20262 - Chapeau Giugno Luglio 10web

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1 P A S S I O N E P A T R I O T T I C A S U L L E G O N N E D E L L A S T O R I A S U L L O N D A D E L L A V A N I T à Storie d’amore in convento R IVIST A M ENSILE DI A TTUALITà MODA CUL TURA COPIA GRA TUIT A - ANNO 6 - N. 6/7 GIUGNO - LUGLIO 2010 - TIRA TURA C OPIE 2 0 . 0 0 0

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chapeau, moda, attualità

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Passione Pat

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nitàStorie d’amore in convento

rivista Mensile di attualità Moda cultura coPia gratuita - anno 6 - n. 6/7 giugno - luglio 2010 - tiratura coPie 20.000

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Direttore ResponsabileMara Parmegiani

Comitato scientificoGino Falleri Vice Presidente ordine dei giornalisti,

On. Paola Pelino, Avv. Nino Marazzita, Giudice Simonetta Matone, Principe Carlo Giovannelli,

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magini e contributi pubblicitari realizzati da Chapeau.

La globalizzazione è un processo per il quale si tende ad abbattere le frontiere e a costituire un unico mercato planetario, che interessi tutto il nostro pianeta. Gradual-mente si annulleranno le differenze tra i vari popoli e si verrà condizionati sempre più dai gusti e dalle mode, diffuse dai paesi dominanti attraverso i mass media.La società intesa come unione collettiva dovrebbe lavo-rare per costruire, nell’intero pianeta, pace e sicurezza, ossia rifiutare la guerra e dove è presente cercare di sop-primerla. Divieto dell’uso della violenza nelle controver-sie internazionali, rispetto dei diritti umani e della vita, in una società degna del suo nome, dove le sofferenze private devono essere pensate e vissute come problemi condivisi, comuni e politici.Se da una parte la società è esposta a continui mutamen-ti che coinvolgono vari livelli: economico, culturale, tra-sformazione della famiglia, dalla condizione patriarcale a quella mononucleale, dall’altra, ci sono solitudini che si sfiorano senza riconoscersi, ciascuna chiusa nella propria corazza difensiva. “ E’ uno dei tanti paradossi della nostra società. Viviamo nell’era della tecnologia, della comunicazione globale, nell’era di internet che ci permette in un solo istante di metterci in contatto con chiunque in qualsiasi parte del nostro pianeta. Eppure la nostra è un’epoca di solitudi-ne, o meglio di nuove solitudini”. Prof. Antonio Lo IaconoMeditiamo quindi….

Mara Parmegiani

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L’amore in convento

recensione Fiorenza taricone

moda

roma by night

Foro romano

Passione Patriottica

suLLe gonne deLLa storia

suLL’onda deLLa vanità

Fini - bossi

iL marsiLi

hubbLe

canneLLa

L’avvocato risPonde

LiFting senza bisturi

news

ricetta e oroscoPo deL mese

Indice

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convento

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risPonde

senza bisturi

deL mese

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I casi di libertà sessuale nei conventi

femminili hanno alimentato e solletica-

to anche la letteratura colta. Dal Boc-

caccio al Bandello, dall’Aretino al Ma-

chiavelli, fino agli illuministi, compreso

il Manzoni che inserisce anche la storia

della monaca di Monza nel suo libro

“I Promessi Sposi”. Maria de Leyva, la

Monaca di Monza accusata per il suo

amore con Paolo Osio per salvarsi di-

chiara: “Dopo che ebbi veduto l’Osio

mi sembrò di essere come diabolica-

mente forzata ad andare a quella fine-

stra…. E questo si ripeté più volte. Una

volta perché io volli farmi forza di non

andare svenni….e questo si ripetè più

volte…le quali cose tutte credo mi av-

venissero per opera diabolica per mali-

fizi fattimi; ho conosciuto dopo ciò es-

ser vero parlando a ragionar coll’Osio,

esso sotto pretesto di cose sante mi

fece baciare e toccar colla lingua una

cosa legata in oro che poi mi confessò

ch’era calamita bianca…”.

Tra “le apostolate” non può sfuggire

una donna, passata alla storia nell’855

con il nome, si dice, di Giovanni An-

gelico. Fu eletta papa e regnò per due

anni e sette mesi. La sua storia iniziò

quando a 12 anni si innamorò di un

giovane frate e per non separarsene,

fuggita in abiti maschili, entrò con lui

in convento. Di vivacissimo intelletto,

particolarmente dotata, dopo la mor-

te dell’amante si trasferì a Roma dove,

con abiti talari, aprì una scuola per in-

segnare la grammatica, la retorica, la

dialettica.

Alla morte di Papa Leone IV fu scelta

per la successione con il nome di Gio-

L’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN CONVENTOL’AMORE IN 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vanni. Ben presto il potere, i cibi raffi-

nati, l’ozio, la presenza di giovani ec-

clesiastici e aitanti valletti risvegliarono

in lei appetiti sessuali. Scrive il Cardi-

nale Martino Polono che lavorava nella

Curia romana con l’incarico di storico :

“…durante il pontificato fu resa incinta

da un suo familiare. Non conoscendo il

tempo del parto, mentre era diretta da

S. Pietro verso il Laterano, trovandosi

pressata dalla folla partorì tra il Colos-

seo e la Chiesa di S. Clemente, quindi

morì e qui stesso come si raccontava fu

sepolta. Il vicolo dove partorì fu detto

vicolo della Papessa”.

Per evitare che in futuro potessero veri-

ficarsi altri equivoci, il Vaticano decretò

che ogni pontefice designato, prima

della definitiva elezione, si sedesse su

una sedia di marmo fornita di un foro

per dare modo al diacono di “tastare”

la virilità dell’eletto.

Ma a Venezia la cui fama era accresciu-

ta non solo per le cortigiane e la pratica

della sodomia ma anche per gli intrighi

amorosi delle belle monachelle.

Qui i circa 34 conventi, chiusi da si-

lenziose e misteriose mura, isolati dal

mare, venivano raggiunti dalle gondo-

le che spesso scivolavano nell’oscurità

della notte.

Molte di queste ragazze, spesso nobili,

avevano preso il velo per volontà dei

genitori desiderosi di risparmiare sulla

dote. Senza vocazione, nella solitudi-

ne del Chiostro, eludendo la regola,

proseguivano nelle abitudini mondane

ricevendo e mangiando a sazietà ogni

sorta di dolciumi e vivande. Vestivano

lascivamente con abiti aperti dal petto

alla vita; ricevono l’innamorato e con

lui partecipano al Carnevale vagando,

fra feste e balli, per la città.

A nulla valsero le severe leggi applicate

già dal 1399 da Gian Galeazzo, duca

di Milano che prevedeva la condanna

a morte per chi avesse avuto rapporti

con una monaca dentro e fuori il con-

vento.

Neanche la condanna, nel 1401 di un

certo Giuidotto, giustiziato perché con

le sue scalate notturne ad un monaste-

ro “aveva relazioni di intimità con le

suorine”, operò da deterrente.

Il malcostume continuò.

Questi conventi, considerati nel XV

secolo quasi “postribula meretricium”

erano usati da Vescovi e frati come ha-

rem e, a detta del predicatore Berlette:

“quanta lussuria, quanta fornicazio-

ne… le latrine risuonano delle grida dei

bimbi che vi sono asfissiati”.

Obbrobri e turpi abitudini protratte

fino all’ultima guerra mondiale quan-

do, a causa dei bombardamenti, alcuni

conventi rivelarono tracce di cadaveri-

ni nelle tubature.

Nel 1602 ci fu una denuncia segreta

ai provveditori di Venezia per la vita

dissoluta di alcune monache nei mo-

nasteri di Santa Croce, Santa Caterina

di Chioggia, Maschiera di Venezia. Nel

1614, nel convento di S. Daniele, il Ve-

scovo di Canea, in seguito alle scanda-

lose pratiche di alcune suore con pre-

ti e nunzi, fu accusato: “col mezzo di

rottura di muro del monastero di San

Zaccaria, dimorando anco uno di loro

in esso diverse volte per le notti, ma li

giorni interi et di haver avuto commer-

cio et pratica carnale con due monache

di esso monastero”.

Ci fu qualcuna che procurò anche guai

diplomatici come Suor Maria da Riva,

che ebbe l’infelice idea di impegolarsi

in una tresca con l’ambasciatore fran-

cese Froulay. Preda di friccichii amoro-

si, una volta trasferita per punizione a

Ferrara, evase con un nuovo amante, il

colonnello Moroni.

A Verona, nello stesso periodo i con-

venti furono chiamati “lupanaria foe-

tidissima”.

Nel 1659 a Maubissonsotto in Francia,

con la complicità della badessa Agèli-

que d’Estrèe, alcuni gentiluomini ave-

vano l’abitudine di “passare il tempo”

nel convento.

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“Le suore portano pettorine pieghettate, si met-

tono il rossetto, si truccano e si vantano di avere

innamorati. Ve ne fu una che brigò per essere pre-

sentata alla Grande Mademoiselle D’Estreéè alla

quale poi confessò che da dieci anni era amante e

devota di Saint-Aunais.

L’abito religioso ha sempre esercitato il fascino del

proibito tanto che nel secolo XI il turbolento Gu-

glielmo IX, per stuzzicare l’intrigo sessuale, fece co-

struire una lussuosa casa di piacere dove le ragazze

avevano l’obbligo di vestire l’abito monacale.

Donnaiolo impenitente, fu il primo cliente a gusta-

re l’intrigo della tonaca.

Carlo II di Mantova non fu da meno. Poneva sem-

pre attenzione e cura sulle vicende dei conventi,

informandosi anche sulle nuove “reclute”.

Curiosità appagata sia per quelle già conosciute,

sia per le nuove come la Vacchetta, la Speciaretta,

la Sorghetta.

Le vie del signore, si sa, sono infinite e santa Ve-

nera, sant’Afra e santa Pelagia appresero le prime

lezioni di dottrina cristiana dagli ecclesiastici che

frequentavano i loro bordelli. E Angela Greca, di-

venne suora con il placet della Chiesa. Del resto la

figura di Maria Maddalena dipinta, secondo il Van-

gelo, come una prostituta, dimostrava che il penti-

mento e la salvezza giungevano a chiunque avesse fede. Era stata non solo perdonata, ma addirittura onorata da Gesù Cristo.

Dal libro “quelle signore…”

di Mara Parmegiani

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L’immagine scelta per la copertina dell’antologia di testi politici sulla questione femminile “Per filo e per segno”, di Ginevra Conti Odorisio e Fiorenza Taricone, ovvero “Lo studio del pittore di Cornelis de Baellieur”, riflette precisamente lo spirito del vo-lume, fitta galleria di ritratti che si attraversa con curiosità, ascoltando le voci di uomini e donne che con i loro scritti si sono pronunciati, nel corso dei secoli, sul ruolo e la funzione della donna all’interno della società. Le brevi biografie che accompagnano i testi aiutano a ricostruire i percorsi individuali di pensatori e pen-satrici impegnati nel dibattito, e a collocarli di volta in volta nel quadro del pensiero politico di ciascuna epoca. Si parte dal colto e elitario trio che a Venezia, tra il Cinquecento e il Seicento, diede il via alla riflessio-ne femminista in Italia: la poetessa Moderata Fonte, l’erudita autodidatta Lucrezia Marinelli e la dotta suor Arcangela Tarabotti aprirono la strada alle ri-vendicazioni dei diritti per le donne.Arcangela Tarabotti, dalla gabbia del convento benedettino cui era stata destinata dalla volontà paterna, vergava pagine di straordinaria passione contro la tirannia familiare e in difesa delle donne, confinate in spazi anche più angusti del suo conven-to, lasciate nella totale ignoranza e quindi accusate di essere ricettacolo dei peggiori difetti. È chiaro, argomentava la Tarabotti, che i difetti delle donne sono il riflesso delle condizioni di vita cui queste vengono destinate. Man mano che ci si inoltra nel XVII secolo, cartesianesimo e razionalismo influen-zano il dibattito, riflettendosi in un femminismo analitico, che smantellerà uno ad uno i pregiudizi consolidati, fondati sulla passiva accettazione della tradizione. “Gli uomini sono persuasi di cose di cui non sapreb-bero spiegare le ragioni, poiché il loro convincimen-to si basa unicamente su fragili apparenze, dalle quali si sono lasciati influenzare”, scriveva Poullain de la Barre nel 1673, andando alla radice del pro-cesso di formazione delle conoscenze e del giudizio. Il secolo dei Lumi e delle rivoluzioni rivela l’impos-sibilità di applicare alla storia della questione fem-minile la tradizionale dicotomia tra progressisti e conservatori, poiché queste classificazioni spesso

vengono scardinate nel momento in cui ci si sposta dal terreno delle questioni politiche più generali a quello dei ruoli sessuali all’interno della società. Risuona perciò isolata la voce del marchese di Condorcet, unico filosofo, al tempo della rivoluzione francese, a criticare la condizione femminile e a schierarsi per la concessione dei diritti politici alle donne. Il suo testo Sull’am-missione delle donne ai diritti di cittadinanza è seguito, a tre anni di distanza, dalla Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, di Olympe De Gouges, che chiederà per le donne pari accesso a tutte le cariche e agli impieghi pubblici, con il solo criterio del merito e del talento, principio lungimirante destinato ad affermarsi soltanto nelle moderne democrazie, dove ancora si stenta a tradurlo in parità effettiva.Assai ricca è la parte del volume dedicata al Risorgimento, in cui figurano Mazzini, con il suo testo “L’amore e la missione della donna”, la mazziniana Giorgina Craufurd Saffi, che si è battuta in particolar modo contro la regolamentazione statale della pro-stituzione, la storica del Risorgimento Jessie White Mario, biografa di Mazzini e Garibaldi, Marianna Bacinetti Florenzi, liberale e patriota, ed infine Cristina di Belgiojoso, intellettuale e protagonista fra l’altro della Repubblica Romana. Su tutte si staglia la “solitaria grandezza” di Anna Maria Mozzoni, teorica ed organizzatrice del movimento di emancipazione della donna nell’Italia della seconda metà dell’Ottocento. Ritenendo incompatibile con i principi di una società liberale e progressista la condizione di totale subordinazione della donna, la Mozzoni rivendicò il diritto di voto amministrativo e politico per le donne, l’abolizione del divieto di ricerca della paternità, sostenne la campagna contro la statalizzazione della prostituzione, e per affermare le sue idee tenne conferenze, presentò petizioni, fondò la “Lega promotrice degli interessi femminili” e scrisse numerose opere. L’antologia si chiude con le riforme Sacchi del 1919, segnale importante di una trasformazione in atto nella mentalità, ma anche del mutamento effettivo del ruolo femminile all’interno della società in seguito al primo conflitto mondiale. La legge n. 1176 sulla capacità giuridica della donna introduceva vistosi miglioramenti, a partire dall’abolizione dell’autorizzazione marita-le e dall’apertura alle donne di tutte le professioni e gli impieghi pubblici, esclusi quelli che implicavano poteri giurisdizionali, politici e militari. Sull’Italia di lì a poco si abbatterà il ventennio fascista, con la limitazione dei diritti di cittadinanza per tutti, uomini e donne, e con la sua visione fortemente gerarchica e conservatrice dei ruoli sessuali. Occorrerà attendere la Repubblica per veder riconosciuti il diritto di voto, l’eguaglianza di uomini e donne, sancita dall’articolo 3 della Costituzione, il diritto ad accedere liberamente a tutte le professioni, grazie alla legge n. 66 del 1963. Il volume, che ha accompagnato il lettore fino all’inizio di questa nuova stagione di conquiste ed impegno delle donne, si con-clude con un fondamentale interrogativo sulla società odierna: “A quando in Parlamento una rappresentanza politica femminile pari alla forza e alla consistenza sociale delle donne? A quando nelle università, nelle scuole, nel paese, una cultura condivisa della storia in cui le conquiste femminili costituiscono parte integrante della storia della democrazia?”.Per filo e per segno, Giappichelli Torino 2008, 313 pp € 29,00,

Eleonora Selvi

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Pin up stars

Yamamay

Emporio Armani

D&G

Custo Miss Bikini

Frankie Morello

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Un’estate a “due pezzi”: push up o triangolo, o fascia, mentre lo slip è sgambato e arricchito, a volte, con piccole rouches e

laccetti sui fianchi. E poi ovviamente non può mancare il trikini, costume sexy e provocante a metà tra un bikini ed un costume

intero. Via libera poi a dettagli, come stampe, ricami, paillettes, pietre e gioielli e parti in metallo. Sarà comunque un’estate col

cappello. Non esiste look che si possa dire completo senza questo accessorio, quindi.. puntate sulla testa!

Parah Noir

Parah Noir

Calzedonia

Moschino

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altezze!L’estate 2010 punta su scarpe dalle mille altezze. Da quelle raso terra per le donne più dinamiche e sempre di corsa a quelle più svettanti e sexy. Modelli colorati, in cuoio o in pvc. Tacchi a spillo, a cono, con le zeppe o plateau.

Scarpe di tutte le

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Borse…. che passioneUno stile che piacerà a tutte le amati del brand dove prevale lo stile con-try, la raffia, i tessuti satinati e arricciati. Fiori, papaveri ricamati o appli-cati sulle borse che ci ricordano la natura e la bellezza della campagna.

Costanza Cerioli

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Lo stilista Camillo Bona con le sue creazioni

ROMA by NIGHTa cura di Giancarlo Sirolesi

Tony Santagata festeggia al Gilda i suoi 40anni di attività

Carlo Verdone e Claudia Gerini ricevono il premio Simpatia dedicato al grande studioso di romanità Domenico Pertica

da sinistra Cecilia Taddei, Bocciarelli, Virginia Taddei, Silvia Raso, Daniela Ricci

La lunga maratona di Roma prima e dopo

Federica Balestra e Fiorella Borrello alla festa organizzata presso la Residenza dell’Ambasciatore d’Italia a Brasilia da Gherardo La Francesca

Laura e Lavinia Biagiotti sul campo da golf

Il prestigioso premio Arbiter 2009 consegnato dal pre-sidente della Federabbigliamento Roberto Polidori, per i 35 anni di attività professionale di Maurizio Righi

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MICOL FONTANA, L’ELEGANZA DI UN MITO

Micol Fontana assieme alle sorelle Giovanna e Zoe ha contribuito alla nascita della moda italiana. Gli abiti delle Sorelle Fontana

sono stati indossati da personaggi che hanno fatto sognare intere generazioni, come: Ava Gardner, Liz Taylor, Audrey Hepburn,

Grace di Monaco, Soraya, Maria Gabriella di Savoia, Jacqueline Kennedy. L’Italian Fashion ha riscoperto le sue radici grazie ad

un grande evento dedicato proprio a questa indiscussa icona della raffinatezza. Ad ideare la serata al Gilda di Roma, venerdì 23

aprile, è stata la storica della moda Mara Parmegiani Alfonsi nella sua qualità di Presidente della Commissione Moda dell’Os-

servatorio Parlamentare Europeo. La serata è iniziata proprio con il video messaggio della stilista e con l’intervista realizzata

dalla stessa Mara Parmegiani durante la quale Micol Fontana ha sottolineato il suo sogno nel cassetto: «Continuo a lavorare al

mio più grande progetto, un Museo della Moda a Roma, con un’area riservata alle Sorelle Fontana. E anche se l’iter burocratico

è lungo, sono sicura che ci riuscirò». A Lei è andato il primo dei tre prestigiosi premi dell’OPE ritirato dalla nipote Luisella FON-

TANA, che ha ricordato la zia con toni affettuosi e familiari, consegnatole dalla Dott.ssa Valeria Mangani (responsabile moda

del Comune di Roma). Il secondo premio è andato a SANDRO FERRONE per il costante impegno a favore delle donne e, il terzo

all’Accademia di Costume e di Moda per l’eccellenza nella formazione di futuri talenti (ritirato da Fiamma Lanzara). Presenti

alla serata anche alcune rappresentanti delle “quote rosa” dell’Osservatorio Parlamentare Europeo come Patrizia De Blanck,

Silvana Augero, Marina Bertucci e Costanza Cerioli che hanno apprezzato i modelli degli stilisti Sandro Ferrone e Camillo Bona

(presenti entrambi alla serata) fatti indossare da splendide modelle, applauditissime dai presenti. Tra i volti noti intervenuti an-

che Rosanna Vaudetti, l’assessore neoeletto Prof. Nicola Illuzzi, il Generale dell’Aeronautica Militare (Fiamme Tricolori) Manlio

Carboni, il principe Carlo Giovanelli, Marco Liorni, l’attore Pietro Delle Piane, il Prof. Adolfo Panfili del Comune di Roma, l’inviata

di Domenica in Famiglia Camilla Nata e l’inviata della Vita in Diretta Daniela Pulci. La serata è proseguita con le coreografie di

Alex La Rosa, noto coreografo e ballerino, e con l’esibizione, in prima assoluta, della cantante romana Cecilia Herrera, una voce

italiana del jazzsambossa: un genere musicale che unisce influenze latine e jazz melodico, con il suo primo singolo “Papillon”

premiato come miglior video di YouTube. A coccolare gli ospiti profumati omaggi della Intertrade Europe, dolcezze di Eurocho-

colat, caffè Lavazza, specialità aquilane “Aveja”, spumante Asti, oltre a piatti tradizionali della cucina mediterranea preparati

ad hoc dallo staff del Gilda. Hanno ripreso i momenti salienti della manifestazione le telecamere del TG2 “Costume e Società”

e della “Vita in Diretta”.

Loredana Gelli

Foto a cura di Laura Camia

Dada Riccioli e Mara Parmegiani Presidente Moda dell’Osservatorio Parlamentare Europeo Luisella Fontana riceve il premio da Valeria Mangani

Le Quote Rosa dell’Osservatorio consegnano ilpremio moda a Fiamma Lanzara

Sandro Ferrone premiato per il suo impegno a favore delle donne

Micol Fontana

Taglio della torta e brindisi augurale per i personaggi premiati

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“All’ottimo, clementissimo e piissimo princi-

pe nostro signore Foca, imperatore perpetuo,

coronato da Dio, trionfatore, sempre Augu-

sto….”. È l’inizio di un’iscrizione che si trova

sull’ultimo monumento onorario innalzato nel

Foro e risalente al 608 d.C.. Si tratta di una co-

lonna molto più antica (databile probabilmente

al II sec. d.C.) che venne coronata da una statua

e posta su un nuovo basamento a gradini. Su

questi venne poi incisa l’iscrizione che riporta-

va la dedica all’impertore Foca, rimasto famoso

per aver donato il Pantheon a papa Bonifacio IV,

che ne fece un luogo di culto cristiano. Il Foro è

sempre stato il centro della vita politica, civile,

religiosa e giudiziaria di Roma. Per questo le iscrizioni

che vi si trovano sono una vera e propria miniera di

informazioni, tanto più che ricoprono un arco di tem-

po di secoli, dalla fondazione della città a ben oltre

la caduta dell’impero romano d’occidente (476 d.C.).

L’epigrafe più antica e più famosa della Roma arcaica

si trova alle pendici del Campidoglio, nella parte occi-

dentale del Foro, e venne incisa sulla cosiddetta Pietra

Nera – o Lapis Niger – un cippo che era parte di un

complesso monumentale pavimentato di nero (da cui il

nome) e che si elevava al di sopra della pavimentazione

stessa del Foro. Il testo, che risalirebbe al VI sec. a.C.,

sarebbe da mettere in relazione con un luogo funesto

collegato alla morte di Romolo (che secondo Plutarco

sarebbe avvenuta nel santuario dedicato al dio Vulca-

no). Dell’iscrizione sono decifrabili solo poche parole,

che indicano chiaramente un formula di maledizione:

“chiunque violerà questo luogo sia consacrato agli dei

infernali”.

Foro Romano ovvero lo spazio del

cambiamento

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FORO ROMANO:

Il Foro era situato nella valle compresa tra il Palatino e il Campidoglio, una valle originariamente paludosa e inospi-tale, tanto che tra il X e il VII sec a.C. venne utilizzata come necropoli dei primi villaggi stanziati sulle colline circostanti. Fu il re Tarquinio Prisco a drenare la zona, nel 600 a.C. gra-zie alla costruzione della Cloaca Massima e a pavimentarla con il tufo. Fu creata una grande piazza rettangolare, che divenne il punto centrale verso cui convergevano molte stra-de fondamentali e un luogo di mercato e di scambi. La Via Sacra ne costituiva l’asse principale poiché collegava le due comunità primitive del Campidoglio e del Palatino. Lungo questa via si allineavano gli edifici più rilevanti per la vita cittadina, come la Regia, ovvero l’antica residenza dei Re e poi luogo di culto di molti sacerdozi; i templi più antichi e venerabili come quello di Saturno, di Vesta, e di Castore e Polluce. Da qui passarono poi le grandi processioni del trionfo o i cortei funebri. Tra i monumenti che costeggia-vano la Via Sacra vi era anche il Comitium, un complesso di edifici (prima a pianta rettangolare, poi dal IV secolo a.C. a pianta circolare), ritualmente orientato secondo i punti car-dinali, dove fino al II sec.a.C. si svolse l’attività politica, ma anche quella giudiziaria e civile: qui si consumavano infatti la maggior parte dei processi e qui si raccoglieva il popolo in alcune occasioni. A ridosso del Comitium vi era la Curia detta Hostilia (perché, secondo la tradizione, sarebbe sta-ta costruita dal re Tullio Ostilio), dove si riuniva il senato. Nel IV sec. a.C. fu costruito, sul lato verso il Campidoglio, il Tempio della Concordia, in occasione dell’accordo tra pa-triziato e plebe; e la tribuna da dove parlavano i magistrati venne abbellita con i Rostra, ovvero gli speroni delle navi sottratte alla flotta della rivale città di Anzio nel 338 a.C.. Ai due angoli della Curia invece vennero erette le statue di due uomini importanti, considerati il più coraggioso e il più sag-gio: Alcibiade e Pitagora. Luoghi e collocazione degli edifici erano tali che le varie istanze cittadine - magistrati, senato-ri, popolo - potessero facilmente interagire ai fini della vita civile. Pian piano l’attività politica si estese a tutto il Foro e non rimase concentrata più solo nel Comitium. La popola-zione aumentava, gli spazi architettonici assumevano altre dimensioni, nuove funzioni politiche e giudiziarie facevano la loro comparsa. Tutto questo impose una diversa gestione

della realtà cittadina. La politica romana aveva bisogno in sostanza di più spazio.Così anche il Foro cominciò a trasformarsi. Nel III sec a.C. venne costruito un nuovo mercato nella zona nord e qui si spostarono tutti i commerci alimentari. Furono poi allestiti degli atria (zone coperte) per accogliere e riparare i cittadini. Nel II sec a.C. il Foro venne ripavimentato, gli atria vennero sostituiti con basiliche più ampie che, formando una spe-cie di cornice architettonica, rendevano Roma una delle più belle città del mondo mediterraneo. Parallelamente anche i magistrati e i loro compiti aumentavano. Vennero create nuove figure di funzionari pubblici e istituiti nuovi tribunali per giudicare reati specifici. Tutto lo spazio si riempì dell’at-tività politica e giudiziaria della città: nella parte meridionale si formò un secondo polo che si affiancò, o addirittura si sostituì, al Comitium. Venne aggiunta una tribuna al tempio di Castore e Polluce, tanto che i magistrati si rivolgevano al popolo sia da questa nuova tribuna, sia dai Rostri. Anche il senato teneva le sue sedute sia nella vecchia Curia, sia nel tempio dei Gemelli o in quello della Concordia. Con l’avvento di Silla l’area subì una nuova spinta edilizia. Silla volle unificare e chiudere fisicamente e simbolicamente il Foro: edificò a fianco del Campidoglio, come per rego-larizzarne lo sfondo, il Tabularium, una vasta costruzione destinata ad ospitare l’archivio di Stato; fece restaurare il Tempio di Giove Capitolino collocato sul colle; intorno alla piazza fece costruire quattro basiliche (Porcia, Emilia, Sem-pronia e Opimia), che dovevano ospitare l’amministrazione della giustizia e gli affari politici. In tal modo il Foro guada-gnò una maggiore unità architettonica e idelogica, acquistò una coerenza d’insieme che fino a quel momento non aveva mai posseduto, raggiunse un nuovo equilibrio visivo a testi-moniare l’equilibrio che Silla aveva cercato di dare alla città dopo i disordini della guerra civile. Dopo di lui anche Pompeo e Cesare vollero riedificare lo spazio civico per dimostrare al mondo intero il dominio che erano riusciti a imporre sulla città. Ma scelsero una strada diversa da quella del loro predecessore. Pompeo in partico-lare pensò a risistemare l’area del Campo Marzio, formando un complesso monumentale diviso in due parti (un teatro e un portico), consacrato a Venere Vincitrice (Venus Victrix) e a se stesso, rappresentato da un’imponente statua che tene-va in mano il mondo da lui conquistato. Sotto questa stessa statua Cesare fu assassinato.

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statua Cesare fu assassinato.

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FORI IMPERIALI:

Diverso era il progetto di Cesare, un progetto ambizioso e inaudito. Egli non si accontentò infatti del Foro esistente né volle costruire i monumenti che dovevano testimoniare la sua grandezza fuori da esso (come aveva invece fatto Pompeo). Cesare voleva altro, voleva qualcosa di suo: fece costruire un Nuovo Foro, accanto a quello già esistente. In questo modo non solo lasciava un segno tangibile del suo dominio, ma risolveva anche il problema del congestionamento del-lo spazio civico. Il suo obiettivo era quello di spostare nella nuova area una serie di importanti attività politiche. I lavori cominciarono nel 54 a.C. e il Foro venne inaugurato, ancora incompleto, nel 46 a.C.. Fu una delle pochissime opere del programma urbanistico di Cesare che egli potè inaugurare prima della sua morte. Toccherà poi ad Augusto terminare il complesso. A differenza del vecchio Foro, quello di Cesare si basava su un progetto unitario: una piazza rettangolare circondata su tutti i lati dai portici, eccetto che sul lato di fondo dove sorgeva il tempio dedicato a Venere Genitrice (in opposizione alla Venere Vincitrice del suo rivale) da cui Cesare si vantava di discendere. Al centro della piazza venne posta la statua bronzea del dittatore a cavallo in ricordo dei suoi successi e della sua aspirazione al governo. Egli rico-struì anche la Curia e il Comitium, distrutti da un incendio nel 52 a.C., orientandoli non più secondo i punti cardinali (come era tradizione), ma in modo tale che si adattassero alla disposizione spaziale del nuovo Foro. Così per accedere alla nuova Curia, dove si riuniva il Senato, si doveva passare dal retro attraversando il Foro di Cesare. Un chiaro segnale di voler sminuire il Senato e rendere palesi i nuovi equilibri di potere. Cesare pagò di tasca propria i terreni su cui do-veva sorgere la nuova piazza, che con la sua compattezza e univocità spaziale celebrava la grandezza di colui che l’aveva costruita e manteneva al tempo stesso una continuità con il vecchio Foro. Innovazione e tradizione trovarono così nel progetto di Cesare una splendida sintesi. L’opera fece da modello per la costruzione dei Fori Imperiali successivi. Augusto si assunse prima l’onere di completare l’opera iniziata dal padre adottivo e di risistemare il vecchio Foro, soprattutto dopo i due incendi avvenuti nel 14 a.C. e nel 9 a.C.. Fu rifatta tutta la lastricatura, gli antichi monu-menti e basiliche furono restaurate, tra cui la Basilica Giu-lia (ex Sempronia, la cui ricostruzione era già stata avviata da Cesare) e la Basilica Fulvia-Emilia, che poste più o meno

una di fronte all’altra davano una maggiore regolarità all’antica piazza del Foro. Venne innalzato l’Arco di Augusto in ricordo del-la vittoria di Azio e costruito un portico a nome di Gaio e Lucio Cesari, nipoti ed eredi dell’imperatore. In tal modo anche il vec-chio Foro partecipava architettonicamente alla glorificazione di Cesare, dei suoi di-scendenti e della monarchia. Solo in un secondo momento Augusto pen-sò a costruire un proprio Foro, che potesse diventare il nuovo centro politico, giudi-ziario e celebrativo di Roma e dell’Impero. Il nuovo complesso riprendeva sostanzial-mente l’impostazione formale del Foro di Cesare, ma disposto ortogonalmente ri-spetto a questo: una piazza rettangolare circondata su tre lati dai portici e sul lato breve di fondo un tempio dedicato a Marte Ultore (Vendicatore), in onore della vittoria di Filippi in cui vennero sconfitti gli assas-

sini di Cesare e questi, dunque, vendicato. Il tempio di Marte, inugurato il 2 a.C., si appoggiava ad un altissimo muro che divideva la piazza imperiale dal popo-lare quartiere della Suburra. Alle spalle dei portici, sui lati lunghi, si aprivano ampie esedre (spazi semicircolari coperti) che dovevano ospitare le attività dei tribunali. Inoltre erano arricchiti da numerose statue di personaggi reali o mitolo-gici della storia di Roma (tra cui Enea e Romolo) e statue di membri della famiglia Giulia. Non mancava neppure una statua colossale dell’Imperatore. Il tutto a fini propagandi-stici per celebrare la nuova età dell’oro inaugurata con il principato di Augusto. Sotto l’imperatore Vespasiano venne costruita un’altra gran-de piazza, separata dal Foro di Augusto e da quello di Cesa-re da via dell’Argileto, l’antica strada dei librai che metteva in comunicazione il Foro Romano con la Suburra. All’inizio questo complesso non su considerato come un dei Fori Im-periali, tant’è che era conosciuto con il nome di Tempio della Pace. Solo in epoca tarda (da Costantino in poi) il luogo fu riabilitato come Foro, pur mantenendo il suo nome: è infatti citato come Foro della Pace. La forma era leggermente diffe-rente, ma il principio formale sempre lo stesso: si trattava di un quadrilatero (non un rettangolo) circondato dai portici, con il tempietto inserito dentro il portico del lato di fondo. L’area centrale non era lastricata, ma sistemata a giardino, con vasche d’acqua e basamenti per statue, formando di fatto un museo a cielo aperto. Il complesso, cominciato da Vespasiano e concluso da Domiziano, era stato edificato per celebrare la conquista di Gerusalemme nel 70 d.C. e venne dedicato alla Pax Augusta dell’Impero secondo la propagan-da classica. Il complesso perse presto la sua funzione pub-blica e già nel IV secolo gli spazi furono utilizzati per varie attività produttive. Il penultimo Foro imperiale ad essere costruito fu il Foro di Nerva o Foro Transitorio, ideato e avviato da Domiziano. Il complesso venne inaugurato ufficialmente nel 97 dal suo successore, l’imperatore Nerva. Nelle fonti è spesso ricorda-to come Transitorio perchè da un lato collega la Suburra al vecchio Foro Romano, funzione in precedenza svolta da Via dell’Argileto di cui occupò un tratto, dall’altro forma una specie di raccordo tra i Fori di Cesare e Augusto con quello della Pace. La pianta fu condizionata dal poco spazio dispo-nibile: la piazza ha così forma quasi ellittica, stretta ed allun-gata con colonne aggettanti che decorano i muri perimetrali in sostituzione dei consueti portici, che avrebbero ridotto troppo lo spazio utile. All’estremità occidentale, verso la Su-burra, venne eretto il Tempio di Minerva, addossato su un

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lato ad una delle esedre del Foro di Augusto e sul fondo ad un Por-tico Absidato, che costituiva un ingres-so monumentale a pianta semicircolare per l’accesso al quartiere popolare. Ultimo in ordine di tempo, nonché il più grandioso, fu il Foro di Traiano. Edificato nel 107 d.C. per ordine dell’imperatore Traiano con il ricchissimo bottino ricavato dalla conquista della Dacia, il complesso architettonico venne inaugurato nel 112 d.C., mentre la Colonna che pure vi faceva parte fu inaugurata separatamente nel 113 d.C.. Il compito ven-ne affidato ad Apollodoro di Damasco che si trovò a dover risolvere un problema logistico. I Fori Imperiali erano sorti a ridosso del Foro Romano più antico che restava di fatto il centro della vita cittadina. Ma la zona pianeggiante vicino alla piazza originaria era tutta occupata. Bisognava trovarne un’altra, non troppo lontana, o al limite crearla. Ed è quello che fece Apollodoro: una nuova area pianeggiante fu otte-nuta sbancando la sella, cioè la collina, che congiungeva il Campidoglio al Quirinale. Memoria di questa ingegneristica operazione si trova in un’iscrizione della Colonna Traianea, che sarebbe alta quanto il monte eliminato. Forse i lavori di sbancamento erano già iniziati sotto Augusto e portati avanti da Domiziano. Ma solo con Traiano furono portati a termine, ricorrendo anche ad una serie di interventi strut-turali: fu infatti rimaneggiato il Foro di Cesare dove venne eretta la Basilica Argentaria e ricostruito il tempio di Venere Genitrice; mentre il taglio operato sulle pendici del Quirinale venne compensato dalla costruzione dei Mercati Traianei, un complesso di edifici con funzioni prevalentemente ammini-strative, collegato alle attività che si svolgevano nel Foro. La forma della piazza del Foro di Traiano non è diversa dalle altre, ma le supera per le eccezionali dimensioni. Larga oltre 180 metri, aveva forma rettangolare ed era chiusa sul fondo dall’immensa Basilica Ulpia, a pianta rettangolare, delimita-ta alle estremità da due esedre e disposta trasversalmente rispetto all’asse del Foro. Alle sue spalle vi fu collocata la Co-lonna di Traiano. Ai lati di questa sorgevano due edifici iden-tici che ospitavano due biblioteche, una greca e una latina. La piazza era circondata da portici colonnati e, come nel Foro di Augusto, a metà vi si aprivano delle ampie esedre. Il lato opposto della Basilica era caratterizzato da una facciata mo-numentale che faceva da sfondo alla statua equestre dell’im-peratore, collocata al centro della piazza. Il tutto abbellito da statue, pitture, bassorilievi, fregi marmorei, costruzioni accostate tra loro in modo da costituire un sistema articola-to, ma omogeneo. La Colonna era il punto focale di tutto il

com-p l e s s o , un vero e pro-prio monumento nel monumento, con eccezionali dimensioni e una decorazione del fusto di rara perfezione e bellezza. Per sfarzo e grandezza il Foro di Traiano rimase, fino al Medioevo, uno dei luoghi più ammirati di Roma. Ancora nel II e III secolo furono aggiunti nuovi monu-menti al Foro Romano, come il Tempio di Antonino e Fausti-na, il Tempio di Venere, l’arco di Settimio Severo e le cinque colonne di Diocleziano per celebrare la Tetrarchia; poi nel IV secolo fu costruita più a sud la Basilica di Massenzio, un pò fuori dall’area tradizionale del Foro, e lì vicino il Tempio di Romolo, dedicato al figlio di Massenzio, Valerio Romolo, morto prematuramente. Nel V secolo la facciata della tribu-na dei Rostra fu prolungata verso nord-est e nel 608 venne eretto l’ultimo monumento: la Colonna di Foca. Da lì cominciò il declino e i monumenti caddero per lo più in rovina e in qualche caso furono riusati per nuove costru-zioni. Il Foro cominciò ad interrarsi fino a diventare terra di pascolo, tanto che prese il nome di “Campo Vaccino”. Si dovette attendere il XVI secolo perché fossero riportati alla luce i resti del Foro. Da allora vennero intraprese varie cam-pagne archeologiche, ma solo agli inizi del XX secolo l’area fu completamente scavata. La storia dei luoghi della politica è inseparabile da quella delle trasformazioni profonde della società, nella fattispecie da quei cambiamenti che condussero dalla Repubblica alla Monarchia augustea. Chi aveva il potere trascriveva nello spazio le modifiche che coinvolgevano le istituzioni. Ma il vero miracolo fu l’ordine architettonico con cui ciò avvenne, l’armonia di fondo che veniva rispettata da tutti. Così all’ori-ginario giustapporsi delle statue e degli edifici, seguirono sistemazioni omogenee di tutti coloro che vedevano nell’ab-bellimento della città la propria elevazione civile e politica, la rappresentazione del proprio potere assoluto. Ma alla fine la chiusura architettonica dei Fori divenne anche una chiusura ideologica e politica. E fu l’inizio del declino.

Cristina Guerra - RAI TG1

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Passione PatriotticaUn “ Viaggio nella moda dell’Ottocento” rivela l’importanza del

costume e della moda come patrimonio d ’informazioni sulla storia sociale ed econo-mica di un’epoca e come proiezione simbolica di comportamenti pubblici e privati. È questa la

filosofia per valorizzare un periodo storico. Un periodo in cui le signore attendevano con ansia i figuri-ni da Parigi per leggere le indiscrezioni delle toelette delle grandi dame francesi, anche se risalta il ruolo di

primo piano che il Piemonte ebbe nella realizzazione dell’Unità d’Italia di cui proprio nel 2011 si celebrerà il 150° anniversario. Nell’ottocento i costumi richiedevano per la donna un comportamento consono soprattutto

al rango della nobiltà attraverso un modo di vita improntato alla famiglia ed alla casa. Di lei si doveva dire poco negli ambienti dei piccoli paesi. Niente lodi e niente biasimi. Ma non era sempre così. Spesso la gente individuava in alcune nobildonne un carattere ribelle, di comando, di vera conduttrice dell’economia del ceppo familiare. Sen-za dimenticare che molte di loro ebbero una educazione elevata, nell’istruzione e nell’educazione musicale. Erano i primi segni inequivocabili dell’emancipazione femminile che poco tempo dopo avrebbero segnato un’epoca. Per quanto riguarda le donne del Risorgimento meridionale, ci è pervenuta oralmente tutta una serie di aneddotica dove emerge un tipo di donna “virile”, per usare un termine allora di moda, che non disdegnava di invadere campi a lei ritenuti non congegnali, come i conflitti politici e militari, in barba ai “principi” di allora sulla presunta “inferiorità biologica della donna”.Nel periodo risorgimentale, infatti, un ruolo non meno importante o secondario fu ricoperto dalle donne, madri, mogli, sorelle dei patrioti, coinvolte nelle azioni cospirative. Svolsero con alto senso di coraggio compiti di mes-saggere, ricercatrici di armi e munizioni, adoperandosi anche al reclutamento di volontari. Assicuravano ai loro congiunti patrioti, ricercati dai Borboni, un sicuro nascondiglio e per i prigionieri e la delicata opera del loro riscat-to con la vendita spesso dell’intero patrimonio familiare. Molte patirono il carcere per cospirazione e favoreggia-mento a seguito di dure condanne. Le donne del Sud ancora una volta, si sono volute distinguere, salutando i loro uomini che partivano, con una spontanea manifestazione d’affetto. Al loro passaggio lanciavano dai balconi fiori e grida augurali. Consegnavano munizioni e acquavite e anche una “vistosa bandiera tricolore ornata dello scudo sabaudo, in cui i bordi e la croce erano ottenuti con i galloni argentati in uso per i costumi albanesi femminili.Il Corriere delle Dame, filoaustriaco, dopo le Cinque Giornate del marzo 1848, presenta nuovi modelli d’abito nello stile patriottico con il cappello “all’Ernani” usato da Cristina di Belgioioso.Ma fecero di più: alcune di loro si fecero confezionare abiti tessuti con i colori del nostro tricolore, come

quello della nobildonna calabrese, Rosina Palopoli, dei baroni Leopardi, che mi è pervenuto ed esposto ai Musei Capitolini, nella mostra “ritratto di Signora”, e inalberarono, malgrado il divieto, i cappelli

“alla calabrese”, divenuti assai popolari dopo la rappresentazione dell’ Ernani ed adottati dai patrioti.

ROSA DONATO

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Perchè la bandiera in sé, più che rappresentare un segno dinastico o militare era anche il simbolo di ideali di libertà e indipendenza che si andavano for-

mando non solo in Italia, ma anche in altre nazioni. Ideali soffocati dal Congresso di Vienna e dalla Restaurazione. Fu dunque negli atti risorgimentali, che caratterizzarono i primi decenni dell’800,

che il Tricolore diventò l’emblema della lotta e della libertà. Così per i moti mazziniani e per le imprese dei fratelli Bandiera, il sentimento racchiuso nella bandiera italiana segnerà la Prima Guerra d’Indipendenza

quando Carlo Alberto adotterà il vessillo insieme allo scudo dei Savoia e così, quando nel 1861 fu proclamato il Regno d’Italia, la sua bandiera, per consuetudine, continuò ad essere quella del 1848.La moda, in questo senso, è stata un veicolo preferenziale e significativo: le fogge degli abiti, l’utilizzo di taluni tessuti invece di altri, e persino gli accessori stessi, sono testimoni fedeli non solo delle ideologie imperanti o di opposizione, ma della situazione politica ed economica di un intero Stato. Anche il Corriere delle Dame seguiva e commentava fedelmente gli avvenimenti: il 23 marzo 1848, nell’inserto dedicato ai figurini di moda, si diceva esplicitamente che “Il Corriere delle Dame darà ogni numero un breve sunto de’ principali avvenimenti politici che raccoglierà dalle fonti più esatte e specialmente dal Giornale Officiale del Governo Provvisorio”. Il collegamento tra gli avvenimenti politici e la moda, dunque, singolare, come potrebbe sembrare in apparenza non notevole, e i grandi mutamenti sociali hanno determinato vere e proprie rivoluzioni in fatto di abbigliamento (e a sostegno di questa affermazione basterebbe citare la Rivoluzione Francese e il seguente periodo napoleonico). Il 20 luglio del

’48 il giornale pubblicava una dissertazione per spiegare chiaramente il concetto e concludendo con la constatazione che “…il potere della moda esercitò sempre la sua influenza; ebbe

vita attiva nei grandi movimenti politici, si mischiò nei partiti, si mostrò come l’espres-sione del pensiero, ora adottando le fogge di una nazione guerriera, ora i colori della

libertà, dell’indipendenza, or quelli di una nazione prospera e tranquilla. (…) Che la moda sia collegata cogli avvenimenti sociali e in Italia. Abbiamo visto lo scorso carnevale le signore presentarsi al teatro colle cuffie guarnite di nastri di tre colori, presenti i dominatori della casa d’Austria; ab-biamo visto la moda dei vestiti di velluto proposta per danneggiare le case commerciali della Germania; poi i cappelli acuminati, simbolo della rivolu-zione napoletana”. Mara Parmegiani storica della Moda Ventaglio patriottico

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Nella stagione rivoluzionaria del biennio 1848-49 le bandiere, le coccarde, le sciarpe, i fazzoletti tricolori, simboli dell’affrancamento dall’oppressio-ne straniera, tornano alla luce in molte parti d’Italia.Il 1836 segna una svolta e, soprattutto verso la metà del secolo, è evi-dente l’influsso del gusto borghese legittimato da salotti autorevoli come quello della contessa Maffei a Milano. Alla spavalderia succede l’austerità, alla passione il sentimento o un sentimentalismo convenzionale, ai colori vivaci una certa modestia e tinte spente.Da ricordare, in Italia, il lancio, nell’accesa atmosfera che precede i moti del 1848, di un vestito nazionale che, per riannodarsi alla tradizione, do-vrebbe utilizzare stoffe italiane. L’idea di adottare un modo di vestire che stimolasse slanci liberali e patriottici, durante il dominio austriaco, ini-zialmente si era limitato al cappello, su iniziativa spontanea di gruppi di giovani che si riunivano nei caffè milanesi (“della Peppina”, vicino al Duomo e “della Cecchina”, quasi di fronte al Teatro della Scala); poi, con un tam-tam, si era diffusa in Piemonte e nel Napoletano. Emblematica la proibizione di cappelli piumati, decreto austriaco firmato del 15 febbraio 1848 dal barone Torresani Lanzenfeld.Ma già nel 1848 si parlava di vestito o costume all’italiana come “dimo-strazione antipolitica”: una celebre stampa di dama con bandiera, del 48 forse Cristina Belgioioso Trivulzio - rappresenta questa foggia. Il costu-

SULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIA

Gli abiti di fine

Ottocento

tra balze e trine

custodiscono

la memoria

delle donne e della

loro emancipazione.

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SULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIASULLE GONNE DELLA STORIAme all’italiana o alla lombarda compare sui giornali di moda ed è oggetto del sarcasmo dell’austriaco conte Hübner che, rimasto a Milano durante le Cinque giornate, ne riconosce tuttavia il fascino.Sono ancora imperanti le mode francesi, con due principali indumenti femminili: il corsetto e la sottana che danno alla figura una forma detta “a copriteiera”: si sviluppa l’ampiezza della gonna sostenuta da una fodera di crine rinforzata da cerchi di vimini. Il corsetto da sera è scollato, con maniche corte, a punta in vita sul davanti (alla Medici o alla Maria Stuarda); per il giorno è molto aderente, severamente chiuso con maniche lunghe e strette. Ma la vera novità è lo scalfo della manica, ingegnosissima e anonima soluzione al proble-ma della piegatura del braccio e della sporgenza del gomito variamente affrontato fino ad allora con tagli, in apparen-za ornamentali, a spalla e gomito, ma finalizzati a dar agio nei movimenti. Con lo scalfo, l’attacco della manica, anzi-ché essere un arco ugualmente convesso nelle due metà, si presenta convesso nel lato esterno, sfuggente nell’interno; in seguito si perfezionerà con un incavo (échancré) nella parte interna della manica e diverrà tecnica acquisita da tutti i sar-ti. Alle maniche aderenti o ajustées si alternano quelle alla

réligieuse piuttosto corte con una sottomanica in vista, dai ricami assortiti con quelli del collettino. Accanto ai corsetti aderenti, rinforzati da stecche di balena,

meno frequenti quelli a leggere pieghe o arric-ciati (à la vier-ge, à l’enfant), il sarto abruzzese Pasquale di Silve-stre, inventa un busto speciale senza cuciture.Importantissima la sottogonna o crinolina così chia-mata per il mate-riale usato: crine in tessuto con fili di lino o di seta in modo da render-la rigida, ma non sgualcibile, nean-che sedendosi. Un tessuto inventato dal sarto parigino Oudinot e inizial-mente usato per cappelli e collet-ti. La forma era quella di un’am-pia sottana fitta-mente arricciata, e per ammorbi-dirne l’effetto si sov rapponeva , prima della gonna dell’abito, un’al-tra sottogonna di seta o di cotone.Morbidi e disinvolti sono invece i peignoirs, con poche stec-che leggere, aperti sul davanti, usati per il teatro o le visite o anche in casa; infatti tendono a confondersi con le vesti da camera, da indossare alzate dal letto e il termine stesso indica la mantellina per pettinarsi.Svariati i soprabiti, nella linea della continuità: mantellina, pellegrina, palatina, polacca, polonese, pardessus, visite. Nuovo, almeno nel nome, il camail (dall’antico italiano “ca-maglio”!), mantello lungo e spiovente e il paletot di tipo ma-schile. Grande diffusione hanno le pellicce: martora e, dopo il 1840, l’ermellino usato, oltre che per i soprabiti, anche per le vesti da camera. Pellegrine e palatine d’inverno, sono intera-mente di pelliccia; il boa fa una fugace apparizione, mentre è sempre in voga il manicotto.Sempre di moda i costosissimi scialli di cachemire, passeg-

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gero l’uso di altri scialli come il Ruy-Blas (dal dramma di Victor Hugo) e lo scialle arabo burnùs.Le cure di bellezza sono più discrete che in passato, ma permane la moda del pallore con

un leggero tono ocrato che prende nome da una famosa attrice, Rachel che lancia l’uso delle résilles (reticelle) e un genere di turbante di gusto rétro.

Si stabilizza l’acconciatura bassa e raccolta, all’inglese, con i capelli spartiti sulla fronte e arrotolati sulla nuca e grappoli di lunghi ricci sulle guance

(le anglaises). Tipicamente borghese è la cuffia, anche per i ricevimenti, piccola e senza fondo, così distinta da quella da casa o per la notte.Le lunghe sottane tolgono importanza e conferiscono praticità a calze e calzature; in alcuni corredi appaiono solo calze di filo di Scozia, ma per la sera si usano anche quelle di seta nera o colorate e ricamate. Le scar-pe si distinguono per il tacco moderato; per la sera sono indicati nero e bianco e per il giorno, con il colore dell’abito. Per lunghe passeggiate si

adottano stivaletti di morbida pelle di daino o in seta o velluto; d’inverno si foderano e bordano di pelliccia. Per l’estate Oudinot lancia lo stivaletto di crine o pedicrine, allacciato lateralmente con bottoni. Molto importanti sono i guanti, anche di sera, corti, chiusi al polso con due bottoncini; se lunghi, sono ornati in alto con ghirlande di fiori e pizzi o profilati di ermellino. In casa e in campagna si usano le mitène di reticella di pizzo: quelle di velluto fanno risaltare il biancore della mano.Il gusto romantico-borghese ama ornare di fini ricami la biancheria: lo scollo delle camicie e l’orlo delle sottane. I volants aumentano il volume delle gonne. Le mutande, come per le pudiche dame inglesi, non hanno

più taglio diritto, ma sono strette alla caviglia. I fazzoletti da portare in mano, costosissimi, sono ricamati con motivi romantici (edera tena-ce e salici piangenti...) e ornati di pizzo, mentre quelli d’uso sono di

semplice lino. Nei corredi variano da dodici a ventiquattro.I gioielli sono meno numerosi e più semplici: non collane, ma piuttosto fini catenelle d’oro, orologi piccoli con una catenella girata alla cintura e appuntata sul petto; orecchini piccoli e a pendente. Anelli, bracciali, spille si ispirano al mondo animale e vegetale. Caratteristica dopo il 1850 la medaglia religiosa,

lanciata dalle ballerine della Scala che ne portano una col ritratto di Pio IX, il papa presunto liberale.Novità interessante sono i gioielli elastici: bracciali e collane dotati di molle segrete che li allungano o fan-

no restringere. Gli ombrellini da sole, usatissimi, sono à la marquise o brisé e orientabili; elegantissimi quelli di piume o pizzo. Innovativo è il meccanismo di acciaio creato da Cazal per

aprire e alleggerire il parapioggia, diversamente da quelli realizzati con stecche di legno o di balena. A fine secolo ri-

compaiono le borsette che sostituiscono le tasche e si appendono alla cintura con una piccola molla. Molto diffusi i ventagli di tutti

i generi e prezzi: pregiati quelli con miniature di imitazione settecen-tesca o soggetti romantici e letterari come I Promessi Sposi (a riprova della

loro popolarità). Nel 1848 la litografia facilita la diffusione dei ventagli patriottici che poi, tornato Radetzky, si camuffano in modo innocente.La sera del 6 Febbraio, 1847 nel corso della 22.a rappresentazione del “Macbeth” di Giu-seppe Verdi la famosissima ballerina Fanny Cerrito fece la sua entrata in scena portando un velo bianco, rosso e verde. L’entusiasmo che questa comparsa suscitò nel pubblico fu enorme, in un batter d’occhio le signore che erano nei palchi estrassero dai loro vestiti dei fazzoletti bianchi, rossi e verdi e li intrecciarono in modo da formare dei festoni tricolori lungo la linea dei palchi. Gli applausi si fecero sempre più insistenti accompagnati da grida inneggianti all’Ita-lia.

Mara Parmegiani

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Nell’ 800 cresce sempre più l’interesse per lo sport, nascono e si perfezionano nuove discipline sportive. Ma quello che ha porta-to una rivoluzione nel modo di abbigliarsi è stato il nuoto. La moda dei bagni di mare cominciò a profilarsi in modo organizzato tra il 1820 e il 1830, a pratica dall’Inghilterra dove era stata tenuta a battesimo. Da Brighton all’isola di Wight - dove nel 1846 cominciò a soggiornare regolarmente ad ogni stagione, la regina Vittoria nella confortevole e riservata House Osborne. Fra le prime bagnanti di cui ci giunge notizia, c’è l’immersione della regina d’Olanda, Ortensia di Beauharnais, che pratica i suoi bagni a Dieppe, nell’estate del 1812, con un completo di maglia color cioccolato, composto di tunica, pantaloni e scarpine allacciate alla caviglia. Un colpo di cannone, invece, annunciò alla cittadinanza il coraggioso bagno, nel 1824, della duchessa di Berry. Indossava un abito di lana marrone orlato di blu, un cappottino, una cuffia enorme e scarpine di tela grezza alla greca. Le dava il braccio il prefetto in persona che, in guanti bianchi e cilindro, insieme a notabili e curiosi, l’affidò ad un bagnino che la sollevò tra le braccia avanzando con lei nell’acqua più alta. Le nobili dame aprirono così la grande rivoluzione del costume femminile e la moda dei bagni si estese molto velocemente, creando proseliti sulle spiagge di Ostenda, in Belgio, San Sebastiano in Spa-gna e a Deauville. Il busto è ancora presente e le signore sono talmente abituate a portarlo che, senza, temono di afflosciarsi, come un tenero fiore senza sostegno. Il cambio d’abito, spesso con strascico, pizzi e piume di struzzo, a favore di un costume a gonne sovrapposte, avveniva in cabine sorrette da alte ruote, portate fino al mare, entro cui si calavano attraverso un grande foro sul pavimento. Saranno poi sostituite da poltrone di vimini con nicchia e alti baldacchini. L’abbigliamento balneare non prescindeva dalle maniche lunghe, calze, guanti e un grande accappatoio da infilare subito dopo il bagno, anche per nascon-dere ogni esibizione corporea. Il professore Paolo Mantegazza, apostolo dell’igienismo nazionale, nel 1869 scrive che le donne: “per paura di mostrarsi nel bagno troppo diverse da quelle che appaiono per opera della sarta, si coprono di vestiti di lana così grossi, da perdere nel bagno tutto quel bene che porta l’onda nelle sue carezze amorose”. Ma l’uso dei bagni rivoluzionerà anche l’estetica femminile: la pelle diafana, considerata allora elemento determinante della bellezza, è sostituita dal fascino dell’abbronzatura. Nel 1911 fa la sua comparsa sulla spiaggia la jupe-colotte “che lasciava intravedere dalla sottanina gli eleganti calzoni a righe bianche e marroni, sostituita presto da un costume di maglia, piuttosto aderente con gambe a metà coscia. Appaiono i primi depilatori per quella che la pubblicità chiama “lanugine scomoda” e nasce la moda del bagno di sole.Cinquant’anni dopo, il 18 luglio 1946 un ingegnere svizzero, Louise Reard, lancia a Parigi il “Bikini”, dal nome dell’atollo dove gli americani avevano fatto esplodere la prima bomba atomica. Con un ridotto due pezzi si scopriva l’ombelico e il reggiseno si riduceva al minimo. La valorizzazione del corpo, ormai liberato, attraverso minimi pezzi di stoffa variamente drappeggiata, è quanto si propongono gli stilisti di oggi che giocano principalmente con tecniche e soluzioni inedite, con accattivanti combi-nazioni di eleganza, seduzione e gioco, e le variazioni sul tema sono pressoché infinite.

M.P.

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Silvio Berlusconi, nel corso dell’ultimo anno di governo, ha “scomodato“, più volte, la Psico-logia in quanto Scienza Umana: addirittura in una occasione, si è lanciato in una vera e pro-pria diagnosi ha infatti dichiarato che il Paese è impazzito: giudici comunisti, intercettazioni assurde, complotti di escort contro di lui! Desidero quindi ricambiare l’interesse dimostrato dal Premier per la Psicologia con una breve, ma puntuale analisi del Suo comportamento, in occasione delle problematiche insorte con i suoi migliori “Alleati”.L’assenza di coerenza è la caratteristica dominante, dal punto di vista psicologico di Berlusco-ni. E poiché la forza, almeno numerica, è sempre dalla parte di chi governa, un buon governo si dovrebbe distinguere proprio per la sua coerenza. Ma quali sono stati i punti più salienti dello psicodramma di B.? E perché l’insuccesso reale di B. (ma non quello del suo partito di plastica) va ben oltre quello dei numeri del bilancio o della sfera produttiva della Nazione? Le risposte a queste due domande sono semplici e logiche; l’uomo di governo non tratta soltanto con milioni di euro, ma anche con milioni di cittadini, ed esistono principalmente due modi di mettere se stesso in rapporto con gli altri, il primo modo è quello della concre-tezza, il secondo quello cosiddetto “astratto” o televisivo. La differenza fra le due modalità è abissale: chi è concreto è coerente, ed ha qualità ed obiettivi specifici, pienamente condivisi da tutti gli alleati (Fini compreso), chi persegue invece il modello “astratto” accentua solo le particolarità che egli ha in comune con tutti gli altri soggetti dello stesso gruppo (vedi Bossi), e arriva a traguardi esecrabili: l’amicizia per Raimondo Vianello è, ad esempio, diventata un suo “reality”! Al funerale, infatti, comunione compresa, ha fatto da protagonista ignorando così, paradossalmente, il morto, come ignora volutamente, le differenze con i suoi alleati pro tempore. Il Premier, anche per questi suoi ultimi comportamenti mi ha ricordato le parole di Bertrand Russel sugli uomini e gli animali: ”Fra gli uomini e gli animali vi sono molte differenze, alcune intellettuali, altre emotive. Una delle principali differenze è che alcuni desideri dell’uomo, contrariamente a quelli degli animali, sono illimitati ed incapaci di soddisfazione completa. Il serpente boa, quando ha mangiato, dorme finché non sente, di nuovo, i morsi della fame. Per alcuni uomini le cose vanno diversamente: i sogni di gloria non conoscono limiti , quegli uomini vorrebbero essere Dio, se potessero…..” Ma ritorniamo a Freud. Berlusconi non solo si è dimostrato “astratto”, ma anche riluttante a confron-tarsi con la realtà, e lo ha fatto in più occasioni, una davvero eclatante! Super Silvio ha infatti perso quel senso di “dignità” che è così caratteristico dell’uomo, anche nelle culture più primitive: mi riferisco alla vicenda “Escort”. La vicenda squallida che ha travolto il Capo del Governo sarebbe stata un fatto “solo personale”, se non fossero intervenute due circostanze fonda-mentali, la prima la contestualizzazione in fatti di grave corruzione, e la seconda le dichiarazioni, perfettamente combacianti delle “escort”…(ma non si chiamavano prostitute?). Dignità vuole che la personalità di un individuo (il senso dell’io) non possa essere alienata, non possa essere messa in vendita, né comperata, come invece è avvenuto, senza che la stessa sia irrimedia-bilmente perduta. Dignità vuole che un Premier debba possederla, perché il suo delicato ruolo la esige. Berlusconi ha perso di vista il senso dell’io, fenomeno considerato patologico dai più grandi psichiatri contemporanei, fra i quali lo scomparso Sulli-van. Peraltro anche Ibsen faceva della perdita dell’io il tema principale della sua critica all’uomo moderno nel Peer Gynt! Erich Fromm riteneva che la Società degli ultimi due secoli non si potesse definire “sana”, in quanto era riuscita a fare ammazzare milioni di nostri concittadini, uomini, e donne come noi, in quella soluzione che chiamiamo guerra. Prescindendo dalle minori, ne abbiamo avute di gravissime nel 1870,1914,1939. Dopo l’ultimo conflitto, ed il reciproco massacro, troviamo che i nemici di ieri sono nostri amici, e gli amici di ieri, i “cattivi” da annientare….molti ricoverati negli Istituti psichiatrici sono convinti che tutti quelli fuori siano “pazzi”, e in effetti molti nevrotici gravi credono che le loro esplosioni isteriche siano reazioni normali ad alcune circostanze “anormali“ (ogni riferimento alle manie di persecuzione del Premier è voluto). E così Silvio si è superato nella vicenda legittimo impedimento, ben prima che le “escort” vi atterrassero con fragore. Anche in questo caso è entrato in scena, prepotentemente, quel meccanismo astratto di alienazione di cui è maestro: per lui non accade mai nulla, ed inconsciamente, si paragona ad un turista fotografo, che essendo troppo preoccupato a “fare fotografie”, in effetti, non vede assolutamente nulla, se non attraverso una collezione di istantanee, surrogato di una realtà assai diversa. Problemi con gli Alleati? Ricordia-moci che l’uomo B. non è soltanto “alienato” dal lavoro che fa, e dal suo grado di “astrattezza”, ma anche dalle forze politiche e sociali che gli consentono di proseguire su di una rotta non condivisibile dai più. Ma allora, non sarebbe meglio, prima che il senso di “impotenza palpabile” presente nei cittadini nei confronti di Berlusconi e del suo Governo, sfoci in un più devastante fenomeno sociale, che egli, esprimendo un atteggiamento, finalmente, concreto, si dimettesse, per godersi, finalmente, in pace, le sue ricchezze? Non lo farà mai, per le ragioni psicologiche sopra descritte.

Isabella De Martini

Docente di Psicologia Clinica Università di Genova

Fini, Bossi? Superman non può avere

alleati duraturi...

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Scoperto negli anni venti dello scorso secolo e battezzato in onore dello scienziato italiano Luigi Ferdinando Marsili, di questo vulcano sottomarino, il Marsili, per l’appunto, non se ne sapeva molto. È solo negli ultimi decenni che, grazie alle nuove tecnologie, è stato possibile superare la spessa barriera di acqua marina di 450 metri, tanto è la distanza che separa la sua cima dalla superficie del mare Tirreno, e studiarlo più da vicino. Il Marsili con i suoi 3000 metri di altezza, 30 chilo-metri di larghezza e 70 di lunghezza è il vulcano più grande d’Europa ed è un vulcano attivo da circa 200mila anni. Si sa che lungo i suoi fianchi si stanno sviluppando apparati vulca-nici satelliti, che il suo magma è simile nella composizione a quello dei vulcani dell’arco Eoliano, e che sono state rilevate tracce di collassi di materiale dalle sue pareti e, come dicono le ultime indagini compiute, l’edificio del vulcano non è ro-busto e le sue pareti sono fragili. Gli stessi fenomeni si sono visti anche in alcuni dei vulcani sottomarini che si trovano al centro e nella parte meridionale del mar Tirreno. Il Marsili, insieme al Magnaghi, al Palinuro e al Vavilov sono considera-ti, infatti, i vulcani sottomarini più pericolosi che potrebbero aver già causato, nel passato, tsunami nelle regioni costiere dell’Italia meridionale. Il Vavilov, in particolare, è situato al centro del Tirreno s’innalza per 2700 metri, è lungo 40 km e largo 15 km, di forma assimetrica, costituisce la più profon-da area di crosta oceanica con una profondità di circa 3500 metri; questo vulcano sembra aver “perso” un intero fianco di 40 chilometri di lunghezza in un evento senza dubbio cata-strofico avvenuto probabilmente qualche milione di anni fa. Recenti segnali ritenuti preoccupanti hanno indotto il Cnr a mettere sotto osservazione il Marsili con sofisticati strumenti di remote sensing: quattro OBS/H sulla direttrice marina che congiunge il Marsili con lo Stromboli “per ottenere”, come spiega l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, una migliore definizione degli epicentri e dei meccanismi focali di alcuni eventi che da mesi interessano quella porzione di crosta”, misurando anche come il vulcano influenza il cam-po magnetico terrestre. L’obiettivo degli scienziati è fare una radiografia di quello che c’è sotto il Tirreno, migliorare le già molto dettagliate mappe in loro possesso e fare campiona-menti, tutto per capire come si comporta il vulcano e giocare, se necessario, d’anticipo. I sensori sono stati deposti nell’am-bito dell’ultima campagna (PANSTR10) iniziata a febbraio a bordo della nave oceanografica Urania, e i dati rilevati hanno fatto preoccupare ancora di più i ricercatori. Come ha dichia-rato Enzo Boschi, Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofi-

sica e Vulcanologia (INGV), in un’intervista al Corriere della Sera, il Marsili è un vulcano instabile le cui pareti potrebbero cedere muovendo milioni di metri cubi di materiale che po-trebbe generare un’onda di grande potenza. Uno tsunami che investirebbe le coste della Campania, della Lucania, della Calabria e della Sicilia, arrivando fino alla Sardegna. Secondo Boschi, pur non essendo possibile fare previsioni certe, il rischio c’è ed è difficilmente valutabile. Un “mostro” nascosto l’ha definito il presidente dell’INGV e solo ora ne co-nosciamo il volto grazie agli strumenti deposti recentemente sulle sue pareti e nel suo cuore, che hanno rilevato crolli di materiale, una regione significativamente grande della sommità che risulta costituita da rocce di bassa densità, for-temente indebolite da fenomeni di alterazione idrotermale e emissioni idrotermali con una frequenza che ultimamente è aumentata. Tutto questo, unito alla debole struttura del-le pareti, potrebbe causare crolli più inquietanti della stessa possibile eruzione. Sotto al Marsili è stata inoltre evidenziata, grazie ai dati di gravimetria e magnetometria, un’anomalia magnetica negativa a ridosso della zona sommitale che ha fatto proporre, da parte degli scienziati dell’INGV, un model-lo che ipotizza la presenza di una camera magmatica di ben quattro chilometri per due di recente formazione. Un’enor-me pentola a pressione con la valvola del vapore chiusa. In-somma, come ha dichiarato Enzo Boschi «Tutto ci dice che il vulcano è attivo e potrebbe eruttare all’improvviso. Potrebbe succedere anche domani».Ma il Marsili non è solo un vulcano sommerso pericoloso, è anche un “vulcano nudo”, privo cioè di quegli strumenti, come le sonde, di cui sono, invece, letteralmente tappezzati altri vulcani come l’Etna, il Vesuvio, lo Stromboli, strumenti in grado di avvisare se un’eruzione è imminente e dare agli scienziati un margine di preavviso. Purtroppo se il Marsili erutterà lo farà all’improvviso senza dare il tempo a nessuno di scappare dalle coste. “Bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno all’edificio vulcanico collegati a terra ad un centro di sorveglianza. Ma tutto ciò - dice Boschi nell’in-tervista - è al di fuori di ogni bilancio di spesa. Con le risorse a disposizione si collocherà qualche nuovo strumento ma non certo la ragnatela necessaria”. Mentre quello che servirebbe è una rete che faccia monitoraggio continuo. Ma per questo non ci sono i soldi e se dovesse accadere l’irreparabile, l’irre-parabile ci coglierà di sorpresa.

Rita Lena

IL MARSILI, UN MOSTRO CHE FA PAURAPotrebbe eruttare anche domani, ma non ci sono i soldi per monitorarlo...

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È da 20 anni sulla cresta dell’onda e non accenna a tramontare. Anzi, al suo ventesimo compleanno (è stato lanciato esattamen-te il 24 aprile del 1990 a bordo dello Shuttle Discovery), l’Hubble Space Telescope è in grande forma e continua a far sognare sia la gente comune che gli astronomi. Per questo è il più celebre e il più amato dei telescopi. L’Istituto Nazionale di Astrofisica celebra i primi vent’anni del Telescopio Spaziale Hubble dedicandogli un servizio speciale con uno slideshow che raccoglie le im-magini più belle e un servizio radiofonico che ne ripercorre la storia. Inoltre, in un video esclusivo manda in onda i racconti degli astronauti che per l’ultima volta hanno fatto visita al telescopio. Hubble, grazie alle sue capacità senza precedenti, ha potuto guardare l’Universo oltre le nuvole cambiando con le sue immagini rivoluzionarie l’astronomia. Un grande telescopio spaziale ottico che ha avuto sulle conoscenze e sulla percezione dello spazio, lo stesso impatto che ebbe, 400 anni fa, il cannocchiale di Galileo Galilei. “Quando Hubble venne lanciato in orbita, gli astronomi - scrive Daniela Cipolloni nella newsletter dell’Inaf - non avevano un’idea dell’età dell’Universo, che stimavano in un intervallo tra gli 8 e i 20 miliardi di anni. Non avevano mai visto un pianeta oltre a quelli del Sistema Solare. Non sapevano nulla dell’esistenza dell’energia oscura, né sapevano come fosse fatta una galassia lontana e ignoravano dove “spuntassero” i buchi neri”. Hubble ha aperto, dunque, grandi orizzonti. È grazie al suo “lavoro” che è stato possibile calcolare che il Big Bang è avvenuto precisamente 13.7 miliardi di anni fa; ha dimostrato che l’Universo è in espansione contrariamente a quanto si pensava in base alla teoria della relatività e che esiste una misteriosa forma di materia: l’energia oscura che insieme alla materia oscura pervade la quasi totalità dell’Universo. Solo il 5% del cosmo è costituito dalla materia che tutti conosciamo e che Hubble ha ritratto in maniera meravigliosa, anche se sappiamo che quel-lo che ci ha mostrato è solo una piccola parte delle meraviglie che lo spazio nasconde nelle sue profondità. Nella sua attività ventennale l’occhio di Hubble è arrivato molto vicino ai confini dell’Universo e, quindi del tempo: ha visto galassie primordiali, ha scoperto che ogni galassia ospita al suo centro un buco nero; ha fotografato il primo pianeta extrasolare, oggi se ne cono-scono circa 450, l’esplosione e la morte di supernove e più di 30mila oggetti celesti molto massivi ed energetici. Insomma, un successo che nessuno si aspettava se si pensa che Hubble andò in orbita difettoso: il suo specchio principale rifletteva immagini sfocate. In prima istanza si cercò di riparare il danno con un software di manipolazione digitale che oggi viene utilizzato negli screening mammografici del tumore al seno, successivamente si intervenne con lenti correttive. Oggi Hubble è quasi tutto “rifatto” in questi anni ci sono state molte missioni spaziali in cui astronauti-meccanici hanno sostituito parti rotte e installa-to strumentazioni più sofisticate e potenti. L’ultima spedizione riparatrice nel maggio 2009, l’ultima hanno detto alla Nasa: i prossimi incontri tra l’uomo e lo storico telescopio avverrà fra tanti anni, tra il 2019 e il 2032 quando rientrerà nell’atmosfera.

Rita LenaFonte: Newsletter INAF

Buon compleanno HubbleÈ stato per l’astronomia come un nuovo cannocchiale di Galileo

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CANNELLA

LA REGINA DELLE SPEZIE

CANNELLA: Nome botanico Cinnamomum zeylanicum; appartiene alla famiglia delle Lauraceae originaria di Ceylon, esiste da almeno 4.700 anni. La sua essenza estratta per distillazione dalla scorza è di colore rossastro, tendente al bruno.È una pianta della famiglia delle Lauracee, molto simile all’alloro, nota già ai greci che la conoscevano con il nome di Malabathron, è una pianta sempre verde e può arrivare sino a 13 metri di altezza con pannocchie setose compo-ste di piccolissimi fiori color crema. Le foglie grosse, carnose e aromatiche, vengono messe a macerare per estrarne un olio che funge da antisettico. La corteccia dei rami, che devono avere circa 3 anni, si arrotola per effetto dell’es-siccazione, fino a prendere la forma di una piccola canna.I “nasi” ne distillano però anche un olio essenziale per creare profumi intensi e caldi che vengono catalogati nella famiglia degli ambra-speziati.I Greci e i Romani la prediligevano come spezia da bruciare al Tempio di Apollo a Mileto nel 243 a.C.. I Romani face-vano una netta distinzione tra il vero cinnamomo, che valeva 1500 denari la libbra e la cassia, che ne valeva invece solo 50. Un grosso mercato si teneva alle foci del Gange dove tribù cinesi, birmane e tibetane giungevano con le loro grosse ceste di vimini per consegnare la merce.Le foglie venivano suddivise a seconda della loro grandezza: foglie grandi, medie e piccole; e seguendo questa classificazione venivano poi imballate e spedite sui mercati occidentali. Per gli orientali comunica forza ed energia ed è utile in caso di diminuzione del vigore sessuale e di frigidità, sia utilizzandole come spezie, che come essenza per massaggi e bagni stimolanti.La scorza di cannella viene utilizzata largamente in cucina e sotto forma di tisane, bevande, aggiunta al vino, a scopo digestivo e riscaldante durante la stagione fredda, spesso in associazione con chiodi di garofano, zenzero o cardamomo.

Il primissimo profumo alla fragranza di cannella è stato Aprés l’Ondée, creato da Guerlain nel 1906. Attualmente sono in

vendita profumi importanti che contengono l’aroma intenso e un po’ piccante della cannella, come Far-

nesiana di Caron, Poison di Christian Dior, il piace-volissimo C’est la Vie! di Christian Lacroix.

Costanza Cerioli

CANNELLA

LA REGINA DELLE SPEZIE

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Caro Avvocato,vorrei porle una domanda relativa alla ripartizione delle spe-se condominiali. E’ giusto ripartire le spese sostenute per l’impianto di illuminazione delle scale e per l’ascensore ripar-tendo le tasse in parti uguali e il consumo secondo i millesimi di proprietà?

Lina da Roma

Con riferimento alle spese per la pulizia delle scale e per la loro illuminazione i condomini sono tenuti a contribuire non già in base ai valori millesimali di comproprietà, ma in base all’uso che ciascuno di essi può fare delle scale, secondo il criterio fissato dall’art. 1123 c.c., comma 2. Tali spese atten-gono ad un servizio del quale i condomini godono (o al quale danno causa) in misura maggiore o minore a seconda dell’al-tezza di piano: è sufficiente, in proposito, considerare che il proprietario dell’ultimo piano utilizza l’illuminazione di tutta la tromba delle scale, mentre il proprietario del primo piano utilizza solo l’illuminazione della prima rampa. Quanto alle spese relative all’ascensore, si applica per analogia l’art. 1124 c.c. (per la manutenzione e ricostruzione delle scale) che pre-vede che le spese sono ripartite tra i condomini per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo.

Egregio Avvocato Marazzita,mi sono sposato in regime di comunione legale nel 1988, nel ’95 il Presidente ci autorizzava a vivere separati: solo nel 2001 c’è stata sentenza di separazione e nel 2004 quella di divorzio. Nel luglio del ’96, quando eravamo già separati di fatto, pur non essendo intervenuta la sentenza, ho acquista-to un immobile che è caduto nel regime di comunione. Ho fatto appello, ma mi è stato rigettato: a detta dei giudici lo scioglimento della comunione ha effetto retroattivo, ma dal passaggio in giudicato della sentenza che c’è stato nel 2001. Secondo lei è il caso di affrontare il giudizio per Cassazione, o mi diranno la stessa cosa?

Germano da Como

Purtroppo la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassa-zione sul punto è abbastanza uniforme ed è sfavorevole al nostro lettore: lo scioglimento della comunione legale di beni fra i coniugi si verifica, infatti, ex nunc, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione (che c’è stato nel 2001) o con l’omologa degli accordi di separazione consen-suale, ai sensi dell’art. 191 c.c., mentre non spiega alcun ef-fetto al riguardo il provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c. , che autorizza i coniugi ad interrompere la convivenza, stante il limitato contenuto e la funzione meramente provvi-soria del provvedimento medesimo.Pertanto, non potendo il provvedimento previdenziale con-siderarsi alla stregua della sentenza di separazione, la comu-nione non può dichiararsi sciolta a far data dal 1995, ma solo dal 2001, anno del passaggio in giudicato della sentenza di separazione.

Caro Avvocato,sono un pensionato e vivo in un appartamento di proprietà di mia figlia senza addebito di locazione; sono però proprie-tario di un altro appartamento che occasionalmente viene affittato a terzi. Questo immobile è esentato dall’ICI?

Carlo da Frosinone

No. Difatti, con il Decreto Legge n. 93/2008 è stata esclusa dall’imposta comunale l’unità immobiliare adibita ad abita-zione principale. L’esenzione vale per tutti i tipi di immobile, salvo che per gli immobili di pregio quali ville, castelli ecc.Ai sensi del Decreto legislativo n. 504/1992 al quale rinvia il D.L. 93/2008 (“per unità immobiliare adibita ad abitazione

principale del soggetto passivo si intende quella considera-ta tale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni”) “ per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi fa-miliari dimorano abitualmente. Pertanto, l’esenzione dall’ICI varrà solo per l’immobile che è stato adibito ad abitazione principale e non per quello disabitato ovvero concesso in lo-cazione, per il quale il proprietario dovrà continuare a pagare l’imposta in questione.

Caro Avvocato,è possibile che una madre, dopo la morte del marito in regi-me di comunione dei beni, faccia testamento solo a favore di uno dei suoi figli essendo il suo preferito?

Carmela da Brindisi

No, la madre non può disporre dell’intero suo patrimonio solo a favore di uno dei figli. Difatti gli altri figli, per espresso dettato del codice civile (art. 536 ss. c.c.) hanno per legge diritto ad una quota cd. “legittima”. In particolare, ai sensi dell’art. 537 c.c., se i figli sono più di uno, a loro è riservata la quota di 2/3 da ripartirsi in parti uguali. Nel caso in cui si sia verificata una violazione della legittima, i cd. “legittimari” al momento dell’apertura della successione potranno esercitare la cd. “azione di riduzione” ex art. 553 c.c. al fine di essere reintegrati nella quota loro spettante.

Caro Avvocato,possiedo una seconda casa dove trascorro solitamente il pe-riodo estivo con la mia famiglia. Sono già parecchi anni che il tetto necessita di un rifacimento, anche a causa delle nu-merose infiltrazioni d’acqua, ma la casa fa parte di un condo-minio e degli altri due condomini uno non vuole partecipare alle spese e l’altro mi ha comunicato la disponibilità a versare solo il 10% del totale della spesa per i lavori. La legge cosa dice in proposito? Come devono essere ripartite le spese?

Giorgio da Grosseto

Il tetto viene definito come l’insieme delle opere destinate a preservare l’interno dell’edificio dagli agenti atmosferici, nella sua parte superiore. Il codice civile all’art. 1117 anno-vera il tetto tra le parti comuni dell’edificio, la cui proprietà indivisa spetta pro-quota ai singoli condomini. L’art. 1123 del codice civile in materia di ripartizione delle spese tra condo-mini stabilisce la regola generale secondo la quale “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interes-se comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioran-za, sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno salvo diversa convenzio-ne”. Il comma secondo del suddetto articolo prevede un’im-portante deroga al principio della ripartizione delle spese in relazione al valore della proprietà. Esso infatti sancisce che: “se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne”. Dall’enunciato comma si desume che, nel caso in cui il tetto copra l’intero edificio, le spese di ma-nutenzione devono essere sostenute da tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà. Se però le spese riguardano un tetto che, per la conformazione dello stabile, copre solo una parte dell’edificio o parti di edificio in misura differente, le stesse devono essere ripartite solo tra i condomini proprietari delle unità immobiliari coperte dal tetto. È evidente che per estensione analogica, così come i condomini che non trag-gono utilità dall’intervento non debbono sostenere alcuna spesa, così ove essi traggano un’utilità minore rispetto ad altri condomini, debbono si partecipare alla ripartizione delle spese, ma in misura minore, in termini di percentuale.

L’avvocato risponde

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Oggi tutto questo è possibile grazie alla medicina estetica. Ne parliamo con il

Dott. Raffele Siniscalco, del centro Simed.

Come si può ringiovanire senza ricorrere all’intervento in sala operatoria?

“Con il “Global Face Lifting”: un programma per il ringiovanimento del viso

e del collo che utilizza laser di ultima generazione per eliminare le rughe, le

pieghe e i cedimenti cutanei, riattivando il collagene della pelle.

È una terapia indolore che si basa sugli spot, cioè spari di energia emessi da

un particolare macchinario. Si avverte solo una sensazione di calore che dura

un secondo, preceduta e seguita da una sensazione di freddo che riduce al

minimo il fastidio.”

I risultati?

“Sono garantiti. In alcuni pazienti sono visibili da subito anche se di norma

bisogna aspettare dai due ai sei mesi per vedere i risultati finali. E dura per

diversi anni.”

È l’unica alternativa al lifting senza bisturi?

“No, c’è un’altra novità, amata da Madonna e molte altre star di Holliwood. È l’“Intraceuticals Oxygen Infusion”

che utilizza una tecnologia combinata tra uno speciale siero e l’ossigeno iperbarico.

Questo siero contiene una percentuale molto elevata di acido ialuronico (a bassissimo

peso molecolare) mescolato alle vitamine A, C, E, al the verde giapponese e all’aloe vera.

Il viso torna all’istante più luminoso, tonico, idratato, è rigenerato.”

Quante sedute sono necessarie per vedere i primi benefici?

“Dopo ogni seduta, indolore e senza controindicazioni, il viso appare subito più rassoda-

to, ma i miglioramenti continuano ad aumentare nei giorni successivi. Si consigliano sei

trattamenti con cadenza settimanale della durata di dieci, quindici minuti per attenuare

progressivamente le rughe attorno agli occhi, quelle naso-labiali e i solchi tra le sopracciglia.”

Esiste un’alternativa non chirurgica alla liposuzione?

“L’“Ultrashape” è un macchinario di ultima generazione per la rimo-

zione degli accumuli di tessuto adiposo. E’ una tecnica alternativa alla

liposuzione: non è invasiva, non necessita di anestesia e utilizza ultra-

suoni focalizzati per disgregare in maniera selettiva le cellule adipose

senza intaccare le zone circostanti. E’ perfetto per pancia, cosce, fian-

chi, ma anche braccia e ginocchia.”

Lo possono fare anche gli uomini?

“Certo. I risultati sono notevoli, sia nelle donne che negli uomini: dopo

una sola applicazione, la riduzione media della circonferenza per area

trattata è di due/tre centimetri.”

Alessia Ardesi

Un lifting senza ricorrere al bisturi? Una silohuette più snella che non preveda la liposuzione

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PHILIP GuSToN, RoMA

Dal 26 maggio al 5 settem-bre 2010, al Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Bor-ghese, saranno esposte, per la prima volta insieme, oltre 40 opere della serie Roma,

dipinte da Philip Guston tra il 1970 e il 1971. La mostra è curata da Peter Benson Miller. Le opere provengono dai più prestigiosi musei internazionali, quali MoMA, Guggenheim, Tate, Staatliche Graphische Sammlung, Yale University Art Gallery e da importanti collezioni private di New York, Londra e Amsterdam

LA MELANCoNICA SoLITuDINE DI EDWARD HoPPER

Una bella e interessante mostra è ospitata negli spazi del Museo della Fondazione Roma, visitabile fino al 13 giu-gno, la prima in Italia dedicata all’artista definito il capo-scuola del Realismo americano: Edward Hopper.Hopper, nato nel 1882 in una piccola cittadina sul fiume Hudson da una colta famiglia borghese, aveva frequen-tato la prestigiosa School of Art di New York nota per la formazione di nomi importanti del panorama artistico americano, e poi si era trasferito a Parigi per comple-tare gli studi. Hopper, definito l’artista più popolare dell’America del XX secolo, nei suoi quadri ha rappre-sentato la vita quotidiana caratterizzata da una melan-conica solitudine. I suoi paesaggi sono scene fermate dalla macchina da presa, gli interni sono momenti del-la giornata scanditi dal ritmo della luce, la stessa che rende tutto pulito, perfetto, lineare. La mostra è cura-ta da Carter Foster, curatore e conservatore del Whit-ney Museum of American Art, sede a cui la moglie dell’artista affidò, alla morte del pittore avvenuta nel 1967, ben 2500 pezzi tra oli su tela, disegni ed incisioni. Questa scelta non fu casuale, il Whitney Studio Club nel 1920 ospitò la prima mo-stra personale dell’artista e in seguito altre importanti esposizioni. La storia del Whitney Museum e Edward Hopper sono intrinsecamente legati. L’esposizione alla Fondazione Roma è costituita da circa 170 opere tra oli, acquerelli e disegni provenienti in maggioranza dal Whitney Museum, con qualche eccezione di pezzi ar-rivati dai più importanti musei americani. Il percorso espositivo si snoda attraverso una narrazione antologica accompagnata dall’approfondimento sul metodo di lavoro di Hopper. Il quadro finito è correlato da una serie di disegni preparatori che svelano quanto il “realismo hopperiano” sia frutto di una sovrapposizione delle immagini, di un rigoroso processo creativo, e non derivato da una visione dal vero. Il suggestivo apparato scenografico e le note storiche, che ripercorrono gli avvenimenti salienti della storia americana dal 1920 al 1960, rendono la mostra unica e interessante. Questa esposizione è stata possibile grazie ad una partnership che coinvolge oltre alla Fondazione Roma Museo, il Comune di Milano, la Fondation de l’Hermitage di Losan-na, che ospiterà prossimamente la mostra, e naturalmente il Whitney Museum of American Art di New York.Per informazioni:www.edwardhopper.itTel. 0445 230304

Nicoletta Di Benedetto

Una bella e interessante mostra è ospitata negli spazi del Museo della Fondazione Roma, visitabile fino al 13 giu-gno, la prima in Italia dedicata all’artista definito il capo-

dell’artista affidò, alla morte del pittore avvenuta nel 1967, ben 2500 pezzi tra oli su

ASTI DoCG E VINI NEL MoNDo

Dal 21al 24 maggio - L’Asti docg torna a Spoleto, per la quarta volta consecutiva, in partnership con “Vini nel mondo”, per presentare la “poliSensorialità” dei due prodotti della denominazione, l’Asti spumante e il Moscato d’Asti. Nella Chiesa di S.S. Stefano e Tommaso (Piazza Garibaldi c/o Monastero della Stella) nel “tempio delle Bollicine” l’Asti docg potrà essere gustato in purezza oppure durante le degustazioni guidate in accompagnamento alle creazioni di Ernst Knam, che lo utilizza anche come ingrediente, attivando così il sesto senso. Quello che unisce gusto, creatività e piacere.

Second Story Sunlight, oil on canvas, 1960

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Fagottini di tacchinoLa ricetta del mese a cura di RoSanna VaUdEtti condUttRicE SU SKY dELLa “doMEnica di aLicE”dELLa “a “a doMEnicaMEnicaME di aLicE”

Mettete a bollire gli spinaci in poca acqua per un paio di minuti dalla ripresa del bollore, scolateli e met-

teteli da parte.Sistemate sopra ad ogni fetta di carne un paio di fette di prosciutto e un po’ di spinaci, piegate la fetta in

2 e chiudete con degli stecchini di legno. Prendete una padella, metteteci l’olio e l’aglio, fate scaldare e

aggiungetevi i fagottini.

Fateli rosolare a fuoco vivo su entrambi i lati, salate e pepate ed infine aggiungetevi il succo di mezza

arancia; cuocete per altri 5-10 minuti finché il sugo si sarà un po’ ristretto.

Ingredienti:● 500 gr. di tacchino a fettine sottili

● 500 gr. di spinaci surgelati

● 200 gr. di prusciutto cotto di praga

● 1 arancia● sale/pepe● 1 spicchio di aglio in camicia

● 3 cucchiai di olio extra vergine di oliva

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VERGINE

Il segno della Vergine (23 agosto – 22 settembre) è dominato dal pianeta Mercurio da cui gli deriva una intelligenza particolare; ap-partiene alla triade dei segni di terra e per questo è portato a trarre risultati concreti dalle sue azioni. Infatti, la Vergine, non lasciamai a metà le sue opere e lo fa con il massimo della serietà. E’ considerato il segno più preciso e affidabile dello Zodiaco, caratteri-stica che lo fa apparire puntiglioso e troppo critico. Le osservazioni che spesso muove verso i suoi familiari e gli amici, ma soprattut-to nei confronti del partner sono dettate dal forte senso di responsabilità che fa parte del suo carattere. È una persona che pesa tuttoquello che fa, raramente si muove d’istinto, per questo tra le attività professionali scelte dai nati sotto questo segno prevale la pro-fessione medica. Nel campo sentimentale e degli affetti la Vergine può apparire fredda e distante perché vive il rapporto amoroso più cerebrale chepassionale. E’ considerato anche il segno poco portato ai tradimenti e meno romantico dello zodiaco. I nati sotto questo segno nonsono gelosi ma se vengono traditi non perdonano, anzi si vendicano. Il segno della Vergine privilegia tra i metalli il rame e l’oro e tra i minerali il diamante; ama il colore verde simbolo della sensualità edell’accettazione; come fiore la gardenia, soprattutto per il profumo, perchè infonde serenità e benessere, e il giacinto e l’acacia. Ilnumero fortunato è l’otto che rappresenta la fiducia.

Siderio

La RICETTA DEL MESE a cura di ROSANNA VAUDETTI CONDUTTRICE SU SKY DELLA “DOMENICA DI ALICE”

ZUPPA DI FUNGHI, PATATE E CECI

Pulire i funghi eliminando la parte terrosa del gambo e affettarli Lavare le patate, pelarle e tagliarle a cubetti. Lavare il prezzemolo, selezionarne le foglie e tritarle assieme all’aglio. Scaldare il brodo. Mettere in una pentola da minestra l'olio, il tri-to di aglio e prezzemolo e farlo rosolare a fiamma media per un minuto. Aggiungere i funghi, mescolare, quindi unire le patate. Unire un mestolo di brodo, un pizzico di sale, una grattugiata di pepe e cuoce-re per 10 minuti, coperto a fiamma media. Unire i ceci e il brodo e cuocere per altri 15 minuti. Mescolare di tanto in tanto e verso finecottura regolare di sale. Servire la zuppa con il trito rimasto, una grattugiata di pepe ed un filo d'olio a crudo.

Ingredienti: (dose per 4 persone)

• 300 g di funghi champignon • 2 patate da 300 gr circa

• 2-3 rametti di prezzemolo • 1 spicchio d'aglio

• 1 litro di brodo vegetale • 3 cucchiai d'olio extravergine di oliva

• sale • pepe

• 300 di ceci già cotti

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GemelliLe stelle vi suggeriscono qualche traccia di malizia in più: in qualche campo vi renderanno più possibilisti e spregiudicati del solito e quindi le opportunità di trarre il meglio dal messaggio celeste diventano maggior-mente consistenti. Forte la carica di profondo rinnovamento che comporta Plutone, che vorrebbe vi rein-ventaste l’intera vita dalle sua radici, in amore, in casa e anche nel settore delle amicizie. Mutano anche le vostre stesse richieste in fatto di dolcezza, di dimostrazioni di forte attrattiva, di una vigorosa passionalità ora

sapute ricevere e donare con maggiore trasporto e con intensità. Il lavoro più importante che l’anno vi esorta ed eseguire con frizzante e spigliata costanza è quella delle relazioni pubbliche e dei contatti con ogni settore del vostro ambiente professiona-le. Se è vero che la pubblicità è l’anima del commercio, sarà importante ribadire e sottolineate il più spesso possibile i vantaggi e le qualità proposte dal vostro impegno e fare di ciò una voce importante del curriculum. Sarete favoriti dagli Astri, con un messaggio di rigenerazione che agevolerete con vita sana, prodotti genuini, abitudini regolari e limpide.

Siderio

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