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RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MODA CULTURA COPIA GRATUITA - Anno 5 - N. 9 - Settembre 2009 - Tiratura copie 20.000 Storie di paranormale Cafè Chantant e un pò di varietà Santa Inquisizione Venezia 2009 Baaria - La porta del vento di Giuseppe Tornatore Venezia 2009 Baaria - La porta del vento di Giuseppe Tornatore MENICHELLI MENICHELLI

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RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MODA CULTURA COPIA GRATUITA - Anno 5 - N. 9 - Settembre 2009 - Tiratura copie 20.000

Storie di paranormale Cafè Chantant e un pò di varietàSanta Inquisizione

Venezia 2009Baaria - La porta del vento

di Giuseppe Tornatore

Venezia 2009Baaria - La porta del vento

di Giuseppe Tornatore

MENICHELLI MENICHELLI

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Le geografia del gusto tra mondializza-zione e radici locali.L’accelerazione di trasferimenti e scambidi persone, beni e informazione portaad una inesorabile uniformazione cultu-rale che appare evidente in tutti i setto-ri. Alimenti e bevande costituisconoaspetti essenziali della vita materiale eculturale delle società umane. Lo scopodi mangiare e bere, oltre che ristorare, èanche un mezzo per rispettare i valori aiquali siamo legati. Tutte le religioni han-

no sempre predicato, o al contrario proibito, il consumo di deter-minati alimenti o di certe bevande dal forte valore simbolico.Dai fattori complessi e ricchi di connessioni della diffusione deglialimenti e delle bevande è nata una geografia, anch’essa comples-sa e mobile nel tempo. Ad esempio, il consumo della pasta cuci-nata all’italiana o della pizza sono in grande espansione ovunquenel mondo compresi i Paesi poveri o quelli “fermati” culturalmen-te per molto tempo, come la Russia o la Cina. Un discorso a parte merita l’hamburger, originario dell’Europa set-tentrionale e diventato piatto nazionale degli Stati Uniti. Oggi,grazie ad una postazione informatica, la banca dati on-linewww.culturagastronomica.it, realizzata dal BAICAR Sistema Cultu-ra insieme all’Università di Bologna e all’Istituto per i Beni Cultura-li dell’Emilia Romagna, sarà possibile consultare, per la primavolta, i luoghi e le fonti della Cultura Gastronomica Italiana. Unostrumento indispensabile per chi si occupa di cucina in terminiprofessionali; un contenitore pieno di notizie e curiosità gastrono-miche, che permette di disegnare itinerari del gusto; un patrimo-nio che, grazie alla ricchezza delle produzioni alimentari, stadiventando una delle motivazioni turistiche fonti del viaggio in Italia.

Mara Parmegiani

“Dolcevita”Canale SKY 906

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IN QUESTOnumeroLA MAGIA DI BAARIA

MODAMODA

FACEBOOKFACEBOOK

LA MAGIA DI BAARIA

La magia di Baaria

Moda

Roma by Night

Facebook

Santa Inquisizione

L’incenso

Maria Callas

Caffè Chantant

Tunguska

Trent’anni di moda di Camillo Bona

I must dell’Autunno

Craig Warwick

Libri - Eventi - Mostre

Ricettae Oroscopo del mese

L’INCENSOL’INCENSO

CAFFÈ CHANTANTCAFFÈ CHANTANT

MARIA CALLASMARIA CALLAS

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“Baaria è un suono antico, una formula

magica, una chiave. La sola in grado di

aprire lo scrigno arrugginito in cui si na-

sconde il senso del mio film più personale.

Una storia divertente e malinconica, di

grandi amori e travolgenti utopie. Una

leggenda affollata di eroi”.

Queste le parole di Giuseppe Tornatore per

commentare il suo ultimo film “Baaria”,

una sorta di Amarcord, che apre il 2 set-

tembre in concorso la 66ª edizione del Fe-

stival del Cinema di Venezia.

Che si sa di questo film? Molto poco. Esat-

tamente un anno fa Tornatore, sul set a

Tunisi, aveva parlato di una storia che at-

traversa il Novecento, soprattutto tra gli

anni ‘30 e i ‘70, raccontando la storia

d’amore di Mannina e Giuseppe, dei loro

padri e dei loro figli, tre generazioni che

vediamo crescere nell’Italia di quegli an-

ni.

“Non è un film autobiografico - aveva

detto allora Tornatore - ma è un film

personale, quello che si avvicina di più al

“Nuovo Cinema Paradiso”. C’è nostal-

gia, anche malinconia e la risata che ti

porta a riflettere, ci ricorda che la pas-

sione politica e civile è stata per tutti noi

qualche cosa di positivo, ma Baaria”, -

aggiunge-, “è anche il nome di un paese

siciliano, dove la vita degli uomini si dipa-

na lungo il corso principale. Poche centi-

naia di metri, tutto sommato. Ma

percorrendole avanti e indietro per anni,

puoi imparare ciò che il mondo intero non

saprà mai insegnarti”.

Il film, prodotto da Medusa (oltre 20 mln

di Euro), girato prima nella vera Bagheria,

in Sicilia, e poi in quella ricostruita senza

badare a spese da Maurizio Sabatini in

una vecchia fabbrica di Ben Arous, sob-

borgo di Tunisi.

Un impegno notevole. Sono stati rifatti i

quattrocento metri di corso re Umberto, la

strada principale di Bagheria, duecento

metri di strade secondarie con centoquat-

tro ambienti diversi, tra i quali la chiesa,

con il suo piazzale sul quale si affaccia il

Gran Bar, i tabacchi, il barbiere, il cinema

Vittoria e la macelleria.

Insomma un set tre volte più grande di

quello di Gangs of New York fatto per

Scorsese a Cinecittà. Una scenografia resa

poi anche più complessa dallo scorrere de-

gli anni con tutte le relative trasformazio-

ni delle location: come, ad esempio, il

mercato del pesce diventato l’ufficio delle

Poste.

Al film hanno partecipato 20.000 compar-

se e 200 attori.

Tra questi: Nicole Grimaudo, Angela Moli-

na, Lina Sastri, Salvo Ficarra, Valentino Pi-

cone, Gaetano Aronica, Alfio Sorbello,

Luigi Lo Cascio, Enrico Lo Verso, Nino Fras-

sica, Laura Chiatti, Michele Placido, Vin-

cenzo Salemme, Giorgio Faletti, Corrado

Fortuna, Paolo Briguglia, Leo Gullotta,

Beppe Fiorello, Luigi Maria Burruano,

Franco Scaldati, Aldo Baglio, Monica Bel-

lucci, Donatella Finocchiaro, Marcello

Mazzarella, Raoul Bova, Gabriele Lavia e

Sebastiano Lo Monaco.

La musica del nuovo film di Tornatore è fir-

mata ancora una volta da Ennio Morrico-

ne. Infine, tra le curiosità di questa

mega-produzione anche quella che per la

prima volta in un film italiano ci sarà una

doppia lingua: sarà distribuito in dialetto

LA MAGIA DI BAARIA

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di Bagheria in Sicilia, mentre nel resto del

mondo in italiano ‘sporcato di siciliano’.

Già nel 1995 Tornatore era stato protago-

nista alla Mostra di Venezia, presente sia

col documentario sulla “sua” Sicilia “Lo

schermo a tre punte”, sia col lungome-

traggio in concorso “L'uomo delle stelle”,

con Sergio Castellitto, film che vinse il

Gran Premio Speciale della Giuria presie-

duta da Guglielmo Biraghi (e successiva-

mente il David di Donatello e il Nastro

d’Argento per la miglior regia).

Diciannove anni fa invece vinceva l’Oscar

per “Nuovo Cinema Paradiso”.

L’anno prima il film era uscito nell’edizio-

ne definitiva voluta da Cristaldi, conqui-

stando il pubblico e la critica e poi

ottenendo il Grand Prix speciale della giu-

ria a Cannes e, l’anno successivo appunto,

l’Oscar come miglior film straniero. Le mu-

siche del film che vedeva protagonista un

indimenticabile Philippe Noiret, furono

anche all’epoca composte da Ennio Morri-

cone in collaborazione con il figlio Andrea

che proprio per il il tema d’amore venne

premiato nel 1990 con il British Academy

of Film and Television Arts (BAFTA).

Andrea di Capoterra

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L’ALTA MODA S

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In tempi di crisi anche l’Alta Moda si adegua. Come è stato per Parigi, la tendenza è quella di limitare le spese, ed evitare di orga-

nizzare eventi costosi, allestimenti e location faraoniche. È stata Raffaella Curiel a precorrere i tempi, presentando la sua collezione

fuori AltaRoma con un pranzo all’Hotel Inghilterra. Lorenzo Riva ha scelto una suite dell’hotel Exedra come passerella per le sue crea-

zioni autunno-inverno 2010, così come Gianni Calignano che ha sfilato all’Hotel Regina Baglioni, così come Tony Word. Anche Sarli

ha pensato ad un défilé più intimo annunciando che aprirà le porte del suo atelier di Via Gregoriana per la prossima stagione. Gat-

tinoni ha deciso che da gennaio farà sfilare le modelle all’interno della sua maison, perché ritiene eccessivo pagare 250 mila euro

per una sfilata per AltaRoma senza ritorno di immagine e buyers. È quindi auspicabile, come consiglia anche Renato Balestra, il ri-

torno ad un’immagine globale ed unitaria dell’Alta Moda romana. Magari come fece il marchese Giovanni Battista Giorgini che nel

1951 riunì nella sua Villa Torrigiani, a Firenze, le grandi sartorie italiane alla presenza di giornalisti stranieri, assenti alle attuali sfila-

te romane.

M.P.

RAFFAELLA CURIEL

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CEGLIE IL PRIVÈ

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GIANNI CALIGNANO

LORENZO RIVA

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FAUSTO SARLI

TONY WORD

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GATTINONI

RENATO BALESTRA

Foto di Maurizio Righi

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ROMA by NIGHTa cura di Giancarlo Sirolesi

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Manuela Arcuri consegna il premio Forchetta d'0ro a SandroFerrone e a Salvatore Scarfone

Ingrid Muccitelli alla festa di “Amici”

Patrizia Pellegrino alla limonaia di villa TorloniaGina Lollobrigida alla sua personale fotografica con il Sindaco Alemanno

Festa grande alla Maison per l'inaugurazione del locale sul Tevere

Alice Tatucchi - rappresentante italiana dimiss Mondo in Sudafrica

Maria Monsè con il marito Salvatore Paravia

Festa di compleanno della ricercartice Florence Malisan

Fedele Confalonieri in sorridente compagnia

Al Parco S. Sebastianoi il concerto per M. Jackson

Un brindisi tra amiche: Roberta Beta, Irene Bozzi e Nadia Bengala

Premio de l’Osservatorio Parlamentare Europeo a Fausto Sarli per “il Costante im-pegno nel campo della Moda” alla presenza di tutta la Stampal

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Michele Placido al premio “Via Margutta”

Enrico Brignano premiato al Liceo Visconti alla 30°edizioneIl nubifragio a Roma

Loredana Cannata veleggia a bordo della nuova barca di Spanò

Performance di ballerini a Piazza del Popolo

RReennaattoo BBaalleessttrraa,, aall tteerrmmiinnee ddeellllaa ssffiillaattaa,, rriicceevvee llaattaarrggaa ddeellll''OOsssseerrvvaattoorriioo PPaarrllaammeennttaarree EEuurrooppeeoo ppeerr iillssuuoo iimmppeeggnnoo nneell ccaammppoo ddeellllaa mmooddaa

Federica Balestra e Silvana Augero titolaredi una importante scuola di indossatrici

Angela Melillo al Castello di Lunghezza per la presentazione di

una linea di jeans

Monica Riva firma il poster ricordo della serata

Demetra Hampton al Ku-ra Ku-ra

Nancy Brilli alla presentzione del libro di Silvia Paoli

Benedicta Boccoli con Bice Minori, costumista di tantispettacoli teatrali importanti

Un Centurione tatuato a Piazza di Spagna

Zeudi Araya con il suo Massimo Spano alla presentazione del libro di Silvia Paoli

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Brindisi di Balestra con l’imprenditrice della ristora-zione Daniela Amadei

Marco Carta com le amiche di “Amici”

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Non è né il primo né l’ultimo. Non è il pri-mo perché prima di tutti è nato Classma-tes.com; non è l’ultimo perché di recenteè emerso Twitter. Parliamo ovviamente disocial network, quei ritrovi mediatici diamici vecchi e nuovi che tanto vanno dimoda adesso. Su di tutti spicca, per nume-ro di contatti, Facebook, nato nel 2004dall’inventiva di un diciannovenne MarkZuckerberg, all’epoca studente dell’Uni-versità di Harvard, aiutato da alcuni suoicompagni di classe. La sua capillare diffu-sione ha messo in luce una rivoluzione so-ciale e comunicativa in atto, cioè unnuovo bisogno di relazionarsi e di comuni-care. Classmates.com è – abbiamo detto -il nonno dei social network. Fu creato nel1995 da un ingegnere della Boeing chevoleva rintracciare un suo vecchio compa-gno di classe nelle Filippine. Da lì fu unsusseguirsi di sistemi simili con finalitàanaloghe: nel 1997 un avvocato lanciòSixDegrees, fondato sulla teoria dei seigradi di separazione, ovvero per raggiun-gere una persona c’è bisogno al massimodi cinque intermediari. Nel 2002 nacqueFriendster per creare una lista di contattipartendo dagli amici degli amici; nel 2003furono elaborati Linkedin per i contattiprofessionali e Myspace per costruire pa-gine personalizzate aperte a tutti. Nel2004 fu il turno di Facebook e nel 2006l’ultima creatura del web, Twitter, che tan-to spazio ha avuto proprio di recente perfar conoscere al mondo quanto accadevain Iran, all’indomani del discusso voto pre-sidenziale. Sarebbe troppo lungo descrive-re tutti i social network attualmente attivi.Ma per capire quanto, su tutti, Facebooksia diventato dominante basti citare qual-che cifra: se Myspace è stato comprato daMurdoch per 580 milioni di dollari, Face-

book ha un valore stimato di 15 miliardi didollari! Inoltre a leggere i dati sui contat-ti, il divario è impressionante: Myspacevanta 81 milioni di utenti nel mondo, Lin-kedin 36 milioni, Twitter solo sei milioni,mentre Facebook ne conta ben 200 milio-ni, di cui circa 5,5 milioni in Italia. Face-book nacque con lo scopo di ritrovare vec-chi compagni di università e poi di mante-nere i contatti tra gli studenti di tutto ilmondo. Il nome deriva infatti dagli annua-ri dei college americani, in cui all’iniziodell’anno accademico vengono pubblicatele foto di ogni singolo membro per esseredistribuiti ai nuovi studenti e al personaledella facoltà al fine di far conoscere le per-sone del campus. Insomma un vecchiostrumento di conoscenza è stato ripreso,portato su Internet e trasformato in unmezzo di comunicazione mondiale di sem-plice utilizzo, accessibile a tutti gratuita-mente. Appena Facebook entrò in scenasul web, nel giro di pochissimo tempo sidiffuse in modo capillare coinvolgendonumerose università. Il sito nacque il 4febbraio 2004 e per la fine del mese più dimetà degli studenti di Harvard era regi-strata al servizio; nel giro di due mesi il si-to coinvolse le Università di Stanford, la

Columbia e la Yale University, il MIT, l’Uni-versità e il college di Boston. E questaespansione proseguì inarrestabile fino aduscire dai confini statunitensi e interessarescuole superiori e aziende di tutto il mon-do. In un solo anno – dal settembre 2006al settembre 2007 – il network è passatodalla sessantesima alla settima posizionenella graduatoria dei siti più visitati. E’ at-tualmente il sito numero uno per foto ne-gli Stati Uniti, con oltre 60 milioni diimmagini caricate settimanalmente. In Ita-lia l’anno scorso c’è stato un vero e pro-prio boom di Facebook con un incrementoannuo per numero di visitatori del 961%!Abbiamo detto che il sito è totalmentegratuito per gli utenti, perché trae guada-gno dalla pubblicità. Ed è semplice: periscriversi basta inserire il proprio indirizzoe-mail e una password. Una volta dentro sipuò cominciare a cercare amici, entrare incontatto con amici di amici, definire il pro-prio profilo con foto e liste di interessi per-sonali e/o hobbies, scegliere a quale equante reti aggregarsi: ne esistono infattimolte organizzate ad esempio per città,posto di lavoro, scuola e religione. Se ini-zialmente questo social network si è diffu-so tra gli studenti, cioè tra quanti avevano

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Il fenomeno facebil nuovo volto dell’amiciz

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più o meno 18 anni, ora sta coinvolgendopersone intorno ai 25 anni o più, dunquenon più studenti. In effetti Facebook èquanto di più trasversale possa esistere inrete e non solo. Infatti ha incuriosito e at-tratto centinaia di migliaia di persone maiiscritte prima a simili servizi, e molto spes-so anche a digiuno di concetti new-media-tici. Si è in sostanza avviato – per unaqualche ragione ancora difficile da deci-frare – un passaparola inter-generazionaleche ha innescato un circolo vizioso stuzzi-cando la curiosità di tutti. Ma qual è la dif-ferenza tra Facebook e gli altri socialnetwork? Innanzitutto la semplicità percui, grazie ad una interfaccia immediata,chiunque può riallacciare contatti lontaninel tempo. Ma anche, e soprattutto, il fat-to che Facebook abbia un modo infallibileper riallacciare amicizie: appena un utentecarica una foto nel suo spazio, il sistemainvita ad identificare anche altri soggettieventualmente presenti su quella foto.Ogni fotografia è così sottoposta al vagliodegli amici, degli amici degli amici, degliamici degli amici degli amici, dove ognu-no riconosce qualcun’altro e lo invita adentrare nella rete di relazioni. Un’arma pe-rò a doppio taglio: se da un lato infatti èpiù facile trovare compagni e amici persinel tempo, dall’altro molti si ritrovano sulsito senza neppure saperlo. Facebook nonè il luogo dell’anonimato e dell’identitàfalsa. Sul sito ognuno si deve presentarecon il proprio nome e cognome, con ilproprio volto reale. Ma, come si fa in unanuova conoscenza vis à vis dove si cerca didare il meglio di sé all’interlocutore, anchesu Facebook scatta lo stesso meccanismo,e così si sceglie la foto migliore, quella chesi pensa ci rappresenti meglio, dia megliol’idea della nostra personalità o quanto-meno di ciò che vogliamo comunicare. Ac-canto alle foto poi ognuno racconta chi è,che fa, qual è la sua professione, quali so-no i suoi gusti, il suo stato civile, anche lasua religione e il suo orientamento sessua-le. Dà insomma informazioni generiche,ma utili a stabilire i primi contatti. Infinesu questo profilo si avvia la conversazionea cui possono partecipare tutti gli utentidella stessa rete, oppure si può avviareuna conversazione privata tra due perso-ne. Il profilo non è definito una volta pertutte, perché si possono aggiungere nuovielementi, come foto, valutazioni, com-menti, giudizi, pareri. Ogni elemento ag-giunto, che può peraltro esserecommentato dagli amici, costituisce un

pezzo dell’identità dell’utente, con il ri-schio però di costruire un’immagine piùpubblica che reale. Secondo le statistiche ogni mese vengonocaricate su Facebook 700 milioni di imma-gini, tanto che attualmente se ne contanocirca 10 miliardi, quattro milioni di video e15 milioni tra note, link e post vari. I com-menti vengono poi pubblicati sulla propria“bacheca” – accessibile a tutti – uno dietrol’altro. Ma, come abbiamo accennato, sulsocial network si può anche avviare unaconversazione privata, escludendo gli“amici”, anche se il confine tra pubblico eprivato è spesso labile. La protezione delmezzo, la lontananza del soggetto per-mettono di dichiarare cose di se stessi chealtrimenti non si rivelerebbero, con il ri-schio di ritrovarsi però stretti in un ingra-naggio da cui è difficile uscire. Molti allorahanno cominciato a stabilire nuove regoleper l’accettazione degli amici. C’è chi è piùconservatore, non fa cioè ulteriori aggiun-te alla propria rete online già strutturata;e chi invece è aperto a nuovi contatti, an-zi li cerca, in un’ottica di integrazione tramondo telematico e mondo reale. I social network sono un privilegiato ele-mento di studio dei sociologi interessatialla rete relazionale che si instaura sulweb. E proprio un sociologo dell’Universi-tà di Harvard, Nicholas Christakis, uno deimassimi esperti di social network, ha ri-scontrato che anche nelle amicizie onlinevale il principio “chi si somiglia, si piglia”.Questo vuol dire che, non solo nella vitareale, ma anche sul web si lega più facil-mente con chi è più affine per sesso, età,provenienza etnica ed estrazione sociale.Tra gli elementi che più determinano coe-sione ci sono indubbiamente i gusti musi-cali, seguiti dalle letture e dalle preferenzecinematografiche. E’ pur vero che in rete igruppi sono più eterogenei e le donne so-prattutto sono aperte alle conoscenze piùstravaganti. Ma in genere è così. E questoprincipio vale anche per le foto: i sorriden-ti si attraggono tra di loro, così come i mu-soni, gli alternativi, i malinconici tra diloro. Potremmo definire Facebook più cheil “libro delle facce”, il “libro della doppiafaccia”, non tanto per una presunta falsi-

tà degli utenti. Costruire un’immagine disé che possa piacere agli altri è un mecca-nismo comune a tutti, dentro e fuori la re-te, quanto piuttosto per i risvolti subdoli ea volte negativi che il sistema stesso na-sconde. Può infatti diventare una sorta didroga mediatica perché nel momento incui si entra nella rete, essa stessa (e il ter-mine lo conferma) ti cattura in un vorticedi contatti, relazioni, scambi che possonooccuparti per ore. E’ quello che gli espertiinglesi chiamano “friendship addiction”,cioè una specie di dipendenza da amici. Se mediamente si dedica ai social networkalmeno trenta minuti al giorno, c’è chi in-vece vi passa interi pomeriggi, quandonon intere giornate. Le sollecitazioni sonocostanti e continue per gli utenti, quandonon proprio pressanti, tanto che molti,quando non sono connessi, presentano isintomi della sindrome da astinenza: an-sia, depressione, sudorazione, paura pernon sapere cosa sta succedendo in quelmomento sul network. Tornare davanti alcomputer è la scelta inevitabile. Ma ci so-no pure molti che, superata la fase di en-tusiasmo dovuta alla curiosità del mezzonuovo di comunicazione, arrivano a matu-rare un vero e proprio rigetto. C’è chi in-vece, forse grazie ad una gestione piùequilibrata, semplicemente si assesta suun livello accettabile di comunicazione,paragonabile a una telefonata con gli ami-ci per scambiare quattro chiacchiere.

book:izia

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Ma perché si va su Facebook? A quali bi-sogni risponde visto che ha raccolto uncosì ampio consenso in pochissimo tem-po? C’è chi sostiene che permetta “ai suoiutenti di sentirsi parte di una rete di rela-zioni che hanno un volto e una storia quo-tidiana alla quale si può partecipare conun click.” (Antonio Spadaro, da “I quader-ni della Civiltà Cattolica). In poche parolerisponde alle esigenze di semplificazionedei rapporti umani: non si spreca tempo acercare perché le amicizie ti vengono lette-ralmente incontro, non si deve fare la fati-ca di uscire di casa anche quando non va,è meno costoso di una telefonata, masoddisfa di più perché fa sentire meno iso-lati, è meno impegnativo perché, comeserve un click per avviare la conversazione,basta un click per interromperla. Certo, il rischio di creare rapporti superfi-ciali ed effimeri è molto alto. In genere inquesto tipo di relazioni non si cerca la pro-fondità di pensiero e di anima, ma unasorta di comprensione reciproca di frontead una solitudine interiore difficile da sop-portare. Si rischia, in sostanza, di confon-dere il bisogno di conoscenza e diamicizia, fuori dalla ristretta cerchia fami-liare e amicale già consolidata nella vitareale, con un istinto di esibizionismo e dinarcisismo, con una forma di vanità non-ché di riconoscimento del proprio valoresolo attraverso lo specchio della presenzaaltrui. Avere molti amici – e su Facebook siva da un numero medio per utente di 120contatti a 500, fino a migliaia di amici (illimite massimo è 5.000) – significa esseresocialmente più attraenti. Andando avantiperò si può arrivare a scoprire la vacuitàdell’intero meccanismo, anche perchéspesso si perde gran parte del tempo acercare una frase originale per fare colpoinvece che essere ciò che si è. C’è chi so-stiene però che chi investe in questi lega-mi, riesce ad ottenere più informazioni epiù contatti rispetto a chi si chiude neirapporti conosciuti. E in fondo “nulla im-pedisce a un legame debole di diventareun legame forte” (Eugenio Spagnuolo, so-ciologo). Ma una conseguenza possibile èquella di perdere il contatto con la vita

reale, e per questo c’è chi suggerisce diutilizzare Facebook soprattutto per rinsal-dare relazioni che hanno già una vita au-tonoma fuori dal web, ritornando delresto alla sua finalità iniziale, di ritrovarecioè compagni di classe e amici d’infanziaappartenenti alla vita offline. Ci sono altreinsidie che si nascondono dietro la faccia-ta della globalità comunicativa. In rete sitrovano amici vecchi e nuovi, si possonorintracciare ex, si possono trovare nuovi fi-danzati, ma si può anche scoprire che ilproprio matrimonio è finito senza saperlo;si possono scoprire tradimenti, non im-porta se solo mediatici o reali; si può sco-prire che la foto di una persona, che cipiace e che decidiamo di conoscere fisica-mente, era molto meglio della realtà; sipuò scoprire che l’amico del cuore nonconsidera l’amicizia allo stesso modo; sipuò diventare verbalmente più violentiperché protetti dal mezzo; si possono ru-bare identità per punire la fidanzata che tiha lasciato e far finire le sue foto su un si-to pornografico; si possono adescare mi-norenni senza che queste/i si rendanoconto del pericolo; si possono conosceremaniaci senza che questo sia emerso sulsuo profilo pubblico. Di contro attraversoi social network si possono far emergere ledifficoltà dei paesi dove vige un regimeautoritario e dove l’informazione è stretta-mente controllata (l’ultimo caso, lo abbia-mo citato, è quello dell’Iran); i medicipossono conoscere l’effetto dei farmaci epossono mettere a punto nuove terapiescambiandosi notizie utili tra un capo al-l’altro del pianeta; si può utilizzare il webper la propria campagna elettorale, comeha fatto Barak Obama, attuale presidentedegli Stati Uniti, che si è avvalso abbon-dantemente di Facebook per mantenere icontatti con i suoi elettori. E forse la suavittoria è dovuta anche a questo. C’è unaltro aspetto di Facebook che non vieneconsiderato, ma che ha determinato inquesti anni alcune polemiche: la tuteladella privacy. Secondo infatti le condizionidi iscrizione al sito, i contenuti pubblicatidagli iscritti, come fotografie, commenti,video, diventano di proprietà del sito stes-so, che si arroga il diritto di rivenderli etrasmetterli a terzi, di conservarli anchedopo la cancellazione del profilo degliutenti. Ciò significa che qualsiasi cosa si inserisce in Facebook diventa “di” Face-book che può farne quello che vuole. I da-ti, anche quando vengono cancellati pub-blicamente, restano sotto forma di copianella memoria del network che può così ri-pescarli a suo piacimento. Inoltre, secon-do la policy di Facebook, non esiste alcuncontrollo su “chi-può-vedere-cosa”; il co-pyright di tutto ciò che vi è pubblicato ri-cade sotto la totale giurisdizione del sito;e non è garantita la sicurezza delle appli-cazioni, né quella dei dati né tantomeno laprivacy. Ma su questo, almeno in Italia, si

è intervenuti: il nostro codice di protezio-ne dei dati personali prevede per l’utenteil diritto di sapere a chi vanno i propri da-ti, come verranno trattati, di vietarne lapubblicazione e anche di rendere definiti-va la propria cancellazione dal sito suesplicita richiesta. In conclusione Face-book è di sicuro uno degli aspetti dellostesso progresso scientifico che ha creatoil telefono, il cinema, la televisione e ognimezzo di comunicazione. E in quanto talenon può considerarsi un punto di arrivo,né un superamento delle precedenti for-me di comunicazione. Qualsiasi formanuova integra infatti in sé quella vecchia ela sublima su un piano superiore. Così so-no anche i social network. E proprio perquesto non vanno né demonizzati a prio-ri, ma neppure esaltati. Certo il fenomeno Facebook ha messo inevidenza un bisogno di relazione e di so-cializzazione che forse non era mai appar-so con tutta questa forza, anche se resta ilproblema della qualità della relazionestessa. A guardar bene però la vera novitàdi Facebook è stata quella di aver trasfor-mato Internet in una rete di persone, enon più solo di pagine e contenuti, incar-nando l’utopia della vicinanza “sempre e comunque”, della conoscenza “sempre ecomunque”, dell’annullamento della soli-tudine, della condivisione delle emozioni.Eppure proprio in questo “sempre e co-munque” si rischia l’aridità, perché il no-stro sentire interiore, in quanto tale, “vaprima di tutto vissuto e compreso, non ne-cessariamente condiviso. Comunicandoogni cosa, finiamo per aver bisogno diconferme continue per capire chi siamo ecosa sentiamo” (Sherry Turkle, sociologadel MIT di Boston). Come a dire che ci ri-conosciamo solo tramite gli altri e mai at-traverso noi stessi. E in questo modoanche la nostra personalità diventa “me-diatica”, perché mediata dalla relazione enon esistente indipendentemente da essa.

Cristina Guerra Giornalista RAI 1

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«Tutte le malattie sono programmi biologici di sopravvivenza, larisposta del nostro cervello a una situazione emozionale incom-piuta». In queste poche parole sta tutto il significato della “Bio-psicosomatica” o il “Senso Bio-Etologico delle malattie e delcomportamento”, che affronta le grandi leggi biologiche chepresiedono l’insorgere e la scomparsa della malattia. Malattia,che secondo il suo fondatore Jean Claude Badard, ricercatore,formatore, esperto in psicosomatica e psicogenealogia, è al di làdelle cause, malattia psicosomatica, o di reazione biologica, checoinvolge l’unità fondamentale dell’essere vivente. Unità, composta di quattro realtà inseparabili: organica, cerebra-le, psichica, energetica e che si esprime attraverso la psiche, leemozioni, il corpo, i comportamenti, la malattia. Partendo dalcredo fondamentale della biopsicosomatica, secondo il quale“ogni cellula del corpo umano è sotto il controllo del cervello eogni parte stratificata del cervello è indissolubilmente legata al-l’altra, per cui non esiste alcuna cellula del corpo che sfugga alcontrollo della psiche conscia o inconscia”, non si sfugge al fatto che gran parte delle malattie hanno una origine psicosomatica. Dell’influenza della psiche nei processi di malattia e di guarigio-ne si cominciò a parlare negli anni 50 con Henry Laborit e i suoifamosi esperimenti sui topi in gabbia sottoposti a condizioni distress. Laborit disse che quando viviamo un problema e non pos-siamo risolverlo, non possiamo né fuggire, nè combattere, ci am-maliamo. È nell’inibizione all’azione, dunque, che ci si ammalaperché il cervello non può dare risposte liberatorie. Per Laborit,una volta compreso che ogni azione è inefficace, l’uomo si inibi-sce e sfoga questa sua inibizione con malattie psicosomatiche.Badard va più a fondo e distingue: “poiché il cervello gestiscetutte le funzioni, esso non può occuparsi solo di questo proble-ma. Allora, delegherà la gestione del conflitto ad uno specificogruppo di neuroni, isolerà tale gruppo di cellule nervose che de-vono prendersi in carico il controllo dello stress”. Questo, secon-do Badard, ha tutta una serie di effetti, il più importante è chequesti neuroni gestiscono un tessuto ed anche un comporta-mento che potranno subire una modificazione. Che cosa porta ilnostro cervello ad isolare un certo gruppo di neuroni? Non è l’av-venimento in quanto tale, ma ciò che noi proviamo in riferimen-to ad esso. Arriviamo dunque al “nostro RI-SENTITO”, a ciò chel’avvenimento ”provoca dentro di me, nel mio profondo”. Si trat-ta di un meccanismo non casuale che garantisce la sopravviven-

za dell’individuo, ma tutto avviene al di fuori della nostra cono-scenza, in quanto come spiega Badard, una volta isolato il grup-po di neuroni, il resto del cervello non ha più accesso alleinformazioni che provengono da quel gruppo di cellule. Un mec-canismo evolutivo: gli avvenimenti ai quali l’uomo si è dovutoadattare hanno indotto nel cervello un cambiamento o la crea-zione di nuove connessioni o tessuti cerebrali, che hanno porta-to a nuovi comportamenti in grado di risolvere, ogni volta, undeterminato avvenimento-problema. Il “Risentito, la problematica vissuta e non risolta, diventa quin-di, su un piano diverso, il motore del processo di adattamento,relativamente al Risentito, cioè a come si è vissuto un avvenimen-to. Quindi – dice Badard - non è la situazione, ma ciò che si ri-sente e questo Risentito scaturisce da una memoria incoscientee biologica ereditata dal suo albero genealogico (genitori e an-che nonni). Il cervello crea un programma cellulare (una memo-ria incosciente) a partire da una situazione emozionale nonconclusa (memoria cosciente). Se l’antenato, a suo tempo, nonera riuscito a risolverlo, l’ha lasciato in eredità a noi come se-quenza emotiva non conclusa o conflitto. A noi la possibilità dichiudere la stessa sequenza emotiva”. Al momento del concepi-mento ereditiamo dai nostri genitori una serie di memorie, che,a loro volta, hanno ricevuto dalla loro linea familiare. Tra questielementi, che si applicano in maniera automatica (la corporatu-ra, il colore degli occhi, dei capelli ecc.), ci saranno anche tutte lerisposte comportamentali. “Quando nel corso della nostra vita, -dice ancora Badard, - si ha un conflitto dello stesso tipo a cui ècollegato il medesimo risentito, la memoria si “riattiva” e, se poiviviamo ancora una volta lo stesso conflitto, scatterà l’applicazio-ne del programma collegato alla memoria, che il cervello appli-cherà al tessuto o al comportamento. “Da quel momento -conclude - sono soltanto fotocopie: diamo sempre la stessa ri-sposta. Il primo conflitto, che riattiva la memoria, è detto pro-grammante, il secondo, che la applica, è detto scatenante. Eccocome, nasce la malattia o come può cominciare un comporta-mento anomalo”.

Rita Lena

Biopsicosomaticaquando il conflitto non

risolto scatena la malattia

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dazione, la forca dell’eretico, gli

stivali, l’impalazione. La più co-

mune, restava la tortura della

“corda”, una delle torture più

semplici, e quindi più praticate.

Da una trave pendeva una cor-

da. La vittima veniva lasciata ca-

dere coi polsi legati dietro la

schiena, da una certa altezza,

producendole slogature alle

braccia e alle spalle. Fra tutte, la

più crudele delle torture era “la

forca dell’eretico”, uno stru-

mento che veniva conficcato

nello sterno e sotto il mento,

con le estremità acuminate, così da bloccare all’accusata ogni movimento, permettendole solo di sussurrare le proprie confessioni.

Un’altra tortura assai applicata era quella del “cavalletto”: un tavolo che si inarcava e dove l’imputato, legato mani e piedi, si trovava

ad un certo punto con le membra violentemente stirate. In questa scomoda posizione spesso gli era inflitta anche la tortura dell’acqua,

IL MITO DELLE STREGHE EIl mito della strega cavalca i se-

coli, e giunge sino a noi, nella

forma che ci è data dalla tradi-

zione popolare: essere sopran-

naturale, o donna reale dotata

di poteri straordinari, che prati-

ca la magia nera e dirige i suoi

eccezionali poteri a danno di al-

tre persone. Il grande nemico

delle streghe era la Santa Inqui-

sizione, che nei loro cosidetti

interrogatori sotto torture indu-

cevano o estorcevano le cosidet-

te confessioni. Le principali

torture, erano la corda, la gar-

rotta, la ruota, la frusta, la lapi-

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ossia il carnefice gli versa-

va nella bocca acqua fino

a fargli gonfiare a dismi-

sura l’addome, quindi gli

aiutanti del carnefice gli

saltavano sul ventre per

“svuotarlo”. La “candela

stregata” e il “filo d’ac-

qua” erano riservate alle

inquisite per stregoneria.

Nella prima, la poveretta

era legata supina su un

tavolo, con una candela

tra i denti tenuta in posi-

zione eretta da speciali

cinghie. Accesa la cande-

la, la strega riceveva sul viso la cera bollente in liquefazione fino

a quando la fiamma raggiungeva le labbra. Nella seconda, l’im-

putata veniva collocata nuda sotto un sottile getto di acqua ge-

lata e lasciata così per ore. Alcuni inquisitori domenicani si

specializzarono in esorcismi, diventando abilissimi a ripulire i

corpi e le anime invasi dai demoni. Il rituale cat-

tolico per esorcizzare era complicato, fat-

to di formule, preghiere, aspersioni

di acqua benedetta e unzioni

con olio santo; spesso inuti-

le, perché i demoni o era-

no in numero enorme,

oppure erano talmente

potenti da resistere ad

ogni tentativo di stanar-

li. Il più famoso esorcista

italiano fu il frate Girola-

mo Menghi che divenne,

ancora giovane, l’esorcista uffi-

ciale della diocesi attorno a Bolo-

gna, dove si verificavano spesso casi di

possessione. Raccolse le sue esperienze nel

“Compendio de l’arte esorcistica”, trattato di demonologia che

parlava della natura del demonio, dei misfatti delle streghe e dei

rimedi per contrastare i malefici; ed anche nel “Flagellum dae-

monum”, manuale pratico che insegnava in che modo interroga-

re i demoni per ottenerne informazioni. Il libro divenne il fedele

compagno degli esorcisti. Nel 1609 nel convento di Aix en Pro-

vence due giovani suore, Madeline de Demandoix Palud e Louise

Capeau, manifestarono sintomi di invasamento. Madeline, da ra-

gazzina, era andata al convitto delle Orsoline, dove aveva avuto

per confessore il prete Louis Gaufridi, del quale si era innamora-

ta; ai parenti la ragazza

aveva confessato di esse-

re diventata l’amante del

sacerdote a tredici anni.

Per evitare lo scandalo, i

familiari avevano messo

tutto a tacere e mandato

la ragazza ad Aix. Col

tempo Madeline e Louise

ebbero sintomi sempre

più violenti, durante i

quali dissero di essere in-

vasate dai demoni man-

dati da Gaufridi. Furono

chiamati in aiuto due fra-

ti, padre Michaelis, inqui-

sitore ed esorcista, e padre Domptius, un domenicano

specializzato nello scacciare i demoni più ostinati; l’esorcismo

non ebbe alcun risultato. Si chiese allora l’arresto di padre Gau-

fridi, che le monache accusavano di pratiche sataniche; il sacer-

dote fu imprigionato ed invano si proclamò innocente. Torturato

ripetutamente, egli infine ammise tutto ciò che

gli inquisitori volevano sentirsi dire. Al

processo ritrattò, dicendo di aver

confessato solo a causa delle

torture, ma non fu creduto e

nel 1611 fu mandato al ro-

go. Sempre in un conven-

to si svolse la vicenda

che ebbe maggior riso-

nanza tra i processi per

stregoneria: quella del

1634 a Loudun. La bades-

sa delle Orsoline, suor Jean-

ne des Anges, cominciò con i

soliti sintomi di invasamento, du-

rante i quali accusava il curato della cit-

tà, Urbain Grandier. Il prelato era un uomo di

grande fascino e cultura, dal carattere passionale, al quale la ve-

ste talare non impediva indiscrete avventure con fanciulle e si-

gnore della buona società. Fu proprio questa sua fama di

libertino e di grande amatore ad attirare suor Jeanne; la donna

concepì una passione morbosa ed unilaterale per il sacerdote,

che non aveva mai visto di persona, tanto da ammalarsi. Alla

morte del confessore del convento, Jeanne colse la palla al balzo

ed invitò Grandier a prendere il posto di direttore spirituale del-

le monache. Però il sacerdote, che in città conduceva vita allegra

e mondana, rifiutò con un cortese biglietto. Da allora suor Jean-

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E LA SANTA INQUISIZIONE

Stampa raffigurante la morte sul rogo di Urban Grandier

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ne cominciò a diffondere la persecuzione del fantasma di Gran-

dier che le appariva di notte, “sollecitandola con carezze sensua-

li, insolenti ed impudiche”. I digiuni e le preghiere non furono di

alcun giovamento, quindi fu chiamato un esorcista, che tentò in-

vano di liberare la monaca. I demoni che urlavano bestemmie at-

traverso la bocca della monaca insistevano tutti a dire di essere

mandati da Grandier. A poco a poco, anche altre monache furo-

no invasate.

Per far cessare lo scandalo il cardinale Richelieu, che aveva con

Grandier una vecchia ruggine, mandò un commissario reale con

pieni poteri, il signor di Laubardemont, che nel 1630 aveva rice-

vuto un encomio per aver fatto giustiziare centoventi streghe;

questi prese subito per buone le accuse delle indemoniate, alcu-

ne delle quali erano sue parenti, ed arrestò il sacerdote. Portato

davanti alle ossesse, diedero in urla terribili, contorcimenti e con-

vulsioni; il demonio Asmodeo rivelò, per bocca di suor Jeanne,

che Grandier era segnato dal “marchio diabolico”, punto che il

diavolo aveva segnato e reso insensibile. Il poveretto fu spoglia-

to e rasato, poi il chirurgo lo sottopose alla prova degli spilli; fu-

rono individuati due punti in cui egli non sentiva dolore. Al

processo testimoniò il demonio Asmodeo in persona, che per

bocca della suora rivelò che Grandier aveva firmato con lui un

patto: il foglio fu presentato da suor Jeanne ed acquisito agli at-

ti del processo. Grandier non ebbe più scampo; egli subì la tortu-

ra regolare ed anche la straordinaria; nonostante i tormenti, si

proclamò sempre innocente, respinse ogni accusa e fu bruciato

mentre chiedeva perdono a Dio per i suoi aguzzini. La responsa-

bile di tutto, suor Jeanne, con le mani segnate da stimmate iste-

riche autoindotte, venne considerata in odor di santità; nel 1638

la sua camicia, che si sosteneva avesse proprietà miracolose, fu

posta addosso alla regina Anna, moglie di Luigi XIII, durante il

parto, per assicurare al neonato Luigi XIV lunga vita e felicità. La

monaca morì serenamente alcuni anni dopo.

Nel 1679 il re Luigi

XIV istituì un tribu-

nale speciale con-

tro i delitti di

stregoneria, paral-

lelo all’Inquisi-

zione e segretissi-

mo, presieduto

proprio da de La

Reynie, chiamato

la “Camera Arden-

te”, perchè i giudi-

ci si riunivano in

una stanza con i

muri ricoperti di

veli neri ed illumi-

nata da grossi ceri;

non c’era appello

alla sentenza di questo tribunale, perché gli imputati erano sem-

pre arrestati in base a solidissime prove; durante il suo periodo

di attività fece giustiziare oltre cinquanta sacerdoti per stregone-

ria. Alcuni confessarono di aver celebrato messe erotiche sul cor-

po nudo di una fanciulla, altri di aver sacrificato bambini durante

messe nere; uno addirittura, padre Tournet, di aver celebrato una

messa per far abortire una giovane da lui violentata e messa in-

cinta: il rito blasfemo era stato così sanguinario ed orribile che la

povera ragazza era morta di spavento.

Mara Parmegiani

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Urbain Grandier

in un'antica

stampa

Il re di Francia Luigi XIV, detto il “Re Sole”

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La gommaresina, che stilla da un alberodelle burseracee e che cresce in Somalia enell’Arabia Meridionale, era anticamentebruciata nelle cerimonie religiose e in alcu-ne civiltà per raggiungere lo stato di esta-si. È il profumo più antico. La sua origineè misteriosa anche se è menzionato daConfucio in alcuni dei suoi aforismi - VI se-colo a.C. - Il suo acquisto un lusso, allostesso livello dell’oro nella simbologia dei Re Magi.L’incenso entrò rapidamente nei riti degli egizi cheassociarono il suo profumo all’immortalità. Duran-te le feste in onore di Iside, il bue sacrificato erariempito di canfora e incenso e nelle processioni re-ligiose centinaia di bambini reggevano vasi colmi diincenso, mirra e zafferano. Il suo uso è stato intro-dotto nel rituale romano con il culto di Bacco. Siversava sull’ara prima di porvi la vittima sacrificaleper coprirne il fetore. Ma anche perché nelle ceri-monie funebri il fumo, che saliva verso l’alto, spri-gionato dalle grosse lacrime di incenso solidificato,era ritenuto il veicolo più adatto per trasmetterel’offerta alla divinità. Il suo aroma odoroso indi-spensabile nei riti sacri, aveva il compito di portarel’anima in cielo, accompagnata dalle preghiere deivivi. Attirava il favore degli dei. Si dice che per il fu-nerale di Poppea, Nerone avesse bruciato più incen-so di quello prodotto dall’Arabia in un intero anno.Ma entrava anche nel culto domestico dell’anticaRoma. Non mancava giorno in cui non se ne faces-se offerta all’ares-familiares facendolo ardere inbracieri di varia grandezza. Già nel II millenio a.C.con l’utilizzo del dromedario si era costituita unavera e propria via dell’incenso. Una lunghissima viacarovaniera, con circa 70 tappe collegava i centri diraccolta con Gaza sulla costa mediterranea. Di lìprendeva mille rivoli. L’uso dell’incenso nel ritua-le cristiano, nel culto pubblico, nelle devozioniprivate si ha a partire dalla seconda metà del se-colo IV d.C.. Verso l’anno Mille il suo utilizzo nel-la Chiesa cattolica è più o meno uguale a quelloodierno: l’incensazione dell’altare, delle reliquie,della Sacra Specie, per le immagini sacre. L’in-censiere è un semplice recipiente in argento,bronzo o rame, con il braciere per il fuoco, chiu-so con un coperchio a fori per l’uscita del fumo,appeso a funicelle è sostenuto a mano. Persiste-

rà nei secoli, nella liturgia cattolica, anchese oggi l’incenso è sostituito da surrogatipiù economici come le bacche di cipresso.Il suo fumo rappresenta propiziazione, pu-rificazione, atto di preghiera. E oggi comeallora viene usato come omaggio ai nostrimorti. Quando il buddismo nel 538 d.C. fuintrodotto in Giappone, dalla Cina, fu in-trodotto anche l’uso dell’incenso nella sto-

ria giapponese. Nel decimo secolo divennepopolare una gara in cui i partecipanti dovevano in-dovinare varie miscele di incenso mescolate insie-me. Nel mondo islamico è usato come fumigazionedeodorante e purificante e nell’“Arte d’amare per-siana” si narra come le fresche spose, inesperte, ri-corressero ad oli profumati per il corpo e ad incensiodorosi nella casa, per il primo incontro con l’ama-to. Si legge nelle “Mille e una notte”: “…D’incensopuro profumerò i miei seni e tutto il mio ventre, af-finché la mia pelle possa fondere più soavementesotto la tua bocca, o pupilla dei miei occhi”. Nel XVIsecolo i maghi gettavano incenso e semi di gelso-mino in calderoni bollenti interpretando il futuroattraverso il fumo. Va ricordato l’uso di bruciare in-censo a protezione delle streghe, specialmente nel-l’Europa centrale, nella notte detta “del Walpurgis”la vigilia del 1° maggio quando si credeva che la fu-nesta potenza di “quelle” fosse al colmo. Verso la fi-ne del secolo XI il fanatico Hassan-iben-Sabbbh - ilvecchio della montagna - istituì la Setta degli Assas-sini. Gli iniziati venivano intossicati con i fumi di in-censo e Hashish che faceva assaporare loro il futuroparadiso, fugando la morte, rendendoli invincibili.Sulla scia dei viaggi degli hippis il suo uso si è diffu-se in tutto l’occidente, trascendendo ben presto dal

giovanile alternativo dei primi tempi. Grani e ba-stoncini di incenso si usano ancora oggi per di-sperdere o neutralizzare forze malefiche. Non èraro sentire nelle abitazioni profumo d’incensobruciato per allontanare, si crede, influenze ne-gative. Forse un legame con gli antichi riti magi-ci, con le pratiche religiose che si armonizzanoancora con il nostro io più profondo e ci rendo-no dolcemente schiavi di un culto magico, anti-co quanto il tempo.

Costanza Cerioli

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MARIA CALLAS UNA DONNACON IL SENSO DELLA SCENA

Maria Anna Sophie Cecilia Kalogeropoulos nasce a New York dagenitori greci il 2 dicembre del 1923. A sedici anni, rientrata inGrecia viene ammessa al Conservatorio Nazionale di Atene eprende lezioni di pianoforte che le daranno in seguito la possibi-lità di studiare tutti i suoi ruoli senza l’aiuto di un maestro colla-boratore. Nel 1942 canta “Tosca” per la prima volta in greco. Nel‘47 accetta l’invito dell’Arena di Verona per cantare la “Giocon-da”. Pochi giorni dopo incontra Giovanni Battista Meneghini, fa-coltoso industriale italiano amante dell’opera. Diventerà suomarito e suo agente. Nel 1948 a Firenze la Callas canta per la pri-ma volta “Norma”, l’opera più cantata nella sua carriera. Ed èproprio con quest’opera che il 2 gennaio del 1958 al Teatro del-l’Opera di Roma alla presenza del Presidente della Repubblica edi tutta la società romana, Maria adducendo un improvviso ma-lore, dopo il primo atto, esce di scena. Nel ‘49 la Callas sostitui-sce l’indisposta Margherita Carosio nella parte di Elvira ne “IPuritani” alla Fenice di Venezia. È la svolta decisiva nella sua car-riera. Con una misteriosa cura dimagrante riesce a perdere qua-

si 60 chili. Un tremendo sforzo di volontà che la rende sottile, ac-curata e piena di fascino, capace di trasformare ogni sua appari-zione in un evento. Precisa e pignola nel privato al punto cheinfiocchettava, maniacalmente la biancheria prima di riporla.Aveva cambiato vita frequentando grandi intellettuali come Zef-firelli, Visconti e Pasolini. Il 23 luglio 1958 salpa da Montecarlolo yacht Cristina dell’armatore greco Onassis, per una crocieracon illustri ospiti del jet-set internazionale. Sullo yacht ci sonoOnassis con la moglie Tina Livanos, figlia del più grande armato-re greco, l’ex premier inglese Winston Churchill e consorte, Ma-ria Callas con il marito e personalità della politica e della finanza.Maria all’epoca ha 36 anni ed è la cantante lirica più famosa delmondo. Lui Aristotele, greco come la Callas, ha 53 anni ed è unodegli uomini più ricchi della terra. Il matrimonio della Callas conMeneghini si incrinò sul galeotto panfilo bianco anche perché ilmarito, che non parlava inglese tendeva ad isolarsi intimidito an-che dalla presenza di Churchill. Quando scesero a Costantinopo-li, il Patriarca nel discorso di circostanza, ad Onassis e alla Callas

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disse: “…quando voi sarete uniti potrete fare grandi cose per ilnostro paese”. Il giorno dopo Maria confessò al marito di amareOnassis. Lui aveva già scoperto teneri biglietti con frasi d’amoreripetute all’infinito. Non passa neanche un mese ed un fotogra-fo scopre i due in un romantico ristorante milanese, tete-à-tete.Le foto fanno subito il giro del mondo. Maria Callas a questopunto deve sciogliere il suo matrimonio con Meneghini. L’amoreche provava per lui era stato logorato dal tempo. Se lei era folle-mente innamorata e pensava di sposare Onassis si capì subitoche quest’ultimo non la pensava come lei. Infatti dopo due annidi convivenza le attenzioni di Aristotele erano già sopite. La Cal-las che si sentiva trascurata, veniva umiliata anche in pubblicodall’armatore. Nel 1964 Zeffirelli la persuade a tornare all’operaal Covent Garden in un memorabile allestimento de la “Tosca”.Per una decina di anni cantò con una voce ineguagliabile, puris-sima, meravigliosamente estesa, di grande potenza. Dominava lascena con un naturale istinto da attrice, anche se era così miopeda non scorgere sul podio il direttore d’orchestra. A chi le chie-deva come facesse a cambiare timbro di voce rispondeva: “nonsarebbe orribile sentire qualcuno che esprime la varietà dei sen-timenti senza mai cambiare tono di voce?”. Intanto Onassis ini-zia a frequentare i Kennedy corteggiando la principessa LeeRedsville, sorella di Jackie, per introdursi nella famiglia più im-portante del mondo. Nel 1965 Maria si impegna per cinque rap-presentazioni della “Norma” a Parigi. Si sente stanca ma nonvuole annullarle. Il 25 Maggio termina la scena del secondo attopraticamente in coma con la scena finale eliminata. Nel lugliodello stesso anno ha in programma quattro rappresentazionidella “Tosca” al Covent Garden. Si ritira, dietro suggerimentomedico, dopo aver deciso di cantare una sola volta al Galà Rea-le. Sarà questa l’ultima rappresentazione della sua carriera. JohnKennedy muore nel 1963 e nel 1968 Aristotele organizza unanuova crociera con Jackie, senza la Callas. Nell’ottobre dello stes-so anno Maria apprende dai giornali dello sfarzoso matrimonio

di Onassis con l’ex first lady degli Stati Uniti. Le nozze si celebra-no il 20 ottobre nella cappella di famiglia nell’Isola di Skorpios, illuogo preferito da Maria per le sue preghiere. La cantante si iso-la e va rapidamente incontro al declino, dopo aver sopportato icommenti ironici della stampa scandalistica. Nel 1970 Pier PaoloPasolini chiama Maria Callas ad interpretare nella versione cine-matografica Medea. Nell’intrigo d’amore di un racconto filosofi-co la cantante, che aveva già interpretato l’opera omonima allaScala, si cala anima e corpo nel personaggio. La terribile maga in-fanticida affascina la Callas che la interpreta magistralmente af-ferrandone il senso di fatalità e orrore. Poi il tenore Di Stefano lapersuade ad intraprendere con lui un tour mondiale di concertiper raccogliere fondi per le cure mediche della figlia. Dietro lacoppia artistica, che rappresenta l’evento del secolo, scoppia unagrande passione. Trascorsero, amandosi tre anni, in giro per ilmondo con 50 concerti passando da una nazione all’altra in al-berghi lussuosissimi. Come Medea sulla scena, Maria quandoamava, era possessiva, invadente, affamata e gelosa. Di una ge-losia feroce e cieca. Voleva il divorzio di Di Stefano malgrado lasua tragedia familiare con una figlia di 19 anni malata di tumo-re. Da donna innamorata, desiderosa di rendere pubblica la suarelazione con il tenore tenne una conferenza stampa per parlaredei suoi grandi amori: il marito, Onassis e Di Stefano. Lui per evi-tare i pettegolezzi fece venire immediatamente la moglie a NewYork. Ormai qualcosa tra di loro si era incrinato per sempre. Ma-ria ritornò a Parigi e, soffrendo di insonnia, cominciò a far uso disonniferi in dosi massicce. Tanto acclamata ed osannata, calcò ipiù importanti palcoscenici del mondo, quanto triste e solitariafu la sua fine avvenuta nella sua casa di Parigi nel 1977. Moriràin circostanze mai chiarite. Ufficialmente per una crisi cardiacama la depressione e l’uso di tranquillanti lasciano il dubbio chesi sia lasciata morire a nemmeno 54 anni.

Marco Alfonsi

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L’800 è l’epoca delle calze nere, delle sottogonne fruscianti, del-

l’alta borghesia, del bel mondo e del demi-monde.

La modernità passa per Parigi, capitale europea del divertimento

e si svolge soprattutto di notte.

Le regine sono Cleò de Merode e, Emilienne d’Alençon, sopran-

nominata le più appetibili tette, amica, non tanto segreta, di

Leopoldo II del Belgio, la Bella Otero e la sua nemica Liane de

Pougy. Si cena da Maxim, si va alle corse o al Moulin Rouge do-

ve si ammirano sciantose aureolate di aigrettes, avvolte nella

morbidezza delle piume di struzzo, dai lunghi strascichi che

spazzano il marciapiede. Il mondo dei cafè chantant incise pro-

fondamente sul costume: frequentato da aristocratici, ufficiali

del regno, vecchi danarosi e figli di papà; divenne ritrovo di in-

trattenimento e specchio dei gusti e dei sogni di un tempo. Per

ottenere una notte d’amore da una “regina” il ricco rampollo do-

veva attingere abbondantemente al patrimonio familiare. Ma il

piacere e la pubblicità dell’evento valeva di certo la spesa. Scian-

tose come Lina Cavalieri, Anna Fougez, Lola Montez si qualifiche-

ranno per numeri decisamente osè per l’epoca.

La Otero cominciò la sua carriera a 14 anni. Mandava in delirio le

folle agitandosi al ritmo delle nacchere. All’Eden di New York ar-

rivano per lei enormi cesti di fiori, spesso con un diamante nel

cuore di ogni rosa. Abitava a Parigi con 18 persone di servizio e

coltivava la passione per il gioco ed i gioielli. Con il suo celebre

collier di smeraldi e rubini e l’ondeggiare sinuoso del suo corpo

si offriva alla folla che l’attendeva osannante all’uscita dei teatri.

Riuscì a possedere nientemeno che il collier di Eugenia di Mon-

tiyo, moglie di Napoleone e il diadema di Maria Antonietta. Su-

scitò passione reali. L’amore di Leopoldo, Eodardo VII e Nicola di

Russia che la presentò agli amici, nuda, su un vassoio d’argento.

Lina Cavalieri iniziò a 14 anni la sua carriera artistica come can-

tante in un teatro di varietà romano con un cachet da una lira a

sera. Dimostrò subito del talento; dopo aver conquistato il pub-

blico romano passò a Parigi, trionfando alle “Folies Bergéres” e

CAFÈ CHANTANT E Cléo de Mérode in abito da scena

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poi a New York, per interpretare opere liriche e si qualificò come

la “prima Miss Universo”. Certo il materiale non mancava e im-

prevedibili furono anche i suoi colpi di testa. A Pietroburgo, du-

rante le giornate della Rivoluzione Russa, il suo impresario le

raccomandò caldamente, data la situazione incandescente, di

non entrare in scena con i suoi inseparabili gioielli; quando si al-

zò il sipario del primo atto della “Traviata”, apparve interamente

coperta dalla sua leggendaria collezione. Nella sua vita entrò an-

che un Marajah che, dopo una serata all’Empire di Londra, le

chiese la mano, offrendole la corona del suo principato. Talmen-

te pazzo d’amore che, al suo rifiuto, tentò anche di rapirla. Ci fu

anche chi, blasonato di antico lignaggio, si spacciò per autista e

pur di avvicinarla, guidò per due mesi la sua macchina. Scompar-

ve poi nel nulla, ma non senza lasciare sul sedile dell’auto una fo-

cosa dichiarazione d’amore ed un gioiello di grande valore.

Un’altra storica sciantosa fu Nanà La Blanche che passeggiò, per

scommessa, nuda sotto il mantello e fece follie per i boulervards

parigini. Se a Parigi impera il Moulin Rouge a Napoli c’è il Salone

Margherita, inaugurato la sera del 15 novembre 1890. Dame in

pelliccia e abito lungo, scintillìo di gioielli, uomini in frac con gar-

denie agli occhielli, ufficiali in alta uniforme e con il ballo a pie-

di nudi di Edith Miroir, fu subito un successo. Si deve a Maria

Ciampi l’invenzione della mossa mutuata dalla gestualità popo-

lare, premiata dalla volgarità della peccaminosa figura femmini-

le. I teatri in Italia avevano tre ordini di posti da un baiocco, due

e tre, a seconda dell’altezza della sedia rispetto agli attori. Era

privilegiata la posizione più alta che consentiva il lancio di scor-

ze d’arancia, bruscolini e lupini. Oggi il varietà, dopo Totò, Aldo

Fabrizi, Renato Rascel, sopravvive grazie a Gigi Proietti, Paolo Po-

li, Bergonzoli, Gene Gnocchi ed altri ancora.

M.P.

UN PÒ DI VARIETÀ

1477 - L. De Pougy

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Tunguska, 30 giugno 1908: cosa accadde? Secondo uno studiopubblicato sull’ultimo numero della Geophysical Research Letterad abbattere 80 milioni di alberi della foresta siberiana fu unacometa e non un grosso meteorite o un asteroide come si è pen-sato negli ultimi 100 anni. Quel giorno poco dopo le 7 del mattino, ora locale, qualcosaesplose a 8 chilometri sopra la taigà siberiana vicino al fiumeTunguska, distruggendo ogni forma di vegetazione e di vita perun raggio di 2150 chilometri quadrati.Quel che accadde in quella zona di così terribile da provocare unboato, che fu udito a oltre 1200 chilometri e che provocò ondedi pressione così anomale da appassionare gli scienziati che par-teciparono al congresso della British Metereological Society del1908, rimase fino al 1927 un mistero. Solo in quell’anno, con laprima missione sul posto condotta dallo scienziato russo L. Kulik,fu possibile associare il forte boato, la pressione e il lampo di lu-ce dell’esplosione, con lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi:più di 2000 chilometri quadrati di foresta siberiana abbattuta alsuolo e per 1000 chilometri quadrati, intorno all’epicentro, tut-ti gli alberi carbonizzati.Da allora, fino a questi anni, sono state tante le ipotesi e le teo-rie che gli studiosi di tutto il mondo hanno formulato per spie-gare la causa dell’evento e tra le tante risposte che si sono dati,oggi è nato un nuovo dibattito intorno a quella tragedia dellanatura. Al centro di questo dibattito le nubi che si formano ai po-li dopo i lanci dello Shuttle. Le stesse nubi che furono viste la not-te dopo l’evento di Tunguska; forse uno dei pochi dati certiraccolti nei giorni che seguirono l’esplosione. Furono notate, in-fatti, nei luminosi cieli notturni di tanti luoghi lontani da Tungu-ska, in particolare, in Inghilterra, delle nuvole lucentissime, dettenubi nottilucenti che si formavano nell’alta atmosfera terrestre(mesosfera), oltre gli 85 chilometri di altezza e si vedevano agrande distanza quando venivano illuminate dalla luce del Sole. Queste stesse nubi, costituite prevalentemente da acqua ghiac-ciata, sono state notate nelle regioni polari da molti ricercatori,dopo i lanci dello space Shuttle Discovery nel 1997 e Endeavour

nel 2003. Dato che il motore principale della navetta combina in-sieme ossigeno liquido con idrogeno, ogni lancio produce più di300 tonnellate di acqua che va a depositarsi nell’alta atmosfera.Capito questo, agli scienziati rimaneva però ancora poco chiaro,come una “coda” di vapore acqueo potesse diffondersi nel rag-gio di 1000 chilometri e viaggiare a più di 8000 chilometri versoi poli. Ora Michael Kelley e colleghi hanno cercato di spiegarequesto fenomeno proponendo la teoria della cosidetta “turbo-lenza bidimensionale”. Il fenomeno avviene quando i fluidi, inve-ce di muoversi liberamente in tre dimensioni, sono “vincolati”da un campo magnetico, con il risultato che si muovono moltopiù velocemente in due dimensioni. Gli scienziati spiegano, così,che il vapore acqueo intrappolato in uno strato a due dimensio-ni viene incanalato velocemente verso i poli e “spazzato” via sugrandi distanze. “Una fisica totalmente e inaspettatamente nuo-va”, ha commentato Michael Kelley, che avendo scoperto unmeccanismo per il trasporto di acqua su grandi distanze, cheproduce le nubi nottilucenti, ipotizza che il magico cielo dellenotti del dopo Tunguska potrebbero spiegarsi con la grandequantità di acqua rilasciata nell’alta atmosfera. Acqua apparte-nente ad una cometa, afferma, che ha perso il ghiaccio esternodella sua chioma prima di impattare nell’atmosfera terrestre. “Ècome riesumare e risolvere i misteri di un “cold case” di 100 an-ni fa”, ha commentato Kelley.

Rita Lena

Tunguskafu una cometa ad abbattere

80 milioni di alberi

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I TRENT’ANNI DI MODA DICAMILLO BONA

Trent’anni di moda. Di haute couture. Di abiti che fanno

sognare.

Ha iniziato da piccolo, Camillo. Nella sartoria della ma-

dre. La osservava cucire e riproduceva in miniatura, per

le bambole, i vestiti che lei realizzava per le clienti. Alle

medie faceva gli schizzi sul diario di scuola, poi ha fre-

quentato l’Accademia Coefia. Da allora ha trasformato

la sua passione in lavoro.

La collezione per festeggiare i suoi trent’anni di attività

è insolita. Non si ispira ad un mood preciso.

Ha disegnato abiti che interpretano la sua immagine di

femminilità: un incontro perfetto tra raffinatezza e sem-

plicità. Ha scelto tessuti ricercati, chiffon, mikado di se-

ta, organza ma anche naturali, come la rafia e il lino. Li

ha accostati nella creazione di ogni capo, con effetti e ri-

chiami agli anni ’20 e ‘30. Per i colori ha attinto tra il bei-

ge, le gradazioni e sfumature dei rosa, il color carne, il

rame e il panna. E li ha impreziositi con ricami, perline,

Swarovsky.

Fil rouge di questa special edition, come di tutte le crea-

zioni by Camillo Bona, è una ormai rara acribia per i det-

tagli e l’esclusività: orli rigorosamente fatti a mano,

perle, jais e pietre dure cucite singolarmente, alta sarto-

rialità (il centro operativo è a Monterotondo, mentre il

delizioso Atelier nel cuore di Roma).

Originali ed importanti gli accessori, creati da Aniello

Galderisi. Collane, realizzate in un filo unico di quattro

metri, che sembrano sottili sciarpe da girare più volte

intorno al collo o che possono diventare bracciali, rigo-

rosamente in pendant con la collezione.

Un eccellente esempio di Alta Moda Italiana.

Alessia Ardesi

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I MUST DELL’AUTUNNOINVERNO 2009/2010

STIVALI ALLE COSCE E ALL’ANCA:

Boots altissimi, oltre il ginocchio, anche fino all’anca,con plateau e tacchi a spillo. Ma anche con cinture ecinturini.

PELLICCIA INTARSIATA:

Pelliccia utilizzata anche

per borse, stole, colli ad

anello e collari da so-

vrapporre ai capi spalla

o da indossare con cin-

ture alte in vita.

REMINISCENZE GUERRIERE:

Bustini in pelle, borchie, frange di nappa, intarsi di pelliccia e vite strizzate, robe bustierper amazzoni stilizzate.

DRAPPEGGI E ORLI:

Robe manteau con drappeggi trompe-l’oeil etridimensionali, trionfi di plissé e morbide pie-ghe su abiti, gonne, camicie e capi spalla.

PELLE A GOGO:

Pelle per body suit, giacche, trench,abiti seconda pelle e bustier.

Alessia Ardesi

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La chiesa spirituale era in via Lee High Rd nel Lewisham, unaminuscola chiesa che non aveva niente di particolare in sé.

C’erano quattro stanze. La nostra era la prima, ci mettemmo se-duti: odorava di umido ed era molto fredda. “Ricordati, se te lochiedono, hai 17 anni”, mi ricordò mia zia. “Ci saremmo messinei guai, se fossero sensitivi dovrebbero sapere la mia età”, pen-sai. Alle 19.30 la sessione iniziò. Nella stanza c’era una luce bluaccesa, noi dovevamo sederci tutti in cerchio, spettava ad Henry,il capo della chiesa, a dare lezioni. Eravamo dieci e dovevamomeditare tutti insieme per almeno 15 minuti. Quando si spensela luce blu, tutti smisero lentamente di meditare. Per me, quelgiorno, fu difficile, meditare: ero rimasto seduto con gli occhiaperti per tutto il tempo. Poi, uno alla volta, iniziammo a riferiread Henry cosa avevamo percepito e visto durante la meditazio-ne. Una persona aveva visto un mazzo di fiori pieno di colori; unaltro, una persona reduce dalla guerra che cercava la sorella, manessuno sapeva chi fosse. Un’altra signora aveva visto dei colorie percepimmo che ci sarebbe stato un cambiamento per qualcu-no nella sua famiglia. Era felice perché aveva visto sua madre cheera morta 5 anni prima. Era arrivato il mio turno, ma io non ave-vo visto nulla, guardai intensamente Henry che mi sorrise, quan-do accadde una cosa strana. Iniziai a vedere immagini: era comeguardare un film, davanti a me ballava attorno alla stanza unadonna con i capelli rossi. C’era della musica, la gente rideva epotevo sentir dire “Bella”. Poi camminò verso una delle signoreche erano sedute a capo del cerchio nella stanza, e la baciò sul-la guancia. “Bella” disse di nuovo e poi sparì. Henry mi chiese dinuovo “Beh, vedi niente”. Riuscivo a sentire che gli altri nellastanza non mi volevano perché ero troppo giovane ed erano tut-ti molto più grandi di me. Io dissi ad Henry cosa avevo visto e co-sa aveva detto la signora dai capelli rossi, che pensavo fossecollegata alla signora seduta sulla prima sedia. La signora nonpoteva accettare questo e con le lacrime agli occhi spiegò chesua madre era stata una ballerina a Parigi e che la chiamava “Bel-la”. Visto che era giovane e che la ricordava per i suoi capelli ros-si, ci spiegò che “Bella” era una parola italiana, sua madre era,infatti, per metà italiana. Mia zia era emozionata per me. Era laprima volta che partecipavo ed ero già stato notato, andò versoHenry ed iniziarono a parlare di me. “Puoi tornare la settimanaprossima, ma sarai messo nel prossimo cerchio” mi disse. Quellanotte non dormii bene. Billy e gli altri erano arrabbiati con me

perché ero andato alla chiesa spirituale. “Non puoi imparare amodo loro. Devi imparare da solo a modo tuo, non ti servono lo-ro”, mi dissero tutti. Ma mia zia aveva già fissato l’altro appun-tamento per il seguente martedì. Quando arrivò il giorno alle19.30, mi ritrovai seduto in una stanza diversa, sempre maleodo-rante di umido, ma con l’aria così secca che non riuscivo quasia respirare. Entrò Henry, e si andò a sedere nel posto di capota-vola. Accese la luce blu, e tutti cominciarono a meditare per 15minuti. Io trovavo difficile chiudere gli occhi, rimasi allora sedu-to a guardare Henry e dopo 5 minuti vidi un uomo dietro di lui,era alto quasi due metri ed indossava abiti indiani ed aveva del-la pittura da guerra sul viso. Passò sul tavolo e venne verso di mee usando la mano destra, mi chiuse gli occhi con due dita. Erauna sensazione strana, all’inizio avevo un pò paura, ma poi miattraversò una sensazione di calma. La luce blu si spense e sentiila voce di Henry “Quando siete pronti aprite gli occhi”. Aprii gliocchi e mi poggiai allo schienale della sedia in silenzio. Come eragià successo, uno ad uno cominciarono a raccontare cosa aveva-no visto. Venne il mio turno: “Io non ho percepito nulla” dissi, eci guardammo in faccia. Dalle loro espressioni capii che pensava-no che ero troppo giovane per essere lì. Mia zia mi fissava, sape-va che io avevo visto qualcosa. “Sono sicuro che hai vistoqualcosa” disse Henry guardandomi incredulo. Gli raccontai lastoria dell’indiano che avevo visto dietro di lui. La stanza si riem-pì di risate “Ecco cosa meriti per non aver chiuso gli occhi” midisse uno di loro. “Bene” disse Henry alzandosi dalla sedia, pron-to ad andarsene “In tutti questi anni di lavoro qui in questa chie-sa, è la prima volta che qualcuno vede il mio angelo custode. Esi, è un indiano rosso”. Henry mi tirò da parte e mi disse che nonero un chiaroveggente, ma sentiva che io ero un misto dei seisensi, ma con qualcosa in più, sentiva che ero un sensitivo e cheriuscivo a vedere nel passato e nel futuro. Ma sentì, anche, chela chiesa spirituale non era per me e che gli altri mi vedevano unpò come una sfida. Mi invitò a tornare il seguente martedì, maio non ci tornai più e mia zia, quella settimana, tornò in Nuova

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Zelanda. Lei mi aveva aiutato a capire che ero diverso dagli altri,e che avrei impiegato degli anni per capire il dono che avevo emigliorarlo. Questo fu l’inizio, sapevo che avrei dovuto cammi-nare da solo su questo sentiero e mi iscrissi alla biblioteca loca-le, iniziai a leggere dei libri sul soprannaturale, la telepatia, lachiaroveggenza e sull’essere sensitivo. C’erano due sezioni, per ibambini e per gli adulti. Avevo circa 15 anni e dovevo chiedere ilpermesso per entrare nella sezione per adulti e per veder i libriche c’erano. Un amico di famiglia che lavorava nella bibliotecami aiutò a prendere i libri. L’importante, diceva, era che io nonparlassi e che non portassi via nessun libro, visto che non avevoraggiunto l’età per affittarli. Andavo ogni giorno, finivo un libroe ne iniziavo un altro. Mia madre pensava che ero molto bravoad andare a studiare in biblioteca. Ma in realtà, sapeva ben po-co cosa io stessi studiando. Ero catturato da quello che leggevo:questo era il mio mondo, pensai, c’erano così tante persone co-me me li fuori, ed ero solo uno dei tanti. Trovai anche un libroche parlava di storie di spiriti che avevano occupato case e per-sone e che erano aggressive verso di loro e verso le loro famiglie.Storie che mi spaventavano. I miei angeli non erano così, mi aiu-tavano in molti modi, non ho mai avuto problemi e non mi han-no mai ferito.Tornai a casa e mi chiesi, cosa sarebbe successo se questo fosseaccaduto alla mia famiglia, tutte quelle storie mi giravano per lamente. Entrai lentamente in una sorta di depressione, non pote-vo dormire né mangiare, mi stavo indebolendo molto.I miei genitori chiamarono il dottore di famiglia perché pensava-no che ero diventato matto davvero. Volle sapere perché mi sen-tivo così, quale era il problema. Non era mio padre che mi davatutto ed era il mio miglior amico, non era lui il problema. Gli dis-si dei miei angeli e che avevo letto un libro dove la gente venivaattaccata da loro. La mia stanza diventò fredda e potevo sentirevoci che dicevano, “No, noi no”. Billy era sull’armadio ed iniziò aridere di me. “Cosa c’è?” mi chiese il dottore guardando in su,nella stessa direzione in cui stavo guardando. Puntai il dito, ma

sapevo che non poteva vedere Billy, perché Billy era seduto dal-l’altra parte dell’armadio. Poi arrivarono le domande, come “Puoivedere i morti”, ”Quante persone sono nella stanza con noi” e“Cosa ti stanno dicendo”. Il dottore mi prese per mano e mi fe-ce sedere vicino a lui “Non c’è nessuno qui” mi disse “è tutto nel-la tua testa”. È stata la prima volta che non volevo vedere i mieiangeli, volevo, anzi, che se ne andassero. Poi una bellissima si-gnora indiana che indossava un abito verde e oro entrò nellastanza, aveva i capelli tirati tutti in dietro e stava sorridendo, miaccorsi che le mancava un dente. Si mise seduta accanto al dot-tore e gli diede un bacio sulla fronte. “Che c’è?” mi chiese, pote-va vedere dal mio viso che avevo visto qualcosa. “C’è una signoraseduta accanto a te” gli dissi. Lei mi sorrise: “Digli che sono suamadre”. Gli diedi il messaggio e gli riferiì che lei era felice perchénon era sola nell’aldilà, anche se non aveva ben capito cosa lefosse successo “accadde così velocemente” ripetè più volte ladonna. Era così giovane e non aveva avuto il tempo da passarecon lui. Il dottore si alzò e lasciò la stanza. Dopo un pò tornò“quello che tu hai è un dono, gli angeli che hai attorno a te nonsono cattivi”. Guardò mia madre che stava sulla porta e lei an-nuì. “Mia madre era una persona stupenda”, mi disse, stringen-domi la mano. Dopo quel giorno non lessi più libri su questamateria, volevo imparare da solo tutto quello che mi accadeva.Mi ero ammalato, e visto che gli angeli, anche se a me tenevano,se ne erano andati via per qualcun altro che aveva più bisognodi me, dovetti abituarmi a vivere una vita diversa. Era difficileavere a che fare con le persone vere ed avere conversazioni su co-se normali. Mi mancava il loro amore e l’affetto e la sensazionedi sentirmi sicuro, ero perso nel mio stesso mondo. Questo andòavanti per circa un anno. Non vidi né sentii più Billy. I miei fratel-li e sorelle spesso parlano di quei tempi e del mio amico Billy.Avevano vissuto le mie esperienze, ma erano cose che li spaven-tavano troppo per parlarne allora. Guardando nel passato, avreivoluto scoprire chi fosse Billy, da dove venisse, non era della miafamiglia, forse aveva a che fare con la casa in cui vivevo. Moltianni dopo una chiaroveggente fece una lettura per mia sorella ele disse di dirmi che “Billy mi salutava con affetto”.

Traduzione di Rita Lena

[email protected]

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TRATTAMENTO VISO POST-VACANZE

Al rientro dalle vacanze la pelle e in particolar modo la pelle del viso, che per tutto il perio-do estivo è stata esposta al sole e ai raggi U.V., deve essere rigenerata e idratata per evitareil formarsi di macchie e rughe. Cominciamo con un trattamento per rinnovare l’epidermidedel viso, quindi un’accurata detersione e l’applicazione di una lozione tonificante, e un pee-ling che favorisce l’eliminazione delle cellule morte. L’estetista procede con la pulizia profon-da del tessuto, con spremitura dei punti neri ed eliminazione delle impurità superficiali. Siesegue un massaggio dolce sul viso, collo e decolletè con una crema specifica adatta al tes-suto epidermico. Una maschera ad azione dermopurificante e zuccherina renderà poi i tes-suti più ricettivi e migliorerà l’irrorazione sanguigna. Si asportano i residui di prodotto conuna spugna inumidita e si conclude il trattamento con l’applicazione di una crema idratan-te e un gel ricco di acido ialuronico che si occuperà quindi di mantenere il grado di idrata-zione, turgidità, plasticità e viscosità del tessuto concludendo al meglio con un trucco acquae sapone e dando importanza principalmente alla bocca o con un rossetto con un alto con-centrato di idratazione o un gloss fruttato.

Tiziano Melara

Magia, mistero e grandi emozioni, tramandati dalla cultura aborigena, sono diventati peruna sera protagonisti a Firenze grazie a Luca Faccenda, direttore Artistico di National Gal-lery Firenze, che a Villa Bardini ha contribuito a rafforzare il legame tra spettacolo, cultura esolidarietà presentando il libro ‘Sogni australiani – Dreamtime Stories’. Fortemente voluto daNational Gallery. Il testo racconta il Tempo dei sogni dei Djabugay, popolo aborigeno che vi-ve nell'estremo nord del Queensland. Il libro è illustrato dai disegni dei bimbi Djabugay in 3lingue italiano, inglese e Djabugay e ha lo scopo di preservare la loro lingua e condividere leloro leggende con altre culture. Parte dei ricavati dalla vendita di questo tomo – che Faccen-da ha di recente presentato anche nel corso della sua rubrica cultura in onda ogni settima-na all’interno del Maurizio Costanzo Show - saranno usati per sostenere l'educazione deibambini Djabugay e parte andrà ai paesi terremotati dell’Abruzzo.

Nicoletta Di Benedetto

I GIOIELLI DI DORGALI

Prestigiosa produzione del piccolo centro di Dorgali nel Nuorese, in Sardegna,rappresentano l’espressione più originale del sentimento artistico isolano.L’origine della tradizione artigianale orafa sarda si perde nella leggenda. Dicerto si ha notizia, in tempi recenti, di un certo orafo, Anneddu Berritta, altopoco più di 80 centimetri, morto quasi centenario nella prima metà dell’800.Creava opere meravigliose fondendo l’oro nel crogiolo in un angolo del suosottoscala. La produzione riguardava non solo capolavori custoditi nelle nu-merose chiese isolane ma anche oggetti di oreficeria destinati alla sposa chia-mati “su dono”, il dono di matrimonio offerto dall’uomo alla futura moglie.Consisteva in: “Sa loriga de rodedda”, orecchini a forma di ruota, o “sa lori-ga de prudone”, orecchini a grappolo d’uva e “sa zoiga” un monile da petto-rale, a cui si aggiungeva “s’ispilla e conca”, una spilla da indossare sulfazzoletto, la fede sarda, il rosario con medaglia e “s’isprugadents”, un og-getto a forma di cavallino stilizzato o un animale fantastico come l’unicorno,la cui punta acuminata serviva come stuzzicadenti, mentre la parte opposta

terminava a palettina e serviva per la pulizia delle orecchie. Se lo sposo era molto ricco si aggiungevano a questi doni i bottoni in filigranad’oro per la bianca camicia del costume da matrimonio e “sa nuschera” un portaprofumi, entro il quale si mettevano fiori di lavanda, spes-so realizzato in argento. Le dimensioni degli oggetti variavano a seconda delle possibilità economiche dello sposo, e dalla tecnica impiega-ta per la lavorazione della filigrana. Oggi la produzione va dal recupero delle antiche forme al gioiello moderno. Per il primo si impiegaancora l’oro a 500 dal caratteristico colore rosso, con la tecnica della filigrana a motivi di foglie e rosette, gli altri, rivisitati e arricchiti daperle e pietre preziose, con oro a 750, conferiscono al gioiello una nuova freschezza.

Costanza Cerioli

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VERGINE

Il segno della Vergine (23 agosto – 22 settembre) è dominato dal pianeta Mercurio da cui gli deriva una intelligenza particolare; ap-partiene alla triade dei segni di terra e per questo è portato a trarre risultati concreti dalle sue azioni. Infatti, la Vergine, non lasciamai a metà le sue opere e lo fa con il massimo della serietà. E’ considerato il segno più preciso e affidabile dello Zodiaco, caratteri-stica che lo fa apparire puntiglioso e troppo critico. Le osservazioni che spesso muove verso i suoi familiari e gli amici, ma soprattut-to nei confronti del partner sono dettate dal forte senso di responsabilità che fa parte del suo carattere. È una persona che pesa tuttoquello che fa, raramente si muove d’istinto, per questo tra le attività professionali scelte dai nati sotto questo segno prevale la pro-fessione medica. Nel campo sentimentale e degli affetti la Vergine può apparire fredda e distante perché vive il rapporto amoroso più cerebrale chepassionale. E’ considerato anche il segno poco portato ai tradimenti e meno romantico dello zodiaco. I nati sotto questo segno nonsono gelosi ma se vengono traditi non perdonano, anzi si vendicano. Il segno della Vergine privilegia tra i metalli il rame e l’oro e tra i minerali il diamante; ama il colore verde simbolo della sensualità edell’accettazione; come fiore la gardenia, soprattutto per il profumo, perchè infonde serenità e benessere, e il giacinto e l’acacia. Ilnumero fortunato è l’otto che rappresenta la fiducia.

Siderio

La RICETTA DEL MESE a cura di ROSANNA VAUDETTI CONDUTTRICE SU SKY DELLA “DOMENICA DI ALICE”

CHAMPIGNON IN PASTELLA ALLA BIRRA

Preparazione: Mondare i funghi e tenerli da parte. In una ciotola mescolare la farina, il groviera, la senape, un pizzico di sale e qual-che buona macinata di pepe. Aggiungere gradatamente l’olio e quindi la birra, mescolando bene con un mestolo di legno, fino a ot-tenere un impasto liscio e omogeneo. In una padella capiente, scaldare bene l’olio, immergere gli champignon nella pastella e friggerepochi pezzi per volta, per circa 3 minuti o sino a quando non sono ben dorati, girandoli anche dall’altro lato a metà cottura. Scola-re e sgocciolare l’olio in eccesso su di un vassoio ricoperto di carta assorbente.

Ingredienti: (dose per 4 persone)

• 250 gr champignon piccoli• 100 gr farina

• 4 cucchiai di groviera grattugiata fine• 1 cucchiaino di senape delicata di Digione

• 1,5 dl birra chiara• 1 cucchiaio di olio di oliva

• pepe macinato fresco• sale

• olio per friggere

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