ricorso avanti al giudice tribu-tario;

3. la sospensione ope legis ai sensi dell’art. 29, comma 1, lett. b), secondo periodo, del D.L. n. 78/2010, per un periodo di centottanta giorni dall’affi-damento in carico dell’avviso di accertamento;

34 In senso contrario GLENDI, Notifica degli atti, cit., p. 36 (e, segnatamente, nota 67); CARINCI, La concentrazione della riscossione, cit., p. 54; CANNIZZARO, «Concentrazione» della riscossione nell’accertamento: le ricadute sul sistema, in BASILAVECCHIA-CANNIZZARO-CARINCI (a cura di), op. cit., p. 75; COPPOLA, op. cit., p. 1436.

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4. la sospensione giudiziale dell’atto impugnato ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, sino alla data di pubblicazione della sentenza di I grado.

Si tratta ora di fare una valutazione sull’effettività della tutela anticipato-ria del contribuente che, su impulso anche del diritto comunitario, costitui-sce una componente indefettibile delle garanzie costituzionali del diritto di difesa solennemente sancite dagli artt. 24 e 113 Cost.

In diritto tributario, com’è ovvio, il diritto di difesa deve essere bilanciato dal dovere di concorrere alle spese pubbliche, anch’esso tutelato costituzio-nalmente.

In questa prospettiva, mi pare ragionevole la scelta legislativa di confer-mare, anche nel sistema novellato, la parziale sospensione ope legis dell’av-viso di accertamento esecutivo ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, giacché, a fronte del rischio di subire atti impositivi privi di fondamento, l’inibitoria legale in discorso riduce fortemente l’ammontare delle somme che possono divenire oggetto di immediata escussione in capo al contri-buente.

Invece, relativamente alla quota di imposte ed interessi provvisoriamente eseguibili, non sembra idonea ad offrire un’adeguata salvaguardia la sospen-sione amministrativa della riscossione, trattandosi di un Provvedimento inibitorio emesso da un organo di parte che, invece di anticipare gli effetti della sentenza al fine di evitare che il decorso del tempo giochi a sfavore del-l’attore che eventualmente abbia ragione, relega il requisito del danno grave ed irreparabile al rango di mero interesse, oggetto di valutazione comparati-va con l’interesse fiscale ad una celere riscossione dei tributi.

Molto più efficace è invece la sospensione giudiziale dell’atto impugnato ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 (che può essere preceduta dal decreto presidenziale di sospensione, nei casi di eccezionale urgenza), che, com’è noto, costituisce una misura cautelare che si fonda sulla presenza del fumus boni iuris e del periculum in mora e che mira ad evitare l’esecuzione di atti pregiudizievoli per il contribuente nelle more della decisione di merito.

Nel sistema previgente, tenendo conto che passavano alcuni mesi tra l’iscrizione provvisoria a ruolo e la notificazione della cartella di pagamento da parte dell’agente della riscossione, nonché che la cartella di pagamento po-teva essere pagata entro sessanta giorni, v’era tutto il tempo per contare di ottenere la sospensione giudiziale prima che avesse inizio la riscossione coat-tiva dei tributi.

Nel sistema attuale, ove l’avviso di accertamento diviene esecutivo de-corsi sessanta giorni dalla notifica, sussiste il fondato rischio che il giudice

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tributario non riesca a pronunciarsi tempestivamente sull’istanza di sospen-sione giudiziale.

Ecco perché va accolta con favore, alla luce del principio di effettività del-la tutela del contribuente, la scelta del legislatore di introdurre la sospensione ope legis per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico del-l’avviso di accertamento all’agente della riscossione.

Se il contribuente presenta ricorso ed istanza di sospensione ai sensi del-l’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, il sistema è in grado di offrire un buon livel-lo di tutela anticipatoria avverso gli atti ritenuti illegittimi, giacché è ragio-nevole pensare che il giudice tributario abbia il tempo per pronunciarsi sulla domanda cautelare prima che l’agente della riscossione possa attivare la pro-cedura di espropriazione forzata.

Il bilanciamento tra il diritto di difesa e il dovere di concorrere alle spese pubbliche è stato risolto ragionevolmente dal legislatore anche in punto di adozione delle misure cautelari e conservative. Nell’arco temporale di cen-tottanta giorni di vigenza della sospensione ope legis, l’inibitoria colpisce an-che eventuali provvedimenti amministrativi a tutela del credito erariale, quali il fermo amministrativo o l’ipoteca previsti dagli artt. 77 e 86 del D.P.R. n. 602/1973. Nel medesimo periodo, tuttavia, possono essere mantenute o adottate altre misure a tutela dei diritti del creditore, purché siano decise nel-l’ambito di procedimenti giudiziari.

La nuova disciplina prevede altresì, in caso di timore di perdere il credito erariale, l’accelerazione dei tempi della riscossione coattiva delle somme ri-chieste con l’avviso di accertamento esecutivo, attribuendo, in presenza di precisi presupposti di fatto, all’agenzia delle entrate, prima, il potere di de-rogare all’inibitoria legale prevista dall’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973 e all’a-gente della riscossione, poi, il potere di agire coattivamente anche nel pe-riodo di vigenza della sospensione ope legis prevista dall’art. 29, comma 1, lett. b), del D.L. n. 78/2010.

In entrambi i casi, però, il contemperamento degli interessi del contri-buente e del fisco è accettabile alla luce dei principi costituzionali solo se gli atti di accelerazione della riscossione di cui sopra possano essere sottoposti in tempi rapidi ad un adeguato vaglio avanti al giudice tributario.

Trova scarsa collocazione sistematica, invece, il riconoscimento della so-spensione ope legis di centottanta giorni anche nell’ipotesi in cui il contri-buente non abbia presentato ricorso avverso l’avviso di accertamento.

Si è qui in presenza, a mio modo di vedere, di un eccesso di tutela, che non si giustifica nemmeno sostenendo che l’obiettivo del legislatore è stato

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quello di favorire l’adempimento spontaneo del contribuente, risparmian-dogli il pregiudizio dell’avvio immediato della procedura esecutiva.

La tutela anticipatoria, invece, non appare per niente efficace laddove vi sia la necessità di rimuovere degli atti non adottati nel rispetto della legge – come, ad esempio, il fermo amministrativo o l’ipoteca – che siano in sé su-scettibili di arrecare gravissimi pregiudizi ai contribuenti

35. La dottrina e la giurisprudenza, infatti, al cospetto dell’attuale assetto

normativo, sono prevalentemente orientate nel senso di ritenere che l’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 consenta l’emanazione di provvedimenti cautelari che producano solo effetti inibitori degli atti lesivi della sfera patrimoniale del contribuente

36. Per contro, i giudici tributari non avrebbero, sempre in am-bito cautelare, i poteri di ordinare la caducazione di atti illegittimi, con la conseguenza che il contribuente si vedrebbe costretto a sopportare passi-vamente le iscrizioni di vincoli pregiudizievoli sui propri beni.

In questa prospettiva, è evidente che la sospensione giudiziale non è as-solutamente in grado di garantire una protezione efficace dei contribuenti.

E, in mancanza di interventi legislativi 37, è auspicabile che siano i giudici,

35 Si pensi agli effetti del fermo amministrativo in capo ad un’azienda di trasporti o dell’ipoteca in capo ad una società immobiliare fortemente indebitata. Mette in luce «l’i-nadeguatezza della disciplina attuale rispetto ai principi sanciti dalla Corte costituzionale» di fronte all’esigenza di tutelare i contribuenti nelle ipotesi di illegittime iscrizioni di fermi amministrativi o di ipoteche SCALA, La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, in Rass. trib., 2008, p. 1299.

36 Si vedano le osservazioni di CANTILLO, Ipoteca iscritta dagli agenti della riscossione e tutela giudiziaria del contribuente, in Rass. trib., 2007, pp. 22-23, secondo cui, nel processo civile, l’orientamento della giurisprudenza è nel senso di ammettere la possibilità di esperi-re la procedura d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. per ottenere un Provvedimento provviso-rio elisivo dell’eccesso di iscrizione. «Ma, mutata la competenza giurisdizionale, è arduo ritenere che siffatti provvedimenti di urgenza possano essere adottati dal giudice tributa-rio. Sussistono forti dubbi, infatti, in ordine all’applicabilità in tale processo dell’art. 700 c.p.c., in quanto ciò implica adesione alla tesi – avversata dalla prevalente dottrina – che in pendenza di giudizio possano essere adottati provvedimenti atipici, in analogia a quanto dispone l’art. 21 della L. TAR 6 dicembre 1971, n. 1034, che consente al giudice ammini-strativo di emettere i provvedimenti provvisori più opportuni, di indole cautelare, a tutela della situazione soggettiva controversa, quando ciò sia necessario al fine di garantire la piena efficacia satisfattiva della finale decisione di merito». Se ne deve dunque concludere che il Provvedimento di sospensione dell’iscrizione ipotecaria «essendo limitato alla so-spensione dell’efficacia dell’atto, non può consistere nell’anticipazione della decisione di merito favorevole al contribuente, non potendo condurre alla (provvisoria) cancellazione o riduzione dell’iscrizione».

37 TINELLI, Statuto dei diritti del contribuente e riscossione coattiva, in Riv. dir. trib., 2012,

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ricorrendo ad un’interpretazione costituzionalmente orientata 38, a recepire

anche nel processo tributario i modelli non tipizzati di tutela anticipatoria presenti nel processo civile e nel processo amministrativo, in modo da poter adottare tutti i provvedimenti che appaiano più idonei ad assicurare provvi-soriamente gli effetti della decisione di merito finale e che impediscano al contribuente che eventualmente abbia ragione di subire effetti ingiustamen-te dannosi nelle more del giudizio.

p. 3 ss., dopo avere analizzato le ragioni per le quali il tema della riscossione abbia ricevuto un’attenzione marginale nello Statuto dei contribuenti, conclude osservando che l’esame della disciplina attualmente vigente conduce «a prendere atto di una situazione gravemen-te deficitaria del sistema di tutela del contribuente nella fase esecutiva, che, pur rappresen-tando una costante del nostro ordinamento, non sembra più tollerabile alla luce dell’evolu-zione dei livelli di garanzia del cittadino nei confronti dell’illegittimo esercizio di pubblici poteri, anche nella materia tributaria».

38 In tema di tutela cautelare, la Corte costituzionale, con le sentt. 17 giugno 2010, n. 217 (in Boll. trib., 2010, p. 1150) e 26 aprile 2012, n. 109 (in Boll. trib., 2012, p. 1034), ha ritenuto di estendere al processo tributario la sospensione dell’esecuzione delle senten-ze impugnante per cassazione prevista dall’art. 373 c.p.c. (sul punto si vedano i rilievi criti-ci di COLLI VIGNARELLI, Confermata dalla Consulta l’interpretazione “costituzionalmente orientata” in tema di tutela cautelare, in Boll. trib., 2012, p. 965). Analoga presa di posizione è stata presa dalla Corte di Cassazione, con la sent. 24 febbraio 2012, n. 2845, in GT-Riv. giur. trib., 2012, p. 389, con nota di GLENDI, La tutela cautelare in pendenza di ricorsi per cas-sazione contro le sentenze dei giudici tributari di secondo grado.

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L’OSSERVANZA DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ UE NELL’INDIVIDUAZIONE

DI CRITERI PRESUNTIVI “RAGIONEVOLI”

THE COMPLIANCE WITH THE EU PRINCIPLE OF PROPORTIONALITY IN THE IDENTIFICATION

OF “REASONABLE” PRESUMPTIVE CRITERIA

Abstract Nell’ambito del processo di integrazione in atto da alcuni decenni fra ordina-mento europeo ed ordinamento interno la logica della proporzionalità, la con-grua misura del potere, integra un principio essenziale di governo delle società complesse. Il presente contributo è volto a valorizzare le potenzialità espansive e “trasversali” del principio di proporzionalità UE che si sostanzia nella ponderazione degli in-teressi contrapposti e nella preferenza dello strumento minimo ed idoneo a con-seguire il risultato richiesto dall’ordinamento giuridico. A tal fine, verranno ricondotte al principio di proporzionalità UE alcune fra le più significative norme tributarie nazionali che racchiudono presunzioni in materia di misure antielusive (con particolare riferimento alla disciplina delle esterove-stizioni e delle CFC) e di accertamenti parametrici o standardizzati. Riguardo al primo ordine di presunzioni la riflessione sarà incentrata sul princi-pio di proporzionalità UE inteso quale limite di diritto europeo che consente la compatibilità della norma antielusiva in materia tributaria con i divieti di restri-zione alle libertà fondamentali. In ordine alla seconda tipologia di presunzioni la valutazione del principio di proporzionalità sarà funzionale al rafforzamento delle forme di tutela del contri-buente già previste a livello nazionale (in particolare dai principi costituzionali di capacità contributiva effettiva ed affidamento). Parole chiave: proporzionalità, presunzioni, ragionevolezza, compatibilità, tutela

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In the context of the ongoing process of integration between European law and dome-stic law, the logic of proportionality and the fair measure of power constitute an essen-tial principle of governance of complex societies. This work aims to enhance the expansive and transversal potentials of the EU princi-ple of proportionality which aims at balancing conflicting interests and giving prefe-rence to such minimum and appropriate instruments useful to achieve the result re-quired by legal system. For this purpose, the most significant national anti-avoidance rules (in particular, the rules on “foreign fictional location of tax residence”, those on “Controlled Foreign Companies”) and those relating to the parametric or standardized assessments, will be read in the light of the EU principle of proportionality. With regard to the presumptions contained in the anti-avoidance rules, the sudy will focus on the EU principle of proportionality, understood as a limit set by European law which realizes the compatibility of anti avoidance rules with the prohibition of measures restricting the fundamental freedoms. With regard to the second type of presumptions, the principle of proportionality will strengthen the protection for the taxpayer already provided by national law (in par-ticular, the constitutional principles of protection of legitimate expectations and actual ability to pay). Keywords: proportionality, presumptions, reasonableness, compatibility, protection

SOMMARIO: 1. Posizione della problematica: oggetto e metodo dell’indagine. – 2. Compatibilità delle pre-sunzioni fiscali nazionali di contrasto alla delocalizzazione fittizia di utili con il principio di proporzionalità. – 3. Limitazione del diritto alla prova e proporzionalità. – 4. Proporzionalità ed accertamenti standardizzati o parametrici.

1. Posizione della problematica: oggetto e metodo dell’indagine

Scopo della presente indagine è quello di ricondurre al principio di pro-porzionalità UE, a testimonianza della sua notevole forza espansiva e dei suoi molteplici impieghi, alcune fra le più significative norme tributarie na-zionali che racchiudono presunzioni in materia di misure antielusive ope-ranti in ambito internazionale (con particolare riferimento alla disciplina delle esterovestizioni e delle CFC) e di accertamenti parametrici o standar-dizzati.

L’analisi di meccanismi presuntivi previsti in ambiti diversi del nostro si-

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stema fiscale è mirata a valorizzare le potenzialità della proporzionalità qua-le principio “trasversale”

1, di origine europea, dell’ordinamento giuridico che, sostanziandosi nella ponderazione degli interessi contrapposti e nella preferenza dello strumento minimo ed idoneo a conseguire il risultato richie-sto dallo stesso ordinamento giuridico, integra un canone fondamentale del-l’azione del legislatore e dell’Amministrazione finanziaria.

Come è noto il principio di proporzionalità, in virtù del c.d. spill over ef-fect, ha iniziato ad operare anche negli ordinamenti nazionali: pur influenza-to dalla ricostruzione operata dal diritto tedesco, il giudice europeo

2 elabora per il caso concreto oggetto di giudizio una autonoma nozione di propor-

1 In tema, senza pretese di completezza, v. A. SANDULLI, La proporzionalità nell’azione amministrativa, Padova, 1998; A. SANDULLI, Proporzionalità, in S. CASSESE (a cura di), Di-zionario di diritto pubblico, Milano, 2006; SCACCIA, Il principio di proporzionalità, in S. MAN-GIAMELI (a cura di), Ordinamento Europeo, l’esercizio delle competenze, Milano, 2006; VIL-LAMENA, Contributo in tema di proporzionalità amministrativa. Ordinamento, italiano, comu-nitario, inglese, Milano, 2008; POLICE, Articolo 1, comma 1: principi generali dell’attività amministrativa, in PAOLANTONIO-POLICE-ZITO (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalla legge n. 15/2005 e n. 80/2005, Torino, 2005, p. 49 ss.; COGNETTI, Principio di proporzionalità. Profili di teoria generale e di analisi sistematica, Torino, 2011.

2 Il principio di proporzionalità trova applicazione in Germania alla fine del XIX secolo in seno alla giurisprudenza amministrativa prussiana, per poi diffondersi successivamente in altri ordinamenti dell’impero germanico (Austria, Belgio, Olanda).

Detto principio ha avuto pieno riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di Giustizia che sin dagli inizi degli anni ’60 lo ha elevato al rango di principio generale del-l’ordinamento europeo. In detto ambito, il principio di proporzionalità permea la logica della pronuncia Federation Charbonniere Belgique del 29 novembre 1956, causa 8/55; tuttavia il tema della origine e formulazione del principio in oggetto sarà affrontato solo nel caso Internationale Handelgselleschaft del 1970, relativo alla tutela dei diritti fonda-mentali. Tale decisione, però, confinando il principio di proporzionalità al solo settore del-la politica agricola è del tutto insoddisfacente ad inquadrarlo fra i principi dell’ordinamen-to Europeo. In questo contesto, la fondamentale esigenza di limitare l’azione delle istitu-zioni europee al fine di proteggere le libertà ed i diritti dei singoli, induce a ritenere la pro-porzionalità una manifestazione del principio dello Stato di diritto, immanente ai Trattati e, dunque, in grado di permeare l’intero sistema legale della Comunità. Tale ricostruzione del principio di proporzionalità si verifica già con la sentenza Mannesmann del 13 luglio 1962, in cui la proporzionalità integra il parametro in base al quale regolare il potere del-l’autorità di «adottare meccanismi finanziari per salvaguardare l’equilibrio del mercato». L’aggancio del principio di proporzionalità al concetto di rule of law è, poi, confermato dal giudice europeo con la sentenza Schrader dell’11 luglio 1989 in cui l’azione “proporzionata” delle istituzioni europee è posta a baluardo dei diritti fondamentali dell’individuo. Di qui l’applicazione del principio in parola agli altri ordinamenti europei anche a quello inglese di common law. In argomento, v. VILLAMENA, op. cit., p. 28 ss.

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zionalità a mezzo della quale fornire la migliore tutela in considerazione de-gli obiettivi dei Trattati

3. L’avvio di un processo di verificazione interna, che si pone oggi in ogni

ordinamento europeo, implica, pertanto, necessariamente il confronto della propria esperienza con quelle maturate negli ordinamenti pilota (tedesco ed europeo) che hanno elaborato le categorie sistematiche della proporzione applicandole sia all’amministrazione che alla legislazione.

Di qui la triplice valenza della proporzionalità contestualmente riferibile ad un congruo esercizio dei tre poteri dello Stato: come metodo di formula-zione rivolto al legislatore; come metodo di interpretazione-attuazione ri-volto all’amministrazione; come metodo di interpretazione-applicazione ri-volto al giudice.

Muovendo da questa premessa, fondamentale è il ruolo assolto dalla pro-porzionalità, intesa quale categoria sistematica autonoma, rispetto ad altri principi dell’ordinamento europeo quali la sussidiarietà, il legittimo affida-mento, la libera concorrenza in quanto il legislatore è tenuto a combinare la proporzionalità con i principi sopra elencati al fine di definirne il contenuto, renderli effettivi ed applicarli nella ragionevole misura in riferimento alle ti-picità della fattispecie oggetto di valutazione.

Sebbene la proporzionalità non sia esplicitamente menzionata nelle Co-stituzioni dei singoli Stati, viene riconosciuta in maniera crescente, come principio di rilevanza costituzionale. Il processo di costituzionalizzazione che si va consolidando in ambito europeo conferisce alla proporzionalità stes-sa valore fondamentale nella misura in cui risulta essere imposta ai legislato-ri nazionali specie in applicazione del diritto Europeo. Invero, l’estensione del principio in oggetto ad ogni settore giuridico dei singoli ordinamenti nazionali comporta sul piano dell’effettività che proporzione e proporziona-lità siano intrinsecamente dotate di rilievo costituzionale.

3 Specificamente sul punto, v. GALETTA, Il principio di proporzionalità ed il suo effetto di “spill over negli ordinamenti nazionali”, in Nuove autonomie, 2005, pp. 541-557, nel senso che la tutela apprestata dal giudice europeo è una tutela giurisdizionale di tipo oggettivo che tiene conto essenzialmente degli interessi concretamente in gioco senza attribuire un peso determinante alla misura del sacrificio patito dal singolo. Le valutazioni operate dal giudice tedesco, invece, incentrate sul triplice controllo della idoneità, necessità e propor-zionalità strictu senso della misura adottata dall’autorità decidente considerano soprattutto l’intensità con cui la misura adottata abbia inciso nella sfera soggettiva del ricorrente. Per una disamina della ricaduta circolare nei vari ordinamenti dei Paesi UE del principio in oggetto, v. diffusamente, DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010.

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Il fatto che il principio in esame sia immanente anche al diritto costitu-zionale italiano

4 non lo rende, tuttavia, un inutile doppione 5. Esso infatti ol-

tre a presentare una incisiva valenza autonoma (che si ripercuote sull’appli-cabilità della norma interna con esso contrastante), per la sua duttilità e per le sue funzioni (interpretative, integrative e programmatiche) consente ai diversi valori e principi costituzionalmente garantiti di concretizzarsi senza che alcuno di essi prevalga comprimendo in assoluto altri valori o principi di rango costituzionale

6. In definitiva, posto che in sede Europea la Corte di Giustizia applica il

principio di proporzionalità previsto dal Trattato (art. 5 TFUE) alle leggi dei singoli Stati membri analogamente a come tradizionalmente avviene ad opera del Giudice Costituzionale, sia quando la proporzionalità deriva dalla fonte costituzionale, sia quando promana da fonti sovranazionali, non si riscontra alcuna differenza nella dinamica della sua trasmissione e diffusione verso il basso in quanto si tratta del medesimo meccanismo operativo che agisce

4 Rileva limpidamente GIOVANNINI, Fondato pericolo per la riscossione ed esazione stra-ordinaria nell’accertamento esecutivo, in Riv. trim. dir. trib., n. 1, 2012, p. 135, come adegua-tezza, proporzionalità e necessarietà siano «criteri direttivi suscettibili di attraversare oriz-zontalmente il sistema, poiché radicati, anzitutto sul principio di ragionevolezza e dunque riconducibili agli artt. 97 e 3 comma 1, della Carta fondamentale, e anche, come si è scritto, ai principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

5 Sul punto, v. MARCHESELLI, Accertamenti tributari e difesa del contribuente. Poteri e di-ritti nelle procedure fiscali, Milano, 2010.

Rileva opportunamente ABBAMONTE, Interpretazione, proporzionalità e funzione al metro dei principi costituzionali sull’obbligazione tributaria, in AA.VV., Dal Diritto Finanziario al Diritto Tributario. Studi in onore di A. Amatucci, vol. 1, Napoli, 2011, p. 132 che «il princi-pio della proporzionalità può essere considerato come una tutela avanzata dell’eguaglianza perché ne fornisce un metro di valutazione sul piano dell’effettività comparando le dimen-sioni della misura giuridica adottata con le dimensioni dell’interesse regolato o comunque inciso».

6 Nel solco della valorizzazione del fenomeno dell’integrazione giuridica europea si è recentemente espressa la Cassazione, sez. trib., con sent. n. 8817/2012 depositata il 1° giu-gno. La Corte chiamata a pronunciarsi su una controversia concernente il recupero di aiuti di Stato dichiarati dalla Commissione incompatibili con il diritto dell’Unione, ha rilevato che «la stessa teoria dei controlimiti, che pure trovava ragionevoli giustificazioni negli an-ni ’70-’80 del secolo scorso, quando il processo di integrazione era nelle fasi iniziali, sem-bra oggi in aperta contraddizione con il concetto stesso di integrazione quale risulta at-tualmente anche in ragione dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE – che ha fornito prove sufficienti di tutela dei diritti fondamentali – e del richiamo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, avente valore vincolante anche nei con-fronti delle istituzioni europee, al punto che il conflitto tra diritto comunitario e diritto statale non sembra oggi più concepibile in uno spazio giuridico europeo veramente integrato».

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analogamente su entrambi i versanti 7. Di tal guisa, in entrambe le ipotesi

applicative (di diritto costituzionale e/o di diritto europeo) si assiste al me-desimo effetto: trasmettere e diffondere verso il basso il principio di propor-zionalità.

Tanto considerato, nella piena consapevolezza del fatto che le sentenze della Corte di Giustizia UE relative alle presunzioni nazionali in materia tri-butaria sono fortemente influenzate dal diverso livello di armonizzazione raggiunto nei vari ambiti impositivi, si cercheranno di definire i criteri ed il grado di tutela offerto al contribuente nazionale, attraverso la proporzionali-tà, posto a base della valutazione di compatibilità.

2. Compatibilità delle presunzioni fiscali nazionali di contrasto alla deloca-lizzazione fittizia di utili con il principio di proporzionalità

Come evidenziato, la proporzionalità richiede la congruità del mezzo ri-spetto al fine nella misura in cui la realizzazione del fine deve essere attuata con il minor sacrificio degli interessi contrapposti meritevoli di tutela in ba-se al diritto europeo

8. Il requisito della proporzionalità impone al legislatore nazionale di non

stabilire presunzioni assolute di pericolo di evasione o elusione fiscale. In pratica la norma nazionale non può mai presumere in modo assoluto che il preteso esercizio di un diritto soggettivo europeo abbia sempre uno scopo abusivo comportando necessariamente un rischio di frode

9. Ciò, è bene

7 In tal senso, diffusamente, v. COGNETTI, op. cit., p. 15. 8 La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (18 dicembre 1997, cause C-286/94,

C340/95, C 401/95, C-47/96) ha rilevato che se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendono a preservare più efficacemente possibile i diritti dell’Erario essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine. In definitiva, la Corte di Giustizia UE è andata elaborando nel tempo un concetto di norma tributaria (tanto sostanziale quanto procedimentale) eccedente rispetto allo scopo, “debordante” rispetto alla funzione che è tesa ad esplicare. In argomento, v. MONDINI, Principio di proporzionalità ed attuazione del tributo: verso la costruzione di un principio generale del procedimento tributario, in T. TASSANI (a cura di), Attuazione del tributo e diritti del contribuente in Europa, Roma, 2009, p. 98 ss.

9 Si vedano in particolare le sentenze Cadbury Schweppes e Test Clamants in the Thin cup group litigation (Corte di Giustizia UE, 13 marzo 2007, causa C-524/04). Tale ultima pronuncia era relativa alla compatibilità europea di una normativa nazionale contro la sot-tocapitalizzazione delle imprese. La disciplina nazionale riqualificava il pagamento di inte-ressi passivi in termini di distribuzione di dividendi indeducibili assumendo presuntiva-mente come indizio dell’elusione il fatto che una società residente avesse ottenuto un pre-

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precisare, anche quando l’effetto della presunzione assoluta non venga a ri-cadere direttamente sul rischio di frode, ma, come nel caso Garage Molen-heide

10, sui presupposti di necessità ed urgenza posti a base della legittima adozione ad opera dell’amministrazione finanziaria di una misura cautelare che assicura la preventiva tutela nella riscossione dei crediti tributari.

La presunzione assoluta, pertanto, quando si ricollega all’esercizio di una libertà garantita a livello europeo, non integra mai un mezzo proporzionato eccedendo quanto necessario al raggiungimento del suo scopo. Ciò che inve-ce risulta sufficiente per la proporzionalità è la possibilità di un controllo giu-risdizionale da parte di un soggetto terzo, e, dunque, la possibilità di fornire la prova contraria in sede giurisdizionale. È parimenti noto che anche una pre-sunzione iuris tantum può risultare sproporzionata nella misura in cui le con-dizioni della prova hanno l’effetto di rendere praticamente impossibile o ec-cessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa del contribuente.

Da quanto affermato, si desume che il ricorso a presunzioni semplici o comunque a presunzioni legali relative rappresenterebbe il “giusto bilan-ciamento” fra effettività della tutela del contribuente e interesse fiscale alla riscossione tributaria

11. stito da una società non residente a condizioni diverse da quelle che sarebbero state appli-cate, in un regime di piena concorrenza, da tali società. La Corte sul punto avverte che una siffatta normativa «che si fonda su un esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se una transazione consista in una costruzione di puro artificio a soli fini fiscali, va conside-rata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive quando, in primo luogo, in tutti i casi in cui l’esistenza di una tale costruzione non può essere esclusa, il contribuente è messo in grado, senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elemen-ti relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali tale transazione è stata conclusa».

Significativo in tema è ancora il caso Leur Bloem, Corte di Giustizia UE, 17 luglio 1997, causa C-28/95, nel senso che le procedure interne devono rispettare il limite della propor-zionalità per verificare ad esempio l’esistenza delle valide ragioni economiche. Una regola generale che esclude automaticamente dal vantaggio fiscale alcune operazioni andando oltre il necessario per prevenire evasione e elusione viola il principio di proporzionalità.

10 V. Corte di Giustizia UE, 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Garage Molenheide annotata da PISTONE, Presunzioni assolute, discreziona-lità dell’amministrazione finanziaria e principio di proporzionalità in materia tributaria secondo la Corte di Giustizia, in Dir. prat. trib., 1998, p. 91 ss. Nel caso di specie, la Corte di Giustizia UE sosteneva che «contrariamente ad una presunzione semplice, una presunzione assoluta andrebbe oltre quanto necessario per garantire un’efficace riscossione e pregiudicherebbe il principio di proporzionalità in quanto non consentirebbe al soggetto passivo di fornire la prova contraria sotto il controllo giurisdizionale del giudice dell’esecuzione».

11 Tali principi sono stati ribaditi nella sentenza Sosnowska (Corte di Giustizia UE, 10 luglio 2008, causa C-25/07.

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Coerentemente con quanto sin’ora esposto, in merito ad un ampliamento a restrizioni di ordine probatorio non sempre adeguatamente considerate su base nazionale, è interessante soffermarsi su quanto espresso nella sentenza Corte di Giustizia UE, caso SGI

12, nella misura in cui si afferma che è con-forme al principio di proporzionalità l’onere della prova previsto dalla legge nazionale antielusiva basato su dati verificabili e oggettivi e in mancanza di oneri amministrativi eccessivi

13. In questo contesto, la giustificazione antielusiva da parte dei Paesi mem-

bri non è stata accettata dalla giurisprudenza europea nel caso in cui la nor-ma nazionale restrittiva fosse a carattere generale e non ostacolasse una par-ticolare operazione artificiosa (in tal senso sentenze ICI del 16 luglio 1998, causa C-246/96 e Lankhorst del 12 dicembre 2002, causa C-324/02). In ba-se a tali specificazioni la nozione più ampia ed a portata generale di abuso del diritto operante negli ordinamenti nazionali dovrebbe essere valutata con estrema attenzione in materia di imposizione diretta ai fini della compatibilità con la libera iniziativa economica e le libertà di circolazione comunitarie

14. Pertanto, il rispetto del principio della proporzionalità della norma antie-

lusiva o anti-abuso consente di non estenderne eccessivamente la portata attraverso la discrezionalità del giudice e dell’amministrazione finanziaria e di non invadere la sfera del legittimo risparmio di imposta determinando così ingiustificate restrizioni alle libertà economiche ed ostacolando la cer-tezza del diritto e la corretta pianificazione fiscale ad opera del contribuente.

In definitiva, in materia di proporzionalità, la Corte di Giustizia UE am-mette che gli Stati membri possano adottare criteri di sicurezza (safe har-bours) applicabili a situazioni che presentano elevate probabilità di abuso: la

12 Corte di Giustizia UE, 21 gennaio 2010, causa C-311/08. Tali argomentazioni sono riprese da ultimo, in Corte di Giustizia UE, 5 luglio 2012, causa C-318/10, SIAT.

13 In tale pronuncia si precisa che la norma antielusiva rispetta la proporzionalità in tutti i casi in cui esiste il sospetto che una transazione ecceda ciò che sarebbe stato convenuto in un regime di piena concorrenza ed il contribuente è messo in condizione senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali.

Va ancora evidenziato sul punto, che la Corte di Giustizia UE, 27 novembre 2008, causa C-418/07, Societeè Papillon, non ha accettato le difficoltà incontrate nel reperimento delle informazioni come giustificazione del mantenimento di tali restrizioni fiscali, riconoscen-do che le informazioni fiscali che riguardano le società, tanto più sono idonee quanto più si applicano misure comunitarie di armonizzazione in materia di contabilità delle società (dati affidabili e verificabili).

14 In argomento v. infra.

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definizione di criteri presuntivi ragionevoli è nell’interesse della certezza del diritto per i contribuenti ed è pratica per le amministrazioni

15.

A) Il regime CFC

Esemplificativa della problematica oggetto di indagine è la normativa ita-liana in tema di società esterovestite e di Controlled foreign companies (CFC) volta, come è noto, a contrastare la delocalizzazione fittizia di utili prodotti nel nostro Paese attraverso la creazione “artificiosa” della residenza della so-cietà all’estero o l’imputazione di detti utili ad una controllata estera che rappresenta una sorta di “schermo giuridico”.

Anche i criteri presuntivi racchiusi in tali misure antielusive, devono ri-spettare il principio di proporzionalità, determinante in ambito europeo, in vista del riconoscimento o meno di regimi antielusivi nella misura in cui lo scopo che si vuole raggiungere è sempre quello di non alterare la concor-renza e di non ledere la libertà di stabilimento

16.

15 Si veda quanto affermato dalla Commissione europea nella COM(2007)785 del 10 dicembre 2007 in ordine all’applicazione di misure antiabuso nel settore dell’imposizione diretta all’interno dell’UE e nei confronti dei Paesi terzi.

16 Con riferimento al tema della libertà comunitaria di stabilimento, il trasferimento all’estero della residenza di società ed imprese è espressamente considerato, da una parte, ai sensi della exit tax di cui all’art. 166 TUIR, dall’altra, in considerazione del fatto che la collocazione all’estero della residenza è oggetto di specifiche discipline di tipo antielusivo ed antievasivo. In particolare, si ha riguardo alle presunzioni di residenza in Italia di enti e società che, formalmente residenti all’estero, conservano elementi “sostanziali” di contatto con il territorio italiano così come alla possibilità, riconosciuta all’Amministrazione finan-ziaria, di far valere la “inopponibilità” del trasferimento della residenza (in argomento si vedano specificamente i rilievi di TASSANI, Trasferimento di residenza ed exit tax nel diritto comunitario: l’esperienza italiana, in Studi tributari Europei, n. 1, 2009). Come si evince dalle conclusioni dell’Avv. Gen. al caso della Corte di Giustizia UE, 11 marzo 2004, causa C-9/02, Hughes de Lasteyrie, p. 51 ss., il fatto che un contribuente si stabilisca all’estero non implica di per sé elusione fiscale e si potrebbe invece prevedere la possibilità per l’amministrazione fiscale di dimostrare caso per caso l’esistenza effettiva di una elusione o di un’evasione fi-scale. Sul punto v. MELIS, Profili sistematici del trasferimento di residenza, in Dir. prat. trib. int., 2004, p. 48 ss. Da ultimo in tema, si rinvia a Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 29 novembre 2011, causa C-371/10, National Grid Indus B.V. In particolare, con il caso af-frontato e deciso con sentenza del 29 novembre 2011, alla Corte di Giustizia UE, è stato chiesto se fosse compatibile con la libertà di stabilimento il fatto che il trasferimento della sede amministrativa di una società da uno Stato membro in un altro, diversamente da quanto accade nel caso di trasferimento di sede sul territorio nazionale, comporti un’im-mediata tassazione delle riserve tacite (o plusvalenze latenti). Sul punto la Corte ha sanci-to che il diritto dell’Unione non osta, in linea di principio, ad una tassazione delle plusva-

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È ben noto, infatti, che la ratio sottesa alla libertà di stabilimento consi-ste, da un lato, nella necessità di assicurare ad un ente non residente il trat-tamento nazionale nello Stato ospitante e, dall’altro, nell’esigenza di rimuo-vere ogni possibile ostacolo alla costituzione di filiali, agenzie, succursali in altri Paesi membri per promuovere in loco l’attività di impresa. Per costante giurisprudenza europea sono considerate restrizioni a tale libertà «tutte le misure che ne vietano, ostacolano, scoraggiano l’esercizio». Sempre la giu-risprudenza della Corte di Giustizia UE afferma, poi, significativamente che l’esercizio della libertà di stabilimento, al pari dell’esercizio delle altre libertà fondamentali, non può essere volto a fini abusivi

17, precisando che norme nazionali che ostacolano la libertà di stabilimento non sono giustificabili nella misura in cui riguardano specificatamente costruzioni prive di effettiva economicità volte ad ottenere unicamente un vantaggio fiscale

18. Proprio l’applicazione di queste regole europee comporta la possibilità di

insediare un’attività economica in un altro Stato membro a prescindere dal-la circostanza che la sua filiale investa il suo capitale nel controllo, diretto o indiretto, di una società residente in Italia o che il Cda sia formato da resi-denti.

Così argomentando, non si rientra nella sfera applicativa della normativa CFC, tutte le volte in cui la società eserciti effettivamente un’attività eco-nomica per una durata di tempo indeterminata e la stessa società eserciti in modo abituale la gestione dei suoi interessi secondo modalità riconoscibili da terzi ed in osservanza completa e regolare della sua stessa identità socie-taria nello Stato membro dove è situata la sua sede statutaria, sì che requisiti lenze latenti relative agli attivi di una società in occasione del suo trasferimento di sede in un altro Stato membro. Tuttavia la riscossione immediata dell’imposta nel momento in cui la società trasferisce la propria sede, senza che alla società in questione venga data la possi-bilità di differirne il pagamento, è incompatibile con il diritto dell’Unione.

17 In argomento diffusamente v., MARINO, La relazione di controllo nel diritto tributario, Padova, 2008.

18 In tal senso, Corte di Giustizia UE, 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Sch-weppes e Cadbury Schweppes Overseas. In tale caso, in particolare, si evidenzia che la misura antielusiva che determina restrizione alla libertà di stabilimento è ammessa e compatibile con l’art. 43 TUE solo se riguarda operazioni artificiose prive di effettività economica e deve consentire la prova contraria alla società estera controllata. Seguendo quest’ordine di idee è stata considerata compatibile con il diritto UE la normativa inglese che regolamenta le im-prese estere controllate e che prevede che essa non si applichi qualora la riduzione del-l’imposta non costituisca il motivo principale della transazione realizzata tra società residente e filiale esterna e nel caso in cui la società provi che lo scopo della costituzione della filiale nel Paese a fiscalità privilegiata non sia quello di realizzare un illecito risparmio di imposta.

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di trasparenza e riconoscibilità siano, per definizione, soddisfatti 19.

Il nostro ordinamento prevede, attraverso il D.L. n. 78/2009 conv. con L. n. 102/2009, una serie di modifiche all’art. 167 TUIR volte in estrema sin-tesi a rendere ulteriormente restrittive le esimenti. In particolare, per la di-sapplicazione della disciplina è necessario un radicamento effettivo dell’atti-vità nel mercato dello Stato o territorio di insediamento (comma 5 dell’art. 167); la norma (nuovo comma 5 bis dell’art. 167) non è comunque disap-plicabile quando i proventi della partecipata estera derivano per più del 50% da interessi su titoli e attività finanziarie, dividendi, royalties e corrispettivi di servizi infragruppo (“passive income”); si estende la disciplina CFC, a deter-minate condizioni, anche ad imprese che non risiedono in paradisi fiscali (art. 167, comma 8 bis)

20. La presunzione non si applica qualora il contri-buente presenti apposito interpello dal quale risulti che l’insediamento all’e-stero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un in-debito vantaggio fiscale (art. 167, comma 8 ter). Il legislatore ha pratica-mente dato fondamento normativo all’interpretazione espressa nella prassi ministeriale (v. Risoluzioni 10 novembre 2008, n. 427/E e del 22 giugno 2009, n. 165/E).

In conformità con quanto stabilito a livello UE, nella nuova formulazione si dispone infatti che – per poter disapplicare la disciplina CFC – è necessa-rio che il soggetto residente dimostri che la società o altro ente non residen-te svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua attività principale, nel mercato dello Stato o del territorio di insediamento.

La novità è costituita dall’introduzione del riferimento all’inserimento del-la controllata nel mercato locale. Da ciò discende che, per fare in modo che i redditi conseguiti dalla società localizzata in un paradiso fiscale non siano imputati per trasparenza alla controllante italiana, non è più sufficiente la disponibilità nel Paese black list di una struttura organizzativa adeguata allo svolgimento di un’attività economica effettiva, ma è necessario che ci sia un effettivo radicamento della prima nel territorio estero di localizzazione, in

19 Rileva efficacemente CORDEIRO GUERRA, La cosiddetta esterovestizione al vaglio dei giudici di merito, in GT-Riv. giur. trib., n. 3, 2008, che per dirimere le controversie in punto di residenza deve seguirsi una sequenza puntuale e progressiva in ordine ai fatti da dimo-strare scansione alla quale la dialettica probatoria non può e non deve sottrarsi.

20 In particolare quando si verifica la seguente duplice condizione: la tassazione effettiva dello Stato estero è inferiore a più della metà di quella a cui le controllate estere sarebbero state soggette ove residenti in Italia; i proventi conseguiti derivino per più del 50% dalla c.d. “passive income”.

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modo tale da partecipare in maniera stabile e continua alla vita economica dello stesso

21. Come evidenziato, bisogna interrogarsi sulle modalità in base alle quali

la società residente, in sede di interpello, deve superare la presunzione e di-mostrare che «la società o l’ente non residente svolge un effettiva attività in-dustriale o commerciale, come sua principale attività nel mercato dello stato o territorio di insediamento» senza che ciò risulti una prova diabolica.

In tema si è espressa l’Amministrazione finanziaria con la Circolare 6 ot-tobre 2010, n. 51/E specificando che il radicamento nel mercato locale in-tegra un rilevante elemento per provare che la CFC svolge nel territorio in cui è localizzata una effettiva attività industriale o commerciale.

L’A.F. evidenzia in particolare che il radicamento nel mercato dello Stato di insediamento sarà integrato qualora vi sia un concreto legame socio-eco-nomico dell’Ente con il Paese estero, collegamento che dovrà estrinsecarsi nell’intenzione di partecipare in maniera stabile e continuativa alla vita eco-nomica dello Stato ospitante.

L’amministrazione finanziaria ha elaborato il concetto di collegamento con il mercato dello Stato o territorio di insediamento richiamando espres-samente e, diciamo anche impropriamente, la sentenza Cadbury Schweppes. L’A.F. afferma, infatti, del tutto autonomamente, che il concetto di mercato si ricava dalla sentenza Cadbury Schweppes (e quindi dalla sentenza Gebhard del 1995) posto che nelle pronunce ora menzionate la Corte di Giustizia UE non opera alcun richiamo al concetto di mercato ma solo a quello di ter-ritorio di insediamento e/o stabilimento.

Il rischio, tanto rilevato, è che la normativa CFC possa apparire irragio-nevole, vero è infatti che la normativa in questione deve essere funzionale ad una oggettiva difficoltà del fisco ad accertare la effettiva capacità contri-butiva del soggetto passivo di imposta, senza porre in capo al contribuente un onere di prova diabolico

22, violando in tal modo il principio di propor-zionalità.

21 Per le attività bancarie, finanziarie ed assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento.

22 Si rinvia sul punto a quanto sostenuto da MARINO, La nozione di mercato nella disci-plina CFC: verso una probatio diabolica?, in Riv. dir. trib., n. 12, 2011, p. 1124.

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B) Le esterovestizioni

Anche le presunzioni di residenza introdotte all’interno dell’art. 73 TUIR

23 sembrano orientate verso un approccio volto, forse in maniera ec-cessivamente semplicistica, a valorizzare il rapporto di controllo dell’ente estero da parte di un soggetto residente in Italia. Sotto il profilo della tutela, è quindi necessario, nel fornire la prova contraria, porre in rilievo puntual-mente le peculiarità del singolo caso, evidenziando eventualmente anche le contraddizioni che la sola valorizzazione del rapporto di controllo compor-terebbe. In particolare in alcune ipotesi, si pensi alle società di mera intesta-zione di patrimoni, in cui viene a mancare del tutto l’attività “imprenditoria-le”

24 – in quanto un siffatto ente si limita a sfruttare le potenzialità reddituali dei cespiti posseduti – potrebbe risultare particolarmente arduo per le so-cietà holding, replicare alla presunzione in oggetto dimostrando una reale attività d’impresa svolta nel territorio estero.

L’Agenzia ha significativamente specificato 25 che la presunzione dell’art.

73, commi 5 bis, ter e quater facilita il compito del verificatore nell’accerta-mento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva della società, «ma non lo esonera dal provare in concreto l’effettività dell’e-sterovestizione». Secondo l’Agenzia le norme «costituiscono solo il punto di partenza per una verifica più ampia, da effettuarsi in contraddittorio con

23 Non è certamente questa la sede per approfondire la problematica dell’applicabilità delle presunzioni di cui all’art. 73, comma 5 bis al trust. Per compiuti riferimenti metodo-logici relativi all’impostazione della tematica, senza pretese di completezza, v., FICARI, Il trust nelle imposte dirette (irpeg o irap) un articolato modulo contrattuale oppure un autonomo soggetto passivo, in Boll. trib., 2000, p. 1529 ss.; GIOVANNINI, Problematiche fiscali del trust, in Boll. trib., 2001, p. 1125.

24 In tema v. STEVANATO, Holding di partecipazioni e presunzione di residenza, in Corr. trib., n. 1, 2008, p. 69 ss. e dello stesso autore “Oggetto principale” ed interposizione ai fini della residenza fiscale, in Dialoghi trib., n. 12, 2007.

25 V. protocollo Agenzia delle Entrate n. 2010/39678 e Protocollo n. 2010/15734. La commissione Aidc, ha denunciato l’illegittimità comunitaria della norma in oggetto evi-denziandone i profili di restrizione della libertà di stabilimento. In seguito alla denuncia, la Commissione europea, ha attivato la procedura UE-Pilot e ha interpellato le autorità ita-liane che hanno risposto a numerose domande. In seguito alle risposte la Commissione UE ha deciso di archiviare il caso poiché appare conforme al principio di proporzionalità la dichiarazione fatta dalle autorità italiane in base alle quali l’amministrazione finanziaria non è comunque esonerata dal provare l’effettività dell’esterovestizione per cui «la pre-sunzione di residenza (è) fondata essenzialmente su una valutazione caso per caso da parte degli enti verificatori del complesso degli elementi fattuali di ogni singola fattispecie senza limitare la possibilità del contribuente di fornire elementi in senso contrario».

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l’amministrazione finanziaria, sull’intensità del legame tra la società e lo Sta-to estero e tra la medesima società e l’Italia».

Dunque, le fattispecie al verificarsi delle quali la società estera si considera “esterovestita” e, pertanto, fiscalmente residente in Italia, assurgono a meri elementi indiziari, che depotenziano la presunzione legale insita nella nor-ma. L’interpretazione ministeriale sottolinea che al fine di «fondare la resi-denza effettiva di un soggetto estero in Italia, i relativi riscontri degli organi verificatori devono basarsi su un’analisi complessiva della situazione di fatto dell’impresa, non limitata da una valutazione acritica fondata soltanto su det-te presunzioni».

Quanto agli elementi di prova che la società UE può addurre a dimostra-zione della propria residenza estera, l’amministrazione spiega che al contri-buente è lasciata possibilità di dotarsi degli elementi più idonei a dimostrare che, di fatto, la società è amministrata al di fuori dal territorio italiano.

Alla luce della ricostruzione ministeriale, dunque, la presunzione conte-nuta nella disposizione «non limita in alcun modo il contenuto della prova contraria a carico del contribuente, né ne rende l’esercizio particolarmente difficoltoso».

Pertanto, la valutazione dell’amministrazione dovrà essere basata su rico-struzioni “caso per caso” sempre secondo canoni di contradditorio impron-tati al principio di parità.

Ancora, si precisa che il rilascio da parte dello Stato membro in cui risie-de la società di un certificato attestante la residenza fiscale e/o l’assoggetta-bilità a imposizione in tale Stato per l’Agenzia rileva «significativamente ai fini della prova dell’insussistenza di un attendibile collegamento con l’Italia. Tuttavia, si tratta di una prova necessaria e valida, ma non sufficiente a riget-tare la presunzione in questione».

In definitiva, la norma in esame, nonostante i precedenti chiarimenti 26 e

26 Attraverso interpretazioni ministeriali (Risoluzione 30 ottobre 2008, n. 409 che consi-dera «aspetti certi concreti e sostanziali») l’A.F. sembra ritenere necessaria l’effettività so-stanziale delle prove (substance over form) del collegamento di una società estera con il terri-torio italiano. V. anche la Circolare 4 agosto 2006, n. 28/E. L’art. 73, comma V bis prevede l’inversione a carico del contribuente dell’onere della prova, dotando l’ordinamento di uno strumento che solleva l’amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l’effettiva sede della amministrazione di entità che presentano elementi di collegamento con il territorio del-lo Stato molteplici e significativi. In tale ottica la norma persegue l’obiettivo di migliorare l’efficacia dell’azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva delle società. In particolare, essa intende porre un freno al fenomeno delle cosiddet-

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le sopracitate risposte ministeriali alla Commissione UE, sembra comunque ledere i principi europei di proporzionalità e di sussidiarietà e crea un’evi-dente disparità di trattamento tra holding con partecipazioni italiane e hol-ding con partecipazioni all’estero

27. In definitiva l’art. 73 TUIR integrereb-be una presunzione generale di frode fiscale, prevedendo una misura, ossia l’inversione dell’onere della prova, che appare sproporzionata

28. L’art. 73, comma V bis prescinde, infatti, dall’adeguatezza o meno dello

scambio di informazioni tra le amministrazioni finanziarie (requisito essen-ziale previsto per i Paesi UE e white list) e inverte immediatamente la prova a carico del contribuente

29. Tuttavia, tra le risposte dell’autorità italiana, è rilevante l’affermazione in base alla quale nel caso in cui vengano ravvisati gli elementi riconducibili alla presunzione che l’entità sia di fatto amministra-ta in Italia «viene di prassi attivata l’assistenza amministrativa con gli Stati membri». Ne consegue che l’avvio della procedura prevista dalla Direttiva 77/799/CEE, più che una prassi, dovrebbe essere un passaggio obbligato per l’autorità fiscale, i cui risultati, in caso di contenzioso, dovranno essere esibiti e messi a disposizione del contribuente per preservare il principio del contraddittorio.

te esterovestizioni, consistenti nella localizzazione della residenza fiscale delle società in Stati esteri al prevalente scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall’ordinamento di appar-tenenza; a tal fine la norma valorizza gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformità al principio della “substance over form” utilizzato in campo internazionale.

27 VIOTTO, Considerazioni di ordine sistematico sulla presunzione di residenza in Italia delle holding estere, in Riv. dir. trib., 2007, rileva un’alterazione dell’onere della prova che si viene a creare in quanto coinvolge e assorbe l’elemento temporale della residenza al punto da renderlo irrilevante per l’A.F. la quale dovrà solo dimostrare che esisteva una delle condi-zioni previste dal comma 5 bis.

28 Ampiamente, sull’incidenza di presunzioni legali e semplici sull’onere della prova in sede di contenzioso tributario, v. F. AMATUCCI, Criteri di valutazione e utilizzo delle prove nel processo tributario, in Giust. trib., n. 2, 2008.

29 È stato ritenuto (BAGAROTTO, La residenza delle società alla luce delle presunzioni di esterovestizioni, in Riv. dir. trib., 2008, p. 1167) che la ratio della presunzione contenuta in tale norma non intende precludere la localizzazione di vere e proprie strutture all’estero; in realtà, la mancanza del richiamo all’art. 168 bis determina inevitabilmente il contrasto con il principio della proporzionalità.

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3. Limitazione del diritto alla prova e proporzionalità

In pratica, se è vero che dette disposizioni ammettono la “prova contra-ria” è indubbio, tuttavia, che riducono il “grado di confidenza” degli opera-tori economici nei confronti del sistema tributario

30, determinando, in alcu-ni casi (si pensi all’immediata inversione dell’onere della prova a carico del contribuente di cui all’art. 73, comma 5, TUIR), proprio sotto il profilo del-la tutela, una sproporzionata lesione dei diritti del contribuente

31.

30 Così MARINO, Brevi note sull’onere della prova nel diritto tributario internazionale, in AA.VV., La normativa tributaria nella giurisprudenza delle Corti e nella nuova legislatura, Pa-dova, p. 503.

31 Maggiormente aderente ai principi europei analizzati risulta invece, per il profilo ogget-to della presente trattazione, la normativa in tema di prezzi di trasferimento in cui l’adem-pimento del dovere esplicativo e probatorio incombente sull’ufficio è diversamente modu-lato a seconda del grado di esaustività della collaborazione prestata dal contribuente nel corso dell’istruttoria.

L’art. 26 del D.L. n. 78/2010 stabilisce che l’impresa italiana che fa parte di un gruppo internazionale coinvolto in transazioni commerciali con altri membri del gruppo stesso deve redigere un insieme di documenti volti a dimostrare la corrispondenza dei componenti positivi o negativi denunciati ai fini fiscali con i corrispettivi pattuiti normalmente fra sog-getti indipendenti. L’esibizione della documentazione descritta non fa venir meno l’onere della prova che grava sull’ufficio in merito alla dimostrazione dei presupposti per la corre-zione dei prezzi praticati nelle operazioni infragruppo. Nella verifica dell’osservanza delle disposizioni sul valore normale l’ufficio deve illustrare le ragioni pratiche in base alle quali ritiene non allineato al prezzo di mercato il corrispettivo pattuito tra le imprese del mede-simo gruppo. A questo punto, il contribuente dovrà replicare al fisco cercando di dimo-strare l’osservanza delle regole di cui all’art. 110 del D.P.R. n. 917/1986. È significativo, infatti, osservare in merito che in giurisprudenza si afferma che «l’onere della prova della ricorrenza dei presupposti dell’elusione grava in ogni caso sull’Amministrazione che intenda operare le conseguenti rettifiche ... il contribuente non è tenuto a dimostrare la correttezza dei prezzi di trasferimento applicati se non prima che l’amministrazione fiscale abbia essa stessa prima facie provato il non rispetto del valore normale» (v. fra le altre, Cass. n. 22023/2006). L’ufficio dovrà, pertanto, esaminare la documentazione prodotta dal con-tribuente e specificare nell’avviso di accertamento le circostanze in base alle quali le valu-tazioni posta a base della documentazione non sono da considerarsi corrette. In difetto di ciò l’atto impositivo, per carenza di motivazione, è nullo. V. A.M. GAFFURI, La nuova disci-plina in tema di documentazione dei “prezzi di trasferimento”, in Rass. trib., n. 6, 2011, p. 146. Rileva, tuttavia, efficacemente DELLA VALLE, Transfer Price: L’esimente relativa alla rettifica del valore normale, in Riv. trim. dir. trib., n. 1, 2012, p. 78) che la tematica è comunque sfug-gente in quanto la regola del valore normale nelle transazioni infragruppo transazionali è rivolta al contribuente prima di tutto, «trattandosi di regola sostanziale sulla determina-zione dell’imponibile, è il contribuente che alla stessa deve uniformarsi nel momento in cui redige la dichiarazione dei redditi, ciò da cui è logico dedurne che dovrebbe essere in gra-do di dare a sé la prova dell’osservanza della regola».

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Ciò che è opportuno evidenziare è che non può mai esserci una sorta di “sanzione impropria” per il contribuente che abbia deciso di stabilire parte della sua attività al di fuori del territorio dello Stato, diversamente operando si correrebbe il rischio di porre in essere una indiretta limitazione dell’at-tività di stabilimento incompatibile con il Trattato e con i principi elaborati e promossi dalla giurisprudenza europea, primo fra tutti quello della pro-porzionalità

32. Proprio la giurisprudenza europea (Corte di Giustizia UE, 12 settembre

2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes) pone le basi per un dibattito in-terno (e poi, eventualmente davanti alla Corte di Giustizia UE) per delimi-tare le nozioni di costruzione artificiosa e indebito (potendo ben essere il ri-sparmio fiscale un obiettivo legittimo) vantaggio fiscale nella cornice delle libertà garantite dai Trattati e dal diritto europeo.

Sempre da detta giurisprudenza europea emerge, infatti, secondo un mo-dello di bilanciamento di interessi, uno schema di coordinamento fra libertà di stabilimento e problematiche elusive: sono conformi a sistema quelle ope-razioni consistenti nello sfruttamento delle asimmetrie fra le disposizioni (non armonizzate) che nell’ambito degli Stati UE permettono di minimiz-zare l’impatto dell’imposizione reddituale sempre che non si rientri nell’ipo-tesi in cui le controllate estere possano definirsi «strutture di puro artificio destinate ad eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta»

33. In questa prospettiva, una attenta riflessione merita il principio di pro-

porzionalità inteso correttamente quale limite di diritto europeo che con-sente la compatibilità della norma antielusiva o antiabuso in materia tributa-ria con i divieti di restrizione alle libertà fondamentali limpidamente identi-ficati dalla richiamata giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.

Le considerazioni svolte, in ordine alla valenza effettiva del principio di proporzionalità in riferimento ai sopra descritti sistemi presuntivi antiabuso,

32 In tal senso MARINO, Relazioni di controllo e attività d’impresa, Atti del Convegno pres-so la II Università di Napoli su Imposizione fiscale e attività di impresa in ambito nazionale e comunitario, Napoli, 8 maggio 2009, in Riv. dir. trib., n. 10, 2009, p. 860.

33 Osserva efficacemente BEGHIN, La sentenza Cadbury-Schweppes ed il “malleabile” prin-cipio della libertà di stabilimento, in Rass. trib., n. 3, 2007, p. 990, che «il differente tratta-mento fiscale sul versante dell’imposta sul reddito è metabolizzato dall’ordinamento fino a quando esso (vantaggio) poggia su strutture operative (le società figlie) concretamente operanti; per contro laddove le società dislocate in Paesi a bassa fiscalità costituiscano – co-me ricordato – strutture di puro artificio, il sistema manifesta una crisi di rigetto ed annulla quelle differenze di carico fiscale che, a fronte di strutture reali, avrebbe invece accettato».

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non possono, poi, non essere rapportate, sia pur in estrema sintesi, alla defi-nizione generale dell’abuso di diritto racchiusa nell’art. 6 del disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale, approvato dal Consiglio dei Mini-stri il 16 aprile 2012

34. Nel disegno di legge delega citato, la condotta abusiva veniva identificata

nell’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’im-

34 Come è noto la nostra giurisprudenza di legittimità nelle sue più recenti evoluzioni (ex multis, v. Cass., sent. n. 1372/2011; Cass. n. 7393/2012) sottolinea che si considerano abu-sive le pratiche che, pur formalmente rispettose del diritto interno ed europeo, siano poste in essere al principale scopo di ottenere benefici fiscali contrastanti con la ratio delle norme che introducono il tributo o che prevedono esenzioni o agevolazioni. Il carattere abusivo è esclu-so soltanto dalla presenza di valide ragioni extrafiscali. La Corte richiama, in particolare, il principio sancito dalla Corte di Giustizia UE, 21 febbraio 2008, causa C-425/06, Part Service, secondo cui la presenza di ragioni economiche marginali o non determinanti non esclude il carattere abusivo dell’operazione.

Si precisa che incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di spiegare perché la forma giuridica impiegata abbia carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa e che è onere del contribuente provare l’esistenza di un contenuto economico dell’operazione diverso dal mero risparmio fiscale, il tutto in considerazione della portata dei diritti costituzionalmente protetti della libertà d’impresa e di iniziativa economica di cui all’art. 42 Cost., nonché nel diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.

Il principio dell’abuso del diritto va dunque applicato secondo cautela, essendo neces-sario trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa.

Pertanto, il medesimo esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e dal TUE non può essere limitato per ragioni fiscali. In particolare, si rinvia al diritto di stabilimento europeo che, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, comporta una libertà di scelta delle forme societarie, sia pure dettata da ragioni esclusivamente fiscali.

Senza pretese di completezza in argomento v., LOVISOLO, Il principio di matrice comuni-taria dell’abuso del diritto entra nell’ordinamento giuridico italiano: norma antielusiva di chiu-sura o clausola generale antielusiva? L’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte, in Dir. prat. trib., 2007, II, p. 735; PISTONE, L’elusione fiscale come abuso del diritto: certezza giuri-dica oltre le imprecisioni terminologiche della Corte di giustizia Europea in tema di Iva, in Riv. dir. trib., 2007, IV, p. 17; TESAURO, Divieto di abuso del diritto (fiscale) e vincolo da giudicato esterno incompatibile con il diritto comunitario, in Giur. it., 2008, p. 1029; MOSCHETTI, Avvi-saglie di supplenza del giudiziario al legislativo nelle sentenze delle Sezioni Unite in tema di uti-lizzo abusivo di norme fiscali di favore, in GT-Riv. giur. trib., 2009, p. 197; F. AMATUCCI, L’abuso del diritto nell’ordinamento tributario nazionale, in Corr. giur., 2009, p. 553; STEVA-NATO, Abuso del diritto ed elusione tributaria, anno zero, in Dialoghi trib., 2009, p. 255; LA ROSA, Elusione e antielusione fiscale nel sistema delle fonti del diritto, in Riv. dir. trib., 2010, p. 790; GIOVANNINI, Il divieto di abuso del diritto in ambito tributario come principio generale dell’ordinamento, in Rass. trib., 2010; IV, p. 982 ss.; FICARI, Clausola generale antielusiva, art. 53 della Costituzione e regole giurisprudenziali, in Rass. trib., 2009, II, p. 390 ss.

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posta, ancorché tale condotta non fosse in contrasto con alcuna specifica di-sposizione. Detti strumenti sono inopponibili all’amministrazione fiscale alla quale viene riconosciuto il potere di disconoscere il relativo risparmio di imposta. In ordine alla tutela del contribuente sotto il profilo della libertà di scelta si esclude la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali

35. Sarebbe stata, a nostro avviso, sicuramente preferibile l’introduzione nel-

l’ordinamento fiscale italiano di una norma di sistema, che a maggiore chia-rezza e a tutela dei contribuenti, nel confermare l’esistenza di un principio generale di divieto dell’abuso del diritto, ne veniva a disciplinare il relativo procedimento di accertamento e il relativo sistema probatorio che rappresen-ta il vero punto debole di questo impianto non consentendo la conformità di tali nuove disposizioni con il diritto UE.

Non può non rilevarsi, tuttavia, che in base ai più recenti arresti giuri-sprudenziali della nostra Corte di Cassazione la stessa opportunità dell’ema-nazione di una disposizione ad hoc antiabuso, prevista dal disegno di legge sulla delega fiscale pare essere messa in discussione. Come sostenuto dalla Corte di Cassazione con l’ord. n. 14494, depositata il 14 agosto 2012, l’esi-stenza nell’ordinamento tributario del generale divieto di abuso del diritto consente il disconoscimento degli effetti di qualunque negozio posto in es-sere solo per vantaggi fiscali anche se, al tempo della violazione, la norma spe-cifica di riferimento non esisteva. L’amministrazione pertanto, come ribadi-to dai giudici di legittimità, può rettificare la dichiarazione dei contribuenti di-rettamente sul principio non scritto di diretta derivazione costituzionale in quanto il generale principio di divieto di abuso del diritto, comporta l’esi-stenza di una clausola generale antielusiva, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto di stru-menti idonei a conseguire un risparmio di imposta

36.

35 Sono tali si legge nell’art. 6 citato, anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione ma rispondono ad esigenze di natura organizza-tiva e consistono in un miglioramento funzionale e strutturale dell’azienda del contribuente. In riferimento all’onere della prova, è a carico dell’amministrazione l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati nonché la loro non conformità ad una normale logica di mercato. Grava, invece, sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali alternati-ve o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti. Nella motivazione dell’accer-tamento fiscale, a pena di nullità, deve essere contemplata una formale e puntuale indivi-duazione della condotta abusiva.

36 In mancanza di ragioni economicamente apprezzabili, diverse dal mero risparmio fi-

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Questi i dati di riferimento che, confrontati con la consolidata giurispru-denza europea richiamata nel corso della presente trattazione, non paiono pienamente conformi al rispetto del limite della proporzionalità UE per ve-rificare l’esistenza delle valide ragioni economiche e delle ragioni extrafiscali marginali.

Ragionando in questi termini, in ossequio al principio di proporzionalità UE, può essere d’ausilio la metodologia interpretativa dell’Analisi economi-ca del diritto

37. L’Economic Analysis of Law fornisce, infatti, all’interprete della legge tri-

butaria gli strumenti necessari, in particolare sotto il profilo extragiuridico, per individuare tra più significati quello corretto, al fine di realizzare i valori costituzionalmente garantiti della giustizia redistributiva e dell’efficienza ol-tre che la stessa proporzionalità.

La metodologia rigorosa dell’interpretazione consente, infatti, di appura-re se il beneficio fiscale ottenuto dal contribuente, sottraendosi al presuppo-sto di imposta, consiste in un lecito risparmio di imposta

38 (voluto dalla legge in considerazione dell’attuazione di finalità economiche pubbliche) ri-spondente alle logiche di mercato. L’interprete successivamente, in caso di risultato negativo, sarà in grado di individuare la sussistenza delle valide ra-gioni extrafiscali che giustifichino il comportamento del contribuente. Nel caso in cui anche quest’analisi produce un risultato negativo, l’interprete dovrà riconoscere l’abuso del diritto tributario con conseguente applicazio-ne della clausola generale di fonte europea.

4. Proporzionalità e accertamenti standardizzati o parametrici

Qui interessa evidenziare come gli Stati membri siano tenuti ad unifor-marsi al principio di proporzionalità nella loro attività normativa ed ammi- scale, tali operazioni sono infatti censurabili. Sempre in base a quanto sostenuto dalla supre-ma Corte a nulla rileva che l’eventuale norma contestata (art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973) sia stata introdotta e sia entrata in vigore dopo i fatti in questione. Alla luce di questa discu-tibile ricostruzione allora le stesse norme scritte antielusive perderebbero valore posto che non solo si possono applicare estensivamente ma, addirittura, trovano applicazione ancor prima della loro emanazione.

37 Diffusamente in argomento si veda A. AMATUCCI, Il contributo dell’Economic Analysis of Law alla metodologia del diritto tributario, in Riv. dir. trib. int., 2009, p. 25.

38 In tema, v., MELIS, Sull’interpretazione antielusiva in Benvenuto Griziotti e sul rapporto con la Scuola tedesca del primo dopoguerra: alcune riflessioni, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 413 ss.

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nistrativa anche per quanto riguarda le materie o i singoli settori di materie non ricompresi nell’ambito della competenza europea

39. L’ingresso diretto, anche sotto il profilo procedimentale, del principio europeo della propor-zionalità è dato, infatti, dalla riforma della L. n. 241/1990 che si pone come intervento sintomatico del fenomeno dell’integrazione giuridica europea: l’art. 1, comma 1, della citata legge dispone infatti che «l’attività amministra-tiva persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economici-tà, di efficienza di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle disposizioni che disciplinano i singoli procedi-menti nonché dall’ordinamento comunitario»

40. I principi europei sono divenuti, pertanto, principi del nostro ordinamen-

to interno non solo, come accadeva in precedenza, in applicazione del diritto europeo ma anche, novità di rilievo, in applicazione del diritto italiano

41. Questa evoluzione è culminata nella decisione del Consiglio di Stato (sez. VI, 14 aprile 2006, n. 2087) che riconosce autonomia concettuale ed appli-cativa al principio di proporzionalità qualificandolo in termini di «principio generale dell’ordinamento».

Non basta, invero, una operazione di semplice cosmesi semantica per ga-rantire l’applicazione del nuovo testo dell’art. 1, sostituendo tout court la vecchia nozione dell’illogicità, della irrazionalità, dell’ingiustizia, dell’irra-gionevolezza (tutte figure tradizionali della morfologia del nostro vizio di eccesso di potere) con la nuova nozione europea della proporzionalità.

È fondamentale, invece, garantire le condizioni affinché il principio in pa-rola in considerazione dei tre gradini processavi di esame che caratterizzano la sua attuazione, possa imporsi come categoria autonoma non compresa nella morfologia complessa di più ampie categorie generali come quella del-la ragionevolezza

42.

39 Si rinvia all’ampio contributo di CALIFANO, Principi comuni e procedimento tributario: dalle tradizioni giuridiche nazionali alle garanzie del contribuente, in Riv. dir. trib., 2004, p. 1030 ss.

40 Si veda, sul punto, DEL FEDERICO, op. cit. 41 In tema, v. MASSERA, I principi generali dell’azione amministrativa tra ordinamento na-

zionale e ordinamento comunitario, in Dir. amm., 2005, p. 707; DELLA CANANEA-FRANCHINI, I principi dell’amministrazione europea, Torino, 2010.

42 In tal senso si rinvia ai rilievi di COGNETTI, op. cit., p. 179, il quale rileva come il prin-cipio di proporzionalità abbia svolto nel nostro ordinamento «un ruolo implicito, latente, inespresso, episodico, limitato nella complessa morfologia dell’eccesso di potere: sia ri-spetto alle figure sintomatiche della illogicità, della irrazionalità, della contraddittorietà e della ingiustizia manifesta, sia anche sul diverso versante della disparità di trattamento».

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Venendo specificamente alla problematica oggetto di esame, è ben noto come il legislatore tributario nazionale, abbia superato, ultimamente, il tra-dizionale sistema di accertamento basato sulla determinazione del valore effettivo del reddito, «inteso come risultato differenziale di componenti di segno negativo e positivo, assunti nella loro dimensione storica»

43 introdu-cendo strumenti presuntivi (parametri, coefficienti, studi di settore)

44 che condizionano attraverso la tassazione del “valore normale” del reddito

45 la determinazione della base imponibile.

Preliminare è il rilievo che l’attività procedimentale è strumentale rispet-to alla legge sostanziale, pertanto l’Amministrazione finanziaria deve neces-sariamente individuare il fatto così come è, di modo che la legge istitutiva del tributo risulta applicata solamente al caso che è previsto riuscendo, così, a realizzare gli obiettivi che persegue.

È significativo osservare, dunque, che altrimenti si correrebbe il rischio evidente di applicare una norma tributaria, la quale prevede un presupposto di imposta al cui verificarsi collega la nascita dell’obbligazione tributaria, ad una situazione di fatto diversa da quella del presupposto stesso.

43 Così, TOSI, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Milano, 1999, p. 2. 44 Tra i più recenti contributi in materia v., BORIA, Studi di settore e tutela del contribuente,

Milano 2010; BEGHIN, L’accertamento redditometrico tra esigenze di accelerazione dell’azione amministrativa e problemi di affidabilità, in Riv. dir. trib., 2010, p. 145; BASILAVECCHIA, Stu-di di settore, contradditorio e accertamento, in Dir. prat. trib., 2010, MARCHESELLI, Le presun-zioni nel diritto tributario dalla stima agli studi di settore, Torino, 2008. CORRADO, Accerta-menti standardizzati e rilevanza processuale de comportamento delle parti in sede amministra-tiva, in Riv. dir. trib., 2009; CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005; VERSIGLIONI, Prova e studi di settore, Milano, 2007, p. 159. In fase accertativa a livello interno, spesso, si assiste, alla previsione dell’inversione dell’onere probatorio attraverso presunzioni che dovrebbero trovare fondamento e giustificazione nelle oggettive difficoltà che può incontrare l’amministrazione finanziaria in fase di controllo in considerazione del-l’insufficienza o irreperibilità della documentazione contabile o dell’inidoneità dei poteri istruttori a disposizione dei verificatori. Ciò che contraddistingue in ambito internazionale ed europeo l’inversione dell’onere probatorio rendendola necessaria è la scarsa collabora-zione da parte delle autorità straniere e il minor flusso di informazioni a disposizione. Relati-vamente a tali ultime fattispecie, c.d. intracomunitarie, l’A.F., a causa delle limitazioni allo scambio di informazioni (in particolare, previste dalla stessa Direttiva 77/799/CEE), incon-tra infatti particolari difficoltà a reperire la prova. Per tale impostazione si rinvia ai rilievi di F. AMATUCCI, Inversione dell’onere della prova a fini antielusivi ed antievasivi e compatibilità col diritto UE, in Riv. dir. trib. int., 2011.

45 In tema, si vedano le osservazioni di GALLO, Gli studi di settore al bivio fra la tassazione del reddito normale e di quello effettivo, in Rass. trib., 2000, p. 1495.

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In quest’ottica, detti strumenti presuntivi, introdotti dal nostro legislato-re da qualche decennio, possono diventare di fatto l’espressione di una pre-determinazione normativa vincolante dell’elemento oggettivo del presup-posto e dunque non garantire la fedele applicazione della legge tributaria.

Ciò posto, la giurisprudenza UE «è costante nel ritenere che è vietata la presunzione di maggiori ricavi fondata su elementi di carattere generale e/o statistici e non relativi alla posizione individuale». Il consolidato principio della soggettività dei ricavi impone che i ricavi stessi devono essere quelli “effettivi” per poter costituire legittima base imponibile IVA essendo fatto divieto di fondarne l’imposizione in base a dati statistici sebbene determina-ti in considerazione di criteri oggettivi

46. Considerando il rapporto fra detto principio e il valore probatorio degli

studi di settore, le evoluzioni giurisprudenziali interne 47 hanno tendenzial-

mente abbandonato le precedenti posizioni di maggior illegittimità europea configurando una “personalizzazione” dei risultati statistici di cui all’istituto in oggetto attraverso l’esperimento del contraddittorio con il contribuente

48. Dunque, piena valorizzazione del contraddittorio quale principio cardine

del rapporto fra fisco e contribuente in conformità a quanto espresso sia dal-la Corte costituzionale (ord. n. 144/2009) che dalla Corte di Giustizia UE,

46 V. Corte di Giustizia UE, 20 gennaio 2005, causa C-412/03, Hotel Scandic e sentenza del 29 marzo 2001, causa C-404/99, Commissione/Repubblica Francese.

47 Gli studi di settore sono un sistema di presunzioni semplici, la cui attendibilità dipende dal contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità del-l’accertamento stesso. Ciò è quanto disposto dalla Sezione tributaria della Corte di Cassa-zione, nell’ord. 7 ottobre 2011, n. 20680. Già nella sent. n. 26635/2009, le Sezioni Unite avevano statuito che «la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scosta-mento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente». Pertanto, nel caso in cui il contribuente non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, egli «assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola ba-se dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il con-traddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito».

48 Fondamentale rimane l’impostazione metodologica del tema del contraddittorio nel-l’accertamento tributario delineata da SALVINI, La Partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990.

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18 dicembre 2008, causa C-349/07, Sopropé 49, oltre che dalla giurispruden-

za della CEDU (causa 184877/03 del 21 febbraio 2008, Ravon). Meno incline ad una assoluta valorizzazione di questo principio è appar-

sa invece la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione 50 nel senso

che il diritto al contraddittorio non esiste come principio generale, nell’am-bito tributario nazionale, in ordine alla formazione della pretesa fiscale, re-stando il confronto tra contribuente ed Ufficio, obbligatorio solo in caso di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione oltre che in taluni ambiti specifici ossia materia doganale

51 e, appunto, accertamenti standardizzati. Ciò dato, per ciò che rileva ai fini della presente disamina, dalla citata

sentenza Sopropé (decisione resa nell’ambito di accertamento di tributi non armonizzati) si evince (v. parr. 36-37 e 52-54), chiaramente, non solo che il rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio costituisce un principio generale del Diritto europeo che trova applicazione ogniqualvolta l’ammini-strazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad es-so lesivo, ma anche che, in forza di tale principio (il cui contenuto è reso ef-fettivo proprio dalla proporzionalità) i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di mani-festare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’am-ministrazione intende fondare la sua decisione

52.

49 Sul punto si vedano, in particolare: BASILAVECCHIA, Accertamento e studi di settore solu-zione finale, in GT-Riv. giur. trib., n. 3, 2010, p. 213; SALVINI, La cooperazione del contribuente ed il contraddittorio nell’accertamento, in Corr. trib., n. 44, 2009, p. 3576, la quale rileva come da tale pronuncia emergano gli elementi fondamentali della partecipazione “difensiva”.

50 V. Cass., 29 dicembre 20120, n. 26316. 51 In materia doganale, infatti, Cass. n. 14105/2010 ha ritenuto che l’ingiunzione di pa-

gamento emessa, ai sensi del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 82, all’esito del procedi-mento di revisione dell’accertamento previsto dal D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, è illegittima se l’operatore interessato (nella specie l’importatore) non sia stato ascoltato e messo in condizioni di manifestare utilmente il proprio punto di vista in merito agli ele-menti sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione, in quanto il diritto al contraddittorio e di difesa anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente riconosciuto dal codice doganale comunitario, si evince dalle espresse previsioni dell’art. 11 cit. e costituisce «un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo» (v. Corte di Giustizia UE, 18 dicembre 2008, causa C-349/07, Sopro-pé). Per puntuali annotazioni in merito a Cass. n. 14105/2010, si veda BASILAVECCHIA, La suprema corte “estende” il diritto al contraddittorio agli accertamenti doganali, in GT-Riv. giur. trib., n. 10, 2010. Ancora sul punto, v. CERIONI, L’obbligo del contraddittorio nel procedimen-to di accertamento delle imposte doganali, in Dir. prat. trib., n. 2, 2012, p. 271.

52 In argomento si vedano PIERRO, Abuso del diritto: profili procedimentali, in Giust. trib.,

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Detto principio, enunciato dalla Corte di Giustizia UE, trova certamente applicazione non solo nei confronti dei tributi armonizzati ma anche per l’accertamento delle imposte dirette e quindi di tutti i tributi fondando la propria legittimazione negli artt. 23 e 97 Cost. i quali concorrono a conferirgli una portata generale

53. Ciò posto, non può non considerarsi che spesso il contraddittorio negli

studi di settore si risolve in un rimedio solo apparente ciò avendo riguardo ad una serie di fattori legati in primo luogo alla pratica impossibilità di con-testare i risultati delle metodologie altamente sofisticate degli studi e poi alla possibilità che il contribuente, consapevole delle limitazioni probatorie, ade-gui spontaneamente i propri ricavi a quanto richiesto dagli studi senza par-tecipare al contraddittorio.

Va a questo punto evidenziato che, come espresso dalla Cassazione 54,

anche l’accertamento sintetico da c.d. redditometro deve basarsi sui mede-simi parametri applicati all’interno dell’accertamento da studio di settore, ossia su presunzioni semplici (caratterizzate dalla gravità, precisione e con-cordanza, art. 2729 c.c.).

Ebbene, la ratio delle decisioni ora richiamate si basa sul fatto che il red-ditometro – in particolare il meccanismo operante all’interno di tale accer-tamento – viene configurato come un qualsiasi strumento da “coefficiente” (come ad esempio lo studio di settore) o standardizzato.

In definitiva si tratta di una vera e propria equiparazione (in relazione agli oneri probatori posti a carico dell’Amministrazione Finanziaria) tra lo studio di settore e il redditometro.

In particolare, gli elementi della gravità, della precisione e della concor-danza (requisiti imprescindibili all’interno delle presunzioni semplici) de-

2010; RAGUCCI, Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, in Rass. trib., 2009, p. 580 ss.

53 Limpidamente sul punto, v. SAMMARTINO, I diritti del contribuente nella fase delle verifiche fiscali, in G. MARONGIU (a cura di), Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2004, p. 132.

54 V. sent. 17 giugno 2011, n. 13289. In tal senso si veda anche la sent. n. 23554/2012. La Corte ribadisce che l’art. 38, D.P.R. n. 600/1973 si limita a porre una “presunzione sem-plice” e non a delimitare l’ambito oggettivo dell’accertamento sintetico. Aggiunge, poi, la Corte che proprio l’accertamento sintetico disciplinato dal D.P.R. n. 600/1973, art. 38, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dal D.L. n. 78/2010 art. 22, conv. in L. n. 122/2010, tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante i c.d. elementi indicativi di ca-pacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale.

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vono essere rafforzati all’esito del contraddittorio instaurato tra il Fisco ed il contribuente (divenuto obbligatorio nel nuovo accertamento sintetico mo-dificato dal D.L. n. 78/2010)

55. Ciò che rileva è che la Cassazione ha stabilito che il «risultato dello stan-

dard, dato dal redditometro, deve essere corretto nel corso del contradditto-rio, in modo da fotografare la reale e specifica situazione del contribuente».

A ben vedere, pur con le criticità sopra evidenziate, viene confermato il principio stabilito dalla Suprema Corte, (sez. un., nn. 26635-266636-26637-26638 del dicembre 2009), ossia che l’accertamento si rafforza (e si legittima) proprio attraverso il contraddittorio instaurato «con il contribuente dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà eco-nomica dell’impresa la presunzione».

Resta infine da segnalare la necessità di riconoscere al soggetto passivo la possibilità di dimostrare senza alcun limite che il presupposto sostanziale contrariamente a quanto desumibile dalle spese, nel caso concreto non si è manifestato in tutto o in parte, o si è manifestato in un diverso periodo di imposta o che, in base alla normativa vigente, non assume rilievo ai fini della formazione dell’imponibile. È condivisibile, pertanto, ammettere l’illimita-tezza della prova contraria, confermata dalla formulazione del comma 6 del novellato art. 38, da cui non risulta più il previgente riferimento in base al quale l’ammontare dei redditi oggetto della prova contraria del contribuen-te risulti «da idonea documentazione»

56. In definitiva, l’obbligatorietà del contraddittorio ad un adeguato sistema

probatorio è in grado, in conformità al diritto UE, di garantire la proporzio-nalità delle presunzioni relative e la “personalizzazione” della tassazione.

55 Detta riforma del 2010, si caratterizza infatti per l’intervenuta obbligatorietà di in-trodurre il confronto tra le parti prima della notifica dell’accertamento. In precedenza – ossia prima della riforma del 2010 – il redditometro si imperniava su una presunzione legale re-lativa, la quale determinava un’inversione dell’onere probatorio proprio a carico del con-tribuente, come del resto aveva stabilito in modo costante la Corte di Cassazione in nume-rose sentenze (fino al 31 maggio 2010). Con la modifica legislativa, la presunzione legale (all’interno della vecchia impostazione dell’accertamento sintetico) ha esaurito la propria ragion d’essere, posto che con l’instaurazione del contraddittorio l’ufficio non può certa-mente più trincerarsi dietro la sussistenza di tale elemento “indiziario”. Con il “confronto diretto” tra il Fisco ed il contribuente si assiste, dunque, alla nascita di uno strumento di-retto, avente ad oggetto la funzione di adattare le presunzioni dell’Ufficio alla reale situazione reddituale/economica imputabile effettivamente al contribuente.

56 In tal senso, v. PERRONE, Il redditometro verso accertamenti di massa (con obbligo del contraddittorio e dell’invito all’adesione), in Rass. trib., n. 4, 2011, p. 891 ss.

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Posto che il diritto di difesa e la sua effettività risultano maggiormente garantiti a livello europeo, i principi di effettività ed equivalenza

57 consen-tono di intervenire anche sulle norme procedimentali e sul contraddittorio nel caso in cui esso risulti restrittivo impedendo la difesa e l’attuazione dei diritti garantiti dall’UE.

Il rispetto del contraddittorio, dunque, qualunque sia la sua legittimazio-ne all’interno del nostro ordinamento, deve senza dubbio essere considera-to un requisito essenziale in conformità alla previsione della proporzionalità UE ed alla personalità della tassazione in un sistema basato su metodi stan-dardizzati.

La valutazione del principio di proporzionalità sarà, pertanto, funzionale al rafforzamento delle forme di tutela del contribuente già previste a livello nazionale (in particolare dai principi costituzionali di capacità contributiva effettiva ed affidamento).

In quest’ottica, certamente degna di considerazione era la previsione ad opera del disegno di legge delega fiscale, approvato dal Consiglio dei Mini-stri il 16 aprile 2012, del disposto dell’art. 10 che prevedeva fra l’altro «il raf-forzamento del contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e liquidazione all’esaurimento del contrad-dittorio procedimentale».

57 Il principio di effettività è legato a quello di equivalenza in base al quale le modalità procedurali volte a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in considerazione del di-ritto europeo non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano i procedimenti di natura interna (Corte di Giustizia UE, causa C-432705); in forza di detto principio «le con-dizioni imposte dal diritto nazionale per applicare una norma di diritto europeo non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano l’applicazione delle norme di pari rango del diritto nazionale» (v. Corte di Giustizia UE, 6 ottobre 2009, causa C-40/08, Asturcom Tele-comunicaciones SL e 24 marzo 2009, causa C-445/06, Danske).

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Giuseppe Scanu

LA FISCALITÀ DEL TURISMO: UN’OPPORTUNITÀ PER LE REGIONI, UNA TENTAZIONE PER LO STATO*

TOURISM TAXATION: AN OPPORTUNITY FOR THE REGIONS, A TEMPTATION FOR THE STATE

Abstract Il lavoro analizza lo stato di avanzamento del processo di attuazione del federali-smo fiscale alla luce della legge delega n. 42/2009 e dei decreti delegati e mostra come la ricerca di uno spazio impositivo non già assoggettato ad imposizione erariale si restringe in misura significativa e passa attraverso il crocevia della ri-partizione della potestà normativa tributaria tra Stato e Regioni secondo i prin-cipi di coordinamento. La fiscalità del turismo rappresenta lo spazio ove le istanze di decentramento e la pervasività della legislazione statale si confrontano e possono entrare in conflitto. Il recente ricorso a tributi “sul turismo” da parte dello Stato, della Regione Sicilia e della Provincia autonoma di Trento è sintomatico di quanto l’esigenza di coor-dinamento e la questione della ripartizione della potestà impositiva siano di estrema attualità nel delineare un rapporto tra Stato, Regioni e enti locali davve-ro improntato al principio di leale collaborazione. In questo contesto l’intervento della Corte costituzionale supplisce alla vacanza delle norme di coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome. Uno sguardo all’esperienza spagnola in tema di autonomia tributaria decentrata mostra alcune analogie ma anche significative differenze rispetto alla prospettiva italiana. Parole chiave: ripartizione delle competenze, presupposto impositivo, fiscalità locale, imposizione turistica, ambiente

* Lavoro svolto nell’ambito del Progetto di ricerca di base Sostenibilità ambientale e tu-rismo fra fiscalità locale e competitività finanziato dalla L.R. Sardegna n. 7/2007.

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This paper analyses the enforcement of fiscal federalism process in the light of Delega-tion Law No. 42/2009 and Delegated Decrees, and shows that taxable areas not al-ready covered by State taxes are significantly reduced and governed by the distribu-tion of taxing powers between State and Regions according to the principles of coordi-nation. Tourism taxation represents the field where the needs of tax decentralisation and the pervasive intervention of State law coexist and may enter into contrast. The recent introduction of “tourism” taxes by the State, the Region of Sicily and by the Autonomous Province of Trento is symptomatic of how the need of coordination and the issue of distribution of taxing powers are extremely topical in shaping a relation-ship between State, Regions and local entities effectively based on the principle of loyal cooperation. In this framework, the decision of the Constitutional Court fills the absence of coordina-tion provisions of the finance of Regions with special statute and autonomous Provinces. A look at the Spanish experience on decentralised tax autonomy shows certain simi-larities but also significant differences from the Italian situation. Keywords: distribution of competences, basis of taxation, local taxation, tourism taxation, environment

SOMMARIO: 1. Lo stato di attuazione del federalismo fiscale alla luce della legge delega e dei decreti delegati. – 2. Autonomia tributaria decentrata, ripartizione delle competenze e scelta del presupposto d’imposta. – 3. La fiscalità del turismo quale spazio di confronto tra le istanze di decentramen-to e la pervasività della legislazione statale. – 4. Il sistema di finanziamento delle autonomie lo-cali spagnole. – 5. Conclusioni.

1. Lo stato di attuazione del federalismo fiscale alla luce della legge delega e dei decreti delegati

Il modello di federalismo fiscale scaturito all’indomani della L. n. 42/ 2009 di delega al Governo in attuazione dell’art. 119 Cost. ha sostanzial-mente disatteso le aspettative delle Regioni e, in particolare, degli enti locali di poter contare su una propria leva fiscale.

La prospettiva indicata dalla legge delega è ancorata ad una visione im-prontata alla gestione accentrata sul lato delle entrate e lo spazio riservato ai

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tributi propri regionali appare assai modesto 1 e non in linea con l’auspicato

superamento della dissociazione della responsabilità impositiva da quella di spesa

2, potendosi al più ipotizzare la previsione di tributi di scopo o corri-spettivi e di tributi ambientali

3. La legge delega conserva in capo allo Stato una posizione privilegiata con

l’esclusione «di ogni forma di doppia imposizione sul medesimo presuppo-

1 Non a caso i tributi regionali, propri e derivati, sono destinati a finanziarie le presta-zioni non essenziali (cioè quelle non ricomprese dall’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.), unitamente al fondo perequativo orizzontale alimentato tramite trasferimenti di risorse da parte delle regioni secondo la rispettiva capacità fiscale (art. 8, comma 1, lett. e).

2 Così tradendosi il principio di responsabilità consistente nella coincidenza tra l’auto-nomia di spesa e la potestà impositiva in un’ottica di una maggior accountability che accan-to alla valorizzazione dell’autonomia impositiva degli enti locali promuova la riferibilità ai centri di spesa delle scelte operate in conformità al principio no taxation without representa-tion, ciò in ossequio all’art. 2, comma 2, lett. p), ove richiama «la tendenziale correlazione tra il prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa».

3 Come dai più osservato, appare assai difficile l’attuazione del processo federale in am-bito fiscale stante lo spazio assai esiguo riservato ai tributi propri; sul punto, e diffusamente sullo stato di attuazione del federalismo fiscale, v., FICARI, Conclusioni: il cammino dei tributi propri verso i decreti legislativi delegati, in FICARI (a cura di), L’autonomia delle Regioni e degli enti locali tra Corte Costituzionale (sent. n. 102 e ord. n. 103/2008) e disegno di legge delega. Un contributo giuridico al dibattito sul federalismo fiscale, in Quaderni riv. dir. trib., n. 3, 2009, p. 53. GIOVANARDI, La fiscalità delle Regioni a statuto ordinario nell’attuazione del federali-smo fiscale, in Rass. trib., 2010, p. 1617 e, dello stesso A., Il riparto delle competenze tributarie tra giurisprudenza costituzionale e legge delega in materia di federalismo fiscale, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 29; SACCHETTO-BIZIOLI, Può ancora chiamarsi federalismo fiscale una ri-forma che limita la potestà tributaria delle Regioni, in Dir. prat. trib., 2009, I, p. 859; RIVO-SECCHI, Il federalismo fiscale tra giurisprudenza costituzionale e legge n. 42/2009, ovvero: del mancato coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 49; BERTOLISSI, Il federalismo fiscale per la riforma dello Stato, in Dir. prat. trib., 2009, p. 227; LOGOZZO, Il federalismo fiscale: prospettive della legge n. 42/2009 e autonomia finanzia-ria degli enti locali, in Boll. trib., 2011, p. 820; MARONGIU, Il c.d. federalismo fiscale tra ambi-zioni, progetti, e realtà, in Dir. prat. trib., 2011, I, p. 220; BASILAVECCHIA-DEL FEDERICO-OSCULATI, Il finanziamento dello Regioni a statuto ordinario mediante tributi propri e com-partecipazioni: basi teoriche ed evidenza empirica nella difficile attuazione dell’art. 119 della Costituzione, in Le istituzioni del federalismo, n. 5, 2006, p. 669; ANTONINI, Le linee essenziali del nuovo federalismo fiscale, in LA SCALA (a cura di), Federalismo fiscale e autonomia degli enti territoriali, Torino, 2010, p. 54; FEDELE, Federalismo fiscale e riserva di legge, in Rass. trib., 2010, p. 1525; GIOVANARDI, Sul federalismo che non c’è, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 1305; DE MITA, Le basi costituzionali del federalismo fiscale, Milano, 2009; MAGLIARO (a cura di), Verso quale federalismo? La fiscalità nei nuovi assetti istituzionali: analisi e prospettive, Trento, 2010 e, da ultimo, URICCHIO, Il federalismo della crisi o la crisi del federalismo? Dal-la legge delga 42/2009 ai decreti attuativi e alla manovra Salva Italia, Bari, 2012.

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sto» (art. 2, comma 2, lett. o), oltre che di «interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo» (art. 2, comma 2, lett. t).

Alle Regioni non resta che la possibilità di istituire tributi (propri) che annoverino presupposti non già “occupati” dal legislatore statale (art. 2, comma 2, lett. q), oltre che un certo margine di manovrabilità sui tributi de-rivati in ordine alle variabilità delle aliquote o alla previsione di esenzioni, deduzioni e detrazioni, ma pur sempre nei limiti indicati dalla legge statale (e nel rispetto della normativa comunitaria).

Emerge l’impressione che la legge delega n. 42/2009 propenda per una cristallizzazione normativa della precedente situazione di quiescenza in cui versavano le autonomie sub-statali, propria di un’ottica transitoria dettata dall’assenza dei principi di coordinamento

4, ma tenga conto delle indica-

4 In assenza e nell’attesa dei principi di coordinamento, la giurisprudenza costituziona-le ha orientato la transizione verso il federalismo fiscale secondo il principio del “divieto di procedere in senso inverso”, ciò rispndeva alla logica di impedire discrezionali ed incon-trollate fughe in avanti, ma al contempo tutelando gli spazi di autonomia già riconosciuti. V., Corte cost., sent. 26 gennaio 2004, n. 37, in Giur. cost., 2004, p. 517, con note di A. MORRONE, Principi di coordinamento e “qualità” della potestà tributaria di regioni ed enti lo-cali e BIZIOLI, I principi statali di coordinamento condizionano l’efficacia della potestà tributa-ria regionale. La Corte Costituzionale aggiunge un altro elemento alla definizione del nuovo “federalismo fiscale”, e, inoltre, Corte cost., sent. n. 296 (con nota di ANTONINI, La prima giurisprudenza sul federalismo fiscale: il caso dell’IRAP, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2003, II, p. 99) e 26 settembre 2003, n. 297, in Rass. trib., 2003, p. 2058 ss.; Corte cost., sent. 15 ottobre 2003, n. 311, in Rass. trib., 2003, p. 2053 e Corte cost., sent. 22 febbraio 2006, n. 75, in Banca dati fisconline. V., altresì, BRANCASI, Osservazioni sull’autonomia finanziaria in Le Re-gioni, 2004, p. 451 ss.; MARTINI, La potestà normativa degli enti territoriali in materia tribu-taria nella giurisprudenza della Corte costituzionale nelle more dell’attuazione del nuovo titolo V della Costituzione, in Fin. loc., 2004, p. 25 ss.; GIOVANARDI, L’autonomia tributaria degli enti territoriali, Milano, 2005, p. 170 ss.; COCIANI, L’autonomia tributaria regionale, Milano, 2003; BASILAVECCHIA-DEL FEDERICO-OSCULATI, Il finanziamento delle regioni mediante tri-buti propri e compartecipazioni, in ZANARDI (a cura di), Per lo sviluppo. Un federalismo re-sponsabile e solidale, Bologna, 2006, p. 89 ss.; FANTOZZI, Riserva di legge e nuovo riparto del-la potestà normativa in materia tributaria, in Riv. dir. trib., 2005, I, p. 3; FEDELE, La potestà normativa tributaria degli enti locali, in Riv. dir. trib., 1998, I, p. 114 ss.; PERRONE, La sovra-nità impositiva tra autonomia e federalismo, in Riv. dir. trib., 2004, I, p. 1175 ss.; F. TESAURO, Le basi costituzionali della fiscalità regionale e locale, in Fin. loc., 2005, p. 13 e VEZZOSO, Il federalismo fiscale: dalle innovazioni costituzionali del 2001 al disegno Calderoli, in Dir. prat. trib., 2008, p. 855; SCALINCI, Riserva di legge e primato della fonte statale nel “sistema” delle autonomie fiscali, in Riv. dir. trib., 2004, II, p. 215; FREGNI, Riforma del titolo V della Costitu-zione e federalismo fiscale, in Rass. trib., 2005, p. 683; GALLO, Federalismo fiscale e ripartizio-ne delle basi imponibili tra Stato, regioni ed enti locali, in Rass. trib., 2002, 2007 e, dello stesso A., I principi di diritto tributario: problemi attuali, in Rass. trib. 2008, p. 924.

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zioni tracciate dalla Corte costituzionale con la sent. n. 102/2008 5 preve-

5 La Consulta ha valorizzato le prerogative previste dall’art. 8, lett h) dello Statuto sardo (L. cost. 26 febbraio 1948, n. 3) secondo cui «le entrate della Regione sono costituite (...) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la Regione ha facoltà di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato», riconoscendo uno spazio per l’autonomia tributaria della Regione e dei Comuni Sardi, anche in assenza dei principi di coordinamento la cui previsione è limitata alle sole Regioni a statuto ordinario in virtù della “clausola di miglior trattamento” ex art. 10, L. cost. n. 3/2001. In breve, l’im-posta di soggiorno ha superato il vaglio costituzionale sul rilievo secondo il quale i non re-sidenti non sopportano alcun prelievo il cui gettito sia specificamente diretto alla salva-guardia dell’ambiente ma, anzi, con il loro soggiorno nella Regione, in coincidenza con il periodo di maggior afflusso turistico, determinano un maggior consumo dell’ambiente con conseguenti costi pubblici aggiuntivi; così si giustifica la scelta di far gravare l’imposta, in una misura non sproporzionata, a carico solo dei soggetti non residenti, trattandosi diver-samente e in modo adeguato situazioni giuridiche diverse e, quindi, non travalicando i li-miti della ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Pur dichiarando l’illegittimità degli artt. 2 e 3 L.R. n. 4/2006, a giudizio della Corte, un tributo proprio stabilito dalla Regione Sardegna non sarebbe illegittimo per il solo fatto di avere un presupposto identico o simile a quello di un tributo statale, ciò a condizione che non ne venga snaturata l’essenza e la ratio. Così, in una prospettiva di legittimità costituzionale, la Regione Sardegna ben avrebbe potuto replicare il presupposto impositivo già occupato da tributi statali (i.e.: possesso delle se-conde case ex art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992 e realizzazione di plusvalenze ricavate dalla loro cessione ex art. 67 TUIR), a condizione di espungerne i tratti disarmonici consi-stiti nella previsione di discriminazioni soggettive e nella tassazione ultra quinquennale delle plusvalenze. Infine, con riferimento all’imposta sugli scali e approdi (art. 4, L.R. n. 4/2006), la Corte ha, da un lato, valorizzato la vocazione turistica del tributo riconducibile al maggior consumo delle risorse ambientali in coincidenza col periodo estivo di più inten-so afflusso turistico compreso tra il 1° giugno e il 30 settembre e, d’altro lato, ai sensi del-l’art. 234 CE ha rimesso alla Corte di Giustizia CE la verifica di compatibilità coi principi comunitari di tutela alla libera prestazione di servizi (art. 49 Trattato CE) e del divieto di aiuti di Stato (art. 87 Trattato) a tutela della concorrenza in relazione alle imprese di tra-sporto con domicilio fiscale fuori del territorio regionale, incompatibilità infine acclarata con la sent. 17 novembre 2009 (causa 169/08 della Corte di Giustizia CE, Grande sezione), atteso che la finalità di tutela ambientale e l’insularità di cui soffre la Sardegna non giustifi-cano restrizioni alla libera prestazione di servizi, né il vantaggio competitivo in termini di minori costi per le imprese sarde, tale da falsare la concorrenza e idoneo a rappresentare un ingiustificato aiuto fiscale di Stato a favore delle imprese domiciliate che svolgono la medesima attività. Per un commento alla sentenza, si vedano i contributi raccolti nella col-lettanea curata da FICARI, L’autonomia delle Regioni e degli enti locali, cit. e, senza pretessa di esaustività, DEL FEDERICO, I tributi sardi sul turismo dichiarati incostituzionali, in Riv. it. dir. tur., 2008, p. 297; MARONGIU, Le tasse “Soru” e l’impatto costituzionale, in GT-Riv. giur. trib., 2008, p. 601; DE MITA, La Consulta dichiara illegittima la “tassa sul lusso” della Sardegna, in Corr. trib., 2008, p. 1863; GIOVANARDI, Riflessioni critiche sulla ripartizione delle competenze legislative in materia tributaria tra Stato e regioni alla luce delle sentenze della Corte Costitu-zionale sui tributi propri della Regione Sardegna, in Rass. trib., 2008, p. 1424; PERRUCCI, Le “tasse sul lusso” secondo la Corte Costituzionale, in Boll. trib., 2008, p. 713, COCIANI, Tributi

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dendo una “clausola di esclusione” per le regioni a statuto speciale e le pro-vince autonome di Trento e Bolzano

6. Nel contesto federalista l’impianto del multilevel consitutionalism non ri-

sponde affatto all’equiordinazione ricavabile dall’art. 114 Cost., così come sterilizzate sono le aspettative comunali di poter istituire tributi propri

7. E l’impressione si rafforza alla luce del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68

8, col quale si assiste alla “fiscalizzazione” dei trasferimenti

9 e alla trasformazione in propri della Regione Sardegna e armonia del sistema tributario, in Rass. trib., 2008, p. 1401; FALSITTA, Le imposte della Regione Sardegna sulle imbarcazioni ed altri beni di “lusso” nelle “secche” dei parametri costituzionali e comunitari, in Corr. trib., 2008, p. 893.

6 Il riferimento è all’art. 1, comma 2 della legge delega secondo cui «alle regioni a statu-to speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli artt. 15, 22 e 27». In tal senso v., Corte cost., 10 giugno 2010, n. 201 in www.cortecostituzionale.it, la quale rileva che «la “clausola di esclusione” contenuta nell’art. 1, comma 2, della legge n. 42/2009 stabilisce univocamente che gli unici princípi della delega sul federalismo fiscale applicabili alle Regio-ni a statuto speciale ed alle Province autonome sono quelli contenuti negli artt. 15, 22 e 27».

7 In senso conforme anche RUSSO-FRANSONI, Ripartizione delle basi imponibili e principi di coordinamento del sistema tributario, in Rass. trib., 2010, p. 1575 ss. ed, ivi, pp. 1576-1579, i quali rilevano come l’equiordinazione ricavabile dall’art. 114 Cost. del grado di au-tonomia tra diversi enti in cui si articola la Repubblica (Stato, Regioni, Province, Comuni e Città Metropolitane) sia sancita in modo formalmente paritario e trovi un primo limite proprio nel mancato riferimento allo Stato nell’art. 119 Cost.; di talché Regioni, Province, Comuni e Città Metropolitane sono soggette ad un vincolo di subordinazione rispetto allo Stato cui è riservata ex art. 117, comma 3, Cost. «la determinazione dei principi fonda-mentali». Così anche LA SCALA, Elementi ricostruttivi dell’“imposizione sul turismo”: oppor-tunità e limiti nel contesto del c.d. federalismo fiscale, in questa Rivista, 2012, p. 953 ed, ivi, p. 963 il quale osserva che «le esigenze di autonomia (dallo Stato) ... sono, comunque, subal-terne alla primazia del diritto statale» e PERRONE, I tributi regionali propri derivati, in Rass. trib., 2010, p. 1597 ed, ivi, p. 1602 il quale conclude che «l’ipotizzata equiordinazione legi-slativa (Stato-Regione) è piuttosto imperfetta (e limitata) a scapito delle Regioni». A. FE-DELE, Federalismo fiscale e riserva di legge, cit., p. 1531 rileva che la legge delega «(...) man-tiene però la regola della “preferenza” per la legge statale».

Anche con riferimento ai tributi propri derivati, in base all’art. 7, comma 1, lett. c) della legge delega, è la legge statale che dovrà fissare i criteri rispetto ai quali ogni Regione dovrà misurarsi nel modificare le aliquote, introdurre esenzioni, deduzioni e detrazioni nell’otti-ca di una leale concorrenza fiscale interregionale; lo osserva FICARI, Conclusioni, cit.

8 Il decreto, recante Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel set-tore sanitario, è consultabile in Banca dati fisconline.

9 In breve, a partire dal 2013 il decreto prevede: i) la soppressione dei trasferimenti sta-tali (art. 7); ii) una rimodulazione dell’addizionale IRPEF e IRAP (artt. 6 e 8, comma 4); iii) una compartecipazione regionale all’IVA fondata, a partire dal 2013, sul principio di territorialità (art. 4, comma 3) ed essere fissata «al livello minimo assoluto sufficiente ad

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tributi propri regionali di alcuni tributi minori istituiti e disciplinati da legge statale

10, ma nessuna apprezzabile prospettiva è riservata ai tributi propri in senso stretto i quali rimangono fattispecie del tutto residuale (o eventuale).

A ben vedere, il quadro che va delineandosi appare più consono ad una logica della compartecipazione e delle risorse devolute (o derivate), volta a realizzare l’autosufficienza finanziaria degli enti territoriali da realizzarisi as-sicurando la copertura del fabbisogno di spesa, e non tanto (o non solo) at-traverso il potere di decidere le modalità di approvvigionamento di tali ri-sorse stabilendo e istituendo tributi propri

11. D’altra parte, la legge delega non chiarisce lo spazio d’autonomia delle

Regioni a statuto differenziato atteso che se, da un lato, l’art. 27 lascia inten-dere che anche nei riguardi delle Regioni a Statuto speciale si ponga un’esigenza di coordinamento con i principi fondamentali dell’ordinamento tributario, dall’altro, ciò non può che avvenire nel rispetto delle prerogative degli statuti speciali

12, tenuto conto degli svantaggi strutturali permanenti, assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola regione» (art. 15, comma 3); iv) la sostituzione dei trasferimenti dalle regioni ai comuni aventi caratteristiche di generalità e permanenza, con una compar-tecipazione ai tributi regionali (con priorità all’addizionale regionale all’IRPEF) e, even-tualmente, con la devoluzione di appositi tributi. Infine, ciascuna regione potrà ridurre le aliquote IRAP fino ad azzerarle e disporre deduzioni dalla base imponibile (art. 5). Sul punto, TREVISANI, Con il federalismo fiscale al via il riordino della fiscalità delle regioni a sta-tuto ordinario, in Corr. trib., 2011, p. 2026; TOSI, Il federalismo fiscale a due anni dalla legge delega, in www.irpet.it; GIOVANARDI, La fiscalità delle regioni a statuto ordinario, cit., p. 1633; BASILAVECCHIA, Fisco delle Regioni e vincoli costituzionali, in Corr. trib., 2011, p. 1930.

10 La “regionalizzazione” dei tributi (ex) statali contempla la tassa per l’abilitazione all’esercizio professionale, l’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del dema-nio marittimo, l’imposta regionale sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso dei beni del patrimonio indisponibile, la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche re-gionali, le tasse sulle concessioni regionali, l’imposta sulle emissioni sonore degli aeromo-bili, ciò a partire dal 2013 e salva la facoltà per le regioni di sopprimerli (art. 8, comma 1). Oltre a ciò, è devoluta alle regioni la disciplina della tassa automobilistica regionale (art. 8, comma 2) e l’intera attribuzione del gettito derivante dalla lotta all’evasione fiscale su tri-buti propri derivati ed addizionali di tributi erariali (art. 9, comma 1).

11 Per questa chiave di lettura, v. RIVOSECCHI, op. cit., p. 58 secondo il quale la legge de-lega «finisce per dare (parziale) seguito soltanto ai principi costituzionali concernenti il lato della spesa, con grave pregiudizio di quelli relativi alle entrate» e anche LUPI, Fiscalità e tributi nel disegno di legge sul federalismo, in Corr. trib., 2008, p. 3081 ed, ivi, p. 3082, il quale sottolinea come agli enti territoriali non amino gestire nuove imposte, non solo per l’impopolarità in termini di consenso, ma anche per le difficoltà organizzative connesse alle fasi di controllo e riscossione.

12 Alle norme di attuazione dei rispettivi statuti è rimeso il compito di definire «i prin-

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nonché dei costi dell’insularità (art. 27, comma 2) 13.

Anche il c.d. «federalismo fiscale municipale» 14 sacrifica l’autonomia im-

positiva comunale assumendo un ruolo centrale la previsione di tributi di scopo e sul turismo

15, così come possono trovare spazio strumenti tariffari o prestazioni patrimoniali non tributarie

16, riducendosi i margini di interven-to non meramente attuativi nella previsione di agevolazioni ed esenzioni

17. Non è chiaro se in tal modo lo Stato abbia riservato a sé la disciplina

dell’imposta di soggiorno o, come appare preferibile, le Regioni possano in-tervenire sulla configurazione del tributo e non solo nella regolamentazione di dettaglio

18. cipi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla potestà le-gislativa tributaria» (...), nonché di individuare forme di “fiscalità di sviluppo” (art. 27, comma 3); a quest’ultimo riguardo, v., DEL FEDERICO, La fiscalità di vantaggio degli enti ter-ritoriali fra decisioni politiche e limiti comunitari, in Trib. loc. e reg., 2011, p. 40 ss.; MELIS, La delega sul federalismo fiscale e la così detta “fiscalità di vantaggio”: profili comunitari, in Rass. trib., 2009, p. 997; LA SCALA, Autonomia tributaria regionale e fiscalità di vantaggio: un caso recente in Sicilia, in Rass. trib., 2010, p. 449.

13 V., LA SCALA, La specialità statutaria alla prova del c.d. federalismo fiscale, in Dir. prat. trib., 2009, I, p. 344; SAMMARTINO, Federalismo fiscale e autonomia finanziaria della Regione siciliana, in LA SCALA (a cura di), Federalismo fiscale, cit., p. 19.

14 Il riferimento è al D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 consultabile in Banca dati fisconline. 15 E cioè, l’imposta di soggiorno o, in alternativa, l’imposta di sbarco ex art. 4, D.Lgs. n.

23/2011 e l’impiego dell’imposta di scopo anche per interventi a sostegno delle infrastruttu-re turistiche (art. 6, D.Lgs. n. 23/2011), nonché strumenti c.d. di road pricing (art. 12, com-ma 1, lett. i) e art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 23/2011), di tariffazione sull’uso delle strade e dei centri storici delle città al fine di ridurre il volume di traffico ed internalizzare i costi sociali della congestione stradale urbana provocati da utenti aggiuntivi. Sul punto, v. infra, par. 2.

16 Misure che tendenzialmente comportano l’esportabilità del relativo onere tributario a carico di soggetti passivi (i.e. i turisti) che non votano per quelle amministrazioni cui cor-rispondono il tributo o il prezzo della tariffa. Per un esame sull’impatto del c.d. “federali-smo municipale” sulla fiscalità dei Comuni, v., F. AMATUCCI, Lo stato di attuazione della legge delega n. 42/2009 e l’impatto sul federalismo fiscale municipale, in Riv. trib. loc., n. 2, 2012; BURATTI, Prime valutazioni sulla fiscalità dei Comuni, in Rass. trib., 2010, p. 1273; L. SALVINI, Federalismo fiscale e tassazione degli immobili, in Rass. trib., 2010, p. 1609; MARON-GIU, Federalismo fiscale: un progetto ambizioso per una realtà difficilissima, in Corr. trib., 2010, p. 3893 e, dello stesso A., Note a margine del Federalismo fiscale, in LA SCALA (a cura di), Federalismo fiscale, cit., ivi, p. 13 ss.; BASILAVECCHIA, Il Fisco municipale rispetta i vincoli costituzionali, in Corr. trib., 2011, p. 1105; CARDILLO, La potestà tributaria regolamentare dei Comuni, in Riv. trib. loc., 2011, p. 39 e, dello stesso A., Il ruolo dei Comuni nell’applicazione del principio di sussidiarietà fiscale, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 346.

17 Così PERRONE, I tributi regionali propri derivati, cit., p. 1605. 18 In tal senso, almeno per le regioni a statuto speciale, depone la “clausola di salva-

guardia” contenuta nell’art. 14, comma 2, del D.Lgs. n. 23/2011 secondo cui il decreto «si

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Da ultimo, ma il rilievo è preminente, occorre segnalare che le spinte au-tonomiste sul versante della potestà impositiva sono senz’altro recessive di fronte alla forza centripeta del diritto comunitario e all’intervento pretorio in più occasioni mostrato della Corte di Giustizia

19.

2. Autonomia tributaria decentrata, ripartizione delle competenze e scelta del presupposto d’imposta

Se in capo alle regioni può riconoscersi una primaria potestà di imposizio-ne solo in via residuale e di “risulta”

20, la ricerca di uno spazio impositivo che applica nei confronti delle regioni a statuto speciale solo nei limiti dei rispettivi statuti». V., infra, la sent., Corte cost., 21 marzo 2012, n. 64, in Banca dati DeJure.

V. ALFANO, L’imposta di sbarco per le isole minori: caratteri e peculiarità nell’analisi delle prime esperienze applicative, in FICARI-SCANU (a cura di), “Tourism taxation”: sostenibilità am-bientale e turismo fra fiscalità locale e competitività, Giappichelli, Torino, 2013, la quale rile-va «l’assoluto silenzio del ruolo delle Regioni, che pur hanno esclusiva competenza in ma-teria turistica (...)» e «nessun rinvio viene fatto a favore del legislatore regionale, nono-stante le precipue competenze in materia di turismo sancite dalla Costituzione e, per le regioni a statuto speciale, dalle leggi costituzionali istitutive dei diversi statuti».

19 Il riferimento è alla nota sentenza della Corte di Giustizia del 6 settembre 2006 (cau-sa C-88/03) riguardante la riduzione delle aliquote sull’imposta sul reddito delle persone fisiche e giuridiche residenti nelle Azzorre con la quale la Corte ha stabilito che il test di compatibilità con l’art. 87 del Trattato CE può dirsi superato se ed in quanto la misura fi-scale selettiva adottata sia espressione dell’autonomia finanziaria propria dell’ente infrasta-tale che ne assume la responsabilità in chiave politica ed economica ed a condizione del-l’assenza di meccanismi compensativi del minor gettito conseguito. Dette indicazioni son state ribadite con la successiva sentenza dell’11 settembre 2008 (cause C-428/06 a C-434/06) che nei medesimi termini s’è espressa in ordine alla previsione di detrazioni all’imposta sulle società stabilite dai Territorios Historicos e dalla Comunità autonoma del Paese Basco e, da ultimo, con la già citata sent. 17 novembre 2009 (causa 169/08 della Corte di Giustizia CE, Grande sezione), sull’imposta sarda sugli sbarchi e gli approdi. Sui limiti imposti dai vincoli di rango comunitario, si rinvia ai contributi di CARINCI, Autonomia im-positiva degli enti sub statali e divieto di aiuti di Stato, in Rass. trib., 2006, p. 1760; FICARI, Aiuti fiscali regionali, selettività e “insularità”: dalle Azzorre agli enti locali italiani, in Dir. prat. trib. int., n. 2, 2007, p. 319 e, dello stesso A., “Scintille” di autonomia tributaria regionale e limiti interni e comunitari, in Rass. trib., 2002, p. 1229; A. AMATUCCI, L’impatto dei principi comunitari sulla nuova fiscalità locale, in Fin. loc., 2008, p. 11 e FRANSONI, Gli aiuti di Stato tra autonomia locale e capacità contributiva, in Riv. dir. trib., 2006, p. 243 e, più diffusamente, i contributi raccolti nell’opera collettanea curata da INGROSSO-TESAURO, Agevolazioni fiscali e aiuti di Stato, Napoli, 2009.

20 Il corsivo è di GALLO, I capisaldi del federalismo fioscale, in Dir. prat. trib., 2009, p. 219 il quale rileva che «il sistema statle si autoconserva (...)», e, quindi, la potestà impositiva

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non sia già assoggettato ad imposizione erariale si restringe in misura signi-ficativa e passa attraverso il crocevia della ripartizione della potestà norma-tiva tributaria tra Stato e Regioni secondo i principi di coordinamento.

La riserva di presupposto in favore dello Stato costituisce il primo limite che incontrano le Regioni nello stabilire tributi propri in senso stretto; la no-zione di presupposto viene in rilievo nella sua accezione di “fatto-indice”, si-gnificativo di una capacità contributiva che ne caratterizza intrinsecamente il modo di essere e la stessa qualificazione erariale o regionale del tributo

21-22. La scelta del presupposto e la sua conformazione dovrà quindi indiriz-

zarsi verso fatti indici (non già annoverati nella disciplina di tributi erariali) che esprimano un radicamento col territorio e, al contempo, evidenzino la riferibiltà a soggetti passivi riconducibili a quella comunità alle cui spese pub-bliche essi sono chiamati a partecipare.

In questo senso la selezione del presupposto implica una stretta correla-zione tra il luogo ove esso si realizza, i soggetti passivi e l’allocazione delle risorse al finanziamento delle funzioni proprie esercitate dall’ente interme-dio cui quella collettività apparteniene.

Oltre che nel principio di territorialità 23, questa direttrice è rintracciabile

impositiva si riduce «a ben poca cosa, escludendo, sulla base appunto dell’art. 117, 2° comma, lettera e), che essa possa avere per oggetto tributi che hanno gli stessi presupposti o le stesse basi imponibili ì di quelli erariali già vigenti».

21 Si vedano diffusamente sul punto, RUSSO-FRANSONI, op. cit., p. 1584 ss. e FRANSONI, Il presupposto dei tributi regionali e locali. Dal precetto costituzionale alla legge delega, in Riv. Dir. trib., 2011, I, p. 268, il quale propende per una qualificazione del presupposto quale espressione di sintesi in cui si compendia una complessiva valutazione della disciplina e che vale a identificare la giustificazione specificamente riferita a un determinata situazione di fatto.

22 Secondo una diversa impostazione la qualificazione del tributo (erariale, regionale o comunale) dipende dall’ente che ne stabilisce la disciplina e può decidere in ordine alla destinazione del gettito, piuttosto che dalla capacità economica assoggettata a tassazione, STEVANATO, I tributi propri delle regioni nella lege delega sul federalismo fiscale, in Dir. prat. trib., 2010, I, p. 395 ed, ivi, p. 401 ss.

23 La centralità del principio di territorialità del prelievo quale criterio di riparto della potestà impositiva tra Stato, regioni e enti locali è apprezzabile nella legge delega nella pre-visione della «territorialità dei tributi regionali e locali (...)» (art. 2, comma 2, lett. hh), oltre che nella«attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle province, alle città metro-politane e alle regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di terri-torialità (...)» (art. 2, comma 2, lett. e). Rileva PERRONE, La sovranità impositiva tra auto-nomia e federalismo, cit., p. 1185, che, ancor prima della riforma del Titolo V, «l’art. 53 Cost. costiuisce norma di coordinamento dei diversi sistemi tributari la funzione di riser-vare alle regioni e agli enti territoriali minori forme impositive fortemente radicate nel ter-

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nell’art. 2, comma 2, lett. p) della legge delega ove si prescrive la «tenden-ziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni eser-citate», con ciò pervenendosi alla normativizzazione del principio di conti-nenza il quale si risolve in una specificazione del principio di territorialità.

Ecco allora che sarebbe non coerente un intervento statale che avesse ad oggetto presupposti localizzati o assoggettasse a imposizione soggetti passi-vi estranei alla collettività le cui spese fosse destinata a sovvenzionare

24. Invero, ciò è quanto accaduto con l’emanazione del decreto denominato

“Salva Italia”, il quale ha istituito, dal 1° maggio 2012, una tassa di staziona-mento per le imbarcazioni da diporto e un’imposta erariale sugli aeromobili privati

25, “beni di lusso” legati al fenomeno turistico che richiamano alla mente l’esperienza dei tributi sardi

26. Si assiste così ad un rovesciamento di prospettiva: non sono gli enti locali a invadere spazi impostivi riservati allo Stato ma, al contrario, è lo Stato ad occupare spazi (tendenzialmente) di com-petenza delle Regioni, in particolare di quelle a statuto speciale

27. Detti interventi ripropongono al centro del dibattito l’esigenza di coor-

dinamento e di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo e così ri- ritorio degli enti medesimi». Per approfondimenti sul tema si rinvia a FRANSONI, La terri-torialità dei tributi regionali e degli enti locali, in Riv. dir. trib., 2011, p. 897 ss.; BAGGIO, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Milano, 2009.

24 FRANSONI, Il presupposto dei tributi regionali e locali, cit., p. 267. D’altra parte, come pure osserva GIOVANARDI, Il riparto delle competenze tributarie, cit., p. 41, «il coordinamen-to non può spingersi fino all’individuazione da parte dello Stato dei presupposti dei tributi regionali stricto sensu intesi».

25 Il richiamo è all’art. 16 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (conv. con la L. 22 dicembre 2011, n. 214) e alle modifiche apportate all’art. 16 dall’art. 60 bis, comma 1, lett. a), del D.L. n. 1/2012 (conv., con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 2) in forza del quale la tassa di stazionamento per le imbarcazioni da diporto è stata sostituita da una tassa annuale.

Inoltre, a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’art. 16 del D.L. n. 201/2011 cit. ha previsto un incremento dell’addizionale erariale sui veicoli di grossa cilindrata introdotta dall’art. 23, comma 21, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111.

26 Detti tributi rieccheggiano l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e lo sbarco delle unità da diporto introdotta dalla regione Sardegna con l’art. 4 della L.R. n. 4/2006 il cui presupposto impositivo era lo scalo negli aerodromi o l’apporodo nei porti situati nel territorio regionale.

27 Come si vedrà nel prossimo paragrafo, la Regione Sardegna e il Friuli Venezia Giulia hanno sollevato questioni di legittimità rispetto alle quali la Corte costituzionale, con la sent. 19 dicembre 2012, n. 300 (consultabile in www.cortecostituzionale.it), s’è pronunciata dichiarandone, per un verso, l’inammissibilità e, per l’altro, la cessazione della materia del contendere, preso atto delle modifiche legislative intervenute in pendenza del giudizio.

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durre una litigiosità istituzionale tra Stato e enti intermedi che non sembra aver fine

28. Ciò anche in considerazione della prospettazione – rinvenibile nella leg-

ge delega e nel decreto attuativo in materia di federalismo municipale – della fiscalità del turismo quale possibile frontiera di espansione dell’esercizio della potestà impositiva da parte dei Comuni

29. Invero, è proprio tra i princìpi ed i criteri direttivi concernenti il coordi-

namento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali che l’art. 12, lett. d), della L. n. 42/2009 ha collocato la previsione della «disciplina di uno o più tributi propri comunali che valorizzando l’autonomia tributaria, attribuisca all’ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimento a partico-lari scopi quali (...) il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particola-ri quali flussi turistici e mobilità urbana».

E su questa scia il D.Lgs. n. 23/2011 ha introdotto l’imposta di soggior-no

30 e, in alternativa, l’imposta di sbarco, volta a colpire il turista “mordi e fuggi”

31.

28 Sul punto, in aggiunta alla citata sent. 19 dicembre 2012, n. 300 si rinvia alle recenti sentt. 23 febbraio 2012, n. 33 e 21 marzo 2012, n. 64, consultabili in www.cortecostituzionale. it, sulle quali si ritornerà infra.

29 Sul tema si rinvia a V. FICARI, Sviluppo del turismo, ambiente e tassazione locale, in Rass. trib., 2008, p. 963; TOSI, La fiscalità delle città d’arte. Il caso del Comune di Venezia, Padova, 2009; SCANU, La tassazione sui flussi turistici tra fiscalità locale e competitività alcune esperienze europee a confronto, in Riv. dir. trib., 2009, I, p. 339 ss.; LA SCALA, Elementi rico-struttivi dell’“imposizione sul turismo”, cit., p. 953 ed ai contributi raccolti in FICARI (a cura di), L’autonomia tributaria delle Regioni e degli enti locali, cit.

30 Per un approfondimento si rinvia ai contributi di PICCIAREDDA-PEDDIS, Individuazione del presupposto del tributo di soggiorno, principi di sistema e principi fondamentali di coordina-mento, in FICARI (a cura di), L’autonomia tributaria delle Regioni e degli enti locali, cit., p. 53 ss.; MIRTO, L’applicazione dell’imposta di soggiorno tra assenza di norme attuative e primi pronun-ciamenti giurisprudenziali, in Trib. loc. e reg., 2012, p. 34; RIGHI, Imposta di soggiorno. A volte ritornano, in Boll. trib., 2011, p. 1446; DAMIANI, L’imposta di soggiorno: prove di federalismo municipale “disarticolato”, in Corr. trib., 2011, p. 2630 ss.; GAVIOLI, L’imposta di soggiorno e il caso del comune di Roma, in Fin. trib., 2011, p. 378 ss.; SCANU, Fiscalità locale e imposta di sog-giorno. Il caso di Roma Capitale, in Boll. trib., 2011, p. 1 ss.; VERRIGNI, La nuova imposta di sog-giorno ed i primi orientamenti della giurisprudenza amministrativa, in Riv. it. dir. turismo, 2012, p. 69; ALFANO, Tributi ambientali. Profili interni ed europei, Torino, 2012, p. 274 e, da ultimo, MAGLIARO, L’imposta di soggiorno, in LOVECCHIO-MAGLIARO-RUGGIANO-URICCHIO (a cura di), Manuale dei tributi locali, Rimini, 2012, p. 1307.

31 Ai sensi del comma 3 bis, dell’art. 4 del D.Lgs. n. 23/2011, «I comuni che hanno se-de giuridica nelle isole minori e i comuni nel cui territorio insistono isole minori possono istituire, con regolamento da adottareai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 di-cembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, in alternativa all’imposta di soggiorno di

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Pur non potendo soffermarsi oltre in questa sede, è appena il caso di ag-giungere che l’imposta di soggiorno rappresenta la più tradizionale forma di imposizione sul turismo

32 e non è certo una novità per il nostro ordinamen-to

33; ben nota è la contrastata iniziativa della regione Sardegna 34 in materia

di imposizione di soggiorno e, per restare nell’ambito delle autonomie spe- cui al comma 1 del presente articolo, un’imposta di sbarco, da applicare fino ad un massi-mo di euro 1,50, da riscuotere, unitamente al prezzo del biglietto, da parte delle compa-gnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea. La compagnia di navi-gazione è responsabile del pagamento dell’imposta, con diritto di rivalsa sui soggetti passi-vi, della presentazione della dichiarazione e degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile d’imposta si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta si applica la sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e successive modificazioni. Per tutto quanto non previsto dalle disposizioni del presente articolo si applica l’articolo 1, commi da 158 a 170, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. L’imposta non è dovuta dai soggetti residenti nel comune, dai lavoratori, da-gli studenti pendolari, nonché dai componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l’imposta municipale propria e che sono parificati ai residenti. I comuni pos-sono prevedere nel regolamento modalità applicative del tributo, nonché eventuali esen-zioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo. Il gettito del tributo è destinato a finanziare interventi in materia di turismo e interventi di fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali». Tra i primi commenti alla neo introdotta imposata di sbarco, v., ALFANO, L’imposta di sbarco per le isole minori, cit.; PIZZONIA, Dalla alternatività fra tributi ai tributi alternativi. Note critiche sulla nuova imposta di sbarco nelle isole minori, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2012, I, p. 289; LOVECCHIO, Le novità per la fiscalità locale: imposta di sbarco, di scopo e riscossione tra-mite privati abilitati, in Corr. trib., 2012, p. 1780.

32 S’è così offerto ai Comuni a vocazione turistica la possibilità di “attivare” una propria leva fiscale al fine di «finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a soste-gno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei be-ni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali». I contorni della disciplina sono appena abbozzati stabilendosi, oltre al vincolo di destinazione del gettito, il presupposto, rappresentato dal soggiorno nelle strutture ricettive situate nei rispettivi territo-ri comunali, i soggetti attivi e la misura massima dell’imposta da applicarsi secondo criteri di gradualità ed in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno.

33 È stata istituita nell’ordinamento fiscale italiano con la L. 11 dicembre 1910, n. 863, successivamente modificata dal R.D.L. 24 novembre 1938, n. 1926 fino alla soppressione con l’art. 10, del D.L. n. 2 marzo 1989, n. 66. L’imposta era applicata nelle stazioni di sog-giorno, di cura e turismo, nonché delle altre località climatiche, balneari o termali o co-munque di interesse turistico a carico di chiunque alloggiasse in via temporanea in alber-ghi, pensioni o dimorasse, in ville e appartamenti per oltre cinque giorni.

34 L’art. 5 della L.R. n. 2/2007, superato il vaglio di legittimità costituzionale, è stata quindi abrogata una volta mutato il colore del governo regionale. Sul punto, si rinvia a PICCIAREDDA-PEDDIS, op. cit., p. 53 ss.

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ciali, del Trentino Alto Adige 35, così come anche in ambito sovranazionale,

il tributo ha conosciuto una certa diffusione 36. Inoltre, nell’ottica di rendere

più appetitibile l’imposta di scopo 37, l’art. 6 del D.Lgs. 23/2011 ha innovato

l’impianto normativo con la previsione della i) possibilità che il gettito del-l’imposta vada a finanziare l’intero ammontare (e non più solo il 30%) della spesa dell’opera pubblica da realizzare e ii) possibilità di individuare opere pubbliche ulteriori rispetto a quelle già annoverate nel comma 149, art. 1, della L. n. 269/2006 potendosi appunto individuare interventi di sostegno al turismo quali la costruzione di parcheggi nelle zone di maggior afflusso turistico e decongestionare così la viabilità dei centri urbani o costieri, come suggerisce l’art. 12, lett. d), sopra citato.

Ecco allora confermarsi che il turismo possa costituire un “bene” valoriz-zabile da parte degli enti locali nell’esercizio della potestà normativa tributa-ria, soprattutto ove se ne apprezzi il collegamento all’ambiente

38.

3. La fiscalità del turismo quale spazio di confronto tra le istanze di decen-tramento e la pervasività della legislazione statale

Il turismo non rientra tra le materie di competenza esclusiva dello Stato ed anzi la riforma del Titolo V della Costituzione ha segnato il passaggio dalla competenza concorrente a quella residuale, e dunque piena, delle Re-

35 V., infra, par. 3. 36 Per un approfondimento circa le soluzioni adottate in altri ordinamenti, si rinvia a PIC-

CIAREDDA-PEDDIS, op. cit., pp. 53-54; SCANU, La tassazione sui flussi turistici, cit., p. 339 ss. 37 Invero, occorre dire che l’imposta di scopo, introdotta dall’art. 1, comma 145 ss. della L.

n. 296/2006, è stata istituita da circa venti degli oltre cinquemila Comuni italiani, la maggior parte di piccole dimensioni e solo Belluno e Rimini tra i capoluoghi di provincia, v., http:// www. finanze.it/export/finanze/. Per conoscere il fisco Fiscalita_locale/impostascopo/tabella. htm. Sul tema si rinvia a F. AMATUCCI, I tributi di scopo e le politiche tariffarie degli enti locali, in Rass. trib., 2011, p. 1261; DEL FEDERICO, Tributi di scopo e tributi paracommutativi: espe-rienze italiane ed europee. Ipotesi di costruzione del prelievo, in Trib. loc. e reg., 2007, p. 184 e, dello stesso A., Tasse, tributi paraccommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, p. 188 ss.; FICARI, L’autonomia normativa tributaria degli enti locali e la legge Finanziaria 2007, in Rass. trib., 2007, p. 883; D’AURO, Tributi di scopo e prospettive della finanza locale, in Fin. loc., 2007, p. 27; CAPOZZI, Lineamenti evolutivi dei tributi di scopo: imposta di scopo, TIA ed imposta di soggiorno, in http://www.innovazionediritto.it, 2012, n. 5 e URICCHIO, op. cit., p. 171 ss.

38 Rileva LA SCALA, op. ult. cit. che, tra gli strumenti di “tassazione sul turismo”, l’im-posta di scopo può costituire lo strumento più idoneo a carico dei soggetti residenti, mentre l’imposta di soggiorno meglio si addice ai soggetti non residenti.

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gioni ex art. 117, comma 4, Cost. 39, peraltro già riconosciuta in favore delle

Regioni ad autonomia differenziata sulla scorta dei rispettivi statuti 40.

La fiscalità del turismo ben si presta a superare il test di territorialità e continenza e può costituire materia imponibile capace di smarcare l’imposi-zione locale dalla preminenza statale nella scelta dei presupposti

41, come ha mostrato la Corte costituzionale con la nota sent. n. 102/2008 la quale ha apprezzato la vocazione turistico-ambientale, capace di permeare il presup-posto d’imposta di un tributo proprio in senso stretto

42. Cionondimento il turismo è materia sulla quale le opposte esigenze cen-

tripete di unità e cooordinamento statale e di autonomia degli enti territo-riali possono entrare in conflitto

43. Nella sua prima versione, l’art. 16 del D.L. n. 201/2011 cit., ha introdotto

39 Si veda, ad es., la sent. 10 marzo 2006, n. 90, consultabile in www.cortecostituzionale. it; BESSI, Il turismo e le interferenze interordinamentali (legittime o legittimate) degli atti rego-lamentari: la Corte adotta due pesi e due misure, in Le istituzioni del federalismo, 2007, p. 546.

40 Così, l’art. 3, lett. p) dello Statuto della Regione Sardegna (L. cost. 26 febbraio 1948, n. 2) dispone che la Regione ha potestà legislativa in materia di turismo, industria alber-ghiera e l’art. 8, lett. h), stabilisce che «le entrate della regione sono costituite da imposte e tasse sul turismo». Analoghe previsioni si rinvengono anche nello Statuto del Friuli Vene-zia Giulia (art. 4, n. 10, L. cost. 31 gennaio 1963, n. 1), della Regione Sicilia (art., L. cost. 26 febbraio 1948, n. 3) e della Regione Trentino Alto Adige (L. cost. 26 febbraio 1948, n. 5 e succ. modif.), che all’art. 8, n. 20 attribuisce alle province autonome di Tento e Bolzano la competenza in materia di «turismo e industria alberghiera, compresi le guide, i portatori alpini, i maestri e le scuole di sci».

41 V. LA SCALA, Elementi ricostruttivi dell’“imposizione sul turismo”, cit., pp. 966-970; R. ALFANO, La fiscalità delle isole: il caso italiano tra limiti interni e principi comunitari, in L. SI-CO (a cura di), Oltre Montego Bay. Nuove tendenze verso il controllo degli spazi marini adia-centi, Napoli, 2009, pp. 227-247.

42 Il modello è quello dell’imposta (turistica) di consumo laddove lo sfruttamento di un bene ambientale scarso, come tale suscettibile di valutazione economica ed indice di capacità contributiva riconducibile al maggior consumo delle risorse ambientali in coinci-denza col periodo estivo di più intenso afflusso turistico nei mesi estivi. Tra la vasta lettera-tura in materia di tributi c.d. ambientali, si rivia ai contributi di MARCHETTI, Ambiente (Dir. trib.), in Diz. dir. pubbl., diretto da Cassese, vol. I, Milano, 2006, p. 241 ss.; GALLO-MAR-CHETTI, I presupposti della tassazione ambientali, in Rass. trib., 1999, p. 115; MARCHETTI, Tassa, imposta e corrispettivo o tributo ambientale?, in Fin. loc., 2004, p. 31; PICCIAREDDA, Federalismo fiscale e tributi propri della Regione Sardegna tra esigenze di coordinamento e tas-sazione ambientale, in Riv. dir. trib., 2007, p. 919; PICCIAREDDA-PEDDIS, op. cit.; PIGA, Pi-gouvian Taxation in Tourism, Department of Economics, Discussion Paper Series, Loughborough University, 2006. Si vedano, inoltre, i pregevoli contributi raccolti nel vo-lume ANTONINI (a cura di), L’imposizione ambientale nel nuovo quadro del nuovo federali-smo fiscale, 2010 e, da ultimo, ALFANO, Tributi ambientali, cit.

43 Lo rileva ALFANO, L’imposta di sbarco per le isole minori, cit.

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una tassa annuale di stazionamento sulle unità da diporto 44, il cui gettito sa-

rebbe affluito nel bilancio dello Stato, successivamente trasformata in una tassa di possesso

45 all’indomani della proposizione delle questioni di illegit-timità costituzionale sollevate dalla regione Sardegna e dal Friuli-Venezia Giulia.

In particolare, la tassa di stazionamento (nella versione originaria) è stata contestata dalla regione Sardegna «in quanto risulterebbe evidente l’inten-to del legislatore di utilizzare, quale presupposto di imposta, beni ad uso tu-ristico», con ciò sollevandosi questione di legittimità per contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost., nonché 7 e 8 dello Statuto sardo, disposizioni che ri-servano alla regione la competenza in materia di turismo.

Ed proprio sulla considerazione che l’art. 60 bis cit. «ha modificato il pre-supposto di imposta censurato (...) e che la nuova configurazione del presup-posto “evidenzia il mutamento della natura del tributo da tassa di staziona-mento ad imposta sul possesso, a vario titolo, del soggetto passivo”, la Corte conclude sul punto per la cessazione della materia del contendere

46-47».

44 Si tratta di unità da diporto nazionali ed estere, di lunghezza superiore a m. 10 e fino a m. 64 che stazionino in porti marittimi nazionali, navighino o siamo ancorate in acque pubbliche anche se in concessione a privati.

45 L’art. 60 bis del D.L. n. 1/2012, conv., con modificazioni, nella L. 24 marzo 2012, n. 27 ha sostanzialmente riscritto la disciplina: i) allo scopo di evitare la paventata fuga dei diporti-sti dai porti nazionali, la tassa non si applica più ai soggetti non residenti non aventi stabili organizzazioni in Italia; ii) l’importo dovuto a titolo d’imposta è stato rimodulato, così come numerose sono le esenzioni (ad es., per le unità da diporto possedute e utilizzate da enti ed associazioni di volontariato esclusivamente ai fini di assistenza sanitaria e pronto soccorso, v. comma 5), le riduzioni (ad es., la tassa è ridotta della metà per le unità a vela con motore au-siliario il cui rapporto fra superficie velica e potenza del motore espresso in Kw non sia infe-riore a 0,5 e la stessa riduzione si applica anche per le imbarcazioni da diporto con scafo di lunghezza non superiore a 12 metri, quando le stesse siano utilizzate esclusivamente dai pro-prietari residenti, come proprio mezzi ordinari di locomozione e nei Comuni ubicati nelle isole minori e nella laguna di Venezia, v. comma 3) e le esclusioni (ad es., per le unità di pro-prietà o in uso allo Stato e ad altri enti pubblici o quelle obbligatorie di salvataggio o servizio, v. comma 4 e, allo scopo di sviluppare la nautica da diporto, la tassa non si applica per il pri-mo anno dalla prima immatricolazione, v. comma 5 bis).

46 Aggiunge la Corte, par. 6 parte motiva, che «ricorrono le condizioni richieste dalla giu-risprudenza di questa Corte perché debba essere dichiarata la cessazione della materia del contendere per: a) sopravvenuta abrogazione o modificazione delle norme censurate in sen-so satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso; b) mancata applicazione, medio tempore, delle norme abrogate o modificate (ex plurimis, sentenze n. 193 del 2012; n. 32 del 2012; n. 325 del 2011)», per poi concludere che lo ius superveniens rende «la norma soggetta ad onere di ulteriore impugnazione affiche possa essere sottoposta allo scrutinio di questa Corte».

47 La Corte ha altresì dichiarato inammissibile la questione relativa all’art. 16, comma 3,

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Il legislatore statale ha altresì introdotto altre due tipologie di imposte erariali riconducibili al turismo c.d. di elite: la prima, riguardante i voli in ae-rotaxi, applicata anche sui “voli taxi” effettuati tramite elicottero

48, è dovuta per ciascun passeggero in occasione di ogni tratta ed è versata dal vettore; l’altra attiene agli aeromobili privati di cui all’art. 744 cod. nav. immatricola-ti nel Registro aeronautico nazionale tenuto dall’ENAC ed è posta a carico di chi ne risulta proprietario

49-50. Rilevata l’introduzione di un tributo (i.e. l’imposta sui voli taxi), nuovo

sia nei presupposti di imposta sia negli ulteriori aspetti della disciplina tribu-taria, la Corte ha ritenuto non scrutinabile lo ius superveniens non oggetto di specifica impugnazione da parte della regione ricorrente e, per altro verso, del D.L. n. 201/2011 (conv., con modificazioni, dalla L. n. 214/2011) sollevata dalla Re-gione Friuli-Venezia Giulia per violazione dell’art. 3 Cost., perché il trattamento irragione-volmente differenziato tra situazioni del tutto assimilabili si tradurrebbe in lesione dell’au-tonomia finanziaria regionale, ciò in relazione alla previsione della riduzione della tassa di stazionamento per le imbarcazioni utilizzate dai proprietari residenti nei comuni ubicati nelle isole minori e nella laguna di Venezia, senza estendere eguale regime ai comuni ubi-cati nella laguna di Marano-Grado.

Ad avviso della Corte – par. 5 della motivazione – la questione non investe la riparti-zione delle competenze e, comunque, «la violazione del principio di ragionevolezza non incide sulla distribuzione delle competenze costituzionali tra Stato e Regioni (...), ne con-segue che la censura della Regione ricorrente dedotta in riferimento all’art. 3 Cost. si con-nota per insufficiente motivazione sulla sua ridondanza sui parametri competenziali della Regione stessa».

48 Introdotta con l’art. 3 sexies, comma 1, lett. a), del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 conv., con modificazioni, nella L. 26 aprile 2012, n. 44. Il suddetto comma 10 bis è stato quindi sostituito dall’art. 67, comma 5 quater, del D.L. n. 83/2012, conv., con modificazioni, dalla L. n. 134/2012; l’imposta è dovuta in misure parametrate a tre categorie di lunghezza dei tragitti: euro 100 in caso di tragitto non superiore a 1.500 chilometri e a euro 200 in caso di tragitto superiore a 1.500 chilometri.

49 V., commi da 11 a 15 ter; in particolare, l’imposta è dovuta da chi risulta dai pubblici registri essere proprietario, usufruttuario, acquirente con patto di riservato dominio, ovve-ro utilizzatore a titolo di locazione finanziaria dell’aeromobile, ed è corrisposta all’atto del-la richiesta di rilascio o di rinnovo del certificato di revisione della aeronavigabilità in rela-zione all’intero periodo di validità del certificato stesso. L’imposta si applica anche agli ae-romobili non immatricolati nel registro aeronautico nazionale, quando la sosta nel territo-rio nazionale si protrae oltre quarantacinque giorni in via continuativa.

50 V., comma 14 bis dell’art. 16 cit.; l’imposta deve essere corrisposta prima che il veico-lo lasci il territorio nazionale e nel computo di tali termini non si deve tener conto dei pe-riodi di sosta degli aeromobili esteri presso i manutentori nazionali. Nella prima versione della norma era stato previsto l’inferiore termine di 48 ore per la sosta nel territorio nazio-nale. Per i profili attuativi delle neo introdotte imposte erariali, si rinvia alla Circolare 1° marzo 2012, n. 6/E dell’Agenzia delle entrate, consultabile in Banca dati fisconline.

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preso atto che le modifiche successivamente apportate dal legislatore statale alle disposizioni impugnate vanno nel senso prospettato dalla Regione ri-corrente

51, la Corte ha concluso ancora una volta per la cessazione della ma-teria del contendere

52. D’altra parte, occorre segnalare alcuni interventi da parte della Regione

Sicilia e dalla provincia autonoma di Trento che hanno riguardato il feno-meno turistico associato alla tutela della risorsa ambientale.

L’assemblea regionale siciliana ha stabilito un biglietto di accesso per le aree naturali protette situate nel suo territorio al fine di incrementare i servi-zi ai visitatori e le attività di tutela delle aree protette regionali, fatta ecce-zione per quelle ubicate nelle isole minori

53. Nella sua prima versione

54, il ticket di ingresso era stato previsto anche «per le isole che comprendono aree protette», inciso quest’ultimo che a-vrebbe potuto comportare il pagamento di un biglietto di accesso alla stessa isola siciliana, così come è stato rilevato dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana cha ha impugnato la misura davanti alla Corte costituzio-nale

55 per contrasto sia con i principi comunitari di libera circolazione delle

51 Come rileva la Corte – par. 7 parte motiva – le modificazioni intervenute sulla nor-mativa tributaria relativa agli aeromobili privati hanno ristretto la platea dei soggetti passi-vi, estendendo esenzioni e riduzioni a determinate categorie di aeromobili, ai mezzi ad ala rotante e ai velivoli di minor peso e dimensioni. Tra gli aeromobili per i quali sono previste esenzioni dal pagamento dell’imposta sono ricompresi gli autogiri, gli aeromobili storici, gli aeromobili di costruzione amatoriale e gli apparecchi per il volo da diporto e sportivo di cui alla L. n. 106/1985.

52 Anche in tal caso, le doglianze prospettate dalla regione Sardegna si sono incentrate sull’invocato contrasto con le norme costituzionali – artt. 117 e 119 Cost. – e statutarie – artt. 7 e 8, disposizioni che riservano alla regione la competenza in materia di turismo.

53 La previsione si deve al comma 30 dell’art. 6 del D.D.L. 18 aprile 2012, n. 18 (Disposi-zioni programmatiche e correttive per l’anno 2012. Legge di stabilità regionale), poi consa-crata nell’art. 1 della L.R. 1° giugno 2012, n. 33 (pubblicata in G.U. della Regione Siciliana del 8 giugno 2012, n. 23) che, al comma 2, demanda l’individuazione delle aree naturali pro-tette e per le aree attrezzate ad un decreto dell’Assessore regionale per il territorio e l’am-biente, da emanarsi di concerto con l’Assessore regionale per l’economia, sentiti gli enti ge-stori delle aree naturali protette ed i comuni nei quali sono ricomprese le aree interessate.

54 Il riferimento è al comma 30 dell’art. 6 del D.D.L. n. 18/2012 cit. 55 Si veda il Ricorso n. 76/2012 del Commissario dello Stato per la Regione siciliana

avverso la delibera legislativa approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 18 aprile 2012, pubblicato in G.U. della Regione Siciliana del 6 luglio 2012, parte I, n. 27. Ad avviso del ricorrente, «detta entrata potrebbe configurarsi come una vera e propria imposta, in quan-to appaiono sussistere tutti gli elementi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale per

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persone e delle merci, che con l’art. 120 Cost. che vieta alle regioni di adottare provvedimenti che possano ostacolare la libera circolazione in-terregionale di persone o cose.

Inoltre, sulla scorta dell’insegnamento della sent. n. 102/2008, il tributo risulterebbe disarmonico con il sistema tributario statale in quanto il sem-plice ingresso nella regione potrebbe configurare anch’esso un’imposta di sbarco regionale, sovrapponendosi alla previsione statale.

Infine, il pagamento verrebbe richiesto per il mero accesso nell’isola, in-dipendentemente dall’effettivo ingresso nelle aree protette, in ciò rilevando-si un’asimmetria con la finalità di destinare il gettito all’implementazione dei servizi a vantaggio dei visitatori e preservare le aree protette.

Anche in tal caso, la proposizione del ricorso ha determinato una modifi-cazione della norma sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, atteso che nella versione dell’art. 1, comma 2 della L.R. n. 33/2012 cit., scomparso l’inciso «per le isole che comprendono aree protette», si deve escludere ogni possibile sovrapposizione con l’imposta di sbarco

56. La provincia autonoma di Trento è anch’essa intervenuta in materia di

imposte sul turismo 57 stabilendo un’imposta comunale di soggiorno e un’im-

posta provinciale sul turismo «allo scopo di garantire e rafforzare la base di finanziamento degli incentivi al turismo»

58. La regione Trentino già conosceva l’imposta di soggiorno

59; in quest’oc-

qualificare un’entrata come tributaria, che, come ha affermato la Corte costituzionale nella sent. n. 280/2011, potrebbe essere annoverata tra i “tributi di scopo”» e «costituisce un prelievo coattivo, stabilito direttamente ed esclusivamente dalla legge regionale, che non trova la sua fonte in un rapporto sinallagmatico tra le parti».

56 Al momento in cui si scrive non si ha notizia dell’esito dello scrutinio costituzionale. 57 V. L.P. 16 maggio 2012, n. 9 recante disposizioni sul “Finanziamento in materia di

turismo”, pubblicato nel Boll. uff., n. 22/I-II, 29 maggio 2012. 58 Così espressamente l’inciso iniziale dell’art. 1 (Imposta comunale di soggiorno) e

dell’art. 2 (Imposta provinciale sul turismo) della L.P. n. 9/2012 cit. 59 Come è noto, con la L.R. 29 agosto 1976, n. 10 la Regione trentina ha istituito l’im-

posta di soggiorno – con previsione di applicazione in tutti i Comuni della Regione – a ca-rico di coloro che, non registrati nell’anagrafe della popolazione residente del Comune, alloggiassero negli esercizi alberghieri ed assimiliati (art. 2), ovvero utilizzassero a scopo turistico ville, appartamenti ed alloggi in genere siti nel territorio di un Comune diverso da quello di residenza (art. 13). Gli albergatori, così come i proprietari e gli usufruttuari, era-no coinvolti nell’attuazione del prelievo in veste di sostituti d’imposta. L’art. 33 della L.P. 22 marzo 2001, n. 3 ha abrogato il tributo per quanto riguarda la provincia di Trento, ri-masta applicabile nella sola Provincia autonoma di Bolzano.

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casione si amplia il novero delle strutture ricettive e si rimodula l’importo dovuto per ogni pernottamento, con previsione di destinazione del gettito in favore delle organizzazioni turistiche e delle strutture ricettive

60. L’imposta provinciale sul turismo si applica a carico degli operatori dei

settori economici che traggono particolare profitto dal turismo 61 e l’am-

montare è stabilito in misura differente a seconda che detto profitto sia rica-vabile in forma diretta ovvero indiretta. Nel primo caso, l’imposta può esse-re fissata anche in forma forfettaria ma non può superare il 10 per mille del volume d’affari generato riferito all’anno precedente e comunque non può superare 30.000 euro; invece, per coloro che traggono indirettamente pro-fitto, l’imposta non può superare l’1 per mille del volume d’affari generato, riferito all’anno precedente, e comunque non può superare 500 euro

62, an-che in tal caso con esplicita devoluzione del gettito ad interventi di rilevanza turistica

63. A parte la peculiare previsione che condiziona l’applicazione del tributo

al mancato raggiungimento nell’anno precedente del budget costituito dai contributi volontari erogati in favore delle organizzazioni turistiche

64, la con-

60 La nuova imposta comunale è dovuta a partire dal 1° gennaio 2014 ed è graduata da un minimo di 0,50 euro sino ad un massimo di 2,00 euro per notte di soggiorno presso tut-te le strutture in cui è dato alloggio verso compenso, salve le esenzioni stabilite dalla Giun-ta provinciale.

Ai sensi del comma 4 dell’art. 1 cit., «Il gettito dell’imposta è assegnato alle organizza-zioni turistiche locali o multizonali iscritte nell’elenco delle associazioni turistiche ai sensi della legge provinciale 18 agosto 1992, n. 33, nonché alle aziende di cura, soggiorno e turi-smo o di soggiorno e turismo esistenti, a condizione che vengano rispettati i criteri sulla qualità stabiliti dalla Giunta provinciale».

61 L’art. 2, comma 2 si riferisce a coloro che svolgono «attività di commercio, artigiana-li, industriali e di servizi, strettamente connessi al turismo, tra cui vanno in ogni caso com-presi i pubblici esercenti, i gestori di piste o di impianti di risalita, le scuole di sci e snow-board, i commercianti in località turistiche, gli operatori turistici a livello provinciale e i noleggiatori di attrezzature sportive».

62 È previsto un importo minimo di 100,00 euro e possono essere previste esenzioni o agevolazioni per determinate aree territoriali o per esercizi con volume d’affari inferiore a 20.000 euro (art. 2, comma 2). La disciplina di dettaglio è demandata ad un successivo re-golamento di esecuzione da emanarsi previo parere delle associazioni di categoria e del Consiglio dei comuni

63 Così ai sensi dell’art. 3. 64 Ai sensi dell’art. 1, comma 1, detto «regolamento è emanato entro il 31 luglio del-

l’anno in cui si accerta il mancato raggiungimento dell’importo annuo di 18 milioni di euro dei contributi volontari incassati nell’anno precedente dalle organizzazioni turistiche iscritte nell’elenco provinciale delle associazioni turistiche».

Giuseppe Scanu

421

figurazione dell’imposta provinciale sul turismo può far sorgere non poche perpelessità traducendosi, di fatto, in un’ulteriore imposizione sui redditi per le imprese turistiche.

4. Il sistema di finanziamento delle autonomie locali spagnole

A questo punto dell’indagine, può essere utile uno sguardo all’esperienza spagnola potendosi ravvisare alcune analogie in tema di autonomia tributa-ria decentrata – e, in particolare, in ambito turistico – ma anche significative differenze rispetto alla prospettiva italiana.

La comparazione col sistema di finanziamento delle Comunidades Au-tónomas spagnole (CCAA) mostra un percorso speculare all’esperienza ita-liana in tema di autonomia tributaria regionale

65. Anche in Spagna la quasi totalità della materia imponibile avente una certa potenzialità recaudatoria risulta già occupata dallo Stato in ragione della primazia impositiva stabilita dall’art. 133, comma 1, Cost.

66: il finanziamento delle CCAA si fonda in gran parte sulle impuestos cedidos

67 e sulle compartecipazioni ai tributi stata-

65 Per una panoramica sul sistema spagnolo, v. ADAME, Federalismo fiscal y sistema de Financiación de las Comunidades Autónomas: la experiencia realizada espanola, in questa Ri-vista, 2012, p. 823 ss.; ALVAREZ MARTINEZ, La Financiación de las Comunidades Autónomas en España: una perspectiva general, in LA SCALA (a cura di), Federalismo fiscale, cit., p. 237 ss.; RODRIGUEZ BEREIJO, Decentramento politico e decentramento fiscale: l’esperienza spagnola, in www.issirfa.cnr.it/3641,3572.html.

66 Ai sensi dell’art. 133 cit., «La potestad originaria para establecer los tributos corre-sponde exclusivamente al Estado, mediante ley». La supremazia statale è ribadita altresì dall’art. 6, comma 1 della Ley Orgánica 3/2009 del 18 dicembre 2009 de Financiación de las Comunidades Autónomas (LOFCA), de modificación de la Ley Orgánica 8/1980, de 22 de septiembre, secondo cui «Las Comunidades Autónomas podrán establecer y exigir sus propios tributos de acuerdo con la Constitución y las Leyes».

67 L’art. 10 de la LOFCA definisce le impuestos cedidos quelle «establecidos y regulados poe el Estado, cuyo producto corresponda a la Comunidad Autonoma». La devoluzione può riguardare l’intero gettito relativo ad alcuni hechos imponibles (ad es. il 100% delle Im-puestos sobre transmissiones patrimoniales y actos juridicos documentados; sucesiones y donaciones; tributos sobre el juego y las tasas afectas a los servicios transferidos) o parte delle risorse corispondenti ad una o più imposte statali (si pensi alla previsione della cessione del 50% del rendimento de los Impuestos sobre la renta de las personas fisicas (IRPEF), calcolata sulla base del criterio della residenza nell’ambito territoriale di ciascuna CCAA o al 40% del gettito dell’Impuesto sobre el Valor Añadido (IVA).

Occorre segnalare che la devoluzione dei tributi ceduti può non limitarsi alla sola ces-sione del gettito ma anche accompagnarsi, oltre che alla previsione di deduzioni, detrazioni

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li, oltreché sulle risorse ripartite con i fondi perequativi 68-69.

Le Comunità Autonome, così come le Corporaciones locales 70, non han-

no, nei fatti, sperimentato un elevato grado di autonomia tributaria essendo ricorse solo marginalmente all’istituzione di tributos propios ex art. 133, com-ma 2, Const.

71, profittando degli spazi impositivi abbandonati dallo Stato 72

e preferendo orientarsi verso l’introduzione di tributi ambientali o “verdi” 73,

ambiti che non comportano particolari effetti sul piano del consenso 74.

ed esenzioni, anche alla variazione delle aliquote progressive. Ad es., nel 2012, le CCAA della Cataluna e dell’Andalucia hanno raggiunto un’imposizione pari al 56%, assai vicino ai livelli di tassazione della Svezia ed oltre quattro punti percentuali rispetto alla Navarra (52%) o Madrid y La Rioja (51,90%).

68 La quota più consistente dei trasferimenti è costituita dal Fondo de sufficiencia global (art. 10, Ley Orgánica 22/2009), destinato a compensare le differenze tra i fabbisogni e le risorse tributarie di ciascuna Comunità; sono inoltre erogati trasferimenti destinati a ga-rantire l’offerta di servizi minimi essenziali (ad es., sanità, educazione) su tutto il territorio (Fondo de garantia de servicios publicos fundamentales, alimentato da ciscuna CCAA in mi-sura variabile a seconda della popolazione, superficie o insularità) o volti a correggere di-sparità economiche regionali, (Fondo de competividad y el de Cooperacion); v., BERNARDI-GANDULLIA, Federalismo fiscale in Europa e in Italia, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2005, p. 189 ss.

69 L’art. 157 de la Constitución, dispone che «los recursos de las Comunidades Autó-nomas estarán constituidos por: a) Los ingresos procedentes de su patrimonio y demás de derecho privado; b) Sus propios impuestos, tasas y contribuciones especiales; c) Los tri-butos cedidos, total o parcialmente, por el Estado; d) La participación en el Fondo de Ga-rantía de Servicios Públicos Fundamentales; e) Los recargos que pudieran establecerse sobre los tributos del Estado.; f) Las participaciones en los ingresos del Estado a través de los fondos y mecanismos que establezcan las leyes; g) El producto de las operaciones de crédito.; h) El producto de las multas y sanciones en el ámbito de su competencia.; i) Sus propios precios públicos».

70 Les Corporaciones locales corrispondono ai nostri Comuni. 71 L’art. 133, comma 2, Cost. dispone che «Las Comunidades Autónomas y las Corpo-

raciones locales podrán establecer y exigir tributos, de acuerdo con la Constitución y las leyes». Si veda, ad es., l’imposta catalana sul gioco del Bingo o l’imposta introdotta in An-dalusia sulle terre sottoutilizzate.

72 Come il gioco e le lotterie. 73 Ad es. saneamiento y vertido de aguas residuales, emisiones contaminantes e, in par-

ticolare, i tributi sull’acqua. Sul punto, nell’ottica italiana, v., FICARI, La “fiscalità” dell’acqua tra “federalismo” fiscale e privatizzazione della disciplina e della gestione, in questa Rivista, 2012, p. 79 ss.

74 Osserva RUBIO DE URQUÍA, Mas espacio tributario para las Comunidades Autónomas, menos potencial recaudatorio para las Entidades locales, in Tributos locales, n. 106, 2012, p. 9 ss. che «si durante todos estos anos la Comunidades Autonomas no han hecho un uso si-gnificativo de esos medios de obtencion de recursos tributarios propios, ello no se ha de-

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L’esercizio della potestà tributaria da parte delle CCAA deve procedere in coerenza con i principi di coordinamento del sistema tributario

75, impe-dendosi, in primo luogo, di assoggettare a tassazione hechos imponibles già annoverati da tributi statali

76. Inoltre, la previsione di tributi propri non può riguardare presupposti ra-

dicati al di fuori del territorio nell’ambito del quale si realizzano 77, né può

prevedere l’adozione di misure fiscali che possano risultare di ostacolo alla libera circolazione di beni e servizi

78, ciò al fine di garantire una pressione fiscale omogenea in tutto il Paese

79. Occorre precisare che, secondo l’interpretazione offerta dal Tribunal Con-

stitucional 80, il divieto di doppia imposizione va inteso in senso restrittivo

bido, pues, a impedimentos juridicos insuperables sino a falta de voluntad politica». Os-serva ADAME, Federalismo fiscal, cit., p. 828 che «para gozar de una autonomia financiera plena no basta con disponer unicamente de autonomia en la vertiente del gasto. Es preciso tambien tener capacidad de decision en relacion con los igresos (...)» e prosegue l’A. «es evidente que la capacidad de decision en relacion con los ingresos constituye la esencia del principio de autonomia» (p. 830), per concludere che «el escaso grado de autonomia fi-nanciera en la vertiente de los ingresos (...) ha determinado que la Comunidades Auto-nomas no sean responsables fiscalmente ante sus ciudadanos» (p. 832).

75 Stabilisce il comma 1 dell’art. 133 Cost. che: «Las Comunidades Autónomas podrán establecer y exigir sus propios tributos de acuerdo con la Constitución y las Leyes».

76 Ai sensi del comma 2, dell’art. 6 cit. «Los tributos que establezcan las Comunidades Autónomas no podrán recaer sobre hechos imponibles gravados por el Estado».

77 Nel sancire il principio della territorialità, il comma 2 dell’art. art. 157 Cost. dispone che «Las Comunidades Autónomas no podrán en ningún caso adoptar medidas tributa-rias sobre bienes situados fuera de su territorio o que supongan obstáculo para la libre cir-culación de mercancías o servicios». Così anche l’art. 9 della LOFCA, stabilisce che «Las Comunidades Autónomas (...) no podrán sujetarse elementos patrimoniales situados, rendimientos originados ni gastos realizados fuera del territorio de la respectiva Comuni-dad Autónoma».

78 Ai sensi dell’art. 139, comma 2, Cost. (c.d. principio di neutralità): «Ninguna auto-ridad podrá adoptar medidas que directa o indirectamente obstaculicen la libertad de cir-culación y establecimiento de las personas y la libre circulación de bienes en todo el terri-torio español».

79 È questo il principio del carico fiscale equivalente. 80 Si veda la sent. 26 marzo 1987, n. 37 (consultabile in www. tribunalconstitucional.es.)

secondo cui «porque (...) la realidad economica en sus diferentes manifestaciones està toda ella virtualmente cubierta por tributos estatales, ello conduciria (...) a negar en la pra-tica la possibilidad de que se creen, al memos, por el momento, nuevos impuestos auto-nomicos. Lo que el articulo 6.2. prohibe, en sus proprios terminos, es la duplicidad de he-chos imponibles (...), estrictamente». Nello stesso senso, da ultimo, anche la sent. 30 no-vembre 2000, n. 289 (anch’essa consultabile in www. tribunalconstitucional.es.) secondo cui «el hecho imponible es un concepto estrictamente jurídico».

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considerato che se «ogni realtà economica nelle sue differenti manifestazioni risulta virtualmente coperta da tributi statali» si precluderebbe altrimenti la possibilità di stabilire tributos propios.

Peraltro, la riserva di presupposto opera in senso “verticale” e senza rappor-to di reciprocità tra Estado, CCAA e Corporaciones Locales e, invero, il primo può anche stabilire tributi che abbiano ad oggetto presupposti già occupati dalle CCAA, ciò a condizione di non comportare una diminuzione di risorse anche attraverso adeguate misure di coordinamento e compensazione

81. La recente riforma della LOFCA ha previsto che le CCAA, a loro volta,

possano stabilire e gestire tributi in materie riservate alle Corporaciones loca-les, purché ciò avvenga a “saldo zero” per le casse degli enti locali dovendosi accompagnare con interventi compensativi dell’eventuale depauperamento provocato

82. La prospettiva è quella di ridurre la conflittualità tra gli enti intermedi at-

traverso un flessibile strumento di coordinamento che assicuri la sufficienza finanziaria delle Corporaciones Locales

83. Invero, la riforma della LOFCA è stata propizia per rafforzare l’interven-

to invasivo delle Comunidades Autonomas, che pur non prevendo alcuna com-pensazione a beneficio delle Corporaciones locales

84, ha cionondimeno supe-

81 Così stabilisce l’ultimo inciso del comma 2 dell’art. 6 cit: «Cuando el Estado, en el ejercicio de su potestad tributaria originaria establezca tributos sobre hechos imponibles gravados por las Comunidades Autónomas, que supongan a éstas una disminución de in-gresos, instrumentará las medidas de compensación o coordinación adecuadas en favor de las mismas».

82 Così dispone il successivo comma 3 del citatao art. 6 (cosi riformato da parte della Ley Orgánica 3/2009, del 18 dicembre 2009, de modificación de la Ley Orgánica 8/1980, de 22 de septiembre, de Financiación de las Comunidades Autónomas (LOFCA): «Los tributos que establezcan las Comunidades Autónomas no podrán recaer sobre hechos im-ponibles gravados por los tributos locales. Las Comunidades Autónomas podrán esta-blecer y gestionar tributos sobre las materias que la legislación de Régimen Local reserve a las Corporaciones locales. En todo caso, deberán establecerse las medidas de compen-sación o coordinación adecuadas a favor de aquellas Corporaciones, de modo que los in-gresos de tales Corporaciones Locales no se vean mermados ni reducidos tampoco en sus posibilidades de crecimiento futuro».

83 Così, ADAME, Federalismo fiscal, cit., pp. 849-850. 84 Il riferimento è all’Impuesto sobre grandes establecimientos commerciales (IGEC)

stabilito dalla Comunità Autonoma della Catalogna con la Ley 16/2000 del 29 dicembre 2000, il cui presupposto è costitutito dall’utilizzazione di stabilimenti commerciali della superficie di almeno 2.500 mq. Più precisamente, il tributo è dovuto «por utilización de grandes superficies con finalidades comerciales la que llevan a cabo los grandes estableci-mientos comerciales individuales dedicados a la venta al detalle (...)», ciò in considerazio-

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rato il vaglio del Tribunal Consitucional valorizzandosi l’(asserita) finalità extrafiscale del tributo riconducibile all’internalizzazione dell’impatto nega-tivo che la presenza di stabilimenti commerciali di grandi dimensioni può comportare sul territorio e l’ambiente

85-86. Occorrerà attendere per valutare se questo indirizzo giurisprudenziale

andrà a consolidandarsi; allo stato, non resta che prendere atto che le Co-munità Autonome possono occupare lo spazio impositivo proprio degli enti locali, vieppiù senza prevedere soluzioni compensative, il che non appare del tutto in linea con l’impianto costituzionale spagnolo.

ne, da un lato, dell’«impacto que puede ocasionar al territorio, al medio ambiente y a la trama del commercio urbano de la Cataluna» (art. 4, Hecho imponible) e, dall’altro, della «singular capacidad económica que concurre en determinados establecimientos comer-ciales como consecuencia de estar implantados como grandes superficies, dado que esta circunstancia contribuye de una manera decisiva a tener una posición dominante en el sec-tor y puede generar externalidades negativas en el territorio y el medio ambiente, cuyo co-ste no asumen» (art. 2, Objeto del impuesto). Infine, l’art. 4 cit. stabilisce che «son gran-des establecimientos comerciales individuales los que disponen de una superficie de venta igual o superior a los 2.500 metros cuadrados (...)». Il Governo spagnolo ha sollevato que-stione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 6.3, LOFCA in relazione all’IAE (Impuesto de actividades economicas) stabilito dagli artt. 78 ss. della Ley 51/2002 (Texto Refundido de la Ley de haciendas Locales), definito quale «tributo directo de carácter real, cuyo hecho imponible está constituido por el mero ejercicio, en territorio nacional, de actividades empresariales, profesionales o artísticas, se ejerzan o no en local determina-do y se hallen o no especificadas en las tarifas del impuesto».

85 V., Sentencia del Tribunale Constitucional 122/2012, de 5 de junio (BOE de 4 de jilio de 2012), in Tributos locales, n. 106, 2012, p. 109 ss. e in www.tribunalconstitucional.es, ove si afferma che «lo que pretende desincentivar el legislador autonomico con el pago de este impuesto es el impacto territorial y medioambiental que pueda ocasionar este feno-meno de concentracion de grandes superficies comerciales», finalità extrafiscale invece non rinvenibile nell’IAE. In tal senso, già (o, meglio, solo) nel preambolo, si evidenzia che «la presente Ley se justifica en las potenciales externalidades negativas que la implanta-ción de los mismos produce tanto en el sector de la distribución comercial como en la or-denación territorial y en el medio ambiente».

Per un primo commento alla sentenza, RUBIO DE URQUÍA, op. cit., p. 9 ss. e la nota re-dazionale di SANZ CLAVIJO, in Revista española de derecho financiero, n. 156, 2012, p. 167 ss.

86 Critica rispetto alla legittimità costituzionale dell’IGEC s’è da subito mostrata CASA-NELLAS CHUECOS, Reflexiones en torno a la previsible declaracion de incostitucionalidad del impuesto cataln sobre grandes establecimientos comerciales, in Noticias de la Union Europea, 2010, p. 27 ss. la quale ha osservato che «los fines medioambientales alegados por el legi-slador autonomico no encuentran reflejo alguno en la regulacion de los elementos defini-torios del tributo». Più in generale, per un quadro sulle problematiche relative all’autono-mia dei comuni spagnoli, v. LÓPEZ ESPADAFOR, Problemas del federalismo fiscal en España con respecto a los municipios, in corso di pubblicazione in questa Rivista, 2013.

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D’altra parte, con la Ley n. 16/2012 lo Stato ha introdotto un’imposta sui depositi detenuti presso gli istituti di credito “occupando” un hecho im-ponible già assoggettato a tassazione dalle CCAA e frustrando la possibilità che altre Comunità Autonome possano in futuro stabilire un tributo analo-go. Peraltro, il meccanismo di compensazione ex art. 6, comma 2, LOFCA è stato attivato soltanto per le Comunidades Autonomas della Andalusia, Estre-madura e delle Isole Canarie, escludendo le CCAA della Catalogna e del-l’Asturia

87-88. Sul versante della tassazione turistica, anche l’esperienza spagnola ha co-

nosciuto con alterne vicende l’imposta di soggiorno, la c.d. Ecotasa 89. Peral-

tro, nell’ottobre 2003, il Governo delle Isole Baleari ha deciso di abrogare

87 La Ley 16/2012, de 27 de diciembre, prevede l’adozione di misure fiscali volte a con-solidare le finanze pubbliche e rilanciare l’attività economica e, tra queste, l’Impuesto so-bre los Depósitos en las Entidades de Crédito (art. 19). Il comma 3 dell’art. 19 ha previsto che potessero beneficiare della compensazione derivante dalle mancate entrate solo le CCAA che alla data del 1° dicembre 2012 avessero già stabilito il tributo, poi diventato sta-tale. Questa è la ragione dell’esclusione dal beneficio della Catalogna e dell’Asturia, regioni che introdussero l’imposta dopo il 1° dicembre 2012. Più precisamente, il comma 3 cit., così dispone: «En la medida en que el impuesto que establece esta Ley recaiga sobre he-chos imponibles gravados por las Comunidades Autónomas y esto produzca una dismi-nución de sus ingresos, será de aplicación lo dispuesto en el artículo 6.2 de la Ley Orgánica 8/1980, de 22 de septiembre, de Financiación de las Comunidades Autónomas. Lo di-spuesto en el párrafo anterior será únicamente de aplicación respecto de aquellos tributos propios de las Comunidades Autónomas establecidos en una Ley aprobada con anteriori-dad a 1 de diciembre de 2012».

88 D’altra parte, il Ministerio de Economia y Hacienda, ha studiato la possibilità di sta-bilire un tributo statale sull’acqua (materia imponibile di notevole potenzialità recaudato-ria che le CCAA hanno per prime disciplinato) che sostituisse i prelievi autonomici (in realtà, atteggiano come canoni); lo ricorda ADAME, Federalismo fiscal, cit., p. 848. Per una panoramica sulla fiscalità dell’acqua e, in particolare, per l’esperienza della Comunità Au-tonoma della Andalucia, v. ADAME, La fiscalidad del agua en Andalucia: los canones de mejo-ra y el impuesto sobre vertidos al litoral, in Noticias de la Union Europea, n. 327, 2012.

89 L’imposta è stata istituita con la Ley 7/2001, de 23 de abril, n. 7 rubricata del Im-puesto sobre las Estancias en Empresas Turísticas de Alojamiento, destinado a la dotación del Fondo para la Mejora de la Actividad Turística y la Preservación del Medio Ambiente. Il tri-buto colpisce il soggiorno in strutture di ricettività turistica sia da parte di visitatori di nazionalità spagnola che di altra nazionalità e la base imponibile è determinata secondo il metodo diretto (in relazione ai giorni permanenza) o attraverso il regime obiettivo (in ragione della tipologia della struttura, periodo d’apertura, ecc.). Le persone fisiche o giu-ridiche titolari delle strutture agiscono quali sostituti d’imposta e sono tenute a riscuote-re l’imposta e riversare il gettito alla Comunità autonomae e il gettito ricavato è destina-to al finanziamento del Fondo para la mejora de la actividad turistica y la preservacion del medio ambiente.

Giuseppe Scanu

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l’imposta, in ragione della sensibilità dimostrata dalla domanda turistica all’introduzione del tributo

90. Dall’aprile 2012 la Comunità Autonoma della Catalunya ha (re)intro-

dotto un’Impuesto sobre las estancias en establecimientos turísticos con il di-chiarato obiettivo di destinare il gettito al finanziamento del Fondo per la promozione del turismo creato per migliorare la competitività della Catalo-gna come destinazione turistica

91-92.

5. Conclusioni

Il quadro sopra riferito evidenzia il comune interesse da parte di Stato ed enti locali – vieppiù se dotati di una propria autonomia – verso l’impo-sizione “turistica” o, comunque, riguardante assets connotanti un tipo di of-ferta turistica (intesa come destinazione o servizio) percepita come unica.

Il rinnovato interesse si deve alla valenza impositiva del fenomeno turi-stico

93 il quale può costituire un apprezzabile volano per l’economia dei ter-ritori con spiccato appeal storico, culturale e ambientale per recuperare get-

90 Il calo di affluenze è stato dell’1,8%, v., FERNANDEZ-PEREZ-HIGON TAMARIT, Turismo sostenibile e fiscalidad ambiental, Encucentro de Economia Publica, Departament d’Econo-mia Aplicada, Universitat de Valencia, Valencia, 2003, p. 11.

91 Il riferimento è al Titolo III, artt. 98 ss. della Ley 5/2012, de 20 de marzo, rubricata «de medidas fiscales, financieras y administrativas y de creación del Impuesto sobre las Estancias en Establecimientos Turísticos». L’ammontare del tributo varia tra 0,75 e 2,50 euro a seconda della qualità delle strutture ricettive scelte dai turisti per il soggiorno; è poi previso (similmente alla nostra imposta di sbarco) il pagamento di 2,50 euro tutti i crocie-risti che sbarcano nella regione.

92 È stato stimato che la previsione di un prelievo ad valorem sui pernottamenti in mi-sura pari al 10% della spesa sostenuta, ben più pregnante rispetto all’abrogata Ecotasa delle Isole Baleari, avrebbe comportato una moderata flessione delle presenze pari all’0,8% e dello 0,9% nell’occupazione del settore, a fronte di un potenziale gettito di circa 359 mi-lioni di euro, v., GAGO-LABANDEIRA-PICOS-RODRIGUEZ, Taxing tourism in Spain: results and recommendations, Fondazione Eni Enrico Mattei, Milano, 2006, p. 10.

93 Il turismo è un ambito sotto-tassato ed è diventato una delle principali fonti di reddi-to nella bilancia dei pagamenti di molti Paesi e rappresenta, a livello mondiale, circa il 10% del PIL con una aspettativa di crescita pari al 4-5% annuo; sul punto, senza pretesa di esau-stività, è utile un richiamo alla letteratura economica e, in particolare, BIRD, Taxing Tou-rism in Developing Countries, in World Development, vol. 20, n. 8, 1992, pp. 1145-1158; GOO-ROOCHURN-SINCLAIR, Economics of Tourism Taxation: Evidence from Mauritius, in Annals of Tourism Research, vol. 32, 2005, pp. 478-498; BLAKE, The Economic Effects of Tourism in Spain, in Discussion Paper Series, 2000.

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tito da destinare non certo alla fiscalità generale quanto, invece, alla realiz-zazione di interventi a sostegno del turismo, ciò al fine di compensare le ester-nalità negative che l’afflusso di turisti impone a carico delle risorse naturali (tendenzialmente scarse e consumabili) e del patrimonio storico artistico, nonché dei pubblici servizi e, in tal modo, compensare i costi aggiuntivi che gravano sulle collettività locali.

In quest’ottica, mal si conciliano i tributi erariali introdotti dal Governo Monti nel dichiarato intento di far cassa

94 i quali, oltre ad incidere su mate-ria di competenza delle Regioni, comportano una divaricazione tra l’ambito territoriale delle comunità sulle quali insistono in termini di esternalità

95 e la destinazione alla fiscalità generale del gettito ricavato.

Ciò è sintomatico di quanto l’esigenza di coordinamento e la ripartizione della potestà impositiva siano questioni di estrema attualità e assai cruciali nel delineare un rapporto tra Stato, Regioni e enti locali davvero improntato al principio di leale collaborazione

96. Si constata invece una non sopita “litigiosità istituzionale” che, nei fatti,

deprime le aspettative delle Regioni ordinarie di attivare una propria leva fiscale e, invece, premia la specialità statutaria delle Regioni ad autonomia differenziata e delle Province autonome.

In definitiva, anche alla luce della legge delega n. 42/2009 e dei decreti delegati, si ripropone quella stessa asimmetria tra Regioni ordinarie e speciali

94 V. MOBILI, Le tasse sul lusso non decollano, in Il Sole 24 Ore, 18 agosto 2012, il quale riportando i dati dell’Agenzia delle Entrate rileva le somme incassate dall’Erario superano di poco i 92 milioni di euro contro i 387 milioni attesi.

95 Si pensi, ad es., al congestionamento che la risorsa ambientale (mare o montagna), tendenzialmente consumabile e deteriorabile, soffre in coincidenza di afflussi turistici mas-sivamente confluenti nel breve arco temporale limitato alla stagione estiva o invernale, a seconda della destinazione ovvero all’aggravio che la pressione turistica comporta sul siste-ma di smaltimento dei rifiuti nei comuni turistici.

96 Sul punto, si rinvia a BENELLI, Recenti tendenze della giurisprudenza costituzionale sul riparto per materie tra Stato e Regioni e sul declino del principio di leale collaborazione, in Le Regioni, 2012 in corso di pubblicazione, consultabile su giurcost.org. il quale rileva che «il limite delle materie tradisce un’evidente evanescenza (...). Vi sono, allora, frequenti spazi di sovrapposizione in cui le varie entità materiali tendono a confrontarsi dando luogo a un poliedrico e complesso fascio di interessi».

Per approfondimenti sul tema si vedano anche, IMMORDINO, La razionalizzazione della spesa farmaceutica e contributo regionale di solidarietà ambientale, in Le Regioni, 2012 in cor-so di pubblicazione, consultabile su giurcost.org; MINNI, Regioni ordinarie e Regioni a statuto speciale di fronte al federalismo fiscale: pari sono?, in Le Regioni, 2012 in corso di pubblica-zione, consultabile su giurcost.org.

Giuseppe Scanu

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già riscontrata in epoca precedente all’avvio del processo di attuazione del federalismo fiscale.

E, a ben vedere, tale situazione si deve anche alla “clausola di esclusione” 97

e alla “clausola di salvaguardia” 98 le quali rendono (in buona parte) imper-

meabili le autonomie differenziate ai provvedimenti fin qui adottati 99.

Peraltro, occorre riconoscere che il coordinamento della finanza non può che ricomprendere anche le Regioni speciali: è questa la prospettiva ultima sulla quale si gioca l’attuazione della riforma federalista in senso autentica-mente solidaristico ed in armonia con il sistema tributario.

Infine, sul versante comparatistico, seppur possono rilevarsi analogie tra l’esperienza italiana e quella spagnola in tema di autonomia tributaria de-centrata, la soluzione “compensativa” proposta dall’art. 6 della LOFCA, av-valorata anche dal Tribunal Constitucional, è assai distante dal contesto ita-liano e appare contraddittoria rispetto all’obiettivo di ridurre la conflittuali-tà in tema di ripartizione della potestà impositiva

100; d’altra parte, il ricorso

97 Il riferimento è all’art. 1, comma 2 della l. n. 42/2009 riportato alla nota n. 6. 98 V. l’art. 14, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2011 secondo cui «nelle regioni a statuto spe-

ciale e nelle province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, le modalità di applicazione delle disposizioni relative alle imposte comunali istituite con il presente decreto sono stabilite dalle predette autonomie speciali in conformità con i ri-spettivi statuti e le relative norme di attuazione».

Per la non applicabilità alla Regione Sicilia delle norme in tema di federalismo fiscale municipale, v. la sent., Corte cost., 21 marzo 2012, n. 64, in Banca dati DeJure. La regione siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi da 1 a 4 (ove prevista la devoluzione ai Comuni, a decorrere dal 2011, del gettito o delle quote di alcuni tributi erariali), in relazione agli artt. 36 e 37 dello Statuto i quali definiscono la potestà tributaria della Sicilia e degli artt. 81 e 119 Cost. perché, ad avviso della Regione ricorren-te, sottraggono alla Regione «un cospicuo gettito finanziario senza stabilire con quali ri-sorse finanziarie esso possa essere sostituito». La Corte ha dichiarato non fondate le que-stioni sollevate «in quanto, pur non potendosi negare la spettanza alla Regione siciliana del gettito degli indicati tributi riscossi nel suo territorio e, quindi, la potenziale sussistenza del denunciato contrasto, deve ritenersi che proprio questo contrasto rende operante la clau-sola di “salvaguardia” degli statuti speciali contenuta nel parimenti censurato comma 2 del-l’art. 14 del D.Lgs. n. 23/2011, secondo cui il decreto “si applica nei confronti delle regioni a statuto speciale” solo “nel rispetto dei rispettivi statuti”». Per un commento alla sentenza, v. MINNI, op. cit.

99 V. QUATTROCCHI, Autonomia finanziaria e tributaria siciliana tra presupposti statutari e profili evolutivi, in Dir. prat. trib., 2012, p. 1067 ed, ivi, p. 1111 ss.

100 Ai sensi dell’art. 142 Cost. «La Haciendas locales deberán disponer de los medios suficientes para el desempeño de las funciones que la ley atribuye a las Corporaciones re-spectivas y se nutrirán fundamentalmente de tributos propios y de participación en los del Estado y de las Comunidades Autónomas».

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all’imposta di soggiorno inaugurato dalla Comunidad Autonoma della Ca-talogna conferma l’attrattiva del fenomeno turistico per la potenzialità recau-datoria che questo offre associata alla destinazione del gettito alla realizza-zione di interventi volti al miglioramento dei servizi per i turisti e, più in ge-nerale, della qualità dell’offerta turistica

101.

101 Il risultato di una “analisi fattoriale” rivolta ad esperti ed operatori del settore turistico ha confermato l’apprezzamento dell’imposta di soggiorno se destinata a garantire l’eroga-zione di servizi pubblici efficienti per i turisti, v. AA.VV., Rapporto CRENoS, Economia del-la Sardegna, Cagliari, 2012, p. 78 ss. Analoga percezione è stata riscontrata in Andalusia, Spagna, v., BENITEZ ROCHEL, Analisis económico de Los ecoimpuestos. Especial Referencia a “ecotasa” turística en Andalucia, Sevilla, 2001.

GIURISPRUDENZA

SOMMARIO: Cass., sez. V, 19 ottobre 2012, n. 17949 – Pres. Merone, Est. Virgilio, P.M. Zeno,

con nota di A. Marcheselli, La rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto tra regole processuali e garanzie di difesa del contribuente (The “abuse of law” exception raised by the court ex officio between procedural rules and taxpayer’s rights protection)

Cass., sez. V, 5 ottobre 2012, n. 17010, Pres. D’Alonzo, Cons. Bognanni, Cons. Di Blasi, Rel. Virgilio, Cons. Botta, con nota di F. Pistolesi, L’impugnazione “fa-coltativa” del diniego di interpello “disapplicativo” (The “optional” appeal against the denial of the “disapplication” ruling)

Corte cost., 26 aprile 2012, n. 109 – Pres. Quaranta, Rel. Gallo, con nota di L. Trombella, La tutela cautelare nel processo tributario nella “nuova” giuri-sprudenza della Corte costituzionale (Precautionary measures and tax pro-ceedings in the light of the “new” Constitutional Court case law)

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2013

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Cass., sez. V, 19 ottobre 2012, n. 17949

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Cass., sez. V, 19 ottobre 2012, n. 17949 – Pres. Merone, Rel. Virgilio Processo tributario – Abuso del diritto – Rilevabilità d'ufficio – Sussiste – Obbli-go di preventiva attivazione del contraddittorio sulla questione – Sussiste – Con-seguenze della omissione – Nullità della sentenza

(omissis) CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 24 e 111

Cost., e dell’art. 183 c.p.c., comma 4, e art. 112 c.p.c. Censura in primo luogo la sentenza impugnata per avere il giudice d’appello posto

a fondamento della decisione una questione – consistente nella configurabilità nella fattispecie di una forma di abuso del diritto – rilevata d’ufficio, in quanto non prospet-tata nell’avviso di rettifica né mai discussa nel corso dei giudizi di merito, senza sotto-porre la stessa al contraddittorio delle parti, così impedendo alla ricorrente di interlo-quire sul punto, sia sul piano fattuale che su quello giuridico, in violazione del diritto di difesa e del principio del giusto processo, oltre che dell’espressa previsione di cui al citato art. 183 c.p.c., comma 4.

Rileva, poi, che il giudice a quo ha violato anche i confini del giudizio a lui sottopo-sto, quali segnati dal fondamento e dall’entità della pretesa tributaria fatta valere nell’atto impositivo, avendo finito per censurare e “sanzionare”, attraverso il riscontro dell’abuso del diritto, non già l’omessa fatturazione (unicamente contestata nell’avviso di rettifica), bensì, come già il primo giudice, il diverso addebito della doppia detra-zione d’imposta.

1.2. La prima doglianza è fondata. Va, innanzitutto, ribadito il consolidato principio della giurisprudenza di questa

Corte (che, del resto, la stessa ricorrente non contesta) secondo il quale la diretta de-rivazione comunitaria, quanto ai tributi armonizzati, e, comunque, costituzionale (art. 53), per quelli non armonizzati, del principio di divieto di abuso del diritto – secondo il quale il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale – comporta la sua applicazione d’ufficio da parte del giudice tributario, a prescindere da un qualsiasi richiamo da parte dell’amministrazione, sulla base dei fatti acquisiti al processo (Cass., Sez. un., n. 30055 del 2008, nonché, da ult., Cass. n. 7393 del 2012).

Ora, non v’è dubbio che ciò nella fattispecie sia avvenuto.

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Il giudice d’appello, infatti, a fronte di una pretesa tributaria basata sulla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, per avere la contribuente Europa TV s.p.a. omesso di fatturare il rimborso di costi di sponsorizzazione da essa sostenuti in qualità di mandataria senza rappresentanza della Atena Servizi s.p.a. (appartenente al medesimo gruppo), ha ritenuto – come in parte già detto in narrativa – di procedere ad una “con-siderazione globale del contesto nel quale è maturata la vicenda”, valutando “se il comportamento complessivo dell’appellante, considerato congiuntamente a quello di Atena Servizi, abbia potuto determinare la conseguenza che l’obbligo di fatturazione non venisse ad esistenza”: ed ha concluso nel senso che la condotta della Europa TV “non trova altra spiegazione che quella di conseguire un risparmio fiscale”, poiché, non risultando che essa “abbia mai richiesto, né tanto meno sollecitato, ad Atena Servizi la restituzione della quota di corrispettivo versato a Juventus FC per la sponsorizzazione”, il suo comportamento “trova – sino a prova contraria che non è stata offerta, né chiesto di offrire – la sua unica giustificazione con la volontà di non far sorgere l’obbligo di fattu-razione, a sua volta prodromico alla regolarizzazione dell’imposta annuale”.

Si è, quindi, chiaramente in presenza dell’applicazione ex officio del principio di di-vieto di abuso del diritto, tema che non era stato, neanche implicitamente, allegato dall’amministrazione nell’atto impositivo, né, in ogni caso, era entrato a far parte del dibattito processuale. Inoltre, la questione non può considerarsi di puro diritto, impli-cando, come emerge espressamente dalla sentenza impugnata, anche profili fattuali (e la ricorrente ha indicato le circostanze e le argomentazioni che avrebbe potuto dedur-re per contestare la tesi del giudice).

Ne consegue, in definitiva, la nullità della sentenza, in virtù del principio secondo il quale l’omessa indicazione alle parti, ad opera del giudice, di una questione di fatto, ovvero mista di fatto e diritto, rilevata d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione, com-porta la nullità della sentenza (c.d. “della terza via”, o “a sorpresa”) per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell’esercizio del contraddittorio e delle connesse facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione decisiva ai fini della deliberazione, allorché la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contrad-di ttorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (Cass., Sez. un., n. 20935 del 2009, nonché Cass. nn. 10062 del 2010, 9591 e 17495 del 2011). Il prin-cipio, direttamente ricavabile dagli artt. 24 e 111 Cost., e già recepito nell’art. 183 c.p.c., comma 4, e art. 384 c.p.c., comma 3, ha poi assunto portata generale (anche “topografi-camente”) con l’art. 101 c.p.c., comma 2, comma aggiunto dalla L. n. 69 del 2009, art. 45.

1.3. Il secondo profilo di censura è infondato nei sensi di seguito precisati. È stato più volte affermato da questa Corte che i poteri del giudice tributario sono

necessariamente limitati al riscontro della consistenza della pretesa fatta valere dal-l’amministrazione finanziaria con l’atto impositivo, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso enunciati, il che vuoi dire che l’erario aziona una specifica pretesa impositiva – e cioè accerta un determinato debito tributario in capo al contribuente e

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ne richiede il pagamento – e il processo che nasce dall’impugnativa dell’atto autoritativo è delimitato nei suoi confini, da un lato, dalla pretesa tributaria, nel senso che il fonda-mento e l’entità di questa non possono avere latitudine diversa da quanto dedotto nell’atto impositivo, e, dall’altro, dai motivi specifici dedotti nel ricorso introduttivo dal contribuente (Cass., Sez. un., n. 30055 del 2008, cit., nonché, tra le altre, Cass. nn. 4334 del 2002, 20516 del 2006, 17119 del 2007, 6620 del 2009).

Ciò posto, la sentenza impugnata, ad avviso del Collegio, non ha violato il richia-mato principio, dovendo essere interpretata nel senso che, secondo il giudice d’ap-pello, la rilevata condotta “abusiva” della contribuente sarebbe consistita nell’evitare l’insorgenza sine die dell’obbligo di fatturazione, la cui violazione costituisce l’unico oggetto della pretesa tributaria azionata con l’atto impugnato (come del resto lo stesso giudice a quo ha espressamente premesso, nel ritenere fondato il relativo motivo d’appello), e dovendo, pertanto, considerarsi il rilievo del benefìcio della doppia de-trazione d’imposta come mero riferimento ad un effetto ulteriore e conseguenziale alla violazione contestata, ma ad essa estraneo.

2. I restanti motivi di ricorso, attinenti al merito della controversia, restano assorbiti. 3. In conclusione, va accolto, nel limiti e nei sensi sopra specificati, il primo motivo,

assorbiti gli altri; la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale procederà a nuovo esame della controversia uniformandosi ai principi enunciati, oltre a provvedere in or-dine alle spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione e di-

chiara assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione

della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2012

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La rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto tra regole processuali e garanzie di difesa del contribuente

The “abuse of law” exception raised by the court ex officio between procedural rules and taxpayer’s rights protection

Abstract La Corte di cassazione afferma che l’abuso del diritto è rilevabile d’ufficio in giu-dizio, purché sia garantito alle parti il diritto di contraddire sul punto. Il fonda-mento di tale rilevabilità appare alquanto malfermo, non potendosi essa desume-re in modo convincente né dal diritto comunitario o dall’art. 53 Cost., né dal re-gime delle eccezioni nel processo (art. 112 c.p.c.), né dalla pretesa, ma non rile-vante, rilevabilità d’ufficio della nullità dei contratti (art. 1421 c.c.). Né, salvi casi eccezionali, tale rilevabilità sembra potersi desumere dalla spettanza al giudice di poteri qualificatori della fattispecie oggetto del giudizio. Quanto al contenuto del diritto al contraddittorio sulla questione rilevata d’uffi-cio, essa deve sempre consentire il pieno esercizio del diritto di difesa. Nel caso di rilievo in sede di legittimità, esso implica di regola iniziative istruttorie e valu-tazioni di fatto incompatibili con le caratteristiche del giudizio di cassazione. Parole chiave: processo tributario, abuso del diritto, garanzie del contribuente, eccezioni, rilievo d’ufficio The Italian Supreme Court considers that the abuse of law is liable to be raised by the court ex officio, provided that the parties have the right to reply on that issue. The grounding of this characteristic is quite unclear, since it cannot be implied from EU law nor from Art. 53 of the Constitution, nor from the procedural rules on exceptions (Art. 112 Civil Procedure Code), nor from the alleged – but not relevant – contract’s voidness exception raised by the court ex officio (Art. 1421 Civil Code). Similarly, apart from exceptional cases, issues that may be raised by the court cannot be implied from the attribution of the judge of qualification powers of the case discussed in the proceedings. In relation to the principle of hearing both sides on the issue raised by the court, it shall always be permitted the full exercise of the right of defence. In the case the issue is raised by the Supreme Court, it usually implies pre-trial initiatives and evaluations that are in contrast with the characteristics of the proceedings before the Supreme Court itself. Keywords: tax proceedings, abuse of right, taxpayers safeguards, exceptions, issues raised by the court ex officio

Cass., sez. V, 19 ottobre 2012, n. 17949

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SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio. – 3. L’eccezione di omesso contraddittorio. – 4. Le conseguenze della omissione del contraddittorio. – 5. Il rilievo d’ufficio dell’abuso e le sue possibili giustificazioni. – 6. Quando, in concreto, l’abuso è rilevabile d’ufficio?

1. Premessa

La sentenza in rassegna formula alcuni interessanti principi in materia di rileva-bilità d’ufficio dell’abuso del diritto nel processo tributario.

Il ragionamento della Corte è scandito nei seguenti passaggi:

a) ove il giudice ritenga di rilevare d’ufficio una questione non dibattuta tra le parti ha il dovere, a pena di nullità della sentenza, di provocare la discussione tra di esse, assegnando congruo termine per l’esercizio del diritto di difesa;

b) la sussistenza di una fattispecie di abuso del diritto può essere rilevata d’ufficio; c) nel processo tributario il fondamento della pretesa tributaria non può essere

diverso da quello del Provvedimento impugnato e i fatti da valutare sono esclusi-vamente quelli di cui a tale Provvedimento, nei limiti dei motivi di impugnazione del ricorrente;

d) nella specifica fattispecie della controversia, tale indebito allargamento non sarebbe avvenuto.

Ciascuno dei passaggi predetti può essere qui brevemente ripercorso e analizzato.

2. Il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio

Il primo passaggio, in effetti, appare ormai pacifico. Ammesso che, nei limiti concessi dall’ordinamento, il giudice possa decidere la

controversia esaminando una questione che egli rileva d’ufficio, le parti hanno il diritto di “dire la loro” su di essa. Lo strumento processuale di attuazione del dirit-to di difesa, in questi casi, è l’invito del giudice a che esse formulino le loro osser-vazioni sul punto, e si attua attraverso la “indicazione” della questione e la conces-sione di un termine per interloquire.

Di tale principio, nel codice di procedura civile, si ritrova una formulazione ge-nerale all’art. 101, comma 2: «Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osserva-zioni sulla medesima questione». E, sempre nel codice civile, di tale principio si

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trovano due applicazioni particolari nell’art. 183, comma 4, e 384, comma 3, quan-to, rispettivamente, al giudizio di primo grado e al giudizio di cassazione.

Tali principi sono espressione della concezione più moderna del diritto di dife-sa di cui all’art. 24 Cost. e del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., con i connessi diritti all’esercizio del contraddittorio e di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione deci-siva ai fini della deliberazione.

Tali regole, implicitamente e apprezzabilmente assume la Corte, si applicano anche al processo tributario. Ciò, sia in virtù della regola generale di cui all’art. 1. D.Lgs. n. 546/1992 (che prevede la applicazione delle norme processualcivilisti-che al processo tributario, in assenza di speciale disciplina). Sia, è da ritenere, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata delle regole processuali. Se il diritto di difesa e il giusto processo hanno come contenuto concreto il diritto di interloquire sulle questioni rilevabili d’ufficio e il processo tributario deve rispet-tare i principi costituzionali, tale diritto va riconosciuto anche a contribuente e Amministrazione davanti al giudice tributario.

Per questa parte la motivazione della sentenza si presta, a nostro modestissimo avviso, a una piena adesione.

3. L’eccezione di omesso contraddittorio

È, semmai, interessante soffermarsi sul contenuto necessario della eccezione di difetto di contraddittorio sulla questione rilevata d’ufficio, e sui relativi effetti.

Il primo quesito è se sia sufficiente allegare l’omissione del contraddittorio, quale vizio formale.

Il secondo, quale sia la conseguenza processuale della accertata lesione del di-ritto di difesa.

Sul primo aspetto, secondo la Corte, la parte che intenda farla valere non po-trebbe limitarsi a denunciare l’omissione, in quanto tale. La Corte richiede, infatti, una specifica e ulteriore allegazione: quella delle ragioni e difese concrete che essa avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio sulla questione fosse stato tempestivamente attivato 1.

Ne consegue un interessante problema, concettuale e pratico. Posto che l’eccezione di omesso contraddittorio non è vittoriosa se si limita a

denunciare l’omissione, ma deve allegare una concreta lesione alle ragioni difensive, in cosa deve consistere tale lesione? È evidente che, ove essa dovesse consistere

1 Cass., sez. un., 30 settembre 2009, n. 20935; Cass., sez. III, 27 aprile 2010, n. 10062; Cass., sez. III, 23 agosto 2011, n. 17495.

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nella puntuale dimostrazione che il giudice, avendo rilevato la questione d’ufficio, non ha tenuto conto di altri elementi effettivamente sussistenti e decisivi, la viola-zione del contraddittorio potrebbe sembrare avere una rilevanza limitata, in sé.

A tutta prima, anzi, essa potrebbe parere addirittura nulla, risolvendosi nella possibilità di lamentare che la decisione è stata ingiusta. Se così fosse, o il contri-buente dimostra che ha ragione, indipendentemente dal fatto dell’omesso contrad-dittorio, ovvero, se ha torto, il fatto, processuale, della omessa attivazione del con-traddittorio sarebbe privo di effetto. A una considerazione un poco più attenta le cose si presentano, però, diversamente. In effetti, a fronte della nuova prospetta-zione derivante dal rilievo di ufficio, è possibile che la parte avrebbe potuto trovarsi nella necessità formulare argomentazioni e richieste (anche istruttorie), prima non necessarie e nuove, e, per l’effetto dell’omessa attivazione del contraddittorio, essa potrebbe, invece, essersi trovarsi decaduta da tali facoltà processuali. In questi casi, l’eccezione di omessa attivazione del contraddittorio ha una efficacia ulteriore, ri-spetto al fatto di dolersi della ingiustizia della decisione: avrebbe l’effetto di “rimet-tere in termini” la parte per far valere argomenti e richieste da cui, altrimenti, sa-rebbe decaduta.

Un orientamento più specifico sulla questione può cercarsi nella giurispruden-za civilistica. Essa si è occupata, in primo luogo, della ipotesi in cui la questione ri-levata d’ufficio sia di puro diritto e assume che, in tal caso, gli unici profili in gioco concernerebbero l’interrogativo se le norme siano state o meno correttamente in-terpretate, di tal che: o la questione è stata decisa correttamente, o erroneamente, ma il vizio sul contraddittorio non avrebbe autonomo rilievo.

Per contro, secondo la stessa giurisprudenza, quando la questione riguardi an-che o solo profili di fatto, l’eccezione sarebbe accoglibile se comporti la rimessione in termini, altrimenti scaduti, o, comunque, si accompagni alla allegazione del fatto che, se fosse stata provocata la discussione, sarebbero state richieste prove 2 e fatte allegazioni contrarie che, ove si rivelassero fondate, darebbero ragione alla parte 3.

La soluzione, quanto alle questioni di puro diritto, non convince completamente: viene da domandarsi se non sia possibile che, quando la questione di diritto non si esaurisca nella interpretazione di una disposizione ma nella qualificazione giuridica di fatti (quando si tratti, fermo il fatto, di applicargli una norma differente), dalla diversa qualificazione giuridica scaturiscano esigenze difensive nuove. Ad esempio se un termine, originariamente qualificato come di decadenza, viene ritenuto di prescrizione, non scaturirebbe, forse, la possibilità di provare la verificazione di un fatto interruttivo? Detto in altri termini, che dalle questioni in diritto non possano mai scaturire esigenze processuali di allegazione in fatto e prova pare dubbio.

2 Cass., sez. III, 23 agosto 2011, n. 17495. 3 Cass., sez. III, 27 aprile 2010, n. 10062.

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Quanto alla seconda parte dell’insegnamento della Corte, quello relativo alle questioni anche di fatto, il difensore diligente che lamenti l’omessa attivazione del contraddittorio dovrebbe o contrapporre ragionamenti e argomenti che dimostri-no che la questione rilevata d’ufficio è stata “decisa male” (vuoi perché non sussi-stente, vuoi perché apprezzata erroneamente nella sua consistenza, vuoi perché se ne siano tratte conseguenze errate), e in questo primo caso non si fa nulla di più che censurare l’ingiustizia della soluzione adottata, oppure allegare di non aver po-tuto, in assenza di invito alla trattazione della questione, avanzare argomentazioni, allegazioni e richieste che, se fondate, avrebbero rovesciato la decisione: in questo caso, in effetti, l’eccezione di difetto del contraddittorio avrebbe una portata più ampia del semplice “riconsiderare la decisione”.

In pratica, non sarebbe sufficiente allegare l’omessa attivazione del contraddit-torio, ma necessario correlare tale allegazione al fatto di aver avuto una decisione in-giusta o che non ha esaminato profili che, se sussistenti, la avrebbero resa ingiusta.

4. Le conseguenze della omissione del contraddittorio

Profilo ulteriore e rilevante, poi, attiene le conseguenze del rilievo di un tale vizio: una volta che se ne sia riconosciuta la sussistenza, il processo deve retrocedere al grado in cui sia stata commessa la violazione, o no?

Secondo la giurisprudenza civilistica, ove esso fosse fatto valere in grado di ap-pello, comporterebbe l’esame della questione in tale grado, senza remissione in primo grado, mentre in cassazione comporterebbe l’annullamento, con rinvio in grado di appello, per l’esame dei profili di fatto 4.

La giurisprudenza civilistica precisa che la remissione in primo grado sarebbe preclusa, di regola, dalla tassatività della disciplina di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. (ipotesi della giurisdizione negata in primo grado, necessità della integrazione del contraddittorio, ecc.), ma lascia il campo aperto a una possibile eccezione, per dei casi estremi: «salva la prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato real-mente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio» 5. La portata di questa eccezione alla regola della non rimettibilità in primo grado non appare chiarissima ed è tutta da esplorare: essa parrebbe consentire una valutazio-ne, da effettuarsi nei singoli casi, della portata e gravità della lesione: alla lettera, in effetti, essa si riferisce alla “irreparabilità” della lesione dello “stesso valore del con-traddittorio”. Quando tale ipotesi ricorra non è di immediata evidenza, rilevato che una lesione del contraddittorio vi è sempre, in caso di rilievo d’ufficio non segnalato

4 Cass., sez. III, 23 agosto 2011, n. 17495. 5 Cass., sez. un., 30 settembre 2009, n. 20935.

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alle parti, da un lato, e che, come si è rilevato, tendenzialmente il sacrificio del dirit-to di difesa in questi casi sarebbe sufficientemente corretto dalla possibile interlo-cuzione ex post sul profilo oggetto del rilievo d’ufficio, in sede di impugnazione 6. A una diversa conclusione potrebbe portare una diversa interpretazione dell’art. 354 c.p.c., finora non accolta dalla giurisprudenza, in base alla quale la necessità di in-tegrazione del contraddittorio che impone la rimessione al grado precedente si estenda non solo all’ipotesi di mancata presenza nel processo di un litisconsorte necessario, ma anche alla mancata attivazione del contraddittorio della parte pre-sente su una questione decisiva rilevata d’ufficio.

Tali conclusioni – e le correlate incertezze – appaiono estensibili al processo tributario, ove la rimessione in primo grado è identicamente disciplinata all’art. 59, D.Lgs. n. 546/1992. Anche qui, essa potrebbe disporsi in forza della interpretazio-ne estensiva della necessità di integrare il contraddittorio appena descritta, finora non accolta dalla giurisprudenza. In subordine, merita di essere valutato se, nei ca-si, estremi, in cui si ammetta una prospettazione a “sorpresa” in termini di abuso di una fattispecie originariamente inquadrata come evasione, la lesione delle esigenze difensive non sia stata talmente grave da integrare l’ipotesi eccezionale di rimes-sione ammessa dalle Sezioni Unite 7. Attesa la estrema delicatezza della questione e il completo stravolgimento del quadro difensivo che ne consegue, tale soluzione non parrebbe sproporzionata.

Resta da esaminare il problema del rilievo della questione, d’ufficio, in cassa-zione. Ai sensi dell’art. 384, comma 3, c.p.c., in tali ipotesi è previsto solo che la Corte provochi la discussione, assegnando termine. La soluzione è, pertanto, quel-la della decisione davanti alla Corte di legittimità. Viene, però, da domandarsi se tale soluzione sarebbe quella corretta anche nella ipotesi in cui dalla questione ri-levata d’ufficio derivi la necessità difensiva di formulare argomentazioni in fatto o, addirittura, richieste istruttorie.

Anche questa ipotesi è sicuramente configurabile (e adattabili le conclusioni giuridiche) in materia tributaria. La fattispecie è, infatti, tutt’altro che peregrina quanto a profili tributari, e proprio in fattispecie ove oggetto del rilievo di ufficio sia l’abuso del diritto. Ove sorga la questione sulla sussistenza dell’abuso, e ammesso che esso possa essere rilevato d’ufficio in cassazione, sorge naturalmente il problema dell’accertamento della sussistenza della “esimente” della sussistenza delle valide ragioni economiche, che il contribuente ha il diritto di opporre. È proprio la Corte

6 ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, Milano, 1997, Parte II, cap. 4, § 4, ove si rileva che l’attuazione della difesa soltanto attraverso l’esame ex post sarebbe costituzio-nalmente legittima attesa l’assenza di un principio costituzionale che imponga il doppio grado di giuri-sdizione. Per una portata più ampia del principio del contraddittorio si era invece espresso ad esempio FERRI, Sull’effettività del contraddittorio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 782.

7 Cass., sez. un., 30 settembre 2009, n. 20935.

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di Cassazione a insegnare che a fronte di una contestazione di abuso o elusione il contribuente ha l’onere (e, quindi, anche la facoltà) di dimostrare che l’operazione è assistita da valide ragioni economiche 8. Ebbene, ove l’abuso sia rilevato in sede di legittimità, non può negarsi al contribuente il diritto di allegare ed eventualmen-te provare la sussistenza di valide ragioni economiche. Tale necessità scaturisce, in tali casi, per la prima volta solo per effetto del rilievo dell’abuso. E non pare com-patibile con le caratteristiche del giudizio di cassazione: se l’abuso può ivi essere rilevato, ciò non può certo sacrificare il diritto di difesa, dal quale il contribuente non è certo decaduto.

Non è chi non veda come sarebbe assurdo consentire la difesa, anche in fatto, e la prova, al contribuente cui l’abuso sia stato contestato nell’avviso di accertamento, oppure rilevato nei gradi di merito, e non consentirlo ... nel caso di rilievo in cassa-zione. Sarebbe assurdo e violazione di principi fondamentali: se è vero che non esiste il diritto costituzionale a un doppio grado di giurisdizione di merito, esiste il diritto costituzionale a vedere esaminate le proprie ragioni almeno una volta. L’effetto com-binato di rilievo di ufficio dell’abuso e dei limiti del giudizio di cassazione comporte-rebbe una palese violazione del diritto di difesa rispetto all’esame delle difese in fatto.

Sul punto è auspicabile un intervento illuminato e correttivo 9.

5. Il rilievo d’ufficio dell’abuso e le sue possibili giustificazioni

Il secondo profilo rilevante nella sentenza in rassegna, concerne la rilevabilità d’ufficio della sussistenza di una ipotesi di elusione o abuso del diritto 10. Sul punto la sentenza svolge solo un agile richiamo ai precedenti della sua giurisprudenza 11.

Merita, però, di essere attentamente valutato il fondamento di tale affermazio-ne, in uno con la sua portata 12.

8 Cass., sez. trib., 21 gennaio 2009, n. 1465. 9 La Suprema Corte, del resto, ha ammesso il rinvio in appello nell’ipotesi in cui, esclusa l’evasio-

ne, non sia escluso l’abuso e siano necessari approfondimenti di fatto preclusi in sede di legittimità. Se questo rinvio è possibile contro il contribuente esso deve essere ammesso anche a favore, quando serva a esplicare le sue difese. In tema TESAURO, Elusione e abuso nel diritto tributario italiano, Relazione al Convegno L’abuso del diritto tra «diritto» e «abuso», Macerata, 29-30 giugno 2012, in Dir. prat. trib., 2012, 1, p. 683 ss., in particolare p. 705 s. e Cass., sez. trib., 26 ottobre 2011, n. 22258, in Corr. trib., 2012, p. 272, con nota di BASILAVECCHIA, Cassazione della sentenza senza esame dei motivi: nuovi impieghi dell’abuso del diritto.

10 Sul rapporto tra le due nozioni, DEL FEDERICO, Elusione e illecito tributario, in Corr. trib., 2006, p. 3110 ss.

11 Tra essi, Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7393. 12 Schierata in modo nettamente critico è molta parte della autorevole dottrina tributaria, con criti-

che serrate e magistrali, tra cui si segnalano, senza pretesa di completezza e oltre agli autori citati nel

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Nei precedenti della Corte, due dei quali sono citati dalla sentenza in rassegna, tale rilevabilità d’ufficio viene fondata, essenzialmente, sugli argomenti che seguono.

Il primo è, per così dire, l’importanza delle fonti del diritto su cui il divieto di abuso si fonderebbe: il diritto europeo per le materie armonizzate e la Costituzio-ne, all’art. 53, per le materie non armonizzate. Tale argomento è suggestivo, ma non cogente. In effetti, che un valore, in termini assiologici, sia importante, abbia fondamento costituzionale o europeo, non dice nulla, in termini di logica giuridica, sul come esso debba essere attuato, su quale sia il suo regime processuale.

Questo argomento, sostanzialistico, non convince. Per assurdo, sicuramente uguaglianza e capacità contributiva sono valori ugual-

mente importanti, ma non implicano che, per esempio, a fronte di fattispecie im-ponibili non previste dalla legge, l’obbligo tributario sorga comunque, perché al-trimenti «i principi fondamentali sarebbero gravemente violati». Allo stesso mo-do, sicuramente l’abuso del diritto va combattuto con il massimo rigore, ma ciò non equivale ad affermare che esso va combattuto con metodi e secondo regole diverse da quelle previste per l’attuazione del rapporto tributario in genere. Se l’art. 53 Cost. e il diritto europeo impongono di combattere gli abusi, essi imporrebbero anche di combattere, forse addirittura a maggior ragione, l’evasione. Perché mai dovrebbe-ro valere regole e garanzie diverse? Se l’argomento “assiologico” avesse un qualche pregio giuridico, il giudice tributario potrebbe rilevare d’ufficio anche ipotesi di evasione diverse da quelle contestate, non solo ipotesi di abuso.

E, ancora, se si tratta di attuare l’art. 53 Cost., perché potrebbero rilevarsi d’uf-ficio le sole ipotesi in cui il tributo aumenta? Perché il tributo giusto sarebbe appli-cabile solo quando ne consegua un aumento del gettito e non una diminuzione? Se il fondamento fosse nel fatto che si attua l’art. 53 Cost., il giudice dovrebbe esami-nare d’ufficio anche tutte le questioni, non coltivate dal contribuente, che determi-nino una diminuzione dell’imponibile.

Il che è escluso dalla stessa Corte. Sembra doversene desumere che, in realtà, i pilastri della decisione vadano cer-

cati altrove. Un secondo tentativo è stato quello di fondarsi sulle norme civilistiche che

consentono il rilievo d’ufficio delle nullità civilistiche. prosieguo, le analisi di TESAURO, Elusione e abuso nel diritto tributario italiano, Relazione al Convegno L’abuso del diritto tra «diritto» e «abuso», Macerata, 29-30 giugno 2012, in Dir. prat. trib., 2012, 1, p. 683 ss. in particolare p. 701 ss.; BASILAVECCHIA, Elusione e abuso del diritto: una integrazione possibile, in GT-Riv. giur. trib., 2008, p. 741; BEGHIN, Abuso del diritto: la confusione persiste, in GT-Riv. giur. trib., 2008, p. 650; CONTRINO, Il divieto di abuso del diritto fiscale: profili evolutivi, (asseriti) fondamenti giuridi-ci e connotati strutturali, in Dir. prat. trib, 2009, I, p. 477 s.; FICARI, Poteri del giudice ed oggetto del proces-so: autonomia versus regolamentazione?, in Rass. trib., n. 2, 2007, p. 351 ss.; LUPI-STEVANATO, Tecniche interpretative, Tecniche interpretative e pretesa immanenza di una norma generale antielusiva, in GT-Riv. giur. trib., 2009, p. 411.

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Tentativo che può giustificare la soluzione a patto che a) nell’abuso del diritto vi sia una ipotesi di nullità; b) tale nullità rilevi per fondare l’accertamento della mag-giore imposta.

Che il negozio abusivo sia nullo è controvertibile. Come noto, la giurisprudenza in passato lo ha affermato 13 e poi è parsa abbandonare questa via.

Ma, a ben vedere, non pare che sia necessario esaminare tale profilo, atteso che mancherebbe, comunque, evidentemente, il secondo.

Il regime civilistico della operazione abusiva è indifferente sul piano tributario. Se anche il contratto abusivo fosse nullo, la fattispecie non sarebbe per questo im-ponibile come quella elusa.

Ai fini del diritto tributario non interessa il regime civilistico dei contratti: il di-ritto tributario tassa la ricchezza per come la misura: il fatto costitutivo dell’accerta-mento dell’abuso del diritto (o elusione) è che l’operazione posta in essere sia eco-nomicamente e giuridicamente equivalente a quella elusa e meriti lo stesso tratta-mento tributario 14. Che essa sia civilisticamente valida o meno, efficace o meno, pare irrilevante: se essa è invalida ma non è equivalente non può è essere tassata come quella asseritamente elusa. Se essa è valida ma equivalente, può esserlo. Il contribuente non può salvarsi da una contestazione di elusione facendosi schermo della pretesa validità del contratto civilistico. Non è quello il punto. Il punto è se la fattispecie realizzata meriti la stessa imposizione di quella evitata.

L’invalidità del negozio (ammesso, tra l’altro, che un negozio vi sia) non è né un fatto costitutivo della pretesa del Fisco, né la sua validità un fatto impeditivo dell’accertamento della elusione 15.

Un altro possibile tentativo di giustificazione potrebbe passare per una via più strettamente processuale. Assumendo che nel processo tributario si aziona un di-ritto all’annullamento dell’atto (petitum del ricorrente), in rapporto con i vizi del Provvedimento impugnato (causa petendi), si potrebbe evocare l’art. 112 c.p.c., che consente il rilievo di ufficio di eccezioni non riservate alla parte. L’eccezione, a favore dell’Ufficio, sarebbe l’abuso che, non riservato alla iniziativa della parte, sa-rebbe, in questa prospettiva, rilevabile d’ufficio. A ciò si può e deve obiettare che,

13 Cass., sez. trib., 14 novembre 2005, n. 22932, in Giur. it., 2006, p. 1077; Id., 21 ottobre 2005, n. 20398, ivi, 2007, p. 867.

14 In tema, per tutti, FALSITTA, ad esempio in L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come clausola generale immanente al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali, in Corr. giur., n. 3, 2009, p. 293 ss.

15 MARELLO, Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili procedimentali e processuali, in Giur. it., 2010, p. 7 ss.; CANTILLO, Profili processuali del divieto di abuso del diritto: brevi note sulla rilevabilità d’ufficio, in Rass. trib., 2009, p. 481 ss; NUSSI, Abuso del diritto: profili sostanziali, procedimental-processuali e sanzionatori, in Giust. trib., 2009, p. 324; PODDIGHE, Abuso del diritto e contraddittorio processuale, in Rass. trib., 2009, p. 1833 ss.; RAGUCCI, La rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di abuso del diritto e difesa del contribuente, in Giust. trib., 2009, p. 150 ss.

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come meglio si vedrà anche oltre, l’oggetto del giudizio è l’annullamento del Prov-vedimento e tale oggetto è segnato dai due limiti, ovvi, dei motivi di impugnazione e, a monte, del fondamento del Provvedimento (i fatti e le ragioni giuridiche che esso adduce) 16. Si è così osservato che: «il giudice, dal canto suo, deve giudicare la fondatezza della domanda di annullamento, come proposta dal contribuente, con riferimento ad un determinato atto impugnato, avente un determinato contenuto, e con riguardo ai motivi di ricorso dedotti. (…) Il giudice non può insomma rile-vare d’ufficio (facendo la parte dell’amministrazione) una «ragione giuridica», che non sia stata posta a base dell’avviso di accertamento, perché ciò significa pronun-ciarsi su una domanda diversa da quella proposta» 17.

Più solido e intrigante ci pare, invece, un terzo aggregato di giustificazioni per il rilievo di ufficio: quello che la giurisprudenza della Corte 18 individua nei poteri di qualificazione e cognitori del giudice. Il riferimento ai poteri di qualificazione ri-manda immediatamente al principio jura novit curia.

Questo principio viene inteso normalmente in due diverse accezioni. La prima, più restrittiva, è che il giudice conosce il diritto e, quindi, le relative

norme non sono oggetto di prova. Il secondo, più ampio e apparentemente diffuso in giurisprudenza e alla base

dell’orientamento che stiamo analizzando, è che al giudice spetterebbe sempre il potere di individuare d’ufficio la norma applicabile alla fattispecie. In questa pro-spettiva, se non ci inganniamo, le norme non solo non dovrebbero essere provate, ma manco allegate dalle parti.

Questa seconda impostazione è criticata dalla dottrina, e la critica assume una importanza particolarmente pregnante laddove si tratti di processi di impugnazione di atti amministrativi: rispetto ad essi può rilevarsi un effettivo interesse del sogget-to destinatario del Provvedimento a conoscere, in via definitiva, il fondamento del-la pretesa avversaria, anche in punto di ragioni giuridiche, al momento della rice-zione dell’atto, senza poter vedere mutare tale fondamento successivamente 19.

16 MULEO, Sulla motivazione dell’accertamento come limite alla materia del contendere nel processo tributario, in Rass. trib., 1999, p. 506 ss.; GIOVANNINI, Riflessioni in margine all’oggetto della domanda nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 1998, I, p. 35 ss.

17 TESAURO, op. loc. ult. cit. 18 Cass., sez. V, 11 maggio 2012, n. 7393. 19 Per lo spunto a tali considerazioni, TESAURO, op. ult. cit., p. 705 e CONTRINO, Il divieto di abuso

del diritto fiscale, cit., p. 478. Nel processo amministrativo, cui si possono qui fare solo brevi cenni, si tende ad ammettere che potrebbero sussistere limitazioni al potere del giudice di individuare le norme applicabili. La questione è oggetto di studio, in particolare, dal lato della possibilità di integrazione giudiziale del fondamento normativo dei motivi di ricorso. Così, ROMANO, Pregiudizialità nel processo amministrativo, Milano, 1958, p. 343: «il giudice amministrativo è vincolato alle indicazioni delle norme di legge che il ricorrente deve compiere, nel senso che egli può valutare solo alla luce di queste, la fattispecie concreta esposta nel ricorso; e, in questo si vede comunemente una limitazione dell’ap-

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In tale prospettiva, la preclusione al rilievo d’ufficio dell’abuso sarebbe assoluta. A ben vedere, una significativa preclusione sussisterebbe anche a seguire la no-

zione ampia del principio jura novit curia. Anche questa accezione porta, in realtà e a nostro avviso, a risultati opposti a quelli che la giurisprudenza assume. Tale no-zione ampia implicherebbe che, fermi i fatti oggetto del giudizio, il giudice potrebbe liberamente scegliere, anche d’ufficio, come qualificare i fatti medesimi: a quale istituto giuridico cioè ritenerli corrispondenti e quali norme applicare.

Il punto decisivo, però, è che tali poteri possono essere esercitati entro i limiti precisi appena sottolineati: senza modificare e, cioè, allargare o sostituire, l’area dei fatti valutati. Se, insomma, il giudice si limita a applicare agli stessi fatti norme di-verse, oppure a ricondurre gli stessi fatti a un istituto giuridico diverso perché ri-tiene di applicare norme diverse, si rientrerebbe, in tesi, nell’ambito del potere au-tonomo di qualificazione giuridica.

I precedenti giurisprudenziali evocati dalla sentenza in rassegna fanno riferi-mento anche ai poteri cognitori del giudice tributario. Tale riferimento non sem-bra, però, avere una particolare importanza. In effetti, la giurisprudenza della Corte di Cassazione esclude che il giudice tributario possa individuare di ufficio i fatti va-lutabili e riconosce l’esistenza di un onere di allegazione delle parti 20. I poteri co-gnitori d’ufficio del giudice concernono soltanto la prova dei fatti allegati dalle par-ti, ma non l’individuazione dei fatti valutabili. Tali poteri istruttori inoltre non pos-sono né sostituire né integrare l’inerzia istruttoria delle parti 21. Ne consegue che i poteri cognitori del giudice tributario non possono certamente modificare o sostitui-re il fondamento di fatto della pretesa per come individuato dall’ufficio tributario.

La conclusione appare, allora, netta: sarebbe possibile, in questa prospettiva, per il giudice tributario rilevare d’ufficio l’abuso del diritto se e solo se quest’opera-zione si risolve e si esaurisce in una diversa qualificazione giuridica degli stessi fatti allegati dall’ufficio tributario.

Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, del resto hanno, in linea di principio, affermato la rilevabilità d’ufficio dell’abuso se «il carattere elusivo dell’o-

plicazione del principo iura novit curia, che domina incontrastato il processo civile (…). Non si può negare che un certo vincolo del potere di cognizione del giudice amministrativo, alle norme di legge dedotte dal ricorrente, sussista effettivamente». Un accento diverso si legge in ANELLI, La rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale nel giudizio amministrativo, in AA.VV., Studi in memoria di Franco Piga, Milano, 1992, p. 86 ss., ove l’affievolimento del potere di individuare la norma applica-bile sarebbe correlato alla disponibilità dell’interesse legittimo. Questa seconda impostazione appa-re potenzialmente interessante perché porta all’interrogativo se, al contrario, il potere giudiziale d’ufficio non si riespanda, laddove non siano in gioco né diritti disponibili, né discrezionalità, esat-tamente come accade endemicamente nel diritto tributario.

20 Cass., sez. un., 30 dicembre 2008, n. 26012. 21 Cass., sez. trib., 13 settembre 2006, n. 19593.

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perazione può, senza necessità di alcuna ulteriore indagine di fatto, sulla base della compiuta descrizione che se ne rinviene in atti» 22.

Tale affermazione si salda, in generale, con la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ormai consolidata, come riconosce la sentenza in rassegna, che esclude che l’area dei fatti valutabili dal giudice possa essere diversa da quella allegata dall’ufficio tributario nel Provvedimento impugnato e, dal ricorrente, nell’avanzare i motivi di ricorso. La Corte ha efficacemente affermato che per l’ufficio tributario il Provvedimento impugnato tiene il luogo della “domanda” giudiziale 23.

Tale principio è di rilevantissima importanza non solo per ragioni generali ma anche per ragioni pratiche.

Sotto il primo profilo, esso costituisce evidente applicazione dell’art. 97 Cost. Il principio di imparzialità della pubblica amministrazione implica che essa deve svol-gere per le sue funzioni in maniera diligente e accurata: ciò significa che i poteri che vengono attribuiti alla pubblica amministrazione, essendo correlati all’esercizio di una funzione, sono anche dei doveri. L’Amministrazione finanziaria ha il dovere di esercitare in maniera completa, approfondita e diligente i suoi poteri di indagine e istruttori e, solo all’esito del diligente espletamento di tale istruttoria, il potere di emanare l’avviso di accertamento.

Correlativamente, il contribuente ha diritto di contraddire in sede amministra-tiva alla contestazione della amministrazione finanziaria che deve essere completa e formata già in quella fase 24. A maggior ragione, poi, il contribuente ha il diritto di conoscere, nel momento in cui è posto nelle condizioni di presentare il ricorso, tutte le caratteristiche, contenuti e fondamenti della pretesa che gli viene avanzata contro. Il fondamento della pretesa e la pretesa medesima non possono mutare durante il giudizio, né tantomeno la pretesa o il suo fondamento possono mutare per un’iniziativa del giudice, perché altrimenti sarebbe leso anche l’ulteriore canone dell’imparzialità del giudice, solennemente presidiato dall’art. 111 Cost. Se il giu-dice si sostituisse a una parte nella ricerca del fondamento della sue ragioni non sarebbe più un giudice equidistante dalle parti.

Di tutto ciò la stessa Corte di Cassazione è ferma garante, in generale 25.

22 Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055. 23 Ex plurimis, Cass., sez. trib., 20 aprile 2012, n. 6256. 24 È appena di notare, non potendosi sviluppare adeguatamente in questa sede la riflessione sul

punto, come sarebbe svuotata la garanzia del contraddittorio procedimentale, se esso potesse svol-gersi su una pretesa fondata su fatti completamente diversi da quelli sui quali poi il giudice, in primo, secondo o addirittura solo terzo grado potrà ritenerla poggiata. SALVINI, La cooperazione del contri-buente e il contraddittorio nell’accertamento, in Corr. trib., 2009, p. 3570 ss.

25 Cass., sez. trib., 3 agosto 2007, n. 17119; Id., 19 marzo 2009, n. 6620; Id., 20 ottobre 2011, n. 21719.

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6. Quando, in concreto, l’abuso è rilevabile d’ufficio?

È, dunque, alla stregua di queste regole che deve valutarsi il profilo della valo-rizzabilità in giudizio dell’abuso del diritto e, aspetto particolare di questo problema, la sua valorizzabilità d’ufficio.

La conclusione appare effettivamente vincolata da quanto precede. Esso sarà valorizzabile se allegato dall’Ufficio nell’accertamento, ovvero solo se

possa ritenersi rilevabile nell’esercizio dei poteri qualificatori del giudice. Perché questa condizione esista occorre che tutti i fatti costitutivi dell’abuso sia-

no già oggetto del giudizio, siccome affermati nel Provvedimento e che al giudice non resti che il compito di qualificarli.

Il che, per vero appare ipotesi di rarissima verificazione, se non caso di scuola. Si impone un’attenta opera di analisi delle fattispecie e di scomposizione di esse

nei relativi elementi essenziali. Occorre una perfetta coincidenza degli elementi es-senziali valorizzabili dal giudice e di quelli acquisiti al processo. Tale non è, innanzi-tutto, quando ricorrano ipotesi tra loro incompatibili. Non pare, così, un problema di diversa qualificazione ma di radicale sostituzione dei fatti fondamento della prete-sa il passaggio da una ipotesi di inesistenza o fittizietà, da un lato, a una di abuso, dal-l’altro 26. Affermare la fittizietà significa allegare che un certo fatto o non si è verifica-to o, se negoziale, non è stato voluto, è stato simulato. Affermare che sussiste un abu-so significa, e si tratta di ipotesi completamente diversa, affermare che un certo fatto si è al contrario verificato ma non è opponibile all’amministrazione finanziaria. Si tratta di ipotesi storiche tra loro radicalmente incompatibili: l’una si fonda sulla esi-stenza di un certo fatto, l’altra sulla inesistenza.

Allo stesso modo, non può ritenersi che vi sia identità del nucleo dei fatti allega-ti, se si passa da una contestazione di non inerenza alla contestazione di abusività. Non inerenza significa che l’ipotetica posta passiva è considerata finalizzata a fina-lità estranee a quelle professionali imprenditoriali, abusività significa invece che l’operazione, indipendentemente da finalità estranee, costituisce una strumentaliz-zazione indebita della legge 27.

26 FRANSONI, Abuso del diritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni, in Corr. trib., 2011, p. 13 ss.; con ampi riferimenti giurisprudenziali e dottrinali: CONTRINO, Sull’ondivaga giurisprudenza in tema di applicabilità delle sanzioni amministrative tributarie nei casi di “elusione codificata” e “abuso/ elusione”, in Riv. dir. trib., n. 3, 2012, p. 261 ss., in particolare nota 2.

27 Ciò si dice nella consapevolezza di un orientamento diverso della Corte di Cassazione (ad es. Cass., sez. trib., 21 gennaio 2009, n. 1465), che pare presupporre, senza peraltro argomentare in proposito, un concetto di inerenza tale da comprendere anche la “non abusività” dell’operazione. Tale impostazione non convince: la ragione di esclusione della deduzione dei costi non inerenti è che la loro deduzione non darebbe una misura corretta della ricchezza perché si dedurrebbero sotto la veste di costi di produzione quelli che sono invece stati consumi ed erogazioni della ricchezza pro-dotta, mentre l’abuso (che, tra l’altro, non riguarda necessariamente poste negative per le quali viga

Cass., sez. V, 19 ottobre 2012, n. 17949

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A ben vedere, perché sussista un abuso occorre che vi siano a) una operazione concretamente posta in essere; b) una operazione alternativa, che il contribuente ha evitato, che poteva realizzare gli stessi obiettivi giuridico economici; c) che il re-gime tributario della prima sia più favorevole; d) che la scelta della prima configuri un abuso (nell’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, l’indebito), perché ad essa sarebbe corretto applicare, sistematicamente, il trattamento tributario della seconda; e) che non sussista, per la prima operazione, la giustificazione di una valida ragione eco-nomica diversa dal risparmio fiscale.

Poiché, insegna la Corte di Cassazione, l’ultimo elemento, le valide ragioni eco-nomiche, va allegato e provato dal contribuente, i fatti costitutivi dell’abuso sono i primi 4. Ebbene, se la giustificazione della rilevabilità d’ufficio dell’abuso è che ri-entra nei poteri qualificatori del giudice, quali dei passaggi predetti sono, propria-mente, qualificazioni giuridiche?

Non certamente il primo, e neppure il secondo: quale sia l’operazione posta in essere e quale sia l’operazione elusa equivalente sono, evidentemente, profili di fatto: essi debbono essere acquisiti al processo perché allegati dalle parti. Se l’operazione posta in essere normalmente la è, perché oggetto dell’accertamento, non è di nor-ma acquisita al processo la fattispecie alternativa: essa, come secondo termine di raffronto, di fatto, non può essere frutto di una ipotesi di fonte giudiziale: il fatto che ci fosse una via alternativa equivalente è un elemento essenziale del fatto costi-tutivo dell’abuso, riservato alle parti: se non lo è, il rilievo d’ufficio è precluso.

Lo stesso sembra potersi dire del vantaggio tributario conseguente all’operazio-ne posta in essere: anche esso è un elemento costitutivo, di fatto, dell’abuso/elu-sione, che deve essere acquisito al processo.

Anche qui i profili problematici non mancano. Il primo è se, ove l’avviso di accertamento sia impostato, come spesso accade,

sulla ricostruzione di una fattispecie di evasione, l’allegazione dell’importo evaso possa valere anche come allegazione dell’importo risparmiato abusivamente. Ad esempio, se si disconosce, in prima battuta, un costo asseritamente fittizio, l’allega-zione della evasione della imposta corrispondente, comprende o equivale alla di-versa prospettazione di un risparmio abusivo, fondato sulla diversa ipotesi che l’o-perazione sia reale e vada disconosciuta la sola quota di costo superiore al valore normale? Invero, in questo caso, prima ancora che problemi sulla allegazione (e la misura) del vantaggio, ci sarebbero problemi sulla allegazione degli altri fonda-menti della pretesa: se si è scelto di contestare una evasione, i fatti allegati sono di-versi e incompatibili con la prospettazione di un abuso, come sopra si rilevava 28. il principio di inerenza) determinerebbe una misura non corretta delle ricchezza per una ragione diversa: che l’ipotesi abusiva equivale economicamente a quella elusa per le sue caratteristiche in-trinseche. Il problema della abusività, rispetto ai costi, presuppone l’inerenza, non la esclude.

28 Una autonoma rilevanza della allegazione del vantaggio potrebbe aversi solo nella ipotesi, del

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Il secondo è se, superato lo scoglio di cui sopra, il vantaggio debba essere esat-tamente calcolato ed esposto dall’Ufficio. Nella misura in cui esso dipenda, sem-plicemente, dalla applicazione delle norme fiscali alle due fattispecie (quella elusa e quella posta in essere), si può ritenere di no: esso consisterebbe in un effetto della applicazione delle norme giuridiche alla fattispecie e tale operazione potrebbe, for-se, anche essere condotta dal giudice.

Il carattere “abusivo” o “indebito” della operazione, invece, e cioè il fatto che l’o-perazione posta in essere sia economicamente equivalente a quella elusa e meriti lo stesso trattamento giuridico tributario appare invece, in effetti, una questione in diritto, presumibilmente rientrante nell’ambito dei poteri qualificatori.

Gli spazi per un rilievo d’ufficio dell’abuso appaiono allora eccezionalmente stret-ti, anche nella stessa prospettiva qualificatoria della Corte: esso sarebbe possibile so-lo se dagli atti risulti già l’ipotesi alternativa elusa e l’allegazione del vantaggio.

Sono, in definitiva, molteplici gli aspetti problematici correlati a un problema alquanto complesso, che, per vero, la sentenza in rassegna risolve piuttosto fretto-losamente. Essa, poste premesse che paiono condivisibili, le applica a una fattispe-cie che non pare rientrarvi. Afferma infatti che «evitare di far sorgere l’obbligo di fatturazione» sarebbe ipotesi di fatto coincidente, o comunque compresa, in quel-la «violare l’obbligo di fatturazione». Ciò non pare, come non pare affatto che, ad esempio, evitare di comprare un bene per non doverne pagare il prezzo, equivalga a comprare il bene e rendersi inadempienti nella esecuzione del contratto.

Temi complessi, sui quali non mancheranno certamente ulteriori autorevoli pronunciamenti, necessari a una migliore razionalizzazione della materia.

Alberto Marcheselli

tutto peregrina, che l’avviso contenga una pretesa principale (evasione) e una subordinata (abuso/ elusione), ammesso che sia consentito un avviso fondato su due ricostruzioni tra loro non compati-bili, e non semplicemente una più ampia e una più ristretta, e che sia nell’una che nell’altra ipotesi l’ufficio pretenda di recuperare l’intero costo (e non, come sarebbe corretto, nell’ipotesi di abuso, solo il risparmio). Potrebbe ritenersi l’importo risparmiato (quello calcolato sulla quota di costo eccedente il valore normale) compreso nella allegazione dell’importo evaso (tutto il costo asserita-mente fittizio, nella ipotesi alternativa della contestazione di evasione)? La soluzione appare dubbia. La configurabilità di tale ipotesi però sembrerebbe doversi escludere in radice, attesa la giurispru-denza che, correttamente, afferma la nullità di provvedimenti fondati su motivazioni tra loro incom-patibili: Cass., sez. trib., 30 novembre 2009, n. 25197.

Cass., sez. V, 5 ottobre 2012, n. 17010 – Pres. D’Alonzo, Rel. Virgilio Contenzioso tributario – Procedimento in genere – Atti impugnabili – Elenca-zione di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 – Tassatività – Effetti – Facoltà di impugnare ulteriori tipologie di atti – Ammissibilità – Limiti – Conseguenze – Di-niego di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del D.P.R. n. 600/1973 Impugnazione facoltativa – Ammissibilità.

In tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a co-noscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ra-gioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposi-zioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considera-zione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, ma provve-dimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza effi-cacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rap-porto tributario.

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La (omissis) s.r.l., (già s.p.a.) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza

della Commissione tributaria regionale della Toscana indicata in epigrafe, con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso introduttivo della contribuente contro il provvedimento con cui il direttore regionale delle entrate aveva dichiarato inammissi-bile per tardività l’istanza di interpello per la disapplicazione delle norme antielusive contenute nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 172, comma 7, (nel testo modificato e ri-numerato dal D.Lgs. n. 344 del 2003), presentata dalla società (omissis) ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8. Il giudice a quo ha ritenuto che l’atto im-pugnato – c.d. interpello disapplicativo – “non ha natura provvedimentale”, non con-tenendo alcuna pretesa tributaria definita, “né da esso scaturiscono conseguenze giu-

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ridiche, né lede alcun diritto soggettivo o interesse legittimo”; l’atto non rientra in al-cuna delle fattispecie elencate nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, né il citato art. 37 bis o il decreto ministeriale di attuazione ne prevedono l’impugnabilità.

Il contribuente, in definitiva, ad avviso del giudice di merito, è privo di interesse ad agire, trattandosi di un provvedimento meramente interlocutorio, sostanzialmente un parere, avente carattere vincolante solo nei confronti dell’Amministrazione, qualora sia favorevole al contribuente, ma non anche nei confronti di quest’ultimo, il quale ben può discostarsene ed attendere l’eventuale attivazione del procedimento di accertamento.

2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso. 3. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE 1.1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione

del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, censura la sentenza impugnata per avere il giudice disconosciuto l’esistenza in capo alla ricorrente di un interesse concreto ed attuale ad agire avverso la risposta ottenuta a seguito dell’interpello, senza tener conto del fatto che l’interesse ad agire costituisce una condizione dell’azione che deriva direttamente dall’avvenuta lesione di una situazione giuridica di diritto sostanziale, che non può ri-tenersi sfornita di tutela giurisdizionale ed è rappresentata dalla impossibilità per la contribuente di applicare un regime impositivo derogatorio (rispetto a quello antielu-sivo) del quale sussistono i presupposti e le condizioni previsti dalla legge.

A differenza, pertanto, dal caso degli interpelli “consultivi” (quale, in specie, quello di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 11), la risposta negativa all’interpello D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37 bis, comma 8, è atto idoneo ad incidere immediatamente nella sfe-ra giuridica del destinatario, perché, pur non traducendosi in un diniego di agevola-zione in senso tecnico, risponde alla stessa funzione di “liberazione” degli effetti che la legge stessa ricollega al verificarsi dei presupposti in presenza dei quali è possibile pro-cedere all’applicazione di un regime impositivo diverso da quello ordinariamente ap-plicabile.

1.2. L’Agenzia delle entrate replica sostenendo, conformemente a quanto esposto nella sentenza impugnata, la natura di mero parere della risposta all’interpello in esa-me, inidonea, come tale, a comportare conseguenze lesive per il richiedente, il quale resta libero di ritenere l’operazione non elusiva, riservandosi di far valere le sue ragioni qualora l’Amministrazione dovesse intervenire con provvedimenti di accertamento.

Aggiunge in memoria di non condividere la sentenza di questa Corte n. 8663 del 2011 – la quale ha affermato l’onere di impugnazione, a pena di decadenza, della ri-sposta negativa all’interpello –, sia perché tale provvedimento non può essere conside-rato un rifiuto di agevolazione fiscale (atto elencato nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19), bensì un atto emanato sulla base di una mera “intenzione di comportamento fi-scale”, sia in quanto “la non impugnabilità consente anche agli uffici, a fronte di un ini-

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ziale diniego, di rivalutare la situazione in sede di accertamento, pervenendo magari ad una scelta di legittimità dell’operato del contribuente” evitando un inutile incremento di contenzioso.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente, nella ipotesi in cui la sentenza impugnata debba interpretarsi nel senso di contenere un diniego di giurisdizione del giudice tri-butario in ordine alle controversie concernenti le risposte negative agli interpelli de quibus, denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, rilevando che il criterio di delimitazione dei confini della giurisdizione tributaria è rappresentato dalla natura della controversia, nella specie senza dubbio squisitamente tributaria.

3. Va, in ordine logico, esaminato prioritariamente il secondo motivo di ricorso, che si rivela inammissibile basandosi su un presupposto chiaramente insussistente.

Con la sentenza impugnata, infatti, il giudice di merito si è limitato a rilevare la im-proponibilità assoluta della domanda per carenza di interesse ad agire, il che non da luo-go ad un’ipotesi di difetto di giurisdizione – che il giudice, quindi, non ha affatto inteso affermare –, essendo questa attribuita in via esclusiva e ratìone materiae, e non in ragione dell’oggetto della domanda (cfr., tra le altre, Cass., Sez. un., n. 27209 del 2009).

4.1. Venendo, quindi, al primo motivo di ricorso, questa Corte – come già detto sopra – ha avuto di recente occasione di affermare il principio secondo il quale “le de-terminazioni del direttore regionale delle entrate sulla istanza del contribuente volta ad ottenere il potere di disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8, costituiscono presupposto necessario ed impre-scindibile per l’esercizio di tale potere. Le determinazioni in senso negativo costitui-scono atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma impugna-zione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. h). Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente ai sensi del D.M. 19 giugno 1998, n. 259, art. 1, comma 4, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all’istante. Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate” (Cass. n. 8663 del 2011).

Il Collegio ritiene di doversi discostare da detto orientamento nei limiti e nei sensi di seguito precisati.

4.2. Il nucleo centrale della citata pronuncia è costituito dalla qualificazione della risposta negativa all’interpello come tipico “diniego di agevolazione fiscale”, rientran-te, come tale, a pieno titolo, nella previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, com-ma 1, lett. h), con la naturale conseguenza dell’onere di impugnazione, in mancanza della quale l’atto diviene intangibile, con conseguente decadenza del contribuente dal-la possibilità di successiva contestazione.

Tale tesi non è condivisibile. Sul piano strettamente tecnico, infatti, va esclusa la equiparazione tra “agevolazione

fiscale” e “disapplicazione di norma antielusiva”: la prima costituisce un trattamento

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derogatorio di favore riconosciuto in generale nella ricorrenza di determinate condi-zioni, pur in presenza del presupposto del tributo, per finalità di realizzazione di inte-ressi diversi da quello fiscale, ritenuti meritevoli di tutela; la seconda consiste nel ri-muovere l’operatività di norme limitative – per fini antielusivi – di “vantaggi” fiscali di regola spettanti (detrazioni, deduzioni, crediti d’imposta, ecc), in relazione a singole fattispecie, il cui esame abbia portato ad escludere il realizzarsi dello scopo elusivo, co-sì ripristinando, per finalità pur sempre di ordine fiscale, il regime tributario applicabi-le nel caso specifico a quello previsto dall’ordinamento in assenza di fine di elusione, cioè quello ritenuto “giusto” dal legislatore in relazione alla capacità contributiva ma-nifestata.

Va, poi, ovviamente, rilevato che né la norma in esame, né il decreto ministeriale di attuazione 19 giugno 1998, n. 259 (né, peraltro, la prassi costante dell’Amministrazio-ne), prevedono l’impugnabilità delle determinazioni del direttore regionale delle en-trate in ordine all’istanza di interpello, cosi restando esclusa anche l’applicabilità della norma di chiusura di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. i).

La dimostrata impossibilità di ricondurre, in modo certo ed inequivoco (anche eventualmente al di là del nomen iuris adoperato), l’atto in questione in una delle ca-tegorie indicate nell’art. 19 cit. porta ad una prima conclusione: l’atto stesso non può essere ritenuto obbligatoriamente impugnabile, dovendosi escludere, per ovvie ragioni di certezza dei rapporti giuridici e di tutela del diritto di difesa, che possa essere intro-dotta per via interpretativa (se non negli stretti limiti anzidetti) una decadenza del contribuente dal diritto di contestare una pretesa tributaria, decadenza inevitabilmen-te conseguente alla omessa impugnazione di uno degli atti tassativamente elencati nel-la norma in esame (o la cui impugnabilità è prescritta in altra specifica disposizione di legge), ritualmente notificati nel rispetto della sequenza ivi prevista.

4.3. La natura tassativa – e quindi soggetta ad interpretazione rigorosa – dell’elen-cazione degli atti contenuta nel citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, con il correlato onere di impugnazione a pena di cristallizzazione della pretesa in essi contenuta, non comporta, tuttavia, che l’impugnazione di atti diversi da quelli ivi specificamente indi-cati sia in ogni caso da ritenere inammissibile.

Da tempo, infatti, la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, ha affermato il principio secondo il quale il detto “catalogo” degli atti impugnabili è su-scettibile di interpretazione estensiva, sia in ossequio alle norme costituzionali di tute-la del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448 del 2001: ciò, ovviamente, per quanto detto sopra, con il necessario corollario del-la mera facoltà d’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conse-guenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un se-condo momento.

In particolare, è stata riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avver-so tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ra-

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gioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del con-tribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19: sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posi-zione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (e/o dei connessi ac-cessori vantati dall’ente pubblico); la mancata impugnazione da parte del contribuen-te di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 citato non determina, in ogni ca-so, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successi-vamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19 (in termini, Cass. n. 21045 del 2007 – con i precedenti ivi indicati –, cui adde Cass., Sez. un., n. 10672 del 2009, nonché Cass. nn. 27385 del 2008; 4513 del 2009; 285 e 14373 del 2010; 8033, 10987 e 16100 del 2011).

4.4. Ad avviso del Collegio, il diniego del direttore regionale delle entrate di disap-plicazione di norme antielusive, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8, rientra nel novero degli atti impugnabili, in via facoltativa, da parte del contribuente istante.

A tale conclusione inducono vari elementi, i quali escludono che all’atto de quo possa attribuirsi natura meramente endoprocedimentale o di semplice parere interpre-tativo (al pari di una circolare).

L’istanza, infatti, è obbligatoria; deve contenere la descrizione compiuta della fatti-specie concreta; deve essere corredata della documentazione rilevante; è soggetta a richieste istruttorie; è rivolta ad ottenere un atto dell’amministrazione, sia esso da in-tendere come una sorta di “autorizzazione alla disapplicazione” della specifica norma antielusiva in questione, sia, piuttosto, come sembra più corretto anche in base alla di-sciplina della materia, quale atto, esso stesso, di esercizio del potere di disapplicazione (che spetta all’amministrazione e non al contribuente); le “determinazioni” del diret-tore regionale delle entrate sono comunicate al richiedente mediante servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento, con “provvedimento” “da ritenersi definitivo” (D.M. n. 259 del 1998, art. 1, in specie commi 4 e 6).

In sostanza, la risposta all’interpello, positiva o negativa, costituisce il primo atto con il quale l’amministrazione, a seguito di una fase istruttoria e di una valutazione tecnica, e con particolari garanzie procedimentali, porta a conoscenza del contribuen-te, in via preventiva, il proprio convincimento in ordine ad una specifica richiesta, rela-tiva ad un determinato rapporto tributario, con l’immediato effetto di incidere, co-munque, sulla condotta del soggetto istante in ordine alla dichiarazione dei redditi in relazione alla quale l’istanza è stata inoltrata.

Non può, pertanto, negarsi che il contribuente, destinatario della risposta, abbia

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l’interesse, ex art. 100 c.p.c., ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell’atto in esame.

4.5. Occorre, infine, chiarire, in coerenza con la ritenuta mera facoltà d’impugna-zione, le ragioni in virtù delle quali (oltre al dato normativo della non riconducibilità dell’istituto in esame in alcuna delle “voci” elencate nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ed anzi in conformità con la sua ratio) l’omessa impugnazione dell’atto di diniego non pregiudica la posizione del contribuente che ad esso non ritenga di adeguarsi.

Ciò deriva dal fatto che tale atto, in assenza di espresse previsioni contrarie, è privo di efficacia vincolante nei confronti del contribuente stesso.

Premesso che la “definitività” prevista dal citato D.M. n. 259 del 1998, art. 1, com-ma 6, va intesa semplicemente come impossibilità di richiesta di riesame delle deter-minazioni del direttore regionale mediante ricorso gerarchico, va osservato che la ri-sposta all’interpello costituisce un “provvedimento” emesso allo stato degli atti, sulla base della documentazione acquisita, che, al più, se negativo, prelude, predeterminan-done il contenuto, ad un eventuale avviso di accertamento relativo alla dichiarazione dei redditi presentata in difformità (che, peraltro, potrebbe essere anche parziale) dal-la risposta, ovvero ad un, anch’esso eventuale, diniego di rimborso nel caso in cui il contribuente, pur adeguandosi a quella, ne ritenga l’illegittimità.

In definitiva, la risposta all’interpello non impedisce innanzitutto alla stessa ammi-nistrazione di rivalutare – in sede di esame della dichiarazione dei redditi o dell’istanza di rimborso – l’orientamento (negativo) precedentemente espresso, né al contribuente di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico che gli ven-ga notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della normaantielusiva.

Resta fermo, invece (come la stessa resistente espressamente riconosce), che la ri-sposta positiva del direttore regionale impedisce all’amministrazione – a condizione, ovviamente, che i fatti accertati in sede di controllo della dichiarazione corrispondano a quelli rappresentati nell’istanza – l’applicazione della norma antielusiva oggetto d’in-terpello, in applicazione del principio di tutela dell’affidamento, che ha diretto fonda-mento costituzionale e carattere generale ed immanente anche nell’ordinamento tri-butario, nel quale trova espresso riconoscimento, in linea generale, nella L. n. 212 del 2000, art. 10, nonché, specificamente in relazione agli interpelli c.d. ordinari, ma con portata da ritenere estesa alle altre tipologie di interpello previste dalla normativa, nel-la medesima L. n. 212, art. 11, comma 2, (il quale prevede la nullità di atti impositivi emanati in difformità dalla risposta all’interpello).

5. In conclusione, va accolto, nei sensi indicati, il primo motivo di ricorso e dichia-rato inammissibile il secondo. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana, la quale procederà a nuovo esame della controversia, uniformandosi ai prin-cipi espressi nei paragrafi da 4.2 a 4.4, oltre a provvedere in ordine alle spese anche del presente giudizio di legittimità.

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P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione e di-

chiara inammissibile il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche

per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.

L’impugnazione “facoltativa” del diniego di interpello “disapplicativo”

The “optional” appeal against the denial of the “disapplication” ruling

Abstract Secondo la Corte di Cassazione, il contribuente può decidere se impugnare o meno il diniego di interpello “disapplicativo”. Questa soluzione non convince, anzitutto, perché il privato può avviare l’azione giurisdizionale, senza incorrere in alcun pregiudizio, in presenza dei successivi atti impugnabili. Inoltre, la tesi del-l’impugnazione “facoltativa” contrasta con l’odierno assetto del giudizio tributario. Parole chiave: interpello, disapplicativo, impugnazione, differita, facoltativa According to the Supreme Court, the taxpayer may decide whether or not to appeal against the denial of the “disapplication” ruling. This solution is not convincing, first, because the individual may file a judicial action against following acts that can be ap-pealed, avoiding any decadence. Moreover, the thesis of the “optional” appeal is in contrast with the current structure of the tax trial. Keywords: ruling, disapplication, appeal, deferred, optional

SOMMARIO: 1. L’impugnabilità del diniego di interpello “disapplicativo” nella sent. n. 8663/2011. – 2. Segue: e nella sent. n. 17010/2012. – 3. Le ragioni dell’impugnazione differita di tale diniego. – 4. I motivi di apprezzamento della sent. n. 17010/2012. – 5. Le critiche alla tesi dell’impugnazione “facolta-

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tiva”: a) con riferimento alla relativa motivazione. – 6. Segue: b) con riguardo agli effetti che ne discendono sul sistema processuale tributario.

1. L’impugnabilità del diniego di interpello “disapplicativo” nella sent. n. 8663/ 2011

Con la sent. n. 17010/2012 la Corte di Cassazione ritorna, a distanza di circa un anno e mezzo dalla pronuncia n. 8663/2011, sul tema dell’impugnabilità della risposta negativa all’istanza di interpello cosiddetto “disapplicativo”, previsto dall’art. 37 bis, comma 8, D.P.R. n. 600/1973, giungendo ad una diversa conclusione.

Nella sent. n. 8663/2011, la Suprema Corte aveva preso le mosse dal convin-cimento per cui chi auspica la disapplicazione della norma antielusiva deve inter-pellare, ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8 cit., la competente Direzione Regionale delle Entrate (o la Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate, se si tratta di imprese di rilevante dimensione, ai sensi dell’art. 27, comma 12, D.L. n. 185/2008 convertito nella L. n. 2/2009) e la relativa risposta positiva assolve la funzione di esplicita e necessaria condizione perché non operi tale precetto.

Quindi, il responso recepisce un’imprescindibile determinazione autoritativa dell’Amministrazione finanziaria. Il richiedente non può sottrarsi alla presentazione dell’interpello e deve sottostare al relativo esito.

Muovendo da questi presupposti, nella pronuncia n. 8663/2011 trovasi affer-mato che:

a) il diniego è «... atto recettizio di immediata rilevanza esterna»; b) esso è impugnabile poiché riconducibile al rigetto di una domanda di agevo-

lazione fiscale, che l’art. 19, comma 1, lett. h), D.Lgs. n. 546/1992 annovera fra gli atti impugnabili;

c) sussiste l’interesse ad agire dell’interpellante, in quanto «... con l’azione giu-risdizionale è in grado di evitare un effetto a sé pregiudizievole»;

d) «... vertendosi in tema di diritti soggettivi e non di interessi legittimi il giudi-zio del Giudice tributario è a cognizione piena, per cui estendendosi questa al me-rito dell’atto e non alla mera illegittimità del medesimo è possibile una decisione di merito sulla fondatezza o meno della domanda di disapplicazione, attribuendo di-rettamente, ove si ritengano ricorrenti le condizioni applicative, l’agevolazione fi-scale richiesta»;

e) «... la mancata impugnazione in termini di tale atto tipico comporta l’intan-gibilità dello stesso, con esclusione di contestabilità successiva» e, ancora, «... la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione del-le determinazioni al contribuente ai sensi dell’art. 1, comma 4 del D.M. 19 giugno

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1998, n. 259, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all’istante».

È chiaro il ragionamento seguito dal Supremo Collegio. L’art. 37 bis, comma 8 cit. attribuisce al contribuente il diritto di beneficiare

della disapplicazione della norma antielusiva purché dimostri che, nel caso che lo riguarda, l’effetto elusivo contrastato da detta disposizione non può verificarsi.

Il privato può fruire di tale diritto solo rivolgendosi all’Agenzia delle Entrate per il tramite dell’interpello disciplinato dall’art. 37 bis, comma 8 cit.

Il diniego pronunciato dall’organo interpellato lede il diritto del contribuente a soggiacere ad un corretto prelievo impositivo, pregiudicandone la relativa sfera pa-trimoniale.

Il privato, pertanto, può rivolgersi all’Autorità giurisdizionale per tutelare il proprio diritto alla giusta imposizione, asseritamente leso dal rigetto della doman-da di interpello.

In forza di queste premesse, il diniego va ricondotto fra gli atti impugnabili, ai sensi dell’art. 19 cit.; e cioè fra i provvedimenti espressivi di una pretesa impositiva definitiva ed idonei, in quanto tali, a palesare l’interesse ad agire dei relativi desti-natari di fronte alle Commissioni Tributarie, le quali hanno piena cognizione del rapporto sotteso all’atto contestato, dovendo pronunciarsi – se ne vengono richie-ste – sul relativo assetto.

Coerente e corretta è, poi, la conclusione che ne discende. Nel nostro ordinamento, uno soltanto è il “tipo” di atto che, nel procedimento

di attuazione delle obbligazioni tributarie, enuncia definitivamente la pretesa tri-butaria. Questo è l’atto impugnabile «solo per vizi propri», stando all’art. 19, comma 3 cit. Ossia aggredibile con motivi concernenti l’an ed il quantum di detta pretesa in rapporto alle norme che disciplinano il presupposto e la base imponibile del tributo o che regolano la spettanza delle agevolazioni, come ha ritenuto nel caso la Cassazione.

Perciò, la mancata impugnazione del rigetto dell’istanza di interpello impedi-sce, ai sensi dell’art. 19, comma 3 cit., la contestazione dei successivi atti diretti a recuperare le imposte che non sarebbero state corrisposte e ad infliggere le corre-late sanzioni, laddove il contribuente abbia disapplicato la norma antielusiva. Op-pure preclude l’azione per il rimborso dei tributi versati in conformità al responso dell’Agenzia delle Entrate, qualora il privato si sia conformato alla risposta negativa.

Non solo, sviluppando compiutamente l’impostazione recepita nella sent. n. 8663/2011, bisogna riconoscere che l’omissione della domanda di interpello de-termina la carenza di un elemento essenziale della fattispecie normativa regolata dall’art. 37 bis, comma 8 cit., sicché sarebbe destinata al rigetto l’azione di rimbor-so o di impugnazione di atti impositivi cagionati dalla disapplicazione del precetto antielusivo, senza aver prima interpellato il Fisco.

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La mancanza dell’interpello si traduce, dunque, in una preclusione a far valere in sede giudiziale le questioni che avrebbero dovuto essere previamente sottoposte alla cognizione dell’Agenzia delle Entrate attraverso la relativa istanza.

2. Segue: e nella sent. n. 17010/2012

Come accennato, pur sostenendo l’impugnabilità del diniego di interpello, la sent. n. 17010/2012 esprime un orientamento del tutto difforme da quello testé illustrato.

Anzitutto, in termini condivisibili, questa pronuncia evidenzia l’impossibilità di equiparare il rigetto della domanda di interpello al diniego di un’agevolazione fi-scale.

Viene così smentito l’argomento che aveva permesso alla Corte di Cassazione, con la sent. n. 8663/2011, di affermare la natura di atto impugnabile della risposta negativa all’interpello “disapplicativo”.

Ciò è funzionale a sostenere che detto responso «... non può essere ritenuto obbligatoriamente impugnabile, dovendosi escludere, per ovvie ragioni di certezza dei rapporti giuridici e di tutela del diritto di difesa, che possa essere introdotta per via interpretativa ... una decadenza del contribuente dal diritto di contestare una pretesa tributaria ...».

Dopo questa considerazione, la Suprema Corte prosegue sostenendo che «La natura tassativa – e quindi soggetta ad interpretazione rigorosa – dell’elencazione degli atti contenuta nel citato D.Lgs. n. 546/1992, art. 19, con il correlato onere di impugnazione a pena di cristallizzazione della pretesa in essi contenuta, non com-porta, tuttavia, che l’impugnazione di atti diversi da quelli ivi specificamente indi-cati sia in ogni caso da ritenere inammissibile».

In particolare, facendo (erroneamente, come emergerà fra breve) leva sull’indi-rizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità secondo cui il catalogo degli atti impugnabili è suscettibile di «interpretazione estensiva» 1, nella pronuncia annotata si assume che rappresenterebbe «il necessario corollario» di tale impo-stazione la possibilità di sostenere la «mera facoltà d’impugnazione, il cui mancato

1 Per una nitida esposizione delle ragioni sottese all’indirizzo interpretativo menzionato nel te-sto, v. Cass., sez. un., 19 novembre 2007, n. 23832. Su questo tema, in dottrina, di recente e per tutti, v. CARINCI, Dall’interpretazione estensiva dell’elenco degli atti impugnabili al suo abbandono: le gliss-ment progressif della Cassazione verso l’accertamento negativo nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2010, II, p. 617 ss.; CIPOLLA, Processo tributario e modelli di riferimento: dall’onere di impugnazione all’impugnazione facoltativa, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 957 ss.; FRANSONI, Spunti ricostruttivi in tema di atti impugnabili nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 979 ss. (in specie, p. 993 ss.). In re-centi prese di posizione della sezione tributaria della Cassazione si afferma che, oltre all’interpretazione estensiva, sarebbe ammessa pure quella analogica: v., ad esempio, la sent. 11 maggio 2012, n. 7344.

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esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento». Ed è sicuramente questa la statuizione più significativa (e, al contempo, più discutibile) che si rin-viene nella sentenza.

Di modo che, sempre stando alla decisione in commento, sarebbe consentito ricorrere avverso tutti gli atti che rendano nota una «ben individuata pretesa tribu-taria», esplicitandone le concrete ragioni in fatto ed in diritto, «... senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adem-pimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19» 2.

Infatti, ad avviso della Cassazione, gli atti che enunciano siffatta «ben indivi-duata pretesa tributaria» farebbero già sorgere, in capo al relativo destinatario, l’interesse ad agire in giudizio, volto in specie a «... chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione ...» in ordine alla ricorda-ta pretesa.

Inoltre, a conforto della qualificazione della risposta all’interpello “disapplicativo” come atto impugnabile in via “facoltativa”, il Supremo Collegio adduce i seguenti argomenti, che ne escluderebbero la veste di atto endoprocedimentale o la valenza interpretativa:

1. «L’istanza è obbligatoria» e deve recare la compiuta descrizione della fatti-specie sottoposta all’attenzione dell’Organo interpellato unitamente ai documenti rilevanti per conseguire il responso richiesto;

2. «... è soggetta a richieste istruttorie»; 3. «è rivolta ad ottenere un atto dell’amministrazione ...»; 4. «le “determinazioni” del direttore regionale delle entrate sono comunicate al

richiedente ... con “provvedimento” “da ritenersi definitivo”».

Insomma, questa risposta costituirebbe il «... primo atto con il quale l’ammini-strazione, a seguito di una fase istruttoria e di una valutazione tecnica, e con parti-colari garanzie procedimentali, porta a conoscenza del contribuente, in via preven-tiva, il proprio convincimento in ordine ad una specifica richiesta, relativa ad un determinato rapporto tributario, con l’immediato effetto di incidere, comunque, sulla condotta del soggetto istante in ordine alla dichiarazione dei redditi in rela-zione alla quale l’istanza è stata inoltrata».

Da ultimo, la Cassazione si sofferma sulle ulteriori ragioni (oltre a quella, dianzi segnalata, dell’impossibilità di ravvisare in via interpretativa una preclusione all’e-sercizio del diritto di difesa del contribuente) per le quali l’omessa impugnazione

2 Questa affermazione si legge anche in altre antecedenti pronunce della sezione tributaria della Corte di Cassazione: v., per esempio e di recente, la menzionata sent. n. 7344/2012.

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di siffatto responso non pregiudicherebbe colui che non intendesse adeguarvisi. Anzitutto, tale atto sarebbe «privo di efficacia vincolante». Tant’è vero che, per

la Suprema Corte, la «definitività» del diniego andrebbe intesa solo come impos-sibilità di un suo riesame in sede di ricorso gerarchico.

Inoltre, esso sarebbe un «provvedimento» emesso «... allo stato degli atti, sul-la base della documentazione acquisita, che, al più, se negativo, prelude, predeter-minandone il contenuto, ad un eventuale avviso di accertamento relativo alla di-chiarazione dei redditi presentata in difformità ... dalla risposta, ovvero ad un, an-ch’esso eventuale, diniego di rimborso nel caso in cui il contribuente, pur adeguan-dosi a quella, ne ritenga l’illegittimità».

In sostanza, la risposta non escluderebbe la rivalutazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di quanto ivi affermato, né impedirebbe al privato di «... esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico che gli venga noti-ficato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma tributaria».

3. Le ragioni dell’impugnazione differita di tale diniego

Come ho osservato commentando la sent. n. 8663/2011 3, sono convinto che il responso all’interpello “disapplicativo” non abbia efficacia imperativa per il richie-dente, non faccia sorgere preclusioni di sorta a carico di costui e non consenta quindi di ravvisare alcun interesse ad agire in sede giurisdizionale 4.

3 V. PISTOLESI, Impugnazione della risposta negativa all’istanza di interpello: condizioni ed effetti, in Riv. dir. trib., 2011, II, p. 365 ss. Per ulteriori commenti della sent. n. 8663/2011, v. TUNDO, Impu-gnabile il diniego di disapplicazione delle norme antielusive?, in Corr. trib., 2011, p. 1701 ss. e FUCILE, Riflessioni in tema di impugnabilità del diniego di disapplicazione di una norma antielusiva, in Riv. dir. trib., 2011, II, p. 421 ss.

4 Nello stesso senso, v. ZIZZO, Prime considerazioni sulla nuova disciplina antielusione, in AA.VV., Commento agli interventi di riforma tributaria, a cura di Miccinesi, Padova, 1999, p. 471; STEVANATO, Il diniego di disapplicazione delle norme antielusive: assenza di “efficacia preclusiva” e superfluità di una tutela giurisdizionale, in Dialoghi trib., 2005, p. 30; TESAURO, Gli atti impugnabili ed i limiti della giuri-sdizione tributaria, in Giust. trib., 2007, p. 15; DEL FEDERICO, Autorità e consenso nella disciplina degli interpelli fiscali, in AA.VV., Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, a cura di La Rosa, Mi-lano, 2008, p. 171. Ritengono, invece, che il rigetto della richiesta di interpello “disapplicativo” sia impugnabile ZOPPINI, Lo strano caso delle procedure di interpello in materia di elusione fiscale, in Riv. dir. trib., 2002, I, p. 1003; RUSSO, Giustizia tributaria (linee di tendenza), in Enc. dir., Annali II, tomo II, Milano, 2008, p. 641 e Il riparto di giurisdizione fra giudice tributario e giudice amministrativo e con-tabile, in Riv. dir. trib., 2009, I, p. 15; FRANSONI, L’Agenzia delle entrate illustra la non impugnabilità degli interpelli, in Corr. trib., 2009, p. 1138 e Efficacia e impugnabilità degli interpelli fiscali con partico-lare riguardo all’interpello disapplicativo, in AA.VV., Elusione ed abuso del diritto tributario, a cura di Maisto, nei Quaderni Riv. dir. trib., n. 4, 2009, p. 109 ss.; FAZZINI, La tutela giurisdizionale contro le ri-sposte negative agli interpelli, in AA.VV., Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribuente.

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Infatti, la relativa domanda di interpello non è prevista quale elemento indispen-sabile per conseguire l’effetto della disapplicazione di puntuali norme antielusive.

L’interpello ex art. 37 bis, comma 8 cit. serve ad orientare la condotta di chi re-puti di trovarsi nella condizione contemplata da tale norma. Ma non è qualificato dai singoli precetti antielusivi come strumento necessario per pervenire alla disap-plicazione. La presentazione della relativa istanza non può, dunque, ritenersi “ob-bligatoria”.

Del resto, l’omissione della domanda di interpello “disapplicativo” non compor-ta alcuna conseguenza negativa rispetto al caso in cui sia stata prodotta e disattesa, fatta eccezione – se si segue l’indirizzo dell’Agenzia delle Entrate – per l’irrogazio-ne della sanzione da euro 258 a euro 2.065, prevista dall’art. 11, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997 5.

In entrambe le circostanze, chi ha disapplicato la norma antielusiva senza aver interpellato il Fisco o in contrasto con la risposta da esso fornita subisce la mede-sima contestazione impositiva e sanzionatoria (con la sola aggiunta della sanzione ex art. 11, comma 1 cit.) e non incontra ostacoli a difendersi in giudizio.

Quindi, il contribuente, se non vuole acquietarsi di fronte al rigetto della do-manda di interpello “disapplicativo”, potrà agire per il rimborso del tributo versato (se applica la norma antielusiva) o censurare il provvedimento recante la pretesa impositiva e sanzionatoria (se, invece, non applica la norma antielusiva), senza in-correre in alcuna preclusione.

La pronuncia negativa non vincola e non pregiudica e, perciò, non è espressiva – neanche implicitamente – di una richiesta impositiva e/o sanzionatoria, attuale o futura, censurabile in via giudiziaria. Non è, in sostanza, l’atto con cui viene definiti-vamente enunciata la pretesa dell’Ente impositore in ordine all’esistenza ed al modo d’essere di un determinato rapporto obbligatorio tributario o ad una sua frazione.

Di modo che differire l’accesso alla tutela giurisdizionale al momento della no-tifica dell’atto di accertamento o di diniego del rimborso od a quello in cui matura il cosiddetto “silenzio-rifiuto” sulla domanda di ripetizione non reca alcun danno al contribuente, né evidenzia una disparità di trattamento di cui costui possa dolersi.

Non basta. Questo differimento, oltre che del tutto “innocuo” per il privato, è funzionale al corretto e proficuo svolgimento dell’azione amministrativa di con-trollo del rispetto della risposta all’istanza di interpello; azione che può dispiegarsi senza dover contemperare alcun coordinamento con gli esiti di un eventuale giu-dizio diretto ad accertare il buon fondamento o meno del responso medesimo. Studi in onore del prof. Gianni Marongiu, Torino, 2012, p. 198 ss. (quest’ultimo Autore condivide la tesi dell’impugnazione “facoltativa” del diniego di interpello “disapplicativo”).

5 V. la Circolare 14 giugno 2010, n. 32/E secondo cui l’istanza di interpello “disapplicativo” è obbligatoria perché l’Amministrazione finanziaria possa monitorare l’applicazione delle disposizioni antielusive.

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Tuttavia, la sent. n. 8663/2011, pur non essendo condivisibile in relazione al-l’affermata impugnabilità della risposta negativa all’interpello “disapplicativo”, è corretta quando delinea quali effetti si riscontrano allorché (realmente, a mio avvi-so) sussista l’interesse ad agire di fronte al rigetto di un’istanza di interpello (diver-so, beninteso, da quello “disapplicativo”, che qui viene in rilievo).

Per l’esattezza, nelle ipotesi di impiego “anomalo” dell’interpello “ordinario”, di-sciplinato dall’art. 11, L. n. 212/2000, ossia quando l’istanza del contribuente è con-figurata come obbligatoria 6 e la risposta favorevole quale elemento indispensabile per conseguire agevolazioni o per fruire di determinati metodi di computo della base imponibile o per evitare l’operatività di ben individuati precetti antielusivi 7, il responso vincola il richiedente.

Costui non può sottrarsi alla presentazione dell’interpello e deve sottostare al relativo esito.

Pertanto, se la risposta è cogente ed occorre che sia positiva perché si verifichi un dato effetto, sussiste l’interesse ad agire avverso il responso negativo: esso è idoneo a comprimere il diritto del privato alla corretta imposizione.

Né v’è difficoltà ad inquadrare tale pronuncia, a seconda dei casi, fra gli atti di accertamento – e, cioè, dei provvedimenti espressivi delle determinazioni, aventi efficacia imperativa, dell’Ente impositore sull’an e sul quantum debeatur – o degli atti che escludono la spettanza delle agevolazioni. Sicché l’impugnazione del di-niego introduce, di regola, un giudizio sul merito della decisione ivi recepita e, quin-di, sul rapporto obbligatorio d’imposta ad essa sotteso.

Inoltre, in questi casi, l’omissione della domanda di interpello priva di un ele-mento essenziale le relative fattispecie normative, sì che sarebbe destinata al riget-to l’eventuale azione giurisdizionale di rimborso o di impugnazione di atti imposi-tivi discendenti dalla disapplicazione delle disposizioni antielusive, dal ricorso a metodi di quantificazione dell’imponibile e dalla fruizione di agevolazioni avvenuti senza aver avviato il procedimento di interpello. Di modo che la mancanza di que-st’ultimo si sostanzia in una preclusione a far valere in sede giudiziale le (sole) que-stioni che avrebbero dovuto essere sottoposte alla cognizione del Fisco mediante l’interpello.

6 Su questo tema, di recente, v. LA ROSA, L’interpello obbligatorio, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 711 ss., oltre a PISTOLESI, Impugnazione della risposta negativa, cit., p. 373 ss.

7 Infatti, in determinate circostanze, il legislatore ha imposto l’obbligo di presentare l’interpello “ordinario” per ottenere la disapplicazione di talune norme antielusive. Per maggiori ragguagli sul pun-to, sia consentito rimandare ancora a PISTOLESI, Impugnazione della risposta negativa, cit., pp. 375-376.

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4. I motivi di apprezzamento della sent. n. 17010/2012

La sent. n. 17010/2012, da un canto, ribadisce la (a mio avviso) errata afferma-zione dell’impugnabilità della risposta negativa all’interpello “disapplicativo” e, dall’altro, sostiene – in termini parimenti non condivisibili (sempre secondo il mio convincimento) – che detta impugnabilità sarebbe meramente “facoltativa” 8.

Eppure, l’avvio del percorso motivazionale di questa pronuncia è senz’altro ap-prezzabile.

Come anticipato, è inappuntabile la statuizione sull’impossibilità di assimilare il rigetto dell’interpello “disapplicativo” al diniego di un’agevolazione.

Parimenti, è corretto che, in difetto di siffatta equiparazione, la risposta negati-va all’interpello non possa considerarsi impugnabile, poiché sarebbe inaccettabile introdurre in via interpretativa le preclusioni che ne discenderebbero.

Sennonché, dopo tali ineccepibili considerazioni, la Cassazione assume che la «natura tassativa» dell’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 non comporterebbe che «... l’impugnazione di atti diversi da quelli ivi specificamente indicati sia in ogni caso da ritenere inammissibile», con la conseguenza che vi sarebbero atti – qual è, nel caso, il rigetto dell’interpello “di-sapplicativo” – «... impugnabili in via facoltativa».

Quest’ultimo è il fulcro della sentenza e, almeno per chi scrive, il profilo più di-scutibile.

La mia critica, in specie, si appunta tanto sugli argomenti impiegati dalla Cassa-zione per giustificare la propria tesi quanto sugli effetti che possono derivarne.

5. Le critiche alla tesi dell’impugnazione “facoltativa”: a) con riferimento alla relativa motivazione

Avendo riguardo alla motivazione, non mi pare che colga nel segno il richiamo alla giurisprudenza sull’interpretazione “estensiva” del “catalogo” degli atti impu-gnabili per pervenire alla conclusione sopra enunciata.

In verità, detta giurisprudenza non si è sviluppata al fine di individuare una ca-tegoria di atti “facoltativamente” opponibili da affiancare a quella degli atti “obbliga-

8 Per analoghe prese di posizione della sezione tributaria della Suprema Corte, v. le sentt. 10 ot-tobre 2007, n. 21045; 25 febbraio 2009, n. 4513; 3 novembre 2010, n. 22322; 17 dicembre 2010, n. 25591. In dottrina, per una lettura positiva di tale indirizzo interpretativo, v. LUPI, Uno stratagem-ma per rompere il collegamento tra impugnabilità dell’atto e sua potenziale definitività, in Dialoghi trib., 2005, p. 1131 ss.; INGRAO, Prime riflessioni sull’impugnazione facoltativa nel processo tributario (a pro-posito dell’impugnabilità di avvisi di pagamento, comunicazioni di irregolarità, preavvisi di fermo di beni mobili e fatture), in Riv. dir. trib., 2007, I, p. 1075 ss.; COPPA, Impugnabilità degli avvisi bonari e tutela del contribuente, in Corr. trib., 2007, p. 3692 ss.

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toriamente” impugnabili, puntualmente enumerati nell’art. 19 cit., bensì per ricon-durre al novero di questi ultimi altri atti che, assolvendone le medesime funzioni, esprimessero il definitivo e vincolante convincimento dell’Ente impositore sull’as-setto dei rapporti impositivi 9. Ossia tale indirizzo ermeneutico è volto ad arricchi-re la platea degli atti che, risultando potenzialmente lesivi della sfera patrimoniale del privato e del diritto di costui a soggiacere al corretto prelievo tributario, inte-grano l’interesse ad agire dinanzi al Giudice tributario e devono, perciò, essere im-pugnati, pena altrimenti il relativo consolidamento.

In sintesi, la menzionata interpretazione “estensiva” ha incrementato il numero degli atti “obbligatoriamente” impugnabili poiché assimilabili a quelli dell’art. 19 cit. siccome definitivi e cogenti e, perciò, potenzialmente pregiudizievoli del diritto del contribuente a subire un legittimo carico impositivo.

Ciò non toglie, peraltro, che gli atti ritenuti impugnabili in virtù di detta impo-stazione ermeneutica vadano opposti entro il consueto termine di decadenza e che la loro mancata contestazione determini le stesse preclusioni che si verificano per gli atti ai quali si riferisce l’art. 19 cit. allorché non vengano tempestivamente im-pugnati.

Ovviamente, se negli atti impugnabili diversi da quelli enunciati nell’art. 19 cit. difettano le indicazioni (previste dal relativo comma 2, nonché dall’art. 7, comma 2, lett. c), L. n. 212/2000) del termine di impugnazione e del Giudice competente, potrà essere rimesso in termini – ai sensi dell’art. 153, comma 2, c.p.c. 10 – il contri-buente che abbia tardivamente avviato l’azione giurisdizionale e/o l’abbia promos-sa dinanzi ad un Giudice diverso da quello speciale tributario. Non solo, il difetto di tali avvertenze non comporterà l’insorgenza di preclusioni laddove il privato non intraprenda alcuna azione giurisdizionale. Questi potrà agire contro gli atti suc-cessivi: la tutela giurisdizionale risulterà differita, ma comunque assicurata senza alcun pregiudizio.

Non v’è, quindi, bisogno di postulare la “facoltatività” dell’impugnazione per assicurare la pienezza dell’esercizio del diritto di tutela giurisdizionale al contri-buente.

Affermare, poi, che – a fronte degli atti espressivi di una ben individuata pretesa impositiva – sarebbe “facoltà” del destinatario introdurre l’azione giurisdizionale, «... senza attendere che» detta pretesa «... si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19», implica l’ammissione di un’azione di accertamento negativo preventivo, che è pacificamente estranea alla materia tributaria. Circostanza, quest’ultima, del tutto trascurata nell’argomentazione svolta dal Supremo Collegio.

9 Per l’enunciazione del medesimo convincimento, v. FRANSONI, Spunti ricostruttivi, cit., p. 1009. 10 Sicuramente applicabile nel nostro giudizio in virtù dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992.

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Ulteriormente, confligge con l’asserita “facoltatività” dell’impugnazione la pre-tesa “obbligatorietà” dell’istanza di interpello “disapplicativo”. Se la presentazione di questo interpello fosse realmente “obbligatoria” (ma tale non è, secondo quanto già evidenziato), la relativa risposta favorevole dovrebbe costituire elemento impre-scindibile per evitare l’operatività della norma antielusiva di cui l’istante ha invoca-to la disapplicazione. In tal caso, il responso non potrebbe che avere valenza co-gente e vincolante per il contribuente. E sarebbe arduo, conseguentemente, esclu-derne la doverosità dell’impugnazione.

La Cassazione, per converso, assume che la risposta – «in assenza di espresse previsioni contrarie» – non sarebbe vincolante, sì che l’omessa impugnazione non pregiudicherebbe il contribuente che non vi si adeguasse.

In realtà, la Suprema Corte non considera che è proprio la pretesa “obbligatorie-tà” della richiesta di interpello che impone di riscontrare la portata vincolante per il destinatario della relativa risposta.

In sostanza, se l’interpello è facoltativo, il responso non è cogente per il privato e non se ne può postulare l’impugnabilità perché la tutela giurisdizionale è ben esperibile in termini differiti (ossia al cospetto dell’atto impositivo notificato a chi non si è conformato al responso o del diniego all’istanza di rimborso qualora sia stata data attuazione al responso medesimo). Se, viceversa, l’interpello è obbliga-torio, la relativa risposta è vincolante per il contribuente e costui deve impugnarla per evitare che se ne cristallizzino gli effetti.

Si aggiunga che, in ogni caso, l’esclusione del carattere vincolante della risposta induce a negare la sussistenza dell’interesse ad agire in giudizio piuttosto che ad affermarla. E lo stesso è da dirsi per un altro profilo addotto dalla Cassazione a supporto del proprio ragionamento: la rilevata possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di sovvertire l’orientamento sfavorevole per il contribuente esposto nella risposta all’interpello porta, in realtà, a non ravvisare l’interesse ad agire.

Ancora, non convince la giustificazione della “possibilità” di impugnazione che fa leva sul fatto che la risposta negativa avrebbe «... l’immediato effetto di incidere, ...., sulla condotta del soggetto istante in ordine alla dichiarazione dei redditi in re-lazione alla quale l’istanza è stata inoltrata».

Se è per questo, e volendo prendere l’esempio più immediato, pure il processo verbale di constatazione palesa la medesima “incidenza”. Anch’esso, inoltre, «... co-stituisce il primo atto con il quale l’amministrazione, a seguito di una fase istrutto-ria e di una valutazione tecnica, e con particolari garanzie procedimentali, porta a conoscenza del contribuente, in via preventiva, il proprio convincimento», rende nota «... una ben individuata pretesa tributaria» (tant’è vero che essa è suscettibile di essere definita ai sensi dell’art. 5 bis, D.Lgs. n. 218/1997), «... prelude, prede-terminandone il contenuto, ad un eventuale avviso di accertamento» e «... non impedisce ... alla stessa amministrazione di rivalutare ... l’orientamento (negativo) precedentemente espresso, né al contribuente di esperire la piena tutela in sede

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giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico che gli venga notificato», come si leg-ge – nella sentenza in questione – con riferimento al rigetto della domanda di in-terpello.

Vuol dire, per capirsi, che gli argomenti spesi per affermare l’impugnabilità, an-corché “facoltativa”, di tale diniego potrebbero addursi pure per il processo verbale di constatazione, ossia per un atto istruttorio che, per quanto possa influire sulla condotta del relativo destinatario, non esprime una determinazione cogente e de-finitiva dell’Ente impositore 11.

Le stesse considerazioni valgono per la risposta all’interpello cosiddetto “ordi-nario” ex art. 11, L. n. 212/2000: pur non vincolando il richiedente, anch’essa può “incidere” sulla redazione della dichiarazione fiscale, tant’è vero che vi si ricorre proprio per orientarsi nel dare attuazione – attraverso, appunto, detta dichiarazio-ne – a norme per le quali sussistono oggettivi dubbi interpretativi.

Talché, seguendo l’ordine di idee espresso in questa pronuncia, potrebbero aprirsi le porte all’impugnazione facoltativa di atti, quali il processo verbale di con-statazione e la risposta all’interpello “ordinario”, per i quali finora si è unanime-mente (e correttamente) escluso l’interesse ad avviare un’azione giurisdizionale.

Infine, e proprio a quest’ultimo riguardo, non mi sembra convincente il richia-mo fatto all’interesse ad agire.

Esso sussisterebbe poiché al contribuente interesserebbe «... chiarire, con pro-nuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione» circa la pretesa tributaria.

Al contempo, però, la Suprema Corte assume che la mancata impugnazione di un atto non compreso nell’elenco dell’art. 19 cit. non comporta la “cristallizzazio-ne” di tale pretesa.

Allora, non si può fare a meno dal chiedersi quale sia l’interesse a promuovere l’azione giudiziaria avverso un atto che non è in grado di pregiudicare il privato, siccome non è espressivo di una contestazione destinata a consolidarsi.

Inoltre, pure il nesso fra l’interesse ad agire e la circostanza che l’atto tributario abbia «... l’immediato effetto di incidere ... sulla condotta» del contribuente suscita perplessità. Si tratta di una connotazione marcatamente soggettiva e, come tale, ini-donea a configurare l’effettivo interesse ad intraprendere la causa tributaria 12. Il vero e solo discrimine, al fine di capire se tale interesse sussiste, consiste nella natura vin-

11 Oltre a poter definire i rilievi enunciati nel processo verbale di constatazione (come detto nel te-sto), il contribuente può esserne “condizionato” – volendo riprendere l’ordine di idee espresso dalla Suprema Corte – anche per la redazione della dichiarazione quando, come spesso accade, il verbale contenga rilievi concernenti l’annualità per la quale detta dichiarazione non è stata ancora presentata. Anche CIPOLLA, op. cit., p. 974 indica il processo verbale di constatazione come atto che “rischia” di es-sere ritenuto impugnabile, seguendo il criterio espresso dalla Cassazione con questa pronuncia.

12 Egualmente, v. CIPOLLA, op. cit., p. 975.

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colante o meno dell’atto per il privato. Se l’atto, rappresentando l’incondizionato e finale convincimento dell’Ente impositore, ha portata cogente, se ne deve ammette-re l’impugnazione e l’omissione di quest’ultima ne rende definitivi gli effetti. Se l’atto non ha siffatta valenza, non v’è interesse ad impugnare e non si registra preclusione alcuna per il privato a far valere successivamente le proprie ragioni.

Ancora, e sempre con riferimento all’interesse ad agire, l’utilità della sentenza che sarebbe resa a seguito dell’impugnazione “facoltativa” di un atto tributario ri-sulterebbe sempre eventuale e, in concreto, del tutto remota.

La notificazione dell’atto successivo nella sequenza procedimentale rispetto a quello già opposto (si pensi, nel caso del rigetto dell’interpello, all’avviso di accer-tamento emesso in ragione della mancata conformazione alla risposta) non può che determinare la caducazione dell’interesse a conseguire una pronuncia sul rap-porto sotteso all’atto antecedente. L’atto successivo, infatti, si sostituisce a quello precedente, vestendosi della «... forma autoritativa» propria degli atti enumerati dall’art. 19 cit. (come si legge nella sentenza in commento) ed investendo il mede-simo rapporto sostanziale. Così che il processo relativo al primo atto non potrà che essere dichiarato estinto per cessazione della materia del contendere ex art. 46, D.Lgs. n. 546/1992, come ha evidenziato recente giurisprudenza di legittimità 13.

Perciò, l’utilità del giudicato suscettibile di formarsi a seguito dell’impugnazio-ne (“facoltativa”) del primo atto si riscontra solo nell’accidentale circostanza in cui esso si registri prima che venga opposto l’atto successivo. Soltanto in simile eve-nienza, il giudicato, attenendo al medesimo rapporto interessato dal secondo atto, potrebbe in concreto rilevare, imponendo alle parti di adeguarsi ad esso.

6. Segue: b) con riguardo agli effetti che ne discendono sul sistema processuale tributario

Per altro verso, l’apprezzamento degli effetti e dei riflessi sul sistema processua-le tributario derivanti dalla conclusione raggiunta dal Supremo Collegio ne raffor-za la critica.

13 Il riferimento è alla ricordata sent. n. 7344/2012. Nel caso affrontato da questa pronuncia, la formazione dell’iscrizione a ruolo, a seguito dell’impugnazione della comunicazione di irregolarità ex art. 36 bis, comma 3, D.P.R. n. 600/1973, e la relativa impugnazione hanno indotto il Supremo Collegio a ravvisare la carenza di interesse delle parti alla decisione della causa promossa contro la menzionata comunicazione di irregolarità. In particolare, come si legge in siffatta pronuncia, «L’e-missione della cartella di pagamento integra una pretesa tributaria nuova rispetto a quella originaria che sostituisce l’atto precedente e ne provoca la caducazione d’ufficio, con la conseguente carenza di interesse delle parti nel giudizio avente ad oggetto il relativo rapporto sostanziale, venendo meno l’interesse a una decisione relativa a un atto – comunicazione di irregolarità – sulla cui base non pos-sono essere più avanzate pretese tributarie di alcun genere, dovendosi avere riguardo unicamente alla cartella di pagamento che lo ha sostituito integralmente».

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In primo luogo, la tesi dell’impugnazione “facoltativa” comporta un inevitabile aumento del contenzioso e, per l’effetto, una maggior durata dei giudizi dinanzi alle Commissioni Tributarie.

L’impugnazione “facoltativa” non può esimere da quella “obbligatoria” degli atti specificati nell’art. 19 cit. Questi ultimi devono essere opposti, pena la loro defini-tività. Talché, sebbene l’impugnazione dell’atto “successivo” comporti la rilevata ca-renza di interesse alla prosecuzione del giudizio relativo all’atto opposto in via “fa-coltativa” e quindi ne cagioni l’estinzione, resta immutato, in ogni caso, il depreca-to incremento del contenzioso tributario.

Se si estende l’indirizzo enunciato nella sent. n. 17010/2012 a tutti i casi nei quali la giurisprudenza ha ravvisato l’impugnabilità di atti diversi da quelli indicati nell’art. 19 cit. e, di regola, antecedenti a questi ultimi nella sequenza procedimen-tale contemplata dalle varie leggi d’imposta (si pensi, in specie, alla riconosciuta opponibilità degli avvisi bonari e degli inviti di pagamento, delle fatture e delle comunicazioni di irregolarità delle dichiarazioni fiscali 14, ci si rende subito conto dell’indiscriminato ed inutile accesso che verrebbe consentito alla giurisdizione tributaria. Risultato, quest’ultimo, che è oltretutto osteggiato dalle ultime iniziative del legislatore – il pensiero corre, in particolare, al recente istituto del reclamo e della mediazione tributaria – che hanno perseguito lo scopo di ridurre l’entità delle pendenze dinanzi agli Organi di giustizia tributaria.

Non solo, come è stato giustamente osservato 15, gli atti antecedenti a quelli impugnabili ex art. 19 cit. sono stati introdotti nella prassi e nella legislazione tribu-taria onde favorire una fase di confronto e contraddittorio fra il contribuente e l’Ente impositore ed agevolare l’adempimento spontaneo delle pretese impositi-ve 16. Ammetterne l’opponibilità, ancorché “facoltativa”, contrasta palesemente con la funzione che ad essi è fondato attribuire.

Vi è, poi, il concreto rischio che si riduca la possibilità di revisione critica del proprio operato da parte dell’Agenzia delle Entrate, qualora la risposta negativa all’interpello “disapplicativo” (od ogni altro atto “intermedio”, diretto a stimolare il contraddittorio o lo spontaneo adempimento del privato) formi oggetto di ricor-so. L’esperienza insegna che all’introduzione della lite consegue, di frequente, la cristallizzazione della contrapposizione fra le parti del rapporto impositivo.

14 Per una puntuale ricognizione delle sentenze che hanno affermato l’impugnabilità degli atti indicati nel testo, v. CIPOLLA, op. cit., p. 973 ss.

15 V. TABET, Verso la fine del principio di tipicità degli atti impugnabili?, in GT-Riv. giur. trib., 2008, p. 514.

16 Anche la risposta all’interpello “disapplicativo” riveste il carattere indicato nel testo: esso, for-nendo la risposta al quesito formulato dal contribuente, è volto anzitutto a favorire il condiviso adempimento del dovere impositivo. Per maggiori ragguagli in proposito, sia permesso rinviare a PISTOLESI, Gli interpelli tributari, Milano, 2007, p. 87 ss.

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Problematica si rivela anche l’individuazione degli atti “facoltativamente” impu-gnabili. È inevitabile che competa essenzialmente alla giurisprudenza siffatto com-pito e nessuno può escludere che, nell’assolvimento di tale attività, si accrescano le situazioni di incertezza e di conflittualità nei rapporti fra contribuenti ed Enti im-positori. Questo anche in virtù del fatto che, per stabilire se un atto enunci «... una ben individuata pretesa tributaria», non può aversi riguardo soltanto all’atto stes-so, ma occorre considerare la collocazione e la funzione che esso, rispettivamente, assume e svolge nel procedimento di attuazione del tributo cui si riferisce 17.

Ma quanto precede non è niente al confronto delle significative conseguenze che questa presa di posizione determina nel vigente assetto normativo del processo tributario 18.

Difatti, anche dopo l’ampliamento della giurisdizione delle Commissioni Tri-butarie, l’art. 19 cit. ha mantenuto, quanto meno, la funzione di selezionare le oc-casioni di accesso alla tutela giurisdizionale in materia tributaria. Cioè, l’art. 19 cit. individua le concrete ipotesi di azioni ammissibili di fronte al Giudice tributario, predeterminando i casi nei quali è dato ravvisare l’interesse ad agire del contri-buente 19. E l’interpretazione estensiva che di tale precetto è stata offerta ha perse-guito lo scopo di cogliere le ulteriori e necessarie fattispecie che postulano il ricor-so a questa giurisdizione speciale, giustificate dall’esistenza di atti aventi funzione e natura analoghe a quelle dei provvedimenti considerati dalla medesima norma. Ciò onde evitare un’inaccettabile compressione del diritto di difesa del contri-buente, anche alla luce del sempre più ampio ambito riconosciuto dal legislatore e dalla giurisprudenza alla giurisdizione tributaria.

Al tempo stesso, l’art. 19 cit., allorché – al comma 3 – prescrive che gli atti ivi indicati sono impugnabili solo “per vizi propri”, chiarisce che l’omessa impugna-zione ne determina l’irretrattabilità, precludendo la facoltà di contestarne la porta-ta censurando quelli successivi.

Insomma, se dovesse consolidarsi l’idea dell’impugnazione “facoltativa”, l’art. 19 cit. manterrebbe la propria efficacia per i soli provvedimenti ivi elencati e verreb-

17 Analogamente, v. TABET, Contro l’impugnabilità degli avvisi di pagamento della TARSU, in GT-Riv. giur. trib., 2008, pp. 323-324.

18 Anche GLENDI, Atti recettizi, predeterminazione normativa degli atti impugnabili e improponibilità di impugnazioni facoltative nel processo tributario, in Dialoghi trib., 2008, p. 31 evidenzia la «... intrin-seca incompatibilità» dell’impugnazione “facoltativa” con il sistema processuale tributario. Pari-menti critico nei riguardi della tesi dell’impugnazione “facoltativa” è SCHIAVOLIN, Commento all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, in AA.VV., Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo-Glendi, Padova, 2012, pp. 270-271.

19 V., in questo senso, RUSSO, L’ampliamento della giurisdizione tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo, in Rass. trib., 2009, pp. 1577-1578; TABET, Una giurisdizione speciale alla ricerca della propria identità, in Riv. dir. trib., 2009, I, pp. 23 e 32 ss.; PADOVANI, La disapplicazione delle norme antielusive specifiche: riflessioni sulla tutela processuale del contribuente, in Rass. trib., 2011, p. 1183.

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bero così sconfessati due dei tratti caratterizzanti dell’assetto del giudizio tributa-rio delineato dal D.Lgs. n. 546/1992, rappresentati, da un lato, dal divieto di azioni di accertamento negativo preventivo (rispetto alla notificazione degli atti espressi-vi delle pretese impositive dotati di efficacia vincolante e destinati a consolidarsi per effetto della loro mancata impugnazione) e, dall’altro, dalla predeterminazione normativa dei casi di interesse ad agire.

Muterebbe, conseguentemente, la tutela giurisdizionale offerta dalle Commis-sioni Tributarie. Essa sarebbe esperibile non più solo a fronte di atti suscettibili di incidere negativamente sulla sfera patrimoniale dei relativi destinatari, bensì anche dinanzi ad atti non immediatamente e direttamente pregiudizievoli ma semplice-mente prodromici di ulteriori atti che potrebbero esserlo 20.

Risultato, questo, che – sebbene possa tradursi in un ampliamento della garan-zia di tutela giurisdizionale per il privato, riconoscendogli l’esperibilità di azioni di accertamento negativo preventivo – rischia di ledere le legittime prerogative degli Enti impositori e, di riflesso, dell’intera collettività.

L’impugnazione “facoltativa” degli atti antecedenti a quelli indicati nell’art. 19 cit. può intralciare – alla luce delle osservazioni poc’anzi esposte – la sollecita ed efficiente enunciazione e realizzazione delle pretese tributarie 21, onerando altresì gli Enti impositori dei costi connessi alla gestione di un più rilevante numero di controversie. Detto altrimenti, l’azione di accertamento negativo preventivo può pregiudicare e condizionare il corretto dispiegarsi dell’azione amministrativa volta a verificare la correttezza degli adempimenti tributari dei contribuenti.

Si consideri, ulteriormente, che l’orientamento espresso in questa sentenza con-trasta con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità 22, che ravvisa nel processo tributario un giudizio cosiddetto di “impugnazione-merito”, ossia che consente l’accertamento del rapporto controverso laddove l’atto impositivo che lo concerne sia stato adottato nel rispetto delle norme che disciplinano l’attività svol-ta dagli Enti impositori.

Sostenere che ogni atto espressivo di «... una ben individuata pretesa tributa-ria» consente di introdurre la lite induce a ravvisare un processo che ha per ogget-to solo il rapporto controverso, risultando irrilevante la forma in cui detta pretesa viene avanzata. Con il deprecabilissimo effetto che risulterebbero svalutate le ga-ranzie formali e procedimentali che devono caratterizzare lo svolgimento dell’azio-ne amministrativa in ambito tributario, tanto nell’interesse degli Enti impositori quanto dei contribuenti 23.

20 Per conformi considerazioni critiche alla tesi dell’impugnazione “facoltativa”, v., di nuovo, TA-BET, Una giurisdizione speciale, cit., p. 41 ss.

21 Per uno spunto in tal senso, v. TABET, Contro l’impugnabilità, cit., p. 327. 22 Per tutte, v. Cass., sez. trib., 11 novembre 2011, n. 23595. 23 In termini conformi, v. CARINCI, op. cit., p. 623.

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Talché il menzionato vantaggio che il contribuente 24 potrebbe trarre dall’im-postazione qui sottoposta a critica finirebbe, a ben vedere, per dissolversi al co-spetto di quanto appena evidenziato.

Quindi, sotto ogni punto di vista, la tesi esposta dalla Suprema Corte con la sent. n. 17010/2012 non può essere condivisa e v’è da augurarsi che lo affermino con chiarezza le Sezioni Unite, allorché – con somma probabilità – saranno chiamate a comporre il contrasto interpretativo con la pronuncia n. 8663/2011 25.

Infine, la sentenza annotata suscita un altro auspicio: che non tardi un intervento normativo, generale e sistematico, di riforma ed omogeneizzazione dei procedimen-ti di attuazione dei tributi, ivi compresa l’ormai variegata disciplina degli interpelli. In mancanza di un quadro chiaro ed uniforme di siffatti procedimenti e della puntua-le enunciazione delle funzioni e degli effetti attribuibili ai diversi atti che vi si inscri-vono, è inutile porre mano ad una revisione delle norme processuali ed è inevitabi-le assistere agli odierni contrastanti indirizzi interpretativi.

Francesco Pistolesi

24 Anche BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, To-rino, 2009, p. 253 riconosce che il risultato cui conduce l’impostazione esaminata, seppure «... ab-bastanza garantista per il contribuente», determina «... una situazione di incertezza sul momento di formazione della definitività che rischia di porre in crisi uno dei capisaldi del processo tributario».

25 Oltretutto, il convincimento espresso nella sent. n. 8663/2011 è stato condiviso dall’ord. 20 novembre 2012, n. 20394 assunta dalla sesta sezione della Corte di Cassazione a distanza di un mese e mezzo dalla pronuncia n. 17010/2012 qui annotata.

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Corte cost., 26 aprile 2012, n. 109 – Pres. Quaranta, Rel. Gallo Processo tributario – Tutela cautelare – Esecuzione in pendenza di ricorso per cassazione – Istanza del contribuente per la sospensione dell’esecuzione della sentenza – Ritenuta esclusione della tutela cautelare – Omessa previsione che la sentenza di appello tributaria, impugnata con ricorso per cassazione, possa esse-re sospesa in presenza di un pericolo di un grave ed irreparabile danno – Art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 – Questione di legittimità costituzionale – Non fondatez-za – Interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 49 – Affermazione – Conseguente applicabilità dell’art. 373 c.p.c. – Affermazione.

È infondata, con riferimento agli artt. 3, 23, 24, 111 e 113 Cost., nonché, quale nor-ma interposta all’art. 10 Cost., in riferimento all’art. 6, comma 1, CEDU, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui non prevede la possibilità di sospensione della sentenza di appello tri-butaria, impugnata con ricorso per cassazione, in presenza del pericolo di un “grave ed irreparabile danno”, per avere il giudice rimettente omesso di esperire il tentativo di in-terpretare la disposizione censurata nel senso che essa consenta l’applicazione al proces-so tributario della sospensione cautelare prevista dall’art. 373 c.p.c.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(Omissis)

1. Nel corso di un procedimento instaurato a seguito dell’istanza proposta da una contribuente per ottenere, in via cautelare, la sospensione dell’esecuzione di tre sen-tenze tributarie di secondo grado impugnate per cassazione, la Commissione tributa-ria regionale della Lombardia, con ordinanza pronunciata il 19 maggio 2011 e deposi-tata il 24 maggio successivo, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, 53, primo comma, 111, primo e secondo comma (entrambi i commi anche in rela-zione all’art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata ed eseguita con legge 4 agosto 1955, n. 848, a sua volta «in relazione all’art. 10 Cost.»), e 113 della Costituzione – questione di legittimità dell’art. 49, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413).

(Omissis)

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4. Tanto premesso, il giudice a quo dichiara di riproporre, nella sostanza, le argo-mentazioni svolte dalla ordinanza n. 322 del 2009, emessa in data 13 ottobre 2008 dal-la Commissione tributaria regionale della Campania, con la quale era stata sollevata analoga questione di legittimità costituzionale, dichiarata manifestamente inammissi-bile dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 217 del 2010. In particolare, il giudice rimettente afferma che la disposizione denunciata – nel consentire all’amministrazio-ne finanziaria di procedere alla riscossione del tributo e degli accessori durante la pen-denza del giudizio, senza prevedere in favore del contribuente, dal grado di appello in poi, alcuno strumento di tutela cautelare (salva la possibilità di ottenere, durante il giudizio di appello, la sospensione delle sole sanzioni, ai sensi dell’art. 19 del decreto le-gislativo 18 dicembre 1997, n. 472, recante «Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’art. 3, comma 133 del-la legge 23 dicembre 1996, n. 662» – vìola: 1) il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., (...); 2) l’art. 24 Cost., perché – pur essendo la disponi-bilità di misure cautelari una componente essenziale della tutela giurisdizionale garan-tita dall’art. 24 Cost. – consente «l’assoggettamento del presunto debitore ad esecu-zione forzata», imponendogli una sorta di solve et repete, con le ben note difficoltà di esperire procedimenti di ottemperanza o di esecuzione forzata nei confronti dell’am-ministrazione finanziaria rimasta soccombente al termine del giudizio, così che l’even-tuale vittoria finale in giudizio «potrebbe configurarsi inidonea a costituire presuppo-sto concreto per il ristoro»; 3) l’art. 53, primo comma, Cost., perché, in contraddizio-ne con il principio di «accertata capacità contributiva», consente all’amministrazione finanziaria un «incontrastabile» prelievo di risorse, anche ove: 3.1.) il prelievo crei il pericolo di un grave ed irreparabile danno al contribuente; 3.2.) la situazione debitoria del contribuente non sia stata ancora definitivamente accertata; 3.3.) la decisione di appello sia, oltre che «provvisoria», anche «apparentemente erronea»; 4) l’art. 111, primo comma, Cost. e 6, comma 1, della sopra menzionata Convenzione per la salva-guardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, «in relazione all’art. 10 Cost.», perché la limitatezza della tutela cautelare del contribuente nel processo tribu-tario (...) non può giustificarsi né su un inesistente principio costituzionale di premi-nenza dell’interesse dell’amministrazione finanziaria alla riscossione dei tributi né sulla disciplina della riscossione frazionata di essi in pendenza di giudizio (cioè su una di-sciplina posta a tutela della sola amministrazione e comunque non sufficiente a garan-tire le ragioni del contribuente), con la conseguenza che l’irragionevolezza della diffe-renziazione, sotto il profilo della tutela cautelare, di tale modello processuale rispetto a tutti gli altri modelli, impedisce di qualificare il processo tributario come «giusto pro-cesso»; 5) l’art. 111, secondo comma, primo periodo, Cost., perché obbliga il contri-buente a soggiacere – «in attesa della conclusione della controversia, e delle decisioni di appello prima e di cassazione poi» – all’azione di riscossione dell’amministrazione «senza tutela specifica» e, quindi, non «in condizioni di parità» rispetto a questa; 6) gli artt. 111, secondo comma, secondo periodo, Cost. e 6, comma 1, della citata Con-

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venzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, «in rela-zione all’art. 10 Cost.», perché rende irragionevoli i tempi del giudizio, in quanto «il ritardo di giustizia» può «tradursi, attraverso il meccanismo di una esecuzione “prov-visoria” che prescinda dal rischio di danno grave ed irreparabile per l’esecutato, in una sostanziale forma di “giustizia negata”»; 7) l’art. 113 Cost. (secondo cui la tutela giuri-sdizionale dei diritti ed interessi legittimi è «sempre» ammessa), perché sottrae al soccombente in appello ogni rimedio cautelare avverso l’attuazione di una pretesa tri-butaria che sia stata riconosciuta fondata solo da sentenze di secondo grado «non de-finitive» e «di dubbia legittimità».

(Omissis) Infine, sempre con riferimento alla rilevanza della questione, il giudice a quo rileva

che – contrariamente a quanto prospettato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 217 del 2010 – la denunciata disposizione non può essere interpretata in modo da superare i suddetti dubbi di costituzionalità.

(Omissis) In primo luogo, sotto il profilo della lettera della legge, il giudice osserva che, men-

tre l’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede la possibilità di sospendere l’atto impu-gnato in pendenza del giudizio di primo grado, il denunciato art. 49 dello stesso decreto legislativo espressamente esclude l’applicazione dell’intero primo comma dell’art. 337 cod. proc. civ. alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie, con ciò intendendo vietare in ogni caso la sospensione dell’esecutività delle decisioni tributa-rie. In caso contrario, prosegue il giudice, il legislatore avrebbe statuito «in forma chiara e diretta» l’applicabilità dell’art. 373 cod. proc. civ. alle impugnazioni delle sen-tenze tributarie. (...) La Commissione tributaria regionale, in particolare, afferma che è «del tutto oscuro il meccanismo interpretativo diretto» a rendere applicabile alle sen-tenze tributarie l’art. 373 cod. proc. civ. e ritiene altresì «non significativa» la circo-stanza che la lettera della disposizione denunciata che è inapplicabile a tali sentenze sia la regola del divieto di sospensione (posta dal primo periodo del primo comma del-l’art. 373 cod. proc. civ.) sia l’eccezionale possibilità di sospensione (prevista dal se-condo periodo dello stesso primo comma dell’art. 373). In secondo luogo, sotto il pro-filo sistematico, la Commissione tributaria rileva che: a) la disposizione denunciata, in quanto norma speciale riguardante le sentenze tributarie di appello, rende inapplicabi-le la disciplina cautelare dettata per il procedimento di primo grado (l’art. 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 stabilisce, infatti, che nel procedimento di appello si osservano le nor-me previste per il procedimento di primo grado solo «in quanto applicabili»); b) la normativa processuale tributaria, sul punto, è «specifica» e «prescinde totalmente dalla disciplina dell’esecutività delle sentenze civili»; c) l’art. 19 del d.lgs. n. 472 del 1997, nell’introdurre la possibilità, in grado di appello, della sospensione dell’esecuzio-ne delle sole sanzioni, presuppone che il combinato disposto degli artt. 47, 49 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 non preveda già tale potere.

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In terzo luogo, sotto il profilo dei precedenti in materia, il giudice a quo osserva che la disposizione denunciata è stata intesa come espressiva del divieto di sospendere l’esecuzione delle sentenze tributarie d’appello sia dall’Amministrazione finanziaria (circolare 98/E/2006; circolare 73/E/2001); sia dalla giurisprudenza consolidata del-la Corte di cassazione (sentenze n. 21121 e n. 7815 del 2010, ancorché anteriori alla sopra citata sentenza della Corte costituzionale n. 217 del 2010); sia dalla stessa giuri-sprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 165 del 2000; nonché «un corolla-rio di ordinanze tra il 2000 ed il 2001»).

CONSIDERATO IN DIRITTO

(Omissis)

2. – La questione non è fondata, perché la disposizione impugnata può essere in-terpretata in modo da superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale.

(Omissis)

2.1.1. – In primo luogo, la Commissione tributaria regionale osserva, dal punto di vista delle littera legis, che il denunciato comma 1 dell’art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992, escludendo espressamente l’applicazione del primo comma dell’art 337 cod. proc. civ. al caso di impugnazione delle sentenze tributarie, vieta la sospensione dell’esecuzione di dette sentenze. Come già osservato da questa Corte nella sentenza n. 217 del 2010, la lettera della disposizione impugnata consente un’interpretazione diversa da quella accolta dal rimettente. Quest’ultima disposizione testualmente stabilisce che è «esclu-sa» l’applicazione al processo tributario dell’art. 337 cod. proc. civ. Il primo comma di tale articolo, a sua volta, statuisce che l’impugnazione delle sentenze non ha effetto so-spensivo dell’esecuzione di queste, fatte «salve le disposizioni degli artt. 283, 373 [...] e 407». Il primo comma dell’art. 373 cod. proc. civ. (fatto salvo, come visto, dal primo comma dell’art. 337 cod. proc. civ.), da un lato, ribadisce che il ricorso per cassazione, al pari delle altre impugnazioni, non sospende l’esecuzione della sentenza e, dall’altro, consente che il giudice di appello, «su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno», disponga «che la esecuzione sia sospesa e che sia prestata congrua cauzione». Una siffatta concatenazione di norme può essere inte-sa anche nel senso che è «esclusa» l’applicazione al processo tributario della regola (fis-sata dal primo comma dell’art. 337 cod. proc. civ.) secondo cui le impugnazioni delle sentenze non hanno effetto sospensivo dell’esecuzione di queste. In tal modo si rende-rebbero applicabili, proprio perché non più “eccezionali”, le ipotesi di sospensione cautelare dell’esecuzione della sentenza impugnata previste dagli «artt. 283, 373 [...] e 407» cod. proc. civ. e fatte salve dallo stesso art. 337 del medesimo codice (...).

2.1.2. – Con la seconda argomentazione il rimettente rileva che: a) la disposizione denunciata, in quanto norma speciale riguardante le sentenze tributarie di appello,

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rende inapplicabile la disciplina cautelare dettata per il procedimento di primo grado (l’art. 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 stabilisce, infatti, che nel procedimento di appello si osservano le norme previste per il procedimento di primo grado solo «in quanto ap-plicabili»); b) la normativa processuale tributaria, sul punto, è «specifica» e «prescinde totalmente dalla disciplina dell’esecutività delle sentenze civili»; c) l’art. 19 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), nell’introdurre la possibilità, in grado di appello, della so-spensione dell’esecuzione delle sole sanzioni, presuppone che il combinato disposto degli artt. 47, 49 e 61del d.lgs. n. 546 del 1992 non preveda il potere di sospendere l’esecuzione della sentenza.

Anche tali rilievi non sono di ostacolo alla suddetta interpretazione adeguatrice. È sufficiente osservare al riguardo, seguendo l’ordine argomentativo del rimettente, che: a) non è pertinente il richiamo all’art. 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, perché la sollevata questione attiene all’applicabilità alle sentenze tributarie di appello del secondo perio-do del primo comma dell’art. 373 cod. proc. civ., che prevede la sospensione dell’ese-cuzione di tali sentenze, e non attiene all’applicabilità nel grado di appello di norme previste per il procedimento di primo grado; b) l’interpretazione della disposizione denunciata, contrariamente a quanto sembra sostenere il rimettente, concerne la spe-cifica disciplina del processo tributario; c) la previsione della sospensione, in grado di appello, dell’esecuzione delle sanzioni tributarie, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 472 del 1997, riguarda la sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato e non della senten-za di appello impugnata per cassazione.

(Omissis)

2.1.3. – Con la terza argomentazione, il giudice a quo deduce che l’interpretazione da lui accolta della disposizione denunciata è stata sostenuta sia dall’Amministrazione finanziaria, sia dalla giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, sia dalla giu-risprudenza di questa stessa Corte. Tale argomentazione non può considerarsi decisi-va, data l’incontestata mancanza di un diritto vivente circa l’interpretazione della sud-detta disposizione che escluda l’applicazione al processo tributario dell’art. 373 del cod. proc. civ. Assume, dunque, rilievo la plausibilità della prospettata interpretazione ade-guatrice.

2.2. – Dalla riscontrata possibilità di un’interpretazione conforme a Costituzione della disposizione denunciata discende, dunque, la non fondatezza della questione.

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario

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in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicem-bre 1991, n. 413), sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia con l’ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, 53, primo comma, 111, primo e secondo comma (entrambi i commi anche in relazione all’art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata ed eseguita con legge 4 agosto 1955, n. 848, a sua volta in relazione all’art. 10 della Costituzione), e 113 della Costituzione.

La tutela cautelare nel processo tributario nella “nuova” giurisprudenza della Corte costituzionale

Precautionary measures and tax proceedings in the light of the “new” Constitutional Court case law

Abstract Con la sent. 26 aprile 2012, n. 109 la Corte costituzionale è tornata sul tema della tutela cautelare nel processo tributario nei gradi successivi al primo, conferman-do l’orientamento inaugurato con la sent. n. 217/2010. La lettura costituzional-mente orientata delle norme censurate offerta dal Giudice delle leggi consente l’ingresso, nel processo tributario, delle regole del codice di procedura civile, col-mando così le gravi lacune da sempre presenti nel giudizio de qua. La soluzione offerta, però, crea alcune distonie applicative il cui impatto potrà es-sere concretamente valutato solo dopo aver verificato la quotidiana applicazione che delle norme richiamate sarà operata dalla giurisprudenza di merito e di legit-timità. Parole chiave: tutela cautelare, processo tributario, corte costituzionale, inter-pretazione adeguatrice, interpretazione costituzionalmente orientata With decision No. 109 of 26 April 2012, the Constitutional Court faced again the is-sue of precautionary measures during tax proceedings in subsequent status of litiga-tion and confirmed the line inaugurated with decision No. 217 of 2010. The constitu-tionally-oriented interpretation of the criticized provisions provided by the Court per-

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mits the entry, in tax proceedings, of civil procedural rules and fills the serious gaps always present in this case. Nevertheless, the proposed solution creates certain applicative problems whose impact shall be in concrete evaluated only after having assessed the day-by-day enforcement of the involved provisions made by lower and higher Courts. Keywords: precautionary measures, tax proceedings, Constitutional Court, constitu-tionally-oriented interpretation

SOMMARIO: 1. Tutela cautelare e processo tributario: la posizione della Corte costituzionale. – 2. La sen-tenza in commento e la tutela cautelare come piena garanzia dei diritti costituzionalmente pro-tetti. – 3. La sospensione della sentenza e la sospensione del provvedimento d’accertamento: dubbi e profili ricostruttivi. – 4. Lacune normative e interpretazione conforme a costituzione. – 5. Il ruolo dei principi costituzionali e le regole dell’interpretazione.

1. Tutela cautelare e processo tributario: la posizione della Corte costituzionale

Negli ultimi anni la Corte costituzionale ha radicalmente mutato il proprio orientamento su ruolo e portata della tutela cautelare nel processo tributario 1.

L’influenza del diritto comunitario 2, l’inesaurita spinta della dottrina e, anche e soprattutto, le modifiche normative introdotte nel sistema processuale 3, hanno

1 Sino alla sent. 17 giugno 2010, n. 217, per la quale si rinvia infra nel testo, è nota la posizione di chiusura della Corte costituzionale in merito al riconoscimento di una tutela cautelare nel processo tributario nei gradi diversi dal primo. Tra i principali pronunciamenti meritano essere ricordati la sent. 25 maggio 2000, n. 165, in Corr. trib., 2000, p. 1893 ss. con nota di GLENDI, La tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio non è costituzionalmente garantita e l’ord. 21 marzo 2007, n. 119, in Boll. trib., 2007, p. 1245 ss. Per un’approfondita analisi del tema, sia consentito limitare il rinvio, tra gli innumere-voli altri, a GLENDI, La tutela cautelare del contribuente nel processo tributario riformato, in Dir. prat. trib., 1999, I, p. 21 ss.; PISTOLESI, L’appello nel processo tributario, Torino, 2002; MENCHINI, Commento sub art. 47, in AA.VV., Il nuovo processo tributario. Commentario1, Milano, 1997; TESAURO, La tutela cautela-re nel procedimento di appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale, in Boll. trib., 1999, p. 1733 ss. e, infine, MULEO, La tutela cautelare, in AA.VV., Il processo tributario, a cura di Tesauro, Torino, 1998.

2 Per una completa disamina dell’influenza del diritto comunitario nella definizione di un mo-dello comune di tutela cautelare volto a dare piena attuazione alle garanzie giurisdizionali, si vedano RINALDI, La sospensione degli effetti delle sentenze da parte del giudice tributario tra scelte normative e istanze di principio (con particolare riguardo al diritto comunitario), in Riv. dir. trib., 2004, I, p. 101 ss.; MULEO, L’esecuzione del credito sanzionatorio, in AA.VV., La riforma delle sanzioni amministrative tri-butarie, a cura di Tabet, Torino, 2000, p. 259 ss. e TROMBELLA, La tutela cautelare in appello alla luce delle sentenze della Corte di Giustizia Europea, in Riv. dir. trib., 2009, I, p. 475 ss.

3 Oltre che all’art. 19, D.Lgs. n. 472/1997, in tema di sospensione dei provvedimenti di irroga-

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indotto il Giudice delle leggi ad abbandonare le posizioni, per così dire, di retro-guardia che ne avevano dettato l’agenda giurisprudenziale sino al 2007.

La Corte, fino a quell’epoca, aveva sostenuto che le misure cautelari, pur costi-tuendo una componente essenziale della tutela giurisdizionale garantita dall’art. 24 Cost. e, quindi, anche del processo tributario, dovevano ritenersi imposte solo fino al momento in cui non fosse intervenuta «una pronuncia di merito che (...) [acco-gliesse] – con efficacia esecutiva – la domanda, rendendo superflua l’adozione di ulteriori misure cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza del diritto e dunque il presupposto stesso dell’invocata tutela»: di conseguenza anche «la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi di giudi-zio successive a siffatta pronuncia, in favore della parte soccombente nel merito” doveva “ritenersi rimessa alla discrezionalità del legislatore» 4.

Con la sent. 17 giugno 2010, n. 217, la Corte ha radicalmente ribaltato il pro-prio orientamento 5.

Essa, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sollevata dalla Com-missione Tributaria Regionale della Campania, chiamata a sua volta a sospendere l’efficacia esecutiva di una sentenza ricorsa in cassazione, ha invitato il giudice ri-mettente ad interpretare la disposizione censurata in modo costituzionalmente orientato, così da consentire l’applicazione al processo tributario della sospensione prevista dall’art. 373 c.p.c.

A tal fine, sebbene in dottrina sia dato rintracciare posizioni opposte, acuta-mente argomentate 6, la Corte ha suggerito una lettura del richiamato art. 49, per il

zione delle sanzioni amministrative tributarie in grado di appello, il riferimento è, in particolare, all’art. 47 bis, D.Lgs. n. 546/1992, in materia di sospensione cautelare dei provvedimenti di recupe-ro degli aiuti di stato dichiarati illegittimi: tale ultima norma, infatti, pare inequivocabilmente indi-rizzarsi verso il riconoscimento dell’esperibilità dello strumento cautelare anche nei gradi successivi al primo. In questo senso, anche BURANA, Commento sub art. 47 bis, in Commentario breve alle leggi del processo tributario3, a cura di Consolo-Glendi, Padova, 2012. Non va neppure dimenticato il mu-tato contesto dei principi costituzionali di riferimento a seguito delle modifiche introdotte nel nuo-vo art. 111 Cost. Per un’analisi delle conseguenze delle nuove regole sul giusto processo nel processo tributario, si vedano, su tutti, GALLO, Verso un “giusto processo” tributario, in Rass. trib., 2003, p. 11 ss. e TESAURO, Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., 2006, p. 11 ss.

4 In questi esatti termini, Corte cost., sent. 16 maggio 2000, n. 165, sopra richiamata. 5 Sentenza in Dir. prat. trib., 2011, II, p. 47 ss. con nota di ACCORDINO, La Corte Costituzionale apre

uno spiraglio per un rèvivement sulla sospensione cautelare, in secondo grado, nel processo tributario. Sul tema, si rinvia anche a GLENDI, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, in Corr. trib., 2010, p. 2041 ss.; RAGUCCI, La tutela cautelare nei gradi di impugnazione del processo tribu-tario, in Giur. it., 2010, p. 11 ss. e RANDAZZO, Poteri di sospensione del giudice di secondo grado in pen-denza del ricorso in cassazione: un importante passo in avanti verso la pienezza della tutela cautelare, in GT-Riv. giur. trib., 2010, p. 841 ss.

6 Si veda, su tutti, COLLI VIGNARELLI, La tutela cautelare tributaria nei giudizi di impugnazione, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 431 ss.

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quale «alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337», volta, da un lato, a confermare l’inapplicabilità della regola di cui all’art. 337, comma 1, primo capoverso – «l’esecuzione delle sentenze non è sospesa per effetto dell’impugnazione» – ma, dall’altro lato, a consentire comunque l’applica-bilità del secondo capoverso del medesimo art. 337 e, quindi, l’applicabilità anche al processo tributario delle regole di cui agli artt. 283 e 373 c.p.c.

Per la Corte, pertanto, «l’inapplicabilità al processo tributario», in forza del-l’art. 49, «della regola (...) contenuta nell’art. 337 c.p.c. e nel primo periodo del primo comma dell’art. 373 dello stesso codice, non comporta necessariamente l’inapplicabilità al processo tributario anche delle (...) eccezioni alla regola e, quindi, non esclude di per sé la sospendibilità ope iudicis dell’esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione» 7.

2. La sentenza in commento e la tutela cautelare come piena garanzia dei diritti costituzionalmente protetti

Il precedente appena richiamato costituisce l’immediato referente della sent. 26 aprile 2012, n. 109, qui annotata 8.

La Corte, mentre riafferma la sua lettura dell’art. 49 della nostra legge proces-suale e degli artt. 373 e 337 c.p.c., e conferma, così, la possibilità di accedere alla tutela cautelare in gradi del giudizio diversi dal primo, stabilisce, rafforzando la portata innovativa dell’interpretazione, l’applicabilità nel processo tributario delle ipotesi di «di sospensione cautelare dell’esecuzione della sentenza impugnata pre-viste dagli “artt. 283, 373, (...) e 407” c.p.c. e fatte salve dallo stesso art. 337 del medesimo codice».

In parole semplici, nel pensiero della Corte, la struttura del processo tributario non è di ostacolo all’applicazione dell’intero impianto cautelare processual civili-stico previsto per i giudizi di gravame: applicazione che, anzi, deve dirsi imposta

7 Così, testualmente, la richiamata sent. 17 giugno 2010, n. 217. Per posizioni simili, in dottrina, si veda, su tutti, RUSSO-FRANSONI, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, in particolare p. 45 ss. Contrario, invece, COLLI VIGNARELLI, op. cit.

8 Sentenza, peraltro, che si caratterizza, rispetto all’immediato precedente, quale pronuncia di non fondatezza anziché di inammissibilità. Simile circostanza dovrebbe cancellare alcune letture sva-lutative che erano state date del pronunciamento del 2010, su tutte quella di CERNIGLIANO DINI, Commento su art. 47, in Codice commentato del processo tributario, a cura di Tesauro, Torino, 2011, per il quale il Giudice delle leggi «pronunciandosi sulla questione di incostituzionalità sollevata dal-la Comm. Trib. Reg. Campania, ord. 13.10.2008 (...) non ha dichiarato infondata la questione, limi-tandosi a sancirne l’inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza, essendo carenti i re-quisiti per la concessione della tutela cautelare e aprendo così la porta ad un possibile ripensamento circa la legittimità costituzionale dell’esclusione della tutela cautelare nei gradi successivi del giudizio».

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dalle stesse norme che sino a in precedenza erano apparse di ostacolo ad una ga-ranzia piena dei diritti controversi 9.

La lettura proposta consente, dunque, di ritenere finalmente colmate le lacune per la mancata espressa previsione normativa, in seno al D.Lgs. n. 546/1992, della tutela cautelare nei gradi successivi al primo 10.

3. La sospensione della sentenza e la sospensione del provvedimento d’accerta-mento: dubbi teorici e profili ricostruttivi

La sentenza della Corte – che a me sembra senz’altro condivisibile – porta, tut-tavia, al pettine due questioni fondamentali, entrambe di ordine essenzialmente teorico: la prima, riguardante natura e struttura del processo tributario, la seconda, relativa ai criteri di interpretazione e superamento delle lacune del diritto.

Procedo con ordine, nella speranza di riuscire a sintetizzare, in termini che mi auguro inequivoci, il mio pensiero.

Quanto alla prima questione, il tema che viene in considerazione è quello dell’atto sul quale reagisce l’ordine di sospensione del giudice d’appello, interven-ga, questi, in tale qualità o in qualità di giudice investito del solo potere cautelare per essere il processo pendente innanzi la Corte di Cassazione.

Schematizzando e ricorrendo alla tradizionale contrapposizione tra teoria costi-tutiva 11 e teoria dichiarativa 12, si può dire che la sentenza della Corte, mentre ben si

9 Su tutte, il più volte richiamato art. 49, D.Lgs. n. 546/1992. 10 Infatti, il principio espresso dalla Corte può dirsi costituire, oramai, orientamento consolidato

nella sua giurisprudenza poiché anche di recente confermato, e in termini assolutamente identici, dalla sent. 11 luglio 2012, n. 181, in Banca dati fisconline. Per una prima analisi della reazione delle corti di merito, si rinvia alla copiosa giurisprudenza richiamata da ALLENA, Primi orientamenti della giurisprudenza di merito in tema di tutela cautelare nei gradi successivi al primo dopo la sentenza n. 217 del 2010 della Corte Costituzionale, in Dir. prat. trib., 2012, II, p. 485 ss. e da GLENDI, Sulla sospensione della riscossione dei tributi in pendenza di ricorso per Cassazione, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 73 ss. Va qui rammentata, inoltre, la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, sulla quale si tonerà infra nel testo e, in particolare, la sent. 24 febbraio 2012, n. 2845, in Dir. prat. trib., 2012, II, p. 740 ss. con nota di CORASANITI, Ancora sul riconoscimento della tutela cautelare nei gradi successivi al primo: brevi note a margine di un intervento della Corte di Cassazione. Sul punto, si veda il commento critico di GLENDI, La tutela cautelare in pendenza di ricorsi per cassazione contro le sentenze dei giudici tributari di secondo grado, in GT-Riv. giur. trib., 2012, p. 389 ss.

11 Per una disamina dell’impatto della teoria costitutivista sul tema qui oggetto di analisi, sia con-sentito limitare il rinvio a GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984; ID., La tutela cautelare oltre il primo grado, cit.; TESAURO, Lineamenti del processo tributario, Rimini, 1991; ID., La tutela cautela-re, cit., per il quale, in particolare, le sentenze che respingono il ricorso hanno valenza dichiarativa e, come tali, sono insuscettibili di esecuzione; VULLO, Sull’inibitoria ex art. 373 c.p.c. e sull’irreparabilità del danno nel processo tributario cautelare, in GT-Riv. giur. trib., 1999, p. 1048 ss. e, infine BASILAVECCHIA, L’esecuzione delle sentenze e la riscossione frazionata del tributo, in Summa, 1997, p. 8 ss.

12 Anche in questo caso, per evidenti ragioni di economia, sia consentito limitare il rinvio a RUSSO,

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adatta, senza eccessivi sforzi ermeneutici, alla teoria del processo tributario come giudizio d’impugnazione – merito, sembrerebbe non trovare immediata giustifica-zione se si guarda al medesimo processo come ad un giudizio di puro annullamento.

Infatti, nella prima prospettiva, l’ordine di sospensione può senz’altro avere ad oggetto la sentenza a quo poiché sostitutiva del provvedimento di accertamento originariamente impugnato; mentre, nella seconda prospettiva, l’ordine di sospen-sione dovrebbe dirigersi sempre e soltanto al provvedimento “confermato” o “par-zialmente demolito” dalla sentenza. In altri termini, se nell’ottica dichiarativista non può che venir sospeso l’atto che, nel momento stesso in cui interviene l’ordi-nanza, è portatore dell’accertamento della situazione giuridica sostanziale contro-versa, e dunque la sentenza, nell’ottica costitutivista questa ricostruzione non può avere spazio perché, nel momento in cui opera l’ordinanza, la situazione giuridica controversa rimane comunque costituita dal provvedimento amministrativo, sep-pure emendato dalla sentenza.

Arrestando l’analisi a questo livello di osservazione, allora, potremmo essere tentati, per così dire, di annoverare la Corte costituzionale nella schiera dei dichia-rativisti, atteso che, per essa, la sospensiva opera, in forza delle previsioni del codice di procedura civile alle quali aggancia il suo più recente arresto, sulla sentenza im-pugnata.

Ragionando in questo modo, però, commetteremmo un grave errore, non tanto perché gli “schieramenti” ideologici o di prospettiva dogmatica della Corte non sono dati, quanto perché mal formuleremmo l’analisi giuridica.

Mi pare di poter sostenere, infatti, che la sentenza della Corte ben può adattarsi anche all’impostazione che guarda al provvedimento d’accertamento come alla fonte dell’obbligazione di imposta.

È innegabile, anzitutto, l’esistenza della sentenza come atto finale del processo a quo, ed è del pari innegabile che la sentenza, in quanto tale, produca conseguenze nel mondo del diritto. In particolare, a me sembra che, anche nell’ottica costituti-vista, non si possa mettere seriamente in dubbio che la sentenza produca effetti “confermativi” o, comunque, “non modificativi” o solo “parzialmente modificativi” del provvedimento d’accertamento.

Ma se è così, ne discende che l’ordinanza di sospensione non potrà che avere ad oggetto pur sempre la sentenza la quale, d’altra parte, costituisce l’atto processuale scaturigine dell’impugnazione 13. Il nuovo processo tributario, Milano, 1974; ID., (voce) Contenzioso tributario, in Digesto comm., IV, Torino, 1989; ID., (voce) Processo tributario, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1987; CAPACCIOLI, La nuova disciplina del contenzioso tributario, le fasi dinnanzi alle commissioni di primo e secondo grado, in Dir. e proc., Padova, 1978; BATISTONI FERRARA, Processo tributario, riflessioni sulla prova, in Dir. prat. trib., 1983, I, p. 1623 ss. e GIOVANNINI, Riflessioni in margine all’oggetto della domanda nel processo tributa-rio, in Riv. dir. trib., 1998, I, p. 35 ss.

13 In termini solo parzialmente coincidenti, si veda anche PISTOLESI, op. cit., in particolare p. 369 ss.,

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Si consideri, inoltre, che questa impostazione può trovare una solida conferma nel diritto processuale amministrativo 14.

L’art. 98 del D.Lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo), esten-dendo in modo espresso a tutte le impugnazioni la disciplina di cui all’art. 33, com-ma 2, L. n. 1034/1971 (c.d. legge TAR), originariamente prevista per il solo appel-lo contro le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali, stabilisce, infatti, che «il giudice dell’impugnazione può, su istanza di parte, valutati i motivi proposti e qualora dall’esecuzione possa derivare un danno grave e irreparabile, disporre la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, nonché le altre opportune misure cautelari, con ordinanza pronunciata in camera di consiglio».

Una posizione, quella ritraibile dalle richiamate disposizioni, che peraltro rical-ca pedissequamente l’impostazione giurisprudenziale 15, oramai granitica, che, sul-la base del disposto dell’art. 22, L. n. 1058/1924 sul ricorso avverso le decisioni delle Giunte Provinciali Amministrative, per il quale tale giudizio si svolge «se-condo le norme e per gli effetti determinati dalla legge» per i giudizi innanzi il Con-siglio di Stato, ha per prima imposto di riferire alle sentenze i poteri cautelari origi-nariamente previsti per il solo provvedimento amministrativo.

Mi pare, quindi, che, seppur suscettibile di letture “ideologicamente” orientate 16, la pronuncia in commento non si scontri in nessun modo con la natura e la struttu-ra stessa del processo tributario.

per il quale, pur essendo certo che «l’ente impositore non realizzi esecutivamente le proprie pretese ricorrendo alla pronuncia della Commissione tributaria (...) che abbia confermato (del tutto o par-zialmente) l’atto impugnato, la riscossione di quanto dovuto dal contribuente (...) avverrà mediante apposita iscrizione a ruolo, la quale (...) trae origine e legittimità, non solo dall’atto impositivo di cui si controverte ma pure dalla pronuncia della Commissione tributaria provinciale che ne ha avvallato (totalmente o solo in misura parziale) i relativi assunti».

14 Si rinvia, per ulteriori approfondimenti, a LIPARI, Commento alle impugnazioni in generale, in QUARANTA-LOPILATO (a cura di), Il processo amministrativo, Milano, 2011; CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, Milano, 2003; SATTA, Giustizia amministrativa2, Padova, 2003 e VIRGA, La tutela giurisdizionale dei confronti della pubblica amministrazione2, Milano, 1976.

15 Il riferimento è alla sentenza del Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 1948, in Giur. it., 1949, III, p. 73 ss. con nota di NIGRO, per la quale «è ammissibile in sede di appello contro una decisione di giunta provinciale amministrativa, la domanda di sospensione della decisione stessa». Detta pro-nuncia, peraltro, trova autorevoli precedenti nelle sentenze della medesima sezione del Supremo Collegio, 20 ottobre 1933, n. 597, in Foro amm., n. 2, 1934, I, p. 22 ss. e 20 giugno 1947, in Foro amm., n. 2, 1948, I, p. 41 ss.

16 Va, peraltro, ricordato come indicazioni diametralmente opposte a quelle ritraibili dalla sen-tenza in commento siano state all’epoca desunte dall’ord. n. 119/2007, alla luce della quale, nel re-spingere la questione di legittimità costituzionale, la Corte costituzionale era apparsa aderire alle conclusioni della teoria costitutiva laddove affermava che «nel caso di specie, oggetto del provve-dimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l’impugnazione, bensì semmai il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado».

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4. Lacune normative e interpretazione conforme a costituzione

Rimane da valutare la seconda questione sollevata dalla sentenza in commento e, cioè, quella relativa alla tecnica utilizzabile – e qui concretamente utilizzata – per colmare, laddove costituzionalmente imposto, le lacune normative.

Per comprendere appieno la portata e l’ambito applicativo della questione che ora si intende affrontare, giova ricordare come l’innesto prodotto dalla Corte degli strumenti cautelari del processo civile all’interno del nostro processo possa pro-durre conseguenze all’apparenza di non immediata soluzione ed anzi conseguenze che, dal punto di vista applicativo, parrebbero confliggere con l’impostazione sug-gerita, la quale finirebbe, così, con il prestare il fianco a critiche fulminanti 17.

Questi i punti salienti dell’apparente contrasto. Si pensi, in primo luogo, all’art. 283 c.p.c. il quale espressamente impone che

l’istanza di sospensione cautelare sia «proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale», in un momento, cioè, in cui non può dirsi sempre e co-munque verificata la presenza di un – anche solo potenziale – danno per il contri-buente: anche se non vi e dubbio di come la prassi applicativa abbia, nel tempo, fatto sfumare la problematica, ampliando notevolmente l’ambito degli atti imme-diatamente lesivi, il problema mantiene un indubbio valore sistematico.

Significativa, inoltre, la poliformità dei requisiti per la concessione della misura cautelare nei diversi gradi di giudizio, conseguenza anch’essa della scelta operata dalla Corte costituzionale.

A fronte, infatti, della necessità della presenza di «un danno grave ed irrepara-bile» con delibazione nel merito della controversia, come previsto dall’art. 47 D.Lgs. n. 546/1992 e, in termini sostanzialmente identici, dall’art. 373 c.p.c., l’art. 283 c.p.c. prevede, invece, il ricorrere di «gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti».

Poliformità, peraltro, destinata a manifestarsi anche all’interno del medesimo giudizio di gravame, in conseguenza della possibile contestuale applicazione del-l’art. 283 c.p.c., dell’art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 471/1997, per il quale «la com-missione tributaria regionale può sospendere l’esecuzione» delle sanzioni appli-cando «in quanto compatibili, le previsioni dell’articolo 47 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546» e, infine, dell’art. 47 bis del decreto legislativo in parola il quale prevede «sospensione dell’esecuzione di un atto volto al recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili in esecuzione di una decisione adottata dalla Com-missione europea» con la concomitante presenza di «gravi motivi di illegittimità della decisione di recupero, ovvero evidente errore nella individuazione del sog-getto tenuto alla restituzione dell’aiuto di Stato o evidente errore nel calcolo della

17 Per una completa disamina delle difficoltà applicative degli artt. 283 e 373 c.p.c. all’interno del processo tributario, ci sia consentito rinviare ancora a PISTOLESI, op. cit., p. 269 ss.

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somma da recuperare e nei limiti di tale errore di un «pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile» 18.

Alla luce di quanto detto, quindi, si potrebbe convenire con chi, come il giudice rimettente, ritiene irrisolvibile per via puramente interpretativa il problema della compatibilità “procedimentale” delle norme processual civilistiche con il nostro si-stema, caratterizzato, anche per il disposto dell’art. 61, D.Lgs. n. 546/1992, dalla tendenziale omogeneità tra i diversi gradi di giudizio.

Almeno apparentemente, una simile conclusione sembra essere stata fatta pro-pria dalla Corte di Cassazione nella prima pronuncia volta a concedere il via libera alla tutela cautelare nel terzo grado di giudizio 19.

Essa, muovendo, da un lato, dagli assunti fatti propri dalla Corte costituzionale e, dall’altro lato, dal disposto di cui all’art. 62, D.Lgs. n. 546/1992, per il quale «al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal c.p.c. in quanto compatibili con quelle del presente decreto», ha sottolineato che l’art. 373, comma 1, secondo periodo, c.p.c. è «una eccezione alla regola gene-rale (stabilita del primo periodo dello stesso comma) ed è una eccezione propria del ricorso per cassazione, come tale applicabile anche per quanto riguarda il ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali, non essendo prevista, in questo caso, alcuna speciale e diversa disciplina per il ricorso per cassazione».

I giudici di legittimità, come pare evidente, giustificando l’applicabilità dell’art. 373 c.p.c. anche al contenzioso tributario non solo in forza dell’interpretazione co-stituzionalmente orientata suggerita dalla pronuncia qui annotata ma anche e so-prattutto in forza dell’indiscussa indipendenza, autonomia e specialità del giudizio innanzi a sé, aprono la strada, con un ragionamento a contrario, ad una possibile valutazione negativa sulla compatibilità del procedimento cautelare di cui all’art. 283 c.p.c. a fronte dell’ostacolo costituito dal combinato disposto dell’art. 47 e del-l’art. 61, D.Lgs. n. 546/1992. Detto altrimenti, la richiamata sentenza, nell’attribui-re all’art. 62, D.Lgs. n. 546/1992 il ruolo di indispensabile stampella per l’applica-zione dell’art. 373 c.p.c., impedisce di rintracciare nell’art. 61 del medesimo decre-to legislativo eguale ausilio per l’applicazione dell’art. 283 c.p.c.

18 Sono perfettamente cosciente della specialità, già in primo grado, del procedimento di cui al-l’art. 47 bis: da esso, pertanto, non possono essere tratte se non indicazioni di massima. Nell’ottica di quanto si va esponendo, resta il fatto che la asistematicità di detta disposizione è destinata a rifletter-si anche nei gradi successivi al primo.

19 Il riferimento è alla sent. 24 febbraio 2012, n. 2845 sopra già richiamata sub nota 10. Si rinvia, per ulteriori commenti, anche a ALLENA, Tutela cautelare e norme processuali: una conferma dalla Cor-te di Cassazione, in Rass. trib., 2012, p. 1306 ss.

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5. Il ruolo dei principi costituzionali e le regole dell’interpretazione

Una diversa impostazione consente, a mio avviso, di superare l’apparente (o anche solo potenziale) empasse.

Lo scopo è quello non solo di evitare che il risultato raggiunto venga vanificato da questioni “marginali” ma, anche e soprattutto, che le modalità dell’intervento in commento siano compiutamente valorizzate così da evitare che la Corte possa es-sere forzatamente indotta a nuovi pronunciamenti, siano essi caducatori e/o addi-tivi, che, a dire il vero, non appaiono più necessari.

In questa prospettiva, diviene decisivo il ruolo dei principi e dei valori costitu-zionali, nei quali si impone il riconoscimento di «linee guida in grado di permeare e di pervadere l’intero tessuto dell’ordinamento giuridico» 20, tali da porre, in sede di interpretazione, in posizione subordinata il principio della gerarchia formale delle fonti rispetto al principio della c.d. gerarchia assiologica, quest’ultimo «in grado di fondare l’idoneità della Costituzione a indirizzare e condizionare (...) le scelte er-meneutiche a qualunque livello operate» 21.

Se questo è l’assunto, può quindi dirsi pacifica l’inversione del rapporto tra Co-stituzione e tradizionali criteri di interpretazione, con la Carta fondamentale che diventa il principale criterio ordinatore che indirizza i diversi strumenti ermeneuti-ci (i mezzi) verso il fine della conformità al parametro costituzionale.

Le conseguenze sono molteplici 22. Da un lato, infatti, l’interpretazione (necessariamente) adeguatrice non può

che ampliare notevolmente le sue potenzialità applicative, obbligando la Corte stessa a giungere, come nel caso di specie, ad allentare il vincolo al diritto vivente; dal-l’altro lato, la medesima interpretazione adeguatrice viene a superare gli stretti confini del giudizio di costituzionalità, dovendosi riconoscere in capo ai giudici or-dinari un dovere di interpretazione conforme a Costituzione 23.

20 Così BONCINELLI, Interpretazione conforme a costituzione e ragionevolezza: la prospettiva della Corte Costituzionale, in D’AMICO-RANDAZZO (a cura di), Interpretazione conforme e tecniche argomen-tative, Torino, 2009, p. 13 ss., in particolare p. 39. Sul punto, si vedano, tra gli altri, RAUTI, L’intepre-tazione adeguatrice come criterio ermeneutico e l’inversione logica dei criteri di rilevanza e non manifesta infondatezza, in AA.VV., Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”: verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso?, a cura di MALFATTI-ROMBOLI-ROSSI, Torino, 2002, p. 519 ss. e BIN, L’applicazione diretta della Costituzione, le sentenze interpretative, l’interpretazione conforme a Costituzione della legge, 2006, sul sito www.associazionedeicostituzionalisti.it.

21 Ancora BONCINELLI, op. cit., p. 39. 22 Per una completa disamina delle posizioni della dottrina costituzionalistica, ci sia concesso

rinviare a AA.VV., Interpretazione conforme e tecniche, cit.; AA.VV., Corte Costituzionale, giudici co-muni e interpretazioni adeguatrici, Milano, 2010 e, infine, SORRENTI, L’interpretazione conforme a Co-stituzione, Milano, 2006.

23 Si veda, su tutti, ELIA, Sentenze «interpretative» di norme costituzionali e vincolo dei giudici, in Giur. cost., 1966, p. 1721 ss.

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Semplificando il discorso, può dirsi che i principi costituzionali, così valorizzati, conducano alla configurazione di un duplice obbligo: da un lato, per il Giudice del-le leggi di preferire, laddove possibile, il suggerimento di un’interpretazione costi-tuzionalmente orientata anziché un più netto intervento di incostituzionalità; dall’altro lato, per gli operatori del diritto, di adeguarsi al percorso ermeneutico così suggerito.

Applicando tali considerazioni al caso di specie, e venendo così al nocciolo della questione, a me sembra che la strada seguita dalla Corte non possa che essere con-divisibile 24.

Infatti, la presenza dell’indubbia antinomia che si era venuta a creare tra il si-stema processuale tributario, carente, quantomeno in via espressa, di strumenti cau-telari nei gradi di giudizio diversi dal primo, e la rete assiologica delineata dagli artt. 3, comma 1, 24, 53, comma 1, 111, comma 1 e 2, Cost., anche in relazione all’art. 6, comma 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, è stata riconosciuta e “corretta” dalla Corte per il trami-te di una pronuncia adeguatrice, senza, quindi, che la stessa avesse né la necessità né, tantomeno, l’obbligo di intervenire con il “bisturi” delle sentenze espressamen-te caducatorie o additive.

Ma se questo è il percorso giuridico prescelto, mi pare di poter dire che i singoli giudici sono ormai anch’essi obbligati ad incamminarsi nella stessa direzione, ridu-cendo, anziché moltiplicarle, le antinomie che dovessero disvelarsi: ad essi spetta, pertanto, un ruolo delicato di collaborazione per l’adeguamento del sistema alla Costituzione e ai principi di derivazione europea.

Lorenzo Trombella

24 Contrario, sul punto, COLLI VIGNARELLI, op. cit., in particolare, p. 443, il quale, nel commenta-re la già richiamata sent. n. 217/2010 e pur favorevole, in linea di principio, all’estensione della tute-la cautelare nel processo tributario ai gradi di giudizio successivi al primo, ritiene a tal fine indispen-sabile un intervento caducatorio del Giudice delle leggi ovvero un espresso intervento legislativo. Mi pare, però, che tale obiezione non colga pienamente lo spirito della pronuncia. La ricostruzione della richiamata dottrina, infatti, si risolve in una delle possibili opzioni interpretative e non nel-l’unica opzione interpretativa dell’art. 49, D.Lgs. n. 546/1992 e, d’altra parte, il pregio delle interpre-tazioni costituzionalmente orientate è proprio quello di consentire al Giudice delle leggi di evitare interventi radicali mediante la valorizzazione di quegli orientamenti, tra quelli astrattamente possibi-li, che appaiono maggiormente in grado di dare attuazione ai principi costituzionali.

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In un’economia transnazionale, la variabile fiscale costituisce un parametro imprescindibile nell’ambito della com-plessiva valutazione degli investimenti aziendali.

In un tale contesto, sia il legislatore che l’Amministrazione finanziaria hanno, progressivamente, intensificato il con-trasto agli illeciti di fiscalità internazionale.

L’international tax planning, del resto, trova un limite nelle previsioni nazionali e convenzionali finalizzate ad argi-nare fenomeni di pianificazione fiscale “aggressiva” che possono sfociare in forme di evasione ed elusione fiscale in-ternazionale.

Tra quest’ultime riveste un ruolo significativo la cosiddetta esterovestizione societaria, la quale si concretizza nella dissociazione fra residenza formale e residenza sostanziale attuata al fine di beneficiare di un regime fiscale più van-taggioso rispetto a quello del Paese di effettiva appartenenza.

Ciò considerato, il presente lavoro persegue una specifica finalità: affrontare il tema dell’esterovestizione societaria in termini concreti e utili ai fini operativi, per elaborare uno strumento di consultazione per gli esperti della materia.

Quest’ultimi, infatti, sono i principali destinatari del presente lavoro, il quale illustra gli effetti pratici e più tecnici della complessa normativa nazionale e convenzionale sul fenomeno in rassegna. Coerentemente agli annunciati sco-pi, il testo dedica spazio non solo alla parte sostanziale - approfondimento dell’ambito giuridico di riferimento e ana-lisi della giurisprudenza - ma anche a quella metodologica e procedurale.

Vengono, infatti, affrontate le principali problematiche applicative e non rinunciando, altresì, a trattare della docu-mentazione extracontabile digitale, la quale può costituire, specie nell’ambito di attività ispettive dell’Amministrazio-ne Finanziaria a contrasto del fenomeno in rassegna, fonte di dirimenti e fondamentali dati probatori.

Autori. – Presentazione (C. Sacchetto). – I. Esterovestizione societaria: nozione e disciplina normativa nazionale (M. Thione-M. Bargagli). – II. Operatività del meccanismo presuntivo (M. Thione-M. Bargagli). – III. Esterovestizione societaria: disciplina convenzionale (Marco Bargagli). – IV. Le “risposte” della giurisprudenza ai casi pratici e il con-tributo tecnico-applicativo della prassi nazionale (L. Vaccaro-M. Carrozzino). – V. Casi pratici (M. Thione-M. Barga-gli). – VI. Esterovestizione societaria e stabile organizzazione occulta: elementi distintivi (M. Thione). – VII. Interna-tional tax planning: la holding esterovestita quale strumento di pianificazione fiscale (M. Thione-M. Bargagli). – VIII. Attività istruttoria e problematiche tecnico-operative (M. Thione-M. Bargagli). – IX. Il decisivo ruolo probatorio del-la documentazione extracontabile digitale nella ricostruzione dell’ipotesi di esterovestizione (C. Sacchetto-F. Montal-cini). – X. Lo scambio di informazioni (L. Vaccaro-M. Carrozzino). – Bibliografia.

in brevel’O

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LE COOPERATIVE E LE NUOVE AGEVOLAZIONIFISCALIPROFILI CIVILISTICI CONTABILI COMUNITARI

di Manlio Ingrosso

pp. XVI-352 | € 33,00 | ISBN 978-88-348-8829-2

Seconda edizione

La cooperativa si presenta come modello di società fiscalmente molto age-volato rispetto alle altre figure societarie. Il testo, aggiornato con le recen-ti modifiche normative, è un utile e completo strumento di consultazione e di studio per professionisti e studenti universitari. I diversi vantaggi tri-butari di cui beneficiano le cooperative sono analizzati nei loro molteplici profili civili e contabili, con un’attenzione particolare dedicata alle proble-matiche degli aiuti di Stato vietati in sede europea.

Introduzione. – Parte I: Il principio restitutorio. – I. La condanna alle spe-se ed il suo fondamento. – II. La ripetibilità delle spese in Europa. – III. Limiti alla ripetibilità, compensazione, irripetibilità. – IV. Ripetibilità, irre-petibilità e condotta delle parti: prospettive di riforma. – Parte II: Il trat-tamento dell’illecito. La composizione della lite. – V. Illecito processuale e responsabilità. – VI. Responsabilità per le spese e composizione della con-troversia. – Bibliografia.

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MANUALE DEL PROCESSO TRIBUTARIO

di Francesco Tesauro

pp. XX-316 | € 32,00 | ISBN 978-88-348-9310-4

Seconda edizione

Questo manuale illustra l’intera disciplina del processo tributario, in tutte le sue fasi, compresi il giudizio di ottemperanza e l’esecuzione forzata. Pur essendo un volume istituzionale, prende posizione in modo preciso sulle questioni cruciali, talora in contrasto con gli indirizzi della giurisprudenza. Vi è data evidenza e coerenza ad una linea sistematica che, muovendo dal carattere impugnatorio del processo tributario, promuovibile contro un si-stema predeterminato di atti, culmina nella definizione del giudicato tribu-tario di accoglimento come giudicato di mero annullamento, totale o par-ziale, dell’atto impugnato, con effetti erga omnes. Le novità di questa edi-zione, rispetto alla prima, sono numerose. Sono considerati i riflessi, sul processo tributario, delle modifiche del 2009 al codice di procedura civile (in tema di principio di non contestazione, rimessione in termini, spese del giudizio, termini, ecc.) e, in particolare, le recenti modifiche al giudizio di-nanzi alla Corte di Cassazione. Sono prese in esame le novità legislative re-lative al processo tributario, come il reclamo-mediazione. Sono registrate le svolte giurisprudenziali, come in nuovo corso in tema di liti tra sostituto e sostituito e in tema di sospensione della riscossione nelle fasi di gravame.

Premessa alla seconda edizione. – I. Introduzione. – II. Giurisdizione e competenza. – III. Le parti. – IV. Le azioni di annullamento. – V. Le azio-ni di rimborso. – VI. Tutela cautelare. – VII. Gli atti processuali. – VIII. Il primo grado. – IX. Le prove. – X. Sospensione, interruzione ed estin-zione del processo. – XI. La decisione. – XII. Le impugnazioni in genera-le. – XIII. L’appello. – XIV. Cassazione e rinvio. – XV. La revocazione. – XVI. Il giudizio di ottemperanza. – XVII. L’esecuzione forzata tributaria.

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FUNZIONE IMPOSITIVA E FORME DI TUTELALEZIONI SUL PROCESSO TRIBUTARIO

di Massimo BasilavecchiaSeconda edizione | pp. XIV-378 | € 34,00 | ISBN 978-88-348-8818-6

Introduzione. – Introduzione alla seconda edizione. – Parte Prima: La giuri-sdizione tributaria. – I. Le commissioni tributarie nell’ordinamento costitu-zionale della giurisdizione. – II. La competenza giurisdizionale. – Parte Se-conda: Tecniche di tutela e struttura del processo. – III. Dall’atto impositivo al processo. – IV. L’atto impositivo nel processo. – Parte Terza: Il processo. – V. Dal ricorso alla sentenza: fasi necessarie. – VI. Dal ricorso alla sentenza: fasi eventuali. – VII. Sentenza e funzione impositiva. – VIII. L’appello. – IX. Le altre impugnazioni. – Parte Quarta: Funzione impositiva e processo tribu-tario. – X. L’attività di accertamento. – XI. Il processo su atti dell’accertamen-to. – XII. Il processo sui rimborsi. – XIII. Il processo su atti della riscossione. – XIV. Il processo sui rimborsi. – XV. Funzione sanzionatoria e processo. – XVI. Agevolazioni fiscali e processo. – XVII. Le controversie catastali. – Parte Quinta: La definitività. – XVIII. Il giudicato. – XIX. L’autotutela.

LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIOdi Alberto Marcheselli, Gianni Marongiucon la collaborazione di Remo Dominici e Andrea Bodrito

Quarta edizione | pp. XX-336 | € 30,00 | ISBN 978-88-348-2579-2

Avvertenza. – Introduzione (G. Marongiu). – Parte Prima. – Parte Generale. – I. Nozioni introduttive e definizioni generali. – II. Le fonti del diritto tri-butario. – III. Il c.d. federalismo fiscale. – IV. La struttura del tributo. – V. I soggetti del rapporto tributario. – VI. Il procedimento tributario. – VII. La riscossione (A. Bodrito). – VIII. Le sanzioni tributarie (con la collaborazio-ne di L. Ragalzi). – IX. Il processo tributario (R. Dominici). – Parte Secon-da. – Parte Speciale. – I principali tributi italiani. – I. Il sistema delle singole imposte e imposte sul reddito: i concetti introduttivi. – II. I redditi fondiari. – III. I redditi di capitale. – IV. Il reddito di lavoro dipendente. – V. Il reddi-to di impresa. – VI. Il reddito di lavoro autonomo. – VII. I redditi diversi. – VIII. Dal reddito di categoria all’imposta netta. – IX. Cenni sull’Imposta sul reddito delle società. – X. L’imposta sul valore aggiunto (A. Vannini). – XI. L’imposta sulle successioni e donazioni (D. Gandini). – XII. L’imposta di re-gistro (D. Gandini). – XIII. Cenni sui principali tributi locali (D. Gandini).

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