22 ST RIA VENETA STORIA...I frutti del melograno erano sacri a Era-Giunone che li ricevette come...

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ST RIA VENETA 2 CACCIA AI LEONI DELLA SERENISSIMA PADOVA QUANTO MI COSTI ! ASPETTI DELL’AGRICOLTURA VENETA NELLA PRIMA METÀ DELL’ OTTOCENTO LA CUCINA VENETA COME ARLECCHINO IL GRATICOLATO ROMANO PORTOBUFFOLÈ: SULLE TRACCE DEI NOBILI VENEZIANI VEXILLUM POSTE ITALIANE S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27 febbraio 2004 n. 46) articolo 1, comma 1 DCB PD - Tassa Pagata - Taxe Perçue 22

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ISBN 88-88939-60-5

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2013

CACCIA AI LEONI DELLASERENISSIMA

PADOVA QUANTO MI COSTI !

ASPETTI DELL’AGRICOLTURAVENETA NELLA PRIMA METÀDELL’ OTTOCENTO

LA CUCINA VENETA COMEARLECCHINO

IL GRATICOLATO ROMANO

PORTOBUFFOLÈ: SULLETRACCE DEI NOBILI VENEZIANI

VEXILLUM

POSTE ITALIANE S.p.A. - Spedizione in abbonamentopostale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27 febbraio 2004 n. 46)articolo 1, comma 1 DCB PD - Tassa Pagata - Taxe Perçue

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Sommarionumero 22 - anno V - giugno 2013

Caccia ai Leoni della Serenissima

di Claudio Dell’Orso

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Non solo “Leoni di pietra ...”di Adriano Cattani

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“Padova quanto mi costi!”

Lodovico Alvise Manin Podestà di Padovadi Alberto Prelli

9

Aspetti dell’agricoltura veneta nella prima metà

dell’Ottocentodi Claudio Daveggia

16

La cucina veneta come Arlecchino (parte seconda)di Stefano Zabeo

27

Il Nobilhomo Andrea Tron del pittore Nazario Nazaridi Massimo Tomasutti

35

Il graticolato romanodi Adriano Cattani

38

Portobuffolè: sulle tracce dei nobili venezianidi Mauro Fasan

44

Vexillumdi Roberto Stoppato Badoer (s.g.e.)

50

� Rassegna bibliografica 55

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In copertina: Julien Dupré (1851-1910), “Il carro di fieno”.

STORIA VENETA

Rivista di divulgazione storica

per conoscere il passato dei Veneti

Iscrizione al Tribunale di Padovan. 2169 del 5 marzo 2009Iscrizione al ROC n. 18700 del 29.9.2009

Editore

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Hanno collaborato a questo numero

Massimo Benetton, Antonio Biasioli,

Adriano Cattani, Claudio Daveggia,

Claudio Dell’Orso, Abate Faria,

Mauro Fasan, Alberto Prelli

Roberto Stoppato Badoer (s.g.e.),

Massimo Tomasutti, Massimo Tonizzo,

Stefano Zabeo

www.elzeviroeditrice.com

ISBN 88-88939-60-5

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Stefano Zabeo

La cucina veneta

come

ArlecchinoParte seconda

Ottobre: la Madonna del Rosario, Lepantoed il melograno

Varie sono nel Veneto le sagre dedicate allaMadonna del Rosario che si festeggia il 7 otto-bre, tra le quali ricordiamo quella di San Donàdi Piave, Noale, Martellago, Pianiga, Spresia-no, San Martino di Lupari, Galzignano Terme.Questa festa ebbe origine, o maggiore diffu-sione, dopo la battaglia di Lepanto del 7 otto-bre1571: istituita da papa Pio V nel 1572 conil nome “Santa Maria della Vittoria” divennecon il suo successore Gregorio XIII la festa del“Santissimo Rosario” per trovare nel 1960 ladenominazione attuale di “Beata Vergine delRosario”.29)

A sinistra:

Carlo Marchiori, “Arlecchino”(particolare).

Sotto:

Annibale Carracci, “Mangiafagioli”(particolare), 1584/85, GalleriaColonna, Roma.

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Nella prima domenica di ottobre (che cade quinditra l’1 ed il 7) si teneva nel paese di Cavasagra(Vedelago-TV), così si legge nel libro di CamilloPavan “SILE”, la ”Sagra dei pomi ingranai” ov-vero delle melegrane.30)

È tradizione in questa ricorrenza mangiare l’ana-tra arrosto, che in certi ristoranti viene aromatiz-zata con il succo dei semi del melograno i qualivengono inoltre utilizzati come decorazione del-la pietanza.La melagrana ricorre come simbolo in varie rap-presentazioni della Madonna così come in quelledella dea pagana Era-Giunone.Vari artisti, come Botticelli, Leonardo da Vinci,Raffaello, Jacopo della Quercia, Antonello daMessina, Filippo Lippi, Lorenzetti, hanno realiz-zato opere aventi come soggetto la “Madonnadella melagrana”, così come troviamo raffigura-zioni di Era-Giunone (=veneta Reitia?) nellequali la dea tiene in mano una melagrana, comela scultura di Hera presente nel museo nazionaledi Paestum (SA).I frutti del melograno erano sacri a Era-Giunoneche li ricevette come dono di nozze dalla madrequale augurio di fecondità.31)

Le spose turche, secondo un’antica tradizione,lanciando a terra una melagrana e contando i se-mi usciti dal frutto sapranno quanti figli avranno.Si ritiene che il melograno, nelle sue varie parti,abbia proprietà antinfiammatorie, antitumorali,antiemorragiche e vermifughe. Viene usato percurare la diarrea, le malattie cardiovascolari, lasterilità e, per le sue proprietà antiossidanti, vie-ne usato in estetica per la preparazione di creme(consultare sempre un medico).Chissà se possa esistere una relazione tra il nu-mero elevato di proprietà terapeutiche attribuitea questa pianta e l’ipotesi di alcuni teologi ebraiciche indicano il melograno (anziché il melo) comel’Albero della vita del “Giardino dell’Eden”.Con questo frutto si preparano succhi dissetanti,insalate, gelatine, marmellate, cocktail, ratafià,olio ed un succo per aromatizzare gli arrosti.Un piatto tipico vicentino è la “Tacchina (paeta)arrosta col melograno”. Viene arrostita allo spie-do e “intanto che sta povera paeta la gira sulspeo” si premono i semi di 2-3 melagrane assie-me a dei pezzetti di pelle bianca del frutto. “El gu-sto garbo de sta poca de pele bianca, missià aquelo dolse dei semeti rossi” darà alla carne unsapore tutto speciale “tanto bon che mai!” Si ba-gna quindi di frequente con questo liquido la“paeta” durante la cottura: “Desso no ocore chespetar che la bestia sia cota”.32)

28

La Madonna del Rosario in unparticolare del dipinto di PaoloVeronese dedicato alla vittoria

veneziana nella battaglia diLepanto.

Sandro Botticelli, “La Madonnadella Melagrana” (particolare),1480-81, Galleria degli Uffizi,

Firenze.

Statuetta di Hera con patera emelograno, Museo Archeologico

Nazionale di Paestum.

29) Cattabiani Alfredo, “Calendario”, pp. 303-306.30) Pavan Camillo, “Sile”, p, 64.31) D’Alesio Corrado, “Dei i miti”, p. 255.32) Salvatori De Zuliani Mariù, “A tola co i nostri veci”, p. 185.

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Si sottolinea infine che nell’agriturismo “Al ca-stello” di Sarego (VI), nei pressi dei colli Berici,tra i vari primi e pietanze si prepara l’anitra almelograno e i “bigoli all’anitra” che viene indica-to come un piatto rituale da consumarsi alla Fe-sta del Rosario.Curiosità: la città di Granada in Spagna deve ilsuo nome a questo albero il cui nome scientificoè “Punica granatum”. Con la melagrana siprepara la granatina, uno sciroppo utilizzatoper la preparazione di granite e cocktail. AMestre vi erano, alcuni decenni orsono, deichioschi (baracchette) dove si vendevano, tral’altro, bevande preparate con ghiaccio tritato(in piccoli grani e non omogeneizzato come alpresente) ed aromatizzato con sciroppi di varigusti. Erano centri di ritrovo molto frequentatispecialmente d’estate.

Ottobre: sugoli e festa del mosto

Alla Festa del Mosto a Sant’Erasmo, che si svolgeogni prima domenica di ottobre, si possono de-gustare la “grappa al melograno”, le “masanete”ed il “mosto” ottenuto dalle vendemmie effettua-te solo alcuni giorni prima nell’isola.Con il mosto, in varie parti del Veneto, si preparanoi “sugoli”, una specie di budino, ottenuto cuocendoa fuoco lento il mosto, acini d’uva, farina e zucche-ro. I sugoli possono essere serviti freddi o possonoessere conservati in vasetti come marmellata.Le masanete si lessano in abbondante acqua bol-lente leggermente salata, per sette-otto minuti, la-sciandole poi intiepidire nella loro acqua. Si scola-no, si levano le zampe ed il carapace; si condisco-no ancora tiepide con un trito di aglio e prezzemo-lo, olio, sale e pepe. Dopo averle lasciate riposareper almeno un’ora si servono accompagnate dafette di “polenta bianca”.Credo che solo nel Veneto si possa degustarequesto piatto così caratteristico e particolarmen-te gustoso 33) 34) 35) 36) 37.

Novembre: Oche, castagne e vin tien tute parSan Martin

San Martino di Tours, festeggiato l’11 novembre,è uno dei santi più popolari. In questa data sca-devano i contratti ed a volte i contadini dovevanolasciare la casa dove alloggiavano, da cui il detto“far San Martin”. A Venezia, Mestre ed in qual-che paese limitrofo si prepara per questa festa un

gustosissimo “dolce di pasta frolla” che raffigurail santo a cavallo con la spada in pugno. Viene or-nato di palline argentate, ricami colorati di zuc-chero, cioccolatini.Meno frequente è la versione di forma circolare,preparata con mele cotogne, uova e farina (“co-tognata”) sulla quale viene impressa con unostampo la figura del santo.A Mirano (VE) ogni anno si svolge il “Grande gio-co dell’oca” disponendo 63 grandi tavole (di 2metri per 2 e rialzate 80 cm. da terra) attornoall’ovale della piazza formando così una grandepasserella colorata di circa 130 metri.Si possono in quest’occasione degustare “patè,salami e salsicce d’oca”.“A San Martin el mosto deventa vin. Le canpanede San Martin vèrze le porte al vin”: i due prover-bi ci ricordano che da San Martino si può iniziarea bere il vino nuovo. Altra prelibatezza del perio-do sono le castagne arrostite (caldarroste), lessa-te o secche (“straccaganasse”, letteralmente“stanca guance”). Attenti però a non esagerarecon il consumo combinato di castagne e vino chepotrebbe causare reazioni intestinali indesidera-te (Maroni e vin novo, scoreze de fogo).

29

33) http://www.vicenzae.org/ita/component/k2/item/30734) http://www.akkiapparicette.it/ricette/pomegranate-glogg-

grog-analcolico-alla-melagrana-e-la-melagrana-nellarte/35) http://www.alimentipedia.it/Frutta/Frutta_melagrana.ht

ml36) http://alloggibarbaria.blogspot.it/2009/10/festa-del-most

o-santerasmo.htmlFesta del Mosto a Sant’Erasmo37) http://www.cucina-facile.it/secondi/pesce/ricetta_masan

ete_in_insalata_13345.html

Da sinistra:

Il dolce di San Martino in pastafrolla.

Elisabeth Van AlidaKiers-Haanen, “Venditrice dicastagne” (particolare), 1844.

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La cotognata, le Ninfe di Giove e S. Martino38) 39)

“Caratteristica marmellata dura, despartia in to-chi grossi e quadrati, fata co’ i pomi cotogni, os-sia quei che diventa fati d’inverno e che se li polmagnar solo coti. Par vecia tradission, tute le ca-se del Veneto ghe ne gera sempre fornie co abon-danssa, parchè sta marmellata la vigneva fataaposta par el <marendin> dei putei. Ma ancasta bela tradission la xe drio scomparir!”Se una pasta fatta di mele cotogne e miele, comesuggerisce il mito, era l’alimento con il cui le Ninfenutrivano Giove bambino, la cotognata come laconosciamo noi sembra fosse conosciuta in Fran-cia almeno dai tempi di Giovanna D’Arco, la cui ef-fige è presente sulle confezioni di questo prodotto.Più verosimilmente si ritiene che essa sia nata nel1500 e portata in Italia dai monaci che lapreparavano per la festa di San Martino da Tours.Le mele cotogne vanno raccolte di sera, quandosono più fredde, prestando attenzione a nonammaccarle: la mattina seguente sarà così piùfacile levare la leggera lanugine che le ricopre.

Il ponte votivo e la “castradina della Salute”

Di gran lunga meno turistica del Redentore e piùfortemente legata alla dimensione religiosa è la fe-sta della Madonna della Salute che si celebra a Ve-nezia il 21 novembre, per ricordare la fine della pe-stilenza del 1630. La Serenissima, come ringra-

ziamento alla Madonna, fece costruire un tempiograndioso incaricandone della progettazione ilgiovane architetto Baldassarre Longhena.Per facilitare il pellegrinaggio viene allestito ognianno un ponte votivo sul Canal Grande attraver-so il quale migliaia di fedeli si recano nella chiesaper rendere omaggio alla Madonna e ad accende-re un cero affinché interceda per la loro salute.Fino a qualche decennio fa vi era la tradizione dimangiare la “castradina della Salute” per ricorda-re il consumo quasi esclusivo di questa carne affu-micata di castrato che veniva fatto durante il pe-riodo della pestilenza. Si riteneva infatti che lacarne affumicata e salata, proveniente dalla Dal-mazia e dall’Albania, presentasse problemi dicontagio molto inferiori a quelli della carne fresca.I “becheri” (macellai) esponevano all’esterno del-la loro bottega grandi pezzi di castradina, resascura dal fumo, appesi alle architravi delle portee decorati con nastri colorati e festoni di fogliesempreverdi. Il piatto era d’obbligo sia per “i poa-reti che par i siori”.40)

Così il poeta Varagnolo descrive come i Venezianipassavano il 21 novembre:

30

Il ponte votivo sul Canal Grandeper rendere omaggio alla

Madonna della Salute.

38) Salvatori De Zuliani Mariù, “A tola co i nostri veci”, p.289.

39) Autori Vari, “Cucina veneta”, p, 264.40) Salvatori De Zuliani Mariù, Ididem, p. 130.

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... I passa el ponte, i crompa la candela,... I passa el ponte, i crompa la candela,el santo, el zaletin, la coronçina,el santo, el zaletin, la coronçina,e verso mezodì l’usanza belae verso mezodì l’usanza belavol che i vaga a magnar la castradina!vol che i vaga a magnar la castradina!

Canedri Cadorini: el prete col stomego de fero

“Piato sostansioso de origine todesca, fato coi ro-segoti de pan vanzà. Anca i furlani i li fa in ma-niera squasi compagna.” Ingredienti lardo, bur-ro, cipolla, salsiccia, pane vecchio, latte, prezze-molo, uova, sale, pepe, noce moscata, formaggiograna, farina bianca, brodo di gallina vecchia(che fa bon brodo).I canedri, che si presentano come una sorta dignocchi sferici, si possono mangiare in due modi:in brodo od asciutti e conditi con il burro fuso.Questo, che è per i Cadorini un piatto tradizionalenatalizio, è simile ai canederli tirolesi che vengo-no serviti come minestra o conditi con un ragù disalsiccia o come contorno di un piatto di Goulash.Le dosi per i consumatori tedeschi vanno aumen-tate rispetto a quelle degli italiani perchè “i xetanto più magnoni, e abituai a sgionfarse el sto-mego a son de patate ...”.Questo piatto, usuale in Trentino e nel Tirolo, èarrivato anche a Venezia, pur non mettendovi ra-dici, venendo servito solo come un “strambesso”o “tanto par cambiar”.Una vecchia storia trentina racconta di un pretecon un “stomego de fero” che andava ogni dome-nica a dir messa a Paneveggio, un paese abbarbi-cato sulla montagna tra Passo Rolle e Predazzo.Prima di recarsi in chiesa il sacerdote pranzavaabitualmente nella locanda della siora Menegache gli preparava una dozzina di canederli, chedovevano essere grandi non come mandarinibensì come grosse arance. A mezzogiorno tuttigli uomini del paese, compresi vecchi e bambini,si accalcavano alla locanda per vedere questoprete che “ingiotiva de strangolon sti baloni deroba” come fossero piselli. I giovanotti con tantodi occhi spalancati dicevano fra loro: “Desso elsciopa! ... Desso el sciopa! ... Ma Don Bortolo no’lxe mai sciopà, e la domenega drio, ... el tacava lastessa solfa, par tanti ani e tanti ani deseguito”.41)

Il Natale, il Sole Invitto e l’usanza del ciocco

Il 25 dicembre si festeggia la nascita di Gesù pur

non avendo tale data nessun fondamento stori-co. Essa è dunque una data simbolica che si colle-ga esplicitamente alla la festa romana del “Sol In-victus”, istituita dall’imperatore Aureliano(270-275) e fissata pochi giorni dopo il solstiziod’inverno, quando il “nuovo sole” saliva in modopercettibile nell’orizzonte.Si celebravano in quest’occasione cerimonie e gio-chi, come la corsa dei 30 carri, che ricordava larappresentazione del movimento del sole, che siimmaginava trasportato su di un carro splenden-te, portatore ogni giorno della luce nel mondo.Queste feste spettacolari attiravano molto i cri-stiani e così la Chiesa romana, preoccupata dallagrande diffusione dei culti solari, pensò di cele-brare nello stesso giorno la nascita di Cristo indi-cato come vero Sole.Il culto del Sole era così radicato che papa SanLeone Magno (V secolo) scriveva che “alcuni cri-stiani prima di entrare nella basilica di San Pie-tro” ... dopo aver salito la scalinata che portaall’atrio superiore, si volgono verso il sole e pie-gando la testa si inchinano in onore dell’astro ful-gente”.42)

Un’altra usanza, ancora viva in tutta Europa fi-no a metà del Novecento, era quella del ciocco na-talizio, chiamato “suc” in Piemonte, “ceppo”nell’Italia centrale e “zuch” nel trevigiano.Alla vigilia del Natale la famiglia si riuniva attor-no al camino dove veniva posto un ciocco diquercia pronunciando frasi bene auguranti. Inalcune località i bambini recitavano inoltre unacanzone detta “Ave Maria del Ceppo” che “facevapiovere su di loro dolci e regalini”.

31

41) Salvatori De Zuliani Mariù, “A tola co i nostri veci”, pp.29-31.

42) Cattabiani Alfredo, “Calendario”, pp. 20, 71-73.

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Il ceppo, simbolo del Cristo che si era sacrificatoper salvare l’umanità, per sostenere l’uomo nellasua vita terrena, doveva bruciare lentamente per12 giorni, simbolo dei mesi dell’anno, e come ilsole, ‘nato’ dal solstizio d’inverno avrebbe dovu-to nutrire la terra per un intero anno.Si diceva che il Natale era il “giorno del pane” edin questo periodo si mangiavano, come oggi, dol-ci a base di farina fra i quali tra i più diffusi è sen-za dubbio il panettone.Diceva Gesù: “Io sono il pane della vita; chi vieneda me non avrà più fame e chi crede in me nonavrà più sete ...”.Altra curiosa coincidenza consiste nel nome delluogo dove Cristo è nato. Betlemme in ebraico BetLehem, significa Casa del Pane, probabilmenteper la presenza dei numerosi campi di frumentoche circondavano, in quel tempo, la cittadina.Scrive Margarethe Riemschneider: “Nelle usanzedel Natale questo significativo ciocco si è mante-nuto” valendo “come amuleto protettivo per tuttol’anno seguente. Nel periodo natalizio non dove-va mai spegnersi” e neppure consumarsi comple-tamente poichè quel che ne restava garantivaprotezione e benedizione servendo inoltre ad

accendere quello dell’anno successivo.43)

I dolci veneti de Nadal

Panettone: sull’origine del panettone vi è una di-sputa antica tra Milanesi e Veneziani. Se da unaparte si sostiene che sia nato addirittura nel ‘300alla corte dei Visconti, dall’altra si sostiene comeesso possa derivare44) dalla veneziana “Fugassade Nadal” e che il nome derivi da “pan de Toni”.45)

Se le origini del panettone sono incerte ben docu-mentate sono quelle del pandoro.Pandoro veronese: c’è chi sostiene che le originidel Pandoro vadano ricercate in Austria, dove siproduceva il cosiddetto “Pane di Vienna”, proba-bilmente derivato, a sua volta, dalla francese“brioche”. Secondo altri, la ricetta del dolce di Ve-rona potrebbe derivare da quella del ”pane deoro" che trovava posto sulle tavole dei più ricchiveneziani.Nasce ufficialmente il 14 ottobre 1894 giorno incui Domenico Melegatti, fondatore dell’omonimaindustria dolciaria, depositò all’ufficio brevetti laricetta di un dolce morbido e dalla caratteristicaforma di stella a otto punte, opera dell’artista An-gelo Dall’Oca Bianca.Il pandoro può essere visto anche come evoluzio-ne del “Nadalin”, dolce veronese anch’esso a for-ma di stella.46)

“Convien scaldar el pandoro veronese prima demagnarlo parchè cussi el butiro, che ghe xe dentrol’impasto, comincia a descolarse, e xe facile che tite descoli anca ti a magnarlo tanto che el xe bon”.Si apre il sacchetto che lo contiene introducendo-vi lo zucchero a velo presente nella confezione; sirichiude il sacchetto e lo si agita in modo tale chelo zucchero si distribuisca uniformemente sullasuperficie. È così pronto per essere tagliato a fettee servito.Nadalin veronese: sembra sia nato nel 1260quando i Della Scala, Signori di Verona, “nelprimo Natale seguente al loro insediamento,incaricarono un pasticcere locale di creare un

32

43) Ibidem, pp. 80-82.44) Autori Vari, “Cucina veneta”, p. 25445) Salvatori De Zuliani Mariù, “La nuova Venezia”, p. 425.46) http://www.scaligeri.com/index.php/curiosita-sul-xiv -s-

ecolo

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dolce, che potesse diventare il simbolo dellacittà.” Il Nadalin ebbe un successo notevole,divenendo così il dolce natalizio veronese pereccellenza. Il suo aspetto a forma di stella loricollega alla cometa che condusse i Re Magi allagrotta dove Gesù nacque.

Mandorlato di Cologna Veneta

“Lè a Cologna Veneta, bela citadina a Sud-Est deVerona, che ga origine la storia e el fasino de staspecialità insuperabile e de otima qualità, ancoraancò fedele in tuto a la riceta e a el modo de farlasecondo la tradision: el famoxo Mandolato deRocco Garzotto. L’ era el 1840 coando el spesialeRocco Garzotto el ga vuo la bela idea: smisiare in-sieme quelo che par i antichi l’era el nutrimentode le divinità, cioè el miele, co el bianco de l’ovo,sucaro e mandole spelae”.La sua fama oltrepassò ben presto le mura di Co-logna e il notevole aumento della richiesta reseroinsufficiente la produzione di mandorle della vi-cina Val d’Illasi. Fu così che Rocco Garzotto co-minciò a rifornirsene a Ceglie di Campo, nei pres-si di Bari.Il Mandorlato di Cologna, prodotto da più di 160anni secondo la stessa ricetta, ambasciatoreoltreoceano dell’arte pasticcera veneta, ha avutoimportanti riconoscimenti nell’ambito di esposi-zioni universali facendo si che il suo inventorericevesse perfino la benedizione di un papa, pro-babilmente di Pio X. 47) 48)

I 365 scalini di San Silvestro e l’Imperatore Co-stantino

A San Silvestro, che fu Papa dal 314 al 355, furo-no attribuiti molti miracoli. Secondo una leggen-da che si narra a Poggio Catina, in provincia diRieti, vi era una fossa abitata da un drago il quale,da quando l’Imperatore Costantino si era converti-to al cristianesimo, uccideva col suo soffio pestife-ro, più di trecento uomini ogni giorno. L’Impera-tore si rivolse a Papa Silvestro che, avuta la visio-ne di San Pietro, ne seguì le istruzioni. Si recò cosìpresso la fossa, e scesi 365 scalini incontrò la be-stia feroce a cui legò al collo un filo con il sigillo diCristo, rendendola in tal modo inoffensiva.La vittoria sul drago è una chiara allegoria diquella sul paganesimo e i 365 scalini rappresen-tano i giorni dell’anno romano che Silvestroavrebbe consacrato al cristianesimo. Il 31 dicem-bre, festa di San Silvestro diviene così il simbolo

del passaggio “dall’anno idolatrico all’anno dellavera fede”.49)

I vari capodanni italiani

Fino al 1700, contrariamente ad oggi, il Capo-danno non era festeggiato il 1° gennaio: la suadata variava nei vari stati italiani, in un periodocompreso (salvo eccezioni) da dicembre a marzo.Se a Milano era adottato lo stile della Natività (25dicembre) a Firenze era in uso quello dell’Incar-nazione (25 marzo) ed entrambi convivevano inSicilia fino al 1600.Sino al 1600 a Bari il nuovo anno cadeva il 1°settembre, secondo lo stile bizantino mentre aVenezia, fino allla caduta della Repubblica(1797), veniva usato lo stile veneto (“more vene-to”) che fissava il Capodanno al 1° marzo50).

I frutti del buon augurio

Per la cena di San Silvestro non dovrebbe mancaresulla tavola un cesto con l’uva e le melagrane,

33

47) http://www.sitoveneto.org/mandolato_de_cologna_ve-neta.html

48) http://www.garzottorocco.com/passione/ppassione.aspx49) Cattabiani Alfredo, “Santi d’Italia”, p. 878.50) Cattabiani Alfredo, “Calendario”, p. 115.

Papa Silvestro I e l’ImperatoreCostantino.

Page 10: 22 ST RIA VENETA STORIA...I frutti del melograno erano sacri a Era-Giunone che li ricevette come dono di nozze dalla madre quale augurio di fecondità.31) Le spose turche, secondo

frutti bene auguranti e portatori di allegria. L’u-va è stata da sempre il simbolo sacro dell’immor-talità ed i molti riferimenti ai tralci ed ai frutti del-la vite presenti nel Vangelo assumono precisi si-gnificati sino a fare del vino il sangue stesso diCristo.Se oggi l’uva la troviamo, freschissima e bellissi-ma, anche a Capodanno, un tempo nelle campa-gne si prelevava dai tralicci dove venivano appe-si i grappoli destinati alla produzione del vinopassito o al desco natalizio. È di tradizionalebuon augurio mangiarne 12 chicchi, uno perogni mese dell’anno appena iniziato.La melagrana “In Israele è il frutto simbolico delnuovo anno ebraico trasferendo nell’aspetto diquesto frutto l’auspicio che i meriti di ognunopossano aumentare copiosamente come il nume-ro dei suoi semi”.E proprio in Israele hanno recentemente stabilitoche i semi del melograno sono ricchissimi di an-tiossidanti ed un gruppo di specialisti della Fa-coltà di Ingegneria dell’Alimentazione hannorealizzato un sistema per produrne un vino e unolio dalle proprietà terapeutiche. Si realizza cosìin concreto l’augurio di buona salute che il melo-grano porgeva.Durante la notte di San Silvestro, i ragazzi nelVeronese vanno per le strade a cantare la “stren-na” augurando un felice anno nuovo e facendorichiesta di doni:51)

“Bon dì, bon ano, bon capo d’ano;“Bon dì, bon ano, bon capo d’ano;- le bone feste le bone minestre;- le bone feste le bone minestre;- na roca de cana, la padrona la staga sana:- a Natal un bel porzèl, a Pasqua un bel- a Natal un bel porzèl, a Pasqua un bel

agnèl;- un granar carco de formento e formenton,

una càneva de vin bon,una càneva de vin bon,- una borsa d’oro e n’antra d’argento:- una borsa d’oro e n’antra d’argento:- caro paron, feme la bona man, che mi- caro paron, feme la bona man, che mi

son contento".son contento".

Musetto e lenticchie

Una tradizione ancora viva nel Veneto è quella dimangiare per San Silvestro o Capodanno il “mu-setto con le lenticchie”.Il musetto è la denominazione veneta del cotechi-no, realizzato con un impasto simile a quello del-lo zampone che viene tuttavia insaccato in un di-verso contenitore: il budello del maiale.L’impasto del musetto viene preparato utilizzan-do gli scarti della bestia come le rifilature di spallae di prosciutto, e di cotenna ai quali vengono ag-giunti sale, pepe intero, pepe macinato, aglio pe-stato, vino. Il musetto, più magro del cotechino,viene preparato, in qualche località, utilizzando lalingua intera o macinata assieme alle altri parti.Secondo la credenza popolare mangiare un cuc-chiaio di lenticchie allo scoccare della mezzanot-te, ma prima del brindisi, assicura un anno riccodi successo e di soldi. Tale credenza potrebbe de-rivare dalla forma di questo legume, tonda ed ap-piattita, che ricorda quella di una moneta.Per i vegetariani si consiglia in alternativa un’ot-tima “zuppa di lenticchie” preparata con salvia,prezzemolo, sedano, cipolla, aglio, pomodoro,olio di oliva ed alcune fettine di pane.52) 53)

Stefano Zabeo

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51) http://artevizzari.italianoforum.com/t954-capodanno52) http://www.alimentipedia.it/Legumi/Legumi_lenti_gene-

rale.html53) http://www.pubblicitaitalia.com/cocoon/pubit/riviste/ar-

ticolo.html?idArticolo=9357&Testata=

Nella foto: un gustosissimopiatto di musetto e lenticchie.

L’identità culturale del Veneto

Questo breve viaggio attraverso i piatti tipici, le usanze, i proverbi che caratterizzano i variperiodi dell’anno è stato possibile utilizzando, come fonti non solo i libri di storia e di cucina,i ricordi personali, i colloqui con amici e conoscenti ma anche il materiale documentario pre-sente in Internet che, come un moderno ed efficientissimo “filò”, rende disponibile a tuttiuna mole smisurata di notizie, immagini e spunti di ricerca. Sembra emergere da questa no-stra modesta narrazione un quadro sintetico delle principali tradizioni della nostra regione,una ricomposizione che delinea una parte importante dell’identità culturale del Veneto,un’identità tutta da riscoprire.