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Indice 1) Introduzione pag 2 2) La Concertazione pag 6 2.1 Il quadro teorico pag 6 2.2 Un termine, due modelli pag 29 2.3 La sussidiarietà pag 37

2.4 La bilateralità pag 54

3) Le Casse Edili pag 66 3.1 La storia pag 66 3.2 Il presente pag 74

3.2.1 La struttura pag 76 3.2.2 Le funzioni assolte pag 79

3.3 Il futuro pag 85

3.3.1 La qualificazione delle imprese pag 91 3.3.2 La previdenza integrativa pag 99

3.3.3 Il controllo interno del mercato del lavoro pag 110

4) Conclusioni pag 121

5) Appendice pag 132

5.1 prestazioni individuali /contrattuali pag 132 5.2 prestazioni collettive/contrattuali pag 136 5.3 prestazioni individuali/contrattuali pag141

6) Bibliografia pag 143

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1.Introduzione

Le Casse Edili sono ormai strumenti contrattuali collaudati, da

almeno trent’anni ve ne è una per ogni provincia italiana. Grazie ad

esse trovano attuazione istituti contrattuali concreti, che permettono ai

lavoratori edili di non essere discriminati economicamente e

contrattualmente rispetto agli addetti degli altri comparti produttivi.

Quello edile è infatti un settore particolare per caratteristiche

produttive e struttura occupazionale; caratterizzato da una elevata

frammentazione delle unità produttive, da una forte e tendenziale

crescita del lavoro autonomo, dalla discontinuità dei rapporti di lavoro

e da alta specializzazione delle imprese.

Proprio per queste caratteristiche, le Casse Edili rivestono nelle

strategie contrattuali un carattere insostituibile e prioritario poiché

sono ritenute idonee a soddisfare da un lato le esigenze economiche e

sociali dei lavoratori, e dall’altro consentono alle imprese una garanzia

di equilibrio finanziario attraverso una omogeneizzazione dei costi

nelle forme mutualizzate delle Casse Edili.

Negli ultimi seminari e convegni, al centro della riflessione dei

rappresentanti delle parti sociali non è più stato posto il quesito

inerente il mantenimento in vita delle Casse. Si sta invece discutendo

molto sugli obiettivi concreti e più attuali del governo del settore

attraverso questo sistema ramificato e capillare di enti.

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E’ il superamento della vecchia concezione assistenziale per

cui le Casse Edili sono viste come strumenti erogatori di prestazioni

basate su diritti dovuti e codificati, e non invece come assistenze

conferire in relazione all’esistenza, alla consistenza e al finanziamento

di fondi accantonati. In quest’ottica si stanno individuando ipotesi

d’interventi gestionali in grado di soddisfare gli interessi concreti della

categoria.

Il sistema delle Casse Edili si sta muovendo infatti da un

presente caratterizzato da una funzione mutualistica ed assistenziale

ad un futuro che lascia ben sperare per la partecipazione effettiva dei

lavoratori al settore. L’individuazione di nuovi interventi gestionali

sembra infatti varcare la soglia del solo rapporto di lavoro, arrivando a

concepire interventi prima di questo (formazione e gestione dei servizi

all’impiego) e dopo di questo (sviluppo della previdenza integrativa).

Questo mutamento di prospettive è stato senz’ombra di dubbio

determinato dal convergere, a partire dagli anni novanta, di nuovi

interessi sulla scena politica e sindacale italiana, riguardante le

esperienze di concertazione sociale che a partire da tale decennio sono

state attuate.

Possono così essere rintracciati all’interno dell’esperienza delle

Casse Edili i tratti distintivi di un metodo, quello della concertazione

sociale, che presuppone un alto livello di accordo tra le controparti

sociali, riguardante l’analisi e la risoluzione di problematiche

considerate di interesse comune, l’assunzione di vincoli concordati di

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varia natura, in vista di un fine di natura più generale ed un intervento

di tipo preventivo, che tocca in primo luogo la sede decisionale e solo

in seguito le sedi di monitoraggio e gli eventuali correttivi, piuttosto

che un intervento a posteriori dei processi decisionali.

Il sistema delle Casse Edili é così un ente di natura sindacale

che esercita le sue attività tra interessi differenti destinati ad

armonizzarsi per soddisfare determinati fini sociali dei lavoratori e

specifiche esigenze di servizi alle imprese.

Si tratta di una modalità concertativa per organizzare al meglio

le relazioni industriali in una realtà industriale composita ed irta di

conflitti, resi meno acuti proprio dall’adozione di enti specifici a

gestione paritetica e congiunta tra le parti sociali quali le Casse Edili.

Per questo motivo altri settori produttivi, con caratteristiche più o

meno similari a quelle del comparto edile (artigianato, commercio e

turismo), si stanno avviando ad utilizzare nelle gestione delle loro

relazioni industriali sistemi analoghi.

Dimostreremo così come il sistema delle Casse Edili possa

prefigurare un modello di gestione delle relazioni industriali efficiente

e funzionale, che ha ben assolto tutte le funzioni assistenziali ad esso

demandate e che è suscettibile di molte interessanti direttrici di

sviluppo, non sempre percorse e sfruttate appieno dalle parti sociali.

Per fare ciò introdurremo anzitutto un quadro teorico di

riferimento utile per l’analisi del sistema delle Casse Edili inteso come

un modello di concertazione sociale; ci avvarremo poi di una breve

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analisi storica riguardante la nascita di questi istituti; passeremo in

seguito ad un’analisi delle modalità di gestione del sistema delle Casse

Edili e delle prestazioni erogate attualmente; arriveremo infine alla

descrizione dei più recenti sviluppi in cui il sistema è incorso per

trarre delle conclusioni, certamente non definitive, relative all’effettiva

validità del modello descritto ed alla sua esportabilità in altri settori

produttivi ed in altri contesti internazionali.

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2. La concertazione

2.1 La concertazione sociale: il

quadro teorico Concertazione sociale, neocorporativismo, scambio politico,

sono tutti termini con i quali viene designato un metodo politico di

negoziazione triangolare tra Stato e Organizzazioni di interessi

collettivi1.

La presa d’atto della crescente potenza degli interessi

organizzati è all’origine di importanti filoni di pensiero

antiparlamentare2, sia da destra che da sinistra la rappresentanza di

interessi è sempre stata vista come una alternativa alla democrazia

parlamentare, ed i tentativi di fondare uno stato su basi corporative

sono ben noti alla recente storia europea (Germania, Spagna, Italia e

Grecia).

Va comunque fatto notare che tra il neo-corporativismo ed il

corporativismo pre-bellico vi è una immensa distanza: mentre il primo

è un progetto di rifondazione dello Stato con direzione ideologica di 1 G. Giugni, “Concertazione sociale e sistema politico in Italia”, Giornale e diritto del lavoro e di relazioni industriali, VII (1985), n°25.

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destra, il secondo rappresenta non una ideologia ma designa un

modello politologico, una prassi politica propria delle

socialdemocrazie nordeuropee e suscettibile di forte espansione in

tutto il resto del continente.

L’impiego del termine “neocorporativo” è quindi travisabile in

senso piuttosto improprio ed ideologico. Così come il termine di

“scambio politico”3, utilizzato soprattutto in Italia, descrive la realtà di

questa prassi considerandone però solo il contenuto e non i soggetti

coinvolti e le loro strategie nell’esplicarsi del rapporto. Sembra così

auspicabile utilizzare il termine ”concertazione sociale” per indicare

una prassi politica fatta di andamenti più o meno instabili,

comprendente anche l’uso del conflitto, e soprattutto priva di

connotazioni ideologiche.

Negli anni compresi tra il dopoguerra ed oggi, possiamo dunque

classificare i rapporti che intercorrono tra i vari governi in

rappresentanza dello Stato da un lato, e le varie organizzazioni di

interessi sociali dall’altro, ai fini della determinazione delle scelte

politiche da farsi, in tre modelli nettamente distinti4.

Le variabili di riferimento per questa classificazione sono due:

in primo luogo il ruolo del movimento sindacale nella formazione

della politica economica di uno Stato, in secondo luogo il grado di

2 L’incompatibilità teorica tra rappresentanza politica e rappresentanza d’interessi è argomentata da N. Bobbio ne: Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984. 3 Espressione elaborata da Pizzorno, “Scambio politico ed identità collettiva nel conflitto di classe”, in C. Crouch e A. Pizzorno (a cura di), Conflitti i Europa. Lotte di classe , sindacati e Stato dopo il ’68, Etas Libri, Milano, 1977. 4 M. Regini, “Le condizioni dello scambio politico. Nascita e declino della concertazione in Italia e Gran Bretagna”, Stato e Mercato, III (1983), n°9.

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centralizzazione/decentramento delle relazioni industriali e dei suoi

attori.

Riguardo la prima variabile, i governi possono operare nei

confronti del movimento sindacale o una strategia di esclusione nella

determinazione delle scelte di politica economica, o una strategia di

inclusione, oppure scegliere di lasciare alle dinamiche del mercato la

determinazione del peso e del ruolo del movimento sindacale.

La seconda variabile riguardante la

centralizzazione/decentramento delle relazioni industriali, mostra

come questa sia elevata nei paesi che adottano strategie di esclusione

(Italia e Francia) ed inclusione (Germania e Svezia) del movimento

sindacale, mentre il suo grado è basso lasciando la regolazione dei

rapporti di lavoro alla forza che le organizzazioni di interessi riescono

ad acquisire con la normale dialettica nel mercato del lavoro.

In base a queste due variabili possiamo così definire tre

“idelatipi” di rapporto che si vengono ad instaurare tra governi e

associazioni d’interessi.

Un primo “idealtipo” di rapporto è la Concertazione della

politica economica, in cui l’inclusione del movimento sindacale nella

formazione e nella gestione delle scelte si accompagna ad una elevata

centralizzazione della contrattazione politica e delle relazioni

industriali.

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Un secondo tipo di rapporto è l’isolamento politico,

caratterizzato dalla mancanza di decisioni congiunte tra governo e

parti sociali e la contrattazione salariale è relativamente centralizzata.

Il terzo ed ultimo “idealtipo” di rapporto è la frammentazione

pluralistica, in cui la contrattazione è decentrata al livello aziendale e

le relazioni industriali sono disgiunte dal sistema politico. Il

movimento sindacale partecipa alla formazione della politica

economica senza ricorrere alla mediazione politica e basandosi solo

sulla propria forza nel mercato del lavoro che rappresenta.

La concertazione sociale rappresenta dunque uno dei tre tipi

ideali di strutturare i rapporti fra governi ed interessi organizzati in

associazionismi. L’esperienza degli anni settanta ci fa pensare però

alla concertazione sociale più come ad un continuum che ad un tipo

ideale poiché i paesi cosiddetti neo-corporativi (Austria, Svezia,

Germania, Norvegia e Olanda) sono sembrati più attrezzati a

fronteggiare il periodo di crisi economica riuscendo a gestire meglio i

conseguenti problemi di governabilità. Tale relativo successo ha così

esteso a tutto l’orizzonte europeo l’interesse per le pratiche

concertative, facendolo diventare un modello consolidato di

formazione delle politiche economiche dei vari paesi.

Con il termine “concertazione sociale”5 si indica così un metodo

politico di decisione congiunta o di negoziazione trilaterale tra lo Stato

e le organizzazioni d’interessi: quest’ultime sono le rappresentanti dei

5 G. Giugni , “Concertazione sociale e sistema politico in Italia”, op. cit.

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lavoratori (le associazioni sindacali) e degli imprenditori (le

organizzazioni imprenditoriali). Un referente omogeneo per tutte le

esperienze concertative sta certamente nell’individuazione degli

obiettivi di stabilizzazione economica e sociale.

L’obiettivo consolidato delle politiche di concertazione sociale

è infatti la realizzazione di una fase di stabilità economica6, ottenuta

attraverso un’azione consensuale di tutti gli attori sociali coinvolti,

diretta all’eliminazione di fenomeni economicamente negativi quali

l’inflazione, la recessione economica e la disoccupazione. Gli

strumenti utilizzati per conseguire tali obiettivi sono riconducibili alle

manovre di politica dei redditi, quindi si tratta di un accordo

preventivo di politiche di moderazione salariale in funzione di una

conseguente moderazione inflattiva.

Logicamente un’azione concertata nella definizione di obiettivi

comuni prevede una attenuazione della conflittualità sociale. Di fatto

la pratica della concertazione sociale prevede che i tre attori (Stato,

movimento sindacale ed organizzazione imprenditoriali) individuino

di comune accordo degli obiettivi di politica economica desiderabili

per tutti e si impegnino, mediante l’adozione di vincoli concordati, a

perseguire tali obiettivi.

La concertazione sociale come si è delineata in Europa a livello

macroeconomico è innanzitutto a forte carattere politico7, non tanto

per la presenza dei governi nelle trattative formalmente trilaterali, 6 G. Baglioni, Democrazia impossibile? Il cammino e i problemi della partecipazione nell’impresa, Il Mulino, Bologna, 1995.

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quanto per i contenuti di scambio di legittimazione tra governo e parti

sociali (che sarà più dettagliatamente in seguito). La concertazione

sociale così intesa si presenta altamente centralizzata non solo perché

di rilevanza nazionale, ma proprio perché diventa il centro di

riferimento per l’intero sistema di relazioni industriali.

Proprio per questo è tendenzialmente istituzionalizzata, tant’è

vero che si cerca di tradurla in accordi formali e con cadenza

periodica. Inoltre i problemi vengono individuati in modo aggregato

ed onnicomprensivo, e le soluzioni vengono a delinearsi nello stesso

modo; va inoltre notato che le politiche di concertazione sociale si

sono realizzate nell’orizzonte europeo soprattutto in quei paesi in cui i

governi sono orientati ad una politica pro-labour e di fatto in rapporto

privilegiato con il movimento sindacale.

Gli attori del mercato economico, Stato ed organizzazioni di

interessi, possono instaurare all’interno del sistema di relazioni

industriali due metodi di confronto, due differenti tipi di rapporto

socio-economico.

Il primo metodo, quello della contrattazione8, prevede una

differenziazione funzionale nei ruoli delle parti sociali ed ogni attore

coinvolto nel rapporto cerca di massimizzare i propri interessi e ad

arrivare poi ad un accordi di sintesi che rappresenta il compromesso

fra questi, ma non tiene conto degli interessi più generali.

7 M. Regini, “Dallo scambio politico centralizzato alla micro-concertazione”, Politica ed economia, XX (1989) n°12. 8 G. Baglioni, Democrazia impossibile?, op. cit.

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Il secondo metodo, la pratica della concertazione (formale ed

informale) richiede un accordo preventivo su obiettivi, vincoli e

modalità condivisi per il loro raggiungimento; ed un comportamento

degli attori sociali coerente con quanto stabilito.

Di fatto il grado di stabilità degli accordi concertativi è

connesso alla coerenza manifesta nel comportamento dei tre attori

della concertazione: Stato, organizzazioni imprenditoriali ed

associazioni sindacali. Così per analizzare una relazione di tipo

concertativo e delinearne una teoria genetica, è necessario far ricorso

ad una analisi costi/benefici di ogni singolo attore9.

In gran parte della letteratura riguardante le politiche

concertative è riconosciuto allo Stato il ruolo di promotore, di

soggetto che assume l’iniziativa rispetto alle organizzazioni di

interessi10.

Le trasformazioni delle suddette organizzazioni di interessi

sarebbero infatti indotte dall’attore pubblico al fine di consentire un

mutamento del ruolo da rappresentanti di interessi specifici ed agenti

di mobilitazione a partner dei governi nei processi decisionali di tipo

cooperativo. Questa delega di funzioni pubbliche e di partecipazione

alla formazione delle scelte politiche si spiega con l’esigenza che i

governi hanno di rispondere ai problemi che si pongono nei paesi a

capitalismo maturo11.

9 M. Regini, “Le condizioni dello scambio politico”, op. cit. 10 Di fatto il ruolo dello Stato non è sempre così determinante, in particolare nei paesi a forte sindacalizzazione come la Svezia, in cui la lunga esperienza di concertazione sociale ha dato alle controparti una forte autonomia decisionale. 11 G. Giugni, “Concertazione sociale”, op. cit.

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Di fatto l’attore pubblico è spinto alle pratiche di concertazione

sociale poiché, data l’impossibilità di evitare il manifestarsi del

conflitto per mezzo della repressione sindacale, viene avvertita

l’esigenza di regolarlo trasferendolo nell’arena politica. Lo Stato può

così concedere poteri e benefici alle organizzazioni d’interessi in

cambio di una moderazione dei loro rapporti conflittuali.

Inoltre, data la complessità sociale in costante aumento, la

crescita delle domande allo Stato da parte dei gruppi organizzati porta

i governi ad un sovraccarico d’impegni e quindi ad una crisi di

governabilità. Alcuni governi reagirebbero allora cercando di

incorporare i gruppi più potenti e rappresentativi nella formazione

delle scelte politiche così da indurli a non esercitare ex-post i loro

poteri di veto12.

Infine con la crisi della stato sociale che comincia a delinearsi

già dagli anni settanta, i governi sono stati indotti ad esercitare un

ruolo sempre più direttivo, sempre più tempestivo e ad assumere

scelte sovente impopolari che hanno trovato attuazione in manovre

finanziarie di tipo restrittivo, volte a ridurre il debito pubblico

contratto dall’organismo statale.

Tuttavia i governi espressi dai regimi democratici sono

strutturalmente e operativamente troppo deboli per svolgere questo

ruolo in maniera autonoma e cercano pertanto di coinvolgere nella

gestione dell’economia le grandi organizzazioni di interessi.

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Se è vero che quasi tutte le esperienze concertative si sono

verificate quando al governo erano presenti partiti politici pro-labour,

è pur vero che nei paesi dalle forti tradizioni concertative (Austria,

Svizzera, Svezia e Germania) anche i cambiamenti al vertice del

governo non hanno significativamente incrinato le pratiche

consolidate di concertazione sociale. Di contro vi sono stati invece

governi esplicitamente pro-labour (Francia e Grecia) che non hanno

avuto alcun interesse a promuovere pratiche di concertazione sociale

con le organizzazioni di interessi.

Più che il colore politico dei governi, la propensione di questi

ultimi ad accettare politiche di tipo concertativo sembra strettamente

correlata al loro grado intrinseco di debolezza13. La contropartita in

termini di scambio per l’attore pubblico è infatti rappresentata da un

esponenziale aumento della stabilità politica e da un

ridimensionamento dalle posizioni conflittuali degli attori sociali.

Ad incoraggiare le politiche concertative saranno così più

propensi quei governi che avranno negli apparati legislativi delle

maggioranze risicate, oppure dei governi di coalizione fortemente

instabili. In queste situazioni politiche il terzo attore (lo Stato) ha una

discrezionalità ed una autonomia di scelta piuttosto limitate e lo

sviluppo delle pratiche di concertazione sociale rappresenta uno

12 Il fenomeno della concertazione sociale non va però concettualizzato come una strategia di dominio in quanto, come vedremo in seguito, è presente una forte dose di discrezionalità anche negli altri attori della concertazione sociale: le controparti. 13 G. Giugni, op. cit.

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strumento per allargare ulteriormente la rete di responsabilità, il

consenso e l’adesione alle scelte politiche.

La concertazione sociale fornisce pertanto un surplus di

consenso alle scelte maturate dal governo e di riflesso una maggiore

legittimazione politica che prescinde dal canale elettorale.

Se uno dei fattori che spiega la diffusione degli assetti

concertativi è riconducibile all’interesse ed all’iniziativa dello Stato,

va però detto che le differenti esperienze di concertazione e soprattutto

il loro diverso grado di stabilità non possono prescindere da una

analisi delle strategie delle organizzazioni d’interessi14. Cosa induce in

effetti queste ad accettare un assetto concertativo?

Nell’entrare in un rapporto di scambio ciascuna organizzazione

cercherà da un lato di perseguire i propri obiettivi mentre dall’altro

sarà indotta ad interiorizzare alcuni vincoli generali e sistemici. In

quali condizioni dunque esse riterranno i vantaggi derivanti dalla

concertazione sociale maggiori dei costi dovuti alla limitazione di

autonomia nella loro azione sul mercato socio-economico?

Il rapporto tra Stato ed organizzazioni può essere ricondotto allo

schema di uno scambio politico basato su un’attribuzione reciproca di

forme diverse di potere politico, lo Stato devolve parte delle sue

autorità decisionali in materia di politica economica ai movimenti di

rappresentanza sindacale ed imprenditoriale che, entrando in tale

rapporto di scambio, determinano congiuntamente gli esiti della scelta

14 M. Regini, “Le condizioni dello scambio politico”, op. cit.

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e di conseguenza traggono vantaggio dalla redistribuzione di risorse

pubbliche ad essi più favorevole.

In cambio le organizzazioni di rappresentanza offrono allo Stato

un potere politico indiretto, garantendogli consenso e legittimazione a

governare di fronte ai lavoratori, al mondo imprenditoriale, e a tutti gli

altri soggetti economici da esse rappresentati.

Questo scambio, implicando vincoli nell’autonomia di ciascun

attore, limita di conseguenza il ventaglio di alternative possibili alle

proprie azioni. La decisione del movimento sindacale inteso nella

maniera più ampia possibile (lavoratori, imprese, attività esercenti

commercio, etc.) va dunque riferita e spiegata mediante un’analisi

costi/benefici15.

Uno dei vantaggi conseguibili mediante una politica di

concertazione sociale è, per le organizzazioni d’interessi, la

costruzione di un rapporto d’influenza privilegiato: si ha un accesso

istituzionalizzato alle decisioni dell’attore pubblico, formalizzate

conseguentemente in leggi, decreti ad altri provvedimenti legislativi

dello Stato; si ha inoltre una delega d’autorità presso la pubblica

amministrazione16, con conseguente attribuzione di funzioni pubbliche

in maniera sussidiaria.

15 Un’analisi dei costi e dei benefici comprende il delinearsi dei modelli di scelta razionale orientati all’utile maggiormente conseguibile in base ai comportamenti adottati, va però ribadito che le associazioni sindacali sono in primo luogo strutture politiche e che perciò non seguono sempre orientamenti determinati dalla razionalità ma anche e soprattutto dalla loro identità politica. 16 Questo è il problema principale che si pone nel raffronto tra prassi della concertazione sociale e corretto funzionamento della democrazia rappresentativa.

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Un secondo beneficio è il vantaggio riportato sulle altre

organizzazioni di rappresentanza degli interessi del lavoro e delle

imprese (in particolare le formazioni sindacali autonome). Di fatto

però, i benefici ottenibili dalle organizzazioni in generale e dal

movimento sindacale in particolare non sono solamente in termini di

potere per i loro rappresentanti; anzi questo potrebbe portare alla

formazione di un dissenso tra base e vertici dell’organizzazione.

Il vantaggio principale è invece la possibilità di modificare a

proprio favore i risultati dell’operare del mercato; uno scambio

politico è più attraente della semplice contrattazione se nei fatti il

movimento sindacale può ottenere più potere nel sistema politico che

nel sistema delle relazioni industriali. Inoltre può essere una strada

auspicabile anche per i lavoratori poiché lo Stato può essere une fonte

di benefici potenzialmente più rilevante del sistema economico in

generale e delle imprese in particolare.

Questa redistribuzione può essere operata mediante una serie di

riforme sociali concordate oppure per mezzo di misure fiscali mirate

che possano offrire ai redditi dei lavoratori un sostegno maggiore

rispetto agli aumenti salariali; efficace può risultare anche il tentativo

di indirizzare cospique risorse dello Stato in investimenti industriali ed

infrastrutturali in aree o settori determinati, oppure lo sviluppo di

pratiche a sostegno dell’occupazione mediante agevolazioni

economiche, legislative e contrattuali.

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Infine, in caso di una situazione economica di crisi, può essere

rischioso per i movimenti sindacali il pieno uso del proprio potere

contrattuale, poiché alla lunga il perdurare di una fase conflittuale

all’interno di un sistema in crisi può peggiorare la situazione

economica più generale e ridurre la competitività dell’intero apparato

produttivo17.

Lo scambio politico è così un’alternativa desiderabile poiché il

sottoutilizzo della forza contrattuale, che potrebbe creare un forte

dissenso nella base rappresentata, verrebbe compensato

dall’acquisizione di alcune risorse che lo Stato potrebbe offrire in

maniera indiretta e indifferenziata, a beneficio di tutto il sistema

economico.

D’altra parte i costi che un’organizzazione sindacale dovesse

affrontare nell’intrapresa di una concertazione sociale, sono impliciti

nella limitazione del suo potere contrattuale. Questi vincoli rischiano

infatti di sottoporre il movimento sindacale a forti tensioni con la

propria base di rappresentanza. I costi che dunque il sindacato si

troverebbe a pagare sono riconducibili soprattutto alla percepita

perdita di lealtà da parte degli iscritti rappresentanti la base e alla

perdita del monopolio di rappresentanza a favore di altri sindacati.

Questi rischi possono però essere limitati se in sindacato possiede gli

strumenti idonei per controllare tali crisi di rappresentanza.

17 G. Baglioni, op. cit.. la scelta di iniziare una pratica di concertazione sociale va infatti riferita non solo ad una analisi costi benefici, ma anche alla necessità oggettive che sii pongono in determinati periodi nella sfera economica, la scelta non è sempre libera ma implica la dimensione della necessità.

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Una delle variabili da tenere in considerazione per affrontare

questo problema è il livello di accentramento dell’organizzazione di

interessi generalmente intesa: più i processi decisionali sono distanti

ed isolati dalla base e più è facile che il dissenso non si manifesti

apertamente.

Utile al controllo del dissenso è anche l’uso dell’ideologia come

incentivo di identità, che può rivelarsi molto efficace a favorire la

concertazione con obiettivi di lungo periodo. Da ultimo la capacità

dell’organizzazione di aggregare nella sua rappresentanza una

pluralità di interessi frammentati che consenta di poter assumere una

posizione oligopolistica nella contrattazione con i vari governi.

L’aver stabilito che la scelta di concertare è deliberata in

funzione di una analisi costi/benefici ci permette di affermare che

qualsiasi attore sarà tentato di ritirarsi da questo rapporto se i termini

dello scambio non risulteranno essere paganti.

Il grado di stabilità della concertazione è così determinato sia

dall’interesse che i singoli attori nutrono per uno scambio politico di

lungo periodo18, sia dalla capacità che essi hanno di seguire una tale

logica d’azione.

Di fatto gli attori della concertazione sociale in generale e le

organizzazioni d’interessi in particolare devono essere capaci di

imporre dei limiti alla soddisfazione immediata della pluralità di

domande sociali che essi rappresentano. Gli strumenti utili a tal fine

18 G. Baglioni, “Il destino delle pratiche concertative”, Politica Economica, XX (1989), n°12.

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sono quelli già precedentemente descritti: accentramento

organizzativo, ideologia e monopolio della rappresentanza.

Se dal punto di vista economico i risultati della concertazione

sociale sono tangibili e spesso di segno positivo (denota quindi delle

buone qualità nella pratica) in via di principio le pratiche concertative

mostrano qualità considerate polito logicamente cattive19.

La democrazia politica si esprime infatti mediante le istituzioni

della democrazia rappresentativa20, che viene trasmessa dal popolo

mediante l’azione di voto e legittima pertanto i votati ad assumere le

decisioni.

La concertazione sociale, di fatto, introduce nell’arena politica

altri attori che partecipano alla formazione delle decisioni politiche

senza una designazione elettorale. Mediante le pratiche di

concertazione sociale lo Stato cede, come abbiamo detto prima, parte

della sua autorità sugli interventi redistributivi, a favore di gruppi

d’interessi organizzati, ed escludendone altri.

L’attore pubblico che attiva e conduce le politiche concertative

è spesso il governo, ed assume impegni al di fuori dei suoi

interlocutori istituzionali (Parlamento o Presidente), cercando un

consenso ulteriore al di fuori della legittimazione elettorale.

L’esecutivo utilizza certo un dislocamento funzionale di autorità

concessogli mediante delega dal parlamento21, ma questo

19 G. Baglioni, “Democrazia impossibile?”, op. cit. 20 G. Sartori, “Democrazia. Cos’è”, Rizzoli, Milano, 1993. 21 G.E. Rusconi, “Asimmetria delle rappresentanze e delle decisioni politiche”, Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, VIII (1986), n°30.

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dislocamento gli è riconosciuto in forza dei programmi politici

maturati durante la campagna elettorale.

Tramite gli accordi concertativi possono così partecipare alle

decisioni politiche anche i cittadini che non hanno espresso la

maggioranza politica ed alterano pertanto il principio fondamentale

della democrazia rappresentativa, poiché possiedono due voci per

esprimere la loro volontà politica: quella del voto elettorale e quella

del gruppo organizzato all’interno della concertazione sociale.

Resta comunque nei fatti che la pratica della concertazione

sociale è accompagnata da istituzioni e pratiche collaborative in altre

sedi, con forme trilaterali a livello territoriale e con forme di

partecipazione istituzionale a livello d’impresa. Empiricamente, nei

paesi dalle tradizioni concertative salde, si è verificata maggiore

stabilità economica, è aumentato il grado di coesione sociale e si è

determinata una dinamica dei processi redistributivi più ampia22.

La concertazione sociale rende infatti partecipi della politica

economica i due gruppi oggettivamente più importanti e

rappresentativi, che assumono vincoli e limiti in vista di un fine di

interesse più generale. Risultando questi vincoli una certezza per gli

operatori economici (nazionale ed internazionali) poiché riguardano

gli indicatori essenziali dell’andamento economico (inflazione, tassi

d’interesse e dinamica dei prezzi e dei consumi), ciò rappresenta

senz’ombra di dubbio un riequilibrio significativo all’incompatibilità

22 M. Albert, Capitalismo contro Capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1993.

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concettuale tra i processi di concertazione sociale ed il corretto

funzionamento della democrazia politica.

Si tratta di un atteggiamento di constatata pragmaticità rispetto

un risultato positivo e tangibile a fronte di una deriva teorica di un

sistema politologico perfetto, è l’inconciliabile differenza tra la

“teoria” e la “pratica” intese in senso lato.

Il percorso storico della concertazione macroeconomica è però

stato spesso discontinuo e frammentato sia per il variare dei contesti

nazionali, sia per il mutare dei cicli economici. Negli anni ottanta vi è

stata a livello europeo una generale perdita d’interesse per le

esperienze concertative: le cause sono ravvisabili nelle mutate

convenienze di ciascuno dei soggetti della concertazione.

I governi hanno meno bisogno del consenso del movimento

sindacale che, fortemente indebolito per il continuo esodo degli

iscritti, è indotto per esigenze di salvaguardia del consenso a

perseguire priorità diverse.

Molte imprese tendono invece ad attribuire minore importanza

alle dinamiche salariali a livello aggregato, rispetto alla possibilità di

utilizzare in modo più flessibile la manodopera interna.

Molti sindacati individuano inoltre le cause dei loro problemi di

rappresentanza nell’eccessivo distacco dai luoghi di lavoro che le

esperienze di concertazione centralizzata comportano. Per tutti questi

motivi gli attori possono essere indotti a non considerare la strada

della concertazione sociale su scala macroeconomica.

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Tuttavia, al di la di queste cause contingenti, vi sono due cause

di ordine strutturale23 che ne rendono improbabile la resurrezione,

almeno nelle modalità in cui le pratiche concertative si sono delineate

negli anni settanta. Da un lato la crescente diversificazione del sistema

delle relazioni industriali, sia per le imprese che per il movimento

sociale, che corrisponde ad una più elevata diversificazione del tessuto

produttivo. Dall’altro l’emergere dei temi della flessibilità, divenuti

centrali sia per le imprese che per il sindacato che, soppiantando

addirittura la contrattazione del salario e del costo del lavoro, fanno

crescere l’importanza delle relazioni di lavoro a livello d’impresa e di

area territoriale rispetto a quello politico centralizzato.

Dal predominio assoluto della produzione Fordista, basata sulla

produzione di massa di beni standard e sulle economie di scala, si è

passati ad una crescente diversificazione dei modi di produzione

mediante i sistemi di produzione definiti di specializzazione flessibile,

caratterizzati dal decentramento delle unità produttive, dalla

diversificazione dei prodotti e dall’accorciamento del loro tempo di

vita, dall’introduzione di nuovi macchinari ad uso flessibile, dalla

segmentazione dei mercati, dalla divisionalizzazione delle grandi

imprese e dalla riunificazione di quelle più piccole in distretti

industriali dotati di servizi collettivi.

Se il sistema fordista produceva regole per la disciplina della

produzione e dei rapporti di lavoro uniformi, ed i sistemi di relazioni

23 M. Regini, “Dallo scambio politico centralizzato alla micro-concertazione”, op. cit.

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industriali contrattavano queste regole; oggi vacillando questa

uniformità di regole, le nuove relazioni industriali sono tenute a

modificarsi a seconda dei contesti, diversificando a loro volta le

strategie d’impresa, che abbisogna sempre di meno di regole uniformi.

I fattori di diversificazione aumentano però anche per i vari

sindacati24: l’espansione del potere sindacale è infatti avvenuta in un

periodo di forte omogeneizzazione delle rivendicazioni sociali,

facilitate anche dallo sviluppo di sub-culture con forti identità

ideologiche e un profondo spirito d’identificazione. Era così facile per

il movimento sindacale rappresentare gli interessi in modo aggregato.

Oggi, a causa di una maggiore differenziazione del lavoro, non

solo riguardante le figure ad alta professionalità ed i ruoli puramente

esecutivi, ma anche gli stili di vita e le esigenze professionali che si

diversificano, cambia a sua volta il grado di centralità assegnato dai

lavoratori all’esperienza lavorativa. Cambiano di conseguenza le

funzioni assegnate da questi al movimento sindacale.

Inoltre la competitività dei nuovi paesi sul mercato

internazionale ha spinto tutto il vecchio continente a forti processi di

ristrutturazione industriale che hanno avuto come tematica centrale la

flessibilità del lavoro.

Dapprima indirizzatesi verso forme di flessibilità esterna e

numerica, quella delle eccedenze occupazionali, è poi emerso per le

imprese il problema della flessibilità interna, della qualità e della

24 A. Accorsero, “Discontinuità capitalistica e conseguenze sull’azione sindacale”, in M.Regini, “La sfida della flessibilità”, F. Angeli, Milano, 1988.

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professionalità da utilizzare flessibilmente nell’intero ciclo di

produzione. Sono proprio questi gli aspetti che si sono dimostrati

rilevanti nella recente contrattazione aziendale. La flessibilizzazione

dell’orario di lavoro, del resto, è un’esigenza sentita non solo dalle

imprese, ma desta un interesse crescente anche nei lavoratori25 ed il

movimento sindacale è spesso sottoposto a questa duplice pressione

per allentare regole ritenute troppo rigide.

Questo ha comportato una concertazione della regolazione del

lavoro a livello d’impresa e di area territoriale rispetto alle esperienze

centralizzate di concertazione sociale. Stanno così emergendo nuove

forme di concertazione sociale innovative e distinte dall’esperienza

maturata a livello macroeconomico.

Sempre più spesso il movimento sindacale è stato coinvolto

dalle aziende nelle scelte compiute a livello micro-aziendale e meso-

territoriale, e ciò ha portato ad una notevole, seppur informale,

ridefinizione dell’organizzazione del lavoro26: una vera e propria

gestione congiunta dei processi di riposizionamento industriale.

Qualificata come locale ed appartata, questa micro-

concertazione ha preso così piede in molte aziende italiane ed europee.

Molti dati mostrano infatti come alcune direzioni aziendali forniscono

regolarmente ai sindacati informazioni sulla loro situazione

economica ed occupazionale. Tali rappresentanze sindacali sono

inoltre spesso coinvolte nelle decisioni di questioni ricorrenti che

25 A. Accorsero, “Discontinuità capitalistica e conseguenze sull’azione sindacale”, op. cit. 26 M. Regini e C.F. Sabel, “Strategie di riaggiustamento industriale”, Il Mulino, Bologna, 1989.

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vanno dallo straordinario alle ferie, fino ad arrivare a problemi

d’innovazione tecnologico-organizzativa27. La ricerca di condizioni

comunemente più vantaggiose anziché unilaterali è dunque una realtà

piuttosto diffusa.

Nei fatti anche questa realtà può definirsi una prassi

concertativa poiché, anche senza nessuna firma o alcun accordo

formale, presuppone l’esistenza di obiettivi e vincoli condivisi. Le

istituzioni pubbliche anche se formalmente assenti, giocano un ruolo

di rilievo mediante un’azione indiretta di sostegno ed incubazione

(importanti sono infatti le risorse fornite dagli enti locali). Queste

forme di micro-comcertazione stanno attualmente diventando il centro

del sistema di relazioni industriali e sarebbe un errore tentare di

soffocare questo vivace e nascosto sistema.

Da qui parte della letteratura profetizza un forte declino della

concertazione macroeconomica, tuttavia gli eventi degli anni novanta

hanno dimostrato che anche le pratiche di macro-concertazione non

sono morte, ma sono tutt’ora in auge in molti paesi. Questa nuova

alternativa comincia ad apparire attraente anche per gli imprenditori

che dapprima hanno considerato la ristrutturazione come una fase

transitoria; vedono invece ora la necessità di operare riaggiusta menti

continui per adeguarsi alle turbolenze dei mercati28 non più stabili e

perfettamente prevedibili.

27 M. Regini, “Dallo scambio politico centralizzato alla microconcertazione”, op. cit. 28 M. Regini e C.F. Sabel, “Strategie di riaggiustamento industriale”, Il Mulino, Bologna, 1989.

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Risulta così conveniente alle imprese concertare le loro

politiche interne con i sindacati che impongono minori costi e vincoli

di un tempo e che legittimano le scelte imprenditoriali di fronte ai

lavoratori; centrale è diventata inoltre per lo sviluppo della “qualità

totale” proprio il consenso ed il coinvolgimento dei lavoratori nelle

scelte delle imprese.

Sono così molti i paesi che, sempre più convinti dell’efficacia

delle politiche di concertazione sociale di ordine macro-economico29,

si sono affidati a questa prassi (Olanda, Spagna, Irlanda ed Italia),

ricorrendo ad essa per la ricostruzione di un nuovo sistema di relazioni

industriali.

Funzionale a questa resurrezione è stato senz’altro il pressante

vincolo dell’Unione Europea che ha fornito una situazione di necessità

ai paesi aderenti, richiedendo la stabilità economica e monetaria come

parametri essenziali per l’adesione al Mercato Comune Europeo.

Il problema che si pone in questi paesi è quello di saper

coniugare l’efficacia della concertazione macroeconomica con le

esigenze provenienti dalle imprese disperse sul territorio30. Non

bisogna infatti subordinare il livello concertativo micro-economico a

quello macroeconomico e occorre evitare di dare alla contrattazione

aziendale o territoriale contenuti di tipo onnicomprensivo che non

tengano conto delle nuove esigenze di flessibilità e delle differenze

29Bisogna però richiamare l’attenzione sul binomio convenienza/necessità prima introdotto, poiché la costituzione dell’Unione Europea ha rappresentato per molti paesi un vincolo necessitante per il riaggiustamento della propria finanza pubblica. 30 M. Regini, “Dallo scambio politico centralizzato alla microconcertazione”, op. cit.

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territoriali e culturali, sostenendo le dinamiche spontanee delle forme

di micro e meso-concertazione.

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2.2. Una concertazione, due varianti

Delineato un quadro teorico utile al fenomeno che abbiamo

prima definito “concertazione sociale”, si possono ora analizzare più

compiutamente le differenti manifestazioni di questo fenomeno. Prima

ancora di classificare e catalogare le varie esperienze è necessario

delineare il contesto di riferimento e di applicazione della

concertazione sociale; ribadiremo dunque che la sede degli accordi di

concertazione è quella macroeconomica e politica anche se vi sono

esperienze in ambito più ristretto delle quali analizzeremo in seguito

una manifestazione sui generis.

L’elemento cruciale e costante di queste esperienze è

rappresentato, con fortune alterne, dalle politiche dei redditi e tali

esperienze possono essere ricondotte alla ricerca di una conciliazione

tra le esigenze di sostegno e di stabilità del sistema economico ed una

più equa ed efficace politica redistributiva nel sistema sociale.

Le esperienze di concertazione sociale cominciano a divenire

consistenti dal periodo di sviluppo economico che si verifica da

secondo dopoguerra agli inizi degli anni settanta, perdurando anche

con l’affermarsi delle crisi petrolifere e delle recessioni economiche

che caratterizzano tutti gli anni ottanta.

Certo sono rese più problematiche difficili per le condizioni

economiche di questo decennio, che richiedono invece politiche

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economiche di tipo restrittivo anche nei paesi caratterizzati da una

lunga tradizione collaborativa.

Attualmente gli accordi che sussistono sono dovuti più alla

necessità oggettiva di razionalizzazione economica e distributiva più

che alle convenienze degli attori coinvolti nello scambio, almeno in

un’ottica di breve periodo. Resta il fatto che tali esperienze di

concertazione sociale hanno toccato con più o meno forza gran parte

dell’occidente capitalistico, affacciandosi con poca fortuna anche nei

paesi di cultura anglo-americana.

La varietà e la molteplicità delle esperienze verificatesi non

consente di delimitare nettamente i confini del fenomeno

“concertazione sociale”, ne alcune forme compiutamente

classificabili. Le modalità della partecipazione dei grippi d’interessi

organizzati alle scelte della politica economica possono piuttosto

essere rappresentate come un vasto territorio all’interno del quale le

differenze emerse corrispondono piuttosto a varianti di una stessa

logica di regolazione d’interessi che a forme compiute e distanti.

All’interno di questo territorio possiamo così individuare due

tipi di varianti: da un lato una concertazione sociale di tipo bilaterale,

dall’altro una concertazione sociale triangolare.

Ribadendo che gli attori della concertazione sociale sono

sempre tre (Stato, associazioni sindacali e organizzazioni

imprenditoriali) possiamo descrivere la prima variante come una

esperienza di concertazione sociale in cui vi è una separazione

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piuttosto marcata tra l’azione sindacale nelle relazioni industriali e le

sue implicazioni politiche31; in questa variante non si ha un

coinvolgimento diretto del movimento sindacale nell’arena politica e

gli interventi dell’attore pubblico sono scarsi in tali relazioni; c’è un

rapporto privilegiato e primario dl movimento sindacale con il partito

amico a cui il primo concede una delega di rappresentanza di tipo

politico.

Le parti sociali costituite dai rappresentanti dei lavoratori e

degli imprenditori instaurano invece un rapporto di tipo bilaterale,

continuativo e stabile in cui i contenuti vengono negoziati di volta in

volta e le regole del gioco sono basate sulla distinzione funzionale

delle due controparti: alle associazioni sindacali spetta l’attenzione

primaria sugli obiettivi sociali di piena occupazione, sicurezza sociale

e politiche di solidarietà salariale, alle organizzazioni imprenditoriali è

demandato invece il corretto e pieno funzionamento della gestione

delle imprese.

Sia le une che le altre, all’interno di questo modello per come si

è storicamente affermato, hanno agito sempre in piena autonomia e

libertà senza interferenze da parte dei governi. Le varie agenzie di

mediazione o le commissioni speciali di mediazione nominate

dall’attore pubblico nei casi in cui le grandi organizzazioni d’interesse

sembrano trovare difficoltà nella conclusione delle trattative, sono

sempre state accettate come organi di collaborazione con la sola

31 G. Baglioni, “Democrazia impossibile?”, op. cit.

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funzione di assistere entrambe le controparti a risolvere i problemi più

difficili con la promozione di qualche compromesso e non con la

presenza di delegati governativi incaricati di far applicare la linea

dell’attore pubblico.

Queste forme di superamento del conflitto risultano funzionali

al fine di evitare che le trattative intraprese e le soluzioni individuate

danneggino terze parti o la società nel suo complesso. L’attore

pubblico in questa variante concertativa esercita così più un ruolo di

mediazione ed incubazione delle scelte maturate dagli altri attori

economici (sindacati ed imprenditori) che hanno sempre desiderato

agire in piena autonomia e libertà, ratificando le scelte maturate in

disegni legislativi, ed avendo quindi un ruolo piuttosto marginale nello

svolgimento delle trattative.

L’essenza ed il presupposto di questa variante sono molto legate

alla composizione ed all’orientamento politico del governo in carica;

questa variante si verifica esclusivamente con governi di orientamento

pro-labour poiché la delega funzionale di tipo politico è concessa dalle

organizzazioni sindacali all’attore pubblico in quanto i rappresentanti

del governo provengono in gran parte dalle fila delle associazioni

sindacali.

Si ha così una sorta di over-lapping tra l’attore sindacale e

l’attore politico istituzionale che consente l’istaurarsi di un rapporto di

scambio privilegiato, duraturo ed informale, basato sul vecchio

legame a cinghia di trasmissione tra movimento sindacale ed

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affiliazione politica. Ciò favorisce anche una certa uniformità

nell’interpretazione dei problemi, nella lettura dei dati e nello sviluppo

di strategie di problem-solving.

A questa variante è possibile ricondurre gran parte delle

esperienze di concertazione sociale verificatesi nelle socialdemocrazie

del nord Europa, in particolare quella svedese, che con a Norvegia e la

Danimarca va a costituire il cosiddetto “Modello scandinavo” delle

relazioni industriali; la Germania può essere ricondotta a questa

variante solo parzialmente, ovverosia nei periodi del sessantasette e

del sessantanove nei quali il governo era costituito da una coalizione

SPD-CDU.

Le connotazioni della seconda variante, sempre concettualizzate

all’interno del quadro teorico di “concertazione sociale” prima

tracciato, non sono antitetiche seppur difformi dalla pria variante.

Nella variante individuata come concertazione sociale triangolare si

verifica una crescente politicizzazione degli interessi dei gruppi

sociali32. Questo comporta un minore grado di autonomia nel sistema

delle relazioni industriali, compensato però dalla presenza diretta

dell’attore sindacale e della sua controparte imprenditoriale nel

sistema politico istituzionale.

Non esiste in questa variante una over-lapping di tipo univoco,

in quanto le rappresentanze degli imprenditori e dei lavoratori

32 G. Baglioni,”Democrazia impossibile?”, op.cit.

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vengono coinvolti, spesso per iniziativa dell’attore pubblico, in

rapporti trilaterali altamente formalizzate.

Riguardo questa variante triangolare il colore politico e la

composizione del governo in carica sono discriminanti meno rilevanti

per la genesi e l’esplicazione di un rapporto di tipo concertativo; di

fatto l’attore politico accetta di negoziare alcune decisioni di politica

economica con le organizzazioni di interessi in cambio di una loro

disponibilità a concordare una politica dei redditi in funzione di

obiettivi economici di ordine più generale33.

Va comunque ricordato che il presupposto di una conglobazione

nel sistema politico degli attori economici comporta per l’attore

pubblico in questione un surplus di consenso, complementare ed

aggiuntivo, alla legittimazione elettorale.

In questo caso la correlazione che si viene ad istaurare tra

sistema politico e sistema delle relazioni industriali è d’intensità molto

maggiore rispetto alla prima variante, e viene a cadere il forte legame,

presente nella variante bilaterale, tra movimento sindacale e

rappresentanza politica.

Va’ inoltre ribadito che la spiccata formalizzazione degli

accordi comporta per i due attori di mediazione d’interessi un sistema

di vincoli e di interdipendenze che prevedono anche un apparato

sanzionatorio per prevenire il mancato raggiungimento di un accordo.

33 AA.VV.,”Rapporto CESOS: le relazioni sindacali in Italia” ,Edizioni Lavoro, Roma, 1995

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La crescente politicizzazione dei gruppi di interessi organizzati,

lungi dall’essere identificata come un allontanamento dai luoghi di

produzione, va invece letta come una risposta alla generale perdita di

consenso a cui soprattutto il mondo sindacale va incontro, a causa

della crescente diversificazione delle esigenze di rappresentanza dei

lavoratori.

Risulta così più conveniente per un attore sindacale cercare

nell’arena politica i benefici che non si riesce a spuntare nell’arena

economica, soprattutto in merito a obiettivi di lungo periodo. Una

delle discriminanti a favore di questa variante è infatti l’assottigliarsi

delle risorse a disposizione dell’attore pubblico ed il prevalere di un

carattere di necessità piuttosto che di convenienza immediata.

Alla seconda variante di concertazione sociale possono essere

ricondotte esperienze meno uniformi che vanno dai paesi di lunga

tradizione collaborativi come l’Austria o l’Olanda, in cui il Welfare ha

un forte grado di espansione e di copertura sociale per far fronte alle

debolezze intrinseche alla società civile (differenze etniche o

religiose), a paesi in cui la politica dei redditi centralizzata è divenuta

la soluzione più idonea alle ricorrenti crisi valutarie ed alle difficili

situazioni economiche (Spagna ed Italia).

Proprio per questo motivo il percorso storico della

concertazione sociale sembra tendere favore della seconda variante,

date le persistenti recessioni economiche nelle quali anche i paesi

dalla consolidata stabilità monetaria sembrano incorrere e poiché,di

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fatto, i benefici ed i vantaggi conseguibili tendono costantemente a

ridursi.

Disposte le grandi linee di queste due varianti e fissatene le

caratteristiche, va comunque ribadito che le esperienze di

concertazione sociale, di qualunque variante esse facciano parte,

permeano tutte le istituzioni e la società intera del binomio

cooperazione/conflitto. Come abbiamo prima accennato, la

concertazione sociale crea un nuovo assetto di relazioni industriali.

Il cambiamento nel comportamento degli attori è percepibile

non tanto al livello centralizzato, il livello nel quale permangono i

giochi di convenienze politiche, quanto al livello decentrato, livello

nel quale si verificano più propriamente le esperienze sul campo ed in

cui hanno applicazione e verifica le direttive maturate concettualmente

al livello centralizzato.

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2.3 La sussidiarietà

Il termine “sussidiarietà”34 deriva dal latino subsidium ferre che

significa prestare aiuto, offrire protezione35. La sussidiarietà è

sconosciuta come idea e persino come vocabolo fino a circa la metà

del secolo negli ordinamenti giuridici nazionali trova le sue prime

formulazioni nell’ordinamento canonico.

Nella Enciclica Quadrigesimo Anno Pio XI, evidenziando la

funzione sussidiaria dei poteri pubblici rispetto alle formazioni sociali

naturali, ne elabora una definizione ormai classica per cui:

“…Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono

compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità,

così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società, quello che

dalle minori ed inferiori comunità si può fare…, perché l’oggetto

naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare

34 Fra gli scritti più recenti che si dedicano allo studio del principio di sussidiarietà orizzontale si vedano P.DURET, La sussidiarietà orizzontale: le radici e le suggestioni di un concetto in Yus, 2000; A.D’ANDREA, La prospettiva della costituzione italiana ed il principio di sussidiarietà ,in Yus, 2000; L.ANTONINI, Il principio di sussidiarietà orizzontale: da welfare state a welfare society, in Riv.dir.finscienza fin 2000; T.E.FROSONI, Profili costituzionali della sussidiarietà in senso orizzontale, in Riv.giur.mezz. ,2000; U.RESCIGNO, Principio di sussidiarietà e diritti sociali, in Dir.Pubb.2002. 35 Nel Lexicon Totius Latinitatis per subsidium si intende un aiuto tenuto in riserva offerto solo in caso di necessità quando coloro che hanno l’obbligo di adempiere ad un dovere non sono in grado di farvi fronte. Il termine sussidiarietà porta con sé due implicazioni abbastanza diverse, rintracciabili nella sua etimologia latina: il primo significato della parola sussidiario evoca l’idea di suppletivo, di secondario, di meno importante. E’ ad esempio il nome che veniva dato nella terminologia militare romana alle truppe di riserva che rimanevano in seconda linea al fronte, pronte ad intervenire in aiuto delle coorti che combattevano in prima linea. Il suo secondo significato evoca l’idea di soccorso ( sussidio) ed implica un’idea di intervento. Si tratta di misurare non tanto se l’autorità ha il diritto di intervenire, ma piuttosto se non ne ha il dovere.

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in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già

distruggerle ed assorbirle…”

Il principio si compone quindi di due aspetti: sancisce il

carattere sussidiario delle strutture religiose rispetto a quelle laiche e

dei pubblici poteri rispetto all’attività delle formazioni sociali naturali.

Dal diritto canonico il principio penetra nel diritto statale36

secondo il processo antico e singolare postulato da Le Bras delle

“origines canoniques du droit administratif”.

La sussidiarietà può essere definita come “orizzontale” e

“verticale”, sotto il profilo più strettamente giuridico che qui

maggiormente interessa due sono i significati del concetto in esame: la

sussidiarietà “orizzontale” è il paradigma ordinatore dei rapporti tra lo

Stato, le formazioni sociali e gli individui; la sussidiarietà “verticale”

ripropone un criterio di distribuzione delle competenze tra lo Stato e le

autonomie locali.

Agli enti territoriali vanno lasciate non solo le competenze

giuridiche o i diritti di iniziativa ma anche i mezzi finanziari ed

amministrativi necessari all’organizzazione ed all’esercizio concreto

di questa facoltà.

Al principio federale tradizionale il principio di sussidiarietà

verticale aggiunge un elemento importante, costituito dalla necessità

di giustificare l’esercizio, da parte del livello di governo superiore,

36 Aderiscono a questa ricostruzione delle origini del principio di sussidiarietà tra i più importanti: R.HOFMANN, Il principio di sussidiarietà .L’attuale significato nel diritto costituzionale tedesco ed il possibile ruolo nell’ordinamento dell’Unione Europea, in Riv.Ital.Dir.Pubbl.Comunitario, 1993.

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delle competenze attribuite per costituzione sulla base di accertate

inadeguatezze del livello di governo inferiore.

Ma a chi spetta l’onere di fornire la prova di tali

inadeguatezze?37 Nell’ordinamento comunitario dove il principio di

“sussidiarietà” è espressamente enunciato all’art.3 b del Trattato di

Maastricht si è cercato di elaborare criteri specifici e sufficientemente

precisi che ne consentano la verifica in sede giudiziale38.

La giustiziabilità è stata comunque fino a questo momento

praticamente inesistente in virtù della presunta bontà degli interventi

dello Stato. Un passo in avanti sotto questo profilo è stato fatto con il

Trattato di Amsterdam che ha tra i suoi allegati un documento che

elabora dei criteri in base ai quali valutare gli interventi legislativi per

sottoporli a controlli anche giurisdizionali.

37 Vale qui la pena ricordare che l’art.123 della Costituzione, così come novellato per effetto della consultazione referendaria del 7 ottobre 2001 è diretto alla creazione di un Consiglio regionale finalizzato ad un miglior raccordo tra gli enti interessati allo svolgimento delle funzioni amministrative secondo la nuova impostazione dell’art.118 della Costituzione che promuove e favorisce l’ingresso delle Autonomie sociali. 38 Nei settori in cui non vengono espressamente elencate le competenze della comunità e degli stati e dove, di conseguenza in base all’art.3B del Trattato di Maastricht si applica rigidamente il principio di sussidiarietà vengono elaborati criteri di ripartizione delle competenze. I criteri elaborati a livello comunitario si possono classificare secondo due gruppi:quelli che possono servire a decidere se l’azione della comunità è veramente necessaria; quelli che possono contribuire a definire l’incisività dell’azione dal momento che la comunità si è dichiarata competente.Nel primo gruppo viene inserito il c.d.test di efficacia comparata.Questo test si basa su diversi fattori: l’effetto scala, il costo dell’inazione, la necessità di mantenere una ragionevole coerenza, i limiti di un’azione isolata da parte di uno stato membro, la necessità di rispettare la norma sulla libera concorrenza. Il test deve evidenziare il vantaggio supplementare che potrebbe risultare dall’intervento comunitario. Dal punto di vista dell’incisività dell’azione comunitaria, per la quale deve prevalere l’idea di proporzionalità i criteri sono i seguenti: ad uguale efficacia, bisogna preferire l’intervento che lascia più libertà; bisogna evitare che un’azione giudicata indispensabile si traduca in un eccesso di regolamentazione;bisogna privilegiare la concisione a livello di testi scritti. Europe documents n.1804/1805 del 30.10.1992.

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In Italia la Legge Bassanini enuncia espressamente

l’applicazione della sussidiarietà nella sua dimensione verticale39: le

funzioni ed i compiti amministrativi devono essere conferiti in modo

tale, che le responsabilità pubbliche siano attribuite all’ autorità

territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati,

quindi principalmente a Comuni, Province e Comunità montane,

secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative ed

organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le

medesime.

Si attribuisce al Governo il compito di individuare procedure e

strumenti di raccordo, anche permanente, che consentano la

collaborazione e l’azione coordinata tra regioni ed enti locali.

Si introduce, infine la possibilità di un intervento sostitutivo in

caso di inadempienza delle Autonomie locali.

E’ tuttavia la prima valenza del principio di sussidiarietà quella

più controversa e nei cui confronti si manifestano le maggiori

resistenze ideologiche.

Nel suo significato di sussidiarietà orizzontale questo principio

afferma che lo Stato interviene solo quando l’autonomia della società

risulti inefficace. La sussidiarietà va così molto al di là di un semplice

principio di organizzazione delle istituzioni, si applica innanzitutto ai

39 Una delle prime applicazioni del principio di sussidiarietà è rintracciabile nella Legge n.439 del 30 dicembre 1989 che ratifica la Carta europea delle autonomie locali e nella legge n.142 del 1990 la quale ha costruito in termini di sussidiarietà i rapporti tra comuni, province, regioni: riconoscendo ai primi una competenza residuale, ed elevando a criterio distributivo delle competenze tra diversi livelli territoriali di governo, la dimensione degli interessi pubblici coinvolti, nonché l’economicità e l’efficienza nell’esercizio delle competenze stesse.

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rapporti tra l’individuo e la società che lo circonda, poi ai rapporti tra

la società e le istituzioni, prima ancora di determinare una ripartizione

di competenze, nella scala istituzionale tra base e vertice. In questa

dimensione lo Stato non deve limitarsi ad assicurare le condizioni

esterne per l’ordine pubblico e per la sovranità internazionale della

nazione.

La sussidiarietà si fonda, infatti, su un’idea di Stato che implica

la necessità (come esprime la derivazione etimologica di subsidium)

dell’intervento promozionale od ordinatore e coordinatore dello Stato

stesso a favore dell’incremento e dell’incentivazione di una cultura

della responsabilità individuale. Lo Stato e le formazioni sociali

intervengono secondo una logica di complementarietà.

A livello comunitario il principio di sussidiarietà si carica di

ulteriori e diversi significati.

Il principio in esame è previsto espressamente nella Carta

Europea delle Autonomie locali, adottata a Strasburgo il 15 Ottobre

198540, laddove dispone che l’esercizio delle responsabilità pubbliche

deve incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini.

Con la conseguenza che l’assegnazione di una responsabilità ad

un’altra autorità deve tener conto dell’ampiezza e della natura del

compito e delle esigenze di efficacia e di autonomia.

40 La Carta è stata ratificata in Italia con la Legge n 439/89.

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La competenza nazionale è la regola e la competenza

comunitaria l’eccezione41. Emerge, quindi in questo contesto

comunitario l’aspetto positivo del principio di sussidiarietà e non

l’aspetto negativo per il quale nessuna autorità può intervenire in

materie e compiti che meglio possono essere adempiuti al livello più

vicino alle autorità inferiori.

Di conseguenza mentre gli stati nazionali tendono a trasferire le

proprie funzioni ed i propri compiti a livello sovranazionale,

all’opposto il principio di sussidiarietà ribadisce i limiti ai poteri

sovranazionali, favorendo da un lato la crescita di strutture

istituzionali internazionali, tenendone, dall’altro lato sotto controllo lo

sviluppo. Questo principio garantisce il rispetto dell’identità nazionale

degli stati membri e salvaguarda le loro competenze.

Attraverso questa prima definizione della natura giuridica del

principio di sussidiarietà è possibile analizzarne le funzioni.

Si potrebbe infatti parlare di una funzione promozionale in

quanto impone allo Stato di favorire lo sviluppo di articolazioni

intermedie. Nello stesso tempo proibisce a questi stessi destinatari di

intervenire nell’ambito di azione delle articolazioni sottostanti se

queste sono in condizione di regolarsi autonomamente e di gestire in

proprio i loro compiti (funzione protettiva).

Se queste articolazioni non riescono a svolgere i loro compiti,

ad esempio educativi od assistenziali, il principio di sussidiarietà 41 S.CASSESE, L’aquila e le mosche.Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell’area europea, in Il Foro Italiano,1995.

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impone allo Stato di non assumere subito su di sé questi compiti, ma

di cercare vie degli strumenti di rafforzamento del campo di

operatività di questi corpi intermedi, in genere attraverso meccanismi

di finanziamento.

E’ in questa veste che il principio di sussidiarietà apre la strada

all’attività degli organismi operanti nel c.d. terzo settore e favorisce il

fenomeno dell’associazionismo.

Molte leggi regionali infatti riconoscono funzioni e compiti

fondamentali a strutture intermedie in forza del principio di

sussidiarietà .

La Legge della regione Lombardia n.170 del 26.10.1999 è ad

esempio molto chiara sul punto nell’affermare all’articolo 5 che : “la

regione, in attuazione del principio di sussidiarietà, in base al quale

vengono gestite dall’ente pubblico le funzioni che non possono più

essere adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati, come singoli

o nelle formazioni sociali in cui si svolge la loro

personalità…valorizza e sostiene le famiglie…promuovendo le

associazioni e formazioni di privato sociale…”.

E’ chiaro quindi che la sussidiarietà anche sotto il profilo

operativo-funzionale possiede una duplice dimensione: una che attiva

lo Stato o l’altro destinatario del principio, l’altra che limita questo

intervento.

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Opera non solo quindi come un limite all’intervento di

un’autorità superiore nei confronti di una collettività che è in grado di

agire da sola, ma anche come obbligo per tale autorità di agire nei

confronti di tale collettività per fornirle i mezzi necessari per

realizzarsi.

In questa prospettiva il principio di sussidiarietà integra

l’articolo 2 della Costituzione consentendo il superamento

dell’individualismo e di una interpretazione delle formazioni sociali

come una garanzia supplementare, come qualcosa di aggiuntivo

rispetto al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’individuo in

quanto tale.

Nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente, infatti, la

tematica dei rapporti tra lo Stato ed il cittadino, nonché i problemi

posti sul tappeto dal pluralismo istituzionale e sociale prefigurato dalla

Carta Costituzionale, sono stati affrontati, facendo uso di altre chiavi

interpretative: la dialettica autorità-libertà, il ruolo delle “comunità

intermedie”, la tensione tra principio autonomistico e principio

unitario (art.5 Cost.).

Ci si può chiedere se uno dei motivi dell’attuale successo del

principio di sussidiarietà non nasca proprio dalla sua ambiguità.

Corrisponde infatti ad un periodo in cui le categorie troppo

formali del diritto non riescono a rendere conto della complessità della

realtà, né soprattutto, a rispondere alla necessità di conciliare le

aspirazioni contraddittorie degli attori sociali. Dopo un periodo

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fortemente segnato dall’economismo e dalla ricerca di grandi insiemi,

è succeduta una fase più incerta in cui si manifestano forti bisogni di

identità e simultaneamente di diversità.

La situazione attuale dell’Europa è esemplificativa di tali

aspirazioni contraddittorie: le aspirazioni di adesione all’Unione

Europea coesistono con un’onda crescente di particolarismo.

Lo stesso fenomeno si manifesta sul piano interno: ognuno

aspira a sfuggire all’uniformità quando la crisi economica evidenzia

limiti dei grandi sistemi, in particolare quelli di redistribuzione, messi

in piedi dopo la seconda guerra mondiale, e fa sorgere il bisogno di

prossimità sociale, istituzionale e familiare.

Sono un esempio di questa tendenza i numerosi passi in avanti

che nel corso degli ultimi anni ha percorso nel nostro ordinamento la

sussidiarietà nella sua dimensione orizzontale in via di prassi pur in

assenza di una sua formulazione giuridica precisa come principio.

È espressione di tale principio nel settore della formazione

professionale l’esperienza della rete del Consorzio Scuola Lavoro: il

CSL è infatti un ente di formazione, operante oggi in 15 regioni

italiane, voluto e realizzato da imprenditori e professionisti che hanno

inteso realizzare uno strumento di risposta efficace all’esigenza di

formazione espressa dalle aziende e dal mercato.

La peculiarità del CSL e l’efficacia degli interventi che

promuove, stanno nella modalità del bottom up con cui è nato. La

progettazione degli interventi è in stretta connessione con la realtà

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produttiva e con l’ esigenza di risorse professionali: un esempio

significativo in questo settore del principio di sussidiarietà è costituito

dalla legge della regione Lombardia n.35 del 96. Con tale

provvedimento si interviene in campo economico e nell’attività delle

Imprese piccole e medie, ma solo per supportarle in quegli ambiti e su

quelle materie in cui per esse è difficile, se non impossibile realizzare

autonomamente i propri obiettivi. Si abbandona la logica dei

“contributi a pioggia”, che alla lunga finiscono per determinare un

rapporto di tipo assistenzialistico tra ente pubblico e sistema delle

imprese.

In particolare quattro sono le aree di intervento individuate dalla

legge regionale: la ricerca e l’innovazione, l’internazionalizzazione, le

infrastrutture e l’accesso al credito. Per quanto riguarda la ricerca si

tratta di un’attività che richiede notevoli investimenti, e che dà i suoi

frutti nel medio e lungo termine. E’ evidente che per una piccola e

media impresa è difficile sostenere da sola gli oneri di tale attività. Va

considerata, però, l’utilità sociale dell’innovazione, frutto della

ricerca.

L’internazionalizzazione è un altro settore che dimostra l’utilità

e la necessità del supporto dell’ente pubblico a favore delle piccole e

medie imprese. Appare chiaro, infatti, quante difficoltà incontrino

queste aziende muovendosi in mercati diversi dal proprio: lingue, usi

commerciali, regole contrattuali.

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Sulle infrastrutture sia di tipo tradizionale (viabilità e trasporti)

che di stampo innovativo come le reti telematiche è evidente

l’importanza dell’intervento pubblico.

L’ultimo tema sul quale la legge n.35 interviene è quello

dell’accesso al credito. In Italia, così come in molti altri Paesi, il

sistema bancario, tranne rare eccezioni, si è dimostrato poco attento

alle realtà delle piccole e medie imprese, penalizzate da una posizione

di svantaggio dovuta alle loro dimensioni.

L’intervento pubblico in questo caso mira, da un lato, proprio a

ristabilire un rapporto di parità tra forze in campo, dall’altro attraverso

il contributo finanziario, ad abbassare il costo degli investimenti

agevolando l’accesso al credito.

Nonostante siano ormai numerose le manifestazioni e le

applicazioni pratiche della sussidiarietà, manca nel nostro

ordinamento una formulazione chiara e precisa come principio

giuridico.

Forse è proprio la natura stessa ed il significato specifico del

principio diretto alla promozione ed all’ apertura verso le formazioni

sociali che ne influenzano la implementazione.

L’ “ingresso” nell’ordinamento infatti si origina dal basso, cioè

su impulso e per iniziativa proprio delle autonomie sociali ed

organismi territoriali, per poi essere recepita al livello istituzionale

statale o costituzionale.

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Basti pensare a dimostrazione di questo processo all’importante

ruolo rivestito da queste presso la Commissione Bicamerale per le

riforme istituzionali in funzione di stimolo del dibattito sulla

sussidiarietà nell’articolo 56 del progetto di Costituzione.

Una prima versione dell’articolo prevedeva che: “Le funzioni

che non possono più essere adeguatamente svolte dall’autonomia dei

privati sono ripartite tra le comunità locali, organizzate in Comuni,

Province, Regioni e Stato, in base al principio di sussidiarietà e di

differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali riconosciute

dalla legge.

La titolarità delle funzioni spetta agli enti più vicini agli

interessi dei cittadini secondo il criterio di omogeneità ed adeguatezza

delle funzioni organizzative rispetto alle medesime”.

L’introduzione del principio di sussidiarietà nel nostro

ordinamento nazionale, comunque, pone il problema di un controllo

formale ed adeguato sulla sua applicazione. Che il concetto di

sussidiarietà sia vago e non possa da solo portare a conseguenze

giuridiche è evidente.

Malgrado queste imperfezioni l’art.118 della Costituzione, così

come novellato dalla consultazione referendaria del 7 ottobre 2001

sembra fornire un’importante apertura del nostro ordinamento verso il

riconoscimento di questo istituto come principio giuridico.

L’introduzione di questo principio a livello costituzionale sarebbe

avvenuto secondo la dimensione verticale ed orizzontale. Sotto il

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primo profilo si opera una diversa allocazione delle funzioni

amministrative partendo non più dall’alto, ma dal basso; spettanza in

primo luogo ai comuni “ salvo che per assicurarne l’esercizio unitario,

siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni, Stato…” al

fine di realizzare la vicinanza ai cittadini.

Sotto il secondo profilo si introduce l’impegno dello Stato e

degli enti territoriali a favorire l’ingresso delle autonomie sociali, dei

corpi intermedi nell’esercizio di funzioni di interesse generale;

promuove le sinergie tra pubblico e privato in funzione di

avvicinamento del cittadino all’amministrazione, non tanto al fine di

salvaguardare gli spazi di libertà privata, ma piuttosto in funzione di

costituzione di un nuovo modello di amministrazione, che tenga non

più solo conto delle autonomie territoriali, ma anche di quelle

funzionali e sociali.

Siamo veramente sicuri che anche altre creazioni della

giurisprudenza costituzionale fossero così chiare prima di venir

esplicitate dalla giurisprudenza?

L’opportunità di un’introduzione del principio di sussidiarietà

nel nostro ordinamento giuridico deve essere valutata alla luce di

un’evoluzione del diritto che perde le sue caratteristiche di norma

generale, immutevole ed impersonale per adeguarsi all’evoluzione di

una società complessa e talvolta imprevedibile; si tratta di

un’evoluzione, in cui, dopo gli altri di certo, ma in maniera decisa,

l’Italia è, anche lei, entrata: quella di norme che sono in maniera

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consistente il prodotto di creazioni giurisprudenziali o che comunque

sono da esse influenzate.

Un secondo ordine di considerazioni ci spinge a favore

dell’introduzione del principio di sussidiarietà nel nostro ordinamento.

Tale ordine si evidenzia dall’evoluzione stessa dei metodi delle Corti

Costituzionali quando sono chiamate a sindacare le leggi votate dal

Parlamento.

Il criterio di proporzionalità, ad esempio, è un criterio ormai

comune di valutazione. I pregi derivanti dall’applicazione di questa

categoria dinamica si possono rintracciare a più livelli. Le

considerazioni sviluppate sulla sussidiarietà sembrano suscettibili di

influenzare l’avvenire del decentramento e del federalismo attraverso

più direttrici. Introducendo in primo luogo punti di riferimento e

metodi nuovi di ripartizione delle competenze tra Stato e collettività

territoriali.

Ci si allontana, infatti, da un’eccessiva considerazione per i

criteri di redditività, in termini solo economici o finanziari, che hanno

prevalso fino a questo momento sulla ripartizione delle competenze

(come nella teoria economica del federalismo).

Più che opporsi all’idea di efficacia porta a prendere in

considerazione criteri diversi dai soliti. Permette di temperare

l’importanza di aspetti finanziari ed economici attraverso l’analisi di

elementi umani e di benessere.

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La sussidiarietà apporta una filosofia suscettibile di influenzare

non solo i rapporti tra le istituzioni, ma soprattutto i rapporti tra queste

e la società: lo Stato non può intervenire se non nella misura in cui

l’autorità inferiore ha mostrato la propria incapacità. Il principio di

proporzionalità trova qui una sua immediata applicazione (l’intervento

sarà legittimo nella misura in cui sarà necessario).

Il principio è quindi di limitazione del potere senza avere un

carattere normativo, indica una tendenza.

L’applicazione pratica del principio di sussidiarietà induce

un’altra importante riflessione: può risultare infatti più vantaggioso, in

termini soprattutto economici per una organizzazione aiutare una delle

sue componenti ad esercitare le proprie competenze che toglierle per

esercitarle in proprio.

Pone quindi sotto una nuova luce la questione dei trasferimenti

finanziari, che non dovrebbero essere considerati come modalità di

assistenza ma come incentivi a fare ed intraprendere.

Più che ad un intervento nel senso classico del termine tipico

dello stato provvidenza, fa riferimento ad una forma di assistenza che

incoraggia ed autorizza l’autonomia.

Si tratta, per riprendere il testo della Rerum Novarum “di

aiutare i membri del corpo sociale e non di distruggerli od assorbirli”.

A livello delle competenze il principio piuttosto che mantenere

sistemi rigidi nei quali lo Stato interviene molto (si pensi al caso degli

aiuti per gli alloggi sociali i cui costi di ripartizione burocratica sono

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enormi in tempo e pertanto in denaro) spinge a trasferire alle autorità

decentralizzate i mezzi finora stanziati dallo Stato e scommettere sulla

dinamica che potrà essere messa in piedi a livello locale.

A livello finanziario, il concetto di sussidiarietà milita a favore

di una larga delega di risorse implicando simultaneamente una

equalizzazione dei mezzi a disposizione per l’esercizio della libertà

consentita.

La sussidiarietà porta quindi con sé l’idea di solidarietà positiva

che consiste nel rendere possibile la decentralizzazione qualunque sia

l’ammontare delle risorse disponibili.

Nella dimensione propriamente orizzontale l’implementazione

del principio è alla base dell’attività dei fenomeni di associazionismo.

Lo Stato non si ritira dai propri compiti di fissazione di standard

qualitativi delle regole di accesso dei cittadini alle varie tipologie di

servizi sociali, delle modalità di finanziamento degli stessi, dei criteri

di controllo.

Si tratta piuttosto di affermare che l’assolvimento di tali

funzioni non comporta una gestione diretta da parte dello Stato.

Esiste un trade-off tra gestione e regolazione: quanto più lo

Stato gestisce, tanto meno riesce a regolare ed a farsi promotore di

tutte quelle forme di azione collettiva che hanno effetti pubblici.

La sussidiarietà si presenta dunque come un concetto nuovo le

cui potenzialità non sono ancora state esplorate tutte.

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Tutte le norme che nel nostro ordinamento richiamano il

principio di sussidiarietà sono accomunate da un elemento: esse

valorizzano soltanto l’aspetto positivo del principio, che afferma la

necessità di un intervento dei soggetti pubblici a sostegno e

promozione dell’attività dei privati e fanno riferimento sempre a tale

principio contestualmente all’attribuzione agli enti pubblici di

competenze e di funzioni; manca l’affermazione del valore negativo di

necessaria astensione del potere pubblico dal porre in essere le attività

che devono essere lasciate alla sfera dei soggetti privati, né prevede

alcun meccanismo che consenta di considerare l’intervento pubblico

come eccezionale o residuale.

Si può quindi confermare nel nostro ordinamento la presenza di

un paradosso: le disposizioni normative che richiamano il principio di

sussidiarietà sono ispirate all’esigenza di stabilire una limitazione

dell’intervento pubblico a favore delle organizzazioni sociali anche se

il testo che richiama espressamente tale principio prevede sempre una

attribuzione di competenze ai soggetti pubblici indicando

un’attribuzione in positivo di competenze ai soggetti pubblici con una

indicazione precisa del modo concreto di esercitarle.

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2.4 La bilateralità

I processi d’internazionalizzazione e cambiamento tecnologico

hanno modificato ormai le strategie di gestione delle imprese, le

organizzazioni oggi devono essere capaci di adattarsi flessibilmente

alle turbolenze che vengono dall’ambiente esterno.

Per rispondere a questa sfida tutte le imprese, anche quelle

legate a settori considerati più arretrati, hanno scoperto oggi la

centralità delle persone, le quali attraverso processi di apprendimento

continuo divengono protagonisti delle sorti dell’impresa.

La partecipazione che viene così a nascere da questa micro-

concertazione su base aziendale, ha come obiettivo centrale la

mobilitazione motivazionale e sembra saldarsi con la logica

contrattuale dello scambio, che vede i lavoratori disponibili ad

assumere rischi e responsabilità in cambio di maggior potere

decisionale, tramite i propri rappresentanti, sull’impresa.

L’avvio degli esperimenti partecipativi ha determinato un forte

impegno imprenditoriale in questa direzione e rappresenta un dato

importante poiché inverte una tendenza storica che aveva visto le

rappresentanze dei lavoratori rivendicare maggiore partecipazione e

democrazia industriale.

Ciò che colpisce è così il segno aziendalista della svolta,

ricercata per aumentare il senso di appartenenza ed accrescere la

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produttività. Si pensi alla partecipazione economica, alla

comunicazione diretta con i dipendenti, alla scoperta dei gruppi

informali e dei circoli di qualità. In questa ottica la partecipazione

ottenuta mediante le pratiche di micro-concertazione tende a

coincidere con il coinvolgimento. L’introduzione nell’azienda di

soggetti e procedimenti diversi dalla negoziazione collettiva sembra

però porre sul piano concettuale nuove tensioni.

Partecipazione e contrattazione vanno invece considerate

complementari: la contrattazione diviene più puntuale e specializzata

mentre la partecipazione configura un processo continuo di scambi.

Questa partecipazione ottenuta mediante pratiche di micro-

concertazione prevede luoghi stabili di confronto mentre la

contrattazione è congiunturale e contingente, fondata sulla distinzione

di interessi e sulla reciproca libertà di’azione tra le parti.

Partecipazione e contrattazione sono spesso esistite l’una accanto

all’altra nella maggior parte dei paesi europei, combinando elementi di

cooperazione e conflitto; oggi si ha una riduzione dello scarto che

separa la contrattazione dalla partecipazione, nel senso di una

procedimentalizzazione della prima che trova il suo naturale

compimento in una serie di istituti partecipativi da essa previsti42.

La richiesta di istituire organismi bilaterali nasce proprio da qui.

A livello aziendale tali commissioni rappresentano i luoghi e gli

strumenti attraverso i quali si attivano i processi di concertazione e

42 G. Baglioni, “democrazia impossibile?”, op.cit.

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cooperazione e si sviluppano nuove capacità cognitive atte alla

risoluzione dei problemi.

Lo scopo è un confronto non drammatico tra le parti, fungendo

da organismi specializzati di supporto tecnico informativo. In una

logica di differenziazione funzionale, le commissioni paritetiche

affiancano i soggetti della contrattazione e la concertazione medesima,

perno delle relazioni sindacali di secondo livello.

La partecipazione in Italia è nata in via contrattuale con i diritti

di informazione, di questo processo evolutivo è figlio i protocollo IRI

del 198443, che con i suoi diritti d’informazione e consultazione e con

le sue commissioni miste paritetiche farà scuola per tutte le esperienze

future.

Alla fine degli anni ottanta anche molte aziende private hanno

introdotto organi partecipativo-consultivi, e si sono diffuse al loro

interno commissioni paritetiche miste con il compito di occuparsi di

molte materie ed aspetti della vita aziendale. Con il protocollo del

Luglio 1993 è stato inoltre introdotto un nuovo tassello: regole del

gioco stabili ed incentivi alla cooperazione tra le parti che hanno

consolidato la partecipazione.

La fase post-protocollo segnala la volontà di dare un nuovo

impulso agli organismi bilaterali ridefinendo le loro competenze ed

allargandone l’ambito operativo.

43 È ancora importante rimarcare come il sistema delle Casse Edili sia un’esperienza di avanguardia nata più da esigenze strutturali che contingenti.

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Anche il legislatore riconosce agli organismi paritetici costituiti

a possibilità di stipulare con Regioni e Provincie convenzioni per

l’analisi e l’approfondimento delle situazioni occupazionali locali. Il

protocollo del 1993, nel capitolo dedicato all’occupazione giovanile e

alla formazione professionale, chiamerà ripetutamente in causa gli enti

bilaterali, riconoscendogli poteri di indirizzo e verifica in materia di

formazione ed apprendistato44.

Volendo analizzare gli statuti di questi enti per la comprensione

del loro funzionamento possiamo isolare delle caratteristiche comuni a

tutti, individuabili nei seguenti punti:

1) la forma giuridica può variare da società a responsabilità

limitata ad associazione senza scopo di lucro.

2) gli enti bilaterali sono associazioni di associazioni: i soggetti

firmatari sono quelli confederali o federali per il movimento sindacale,

mentre può essere più articolato per la parte datoriale, composto sia da

organismi di rappresentanza confederale e federale quanto da singoli

soggetti.

3) gli organismi dirigenziali sono composti secondo il principio

della pariteticità, il Presidente è di norma delle associazioni datoriali

mentre il Vicepresidente è di nomina sindacale.

4) seppure la convocazione degli organi direttivi spetta al

Presidente, per deliberare vige la regola dell’unanimità, che ritroviamo

pure in alcuni comitati paritetici aziendali dotati di poteri deliberanti;

44 Questa è un’opportunità che nell’edilizia può essere di certo sfruttata, ma i problemi legati al lavoro nero pesano gravemente sulla riuscita di tale progetto.

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questo è funzionale per salvaguardare il sostanziale apparato

consensuale di questi organismi.

5) il sistema di bilateralità è strutturalmente articolato a livello

regionale ed in qualche caso a livello provinciale45.

A tal riguardo l’enfasi con cui le nuove politiche attive del

lavoro assumono la dimensione della concertazione decentrata, come

nei patti d’area, sono il segno che più caratterizza l’attuale stagione

delle reazioni industriali. L’intento del legislatore e delle parti sociali

è infatti quello di affidare ad un sistema flessibile e vicino alle

specificità territoriali il governo e la gestione dei processi di

formazione e di mutualità, con conseguente attribuzione di autonomia

agli organi di governo regionali preposti all’espletamento di queste

materie.

Tutti gli atti costitutivi degli enti bilaterali nazionali prevedono

l’istituzione di loro articolazioni regionali con il compito di articolare

più efficacemente le funzioni assunte dagli organismi centrali, a cui

spettano invece funzioni d’impulso e di coordinamento.

Attualmente siamo di fronte a differenze regionali e settoriali

molto significative, che attestano l’eterogeneità delle esperienze nel

campo della bilateralità.

Quello delle imprese artigiane e dell’edilizia è il sistema in cui

esiste una tradizione di paternariato sociale affermata, composto da

una collaudata rete di enti dalle molteplici funzioni: da quelle storiche

45 Il sistema delle Casse Edili appartiene a questa seconda variante.

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della mutualità e della previdenza sociale (le Casse Edili) sino ai

servizi erogati alle aziende e all’assistenza contrattuale.

Il finanziamento di questa rete territoriale è principalmente

alimentato da fondi finanziati dalle imprese ed in parte anche dai

dipendenti. Data la tradizione paternalistica, l’articolazione su due

livelli del sistema edile artigianale recepisce un modello organizzativo

ascendente in cui la struttura nazionale rappresenta l’ente esponenziale

di organismi regionali presenti e già attivi.

Nell’ambito del sistema edile industriale si può invece

constatare un impianto discendente con cui si è dato vita a un sistema

bilaterale di rapporti fra centro e periferia in cui l’ente centrale si è

rivelato decisivo per la nascita delle sue articolazioni regionali.

Il panorama italiano della bilateralità riflette piuttosto

fedelmente il grave divario economico e sociale del nostro paese. A

fronte delle regioni settentrionali, in cui si sono determinati modelli

partecipativi più polarizzati per la presenza di un tessuto

imprenditoriale omogeneo, radicato e forte, si contrappongono le

regioni meridionali, ove la mancanza di un sistema industriale

omogeneo, diffuso e sostenuto dalla legalità ed il carattere marginale

della contrattazione decentrata, hanno reso il contesto ambientale poco

favorevole alle creazioni di relazioni industriali avanzate.

Le attività intraprese sono molteplici e vanno dall’attivazione i

corsi di formazione alla sicurezza sul lavoro, fino ad arrivare alla

mutualità e all’assistenza sanitaria complementare. I motivi che

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possono spiegare la nascita ed il consolidamento di queste esperienze

sono fondamentalmente tre:

1) l’importanza della storia delle relazioni industriali locali. Si nota da

un lato che una spinta alla nascita di queste esperienze è individuabile

nella presenza di buone relazioni sindacali che facilitino la costruzione

di strumenti partecipativi permanenti; dall’altro il funzionamento

organizzativo concreto risente delle caratteristiche dei soggetti

sindacali ed imprenditoriali nelle diverse realtà.

2) Il carattere discendente ovverosia la firma di accordi nazionali che

prevedono la costituzione di enti bilaterali ha indotto alcune regioni ad

adeguare la propria azione rispetto a quella nazionale.

3) Hanno giocato un ruolo determinante l’assenza/presenza di

leadership locali in grado di trascinare le macchine organizzative delle

diverse parti sociali su un terreno con scarso diritto di cittadinanza.

Anche rispetto al funzionamento e all’operatività quotidiana di

questi enti non si ha una precisa identificazione dell’obiettivo

fondamentale. Si trovano quindi realtà che non solo forniscono servizi

diversi ma che percepiscono il loro lavoro in modo differente.

Un ulteriore elemento di differenziazione si riscontra nella

definizione della natura di questi enti. Si possono individuare una

pluralità di funzioni esercitate da questi:

- la funzione di promozione e di coordinamento dei servizi e dei

sistemi di formazione. Questi organismi bilaterali svolgono attività

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tese ad allargare l’usufrutto di certi beni e renderli accessibili al

maggior numero di soggetti.

- la funzione di gestione diretta di servizi nell’accezione di enti che

concretamente erogano servizi al cliente finale.

- la funzione di pressione nei confronti delle amministrazioni locali

nel momento in cui si deve decidere l’allocazione delle risorse

finanziarie.

- la funzione certificatoria rispetto alla qualità di certi tipi di servizi

o alla possibilità di certi enti di operare su particolari mercati.

In secondo luogo questi enti erogano una pluralità di servizi,

siamo quindi in presenza di una realtà organizzativa pluri-prodotto46.

Si può distinguere fra servizi mutualistico-integrativi e servizi relativi

alla formazione e al mercato del lavoro.

I primi si rendono evidenti attraverso interventi di sostegno al

reddito dei lavoratori e di sostegno all’innovazione tecnologica e

organizzativa delle imprese. L’estensione della tutela a casi di

interruzione del lavoro supplisce al mancato allargamento della

normativa della cassa integrazione guadagni alle imprese minori.

46 Questo è il caso delle Casse Edili che rispondono ad una serie di domande molto differenziata: si va dalla funzione certificatoria a quella di pressione per gli enti pubblici, per arrivare infine all’espletamento dei servizi essenziali.

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Questi servizi sono tentativi di intervenire a livello locale sulla

crisi dello stato centrale. I secondi, quelli formativi si presentano come

un tentativo di fornire dei servizi reali alle imprese ed ai lavoratori47.

Una ulteriore ragione per spiegare l’incertezza di ruolo di questi

organismi va ricercata nella particolare forma partecipativa che in essi

si può individuare; sembrano emergere due modi diversi di concepire

queste organizzazioni: c’è chi ritiene che esse debbano essere luoghi

di sperimentazione e quindi più che ai contenuti bisogna coglierne il

processo o il metodo caratterizzante l’esperienza stessa; c’è chi

sottolinea l’aspetto produttivo di queste organizzazioni e le ritiene

strumenti più idonei ad erogare efficacemente servizi alle imprese ed

ai lavoratori.

Questi enti rappresentano una particolare forma di

partecipazione, all’interno delle classificazioni concettualizzate da G.

Baglioni48: ci troviamo in presenza di una forma di cogestione interna

ad un processo di concertazione collaborativa.

La forma cogestita è rinvenibile nella pariteticità dei

componenti degli enti e nel loro coinvolgimento nelle scelte

strategiche dell’organizzazione. Sembra così utile delineare uno

schema descrittivo per distinguere i punti di forza e di debolezza di

queste realtà.

Tra i punti di forza figurano:

47 Va fatto notare che in alcuni casi come nel settore edile, la forma più adatta e la più efficiente è quella di far coabitare la gestione de mercato del lavoro all’interno degli enti mutualistici, poiché essi già possiedono una ingente ed indispensabile mole di dati rispetto il mercato del lavoro locale. 48 G. Baglioni, “Democrazia impossibile?” op. cit.

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- la tradizione organizzativo/partecipativa locale che certamente è un

fattore di aiuto alla nascita ad al consolidamento di queste esperienze.

- La capacità di erogare e promuovere effettivamente servizi

significativi per quei determinati contesti territoriali che rispondono a

bisogni di primaria necessità.

- La pariteticità nella composizione è un elemento di vantaggio

rispetto ad altre strutture e garantisce una maggiore probabilità di

ottenere consenso e coesione sociale.

- La capacità di passare da una logica organizzativa basata sulla

relazione centro/periferia ad una logica organizzativa di rete.

Tra i punti di debolezza troviamo invece:

- La difficoltà di identificare una propria mission e di attivare

processi per operativizzarla con conseguenze negative in termini di

dispendio di risorse.

- La presenza di una certa distanza fra internazionalità ideologiche e

la preparazione professionale della leadership degli enti che genera

una tendenza all’autoreferenzialità e non permette di intervenire con

efficacia sui processi di mutamento culturale che devono

caratterizzare il comportamento dei lavoratori e delle imprese sulle

tematiche partecipative.

- La difficoltà di fare chiare scelte tra la bilateralità e la trilateralità.

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Ci sono infine dei tratti che possono rappresentare dei punti di forza o

di debolezza a seconda di come si caratterizzano nei diversi contesti

locali in termini di vincoli e di opportunità:

- l’atteggiamento più volontaristico che professionale

nell’individuazione dei meccanismi operativi idonei a gestire le risorse

umane e finanziarie.

Una prima grande differenza sul piano delle qualità disponibili e

sul piano delle disponibilità finanziarie è ravvisabile fra gli enti

promossi dal settore dell’artigianato, del turismo ed altri.

L’informalità con la quale questi enti sono nati non ha facilitato

l’individuazione di ruoli definiti. Interessante osservare come questi

organismi utilizzino, non sol risorse umane proprie ma anche il

personale presente nelle associazioni costitutive, con i problemi di

autonomia e d’identità dell’organizzazione che tale prassi può

comportare nei processi decisionali. Questo fattore viene normalmente

considerato un meccanismo operativo in grado di dare più o meno

fluidità ai flussi organizzativi. Esso rappresenta effettivamente un

elemento significativo del sistema gestionale, ma frequentemente ha

anche più importanti significati.

Consente infatti ad i lavoratori ed alle aziende, associati e

rappresentati in questi enti, un forte vincolo identitario ed un grande

senso di gruppo ed appartenenza; ma d’altro canto crea dei

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meccanismi di stallo in situazioni conflittualmente determinatesi,

difficilmente componibili, le quali possono, protraendosi nel tempo,

creare disfunzionalità nella corretta gestione dell’ente.

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3 Le Casse Edili

3.1 La storia

Dopo l’unificazione, la fine dell’ottocento non fu per l’Italia un

periodo di grande sviluppo. Le preoccupazioni centrali furono il

potenziamento dell’esercito e la salvaguardia dei confini territoriali,

nonché l’unificazione amministrativa. Alle questioni sociali non venne

prestata la minima attenzione e le istanze provenienti dalla società

civile, non ancora omogeneizzatasi, non vennero recepite dai governi

in essere.

In particolare nell’edilizia centrali erano state le tematiche

riguardanti gli infortuni, la disoccupazione dovuta alla strutturale

stagionalità, e il lavoro usurante; lo Stato, per tradizione e vocazione

liberale, non volle in alcuna maniera regolamentare alcuna di queste

tematiche, lasciandole a se stesse e ad i rapporti di forza determinati

dal mercato edile. L’unica legislazione esistente era quella ereditata

dallo Stato piemontese, riguardante la libertà di associazione.

Fu così che, dapprima sotto l’influenza delle idee democratiche

e mazziniane, poi con il diffondersi delle idee socialiste ed

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anarchiche49, vennero a crearsi una moltitudine di piccole

organizzazioni per la tutela degli operai, affidate alla libera iniziativa.

Queste organizzazioni, spesso a carattere provinciale, assolvevano, in

base al principio di sussidiarietà50, ad alcune funzioni di assistenza per

i lavoratori. Tali associazioni erano inizialmente di tipo filantropico, si

rifacevano agli ideali ed ai principi delle corporazioni ed erano gestite

da alcuni illuminati datori di lavoro. Erano soprattutto associazioni di

tipo caritativo ed assolvevano alle esigenze più immediate quali

infortuni o morti funeste.

A partire dal 1871, dopo la disfatta della Comune di Parigi, si

diffusero in Italia il pensiero socialista dell’internazionale e le idee

anarchiche di Michail Bakunin. Sorsero allora molte associazioni

operaie che si trasformarono da associazioni di mestiere in vere e

proprie palestre per la lotta di classe e per l’emancipazione del

proletariato. Il verificarsi dei primi scioperi favorì e facilitò la

diffusione delle idee socialiste e nel giro di pochi anni, dal 1862 al

1894, le società di mutuo soccorso divennero ben 6.700, facilitate

dalla legge regia del 1886 che le riconosceva come soggetti giuridici.

La grande maggioranza erano leghe di resistenza e società di

miglioramento che aggiungevano ai fini prettamente mutualistici

nuove istanze di rivendicazione sindacale quali aumenti salariali e

riduzioni dell’orario di lavoro, sussidi e mutua istruzione.

49 Erano molto diffuse in Italia soprattutto le esperienze di R.Owen e della sua comune industriale, e le idee di P.J Proudhon riguardanti il federalismo e l’autogoverno delle falangi. 50 Principio in base al quale dove non arriva lo Stato deve arrivare la libera associazione dei cittadini.

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Nonostante le leggi antioperaie del governo Crispi, queste

associazioni continuarono a proliferare ed espandersi fino alla prima

guerra mondiale, creando un bagaglio di esperienze ed iniziative che

torneranno poi utili alle associazioni mutualistiche rifondate nel

dopoguerra, tra le quali la prima Cassa Edile.

La parentesi creata dalla prima guerra mondiale aveva infatti

determinato una forte crisi occupazionale che nel settore edile si fece

più gravosa a causa delle sue peculiarità: mancanza di impianti fissi,

alta stagionalità dei lavori, alta mobilità delle imprese e della

manodopera, forte dipendenza dalle condizioni atmosferiche. Venne

così avvertita l’esigenza di una assistenza autonoma e sussidiaria a

quella statale.

La prima Cassa Edile fu “La Cassa per i sussidi di

disoccupazione involontaria per gli operai edili” istituita a Milano il 1°

Aprile 1919 dal primo contratto di categoria.

Era un organismo gestito e finanziato pariteticamente dalle due

associazioni di categoria (datori e prestatori di lavoro)51. Centrale in

questo contratto tipo divenne infatti il problema delle assistenze

sociali (disoccupazione e malattia). La Cassa Edile di Milano si

occupò inizialmente di queste due problematiche: disoccupazione

involontaria e sussidi di malattia; venne inoltre stabilita la misura del

contributo alla Cassa al 2% di trattenuta sulla busta paga degli operai e

per la prima volta l’onere contributivo venne esteso anche alla parte

51 Precisamente tra il “Collegio dei Capi Mastri” e “L’Associazione Mutua Miglioramenti fra Muratori, Badilanti, Manovali e Garzoni”

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imprenditoriale tramite una quota dello 0.70% delle retribuzioni

erogate.

Non è difficile scorgere già da ora la coesistenza di due

esperienze nella vita della Cassa: quella delle vecchie società di mutuo

soccorso e quella delle società di miglioramento socialiste. La Cassa

Edile, pur ispirandosi al principio della mutualità per cui vengono

conferite risorse individuali per far fronte a bisogni comuni, ha però

come fine non più la generica assistenza alla categoria ma il

concorrere a sanare le evidenti diversità di trattamento causate dalle

peculiarità produttive del settore.

Fino al 1923 la Cassa Edile di Milano ebbe la duplice veste di

gestore dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria52 e

dei sussidi di malattia.

A partire dal 1923 il governo fascista privò la Cassa Edile della

gestione dell’assicurazione contro la disoccupazione, ma rafforzò il

suo peso riguardo la sfera della mutualità per le malattie, estendendo

l’assistenza anche ai famigliari degli operai. La Cassa Edile di Milano

non fu mai messa in discussione dal regime fascista poiché la natura

corporativistica di questo organo non era affatto incompatibile con i

disegni del regime. Nel 1935, con la creazione della Federazione

Nazionale delle Casse mutue di malattia, vennero riorganizzate

centralisticamente e burocraticamente anche le prestazioni per malattia

che nel 1943 verranno in blocco affidate all’INAM.

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Solo nel 1945, con la caduta del fascismo, la Cassa Edile di

Milano riacquistò i sui compiti originari, a cui si aggiunsero alcune

assistenze collaterali e l’amministrazione dei contributi versati per le

Scuole Edili.

Venne inoltre affidato alla Cassa Edile l’accantonamento53

presso di essa del salario differito (ferie, festività e gratifica natalizia).

Data la forte mobilità e instabilità dei rapporti di lavoro nel

settore, la Cassa Edile fu considerato il mezzo più adeguato per

integrare le esigenze dei lavoratori del settore con gli istituti

contrattuali e legislazione previdenziale corrente, modellata invece

sulle caratteristiche dell’industria ad impianti fissi. Sin dall’inizio il

sindacato cercò una gestione paritetica di questi enti, per far si che il

livello di tutela garantito non subisse l’andamento, troppo variabile sul

territorio, dei rapporti di forza tra sindacati ed imprenditori.

Nel contratto nazionale del 1950 vennero menzionate per la

prima volta le Casse Edili (articolo 29) e fu stabilita la loro

pariteticità, rimandando la loro costituzione alla contrattazione

provinciale. La pariteticità non era però effettiva in quanto il

Presidente della Cassa, di emanazione imprenditoriale, godeva del

diritto di doppio voto in caso di situazioni di stallo54.

52 Il decreto luopotenenziale del 1919, che introduceva la concessione di sussidi per la disoccupazione involontaria a favore di operai e braccianti, escludeva dal beneficio la disoccupazione stagionale, impedendo così ai lavoratori edili, stagionali per eccellenza, di godere dei suoi benefici. 53 Il C.C.N.L. del ’46 stabilì all’art.29 che questi pagamenti gravassero a carico esclusivo del datore di lavoro e che venissero versati in un apposito conto intestato all’operaio presso una banca o corrisposto dalla ditta in busta paga. 54 In caso di impedimento il Presidente non veniva sostituito dal Vicepresedente come logico, ma da un altro rappresentante degli imprenditori; Vicepresidente e amministratore delegato avevano invece poteri molto ristretti.

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Oltre il problema della pariteticità, si poneva anche un problema

di rappresentanza delle associazioni sindacali che si erano divise nel

1948. La proposta della rappresentanza per proporzionalità, secondo il

voto espresso sul territorio dai lavoratori, non trovò d’accordo le

associazioni sindacali con meno iscritti (CISL e UIL), che invece

propendevano per un metodo a designazione.

Il conflitto fu sanato con l’accettazione del principio elettivo

ricorrendo momentaneamente a quello per designazione così da

favorire la nascita in tempi brevi delle Casse, e da transitorio il

metodo per designazione fu poi istituzionalizzato e reso permanente,

favorendo una politica di rivendicazione unitaria.

Le modalità di finanziamento furono affidate dal contratto

nazionale del 1959 alle associazioni territoriali, che stabilivano la

misura del contributo paritetico entro i valori definiti al livello

nazionale. Il crescere del numero delle Casse Edili e l’estendersi della

loro copertura territoriale55 fu un forte incentivo per aumentare e

modificare la natura delle prestazioni da loro svolte. Il contratto

nazionale del 1966 indicò per primo i compiti di questi enti e pose il

finanziamento dei trattamenti per malattia, disoccupazione ed

infortunio a carico dei datori di lavoro, lasciando misure, durata e date

di decorrenza alla contrattazione provinciale.

55 L’estendersi della copertura territoriale delle Casse Edili era dovuto soprattutto alla previsione di una loro estensione erga omnes mediante la legge n° 741/59 che garantiva un minimo dei trattamenti economici e normativi ai lavoratori dipendenti. La corte costituzionale ha però stabilito l’incostituzionalità dell’estensione alle casse edili con la sentenza n° 129/63

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Con l’accordo del 5 Aprile 1968 si introdusse la regola, recepita

poi dal contratto nazionale del 1969, della doppia firma di Presidente e

Vicepresidente su ogni atto di natura economica, così da garantire la

pariteticità sostanziale e non solo formale nella gestione di questi enti.

Il contratto di svolta fu quello del 1976, che riconobbe alle

Casse il ruolo di attuatori delle norme del contratto nazionale, per cui

le prestazioni erogate non sarebbero potute entrare in contrasto con gli

accordi nazionali; venne inoltre garantita l’uniformità delle prestazioni

erogate dalle varie Casse Edili grazie alla proposta riguardante la

costituzione di un organismo paritetico nazionale, che nel contratto

nazionale del 1983 assunse il nome di Commissione Nazionale delle

Casse Edili (CNCE). Il compito di tale ente sarebbe stato quello di

garantire, coordinare e sorvegliare l’uniformità statutaria, la continuità

delle prestazioni erogate e l’uniformità e la trasparenza nella gestione

del patrimonio delle Casse.

Nel contratto nazionale del 1987 le parti sociali potenziarono

l’attività della C.N.C.E decretando le soluzioni interpretative di

quest’ultima vincolanti per le singole Casse.

Il contratto nazionale del 1991 ha previsto inoltre uno schema

unico di bilancio comprensivo della situazione patrimoniale e del

conto economico, corredato dalle schede statistiche approvate dalla

C.N.C.E.

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Nell’accordo del 5 Luglio 1995 viene inoltre affidato alla

C.N.C.E. la definizione di uno schema nazionale di statuto tipo

anch’esso vincolante per le singole realtà territoriali.

Il ruolo di questo istituto paritetico ha subito continue e sempre

più vincolanti attribuzioni di responsabilità e di funzioni, nonché di

esercizio della rappresentanza del sistema al livello nazionale, e con la

totale certezza molte altre modifiche subirà la sua opera di raccordo ed

uniformità in quanto le funzioni affidate al sistema delle Casse Edili

dalla contrattazione nazionale ed anche dai prossimi e recenti sviluppi

della legislazione nazionale e regionale, prevedono compiti sempre

più complessi e specifici, sovente necessitanti di una modalità

interpretativa ed applicativa univoca.

Contemporaneamente la forma organizzativa e gestionale delle

Casse Edili si estese anche alla contrattazione con altre associazioni

imprenditoriali, in particolare quelle artigiane, che hanno costituito su

buona parte del territorio delle Casse Edili autonome: le Casse Edili

Artigiane e le Edilcasse.

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3.2 Il presente

Dopo questo breve e funzionale excursus storico, analizziamo

ora struttura e funzioni del sistema delle Casse Edili, alla luce del quadro

teorico prima delineato.

Nel mostrare cosa sono oggi le Casse Edili, le varie Edilcasse e

Casse Artigiane, occorre per correttezza teorica, chiarire come questi

enti, nati per fini filantropici e mutualistici, oggi siano divenuti in realtà

luoghi di incontro permanente, tavoli concertativi sempre in essere.

Dalla loro nascita ad oggi hanno da sempre eseguito in maniera

puntuale e rigorosa quanto ad esse demandato dalla contrattazione

nazionale e territoriale, prefigurandosi come perfetti organi di

concertazione delle politiche di settore, fino a lambire la cogestione nelle

scelte industriali nell’edilizia; questo aspetto sarà tra breve trattato

attraverso l’analisi del presente e soprattutto del futuro che attende il

sistema delle Casse Edili.

In più, oltre ad essere investite di compiti e contenuti dalla

contrattazione nazionale, hanno a loro volta nutrito, mediante la

sperimentazione di volta in volta avutasi a livello locale, la

contrattazione di primo livello, creando istituti contrattuali nuovi e

complementari.

Il sistema delle Casse Edili svolge inoltre un ruolo non

solamente economico e di attuazione contrattuale, ma gioca un

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importante partita nel campo sociale, prefigurandosi le Casse Edili come

enti sussidiari, per lo Stato a costo zero, a solo finanziamento delle parti

sociali, con finalità di inclusione sociale e di riduzione e livellamento

delle discriminazioni.

Tale opera di inclusione sociale avviene mediante due aspetti

fondamentali: in primo luogo tramite l’elargizione meramente

economica di redditi differiti e dei redditi extracontrattuali, che

consentono a categorie di lavoratori storicamente svantaggiate nel

tessuto sociale (vuoi per il grado d’istruzione medio del settore, vuoi

anche per la provenienza spesso e volentieri di natura extracomunitaria)

di non subire discriminazioni e soprattutto una tutela nei casi di

indigenza (o decesso) del lavoratore stesso, di promozione del diritto allo

studio, della assistenza integrativa sanitaria.

In secondo luogo mediante la partecipazione decisionale

all’interno dell’ente mediante i propri rappresentanti, attraverso lo

sviluppo di una rete di corresponsabilità e di informazioni, anche i

lavoratori più isolati e le imprese più piccole sono direttamente coinvolti,

mediante gli organismi rappresentativi e la modalità della delega alla

rappresentanza, agli aspetti decisionali. Per quanto non sia una

partecipazione diretta rappresenta sempre un progresso sociale ed una

assunzione di responsabilità e conoscenze dei processi decisionali, resi

dalle organizzazioni di rappresentanza e dagli organismi di gestione

dell’ente trasparenti, controllabili e verificabili.

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3.2.1 La struttura

La struttura gestionale delle Casse Edili si articola nei seguenti

organi: il Comitato di presidenza, il Comitato di gestione, il Consiglio

generale e il Collegio sindacale.56

Del Comitato di presidenza fanno parte il Presidente ed il

Vicepresidente, il primo designato dalle associazioni imprenditoriali,

il secondo designato dalle associazioni sindacali (in alcuni enti

paritetici quali Casse Edili Artigiane ed Edilcasse è prevista anche una

rotazione delle cariche). Al Comitato di presidenza spetta

sovrintendere all’applicazione dello statuto e dare esecuzione alle

deliberazioni del Comitato di gestione. Ogni atto riguardante il

prelievo e l’organizzazione dei fondi della Cassa richiede per le regole

della pariteticità la firma abbinata del Presidente e del Vicepresidente.

E’ però il Presidente la figura che rappresenta legalmente l’ente di

fronte a terzi e presiede il Comitato di gestione57.

Il Comitato di gestione provvede all’amministrazione e alla

gestione ordinaria dell’ente nonché alla stesura di un bilancio

preventivo ed uno consuntivo delle attività della Cassa Edile.

Anch’esso paritetico, è costituito di norma da dodici componenti.

Il Consiglio generale rappresenta l’assemblea dei soci, ovvero le

parti costituenti. E’ composto dal Comitato di gestione, cui si 56 La seguente struttura è tratta dagli statuti delle Casse Edili di Milano, Torino, Genova, Perugia, Roma ed Avellino. 57 Art. 11 dello statuto della Casse Edile di Torino e Roma.

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aggiungono solitamente tre componenti nominati dalle associazioni

imprenditoriali territoriali ed altri tre nominati dalle associazioni

territoriali dei sindacati. Al Consiglio generale sono ammesse anche

altre associazioni imprenditoriali e sindacali58, purché accettino i

contenuti economici e normativi della contrattazione collettiva di

settore e rispettino le norme statutarie dell’ente Cassa Edile59. Il

problema della rappresentanza delle associazioni imprenditoriali è

infatti molto sentito nel settore edile, poiché circa il 60% delle imprese

si presenta con una dimensione artigianale e con rappresentanze

proprie che spesso corrono il rischio di essere estromesse dal governo

del settore. Al Consiglio generale spettano compiti molto importanti:

valutare il bilancio preventivo e consuntivo, ed approvarlo.

Il Collegio sindacale è composto da tre membri: uno

emanazione della parte imprenditoriale, uno di parte sindacale ed il

terzo che è scelto di comune accordo, presiede il collegio e deve

risultare iscritto all’albo dei revisori ufficiali dei conti.

Accanto alla struttura più propriamente politica vi è una

seconda struttura, di tipo permanente, con caratteristiche prettamente

amministrative ed operative: i dipendenti. Questo organo ha la

funzione di concretizzare le decisioni maturate al livello politico60

dell’ente tramite la riscossione dei contributi, la detenzione dei

58 L’accettazione delle altre associazioni alla gestione dell’ente è subordinata ad un potere di veto della rappresentanza di cui essa fa parte: sia datoriale, sia sindacale. Per essere ammesse , le altre associazioni devono venire presentate. 59 Nelle province di Bolzano ed Aosta sono ammesse alla rappresentanza le associazioni sindacali delle minoranze etniche. 60 E’ questo l’organo che garantisce la continuità nella gestione della Cassa poiché permanente e selezionato in base a principi di competenza.

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rapporti diretti con lavoratori ed imprese, l’erogazione materiale delle

prestazioni.

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3.2.2 Le funzioni assolte

Come abbiamo visto le Casse Edili sono strumenti

d’implementazione della normativa previdenziale e contrattuale

vigente, e permettono ai lavoratori del settore di godere dei trattamenti

dovuti a tutti i lavoratori degli altri comparti produttivi.

Prima di elencare ed analizzare le varie prestazioni erogate è

bene soffermarsi su alcuni punti essenziali.

In primo luogo va sottolineato il fatto che le Casse Edili,

seppure siano strumenti della partecipazione al governo delle

dinamiche del settore, trovano la loro istituzionalizzazione e la loro

autorità nell’ambito della contrattazione collettiva61. E’ perciò il

contratto nazionale a fornire le linee direttrici delle prestazioni, mentre

la contrattazione territoriale ne stabilisce misura, date di decorrenza e

contributi in percentuali. Nel corso degli anni comunque anche la

contrattazione di secondo livello ha acquisito maggiori spazi

d’intervento riguardanti soprattutto le prestazioni extracontrattuali,

quelle connesse con le disponibilità di bilancio, che verranno trattate

più dettagliatamente in seguito.

In secondo luogo le Casse Edili nascono con la funzione di

sollevare l’impresa dall’obbligo di pagare direttamente alcune

prestazioni, mediante l’accantonamento presso di esse di quote

percentuali di salario o contribuzioni dei datori di lavoro; garantendo

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così un’erogazione unitaria e continuativa delle prestazioni. Questa

operazione di accantonamento e mutualizzazione si giustifica con il

rapido susseguirsi di più rapporti di lavoro, per ogni lavoratore, con

più imprese nell’arco delle vita lavorativa.

In terzo luogo c’è da segnalare la funzione trainante della

contrattazione territoriale rispetto quella nazionale. Attraverso la

gestione di nuovi accantonamenti la contrattazione territoriale ha così

fatto da battistrada a nuove rivendicazioni e nuovi istituti

contrattuali62.

Un discorso a parte merita l’aspetto economico e normativo che

tali prestazioni, attuate ed erogate dal sistema delle Casse Edili,

costituisce come funzione sussidiaria.

Con il termine “Sussidiarietà”, già inquadrata teoricamente nel

secondo capitolo di questa tesi, si viene a designare una prassi per la

quale, mancando allo Stato centrale risorse, capacità e tempi per

svolgere un determinato tipo di attività di tipo sociale, tali funzioni

vengono delegate, con strumenti legislativi appositi, ed a volte con il

conferimento diretto di risorse, ad organismi terzi di natura privata, a

cui lo Stato centrale riconosce le capacità e la possibilità di conferire

tali servizi in maniera più capillare e più efficiente rispetto ad esso.

Per analizzare l’operato del sistema delle Casse Edili occorre

soprattutto capire la premessa del loro funzionamento: i contribuenti

di questo sistema, ovvero imprese e lavoratori, organizzati tramite le 61 Mentre negli altri paesi europei la contrattazione e la partecipazione sono due modelli di gestione delle relazioni industriali ben distinti, nella realtà italiana è la contrattazione a legittimare la partecipazione.

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proprie rappresentanze datoriali e sindacali, quindi di natura

prettamente privata e contrattuale, deliberano, mediante la

contrattazione nazionale e territoriale, quali voci retributive

accantonare e, mediante la concertazione continua attraverso gli

organismi di gestione dell’ente Cassa Edile, e come gestire tali

accantonamenti retributivi e portarli ad un bilancio equilibrato e

funzionale alla creazione e conservazione del capitale.

Mediante la possibilità di erogare salario differito, abbiamo così

lo svilupparsi di una serie di risorse aggiuntive e complementari, che

oltre a soddisfare i costi che naturalmente la gestione di un sistema

così articolato e diffuso comporta, possono finanziare altre prestazioni

e servizi in uscita per i contribuenti/utenti del sistema.

Una volta chiarito tale fondamentale tassello a guida della

nostra riflessione, possiamo così procedere all’analisi delle prestazioni

erogate classificando queste in base a due variabili.

In base alla natura dei loro destinatari le prestazioni erogate

possono suddividersi in prestazioni individuali e prestazioni

collettive63.

Le prestazioni a carattere individuale sono quelle prestazioni di

cui beneficia direttamente o indirettamente il singolo lavoratore o il

suo nucleo familiare. Va inoltre messo in luce che mentre da parte

sindacale il lavoratore riceve dal sistema delle Casse Edili un provento

sovente di natura economica, le imprese associate hanno la loro 62 In particolare nello sviluppo delle assistenze integrative.

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contropartita principalmente in termini di servizi e di costi

mutualizzati ed omogenei come quelli relativi i dispositivi di

protezione individuale, le integrazioni per carenze malattia o

infortunio, ed altri servizi che, ora a livello embrionale, sono

suscettibili di notevoli e importanti sviluppi64.

Le prestazioni a carattere collettivo sono quelle prestazioni il

cui beneficio è invece rivolto, direttamente o indirettamente, alle

strutture di rappresentanza (associazioni imprenditoriali, sindacali ed

altri enti paritetici).

In base alla loro legittimazione giuridica possono essere divise

in prestazioni contrattuali e prestazioni extracontrattuali.

Le prestazioni contrattuali sono prestazioni che devono essere

necessariamente erogate dalle Casse Edili, in quanto contemplate

dallo statuto e dalla contrattazione collettiva di primo livello. Sono

dunque prestazioni certe per diritto e, in ragione della forte

sperequazione territoriale del settore, le contribuzioni in percentuale

per la loro copertura di bilancio sono stabilite dalla contrattazione

territoriale, soggette solo all’effettivo versamento delle contribuzioni.

Le prestazioni extracontrattuali sono prestazioni che, nonostante non

siano contemplate nel contratto, sono deliberate dal Comitato di

gestione, compatibilmente con le disponibilità e i vincoli di bilancio.

Sono perciò variabili nel tempo e revocabili. 63 L. Bellardi in Istituzioni bilaterali e contrattazione collettiva. Il settore edile (1945-1988) Franco angeli Editore, Milano 1989

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Per semplicità esplicativa possiamo costruire una tabella

incrociando le due variabili:

PRESTAZIONI

CASSE EDILI

CONTRATTUALI

EXTRACONTRATTUALI

INDIVIDUALI

-GNF

-MALATTIA/INORTUNI

-APE

-APES

-DIRITTO ALLO STUDIO

-ASSISTENZE SANITARIE

-SUSSIDI VARI

-ASSICURAZIONI

-COLONIE E SOGGIORNI

-ASSISTENZE ALLO STUDIO

COLLETTIVE

-QUOTE D’ADESIONE

CONTRATTUALE

-QUOTE DELEGA

-MUTUALIZZAZIONE

64 Sicuramente già la legislazione corrente assegna ruolo e funzioni certificatorie in materia di controllo per la regolarità delle imprese, negli anni a venire tale funzione sarà probabilmente sempre più implementata in un’ottica sussidiaria da parte delle Stato.

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PERMESSI SINDACALI

-RISCOSSIONE CONTRIBUTI

SCUOLE EDILI E CPT

-OSSERVATORI

Nella tabella costruita non si danno prestazioni

collettive/extracontrattuali poiché qualsiasi prestazione rivolta a

soggetti di carattere collettivo deve essere necessariamente

disciplinata dalla contrattazione. Rimandiamo inoltre la specifica

trattazione delle prestazioni sopra elencate all’appendice

appositamente costituita.

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3.3 Il futuro

In questi ultimi anni, al di la della ormai consolidata

mutualizzazione degli istituti contrattuali, le Casse Edili hanno visto

ampliarsi di molto la sfera delle proprie competenze e la possibilità di

avere altri spazi d'intervento. Funzionale a questi recenti sviluppi sono

state le caratteristiche proprie del sistema delle Casse Edili: la gestione

paritetica di questi enti, la loro natura giuridica e la loro dimensione

territoriale.

La regola della gestione paritetica, introdotta nel 1919 nello

statuto della prima Cassa Edile, è ora un concetto reso moderno ed

attuale dagli sviluppi concertativi che ha assunto il nostro sistema di

relazioni industriali. La pariteticità formale delle Casse Edili si è

sempre più evoluta fino a divenire sostanziale con il sistema della

doppia firma abbinata di Vicepresidente e Presidente. La

composizione in numero pari di tutti gli organi di gestione ha avuto il

grande merito di rappresentare un punto di contatto permanente fra le

parti sociali65.

La contrattazione collettiva, che di fatto ha istituito e legittimato

gli enti paritetici, ne ha tratto anche giovamento poiché questi,

confrontandosi con i problemi reali dei lavoratori, hanno saputo essere

65 Si è costruita una spirale virtuosa dove non solo la contrattazione alimenta lo sviluppo degli enti paritetici ma la stessa gestione quotidiana costringe le parti sociali ad avere una ricchezza di relazioni che alimenta a sua volta lo sviluppo delle regole e dei contenuti stessi della contrattazione.

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da sempre un centro propositivo e non solo attuativo per la

contrattazione.

Proprio qui risiede l’originalità del modello, capace di realizzare

anche in un periodo fortemente conflittuale come gli anni ’70,

un’effettiva implementazione tra contrattazione e gestione del settore.

La gestione paritetica delle Casse Edili ha inoltre permesso, per

le implicazioni che comportava, il nascere in primo luogo di una

politica rivendicativa comune alle varie associazioni sindacali di

settore; in secondo luogo ha rappresentato uno spazio di accordo con

la controparte imprenditoriale, ulteriore e complementare a quello

offerto dalla contrattazione. Ciò ha determinato una sorta di

concertazione bilaterale permanente per la gestione del settore,

testimoniata dalle numerose iniziative in comune: tra le più recenti

troviamo la costituzione dell’osservatorio di settore ed il documento

unico di regolarità contributiva.

Ferma restando la superiorità della contrattazione nel sistema di

relazioni industriali italiano, la pariteticità ha comportato per il settore

edile due grandi vantaggi.

Il primo è un sistema dinamico e non statico della

contrattazione; in quanto permanenti, è impossibile all’interno degli

enti paritetici non poter trovare un accordo sulle materie ad essi

demandate, pena la delegittimazione stessa dell’ente: mentre nella

contrattazione l’accordo può anche saltare, nella gestione dell’ente un

accordo deve essere raggiunto per forza.

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Paradossalmente la regola della pariteticità, che avrebbe potuto

creare situazioni di stallo inconciliabili, si è rivelata molto efficiente

sotto questo punto di vista anche perché la gestione di questi enti ha

comportato una personalizzazione dei rapporti tra i rappresentanti

delle parti sociali.

Il secondo indubbio vantaggio è quello di aver inserito, anche se

in maniera indiretta, elementi di partecipazione nella gestione di

istituti che per altri settori sono stati raggiunti più tardi, tramite lo

sviluppo dei diritti di informazione.

La natura giuridica dell’ente Cassa Edile è invece di tipo

piuttosto particolare. La Cassa Edile è costituita inizialmente con atto

notarile dalle associazioni sindacali territoriali (di regola ANCE,

INTERSIND e FENEAL-UIL, FILCA-CISL e FILLEA-CGIL).

Va ora però accennato che anche l’universo variegato delle

organizzazioni imprenditoriali66, mediante l’accordo del 18/12/1998

tra Associazioni Artigiane ed ANCE, si è impegnato alla reciprocità

(riconoscimento dei contributi accantonati dagli altri sistemi artigiani

e del passaggio di un lavoratore da un sistema ad un altro); ciò porterà,

a breve termine, ad una unità della rappresentanza delle

organizzazioni imprenditoriali e ad una conseguente unificazione dei

sistemi delle Casse.

66 Il sistema delle organizzazioni imprenditoriali risente fortemente delle caratteristiche del settore ed è perciò estremamente complesso ed articolato. Le associazioni imprenditoriali sono dieci e rappresentano soggetti diversi per dimensioni, credo politico e natura giuridica. L’industria privata è rappresentata principalmente dall’ANCE, aderente alla Confindustria e dall’ANIEM, aderente alla CONFAPI. L’INTERSIND rappresenta le imprese a partecipazione statale mentre l’artigianato è rappresentato da quatto associazioni (CGIA, FNEA, FIAE e CLAAI). Infine le cooperative sono rappresentate da tre associazioni (CONFCOOPERATIVE, ANCPL e AGCI).

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Questo processo è necessario per pervenire ad una gestione

unitaria del settore, delle sue regole e dei suoi strumenti operativi. Il

processo è notevolmente complesso considerando gli interessi in

gioco, ma l’approdo ad un sistema unico appare irreversibile

soprattutto alla luce dei nuovi compiti che lo Stato e le parti sociali

intendono affidare al Sistema delle Casse Edili.

Le Casse Edili sono enti qualificabili nel codice civile come

associazioni non riconosciute ai sensi degli articoli 36 e seguito. La

Cassa Edile è un ente di fatto, dotato di autonomia propria e può

essere titolare di rapporti giuridici propri, distinto dai soggetti che ad

essa hanno dato vita e da coloro che sono i destinatari delle prestazioni

e dei servizi.

Godono inoltre in base all’articolo 37 del codice civile di

autonomia patrimoniale e finché ha vita l’associazione, i singoli

associati non possono pretendere la divisione del fondo comune.

L’autonomia patrimoniale non esclude però la responsabilità

personale e solidale di chi agisce in nome e per conto

dell’associazione.

Lo statuto tipo delle Casse Edili (elaborato dalla CNCE per

uniformare le differenti realtà territoriali) prevede come scopo

principale di queste l’erogazione delle prestazioni ai propri iscritti;

sono inoltre competenti a provvedere ad ogni altro compito affidatogli

congiuntamente dalle organizzazioni costitutive.

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L’ente Cassa Edile ha così natura esclusivamente privatistica67

ed ha un’origine prettamente contrattuale. L’obbligo di contribuire

alle Casse Edili è di natura volontaristica e soggette a questo obbligo

sono solo le imprese aderenti alle organizzazioni costituenti.

Nell’ultimo decennio comunque l’obbligo d’iscrizione al sistema delle

Casse Edili è stato reso molto più stringente in forza di alcuni

interventi legislativi sia nel settore dell’edilizia pubblica che in quello

della privata, su cui si avrà modo di ritornare in seguito.

La natura privatistica ha comportato enormi vantaggi per l’ente

in questione poiché lo ha reso doppiamente flessibile. In primo luogo

capace di adeguarsi, con leggere modifiche statutarie, alle differenti

realtà territoriali; in secondo luogo capace di recepire

immediatamente, senza mediazioni, le esigenze della contrattazione e

le nuove prestazioni ad essa demandate.

Ultima ma non meno importante è la loro dimensione

territoriale. Il sistema delle Casse Edili ha una sfera di intervento

articolata su di un territorio provinciale. Se questo da un lato ha

aumentato i margini di discrezionalità nella loro gestione e nelle

prestazioni erogate ai lavoratori, d’altro canto ha reso questi enti

paritetici fisicamente molto più vicini agli operatori del settore.

E’ inoltre uno sviluppo naturale del sistema produttivo edile,

poiché il segmento di mercato a cui un’impresa si rivolge,

67 L’apparato legislativo ha però conferito a questi enti alcune funzioni tipiche degli enti previdenziali pubblici (INAIL ed INPS) mediante la legge n° 55/90 e la legge n° 415/98, come analizzeremo più dettagliatamente in seguito.

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difficilmente supera i confini di una provincia, in natura della piccola

mole di molte imprese.

Va però fatto notare che oggi, da un lato per le accresciute

possibilità di comunicazione, dall’altro per la maggiore facilità degli

spostamenti, il mercato di riferimento di un’impresa anche di piccole

dimensioni è diventato di taglio regionale, evidenziandosi una

concentrazione dei lavori soprattutto nelle zone più industrializzate e

nei grandi capoluoghi di provincia.

Quella che è stata dunque la dimensione congeniale per molti

anni, determinata più da un’evoluzione naturale del tessuto

imprenditoriale che da una scelta politica del settore, sembra oggi

ripensabile in scala regionale alla luce dei mutamenti intervenuti nel

mercato dell’edilizia.

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3.3.1 La qualificazione delle imprese

Tra le nuove funzioni assolte dal sistema delle Casse Edili,

certamente importante è quello della qualificazione delle imprese. Lo

sviluppo incessante che ha avuto la filosofia della qualità soprattutto

negli anni novanta, ha comportato il suo consolidamento in tutti i

settori industriali, edilizia compresa.

La normativa corrente in base alla quale si è sviluppato il

sistema di qualità è la UNI EN ISO 9000; a fondamento di questa

normativa vi è il concetto di qualità. La qualità di un prodotto è intesa

come soddisfacimento delle aspettative del cliente o soddisfacimento

delle specifiche contrattuali o della fetta di mercato a cui il prodotto si

rivolge68.

La qualità è così un concetto relativo e fare qualità equivale ad

ottenere (nel target di mercato cui ci si rivolge) un prodotto con

caratteristiche continue e definite in base ai requisiti attesi. Poiché la

missione dell’impresa è fare utili, è necessario un allineamento tra i

risultati ottenuti e requisiti attesi. Una qualità superiore a quella attesa

è un costo aggiuntivo, mentre una qualità inferiore porta alla perdita di

quote di mercato.

Ogni azienda sviluppa così il proprio prodotto in modo tale da

ottenere più consensi possibili nella nicchia produttiva da lei occupata.

La situazione ideale è di perfetto allineamento tra qualità ottenuta e

68 C.Fossi e G.Bernardi “I sistemi qualità nelle imprese di costruzioni” Edilstampa 1993 Roma

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qualità attesa. Si instaura così un circolo virtuoso per cui le aziende

sono in concorrenza nell’offrire prodotti che soddisfino più aspettative

o le soddisfino in modo migliore, fermo restando il vincolo di

economicità nella scelta del consumatore.

Nell’edilizia il concetto di qualità viene a configurarsi in

maniera del tutto particolare. Nel settore edile ed in particolare nelle

opere pubbliche, le prestazioni delle opere sono, almeno in parte,

stabilite prima che l’impresa appaltatrice intervenga. Le prestazioni di

una costruzione sono infatti stabilite a priori dalla normativa tecnica

nazionale e dal singolo progetto dell’opera; all’impresa edile spetta la

realizzazione dell’opera utilizzando al meglio i fattori della

produzione e cercando di garantire la realizzazione nei tempi e

soprattutto nei prezzi fissati in sede d’appalto.

La qualità nell’impresa edile viene così a configurarsi più come

qualità di processo che di prodotto, concretizzata più come attività di

formazione, sicurezza ed organizzazione d’impresa che come

soddisfazione delle aspettative del consumatore. L’attività formativa

permette di avere una manodopera sempre più specializzata e pronta

all’uso dei nuovi materiali e soprattutto sempre più consapevole dei

rischi che corre in un settore che, oltre ad essere caratterizzato da un

lavoro per natura intrinseca usurante, è anche il settore più soggetto a

infortuni sul lavoro e a decessi per morti violente.

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Per procedere con pulizia analitica è bene prendere atto del fatto

che il mercato dell’edilizia si presenta polarizzato in due realtà

profondamente diverse: un mercato pubblico ed un mercato privato.

Il mercato pubblico è composto dall’edilizia pubblica e

dall’edilizia agevolata. In questa fetta di mercato il committente è lo

Stato in tutte le sue articolazioni, e generalmente affida i lavori di

costruzione ricorrendo ad una selezione tramite appalto.

Tra i vari parametri per la selezione dell’impresa e la

conseguente aggiudicazione dell’appalto, in seguito alla bufera

giudiziaria che ha investito l’Italia nei primi anni novanta e che ha

visto il settore delle costruzioni tra i più danneggiati, la legge quadro

n° 109/9469 ha decretato come parametro fondamentale, per esigenze

di trasparenza, la logica del massimo ribasso rispetto a quello posto a

base di gara.

Questa legge ha previsto che i soggetti esecutori devono essere

qualificati e professionalizzati; cosicché per accedere alle gare

d’appalto è necessario che la imprese in gara siano certificate

conformemente alle norme UNI EN ISO 9000 e siano iscritte all’Albo

dei costruttori70.

La legge n° 415/98, recependo le indicazioni già date dalla

legge antimafia n° 55/90, ha ulteriormente aumentato la rete di

garanzie che l’impresa deve possedere, aggiungendo a queste una

certificazione di regolarità contributiva presso gli enti preposti alla 69 “Codice degli appalti pubblici e privati” Il sole 24 ore Milano 1999.

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tutela del lavoratore (INPS, INAIL e Casse Edili) che viene estesa

anche a tutte le imprese subappaltanti una o più parti del progetto. Il

legislatore ha voluto così promuovere la maggior trasparenza possibile

nelle gare d’appalto, garantendo però la qualità delle imprese

appaltatrici tramite le certificazioni.

L’evoluzione della normativa ha così investito le Casse Edili di

una nuova funzione: quella di certificare lo stato contributivo di una

impresa iscritta. Questi enti, essendo il luogo deputato

all’accantonamento di tutti i contributi, compresi quelli per

formazione e sicurezza, di fatto sono stati chiamati a testimoni delle

imprese presso di loro iscritte, potendo operare, in base ai dati da esse

posseduti, un controllo indiretto sulla qualità, attraverso l’analisi dei

servizi resi all’impresa per attività di formazione e sicurezza.

Rientra in quest’ottica la proposta del Documento Unico di

Regolarità Contributiva (DURC)71, già messo a punto in alcune

regioni del centro Italia72. Questo documento introduce una nuova

logica di servizio alle imprese per gli adempimenti burocratici da esse

sostenuti, e per il controllo dei livelli di legalità contributiva ed

organizzativa delle imprese. Prevede infatti la creazione di uno

sportello unico tra INAIL, INPS e Casse Edili per il rilascio della

certificazione e per garantire la raccolta dei dati in maniera uniforme. 70 La legge n° 415/98 ha stabilito la cassazione dell’attività dell’albo dei costruttori decretandone la chiusura entro il 31/12/1999 ed affidando la sua attività alle società d’accreditamento autorizzate (SOA) 71 AA.VV “Riforme in cantiere” a cura della FILCA CISL 1999.

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Tutto ciò presuppone una omogeneità dei dati e la creazione di un

sistema informatico che ne consenta l’incrocio immediato.

L’efficacia di un documento così strutturato risiede

primariamente nel fatto che si possono vincolare le aziende, senza

soffocarle, ad una maggiore trasparenza. Rappresentando tra l’altro

una barriera all’ingresso delle gare d’appalto, di fatto promuove e

qualifica un’impresa appaltatrice non tanto sul prodotto finito, quanto

sul processo. In questo caso il processo è rappresentato dall’insieme di

azioni e comportamenti, necessari all’ultimazione dell’opera,

legalmente e fiscalmente corretti, e sicuri per gli addetti ai lavori.

La fetta di mercato più grande è però rappresentata dai lavori

per la committenza privata, che vanno dall’edificazione alla

ristrutturazione degli edifici già esistenti. Ed è anche questa la fetta di

mercato in cui si cela maggiormente il lavoro sommerso,

essenzialmente per due ordini di motivi.

In primo luogo questo tipo di lavori, disciplinato dalla legge n°

262/4273 che stabilisce le modalità e i termini dell’appalto privato e

del subappalto, per la natura privata dei soggetti contraenti fa si che

questi tendano invece a regolarsi informalmente.

In secondo luogo va considerato l’elevato differenziale nei costi

tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, cui si deve aggiungere anche

l’alto livello di tassazione in cui incorrono le imprese che denunciano

72 Tali regioni sono Umbria, Marche ed Abruzzo. La messa in opera di questo documento è stata promossa da leggi regionali apposite, prima tra tutte l’Umbria con la legge n° 30/98 riguardante la ricostruzione delle aree colpite dal sisma. 73 “Codice degli appalti pubblici e privati” Il sole 24 ore Milano 1999.

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completamente il loro fatturato. In questo caso sia il comportamento

del committente che quello dell’appaltatore tendono a convenire

all’elusione e all’evasione per motivi economicamente vantaggiosi.

Eludendo infatti la fatturazione dei lavori, il costo gravante

sull’impresa diminuisce sensibilmente; di conseguenza diminuisce più

o meno proporzionalmente, anche il costo per la committenza. Una

ferrea legge dell’economia è che il produttore non vende ciò che il

mercato non compra: mentre negli altri settori industriali la qualità è

un valore, nel settore edile la qualità non è ancora economicamente

conveniente, poiché le attività di formazione e sicurezza fanno

purtroppo lievitare i costi. Qui va biasimato anche il comportamento

delle stazioni appaltanti, poiché la legge n° 415/98 prevede lo

scomputo dei costi per formazione e sicurezza, che devono essere

indicati ma non assoggettati alla logica del ribasso. Di questo

scomputo molte stazioni appaltanti ancora non hanno preso coscienza

e dato una funzionalità operativa.

Va inoltre rilevato che i lavori edili hanno già di per se un costo

elevato, e ciò determina un comportamento ancor più economicistico

nel committente.

Per risolvere questo problema e far emergere una parte

consistente del lavoro sommerso non sono sufficienti né le misure

repressive e i controlli, né la promozione culturale della legalità.

Poiché i comportamenti sul mercato sono determinati da fattori

soprattutto economici, occorre introdurre degli elementi che rendano

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economicamente conveniente il comportamento fiscalmente e

moralmente corretto.

Un esempio calzante è il provvedimento governativo collegato

alla legge n° 449/9774 (la legge finanziaria 1998) che concede ai

committenti dei lavori di ristrutturazione una detrazione fiscale

sull’imposta IRPEF. Questa legge permette infatti di detrarre

dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) il 41% delle

spese sostenute per i lavori di manutenzione o recupero edilizio

fissando alcuni parametri di spesa ed ambiti soggettivi di applicazione.

Per ottenere lo sgravio fiscale occorre compilare un modulo

approntato dal Ministero delle Finanze a cui va affiancata la

dichiarazione d’inizio attività (DIA), che viene convalidata dopo 90

giorni di silenzio-assenso della pubblica amministrazione. In questo

modulo occorre anche specificare l’impresa appaltatrice, e

quest’ultima deve dichiararsi disposta ad adempiere a tutti gli obblighi

della normativa contrattuale in termini di sicurezza e contribuzione.

Ogni violazione riscontrata nell’adempimento degli obblighi

contrattuali determina il decadere del beneficio fiscale per il

committente.

Tramite queste misure fiscali si possono conseguire anche altri

obiettivi: qualificare l’offerta e incentivare la domanda. Un

comportamento fiscalmente scorretto è infatti tanto più conveniente

quanto più un’impresa si posiziona in una situazione d’irregolarità.

74 “Codice degli appalti pubblici e privati” Il sole 24 ore Milano 1999

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Questo genere d’interventi premia le imprese qualitativamente

migliori poiché elimina da questa fetta di mercato le imprese che

fanno concorrenza sleale. Inoltre attraverso la defiscalizzazione di

questo segmento di mercato, molti committenti potenziali possono

incrementare la domanda di recupero edilizio.

Di fatto, per far si che l’attività delle Casse Edili possa svolgere

un’azione di qualificazione verso l’offerta delle imprese che lavorano

nel settore privato, la strada da seguire con successo è quella di una

contribuzione premiale. Le imprese che investono in sicurezza e in

formazione, regolari nei versamenti, potrebbero così godere di una

riduzione sui contributi accantonati presso la Cassa Edile.

Alleggerendo così i costi che le imprese devono sostenere,

sarebbe prevedibile l’emersione di una fetta consistente del lavoro

attualmente sommerso e, diminuendo la concorrenza sleale, fatta sui

costi di formazione e sicurezza, le imprese fiscalmente in regola ne

avrebbero un indubbio giovamento.

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3.3.2 La previdenza integrativa

Tra le nuove direttrici di sviluppo riguardanti le attività delle

Casse Edili, quella della previdenza integrativa è senza dubbio la più

importante.

Dall’inizio degli anni ottanta i sistemi di sicurezza sociale

hanno manifestato crescenti difficoltà in tutti gli stati europei. Da un

lato l’incessante aumento delle aspettative di vita ha causato una

crescita delle prestazioni in particolare quelle pensionistiche, mentre il

crescere del reddito ha comportato una espansione della domanda e

delle spese sanitarie; dall’altro la crescente disoccupazione, unita alla

diminuzione degli occupati regolari e degli inquadramenti del rapporto

di lavoro in contratti di tipo subordinato a tempo indeterminato, ha

diminuito di molto il gettito contributivo.

Questi fenomeni, con caratteristiche e pesi diversi nei vari paesi,

hanno determinato gli squilibri della finanza pubblica che hanno

investito pressoché tutti i paesi europei.

Nel nostro paese tali fenomeni hanno assunto dimensioni

particolari; l’invecchiamento della popolazione è tra i più accentuati,

la caduta della contribuzione è determinata sia dall’alto tasso di

disoccupazione, sia dalla forte crescita del lavoro autonomo e

irregolare; il disavanzo ed il debito pubblico sono tra i più alti della

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media europea a causa di una politica di spesa pubblica “facile” che ha

caratterizzato tutti gli anni ottanta.

E’ solo con la crisi valutaria del 1992 che il nostro paese

comincia ad intervenire sulle prestazioni sociali. La necessità di

interventi sul welfare volti ad un risparmio di spesa ha comportato una

prevalenza di misure restrittive sul sistema pensionistico.

Il primo intervento è stato il decreto legislativo n° 503/92:

avvenuto sotto il governo Amato si caratterizzava per la salvaguardia

delle norme preesistenti per i lavoratori con almeno 15 anni di

contribuzione, e per una diminuzione sensibile della copertura

pensionistica per quelli con contribuzione inferiore e per i nuovi

assunti.

Il periodo di riferimento per questi ultimi diviene l’intera vita

lavorativa e mentre i requisiti di accesso alla pensione d’anzianità

restavano a 35 anni di contribuzione, quelli per la pensione di

vecchiaia erano innalzati a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne,

con requisito minimo di contribuzione pari a 20 anni. Per la tutela dei

giovani, i più colpiti dalla riforma pensionistica, il governo Amato col

decreto legislativo n° 124/93 introdusse i fondi pensione integrativi.

Un ulteriore passo è stato fatto con la legge n° 335/95 del

governo Dini; gli aspetti principali della riforma sono: l’introduzione

di un sistema di calcolo contributivo piuttosto che retributivo, la

conferma della suddivisione tra soggetti giovani e soggetti anziani,

l’introduzione di un requisito anagrafico per le pensioni di anzianità,

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un’accelerazione del processo di armonizzazione tra settore pubblico e

settore privato, un rilancio della previdenza integrativa.

La copertura pensionistica non viene più calcolata sugli ultimi

anni di vita lavorativa ma sulla base dell’intera vita lavorativa

stabilendo così un rapporto tra contributi versati e rendita

pensionistica percepita.

Ultima ma non meno importante è la legge n° 449/97 che

prevede un’armonizzazione della normativa del settore pubblico con

quello privato; viene confermata l’impostazione della legge n° 335/95,

resta il requisito di 35 anni di contributi ma il requisito anagrafico a 57

anni viene anticipato nell’entrata in vigore al 2002 anziché al 2006, sia

per il settore pubblico che per quello privato.

Il cammino che ha intrapreso la normativa in materia di

previdenza ha comportato una sensibile riduzione del grado di

copertura pensionistica; a fronte di questa riduzione, l’introduzione di

un sistema di previdenza integrativa è divenuto una necessità.

Grazie al decreto legislativo n° 124/93 corretto con la legge n°

335/95 è stata così introdotta la previdenza integrativa su base

contrattuale; i lavoratori potranno quindi decidere di integrare la loro

pensione pubblica destinando parte del loro risparmio, quote di

trattamento di fine rapporto e spazi contrattuali alla previdenza

integrativa. E’ questa una prospettiva rivoluzionaria per il nostro paese

caratterizzato da un mercato finanziario asfittico e selettivo.

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La necessità dei fondi pensione integrativi, già esistenti e

funzionanti su altri mercati finanziari75, gioverà al mercato portando

nuovo risparmio e nuovi soggetti investitori e garantendo maggior

concorrenza.

Il recente decreto ministeriale del lavoro n° 221/97 ha infine

stabilito gli elementi essenziali dello statuto, le procedure di

autorizzazione e gli schemi di convenzione di gestione.

Il quadro normativo indica una netta preferenza per la gestione

indiretta delle risorse a favore di intermediari finanziari abilitati; tali

soggetti sono individuati in:

a) soggetti autorizzati all’esercizio della attività di gestione di patrimoni

mediante operazioni aventi per oggetto valori mobiliari ( SIM, banche

e società fiduciarie)

b) imprese di assicurazione

c) società di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare.

La contrattazione del settore edile, dopo alcune significative

esperienze limitate ad artigiani e addetti al comparto del legno76, ha

ora avviato la costituzione di un fondo pensione per tutto il settore

edile di dimensione nazionale.

E’ stato funzionale alla costituzione del fondo l’accordo

18/12/1998, raggiunto dalle associazioni imprenditoriali del settore 75 L’esperienza dei fondi pensione e diffusa soprattutto nei paesi anglosassoni nei quali la borsa capitalizza buona parte del PIL.

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per promuovere una politica contrattuale comune; ciò comporterà una

unità di rappresentanza al sistema degli enti paritetici comprendente

altre associazioni artigiane del sistema edile.

Le fonti istitutive di questo fondo sono così tutte le associazioni

sindacali e tutte le organizzazioni imprenditoriali di settore, ed è

assunta come finalità istituzionale quella di realizzare una pensione

complementare a quella pubblica e non ha fini di lucro.

Soci del fondo diventano tutti i lavoratori che vi aderiranno

volontariamente e le imprese che hanno soci lavoratori del fondo. Sia

la quota di iscrizione che i contributi versati sono divisi

pariteticamente tra impresa e lavoratori.

L’ultimo contratto nazionale di categoria, firmato il 29 Gennaio

2000, ha finalmente delineato la struttura amministrativa e gestionale

del fondo, entrambe sono affidate ad organismi paritetici.

L’Assemblea dei delegati è pariteticamente composta da

membri eletti direttamente e distintamente dai lavoratori soci e dalle

imprese associate: ha la funzione di approvare il bilancio e la relazione

del consiglio di amministrazione, nonché di designare i componenti di

quest’ultimo. E’ anche suo il diritto di determinare la percentuale delle

contribuzioni da destinare al fondo, modificare lo statuto e liquidare il

fondo.

Il Consiglio di amministrazione è composto da un minimo di 12

e un massimo di 16 membri, sempre in misura paritetica e devono

76 Per gli addetti del legno e stato infatti stato creato il fondo ARCO.

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essere in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità stabiliti

dal decreto ministeriali n° 211/97.

Tra le loro attribuzioni vi è l’elezione della Presidenza e

Vicepresidenza, l’individuazione degli indirizzi per la gestione e

l’organizzazione del fondo. Redige inoltre e sottopone

all’approvazione dell’Assemblea il bilancio, decide i criteri generali

per la ripartizione del rischio in materia della gestione delle risorse e

stipula le convenzioni con i soggetti accreditati. Ha inoltre ampi poteri

di controllo nominando un dirigente responsabile del fondo, vigilando

i possibili conflitti di interesse e predisponendo i regolamenti

sanzionatori e la certificazione dei bilanci attraverso una società di

revisione.

Presidente e Vicepresidente sono eletti dall’Assemblea,

nell’ottica dell’alternanza tra le fonti istitutive. Il Presidente ha la

rappresentanza legale del fondo e sovrintende al funzionamento di

esso convocando e presiedendo il Consiglio di amministrazione.

Intrattiene inoltre i rapporti con la Commissione di vigilanza.

Il Collegio dei revisori contabili è composto da 4 membri

designati pariteticamente in possesso dei requisiti di onorabilità del

suddetto decreto e devono essere iscritti al Registro dei revisori

contabili istituito presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Espleta

compiti di sorveglianza e trasparenza riguardo i bilanci, segnalando le

irregolarità di amministrazione alla Commissione di vigilanza.

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Dato un fondo così strutturato, stabilita la natura a

capitalizzazione, la gestione di questo non potrà che essere orientata al

maggior rendimento possibile, fermi restando gli strumenti e le regole

per la minimizzazione del rischio. Su questo punto la volontà del

legislatore di tutelare i soci del fondo è evidente, data la scelta della

gestione indiretta tramite le società accreditate.

Essendo un fondo di pensione complementare77 si differenzia

dalla previdenza pubblica in quanto mentre il primo utilizza il metodo

a capitalizzazione, in cui i contributi versati si configurano come

riserve finanziarie utilizzate da coloro che ne sono i titolari,

quest’ultima ha il suo fondamento nel sistema a ripartizione, in cui i

contributi periodicamente versati non vengono accantonato ma sono

impiegati per il pagamento delle prestazioni. Inoltre la dimensione

nazionale del fondo dovrebbe garantire una certa consistenza del

patrimonio di questo, tale da non comprometterne la redditività.

Lo stesso Consiglio d’amministrazione del fondo ha solamente

funzioni d’indirizzo; la certificazione dei bilanci e l’attività di

vigilanza sono esterne al fondo, i gestori restano comunque le società

accreditate. Queste ultime, a loro volta sottoposte alle vigilanza degli

enti preposti (Bankitalia, CONSOB e ISVAP), non potranno che

essere orientate ad una gestione conservatrice e tradizionale di questi

fondi.

77 G. Baglioni “Democrazia impossibile” Il Mulino Bologna 1995.

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Va inoltre menzionato che la presenza sul mercato di questi

nuovi investitori istituzionali, aumenta in primo luogo gli spazi ed il

potere contrattuale dei lavoratori e dei loro rappresentanti, in quanto il

sostegno il sostegno finanziario che potrebbe essere apportato alle

aziende statali in via di privatizzazione, consente di attivare al di la

dello scambio economico anche altri scambi di tipo politico.

In secondo luogo si prefigura una democratizzazione

dell’economia, poiché verrebbe attuata una politica redistributiva di

reddito e di risorse salariali attraverso uno strumento del mercato

finanziario piuttosto che attraverso una manovra di spesa pubblica

gravante sulla collettività.

Nonostante queste note positive è possibile inoltrare una critica

all’apparato di previdenza che si è ora affermato. Che l’apparato

normativo abbia prediletto una gestione indiretta dei fondi di

previdenza integrativa ha determinato certo una diminuzione del

rischio, ma ha anche frenato un possibile circolo virtuoso che si

sarebbe potuto innescare nel settore edile.

Come non notare inoltre la forte analogia che c’è, per struttura

e per modalità di gestione, tra il fondo pensione complementare e il

sistema delle Casse Edili. Gli spazi concessi dalla legislazione

all’attività di queste ultime sono limitati alla raccolta delle quote

associative cui vanno ad aggiungersi gli accantonamenti per il

trattamento di fine rapporto.

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In più, data la composizione di per se paritetica del consiglio

d’amministrazione, questo potrebbe essere costituito, se non

interamente almeno in parte, dai componenti del comitato di gestione

della CNCE, data la dimensione nazionale del fondo e la loro

esperienza riguardo la certificazione dei bilanci e la conoscenza delle

problematiche in cui il settore incorre.

Se si fosse presa in considerazione l’idea di far gestire dal

sistema delle Casse Edili, oltre alla raccolta, anche il piano degli

investimenti attuabili, il settore ne avrebbe tratto un indubbio

giovamento. Questo perché il sistema delle Casse Edili possiede già

una certificazione dei bilanci e perché alcune di esse già accantonano

territorialmente i trattamenti di fine rapporto.

Fermo restando lo scopo istituzionale di ottenere un rendimento

finanziario almeno in linea con la media dei rendimenti possibili sul

mercato e diversificando un portafoglio del fondo con investimenti tali

da coprire un certo margine di rischio, sarebbe stato possibile ed

auspicabile investire parte di queste risorse in opere di pubblica utilità.

I campi di intervento individuati sarebbero molteplici: il project

financing, la partecipazione in società pubbliche e l’edilizia sociale.

Uno dei settori di investimento più redditizi sarebbe stato quello

del project financing: questo tipo di investimento, consistente nel

finanziamento di opere di interesse collettivo destinate a produrre

rientri di gestione, è stato istituito dal decreto legislativo n° 406/91. La

concessione dell’appalto ha come controprestazione a favore

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dell’impresa o dell’ente concessionario il diritto di gestire l’opera.

Sarebbe stato allora possibile investire parte del fondo di previdenza

complementare edile all’interno del settore stesso, con grandi vantaggi

in termini di occupazione e di tutela sindacale.

Anche il finanziamento dell’edilizia sociale avrebbe comportato

per il settore le stesse agevolazioni in termini di rendimento e di

occupazione, con il vantaggio ulteriore di fornire spazi abitabili per le

categorie sociali più disagiate quali anziani e studenti fuori sede. Alla

luce poi dei recenti sviluppi del fenomeno immigratorio che ha

investito il nostro paese in questi ultimi anni, era quanto meno

auspicabile attraverso queste forme di autofinanziamento utilizzare

delle risorse per integrare in maniera sostanziale tutti quei lavoratori

immigrati, che in alcune province italiane risultano essere in

maggioranza dei lavoratori indigeni, e che subiscono una forte

discriminazione abitativa con tutta una serie di fenomeni sociali di

devianza che poi si ripercuotono immancabilmente sulla sicurezza

sociale.

Va inoltre fatto notare che la stragrande maggioranza dei

lavoratori immigrati in Italia si ritrova, per problemi legati alla lingua

o alla scarsa e non riconosciuta scolarizzazione, impiegata nel settore

edile che per necessità oggettive di mancanza di manodopera, e per la

facilità di accesso e la pur cospicua retribuzione contrattuale, opera da

raccoglitore di una percentuale sensibilmente elevata di questi addetti.

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Di fatto la gestione dei fondi integrativi da parte delle società

accreditate se da un lato ha dato maggiori garanzie, dall’altro ha in

primo luogo diminuito la redditività degli investimenti per coprire i

costi di intermediazione, in secondo luogo ha allontanato molte risorse

utili dal settore.

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3.3.3 Il controllo interno del mercato del lavoro

Il settore edile è da sempre stato caratterizzato da un mercato

del lavoro anomalo rispetto agli altri comparti industriali.

Data la sua capacità di assorbire manodopera non qualificata,

stagionale e fortemente propensa alla mobilità, l’edilizia ha

rappresentato un naturale bacino di passaggio per i lavoratori dal

settore agricolo al settore industriale, ed è stato da sempre utilizzato

con funzione anticiclica ed anticongiunturale, data la sua capacità di

stimolo per gli altri settori ad essa collegati.

A partire dagli anni cinquanta il settore edile ha però subito

rapidi processi evolutivi, che hanno modificato fortemente la natura

delle imprese di costruzioni e la struttura occupazionale del settore.

Centrale in questo processo evolutivo è stata l’innovazione

tecnologica78 nei mezzi e soprattutto nei materiali da costruzione. Ad

opera del cemento armato prima e delle carpenterie metalliche poi,

l’erezione di un edificio è stata scomposta in molteplici fasi lavorative

tra loro interdipendenti; ciò ha comportato un accorciamento dei tempi

di costruzione ed un aumento della produttività all’interno del

78 L. Bellardi “Relazioni industriali e contrattazione collettiva in Italia” Cacucci Editore Bari 1995

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cantiere, reso possibile dall’esecuzione in parallelo di più fasi

lavorative eseguite da differenti squadre di lavoro.

La stessa figura dell’operaio generico si è sempre più

professionalizzata e specializzata in base alle mansioni svolte sul

lavoro (carpenteria, messa in opera del ferro e muratura) e l’unità

produttiva di base è divenuta la squadra, composta da un operaio

specializzato intorno al quale ruotano un numero più o meno ampio di

apprendisti, lavoratori semi qualificati e manodopera generica addetta

prevalentemente al trasporto dei materiali.

L’innovazione tecnologica che a partire dagli anni settanta

investe soprattutto i materiali utilizzati per la fase di rifinitura e per la

realizzazione degli impianti accessori, crea una ulteriore

parcellizzazione della manodopera. L’introduzione di questi nuovi

materiali (intonaci plastici e pitture) determina l’emergere di nuove

figure operaie, la cui specializzazione è sempre più legata al materiale

utilizzato ma dalla professionalità piuttosto contenuta.

Questa evoluzione tecnologica ha forti ripercussioni sulla

struttura delle imprese e sull’organizzazione del lavoro all’interno dei

cantieri.

Nella struttura delle imprese si assiste ad una polarizzazione

sempre più marcata tra imprese medio-grandi e imprese piccole: il

tramonto dell’impresa generale di costruzioni, determinato

dall’evoluzione tecnica dei materiali, trasforma le grandi imprese in

general contractors, il cui lavoro, dopo aver ottenuto l’appalto consiste

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soprattutto nell’ottimizzazione dei fattori di produzione impiegati

flessibilmente di volta in volta.

D’altro canto l’aumentata indipendenza delle mansioni79

comporta la nascita di molte microimprese (da uno a cinque addetti),

evoluzione delle squadre di cottimisti che rilevano piccoli lavori in

subappalto. L’enorme incremento di queste piccole realtà produttive é

dovuto ancor prima che all’evoluzione tecnologica, alla mancanza di

una continuativa pianificazione di opere pubbliche e alla centralità sul

mercato immobiliare dei lavori di ristrutturazione e manutenzione

degli stabili già esistenti: si ha così un’evoluzione in senso artigianale

di molte imprese edili, testimoniata dall’aumento del numero delle

imprese a parità del numero degli occupati nel settore.

Il tessuto produttivo del settore viene a configurarsi così

sempre più polverizzato e decentrato, composto da un numero esiguo

di medie imprese e da una miriade di piccole e piccolissime imprese

caratterizzate da un uso flessibile della manodopera e da

microimprenditorialità diffusa.

In un settore come quello edile caratterizzato da una flessibilità

strutturale del lavoro e da una frammentazione del tessuto produttivo,

nonché da dinamiche di natalità e di mortalità imprenditoriale molto

più accelerate che negli altri settori produttivi, la gestione dei rapporti

di lavoro è stata da sempre un grave problema.

79 L. Bellardi “Relazioni industriali e contrattazione collettiva in Italia” Cacucci Editore Bari 1995

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Va inoltre considerato che l’evoluzione tecnologica, che ha

spinto le imprese edili ad esternalizzare molte fasi del lavoro

all’esterno del cantiere, ha polverizzato ulteriormente il settore,

determinando un incremento preoccupante del lavoro sommerso.

Le normative che disciplinano il rapporto di lavoro non hanno

saputo far fronte a tutte queste esigenze di flessibilità e di dinamicità,

favorendo e rendendo a volte anche una necessità l’elusione della

normativa.

Solo in tempi recenti i governi e la contrattazione hanno cercato

di far fronte, grazie anche allo sviluppo del modello concertativo, alle

pressanti esigenze di competitività e flessibilità del mondo della

produzione.

Questa recente evoluzione della normativa riguardante i rapporti

di lavoro è stata determinata non solo dalle esigenze delle imprese, ma

anche dal pressante bisogno di lenire il problema della

disoccupazione, soprattutto quella giovanile ed in particolare nelle arre

depresse.

La strada seguita per incrementare l’occupazione è stata

duplice: da un lato si è cercato di rendere più immediato il raccordo tra

domanda ed offerta, snellendo le procedure di assunzione e

l’amministrazione dei servizi per l’impiego; dall’altro si è introdotto

un sistema premiale per facilitare le assunzioni, soprattutto quelle dei

lavoratori appartenenti alle fasce deboli.

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Del primo genere d’intervento fa parte la legge n° 223/91 che ha

riformato le procedure d’avviamento al lavoro, liberalizzando le

assunzioni nominative (prima l’ordine d’assunzione era stabilito in

base alla legge n° 264/49 dalla graduatoria in lista del collocamento

pubblico).

Un decreto legislativo di svolta è il n° 511/96 che all’articolo n°

7 prevede la possibilità per gli uffici regionali e provinciali del lavoro

di stabilire convenzioni con enti pubblici ed enti bilaterali per la

costituzione di nuovi servizi per il monitoraggio del marcato del

lavoro, per l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro e per lo

svolgimento dei tirocini. Importante è anche la legge n° 608/96 che,

facendo salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti in base al

decreto legislativo n° 511/96, ha sostituito il nulla osta con

comunicazione successiva alla sezione circoscrizionale per l’impiego.

Siamo così di fronte ad una serie d’interventi legislativi che si

susseguono rapidamente ed hanno come tendenza di fondo sia

l’allentamento dei vincoli nei confronti dei datori di lavoro privati, sia

il riconoscimento della diversificazione dei mercati del lavoro

regionali. Proprio riguardo quest’ultima tematica la legge n° 59/97 (la

legge Bassanini), seguita al patto per il lavoro del 1996 tra governo,

sindacati ed imprenditori, ha decentrato alle regioni tutte le attività

svolte dagli uffici periferici del ministero del Lavoro riguardanti i

servizi per l’impiego.

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Ultimo e più importante è il decreto legislativo n° 469/97 che

prevede un sistema di servizi per l’impiego basato sul concetto di

servizio all’utenza, regionalizzato e fortemente informatizzato, e

soprattutto aperto ai privati, ammessi a gestire il servizio del

collocamento purché dotati di sufficienti garanzie: l’autorizzazione è

concessa dal Ministero del Lavoro a tutti quei soggetti privati che ne

fanno domanda, che possiedano almeno 200 milioni di capitale

versato, dotati dei requisiti organizzativi necessari e con oggetto

sociale esclusivo quello dell'intermediazione di lavoro.

Vengono inoltre create come sedi di concertazione le

“Commissioni permanenti tripartite”, sia al livello regionale che

provinciale, con funzioni di pianificazione, attuazione e verifica di

tutte le politiche del lavoro di competenza territoriale.

Del secondo genere d’interventi, che mirano alla creazione di

nuovi posti di lavoro e ad un uso più flessibile della manodopera,

fanno parte i nuovi contratti di lavoro a tempo determinato. Il

contratto a tempo indeterminato, l’unico esistente fino a poco tempo

fa, è stato affiancato da nuovi tipi di contratto quali l’apprendistato e il

contratto di formazione lavoro.

L’apprendistato è nato per favorire il passaggio dei giovani

dalla scuola al luogo di lavoro; è un rapporto di lavoro in forza del

quale l’imprenditore è obbligato ad impartire al dipendente

l’insegnamento necessario per acquisire le capacità tecniche

necessarie per divenire un lavoratore qualificato.

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Originario del 1955 l’ultima modifica risale alla legge n° 196/97

che ha esteso la disciplina dell’apprendistato a tutte le attività

produttive. Tale contratto riguarda tutti i giovani compresi tra i 16 ed i

24 anni, l’assunzione può essere sia a tempo parziale che a tempo

pieno ed è stabilito un limite di assunzioni pari al numero dei

lavoratori qualificati già presenti nell’azienda. La durata del contratto

è compresa tra i 18 mesi ed i 4 anni ed i datori che stipulano questo

tipo di contratto sono esentati dai contributi previdenziali (sostituiti

con una quota fissa); questa agevolazione contributiva è mantenuta

anche per l’anno seguente se il contratto d’apprendistato da luogo in

seguito ad una contratto a tempo indeterminato. Queste agevolazioni

contributive vengono riconosciute solo se i lavoratori apprendisti

partecipino ad iniziative di formazione esterne all’impresa e previste

dai contratti nazionali di lavoro (almeno 120 ore annue).

Il contratto di formazione lavoro, istituito dalla legge n° 863/84,

è stato anch’esso modificato dalla legge n° 169/97. Destinatari di

questo contratto sono i giovani compresi tra i 16 ed i 32 anni e tra i

datori di lavoro, oltre ai privati, rientrano anche enti pubblici

autonomi, enti di ricerca ed associazioni di vario tipo. Il contratto può

essere sia a tempo parziale che tempo pieno e si differenzia in base

alle professionalità acquisite, alle agevolazioni contributive ed alle ore

di formazione necessarie. Alla fine del rapporto di lavoro il datore

rilascia un attestato di professionalità e trasmette alla commissione

territoriale per l’impiego la certificazione dei risultati raggiunti dal

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contrattista. Il contratto di formazione lavoro può anche essere

convertito a tempo indeterminato, ferme restando le agevolazioni

contributive nei limiti di tempo stabiliti.

Le associazioni sindacali, a cui va riconosciuto un grande

impegno nell’aver modificato, di concerto con governo ed

imprenditori, il sistema occupazionale, sembra però non aver colto

pienamente le possibilità create dall’evoluzione della normativa,

soprattutto quella riguardante i nuovi servizi per l’impiego.

Modificatosi il tessuto produttivo, sempre più flessibile ed

atomizzato, modificatasi l’apparato normativo, con il proliferare di

nuove forme contrattuali, le associazioni sindacali non hanno fatto

seguire a questi cambiamenti proposte concrete ed operative. Le

resistenze che si pongono sono essenzialmente di tipo culturale, in

quanto ai sindacati viene chiesto in primo luogo di impegnarsi

ricoprendo un ruolo del tutto nuovo e sconosciuto per l’esperienza

italiana. In secondo luogo vanno ricordate le forti differenze

ideologiche tra le confederazioni sindacali, ognuna con la propria

storia, i propri referenti culturali ed i differenti orientamenti di valore.

Tutto ciò ha rallentato molto ma non ha impedito il nascere di

nuove esperienze, che rappresentano per ora pochi casi isolati ma

potrebbero divenire un punto di riferimento per prospettive più ampie.

Va inoltre ribadito che il settore edile si presenta avvantaggiato

rispetto agli altri settori grazie all’esperienza maturata tramite gli enti

bilaterali. Visti da sempre come un fattore di arretratezza del settore

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questi enti sono oggi di grande modernità per le implicazioni

concertative che ha assunto il sistema delle relazioni industriali

italiano.

Già decentrati territorialmente, Casse Edili e Scuole Edili

potrebbero essere, in virtù delle funzioni da loro assolte, gli enti

preposti ad una gestione del mercato del lavoro interna al settore edile.

Questi enti paritetici possiedono infatti molti dati relativi la

struttura delle imprese, la loro localizzazione, il numero e la

composizione per qualifica dei loro dipendenti, alcune Casse Edili

elaborano addirittura delle liste di mobilità dei lavoratori iscritti;

inoltre le Scuole Edili possono intervenire, oltre che come supporto

informativo, anche dal punto di vista operativo, formando in tempi

considerevolmente brevi le figure professionali più richieste dalle

imprese edili.

Un esempio positivo può essere considerato lo SPIC

(Segnalazione di Personale per le Imprese di Costruzione) nato a

Verona in base alla legge n° 511/97, gestito dalla Cassa Edile di

Verona e dall’Edilscuola di Verona. Ambedue gli enti sono

statutariamente senza scopi di lucro ed i costi di realizzazione e di

gestione del progetto sono a loro carico. Questo SPIC è un servizio

per l’impiego, con sede all’Edilscuola di Verona, che raccoglie

informazioni, ottenute tramite la compilazione di una semplice scheda,

i cui destinatari sono inoccupati, disoccupati, occupati fuori settore in

imprese edili non iscritte al sistema Casse Edili, lavoratori autonomi.

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Tutte le informazioni pervenute vengono immagazzinate e

registrate in un sistema informatico che collega Cassa Edile e

Fondazione Edilscuola; ciascun candidato resta presente in banca dati

per un periodo di 6 mesi e non viene registrato se risulta già iscritto in

Cassa Edile. Le imprese che vogliono ottenere informazioni possono

contattare telefonicamente o via fax l’Edilscuola indicando i requisiti

anagrafici e professionali che il candidato deve possedere.

Lo SPIC evade la richiesta dell’impresa inviando entro 24 ore la

lista dei lavoratori in possesso dei requisiti indicati. Sta all’impresa

contattare e selezionare i candidati e comunicare all’Ente Scuola

l’eventuale assunzione. Nel frattempo per i lavoratori che stentano a

trovare lavoro a causa della loro qualifica, l’Edilscuola provvede con

corsi di orientamento e formazione mirati a fornire le competenze

necessarie per favorire il loro accesso al lavoro.

Il settore edile veronese è il primo settore industriale a dotarsi di

un servizio di segnalazione di manodopera in grado di produrre una

fluidificazione del mercato del lavoro con grandi vantaggi per le parti

sociali. La finalità di questo servizio è duplice: da un lato aumentare

l’ingresso dei giovani in un settore che offre loro poche attrattive,

dall’altro cercare di attrarre nel settore del lavoro tutelato i lavoratori

edili che operano al di fuori di esso.

La grande mole di informazioni che perviene tramite le schede

d’iscrizione allo SPIC fornisce inoltre agli enti addetti alla formazione

del settore una vasta base di dati, utile per orientare le politiche

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formative, aumentando e garantendo così la professionalità all’interno

del settore. Oltre l’aver posto un utile collegamento tra ingresso al

lavoro e progressione professionale, si ha anche il vantaggio indiretto

di promuovere l’immagine del lavoro tutelato dal sistema delle Casse

Edili e dell’attività sindacale stessa.

E’ quindi auspicabile anche per le altre provincie la creazione di

organismi similari, così da formare una rete di servizi per l’impiego

gestita pariteticamente dalle parti sociali, utili per il reperimento di

informazioni relative al mercato del lavoro e tali da promuovere

interventi mirati, soprattutto in campo formativo.

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4. Conclusioni

Le Casse Edili sono ormai un’esperienza consolidata per il

settore. Se questi enti paritetici hanno resistito fino ad oggi,

certamente è dovuto ad un quid che li fa vivere, che ne garantisce la

continuità anche nel cambiamento.

Questo quid è rappresentato dalla loro funzione primaria: la

mutualità e la certezza dei costi per le imprese, la complementarità e

l’integrazione alla legislazione sociale per i lavoratori edili.

Anche se l’edilizia dovesse trasformarsi ulteriormente, il

sistema delle Casse Edili sarà sempre necessario per ottenere la

certezza di diritti, di doveri e di garanzie per gli imprenditori ed i

lavoratori del settore. La vera rivoluzione copernicana è l’idea di

organizzare la rete di tutele e diritti in funzione del rapporto che si

istaura con il settore piuttosto che con l’azienda; questa è la vera

peculiarità del sistema delle Casse Edili, che ha consentito a questo

strumento di essere in sintonia con le reali dinamiche di un settore

connotato da forte mobilità e flessibilità.

A questa funzione il sistema delle Casse Edili ha sempre assolto

egregiamente, estendendo la propria attività al di la di quanto stabilito

contrattualmente, mediante lo sviluppo di una serie di assistenze

integrative. Queste si sono sviluppate in tre filoni: promozione del

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diritto allo studio, forme di assistenza assicurativa privata ed infine lo

sviluppo di attività sociali e culturali dei lavoratori.

I risultati raggiunti sono lodevoli e di grande utilità per il settore

edile, ma si tratta solo di questo?

Evidentemente no poiché, come abbiamo visto, questi enti sono

suscettibili di molte evoluzioni, primo tra tutte la lotta al lavoro nero e

all’evasione contributiva. Lo scarto tra lavoro effettivamente

denunciato e lavoro effettivamente svolto è in aumento preoccupante

in tutti i settori e in quello edile in modo particolare. Le Casse Edili

possono combattere questo fenomeno mediante l’incrocio dei dati con

altri enti pubblici (INPS, INAIL e stazioni appaltanti) ed esercitando

un’azione di controllo della quale ha ormai preso coscienza anche

l’apparato legislativo mediante le leggi n° 55/90 e n° 341/95 che

istituiscono alcune agevolazioni contributive alle imprese in regola

con i versamenti ai vari sistemi di garanzie contrattuali.

Anche per la previdenza integrativa le Casse Edili

rappresentano uno strumento efficace per abbattere i costi di service,

per la raccolta dei contributi e come sistema informativo di supporto

all’attività del fondo pensione. Queste attività è stata molto facilitata

dall’adozione di un bilancio tipo proposto della CNCE e conseguente

certificazione dello stesso da parte di società di revisione accreditate

dalla CONSOB, che ha portato trasparenza nella gestione di questi

enti.

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Da non dimenticare poi la costituzione dell’Osservatorio di

settore che attinge i fondi e i dati necessari alla sua attività proprio dal

sistema delle Casse Edili. Queste possono infatti spiegare, in virtù dei

dati in loro possesso, l’articolazione interna, il rapporto tra

occupazione e struttura delle imprese, nonché favorire il raccordo tra

domanda e offerta di lavoro all’interno del settore.

Di fatto le Casse Edili rappresentano uno dei modelli

partecipativi più sviluppati nell’orizzonte italiano, nate dalla

contrattazione di settore ancor prima della ventata concertativi che ha

investito l’Italia negli anni novanta. Che questo sia un modello

concertativo è facilmente dimostrabile in quanto vi è la presa d’atto

che sussistono aree d’interesse comune tra le parti sociali

(riconoscimento che passa attraverso la costituzione di questi enti

terzi), si ha un utilizzo molto limitato dell’arma del conflitto e vi è

inoltre il superamento dell’indifferenza morale dei lavoratori nei

confronti dell’impresa che rappresenta un elemento importantissimo

della partecipazione.

Va però fatto notare che l’esperienza delle Casse Edili si

distacca molto, sia nella sua affermazione storica che nella prassi di

gestione, dalle altre esperienze di concertazione che hanno

caratterizzato il nostro paese.

Difatti tutte le esperienze realizzate in Italia dal settantasette ad

oggi hanno sempre avuto come soggetto promotore e come primo

attore quello pubblico: il Governo.

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Le parti sociali hanno avuto certamente un ruolo attivo nello

svolgersi delle trattative ma, sia la breve durata di queste esperienze,

sia l’estraneità della cultura sindacale italiana alle pratiche di

concertazione sociale, hanno fatto si che quanto realizzato fosse di

breve termine e dai risultati alquanto modesti. La mutata situazione

economico-finanziaria degli anni ottanta ha comportato invece una

riproposizione della concertazione sociale soprattutto nella sua

variante “tripolare”, con forte inclusione dei gruppi di interessi

organizzati e con un intervento alquanto netto e stringente dell’attore

pubblico. Questo indirizzo, perfettamente riscontrabile nei propositi

del protocollo del Luglio 1993, determina così un nuovo stato delle

reazioni industriali italiane, caratterizzatosi per la forte

centralizzazione delle decisioni maturate, per una politica dei redditi

calcolata sui scala aggregata e per un sistema sanzionatorio che rende

forse più breve ed efficace, ma di fatto anche molto meno flessibile, lo

strumento della concertazione sociale.

Le direzioni in cui invece lo strumento della concertazione

sembra evolversi più efficacemente sono quelle caratterizzate dalla

dimensione meso e micro, ovverosia al livello territoriale ed

aziendale, che rappresentano le uniche due dimensioni capaci di

conciliare le domande di efficienza produttiva e di flessibilizzare della

manodopera proveniente dalle imprese senza intaccare più del dovuto

la rete di garanzie contrattuali e le esigenze di sicurezza sociale

proprie del mondo del lavoro.

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Nel panorama delle reazioni industriali italiane l’esperienza

delle Casse Edili può così essere considerata una esperienza sui

generis, classificabile come un’esperienza meso-concertativa, in

comune con la prassi della concertazione ha: il compromesso e la

negoziazione continuata gli interessi rappresentati dalle due parti

costitutive individuata su una dimensione territoriale, la conseguente

assunzione di responsabilità e di comportamenti conformi agli

impegni presi, il continuo riferimento ad interessi che trascendono a

dimensione più propriamente territoriale.

Si distacca però dall’esperienza di concertazione sociale così

come si è affermata storicamente in Italia poiché mentre quest’ultima

è classificabile all’interno della variante che abbiamo prima definito di

tipo triangolare, il sistema delle Casse Edili sembra essere molto più

vicino per logica e caratteristiche ch’egli sono proprie, alla variante da

noi individuata come bilaterale.

Nell’esperienza di questi enti paritetici le promotrici e le garanti

del loro buon funzionamento sono sempre e solo state le controparti

sociali; queste hanno agito sempre in piena autonomia di scelta ed il

risultato che ne è scaturito, anche al prezzo di aspri e sanguinosi

conflitti, è un’esperienza unica nel suo genere. Si è avuta per molto

tempo e tuttora permane una sorta di “autogestione del settore” in

controtendenza agi orientamenti più generali che, sia da parte

imprenditoriale che sindacale, si rifacevano a teorie conflittualiste.

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Uno dei dati più salienti è stato il prevalere di un orientamento

pragmatico, che ha portato all’individuazione di una serie di

problematiche comuni alle controparti ed ha favorito l’esplicarsi di un

dialogo che, attraverso alterne vicende, non si è mai chiuso ma al

contrario si è sempre arricchito investendo sempre più campi d’azione

ed impiegato sempre maggiori risorse.

L’azione del terzo attore, quello pubblico, non è stata mai

determinante poiché sussistenza e legittimazione delle Casse Edili

sono sempre passate per la contrattazione di settore, sia di primo che

di secondo livello. La bilateralità di questi enti ha di fatto favorito lo

sviluppo del dibattito sui problemi del settore senza caricarlo di

ingerenze da parte di autorità terze ed esterne a quest’ultimo e

rappresenta quindi uno dei punti forti di questa esperienza,

caratterizzata da una interpretazione della concertazione differente

dalla variante triangolare, intesa come prassi dell’agire politico.

All’attore pubblico è stato riservato un ruolo di rifinitore e di

copertura legislativa delle decisioni già prese, azione che alcune volte

è stata anche insufficiente e inferiore alle aspettative. Va puntualizzato

poi che in base al principio di sussidiarietà da noi preventivamente

concettualizzato, l’organismo statale non ha fatto che trarre

giovamento da questa delega funzionale al governo del settore poiché

in termini di qualificazione delle imprese e di regolarità contributiva

tutto ciò si è manifestato in una emersione di lavoro nero che ha

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portato ad un extra gettito contributivo in termini di tassazione e

contribuzione.

Altra caratteristica del sistema delle Casse Edili è la spiccata

territorialità, che come abbiamo visto si situa sulla dimensione

amministrativa delle provincie. Una divisione delle competenze in

questi termini ha comportato per il settore grandi benefici poiché

innanzitutto ha consentito alle Casse Edili una marcata vicinanza a

coloro che ne usufruiscono dei servizi (sia i lavoratori che le imprese)

rendendolo uno strumento tangibile e riconoscibile soprattutto in virtù

della natura economica di gran parte delle sue prestazioni.

Ha inoltre facilitato il dialogo con altri enti, pubblici e non, per

la promozione delle più svariate iniziative poiché anche questi ultimi

ricalcano la stessa dimensione territoriale e si trovano coinvolti nella

gestione delle stesse problematiche.

Ultimo e più importante, tale suddivisione territoriale ha

consentito al sistema delle casse Edili di rispondere efficacemente e

tempestivamente alle domande provenienti dalle specificità territoriali,

comportando così al livello nazionale una diversificazione delle

prestazioni, sia per i lavoratori che per le imprese, a volte troppo

iniqua.

Se dunque il sistema delle Casse Edili si è affermato come uno

strumento dotato di grande flessibilità e caratterizzatosi per molte

specificità territoriali, vanno però messi in luce anche gli effetti

controproducenti di questo sistema territoriale.

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Il primo, come abbiamo sopra accennato, è la crescente iniquità

delle prestazioni erogate da zona a zona, anche tra province contigue.

La causa principale di questa iniquità è intrinseca alla modalità di

finanziamento stessa del sistema Casse Edili, finanziamento che

avviene su base provinciale e che comporta un preservarsi ed un

accentuarsi del divario tra province ricche, nelle quali i versamenti

sono ingenti e le prestazioni erogate sono più che dignitose, e province

povere, in cui l’ammontare dei versamenti consente giusto i pareggio

di bilancio delle prestazioni stabilite dal contratto nazionale.

Il secondo effetto che si viene a creare è l’enorme dispersione

delle risorse economiche necessarie per mantenere il sistema delle

Casse Edili al livello provinciale, se la vicinanza e la facilità di

reperibilità è un elemento che gioca a favore di questa divisione, va

però fatto notare che il mercato del lavoro nel settore edile si evolve

sempre più verso una dimensione regionale e di conseguenza la

proposta più plausibile, anche se lede molti interessi costituiti, sembra

essere quella di situare il luogo decisionale e politico del sistema delle

Casse Edili ad un livello superiore che potrebbe benissimo essere di

dimensione regionale. A sostegno di questa tesi giocano i più recenti

sviluppi informatici che consentirebbero un enorme risparmio delle

risorse del sistema paritetico ed una trasposizione in tempo reale di

tutti i dati necessari. Al livello provinciale possono e devono invece

permanere degli sportelli informativi che, in virtù delle risorse

risparmiate, potrebbero ricoprire il territorio con più capillarità.

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Comunque, malgrado questi aspetti di criticità, quella delle

Casse Edili emerge come un’esperienza molto utile, senz’altro più

significativa degli organismi congiunti delle altre categorie industriali

che hanno spesso solo valore consultivo e non gestiscono affatto

risorse economiche.

L’originalità di questo modello concertativo e partecipativo sta

inoltre nella possibilità di poterlo esportare ad altre categorie

caratterizzate dalle stesse peculiarità produttive: spiccata territorialità,

uso flessibile della forza lavoro, frantumazione delle strutture

produttive.

Le casse Edili rappresentano così un modello partecipativo che

investe, almeno per ora, solo una dimensione della partecipazione:

quella relativa all’impiego, alla tutela e al rendimento del lavoro.

Restano tagliate fuori da questo modello altre due dimensioni

fondamentali: la partecipazione alle decisioni d’impresa e la

partecipazione ai risultati economici.

Se la partecipazione alle decisioni d’impresa non sembra

attuabile almeno in tempi brevi, soprattutto a causa della

frammentazione del tessuto produttivo edile, resta almeno attuabile

un’azione concertata al livello meso-territoriale, promuovendo un

maggiore raccordo tra stazioni appaltanti e sistema delle Casse Edili e

coinvolgendo i rappresentanti dei lavoratori nelle decisioni di

pianificazione edilizia.

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Per quanto attiene invece la partecipazione economica, questa

sembra essere più facilmente raggiungibile se decollerà la previdenza

integrativa, che va però supportata da un effettivo e vincolante

controllo nella gestione degli investimenti, e che lasci a intravedere

una partecipazione indiretta ai profitti mediante le svariate forme di

project financing.

Tutto questo va letto alla luce di una piena ed effettiva

reciprocità dei molteplici sistemi imprenditoriali del comparto edile:

in particolare con il settore degli artigiani che rappresentano una realtà

in forte sviluppo e che non possono assolutamente essere estromessi

dalla partecipazione al governo del settore in quanto estremamente

numerosi e decisamente sottorappresentati.

È questo un nodo saliente da sciogliere per garantire al sistema

delle Casse Edili una maggiore efficacia, in quanto queste ultime sono

la manifestazione più visibile di un sistema di enti bilaterali di tipo

mutualistico e previdenziale molto frammentato.

Tali enti bilaterali hanno natura, legittimazione e prestazioni

differenti dal sistema delle Casse Edili, poiché fanno riferimento per

la loro istituzione ai contratti collettivi, la loro armonizzazione

all’interno del sistema delle Casse Edili sembra essere un’operazione

molto difficoltosa poiché l’associazione più rappresentativa (l’ANCE)

teme la perdita del monopolio della rappresentanza e dei proventi

economici provenienti dal sistema delle Casse Edili.

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Al di là degli accordi già citati resta però una forte

discriminazione nei confronti dei lavoratori che, cambiando col

rapporto di lavoro anche il sistema di enti mutualistici, non si vedono

maturati ed accumulati i diritti loro spettanti. Un’azione in tal senso è

stata operata mediante le due leggi quadro dell’edilizia: la n° 109/94 e

la n° 415/98, che dapprima demandando un accordo alle parti sociali,

hanno poi imposto una effettiva reciprocità ai vari sistemi.

Resta però forte la frattura all’interno del sistema

imprenditoriale che auspichiamo ricomponibile nonostante i differenti

interessi poiché, presentando il sistema delle Casse Edili come uno

strumento di gestione del settore anche in forza del decollo della

previdenza integrativa che mobiliterà nuove ed ingenti risorse, non è

più accettabile che le rappresentanze delle associazioni artigiane e

delle cooperative restino ai margini delle decisioni politiche maturate

per il settore; il presupposto per l’efficienza degli strumenti di

partecipazione e di democrazia economica è comunque basato sul

concetto di rappresentanza che deve essere proporzionale alle voci che

vengono rappresentate.

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5 Appendice

5.1Prestazioni individuali/contrattuali

Ferie, festività e gratifica natalizia (GNF) E’ la prima delle

funzioni assegnate alle Casse Edili sin dalla loro ricostruzione,

avvenuta mediante il contratto nazionale del 1950; questo istituto,

sorto in alternativa all’accantonamento80 presso gli istituti di credito

oppure al versamento diretto da parte delle imprese, è stato ora

istituzionalizzato. Si tratta del salario differito, composto dagli

accantonamenti per ferie, festività e gratifica natalizia, altrimenti

conferiti ai lavoratori mensilmente nella busta paga81. Il contratto

nazionale del 1995 ha stabilito la misura della sua contribuzione per:

l’8,5% per le ferie, il 10% per la gratifica natalizia e il 4,95% per

riposi annui. L’importo viene accantonato dalle imprese presso le

Casse Edili, nella misura del 18% della retribuzione al netto delle

imposte e del 23,45% al lordo, i cui importi vengono corrisposti al

lavoratore con scadenza semestrale, di norma a Luglio e a Dicembre

Trattamenti per malattia ed infortuni. Sono tra le prime

prestazioni assolte dalle Casse Edili; venivano infatti erogate sin dal

1919. E’ una delle prime funzioni contrattuali, insieme al GNF, in

80 L’accantonamento ha per oggetto una percentuale forfettizzata della retribuzione, assunta come equipollente dei compensi per ferie festività e gratifica natalizia che deve essere accantonata ex lege n° 741/59. 81 La scelta dell’accantonamento è stata prediletta così da garantire in alcuni periodi dell’anno una certa disponibilità di risorse al lavoratore dipendente.

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vigore già dagli anni sessanta in molte provincie, nelle quali veniva

integrato fino all’80% della retribuzione perduta causa malattia. Il

contratto nazionale del 1973 elevò la copertura per infortunio al 100%

e quella per malattia al 90%, e stabilì la misura del contributo per 3/4

a carico dei datori di lavoro e il restante 1/4 a carico dei lavoratori

(soprattutto per il finanziamento delle iniziative collaterali e delle

spese di gestione). Il contratto nazionale del 1976 previde l’elevazione

dell’integrazione salariale per malattia al 100%, e stabilì che le Casse

Edili anticipassero al lavoratore i trattamenti dovuti loro dagli enti

pubblici INAM e INAIL. Per realizzare tale copertura fu costituito un

fondo di rotazione la cui misura del contributo era fissata nell’ambito

massimo del 3% della retribuzione imponibile; suddivisa per 5/6 a

carico dei datori di lavoro e il restante 1/6 a carico dei lavoratori. Il

contratto collettivo del 1983 ha cancellato la disposizione riguardante

l’anticipazione dei trattamenti da parte delle Casse Edili e quello del

1987 ha stabilito che fosse dovere dell’impresa erogare direttamente ai

dipendenti il trattamento economico per malattia ed infortuni così da

garantire trasparenza nella gestione dell’istituto. Recenti accordi

integrativi hanno ulteriormente ampliato l’ambito della tutela per i

lavoratori, prevedendo anche la retribuzione dei primi tre giorni di

assenza per malattia non coperti dall’INPS tramite le Casse Edili82.

82 Ad esempio dalla Cassa Edile di Roma

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Trattamento APE Data la discontinuità del rapporto di lavoro

presente nel settore edile, è difficile per il lavoratore maturare una

prestazione salariale legata all’anzianità, poiché è difficile che esso

lavori sempre nella stessa impresa. Le associazioni sindacali hanno

allora cercato di legare questa integrazione salariale non alla

permanenza del lavoratore presso una singola impresa, ma alla sua

permanenza nel settore delle costruzioni. Il primo istituto fu quello

dell’anzianità di mestiere, previsto dal contratto nazionale del 1966,

maturato anche presso più datori di lavoro; si giovava di questo

istituto dopo 10 anni di attività nel settore e dopo aver prestato per

ogni anno 1500 ore di lavoro, anche contabilizzate presso più Casse

Edili. Il contratto nazionale del 1976 modificò questo istituto,

trasformandolo nel premio di professionalità edile; questo premio

maturava ogni tre anni a fronte di 3000 ore di lavoro e calcolato in

aliquote crescenti proporzionali all’anzianità nel settore. I parametri di

calcolo erano però tali da rendere esiguo il numero dei lavoratori che

giovavano di questo premio. Venne così istituito dal contratto

collettivo del 1979 il nuovo istituto di anzianità professionale edile

(APE), che viene corrisposto al lavoratore annualmente, in occasione

del 1° Maggio, se questi ha maturato nel biennio precedente 2100 ore

di lavoro. L’entità della prestazione è determinata in base a: numero di

ore lavorate, qualifica e numero degli anni nei quali il lavoratore ha

maturato la prestazione. Il fondo di questo istituto viene finanziato dai

datori di lavoro tramite una percentuale stabilita dalla contrattazione di

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secondo livello. Ciò è dovuto proprio alla grande differenza tra i

mercati del lavoro regionali che variano in base alla mobilità

territoriale della manodopera, e i contributi versati nel fondo APE

sono generalmente inversamente proporzionali alla discontinuità dei

rapporti di lavoro.

APES L’anzianità professionale edile straordinaria è un istituto

contrattuale previsto dall’accordo del 15 Novembre 1984 per risarcire

i lavoratori edili del mancato assoggettamento contributivo della

prestazione APE ai fini pensionistici. La caratteristica di questa

prestazione è che essa viene erogata al momento del pensionamento, e

perciò si avvicina molto all’istituto della liquidazione. Tale istituto ha

subito nel corso degli anni una serie di adattamenti; il più significativo

è quello del 23 Gennaio 1990, consistente nella creazione di un fondo

a capitalizzazione, gestito e accantonato presso la Cassa Edile,

utilizzando i contributi versati dai datori di lavoro nel fondo APE ed i

relativi interessi. E’ questa una delle ulteriori linee direttrici dello

sviluppo delle nuove prestazioni erogabili dalle Casse Edili, poiché

già presso alcune di esse vengono accantonati i trattamenti di fine

rapporto (TFR), mediante i quali le Casse Edili possono anticipare ai

lavoratori altre indennità. Il problema di questa gestione è però quello

di privare le imprese di una parte consistente delle fonti del loro

autofinanziamento, rendendole così meno competitive. L’accordo del

11 Giugno 1997 ha così decretato il riassorbimento del fondo APES

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all’interno di quello per la previdenza complementare entro il 31

Dicembre 2003.

Diritto allo studio E’ uno dei più recenti istituti. Consente agli

studenti lavoratori, iscritti o frequentanti corsi regolari di studio presso

istituti pubblici o istituti legalmente riconosciuti, la possibilità di

sostenere prove d’esame e di godere di un permesso retribuito. Sono le

imprese a provvedere all’anticipazione della retribuzione della quale

chiederanno poi il rimborso alla Cassa Edile.

5.2 Prestazioni collettive/contrattuali

Nonostante gestiscano istituti che riguardano principalmente il

rapporto individuale di lavoro, le Casse Edili nascono tuttavia

inquadrate in una dimensione collettiva, poiché vengono legittimate

dalla contrattazione nazionale e sono gestite dalle parti sociali con

modalità esplicitamente negoziali. Tutte le prestazioni a carattere

collettivo comprendono non solo la regolamentazione dei rapporti di

lavoro, ma anche la conoscenza e la capacità d’intervento delle parti

sociali nell’evoluzione del mercato del lavoro.

Riscossione dei contributi sindacali La prima prestazione in

questo senso è affidata alle Casse Edili dal contratto nazionale del

1973; data la forte dispersione dei lavoratori sul territorio, questo

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istituto è stato un forte incentivo alla fondazione delle Casse Edili,

capace di radicare le presenza del sindacato sul territorio e tale da

garantire una certa continuità delle risorse. Inizialmente la riscossione

dei contributi sindacali era ottenuta mediante il rilascio di una delega

individuale che consentiva alla Cassa Edile di trattenere una

percentuale della somma accantonata per il lavoratore. La scelta della

trattenuta tramite delega era però mal vista dalle associazioni

sindacali con meno iscritti, che temevano il consolidarsi della

posizione di vantaggio della FILLEA-CGIL; FILCA-CISL e

FENEAL-UIL propendevano invece per una contribuzione tramite

quote di servizio ripartite pariteticamente tra le tre associazioni

sindacali.

Data l’inconciliabilità delle posizioni l’accordo del 28 Luglio

1964 riconosceva il sistema della trattenuta tramite delega ma

introduceva una quota di servizio intorno allo 0,1%- 0,15% della

retribuzione. Il contratto nazionale del 1966 escluse invece la

sovrapposizione dei due sistemi e previde che il pagamento delle

quote di servizio fosse esteso anche alle associazioni imprenditoriali.

Il contratto di categoria del 1976 stabilì infine l’attuale sistema

di contribuzione che si articola nelle seguenti voci. Quote d’adesione

contrattuale o di servizio, obbligatorie per tutte le imprese ed i

lavoratori iscritti al sistema delle Casse Edili. Queste sono a loro volta

suddivise in: quote d’adesione contrattuale nazionali per le

associazioni sindacali (0,185%) e imprenditoriali (0,185%), e quote

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d’adesione contrattuale per le associazioni imprenditoriali e sindacali

territoriali (stabilite dalla contrattazione di secondo livello e variabili

da un minimo dello 0,30% ad un massimo dello 0,70%). Alle quote di

adesione contrattuale vanno ad aggiungersi le quote rilasciate tramite

delega, che autorizzano le Casse Edili a trattenere sul GNF

accantonato per il lavoratore una percentuale territorialmente

contrattata e versata all’associazione sindacale d’appartenenza.

Mutualizzazione dei permessi sindacali Altro istituto molto

recente è quello della copertura retributiva dei permessi sindacali.

Questa rivendicazione ha trovato terreno fertile negli accordi

concertativi del 1993, che hanno istituito in tutti i settori industriali la

formazione delle unità di rappresentanza di base al livello aziendale

(RSU)83.

Nel settore edile, l’accentuata mobilità delle imprese e la

dimensione artigianale della maggior parte di queste, ha reso quasi

impossibile la costituzione delle RSU, e la funzione di rappresentanza

sindacale è stata integrata dalle RSLT, ovvero delle rappresentanze

territoriali che coprono aree provinciali e distrettuali84. Le Casse Edili

si sono così impegnate a mutualizzare l’onere delle rappresentanze

sindacali, coprendo la retribuzione delle ore dedicate all’attività

sindacale dai lavoratori designati.

83 La costituzione delle RSU si è resa possibile solamente nei grandi cantieri di opere pubbliche. 84 Il settore edile ha così mutualizzato la rappresentanza sindacale poiché la dimensione artigianale di molte imprese rendeva i costi della rappresentanza sindacale troppo onerosi per il bilancio di una sola impresa.

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Riscossione dei contributi per formazione e sicurezza. Una

delle più importanti prestazioni a carattere collettivo é il

finanziamento degli altri enti paritetici: Scuole Edili e Comitati

Tecnici Paritetici (CTP), che si occupano rispettivamente di

formazione e sicurezza sul lavoro.

Le Casse Edili possono infatti aiutare queste attività di

formazione, riqualificazione e sicurezza, tramite la riscossione dei

contributi accantonati presso di esse dai datori di lavoro, e tramite

l’elaborazione dei dati che le imprese sono tenute a fornire al sistema

delle Casse Edili al momento della loro iscrizione. Date le

caratteristiche del settore edile, l’esternalizzazione (mediante la

costituzione di enti paritetici appositi) delle attività di formazione e

sicurezza è infatti una necessità oggettiva.

Soprattutto a partire dagli anni ‘70 si sviluppa inoltre una fitta

rete di diritti d’informazione tra le parti sociali, che ha posto nel

contratto nazionale del 1976 l’obbligo alle stazioni appaltanti di

comunicare alle Casse Edili la denominazione delle imprese

appaltatrice, e l’obbligo a queste ultime di iscriversi presso le Casse

Edili. A queste è stato così affidato il compito di elaborare i dati in

loro possesso, trasformando un istituto mutualistico in un vero e

proprio centro di rilevazione ed osservazione del settore, della

composizione della forza lavoro, della sua mobilità e della sicurezza

dell'ambiente di lavoro. Gli ultimi integrativi degli anni ‘80 hanno

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rafforzato questa tendenza, riconoscendo agli enti paritetici la

funzione d’analisi del sistema produttivo e del mercato del lavoro.

Osservatorio Proprio grazie a queste nuove acquisizioni e in

base allo sviluppo dei diritti d’informazione, secondo il contratto

nazionale del 5 Luglio 1995 che estende il sistema informativo tra le

parti sociali anche al livello territoriale, è stata prevista la costituzione

di un osservatorio paritetico del mercato del lavoro85.

Il fine di questo enti è il monitoraggio delle dinamiche del

mercato, della domanda e dell’offerta del settore, dei flussi

d’investimento e degli andamenti di appalti e subappalti. Gli strumenti

informativi dell’osservatorio sono soprattutto le Casse Edili, che

possiedono dati riguardanti la struttura delle imprese e gli occupati del

settore. A questi si aggiungono i dati messi a disposizione dagli istituti

previdenziali86, quelli della camera di commercio e delle indagini

statistiche pubbliche. L’osservatorio è per contratto interno al sistema

delle Casse Edili ed il suo contributo, che non deve gravare sulle

imprese, viene stanziato da queste, determinato di anno in anno dalle

parti sociali. Recentemente si sta avvertendo l’esigenza di accorpare

ed unificare le varie esperienze in un unico osservatorio comune sia

alle parti sociali che agli enti istituzionali per garantire una

metodologia ed una classificazione dei dati comune ed omogenea a

tutti.

85 Legge n° 109/94 86 INAIL ed INPS.

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5.3 Prestazioni individuali/extracontrattuali

Assistenze sanitarie Sono quelle assistenze sanitarie

complementari che le Casse Edili erogano in base alle compatibilità di

bilancio. Le prestazioni erogate sono molte e molto differenziate sul

territorio: le principali riguardano rimborsi per l’acquisto di protesi e

cure dentistiche, occhiali e supporti acustici, contributi per malattie

gravi, cui possono aggiungersi aiuti per le donazioni di sangue,

assistenze ai familiari portatori di handicap e contributi straordinari

per malattie professionali.

Essendo queste prestazioni extracontrattuali, spesso l’accesso ai

trattamenti è limitato dai vincoli di bilancio delle Casse Edili, ed è il

Comitato di gestione composto dalle parti sociali a stabilire le misure,

il numero ed i parametri a cui devono rispondere gli aventi diritto.

Sussidi vari Sotto questa voce ricadono alcuni trasferimenti,

diretti o indiretti, causa morte del lavoratore o di un familiare a carico

(assegno e permesso funerario), sussidi per l’acquisto della prima

casa, rivolti soprattutto a lavoratori giovani ed immigrati. Altri tipi di

sussidio praticati dalle Casse Edili sono gli assegni di nuzialità e

natalità.

Assicurazioni E’ una copertura assicurativa della quale godono

i dipendenti delle imprese iscritte alle Casse Edili, riguardante

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soprattutto gli infortuni sul lavoro e gli interventi chirurgici, ma può

riguardare anche infortuni extraprofessionali ed invalidità permanenti.

Soggiorni e colonie Alcune Casse Edili annualmente

promuovono programmi turistici ai quali si accede attraverso bandi di

partecipazione e per i quali viene stilata una graduatoria. Allo stesso

servizio possono accedere anche i figli dei lavoratori che necessitano

di soggiorni in alcune zone climatiche.

Assistenza allo studio Molte Casse Edili forniscono ai

lavoratori dipendenti iscritti un numero limitato di borse di studio alle

quali si accede tramite richiesta e loro posizionamento in lista, delle

quali possono giovarsi sia i lavoratori studenti che i figli dei

lavoratori. Va inoltre precisato che, insieme alle assistenze sanitarie, il

sostegno allo studio costituisce l’altro caposaldo delle prestazioni

extracontrattuali a cui tutto il sistema delle Casse ha cercato, mediante

molte esperienze (buoni libro e borse di studio) di dare risposta.

L’assistenza allo studio rappresenta infatti una dei più qualificanti

campi d’intervento per l’immediato futuro.

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