2009 - Massimo Recalcati - Melanconia e Creazione in Vincent Van Gogh

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2009 - Massimo Recalcati - Melanconia e Creazione in Vincent Van Gogh

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  • LDB

  • Presentazione

    In Vincent Van Gogh la relazione tra esistenza e opera, tra malattia mentale ecreazione ha fornito materia a una lunga tradizione interpretativa, soprattuttopsicoanalitica. Nessuno per ha saputo, al pari di Massimo Recalcati, mettere inrapporto malinconia e dipinti senza cedere a tentazioni patograche, nelrispetto pieno dellautonomia dellarte. Per nessi illuminanti Recalcati procededalle radici familiari della soerenza psicotica di Vincent venuto al mondo nelprimo anniversario della morte del fratellino del quale gli fu imposto il nome alla scelta di vivere da sradicato la propria indegnit di glio vicario, alla spintamistica verso la parola evangelica, no allestrema devozione alla pittura. Lemaschere del Cristo e del giapponese servono a Van Gogh per darsiunidentit di cui si sente privo. I suoi quadri costituiscono lo sforzo estremo diattingere, attraverso la luce e il colore, direttamente allassoluto, alla Cosastessa. Ma la consacrazione allarte, che allinizio lo aveva salvato dallamalinconia originaria, si rivela ci che lo fa precipitare negli abissi della follia. Ilsuo movimento pittorico e biograco dal Nord al Sud lo avvicina troppo al caloreincandescente della Luce e in questa prossimit, come nel mito di Icaro, eglifinisce per consumarsi.

    Massimo Recalcati, tra i pi noti psicoanalisti italiani, ha insegnato presso leUniversit di Padova, Urbino, Bergamo e Losanna. Attualmente docentepresso lUniversit di Pavia. fondatore di Jonas-Centro di clinica psicoanaliticaper i nuovi sintomi, e direttore scientico della Scuola di specializzazione inpsicoterapia IRPA (Istituto di ricerca di psicoanalisi applicata). Tra i suoi ultimisaggi: Luomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica (2010),Cosa resta del padre? La paternit nellepoca ipermoderna (2011), Ritratti deldesiderio (2012), Il complesso di Telemaco. Genitori e gli dopo il tramonto delpadre (2013), Non pi come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa(2014) e Lora di lezione. Per unerotica dellinsegnamento (2014). PressoBollati Boringhieri ha pubblicato Anoressia, bulimia e obesit (con UbertoZuccardi Merli, 2006) e ha curato Forme contemporanee del totalitarismo(2007).

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    2009 e 2014 Bollati Boringhieri editoreTorino, corso Vittorio Emanuele II, 86

    Gruppo editoriale Mauri Spagnol

    ISBN 978-88-339-7361-6

    Illustrazione di copertina:Vincent Van Gogh, Autoritratto, 1888. Fogg Art Museum, Cambridge (Mass.).

    Schema grafico della copertina di Pierluigi Cerri

    Prima edizione digitale ottobre 2014Questopera protetta dalla Legge sul diritto dautore.

    vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata

  • Nuova Cultura - Introduzioni

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  • Prefazione alla nuova edizione

    1. La vita e leccedenza dellopera

    La psicoanalisi applicata allarte si caratterizzata tradizionalmente per laviolenza arbitraria delle sue interpretazioni nalizzata ad addomesticare laforza produttiva dellopera e a promuovere una sua lettura tristementepatograca che nisce per elevare la biograa dellartista a causa ecientedellopera stessa. La lezione strutturalista contro questo orientamento hainvece messo in valore lautonomia del testo darte dalle vicissitudini biograco-esistenziali del suo autore. Pur tenendo conto di questa lezione, un approcciopsicoanalitico rinnovato e dichiaratamente anti-patograco allopera darte nonpu trascurare la vita dellartista. Questa scelta sarebbe in netta contraddizionecon il metodo stesso della psicoanalisi, che si fonda sullimportanza assegnataalla singolarit insostituibile della biograa. Non si tratta dunque di negare cheesista un nesso profondo tra la biograa e lopera, ma riutare di concepirelopera come lesito deterministico della biograa o come una suarappresentazione fantasmatica. Il rapporto tra la biograa dellartista e la suaopera va rimodulato allo stesso modo in cui necessita di essere riformulato, intermini psicoanalitici, il rapporto tra linconscio e il testo darte. Si tratta dicompiere una rivoluzione copernicana rispetto agli studi pi classici che lapsicoanalisi ha dedicato allesperienza artistica. Dopo la lezione strutturalista iltesto darte non pu pi essere considerato come leetto della vita e dellamalattia del suo autore secondo un nesso deterministico che annulla lautonomiadellopera, ma il luogo dove si manifesta linconscio come taglio in atto, come ciche resiste alla signicazione, come sbarra che separa il signicante dalsignicato producendo un eetto di enigma, realizzando una presenzairriducibile al senso gi visto e gi conosciuto. Questa presenza non senzalegami con la vita dellartista scaturisce indubbiamente da quella vitaparticolare ma anche ci che oltrepassa quella vita. In questo senso loperarealizza sempre una sproporzione, uno sfasamento, una eccedenza tra liodellautore e la sua stessa esistenza che, come tale, sfugge allio, oltrepassa lesue intenzioni, si rivela come straniera a chi lha generata. Questa eccedenzadellopera rispetto alla vita signica che la biograa dellartista non spiegalopera, ma trova nellopera la sua scrittura ultima. Il che inverte il rapporto

  • ingenuo stabilito dalla patograa psicoanalitica tra vita e opera: lopera non un eetto deterministico della vita, ma ci che riscrive la vitaretroattivamente.Questa rivoluzione copernicana negli studi psicoanalitici applicati allarte, pi

    ampiamente teorizzata nel mio Il miracolo della forma: per unesteticapsicoanalitica,1 la prospettiva attraverso la quale ho rivisitato in questo librolopera di Van Gogh. Per un verso ho messo in valore la sua melanconia di fondoche scaturisce dallessere stato il bambino sostituto di un altro Vincent natomorto e idealizzato da sua madre la quale, non rassegnandosi a questa perdita,ha investito Vincent II del destino di essere la cattiva copia di un altroirraggiungibile. Ladesione alle parole di Ges prima e la conversione allartepoi sono stati i modi soggettivi per rispondere a questa ferita originaria. Tuttolitinerario del Van Gogh pittore dalla passione per i grandi maestri comeRembrandt e Delacroix, per il naturalismo di Mauve, Millet e Corot, sinoallincontro parigino con limpressionismo e al suo oltrepassamento originale persegue lobbiettivo di liberarsi dallombra pesante della melanconia, dalsentimento profondo di essere senza radici, gettato nellerranza, marchiato daun destino di infelicit, destinato alle tenebre. Il movimento da Nord verso Sud da una pittura senza colore allinvenzione del colore-luce, al colorismoarbitrario attraversato da una sola questione: come ritrovare la vita nellamorte? Come trasformare la ferita dellessere in una poesia? Come trarre laforza espansiva del colore dalle ceneri di una esistenza senza senso? Comeessere un pittore radicale del colore provenendo da una tradizione che non gliaveva assegnato alcuna cittadinanza?

    2. Linconscio allopera

    Uno dei presupposti che orienta la mia lettura dellarte che linconscio siainnanzitutto dellopera prima che dellartista. Per questo Freud riconosceva algenio dei poeti di saper anticipare le verit della psicoanalisi. Linconscio cheoccorre cogliere al lavoro non quello dellautore ma quello che abita loperastessa, il suo evento, la sua forza, la sua potenza generativa. Linconscio non solo quello dellartista che si cimenta nel suo lavoro fatalmente sempre apartire dalla sua biograa e dai suoi fantasmi , ma anche quello che sicondensa nellopera, quello che in opera, quello che avviene nellopera. Qual

  • la lezione di Van Gogh su questo punto? La forma dellopera resiste sempre allatentazione melanconica del silenzio e della distruzione, resiste sempre allapulsione di morte, resiste sempre alla sirena dellinforme. La lezione di VanGogh che la forza produttiva dellinconscio non pu prescindere dallapossibilit di trovare una forma anche quando come accade in particolare negliultimi tornanti della sua opera la forza si manifesta come incendiaria, brutale,caotica, straripante. La nozione freudiana di sublimazione diviene qui decisivaper cogliere come lopera sia chiamata a compiere lannodamento singolare trail reale della pulsione (forza) e la sua plasticit (forma). In Van Gogh possiamovedere come lenergia della pulsione la sua forza acefala non devasti mai ilquadro, non lo renda impossibile, non lo distrugga, ma lo generi, lo produca, lovitalizzi perch trova ogni volta, proprio nel movimento sublimatorio del lavoroartistico, la sua forma. In tutti i grandi artisti troviamo sempre in atto questoconitto aspro, irriducibile, permanente, inaggirabile tra la forza (reale) dellapulsione e la plasticit (simbolico-immaginaria) della forma. E mai la formadiviene, in questo contrasto agonico, la mera cattura disciplinare della forza. questa unaltra declinazione delleccedenza dellinconscio allopera: la formanon mai una risposta fobica allenergia anarchica della forza. In Van Gogh, peresempio, si pu cogliere bene come il suo equilibrio lequilibrio della forma sia sempre sullorlo della rottura, ricomposto ogni volta sul lo del rasoio,esposto alla catastrofe della distruzione, scosso da urti continui ma sempre,allultimo tocco, ricomposto in una organizzazione precaria e sublime. ilmiracolo del quadro, come direbbe Lacan: lopera costeggia il realeincandescente della Cosa evitando di immergervisi, ma evitando altres uneccessivo allontanamento protettivo che ne abbasserebbe la tensione e la forza.La grandezza di Van Gogh nella storia dellarte consistita probabilmente nelportare questa tensione al di l di tutte le forme pittoriche sino ad allorapraticate. Egli, come far Jackson Pollock ancora pi radicalmente, introduce laforza della pulsione nel corpo dellopera senza per mai cedere alla distruzionenichilista della forma. Se limpressionismo gli fornir la chiave essenziale delcolore, davvero solo suo il passo che lo avventura verso una teoria e unapratica del colore che travolge luniverso tradizionale impressionismocompreso della rappresentazione. Nella sua opera irrompe sulla scena lapotenza produttiva dellinconscio che nulla ha a che fare con lanimalit o ilselvaggio, con listintuale o lo schizofrenico come riteneva invece Jaspers.

  • Piuttosto essa deve essere compresa come spinta a orire visibilit a ci cheresta invisibile. Per Van Gogh la pittura pittura dellassoluto, della forzastraripante della natura, del mistero del mondo, del miracolo del visibile, di ciche, come direbbe Merleau-Ponty, colpisce, urta, tocca locchio del pittore.

    3. Pittura del sacro

    Lopera darte per Van Gogh grido, preghiera, apertura al mistero delmondo. Per questa ragione come viene ricordato insistentemente in questolibro Van Gogh vuole essere pittore del sacro, pittore dellassoluto, pittore delvolto del santo. Con la precisazione doverosa che per lui il sacro, lassoluto, ilvolto del santo, non mai accessibile attraverso una rappresentazione canonico-religiosa perch il volto del santo coincide con il volto del mondo. In questaopzione si fa presente tutto il peso della kenosis cristiana come dissoluzione diogni versione puramente speculativa e teologale di Dio. Van Gogh restaprofondamente interessato al mistero di Dio che si fa uomo, che vive sino infondo la sua incarnazione, che si dissolve scandalosamente in essa. Verbo che sifa carne, assoluto che abita il mondo, che in ogni cosa, in ogni volto del mondo.Per questo egli non dipinge mai le icone religiose della tradizione, ma solo lecose del mondo, la natura e i volti degli umani elevandoli alla dignit dellicona.Non c anima senza corpo, non c trascendenza se non nellimmanenza, nonc volto del santo se non nei colori e nelle gure che abitano il mondo. questala sua scelta losoca ed estetica di fondo. Anche per questa ragione comeaccade nella sua straordinaria rivisitazione della Piet di Delacroix il Cristo diVan Gogh ha lo stesso volto del pittore; il volto del santo coincide con il misterodella sua stessa esistenza. Lassoluto cristiano non un mistero celeste, nonabita una trascendenza verticale, non separato dalluomo ma radicatoprofondamente nella terra. Per questa ragione lemancipazione vangoghianadella pittura sacra dalla pittura religiosa si realizza tutta nella spintaespressionista della sua arte diretta verso lastrazione coloristica, persinomonocroma, cos fortemente presente negli ultimi tormentati lavori del suosoggiorno a Auvers, dove in un giorno di luglio si dar la morte sparandosi uncolpo di rivoltella al cuore. Nellastrazione spessa e materica di quel periodo lanatura non evapora, n si limita a riettere antropomorcamente le emozionidellartista; essa resta presente come massa informe, groviglio, densit vitale,

  • assembramento, fusione incandescente. Le spighe mosse dal vento si contorconocome i celebri Ulivi della Provenza, ma adesso riprese dal basso, senza alcunpunto di vista panoramico-paesaggistico; pura esistenza nellassolutoabbandono. In primo piano qui la pulsazione della vita, il suo ritmo silenzioso,la sua presenza intaccata dalla morte. Fu infatti la vicinanza alla morte, dopo loscatenamento della follia, a ricondurre nalmente Van Gogh al Nord e ainvertire nuovamente il movimento della sua pittura: dal cielo abitato dal discoinumano del sole al basso, alla terra, agli orizzonti dei cieli cupi, alla radice dellavita. Dopo il bagno forsennato nel colore-luce del Sud, ecco ritornare il pittoredei mangiatori di patate, dei minatori, degli inverni, dei boschi e degli alberi, deicimiteri e delle chiese, della torba nera, delle foglie senza colore, dei mari scurie tempestosi, delle campagne del Nord. Tutto adesso viene rivisto dal basso,polverizzando la gura, contorcendola al punto da renderla quasiirriconoscibile. Dov qui il volto del santo? Esso appare ancora nel Vincent-Lazzaro che viene introdotto nella rivisitazione dellomonimo capolavoro diRembrandt, il quale, insieme a quello delle Scarpe, probabilmente uno dei suoiautoritratti pi riusciti: il volto del santo sul bordo che separa la vita dallamorte, la parola dal silenzio, la pittura dalla tela bianca, lo scorrere del tempoallimmobilit delleterno. Scarponi abbandonati, spaiati, sconnessi dalla catenadalla scena del mondo. Antecedenti del Cristo crocisso e di Lazzaro, ilmiracolato, i quali vivono sino in fondo labisso della morte e dellabbandonoassoluto, lo scioglimento del legame da tutto ci che ci vincola al mondo; oggettopiccolo (a), direbbe Lacan. Punto ombelicale di ogni arte che aspira allassoluto;oggetto impossibile da totalizzare, resto della rappresentazione, osso, scarto,scoria, palea di cui lhumus umano fatto.

    4. Dissoluzione

    Inne il caso Van Gogh stata anche loccasione per mostrare come nellaclinica della psicosi lopera darte pu non essere solo quello sgabello(escabeau) come si esprime Lacan che permette al nome proprio dellartista esposto allassenza forclusiva del Nome del Padre di sorreggersi, dicostituirsi a partire dallimpossibilit di riconoscersi glio del proprio padre,discendente della propria razza, almeno come glio delle proprie opere. questo il caso di James Joyce secondo linterpretazione di Lacan: farsi un nome

  • da s attraverso la propria opera senza passare dallAltro.2 Anche in Van Goghtroviamo la stessa condizione randagia, esiliata, sradicata che caratterizza lavita del grande scrittore irlandese. Ma per lui la pratica dellarte non tanto losgabello che eleva il suo nome proprio alla dignit dellartista consacrandolo neisecoli, ma una impresa disperata che mentre gli consente di non restareintrappolato nelle sabbie mobili della sua melanconia originaria lo espone alrischio dello smarrimento assoluto, della perdita di se stesso, dellinabissamentosenza ritorno. Mentre in Joyce lopera consente allartista di farsi non solo unnome ma anche un corpo, in Van Gogh la pittura diventa un gorgo che lo trascinavia, una incandescenza che brucia la vita e che frammenta lessere dellartista.Si pensi alla travagliata serie degli autoritratti, ma anche al problema dellarma delle sue opere. Assistiamo a uno sciame di immagini e di segni, mai unouguale allaltro, a un caleidoscopio vertiginoso che anzich dare consistenzaallidentit del soggetto la sbriciola e la pluralizza senza alcuna possibilit diunicazione. Mai una rma uguale allaltra, mai una volta il suo nome e il suocognome a nominare il quadro, ma sempre la sua mimetizzazione irrisolta nelleserie variabili delle V. e dei Vincent ogni volta diormi. 3 Questa assenza di uncentro permanente la ritroviamo come una paradossale costante delloperamultiforme di Van Gogh. La pratica dellarte non consolida alcuna identit, ma ladissolve, la brucia, la frammenta. quello che accade nel corso della suaricerca di quella alta nota gialla che ispira il suo movimento artistico edesistenziale verso Sud. Qui la pratica dellarte non agisce pi come unasupplenza riuscita della psicosi come un sintomo , ma come qualcosa chesalva e insieme, paradossalmente, consuma il soggetto. il destino di VanGogh-Icaro descritto da Bataille: la spinta risoluta verso il colore-luce lo catturain una spirale che egli non sa pi governare. Si sente in pericolo, seduto sulbordo di un vulcano. cos che si descrive in una lettera a Theo che precede dipoco lo scatenamento fatale del 23 dicembre del 1888.

    Milano, luglio 2014

  • Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh

    A Ubertomio fratello non di sangue

  • Tutto ci che facciamo si affaccia sullinfinito.Vincent Van Gogh

  • 1. Una malattia del Sud

    Ultimo atto: luglio 1890. Solo da qualche mese era rientrato nel suo Nord conuno scarno bagaglio di trenta chili. Lo avevano ascoltato nalmente. DallaProvenza, prima di nuovo a Parigi come nel 1886. Theo che lo aspetta allaGare de Lyon. Poi da solo verso Auvers-sur-Oise. La campagna lo accoglienuovamente dandogli lillusione di ritrovare riparo dai colpi cupi della follia. Inqueste ultime settimane di lavoro la sua pittura prende la via della puraastrazione: la natura appare come una massa densa di colore. Appaionoorizzonti larghi, cieli scuri, addensamenti materici, vortici sismici, covonilunari, sagome misteriose di sottobosco, radici aggrovigliate. mattina prestoquando esce di casa. La tela sulle spalle e la pittura allaria aperta, comedabitudine. E come sempre la stessa angoscia, la stessa frenesia di uscire e diandare pi lontano. La sua pittura esposta alle oese del vento. Poi unapasseggiata serale e lultimo atto. Come unesigenza pi forte, uninsistenza,un volere di pi; nella sua Provenza era arrivato vicino al sole che brucia, alsole spietato del Sud, e ne era stato ustionato a morte. Ora non ne poteva pi.Quella spinta verso la luce era stata pi forte della sua pittura, pi forte dellasua stessa vita. Adesso un solo pensiero: porre ne a questa esistenza dannata,a questo mattatoio senza scampo. Trovare un po di pace nalmente, un po diombra, un riparo dalla persecuzione del giallo inumano del sole. Esigenza diintrodurre un diaframma, uno schermo, una distanza. Nella tasca una vecchiarivoltella. Anche le attricette, ci ha lasciato scritto Pavese, lo sanno fare. Uncolpo diretto al cuore. Niente. Solo porre ne a questa disperazione, a questamelanconia cupa. Fermare le voci allucinate che lo assillavano, sottrarsi al loroaculeo, spegnere il loro rumore assordante. Adagiare il capo sul frescodellerba in ombra. Separarsi nalmente dalla scena di questo mondo che nonlo ha mai voluto. Un solo colpo di pistola lo avrebbe allontanato per sempre dalSud e dalla vita in un istante. Sarebbe uscito di scena immediatamente,catapultato fuori. Finalmente senza luce, a distanza dalla potenza spietata delsole.Cline ha scritto che gli uomini, anche nel momento del loro estremo

    congedo, diversamente dagli animali, non sanno rinunciare a un po dipalcoscenico. Nessun palcoscenico, nessun tralal per Vincent Van Gogh, almomento della sua ne. Solo un bisogno di eclissi, di oblio. Un bisogno, questa

  • volta, pi forte anche del suo disperato attaccamento alla vita. Cancellare lamenzogna iscritta nel suo nome; annullare la protuberanza senza senso dellasua esistenza di troppo, sopprimere un corpo divenuto sempre piingovernabile, cancellare le voci che comandavano i suoi pensieri, uscire dallaprigione della follia. Solo il bisogno di eclissi, di oblio, solo lesigenza violenta diuscire di scena. Spegnete questo sole! Abbassate questa luce! Lultimo gridoprima dello sparo. Esigenza di ombra, di eclissi e di oblio, esigenza disprofondare a Nord, di ritornare nel cuore della sua terra. Finito il sognogiapponese del colore puro, del giallo sole, del colore-luce. Finito il sogno delvero quadro del Sud. Finito anche quello della comunit fraterna dei pittorinella casa gialla. Finito il sogno del sodalizio unico con il suo fratello di sangue.Finito anche lui, per sempre. Quel che resta solo lesigenza delloblio fortecome il calore del sole. Quel che resta solo la tentazione di compiere latto dinon essere pi, di non pensare pi, di non vedere pi, di non respirare pi. Uncolpo di pistola, poi il nulla. Lagonia di un corpo ferito a morte che cade aterra. Ancora per un istante nella luce, nel giallo intenso e impietoso della luce. stata troppa, troppa per me, avr pensato. Quella volta, per lultima volta,lo avr sicuramente pensato.Con la pittura non aveva raggiunto la salvezza, ma si era stravolto nella

    ricerca di un colore che potesse esprimere la stessa potenza del sole, uncolore-luce capace di manifestare la forza originaria della Cosa, lassolutoingovernabile della Natura. Tutto era accaduto a causa del sole del Sud. Si erainoltrato troppo verso la potenza assoluta della luce. Lo scrive con convinzionenelle sue ultime lettere al fratello Theo, lo dichiara ai suoi medici, nel suodelirio gli si impone come una verit evidente: ha contratto una malattia dellaluce, una malattia del sole, una misteriosa malattia del Sud! Una follia delMezzogiorno, una follia senza ombre. Quella del caldo torrido delle due di unpomeriggio di luglio. La prossimit eccessiva con la Cosa lo aveva ferito amorte. Vincent-Icaro, Vincent-falena, Vincent pittore del colore-luce che vienecatturato dal mistero irresistibile del giallo del sole. stato il suo cammino:dalle miniere buie del Borinage allidealizzazione giapponese della luce dellaProvenza. La luce lo affascina perch gli appare come una espressione radicaledella vita. Il suo misticismo ruota attorno a questo assoluto, ma le ali diVincent-Icaro si carbonizzano al suo contatto. Restava allora solo il desiderio di

  • ombra, di riparo, di Nord. Lo scrive ancora al fratello amato e ai suoi medicicuranti: la sola cura della malattia della luce sarebbe stata un nuovo viaggio,labbassamento della luce, il ritorno alla terra fredda, senza la luce del Sud,dalla quale proveniva. Ritorno nelle viscere della terra, al Nord del mondo, alNord della vita, alla lapide dove aveva da sempre visto iscritto il suo nomecome il nome di un morto. La sola cura possibile per sfuggire alloppressionepersecutoria del sole del Sud era il ritorno al Nord. Ma il suo Nord non eraaltro che lo stigma della sua melanconia originaria: lidenticazione indelebilealla Cosa perduta.Tutta la sua vita stata il tentativo sovrumano di cambiare il destino gi

    scritto nel proprio nome: esilio, strappo, lotta, solitudine, erranza, follia. Esoprattutto il giallo infuocato della luce, il mito fantasmatico del Sud, delGiappone, del vero quadro del Sud. Come fare per fare esistere questouomo nato morto? Come dare vita a questa vita intrappolata nelle spoglie diuna vita nata gi morta? Come dare vita a questa vita destinata a essere ildoppio di un Ideale impossibile da eguagliare? Come inventare una propriasoluzione, come deviare da questo destino gi stabilito? Proprio quello chesembr salvarlo dalla melanconia del Nord la passione assoluta per il colore-luce lo sospinse verso un punto di rottura che determin lo scatenamentodella sua psicosi. il destino tragico della falena: salvarsi dal buio della nottegrazie alla luce, ma perdersi proprio a causa di quella luce che la attirairresistibilmente verso la sua morte. Vincent Van Gogh n troppo a Sud,troppo prossimo alla Cosa, al punto da rimanerne incenerito. Smarr ladistanza che occorre per fare sopravvivere la vita, per difendere la vitadallincombenza incandescente della Cosa. Troppa luce, troppo a Sud, tropposimile al sole. Come quando, in uno stato delirante, percorreva le stradine diArles, in piena notte, con una corona di candele sulla testa: identicazione allasorgente della luce, alla potenza catastrofica del sole.

  • 2. Vincent: il nome di un altro

    Vincent Van Gogh nacque il 30 marzo 1853. Lo stesso giorno di quando, unanno prima, sua madre vide morire il frutto della sua gravidanza, il suo primoglio maschio, il pi desiderato. Si chiamava Vincent, Vincent Van Gogh.Inconsolabile, ricerc la via pi breve per superare lo scoglio di questo luttoimpossibile da simbolizzare scegliendo per il suo secondo glio maschio lostesso nome del primo nato morto.Questa madre non stata una madre del riuto esplicito, della non-curanza,

    dellassenza di presenza. Non ha mancato di svolgere la sua funzione diaccudimento; piuttosto ha mancato, attraverso la solerzia delle sue cure, diparticolarizzare lesistenza di Vincent poich questa esistenza non stataconcepita come un valore in s, non stata voluta per se stessa, ma solo come lasostituzione del figlio traumaticamente perduto.La coincidenza simbolica della data della propria nascita con quella della

    nascita e della morte del proprio fratello, un dato della biograa di Van Goghche non pu non colpire lo psicoanalista. La funzione del nome proprio quelladi iscrivere un soggetto non solo e non tanto nel registro dellanagrafe, ma inquello assai pi signicativo dellordine simbolico. In questo senso essomanifesta la potenza simbolica del desiderio dellAltro che con questa scelta con la scelta del nome opera una prima e fondamentale umanizzazione dellavita, riconoscendo il glio come un proprio frutto e includendolo nella serie dellegenerazioni, in modo tale che possa appartenere a un mondo simbolico e che inquesto mondo possa avere diritto di esistere nella particolarit della sua propriaesistenza.Nel caso di Vincent Van Gogh il nome proprio, anzich sancire questa

    iscrizione, svolge piuttosto la funzione di alienarlo nel nome di un altronegandogli ogni iscrizione simbolica nel campo dellAltro. Liscrizione tende adassumere un mero valore di sostituzione. Al centro non troviamosemplicemente, come spesso accade, il narcisismo immaginario dei genitori checon la scelta del nome proprio investe fallicamente lessere del bambinoponendo, appunto, nel suo nome lauspicio (conscio o inconscio) di una qualcherealizzazione fantasmatica di cui egli dovr farsi carico, quanto piuttosto unadecisa negazione del lutto, ovvero del carattere irreversibile della perdita delprimo Vincent e, di conseguenza, del carattere insostituibile del glio perduto.

  • Questa negazione del lutto, a sua volta, genera una sorta di devitalizzazione deldesiderio del soggetto, il quale, in eetti, portando il suo nome proprio come ilnome di un altro nato morto sembra venire al mondo allombra di unimpoverimento fondamentale del sentimento della vita.Ma il nome proprio non sempre il nome di un altro? Lessere umano non

    sempre alienato nel nome di un altro? Certamente. Il nome proprio,sospendendo lessere del soggetto al desiderio dellAltro, mostra come questoessere non consista mai di se stesso, ma sia da sempre intaccato da una presastraniera, fabbricato dalle determinazioni dellAltro, alienato nei signicantidellAltro. Se per questa alienazione, che per certi versi universale in quantoper ogni essere umano il nome proprio sempre, simbolicamente, il nome di unaltro, o, se si preferisce, un signicante che aliena il soggetto, che lorappresenta per un altro signicante, nel caso specico di Van Gogh ci che nonpu non colpire profondamente come sia stata la negazione della perdita delprimo Vincent a provocare la conseguenza dellattribuzione al secondo Vincentdel nome di un altro, dunque di un nome che inchioda il secondo Vincent aoccupare la funzione di sostituto del bambino nato morto.Jacques Lacan insegna che la scelta del nome proprio una prima e

    fondamentale manifestazione dellincidenza del desiderio dellAltro sulla vita diun soggetto. Essa denisce una prima forma di alienazione nella quale ilsoggetto si trova, senza ovviamente esserne stato interpellato, confrontato con ifantasmi inconsci dei suoi genitori. Sulla scelta del nome proprio convergono ineetti tutte le attese, le fantasie, le tradizioni e le vicissitudini dei familiari. Inquesta scelta, che non mai casuale, un frammento di destino sembracristallizzarsi. Nel caso di Van Gogh il suo nome proprio il nome di un altro, il nome di un glio perduto, di un glio atteso ma nato morto. La coincidenzasembra in questo caso davvero fatale: verr al mondo esattamente lo stessogiorno, il 30 marzo, di un anno dopo la morte del fratello, quasi a suggellare cheil destino assegnato al piccolo Vincent II non possa essere altro se non quello difare rivivere il fratellino scomparso. La sua vita, dunque, la vita di Vincent II chiamata a sostituire la vita di un altro che, in quanto perduto, tende, comespiega la psicoanalisi, ad assumere fatalmente un carattere idealizzato. Al postodi un normale lavoro del lutto che avrebbe dovuto sancire lirreversibilit dellaperdita, i genitori di Vincent rispondono fabbricando nel pi breve tempo

  • possibile un sostituto reale e immaginario. Sar dunque questo il luogo diiscrizione o di non-iscrizione di Vincent Van Gogh nel campo del desideriodellAltro. La sua vita non desiderata in quanto tale, nella sua particolarit pipropria, ma solo in quanto rende possibile la vita di un altro, negandone lamorte. La sua vita appare come il prodotto dellaggiramento, da parte dei suoigenitori, di un lutto impossibile da compiere. Il suo nome proprio resta il nome diun altro a lui prossimo quanto a lui totalmente estraneo. La sostituzione avviene,come spesso accade, ponendo la gura di Vincent I come una gura idealerispetto alla quale il piccolo Vincent II sarebbe, come ogni sostituto, votato amostrare tutta la sua inadeguatezza. Il suo nome proprio non un nome chetrasmette un desiderio di vita, unaspirazione, una memoria del passato, unradicamento nella tradizione, un augurio, una manifestazione di gioia, unentusiasmo o un debito simbolico. Il suo nome proprio letteralmente il nome diun altro ideale rispetto al quale chi lo porta non potr che gurare come unsostituto indegno, mai allaltezza. La data di nascita comune sembra sancirequesto cortocircuito. Luno il sostituto dellaltro, lo rimpiazza, prendendo perindebitamente il suo posto; ma laltro, chi nato prima, che cancella la vita dichi lo dovrebbe sostituire. Laltro del quale non si fatto il lutto nisce persoverchiare, con la sua imago idealizzata, limmagine del secondo, la quale, inquanto immagine sostitutiva, sar sempre unimmagine di secondo grado,limmagine di uno scarto, di una ferita narcisistica mai cicatrizzata.Insistiamo ancora un momento su questo esordio traumatico della vita di Van

    Gogh. Abbiamo fatto notare come il nome proprio sia sempre anche il nome diun altro. Ciascuno di noi, infatti, proviene da una tradizione storica e familiare acui solitamente il nome proprio rinvia secondo una inevitabile azione alienante.Basti pensare a come il nostro nome venga, appunto, inesorabilmente, semprescelto da un altro. Il soggetto umano dipende da questa catena di rinviisovraindividuali a cui il suo nome proprio, dunque ci che dovrebbe indicare ilsuo essere pi particolare, appare strutturalmente sospeso. E tuttavia, seppurein questa forma alienata, il nome proprio giunge anche a sancire unriconoscimento simbolico, realizzando una prima iscrizione fondamentale delsoggetto nel campo del desiderio dellAltro. Per Vincent, per, le cose stannodiversamente perch il suo nome proprio non traduce alcun desiderio dellAltro,ma colma unassenza, surroga una presenza indimenticabile, riscattasostitutivamente unaltra vita. La sua fondamentale indegnit, quella melanconia

  • originaria che lo accompagner per tutta la vita e alla quale costantementeriferisce la sua infelicit e la sua dicolt di vivere, sembra trovare qui il suomotivo di fondo. Quando lidenticazione costituente come la denisce Lacan non permeata dal desiderio dellAltro ma si regge sullidenticazione aqualcosa che perduto, perch morto, assente, irraggiungibile e, dunque, idealein modo esorbitante, tende a produrre unidenticazione di tipo melanconico. la nostra ipotesi clinico-diagnostica intorno a Van Gogh: la sua schizofrenia secondaria a una posizione fondamentalmente melanconica del suo essere.

  • 3. Una vita

    Vincent Van Gogh morir a 37 anni, nel luglio del 1890, a causa di un tentativodi suicidio. Solo qualche mese prima era nato il glio del suo amatissimo fratelloTheo, il quale volle, come segno di aetto fraterno, dare al proprio primogenitoil nome di Vincent e fare del fratello maggiore il suo padrino. Conosciamolimportanza della presenza di Theo nella vita di Vincent. Possiamo anchechiederci sino a che punto il matrimonio di Theo, e la sua paternit, successivialla grande crisi psicotica dellinverno del 1888, abbiano contribuito a rendereirreversibile il deterioramento della malattia. In particolare la nascita delnipotino che porta il suo stesso nome riporta fatalmente il pittore sulla scenadellintrusione primordiale: un altro Vincent viene traumaticamente a occupareil suo posto nel desiderio dellAltro. Di nuovo ritroviamo in azione il dramma diuna sostituzione che sancisce una espulsione, un allontanamento, unosradicamento, un riuto. Il matrimonio di Theo e la costituzione di una suafamiglia spezzarono inevitabilmente un sodalizio quello tra i due fratelli VanGogh che aveva pi volte trattenuto lartista al di qua del precipizio dellapsicosi. Ancora una volta il signicante Vincent si rivela mortifero: la suaapparizione nel reale riconduce Van Gogh di fronte allincontro, gi avvenuto neltempo della sua stessa nascita, con la sua esistenza come di troppo, senza senso,come uno scarto del mondo.Il padre, pastore protestante, viene descritto da Van Gogh come un padre

    educatore, incarnazione di un rigorismo morale inessibile, espressione di uncristianesimo pi di facciata che di sostanza, ma non per questo menoimplacabile nella sua volont disciplinare. La madre una gura che Vincentevoca sempre con tenerezza, cos come avviene per la sorella pi piccola,Willemina. Tuttavia, per il desiderio materno egli sembra occupare solamentelombra vivente del glio ideale nato morto. Lo abbiamo appena fatto notare: alposto del lutto nei confronti di questa morte traumatica, la madre sembra agirenel segno della sostituzione immaginaria. Ma questa sostituzione non putenere. Nessuna sostituzione pu come tale tenere senza provocare disastripsichici di diversa natura nel bambino destinato a occupare il posto di un altro.La cosiddetta originalit infantile di Vincent, destinata ad amplicarsi semprepi negativamente nel corso degli anni, appare gi come il segno premonitoredella sua diversit inevitabile rispetto al glio ideale. La sua stravaganza, la sua

  • resistenza ai principi educativi della famiglia, le sue bizzarrie sono i modi coiquali si manifesta lassenza di iscrizione nel desiderio dellAltro e pregurano ilsuo destino errabondo.La sola gura familiare che invece sembra orire una accoglienza amorevole e

    un riconoscimento simbolico positivo quella del fratello minore Theo. La lororelazione fu costante negli anni e il loro carteggio la dimostrazione esemplaredi un sodalizio vitale per entrambi. Per Theo, Vincent non era il nome di un glioideale nato morto, ma il nome di un fratello maggiore che ammirava e stimavaprofondamente e con il quale condivise la passione decisiva della sua vita, quellaper larte. Per Vincent, Theo ci che lo ormeggia, che gli ore un punto diappoggio fondamentale; una sorta di altro speculare che raorza e sostieneunidentit narcisisticamente precaria. Allo sguardo dello psicoanalista questarelazione, per lintensit e il carattere fortemente dipendente che lacaratterizza, appare come una relazione di reciproca compensazioneimmaginaria. Non casuale che lepilogo drammatico della vita di Vincentcoincida, come ho gi fatto notare, con il matrimonio del fratello Theo esuccessivamente, solo qualche mese prima della sua morte, con la nascita delsuo nipotino. Dalla parte di Theo, altrettanto signicativamente, la morte diVincent spalanca labisso della sua stessa follia sullo sfondo di una situazionepsichica gi di per s assai fragile. Theo morir pochi mesi dopo Vincent,nellottobre dello stesso anno, a causa di una malattia dalle origini incerte. Sullabase di una testimonianza di Pissarro, episodi drammatici di follia e di violenzaerano seguiti alla morte di Vincent, come quello di aver cercato di uccidereviolentemente la moglie e il figlioletto.Nellinsegnamento di Lacan sulle psicosi la relazione Vincent-Theo sarebbe

    considerata un modello tipico di stampella immaginaria che compensa unEdipo assente.1 In altre parole, questa relazione avrebbe compensato laforclusione originaria del Nome del Padre la cui funzione precisamente quelladi consentire una iscrizione simbolica del soggetto nel campo del desideriodellAltro. In assenza di questa funzione il soggetto simpegna a rimpiazzare glieetti stabilizzanti e orientativi dellidenticazione edipica medianteunidenticazione immaginaria, di tipo speculare, a un simile. Nel caso diVincent questo signica che lassenza forclusiva del Nome del Padre non hapotuto impedire lidenticazione al bambino ideale nato morto identicazione

  • sancita dal volere materno , non cio intervenuta come un terzo simbolicoche separa il glio dal godimento materno, ma ha sancito labbandono del gliocome oggetto che realizza il fantasma materno.2La relazione con Theo diventa allora la sola relazione familiare che lo fa

    esistere come soggetto anche se questa relazione, nutrendosi di unaidenticazione di tipo narcisistico-speculare, non in grado di sopportare alcunaalterit. Per questo Vincent cercher insistentemente di convincere Theo aseguirlo nella sua vocazione per la pittura non nascondendo al fratello la suaprofonda aizione per la sua mancata adesione. E per questo ogni volta chelalterit fa la sua apparizione per esempio, nella forma della moglie di Theo edi suo glio Vincent la coppia immaginaria si frantuma e tende a scompensarela stabilit psichica di Vincent.Pi in generale, tutte le sue relazioni aettive signicative furono vissute

    allinsegna di un predominio franco del registro dellimmaginario che determina,appunto, relazioni caratterizzate da unesigenza di presenza e di fusionalit cheesclude lalterit. Come la clinica psicoanalitica ci insegna, si tratta di unatendenza tipica di quei legami che compensano una psicosi latente. Questoaccadde certamente con Theo, ma anche nelle relazioni tormentate con le donnee con Gauguin. In tutti questi legami ritroviamo il modello dellidenticazionenarcisistico-immaginaria che ha animato la relazione con Theo. La stessapassione assoluta, la stessa assenza di conni, la stessa intimit speculare, lastessa esigenza imperiosa della presenza. Il carattere compensatorio di tuttequeste relazioni consiste nel fatto che in esse Vincent ricerca quelliscrizionesimbolica che gli stata negata dal suo Edipo assente, provando cos acompensare, attraverso unidenticazione immaginaria, lassenza forclusivadella funzione simbolica del Nome del Padre.Prendiamo rapidamente in considerazione il legame con Gauguin, il quale, tra

    laltro, gioca unimportanza cruciale nello scatenamento della psicosi di Vincent.Lamicizia e la convivenza burrascosa con Gauguin conobbero il loro apicedrammatico nellinverno del 1888, dopo alcuni mesi di sodalizio umano eartistico presso la cosiddetta casa gialla nella citt di Arles.3 Lintensitparticolare di questo legame e la sua brusca rottura concorsero a determinarela congiuntura di scatenamento della prima grande crisi psicotica di Vincentavvenuta, non a caso, alla vigilia di Natale del 1888. La gura di Gauguin situata chiaramente da Vincent in una posizione ideale. Non solo: Gauguin

  • sembra rispondere aermativamente a quella domanda di condivisione assolutadella passione per larte che inizialmente Vincent aveva inutilmente rivolto alfratello Theo. Il sogno di Vincent era quello di dare vita a una comunit di artistiuniti dalla passione comune per la pittura e nalmente, materialmente edeconomicamente, indipendenti. Ma, pi intimamente, la venuta di Gauguin adArles venne salutata da Van Gogh come un possibile freno salvico rispetto allapercezione oscura di essere sullorlo di una malattia minacciosa.4 Egli per saril suo farmaco e, insieme, il suo veleno. Per un verso infatti Gauguin si presta adessere un sostegno davvero ideale per Vincent, ma questo non tiene conto delladicolt dello stesso Van Gogh di tollerare nelle sue relazioni aettivequalunque forma di dissimmetria. Come abbiamo visto, egli esige una comunionespirituale e materiale senza riserve, assoluta, identicatoria appunto, che perGauguin non aatto disposto a tollerare. La sua decisione di abbandonare lacasa gialla far precipitare una situazione gi compromessa: dopo aver cercatodi aggredirlo alla vigilia di Natale, Van Gogh si amputa un orecchioconsegnandolo poi a una prostituta del bordello frequentato anche da Gauguin evenendo travolto da deliri e allucinazioni invasive. Le cronache localiriportarono laconicamente lepisodio:

    Domenica scorsa, alle undici e mezzo di sera, tale Vincent Van Gogh, pittore, originario dellOlanda,s presentato nella casa di tolleranza n 1, ha chiesto di una certa Rachel, e le ha consegnato ilproprio orecchio, dicendole: Conservate questo oggetto con ogni cura.5

    La circostanza della vigilia di Natale non andrebbe aatto sottovalutata, inquanto proprio lincontro con lenigma della nativit che fornisce lennesimoingrediente alla congiuntura drammatica della scompensazione psicotica: la suastessa nativit, ricordiamolo, avvenuta senza iscrizione simbolica nel desideriodellAltro.Anche le relazioni con le donne (Ursula, Kee e Sien) sono dominate dalla stessa

    esigenza di presenza, di fusionalit, di immedesimazione immaginaria. E, ognivolta, la rottura di queste relazioni, anche quando saranno solo platoniche,comporter violente cadute depressive, luscita dalle quali coincider noncasualmente con virate radicali della vita di Vincent. Accade nel caso del primoamore idealizzato per Ursula, incontrata a Londra allet di ventanni. Lafrustrazione di questa sua passione fu probabilmente alla base della decisione diabbandonare ogni tentativo di impiegarsi professionalmente nelle gallerie darte

  • gestite dallo zio e di dedicarsi unicamente alla predicazione evangelica. Accadecon la grande passione amorosa, ostinata e delirante, per Kee, una cuginarimasta precocemente vedova, e ostacolata con tutti i mezzi dalla sua famiglia,la quale fu allorigine della sua decisione di lasciare labito del predicatore perimmergersi pi decisamente nel lavoro della pittura. Inne, lincontro con Sien,prostituta alcolizzata e madre di un bambino, avvenne, sul nire dello stessoanno, nel 1881, dopo una violenta ed ennesima lite col padre. In questo casosembra prevalere una sorta di identicazione alla donna-scarto, alla quale eglisembra dedicare quelle cure amorevoli che non aveva mai ricevuto da suopadre.Ci che risalta in tutte queste vicende non solo il furore ideale che incendia

    lanimo di Vincent e che gli fa supporre ogni volta di stare vivendo una relazioneamorosa estatica, profonda, unica e insostituibile, ma la sua incapacit atollerare di non essere corrisposto, o, pi precisamente, a tollerare la non-corrispondenza tra la rappresentazione ideale della relazione e la sua esistenzadi fatto, con il quoziente di frustrazione che essa implica. In altri termini,Vincent mostra di non essere assolutamente in grado di sopportare ladiscrepanza tra la sua esigenza di fusione e lalterit eettiva dellaltro. Perquesta ragione non c mai un vero e proprio lavoro del lutto che segue ilfallimento di questi legami, non c una qualche forma di soggettivazione dellaperdita, quanto piuttosto delle brusche metamorfosi esistenziali, dei repentinicambiamenti di direzione, dei viraggi tanto improvvisi quanto irreversibili, comese lagire prendesse il posto di un lavoro psichico di simbolizzazione mancato.In questo contesto biograco lesperienza che sembra imporsi come una

    costante lesperienza di una solitudine inappellabile, di un sentirsi diverso,braccato da un destino crudele, occluso da un sentimento melanconico diuso,contagiato da una malattia invisibile, come se uninfezione mortale avesseminato in lui il sentimento stesso della vita. Uninquietudine profonda e senzanome lo incalza da sempre e nessuna fuga sembra mai davvero possibile.Tra il 1873 e il 1876 lavora come mercante darte presso la galleria dello zio

    paterno, prima a Parigi e poi a Londra. Questi lavori precari segnalano la suainadeguatezza nei confronti di ogni forma di vita pratica e di legame sociale.Linsopportazione nei confronti del conformismo borghese gli rende intollerabilequalunque impiego professionale. Lidea di non avere radici, di essere destinato

  • a una vita insensata, allo sbando, e un sentimento costante di incomprensione losospingono a raorzare il suo legame con il cristianesimo e dal 1876 al 1878 sidedica anima e corpo allesperienza evangelica. Il cristianesimo gli appare comeuna soluzione al disastro di unesistenza che gli sembra priva di senso. Il sognodi dedicarsi alla trasmissione dellesperienza mistica di Cristo sinfrange pernel 1878 quando non ottiene quella nomina di predicatore che attendevafortemente. Contro questo riuto decide comunque di inoltrarsi nella zona delleminiere del Borinage, in Belgio, e di vivere direttamente lesperienza cristiana afianco dei pi poveri e dei diseredati.In seguito, la vicenda drammatica del suo amore non corrisposto per Kee lo

    sospinge a lasciare la strada della vocazione religiosa per la pittura. Ad essa sidedicher intensamente per tutto il resto della vita. La morte del padre,avvenuta nel 1885, quattro anni dopo la sua scelta di abbandonare la vitareligiosa per la pittura, inaugura un periodo di forti tumulti. Febbri, debolezza,abulia sono alcuni degli eventi del corpo che segnalano uno stato di depressionedivenuto ormai continuo. proprio in questo periodo che insister in tutti i modiper convincere, senza successo, il fratello a seguirlo nella sua vocazioneartistica.Nel 1886 si trasferisce a Parigi, da Theo, dove incontra i frutti pi maturi della

    stagione dellimpressionismo da cui artisticamente attinge il potere della luce.Se le sue prime vere prove dartista avevano come riferimento la tradizione delnaturalismo nordico e si esprimevano con un uso del colore in cui dominavaunambientazione ombrosa (il culmine di questa fase rappresentato dal suoprimo capolavoro: i Mangiatori di patate del 1885), lincontro conlimpressionismo francese gli spalanca la potenzialit vertiginosa delladimensione del colore. Quando per, dopo un anno di residenza dal fratello,lascia Parigi, gi in condizioni fortemente precarie. Lobbligo alla vitamondana e ai suoi vizi, la frequentazione degli ambienti artistici, la vitairregolare, labuso di alcol e di tabacco lo avevano prostrato. Il mio cervello scrive era quasi rovinato. La forte emotivit si alternava a stati di assenza edi ebetudine. Si sentiva come un vulcano, confuso, agitato, ossessionato daipensieri che riguardavano la vita eterna. Il 1888 anche lanno che segna unsalto qualitativo nella sua produzione. Karl Jaspers insiste opportunamente nelfar notare che proprio nel momento in cui si intensicano i sintomi prepsicoticila sua pittura entra in un periodo di grande forza e trasformazione nella quale

  • simpone la dissoluzione della supercie pittorica in pennellate di forma geometrica regolare, ma diimmensa variet; sono linee e semicerchi, gure tortuose e spirali [...]. Basta questo impiego delpennello per dare ai quadri un movimento inquietante. La terra dei paesaggi pare vivere, si solleva esi abbassa in onde, gli alberi sono come in amme, tutto si torce e si tormenta, il cielo palpita. Icolori ardono.6

    Nella primavera del 1888 Van Gogh lascia dunque Parigi, stordito nella mentee nel corpo, per inoltrarsi nel profondo sud della Provenza. Si trasferisce adArles dove nello stesso anno progetta la costruzione di una comunit di artistiradunata nella sua abitazione, denominata la casa gialla. La prima cellulasperimentale di questo disegno sarebbe stata costituita dal sodalizio umano eartistico tra Van Gogh e Paul Gauguin che lo raggiunse nellautunno seguente.La convivenza con Gauguin e, soprattutto, la dissoluzione di questo progettoutopico gettano Vincent nelle braccia della follia. Gi i mesi di convivenzaavevano mostrato il carattere illusorio del progetto ed erano emerse leprofonde dierenze tra i due uomini. La rottura denitiva della loro relazionecoincide con lo scatenamento della psicosi che avviene, come ho gi ricordato,alla vigilia del Natale del 1888. Presenza di idee bizzarre, deliri religiosi e diavvelenamento, allucinazioni uditive, comportamenti aggressivi e autolesiviresero necessario il ricovero. Da quel momento, sino alla ne dei suoi giorni, lavita di Van Gogh alterner momenti di crisi a momenti relativamente pitranquilli che per non cancellarono mai ci che avvenne nella notte di Arles. Inquesto tormentato percorso biograco un elemento non pu essere trascurato,ovvero il carattere vulcanico della sua produzione artistica. Se, infatti, siconsidera che le prime prove artistiche di Van Gogh risalgono agli inizi deglianni ottanta, si deve dedurre che il suo straordinario itinerario artistico siconcentra tutto in una decina danni. Solamente in Rimbaud e in Nietzschepossiamo forse ritrovare unesplosione creativa di tale stupefacente intensit.

  • 4. Il reale brutto dellesistenza e le coperte dellimmagine edel senso

    Lesistenza viene al mondo esposta al reale, al non-senso del reale, alla suafatticit pi bruta. Nondimeno lAltro si ore come uno schermo simbolico eimmaginario che attutisce limpatto traumatico di questa esposizione. Il realeinsensato della vita, il brutto dellesistenza, viene mediato simbolicamentedallazione dellAltro che lo avvolge nella coperta del senso e dellimmagineattenuandone leffetto traumatico sul soggetto.La vita si umanizza innanzitutto grazie alla sua inclusione in un ordine

    simbolico. La coperta del senso rimbocca gli spigoli osceni del reale attribuendoalla nuda vita una signicazione possibile. Tuttavia, questa coperta restastrutturalmente troppo corta per annullare del tutto o per impedire lincontrotraumatico con lo scandalo del reale. Essa non pu mai scongiurare il realesebbene possa proteggere il soggetto dalle ustioni che esso pu causare,schermando la sua incidenza potenzialmente catastrofica.Il reale brutto dellesistenza eccede il senso e assedia la vita, la quale, invece,

    insiste per entrare nellordine del senso.1 La possibilit di questo accesso datadalla presenza dellAltro, dal suo sostegno simbolico, dal miracolo della parolache sottrae la vita al dominio inessibile della necessit biologica, orendosicome un dono che sgancia lesistenza del soggetto dallinsensatezza del reale. Inquesto modo la vita si umanizza attraverso una serie di cerimonie simbolicheche coinvolgono in primo luogo la rete dei legami e degli scambi familiari, mainvestono anche i rituali simbolici promossi dalla Cultura e dalle sue leggi checostituiscono uno spazio comunitario che ospita il soggetto. In breve, perumanizzarsi la vita non esige solo il soddisfacimento dei suoi bisogni primari, mache vi sia innanzitutto esperienza del riconoscimento del proprio desiderio daparte del desiderio dellAltro; esperienza di essere attesi e voluti dallAltro nellanostra pi propria particolarit; esperienza di far parte di una comunit, di unospazio comune, esperienza di una iscrizione simbolica della vita nel campo delsenso.Lazione dellimmagine svolge un ruolo decisivo nel rivestire il reale brutto

    dellesistenza. Il corpo umano non mai nudo salvo in certe situazionitraumatiche ma sempre rivestito dalla sua immagine. Lo stadio dellospecchio scandisce per Lacan un tempo inaugurale dellumanizzazione

  • primordiale del soggetto. Nella sua immagine riessa il bambino trova accessoalla propria identit riconoscendo se stesso in un altro; si tratta di un tempofondamentale nella costituzione della soggettivit umana che si installasullesperienza di un riconoscimento non solo narcisistico, ovvero rinchiuso nelrimbalzo reciproco tra lio e la sua immagine e vincolato allapprendimentoesclusivamente cognitivo dellimmagine speculare come propria. In realt, comeLacan ha specicato puntualmente, il rimbalzo speculare tra lio e laltro (la suaimmagine) pu avvenire solo se accompagnato dalla presenza dello sguardobenevolo dellAltro. In assenza di questo sguardo, come indice della presenzadel desiderio dellAltro, la supercie dello specchio resterebbe vuota, disabitatadallimmagine, sterile e inospitale, come mostrano, per esempio, certi bambiniautistici o certi quadri gravi di melanconia. Infatti ci che certica ilriconoscimento speculare non tanto il carattere particolare dello specchio inquanto oggetto empirico che consente la riproduzione dellimmagine, ma, comefaceva giustamente notare Winnicott, il volto dellAltro, la risposta del voltodellAltro, che, raticando lidentit particolare del soggetto, consente albambino lassunzione positiva della propria immagine narcisistica.2 Non dunque la virt empirica dello specchio a rendere possibile laccesso alla propriaimmagine, ma sono il volto e lo sguardo dellAltro a presiedere questomovimento di soggettivazione e di riconoscimento. Lo stadio dello specchio nonsi consuma quindi in un chiuso mondo a due ma implica lintervento di un terzo(lo sguardo dellAltro) che permette al bambino di riconoscersi nellimmagineriessa che lo specchio gli restituisce, contribuendo in questo modo a edicarequellideale dellio che preserva per ogni soggetto la possibilit di porsi comesufficientemente amabile per un Altro.3Se lordine simbolico opera attraverso il campo del linguaggio e le funzioni

    della parola, se esso umanizza e protegge la vita attraverso il dono del senso, lostadio dello specchio ore al soggetto unimmagine per rivestire il reale informedel proprio corpo. Lesperienza del corpo non mai per lessere umanounesperienza naturalmente armoniosa. Per Lacan, al contrario, essa avvieneoriginariamente come esperienza di una non-unione, di una discordanza, diunassenza di armonia. Il corpo al di qua dello specchio infatti un corpo senzaimmagine, un corpo ingovernabile, impossibile da unicare, informe, un corpoin frammenti (morcel). La funzione dellimmaginario innanzitutto quella dibonicare questa frammentazione fornendo al corpo unimmagine possibile, o,

  • se si preferisce secondo le stesse parole di Lacan , unicandolo grazie a unabuona forma.4Limmagine riveste il reale informe del corpo, lo abbiglia narcisisticamente,

    orendogli una forma, una identit individuale, ricoprendo il reale bruttodellesistenza. La coperta dellimmagine si aggiunge, per dire cos, a quella delsenso; essa ricopre ci che del corpo il suo reale informe bene restioccultato, perch la sua emergenza provocherebbe solo un eetto accecante diorrore. Talvolta siamo esposti a questa emergenza del reale informe del corpo.Accade quando i corpi perdono la loro immagine e appaiono nel loro crudo reale;sono i corpi dilaniati dalla guerra, deturpati da incidenti traumatici, smembrati eoesi senza piet dalla malattia, alterati dalla violenza che li ha travolti. Maquesta emergenza del reale brutto dellesistenza denisce anche il cuoredellesperienza melanconica. Come vedremo, la melanconia , infatti, quellagura della psicopatologia che manifesta lesistenza come pura fatticit priva dirivestimento immaginario e di iscrizione nel campo del senso, come oggetto-scarto, oggetto-rifiuto, oggetto caduto dalla scena del mondo.

  • 5. Melanconia

    Possiamo supporre che per il piccolo Vincent listituzione originaria delsoggetto, resa possibile dallo stadio dello specchio e dalliscrizionedellesistenza nellordine del senso, sia stata fallimentare. La freddezza aettivache lo ha circondato ha reso precaria lumanizzazione della sua vita,ostacolando il suo accesso alle virt bonicatrici dellimmaginario e delsimbolico. Nel suo caso, come abbiamo gi visto, la dialettica narcisistica stataperturbata dallirruzione dellimmagine ideale di un altro il fratello Vincent I,nato morto che, anzich costituirsi come una duplicazione speculare prodottasinellimmagine riessa nello sguardo dellAltro, si costituita come il doppioreale di un morto, come un oggetto ideale da sempre perduto.Lombra del piccolo Vincent cade sul secondo Vincent, sul bambino-sostituto,

    per il quale, conseguentemente, il movimento della specularizzazionenarcisistica della sua immagine risulta sospeso allimmagine ideale di un altroimpossibile da eguagliare. Il ricordo della perfezione idealizzata del primoVincent in quanto oggetto perduto rende, infatti, il secondo Vincent unsostituto drammaticamente insuciente. Il desiderio dei suoi genitori non hareso possibile alcun lavoro del lutto per il quale, come ha insistito lungamenteFreud, sempre necessario un tempo supplementare ,1 ma ha come cancellato,reso non avvenuta, dimenticato forzatamente quella nascita traumatica.Rifacciamo daccapo allora! Nessuno morto! ancora Vincent che stiamoaspettando! Non un altro, ma lo stesso Vincent! Nato nello stesso giorno e conlo stesso nome. Alcuni biogra hanno notato come la prossimit del cimitero allacasa dei Van Gogh, nel piccolo paese dove il padre, pastore protestante,svolgeva il suo magistero, facilitava le frequenti visite della madre e del piccoloVincent alla tomba del fratellino.Questa scena sembra porsi come il nocciolo opaco della tendenza melanconica

    di Vincent. La lapide del fratello nato morto e idealizzato dalla madre gli si caladi fronte al posto dello specchio, del volto e dello sguardo amorevole dellAltro.Il raddoppiamento speculare che rende possibile il rivestimento narcisistico delreale del corpo sembra scompaginato da questo raddoppiamento reale doveVincent confrontato, non con la sua immagine resa amabile dallo sguardo odalla risposta del volto dellAltro, ma con unimmagine pietricata di se stesso,con il sigillo terribile della morte, con la sua vita gi nita prima di cominciare;

  • non con limmagine idealizzata di s da soggettivare, ma con una lapide checommemora per leternit chi porta il suo stesso nome.Dal punto di vista della psicoanalisi, la posizione melanconica del soggetto si

    caratterizza per una sconnessione del corpo reale dalla sua immaginenarcisistica, come se questa immagine non si agganciasse pi al corpoumanizzandolo, rendendolo sucientemente amabile, rivestendo il suo realeinforme, ma restasse imprigionata in un ideale irraggiungibile, sconnettendosicos dal corpo reale del soggetto. Per questa ragione nella melanconia ci cheemerge senza veli la nuda vita, il reale brutto dellesistenza, lesistenzanella sua contingenza pi radicale, informe, senza giusticazione, infondata, ditroppo, priva della coperta protettiva dellimmaginario (immagine speculare) edel simbolico (senso); dunque lesistenza come puro scarto, come oggettoinfimo, superfluo, parassitario, devitalizzato, morto.Lo abbiamo gi ripetuto: nel caso di Van Gogh la sua esistenza non sembra

    aver trovato nel desiderio dellAltro una forma possibile di simbolizzazione delsuo proprio desiderio. Lo sguardo dellAltro gli appare colmo dellideale delfratello nato morto che portava il suo stesso nome. La celebre osservazionefreudiana secondo la quale nella melanconia lombra delloggetto perduto(ideale) cade sul soggetto2 troverebbe qui una sua chiaricazione essenziale:Vincent parassitato da unimmagine ideale che non lo abbandona e chesovrasta la sua esistenza. La sua sar in effetti unesistenza senza dimora, senzaiscrizione nel desiderio dellAltro, errabonda, alla deriva, sradicata. Ma anchechiusa, murata viva, sotterrata in una prigione da cui impossibile evadere (LT,88).Il reale dellesistenza, scucito dal suo normale involucro narcisistico, si

    presentica melanconicamente solo come ferita, piaga, escrescenza,protuberanza priva di senso. La forclusione del Nome del Padre assume nellamelanconia la versione particolare di una disgiunzione del corpo dalla suaimmagine, di una presenticazione del reale informe del corpo e, dunque, dellavita stessa del soggetto, come un oggetto privo del sentimento della vita, gimorto prima di essere ancora morto. Se nella psicosi schizofrenica lassenzadella costituzione narcisistica di unimmagine del proprio corpo adeguata non in grado di riparare la frammentazione del soggetto, la sua non-integrazionestrutturale, provocando fenomeni di dissociazione e di smembramento del corpo,

  • nella melanconia il corpo che perde la sua immagine diventa peso, cosa morta,oggetto-scarto, superuo, riuto. In primo piano non c il sentimento caoticodellassenza di conne e di unit, come avviene nella schizofrenia, ma quelloopprimente di non-appartenenza al mondo dei vivi e di indegnit morale. Ilsoggetto si vive letteralmente come se fosse lo scarto del mondo. In questosenso, il sentimento di colpa melanconico non ha nulla a che vedere con quellonevrotico. Nella nevrosi la colpa resta, seppur in modi diversi, sempre inconnessione al desiderio nella sua dialettica trasgressiva con la legge. Nellamelanconia, invece, il senso di colpa si nutre in modo delirante, non in relazioneal desiderio e alle sue vicissitudini, ma in relazione allesistenza stessa. La colpadel soggetto davvero irrimediabile la colpa di esistere. Questo delirio dicolpevolezza, come precisa Freud, un vero e proprio delirio morale; ilsoggetto si sente soggiogato da un senso di indegnit innito, si sente senza ildiritto di esistere. Qual la sua colpa fondamentale? La sua colpa quella dinon essere stato iscritto nel desiderio dellAltro. Per questo la sua aspirazione ,al fondo, laspirazione a una separazione dallAltro senza ritorno. E per questo ilsuicidio, come avviene anche nel caso di Van Gogh, pu spesso costituirelepilogo drammatico della ruminazione melanconica intorno alla colpa di esserenati e pu incarnare il tentativo disperato del soggetto di realizzare una formaradicale di separazione dallAltro. Il soggetto ridotto a oggetto-scarto, aoggetto-riuto, a oggetto-indegno, si separa da questa identicazione,impossibile da sopportare, attraverso un passaggio allatto risolutivo.Letteralmente esce dalla scena del mondo. Per questo Lacan ha parlato unavolta del suicidio melanconico come di un suicidio delloggetto.3

  • 6. Le due melanconie di Vincent

    Nelle lettere di Van Gogh il riferimento a un suo stato profondamentemelanconico ricorrente. Egli evoca costantemente la melanconia come unasorta di condizione di fondo della sua vita. Tuttavia questo fondo melanconico,come avviene anche in Nietzsche, , almeno sino allultimo passaggio allattosuicidario, sempre in relazione a unaspirazione, altrettanto intensa, aemanciparsene o, meglio, a fare di questa stessa melanconia una possibilit diuscita dalla melanconia. In altre parole, il senso di indegnit che accompagna lasua vita sempre intrecciato a una sorta di spinta aermativa, di volont diesistere, di vitalit disperata. In Van Gogh questo comporta la distinzione lucidadi due tipi di melanconia. In una melanconia prevarrebbero labbandono, lamorte, lassenza di speranza, la nostalgia, la stagnazione, linerzia. Nellaltrainvece, in quella che Van Gogh stesso denisce propriamente come la suamelanconia attiva, si manifesterebbe unenergia vitale che spera, aspira ericerca (LT, 83), irriducibile a ogni claustrazione, a ogni identicazionealloggetto-scarto del mondo.Questa melanconia attiva non aatto una negazione maniacale della ferita

    melanconica, sempre aperta, che egli porta con s. Piuttosto essa indica losforzo singolare di Van Gogh per non soccombere di fronte al richiamo tetrodello sprofondamento melanconico. La melanconia attiva il nome che eglistesso attribuisce al suo tentativo di non lasciarsi aspirare dal vuoto:

    la desolazione di quel che si dice il senso di vuoto, la prima cosa da combattere anch nondiventi una malattia cronica (LT, 189).

    Col tempo sar proprio il lavoro dellarte ad assumere in Van Gogh i caratteridi una autentica melanconia attiva. Il lavoro dellarte sar la sua postazione didifesa, ma anche la sonda gettata nellabisso del dolore della vita.1 Sar,insomma, una possibilit di vita di fronte alla tendenza alla morte propriadellidentificazione melanconica alloggetto perduto.

    Le cose misteriose, la tristezza e la melanconia restano scriver a Theo ma leterna negazioneviene controbilanciata dal lavoro positivo che in tal modo, tutto considerato, si riesce a fare (LT,195).

    Questo lavoro positivo capace di controbilanciare linerzia melanconica sar

  • evidentemente la pratica dellarte: come trasformare la spinta alla morte, laforza devastatrice di questa spinta, in una pratica simbolica? Come contrastarela spinta melanconica a farsi oggetto-scarto del mondo attraverso la forza dellasublimazione artistica? Come trasformare il negativo in positivo? Come renderela melanconia attiva? Come introdurre vitalit nella vita senza lausilio direttodel Nome del Padre? Come fare a meno del Padre?

  • 7. Excursus: compensazione immaginaria e supplenzasimbolica

    Nella psicosi il godimento non castrato, non ordinato nel quadrilatero dellezone erogene (orale, anale, vocale, scopica), ma deborda senza limiti: invadeabusivamente il corpo del soggetto frammentandolo (schizofrenia), lo riduce aun oggetto-scarto del mondo (melanconia), ritorna dalla realt esterna nellaforma della violenza persecutoria (paranoia), anima uneuforia dispersiva cheespone il soggetto alla minaccia di una sua evaporazione metonimica (mania), simanifesta in passaggi allatto violenti diretti contro se stessi o contro altri (comeavviene nelle psicosi in generale).Aermare che nelle psicosi il godimento non normato dalla castrazione

    simbolica signica evidenziare come esso tenda a imporsi nelle forme diuneccentricit ingovernabile, caotica, come un picco anomalo o una cadutadrastica di energia vitale, che scompagina sia lassetto immaginario del soggetto(il suo sentimento dellidentit, il suo rapporto con la propria immaginespeculare-narcisistica), sia quello simbolico (la sua capacit di orientarsi nelmondo e di dare senso alla sua vita), sia quello reale (la sua relazione colgodimento).Il soggetto psicotico vive esperienze di sregolazione pulsionale che lo gettano

    in uno stato di confusione e di terrore. Il reale del godimento, senza il ltrofallico procurato dalla castrazione simbolica, emerge come una potenza ciecache devasta gli argini dellio, del mondo simbolico e dellorganizzazionepulsionale della libido. In questo senso la clinica delle psicosi una clinica senzafantasma, ovvero senza schermi immaginari e simbolici nei confronti dei ritorninel reale del godimento, e nella quale, proprio per questa ragione, gli eccessi delgodimento trovano le loro manifestazioni pi eclatanti: allucinazioni, deliri,passaggi allatto.In Van Gogh, come abbiamo gi accennato, la psicosi si slatentizza in modo

    evidente nella prima grande crisi dellinverno del 1888. Sino a quel momentonon erano mai apparsi n allucinazioni, n deliri, n gravi passaggi allatto.Questo signica che sino a quella tragica notte di Arles la psicosi di Van Goghaveva trovato dei rimedi capaci di impedirne lo scatenamento. Da questo puntodi vista, la clinica della psicoanalisi distingue diverse manovre soggettive capacidi rimediare allassenza forclusiva del Nome del Padre e di orire al soggetto

  • una stabilizzazione suciente, tale da impedire una scompensazione psicoticavera e propria. In particolare, linsegnamento di Lacan ha isolato le manovredella compensazione immaginaria e della supplenza simbolica. Queste duemanovre possono prevenire lo scatenamento della psicosi o provvedere, in unsecondo tempo, a richiudere il buco psicotico apertosi con lo scatenamento.Esse possono dunque essere manovre pre o post scatenamento psicotico, ocapaci di impedire che si produca lo scatenamento. Per esempio, vi sonocompensazioni immaginarie e, soprattutto, supplenze simboliche che possonodurare tutta una vita senza mai subire tracolli psicotici veri e propri. Questosignica che un soggetto strutturalmente psicotico privo nellinconscio delsignicante del Nome del Padre a causa della sua forclusione pu benissimomantenere un legame sucientemente adeguato con la realt evitando i ritornidistruttivi nel reale del godimento non castrato. La compensazione immaginariae la supplenza simbolica sono, in sostanza, operazioni soggettive che consentonodi evitare che il buco forclusivo della psicosi si animi malignamente e generiritorni di godimento che invadano abusivamente il soggetto.Esiste anche unaltra operazione soggettiva nalizzata a trattare il buco

    forclusivo della psicosi. Si tratta della metafora delirante. C per unadierenza sostanziale tra questa operazione e quelle della compensazione edella supplenza. La metafora delirante , infatti, un rimedio della psicosi untentativo di guarigione, secondo le parole di Freud , che per, diversamentedalle altre due manovre, implica che lo scatenamento sia gi avvenuto. In altritermini, la metafora delirante opera per ristabilire un senso del mondo dopoche, con la crisi psicotica, questo senso ha subito uno sconvolgimento radicaleche aonda e disperde irreversibilmente il senso comune e stabilito del mondoche precedeva lo scatenamento. La metafora delirante , infatti, il tentativo delsoggetto di abitare nuovamente il mondo, dando del mondo una interpretazionesoggettiva (il delirio) in grado di accordare i vissuti psicotici con ci che accadenel mondo.Con la compensazione immaginaria e con la supplenza simbolica deniamo,

    dunque, due operazioni soggettive che contrastano la possibilit per un soggettodeterminato strutturalmente dalla forclusione del Nome del Padre di esseretravolto da una crisi psicotica. Con la prima operazione deniamo un rimedioimmaginario di tipo identicatorio, mentre con la seconda un rimedio simbolicoche opera come uninvenzione soggettiva relativamente indipendente dai

  • processi narcisistico-identicatori di cui si nutre invece ogni compensazioneimmaginaria. In altri termini, il rimedio della compensazione immaginaria trovail suo modello pi proprio in quei legami intersoggettivi caratterizzati da unaforte tendenza immedesimativa, dove il soggetto psicotico ricerca nellaltro unsupporto anaclitico, una protesi immaginaria grazie alla quale pu consolidare lasua fragilissima tenuta identitaria. Questo rimedio pu dare luogo a dierentiforme di alienazione, la cui matrice resta quella narcisistica verso la propriaimmagine speculare ed suscettibile di fratture pi o meno brusche laddove,per esempio, un elemento estraneo interferisca con lomogeneit immaginariadel legame a due. Non a caso, infatti, la rottura della coppia immaginariacostituisce, come mostra la clinica psicoanalitica, un fattore ricorrente nellecongiunture tipiche di scatenamento della psicosi.La supplenza simbolica, diversamente dalla compensazione immaginaria,

    invece un rimedio alla forclusione pi solido perch meno suscettibile di essereperturbato, in quanto si struttura non su relazioni immaginarie, ma attraversooperazioni simboliche, quali possono essere compiti o ruoli professionali,vocazioni, scelte e stili di vita, passioni sociali, sublimazioni culturali di variogenere. Questo signica che loperazione della supplenza simbolica non sisostiene sulla ricerca di un altro simile di tipo anaclitico-narcisistico, ma suunattitudine del soggetto e, soprattutto, su una qualche forma di suarealizzazione sociale. Mentre, infatti, la compensazione immaginaria sposta ilbaricentro del soggetto nellaltro speculare chiamato a raorzare, come unaprotesi esterna, il suo essere, nella supplenza il soggetto si impegna a inventarequalcosa in proprio, a realizzare unopera, cimentandosi in unimpresa che ingrado di produrre oggetti socialmente riconosciuti. Se nella manovra dicompensazione prevale la dimensione dellalienazione narcisistica dunquedellidenticazione speculare allaltro in quella della supplenza prevale invecela dimensione della separazione dallAltro. La prima resta estremamentevulnerabile, esposta al rischio di cattivi incontri che perturbino la soliditidenticatoria del legame con laltro-simile, mentre la seconda attiva un lavorosignicante che valorizza i tratti pi originali del soggetto mobilitandoli nellamessa in forma di unopera, o, pi semplicemente, in un saperci fare, in unapratica di vita capace di ordinare e stabilizzare ecacemente il propriorapporto con il mondo.

  • 8. Compensazioni e supplenze in Van Gogh

    Nella vita di Van Gogh possiamo constatare la presenza tanto di compensazioniimmaginarie quanto di supplenze simboliche, mentre non sappiamo molto dellanatura della sua eventuale metafora delirante costruita dopo lo scatenamento.Per un verso possiamo trovare in Van Gogh un pullulare di tendenze

    compensative della psicosi di tipo immaginario. Tra di esse dobbiamoconsiderare innanzitutto la relazione, davvero fondamentale, con il fratelloTheo. Ma anche le passioni amorose che sospingono Vincent verso le sue duegrandi delusioni sentimentali: quelle di Ursula e della giovane cugina vedovaKee. E inne, la stessa relazione aettiva con Sien, la prostituta madre di unbambino con la quale Vincent convisse dopo lamore deluso da Kee, si presentacome una tipica relazione compensatoria. La tendenza alla compensazioneprende anche corpo nel disegno utopico di creare una comunit di pittori nellacasa gialla di Arles e nel legame tanto intenso quanto disastroso con Gauguin.Dal punto di vista pi artistico, anche la cura del pittore nel coltivare la tecnicadella copia di grandi opere del passato pu rispondere al regime immaginariodella compensazione. Non a caso questa tecnica viene fortemente perseguita daVan Gogh dopo il primo grande scatenamento della psicosi.Le supplenze simboliche che invece hanno orientato la vita di Van Gogh, dando

    un senso alla sua presenza nel mondo e valorizzando le sue vocazioni pisingolari, sono quelle fondamentali del cristianesimo e della pratica dellarte. Lapredicazione evangelica e la passione per la pittura appaiono in eetti duecentri permanenti nella vita di Vincent. Pi precisamente: due centri permanentiche non dobbiamo pensare come alternative a una vita incerta ed errabonda.Piuttosto la loro valorizzazione avviene facendo, come vedremo, proprio dellaerraticit e dello sradicamento della vita di Van Gogh non pi dellemanifestazioni patologiche ma delle espressioni di una missione superiore. Lasupplenza simbolica non , infatti, un disciplinamento del soggetto, quantopiuttosto un modo di esprimere la sua singolarit pi propria e, attraversoquesta espressione, trattare gli eetti pi minacciosi dellassenza forclusiva delNome del Padre. Lessere cristiano e lessere pittore si caratterizzano come ledue espressioni maggiori, del tutto convergenti, del singolarissimo trattamentovangoghiano della forclusione del Nome del Padre. In entrambe questeespressioni lassenza di iscrizione simbolica della propria vita nel luogo

  • dellAltro o, se si preferisce, lassenza di legami della propria vita con ildiscorso comune, gi stabilito diventa la matrice per una espressione radicalee originale della propria particolarit.

  • 9. Diventare cristiano

    La prima forma di supplenza simbolica che diede un orientamento deciso allavita di Vincent fu quella dellincontro con il messaggio di Ges Cristo. Diventarecristiano fu il suo modo di rispondere allassenza forclusiva del Nome del Padre.La religione cristiana in eetti una religione non solo del Padre ma anche delglio. Pi precisamente, il cristianesimo mostra lamore del Padre soloattraverso il sacricio umano del glio. Non a caso, in una delle sue ultimeopere, Van Gogh prester il proprio volto a quello del Ges deposto dalla croce. 1Il cuore del suo cristianesimo probabilmente tutto in questa identicazionefondamentale al Cristo (figlio) crocifisso.Lincontro con il messaggio evangelico fu per Vincent lincontro con un

    possibile senso della sua presenza al mondo. Lamore di Dio, diversamente daquello dei suoi genitori, non lo esclude, n lo pone come il glio sostituto di unaltro ideale. Piuttosto, diventare cristiano signica per Vincent pensare che ilSignore mi abbia preso quale sono, con tutti i miei difetti (LT, 66), che lAltrodel cristianesimo sia un Altro altro da quello che lo ha lasciato cadere nella suainfanzia, un Altro che dice di s! a tutti i suoi difetti, che ama la suaparticolarit pi intima.Senza questa iscrizione simbolica, senza questo sentimento di appartenenza

    alla comunit cristiana, senza questa prossimit allamore di Dio, la sua vitasarebbe emersa come una vita senza senso, come pura insignicanza del reale,come bruta fatticit. La passione per Cristo contrasta questa emergenzapurulenta della nuda vita e agisce come una sorta di supporto anaclitico chedona alla vita una possibile collocazione simbolica sulla scena del mondo. Sar ilsuo primo grande tentativo di correggere lidenticazione alloggetto-scarto checaratterizza, come abbiamo visto, la sua disposizione melanconicafondamentale. Se nella melanconia lesistenza si realizza solo come oggetto-riuto, come oggetto-scarto del mondo, perch anche questo abbiamo givisto non stata sucientemente animata dal desiderio dellAltro. Diventareun buon pastore, diventare un buon cristiano allora per Vincent un modoper provare a riavvolgere nella coperta del senso quella protuberanza oscenache la sua esistenza, signica provare a sottrarre la vita allinsignicanza a cuiera destinata:

  • Oh, Theo, guai a me se non potessi predicare il Vangelo! Se non avessi questa meta e non fossipieno di fede e di speranza in Cristo, le cose si metterebbero molto male per me (LT, 67).

    La scelta per una vita da predicatore fu per anche un modo per ripercorrerein modo singolare le orme paterne. I principi cristiani avevano, infatti, ispiratorigidamente, ma anche formalisticamente, la sua educazione. Il padre visse lasua missione religiosa di pastore protestante con dedizione. Tuttavia, la suafede, secondo Vincent, restava vittima del conformismo del canone. Non era lamanifestazione di un amore incondizionato ma gli sembrava rispondere a mericodici di comportamento. Non si opponeva aatto, come avrebbe dovuto,allordinariet amministrata della vita borghese, ma ne costituiva una sorta dipiena realizzazione. Mancherebbe nel modello paterno quelloerta di sassoluta e senza riserve, prossima, secondo san Paolo, alla follia, che la parolaevangelica esige. La critica di Vincent alla falsa spiritualit borghese assume quii toni di un altro grande melanconico che ha contestato lantispiritualit delcristianesimo imborghesito. Alludo alla gura di Sren Kierkegaard che, nellaprima met dellOttocento, aveva alzato la propria voce per denunciare ilrinsecchimento sterile della vocazione evangelica in un cristianesimo di routineche spegneva la passione per Cristo in una serie di rituali comportamentalisvuotati di senso. Come Kierkegaard, anche Van Gogh vive la scelta religiosacome una scelta radicale che rompe con ogni concezione estetizzante della vita,con tutte quelle consuetudini rituali che niscono per neutralizzare lautenticomessaggio di Cristo, ma anche con la vita etica della famiglia e della tradizione.Questa scelta la scelta per Cristo un salto nel vuoto, una vertigine,unesposizione, una dedizione allamore senza condizioni. Essa esige il confrontocon lo scandalo singolare della vita di Cristo e con la sua inassimilabilit a ogniconformismo. Per Kierkegaard come per Van Gogh ci che pi contanellesperienza cristiana , non a caso, il simbolo della croce. In questo simboloin primo piano una capacit di donarsi allAltro che sa oltrepassare i connisterili dellEgo sino a provocare la sua stessa dissoluzione, o, se si preferisce, una donazione di s che si realizza come cancellazione di ogni attaccamentoimmaginario a se stessi. Lamore di Cristo salva perch amore di una vita chesceglie di perdere tutto ci che ha per raggiungere, nellamore incondizionatoper lAltro, la sua verit pi profonda. Agli occhi di Van Gogh la gura di Cristonon la gura del Signore ma del povero, del mendicante, dellacconsentimento

  • a perdere ogni forma di signoria. Il Cristo che Vincent prega e che eleva a suomodello ideale non il Cristo in quanto glio di Dio, non il Cristo della gloria edella resurrezione, ma il Cristo in quanto glio delluomo, il Cristo dellapassione e della croce. Il suo Dio non il Dio dei loso e dei teologi ma un Dioche manca a se stesso, un Dio che si realizza solo nella sua incarnazioneumana. Ai suoi occhi al centro dellesperienza cristiana non la resurrezione,non la manifestazione della potenza di Dio che vince la morte, ma il misterodellincarnazione, la kenosis, labbassamento, lumanizzazione di Dio. Ancora dipi: lesperienza cristiana gli si impone come una vera e propria esperienza dispossessamento, di rinuncia ai beni terreni, di ascetismo, come una pratica dellapovert che sda ogni visione borghese e adattata dellesistenza: farsi derelittotra i derelitti, essere un anacoreta, un naufrago, possedere nel caratterequalcosa di un Robinson Crusoe il suo modo di praticare la via indicata daGes:

    Anche nellambiente pi ranato e nellagiatezza, bisogna conservare qualcosa del carattere di unRobinson Crusoe o di un anacoreta; altrimenti si diventa superciali e si lascia spegnere il fuocodellanima. E chiunque scelga la povert e lami, possiede un grande tesoro e udr sempre la vocedella coscienza Non c nulla di meglio che aggrapparsi al pensiero di Dio in ogni cosa, in ognicircostanza, in ogni luogo e in ogni tempo (LT, 72).

    In questa radicalizzazione dellesperienza cristiana non in gioco una versionefanatica della vita evangelica. In essa possiamo invece ritrovare pienamente lestimmate dellidenticazione fondamentale di Vincent alloggetto-scarto, albambino-sostituto, al bambino che non trova un suo posto particolare nelmondo, al bambino la cui immagine narcisistica stata sottratta dallAltroideale, al bambino riutato, escluso, lasciato cadere. Il volgersi verso i poveri e iderelitti risponde a questa matrice di fondo, rovesciando per con una forzasingolare la sua identicazione melanconica: non lui ad essere un derelitto,abbandonato nel mondo, ma lui a occuparsi attivamente dei derelitti e degliabbandonati nel mondo. Ritroviamo qui la dierenza tra le due melanconie.Diversamente dalla sua melanconia costitutiva, nella quale lAltro adassegnargli la posizione di oggetto-scarto, la vita e la predicazione evangelicaappaiono come un modo per occuparsi attivamente il cristianesimo in questosenso una melanconia attiva degli oggetti-scarti, dei poveri, dei disadattati.In altre parole, nellesperienza di Cristo egli trova qualcosa che gli parla della

  • sua verit pi intima, del suo essere stato un oggetto-scarto nel desideriodellAltro, un oggetto inmo, senza diritti, ma vi trova anche la forza peroperare un rovesciamento di questa condizione di marginalit in una condizionedi attivit, in una pratica, in una vocazione che lo muove, grazie a questaprossimit a Cristo, verso i pi bisognosi dando cos un mandato alla propriaesistenza. Per questa ragione egli fa sue le parole dei Vangeli secondo le qualisolo ai poveri e agli oesi data la possibilit di unautentica comunione conCristo. In queste parole egli pu trovare unesperienza dello scarto comeesperienza che attribuisce una signicazione alla sua posizione esistenziale diessere stato loggetto-scarto nel desiderio dellAltro. Per questa ragione egli visi immerger con un entusiasmo al limite del fanatismo. La scelta di condividerela fatica e gli stenti degli uomini delle miniere del Borinage, di vivere senzaniente, facendo a meno di tutti i comfort della vita borghese, si inserisce inquesto contesto. Egli vive come i minatori del Borinage perch si sente o, piradicalmente, egli stesso un minatore. La vita dei minatori , infatti, una vitasotterranea, staccata dal resto del mondo, la vita di chi si trova estraneo acasa propria, senza diritti e senza identit. La luce del giorno non fatta perloro, essi non vivono tra gli altri esseri umani, non abitano sulla scena delmondo. Van Gogh li assimila a quei marinai che, pur conoscendo le insidie delmare, sanno bene che, una volta raggiunta la terra ferma, non desidererannoaltro che ritornare sulle acque tempestose. I minatori, allo stesso modo, purconoscendo benissimo i pericoli insiti nellabitare le viscere della terra, sannoaltrettanto bene che, non essendoci posto per loro sulla scena del mondo, quellonelle viscere della terra il solo luogo dove pu pulsare la vita (LT, 77).Il mondo dei minatori davvero in opposizione alla scena del mondo. Se con

    scena del mondo possiamo intendere la cornice della realt nella qualelessere umano abitualmente iscritto, il termine mondo implicherebbe unacaduta allesterno di questa scena, un venire meno del legame con una realtcollettivamente condivisa, uno smarrire il senso della cornice che d stabilit alquadro della realt, un perdersi, come si dice, nel proprio mondo.2Il mondo dei minatori appare, eettivamente, a Van Gogh come un mondo a

    parte, un mondo che lassenza di visibilit rende un universo separato, chiuso,senza comunicazione con il mondo condiviso dagli altri esseri umani. Van Gogh un minatore perch anche lui vive nel suo mondo in opposizione alla scena delmondo. Come i minatori, vive lontano dalla luce del sole, perso nelle viscere

  • della terra, sprofondato nel suo ventre molle. Vive nella pi totale povert,coperto di stracci, sbandato, straniero sulla terra. Si sente come un animaleprivato della luce. Van Gogh vuole essere un minatore tra i minatori, vuoleconfondersi con quelli che il cristianesimo lo aiuta a riconoscere come i suoi verifratelli, vuole appartenere a questa comunit di esclusi, di esseri notturni eclandestini che vivono lontani dalla vita. Essere cristiano ed essere un minatorenon sono per Van Gogh identicazioni diverse. La razza dei minatori, scrive inuna lettera a Theo, la razza degli ultimi fra tutti, dei pi disprezzati (LT,92), ai quali Vincent sente di appartenere.La scelta per la povert si radicalizza in questa identicazione ai minatori

    come stranieri sulla faccia della terra, come esclusi dalla scena del mondo.Tuttavia, proprio in questa esperienza di rinuncia di se stessi, di perdita, dicrepuscolo della propria identit, che Van Gogh, grazie al cristianesimo, sembraritrovare, incluse in un discorso possibile, le marche primordiali della suamelanconia. La fede nel Dio cristiano d cittadinanza a coloro che sono privi diqualunque titolo, accoglie nella sua comunit gli scarti e i reietti, ore a chi haperduto ogni speranza una ducia nuova nellavvenire. Lamore innito di Diosupplisce ci che Vincent non ha mai ricevuto. La sua presenza ridona senso aun mondo che gliene appariva privo.Il riuto che le autorit religiose opposero alla sua domanda di essere

    riconosciuto come predicatore e i rimproveri istituzionali di cui fu oggetto anchedurante il suo soggiorno nel Borinage, a causa di un comportamento ritenutoeccessivamente zelante (trascurava il suo abbigliamento, aveva donato tutti isuoi averi ai poveri, viveva stentatamente, non mostrava alcuna cura per la suapersona), ma, soprattutto, la spinta della pulsione sessuale che gli si imposecome unenergia vitale irrinunciabile, lo spinsero ad abbandonare la vocazionedi una vita religiosa:

    Quel dannato muro di Chiesa troppo freddo per me; ho bisogno di una donna; non posso, nondevo, non voglio vivere senza amore. Sono un uomo e come tale ho le mie passioni; devo andare dauna donna se non voglio diventare di ghiaccio o di pietra (LT, 112).

    Tuttavia, come vedremo fra poco, i contenuti di questa prima supplenza nonfurono semplicemente cancellati, ma si reintegrarono in quella successiva,ovvero nella supplenza artistica.

  • Per me, quel Dio degli uomini di Chiesa morto e sepolto. Ma sono forse ateo per questo? Gliuomini di Chiesa mi considerano tale ma io amo e come potrei provare ancora amore se nonvivessi e se gli altri non vivessero? E nella vita c sempre qualcosa di misterioso. Che vengachiamato Dio, o natura umana, o altro, cosa che non riesco a denire chiaramente, anche se mirendo conto che viva e reale, e che Dio un suo equivalente (LT, 114).

    La spinta mistica, la tensione verso linnito, verso lassoluto, non si esaurisceaatto con la caduta delle aspirazioni religiose. Anzi, per certi versi questacaduta nir per accentuare ulteriormente quella spinta. La dierenza cheessa non trover pi nella predicazione evangelica la sua traduzione soggettivaadeguata. Nel tempo del passaggio dalla supplenza del cristianesimo a quellaartistica sar