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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” Facoltà di Psicologia Tesi di Laurea in Psicodinamica dello Sviluppo e delle Relazioni Familiari “I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE, LINEE TEORICHE E CLINICHERelatore: Chiar.mo Prof. MAURIZIO ANDOLFI Secondo Relatore Chiar.mo Dott. PASQUALE SALUZZI Correlatore: Chiar.mo Prof. MARIA GABRIELLA DI IULLO Laureando: SGAMBATO MARIO Matr. 15160915 ANNO ACCADEMICO 1998/99

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”

Facoltà di Psicologia

Tesi di Laurea in

Psicodinamica dello Sviluppo e

delle Relazioni Familiari

“I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE,

LINEE TEORICHE E CLINICHE” Relatore: Chiar.mo Prof. MAURIZIO ANDOLFI

Secondo Relatore Chiar.mo Dott. PASQUALE SALUZZI

Correlatore: Chiar.mo Prof. MARIA GABRIELLA DI IULLO

Laureando: SGAMBATO MARIO

Matr. 15160915

ANNO ACCADEMICO 1998/99

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Jenny non vuol più parlare, non vuol più giocare, vorrebbe soltanto dormire, Jenny non vuol più capire, sbadiglia soltanto, non vuol nemmeno più mangiare. Jenny è stanca, Jenny vuole dormire, Jenny è stanca, Jenny vuole dormire. Jenny ha lasciato la gente a guardarsi stupita, a cercare di capire cosa.... Jenny non sente più niente, nemmeno le voci che il vento le porta, Jenny è stanca, Jenny vuole dormire, Jenny è stanca, Jenny vuole dormire. Io che l’ho vista piangere di gioia e ridere, che più di lei, credo, la vita mai nessuno amò, io non vi credo lasciatela stare, voi non potete! Jenny non può più restare, portatela via, rovina il morale alla gente. Jenny sta bene, è lontana, la curano, forse, potrà anche tornare un giorno: Jenny è PAZZA, c’è chi dice anche questo; Jenny è PAZZA, c’è chi dice anche questo; Jenny ha pagato per tutti, ha pagato per noi che restiamo a guardare ora, Jenny è soltanto un ricordo, qualcosa di amaro, da spingere giù in fondo. Jenny è stanca, Jenny vuole dormire, Jenny è stanca, Jenny vuole dormire.

In ogni separazione c’è un germe di follia, bisogna evitare, ragionando, che germogli.

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SOMMARIO

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Sommario

II

SOMMARIO ................................................................................................ I

PREFAZIONE ............................................................................................. 1

CAPITOLO 1 ............................................................................................... 4 I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE IN CHIAVE STORICA........ 4

Storia del concetto di Anoressia ............................................................ 5 Primo periodo..................................................................................... 5 Secondo periodo................................................................................. 9 Terzo periodo ................................................................................... 12 Quarto periodo ................................................................................. 14

Alcune osservazioni finali sullo sviluppo storico del concetto di Anoressia.............................................................................................. 18 Una curiosità etimologica.................................................................... 19 Storia del concetto di Bulimia e Bulimia Nervosa............................... 20

Primo periodo................................................................................... 21 Secondo periodo............................................................................... 23 Dal XVII al XIX secolo ................................................................... 25 Il XX secolo ..................................................................................... 26 L’etimologia..................................................................................... 27

CAPITOLO 2 ............................................................................................. 28 L’INFLUENZA DEI FATTORI SOCIO - CULTURALI SULLA DIFFUSIONE DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE ....................................... 28

I disturbi del comportamento alimentare nell’epoca moderna ........... 29 La trasformazione della famiglia ideale .............................................. 31 L’adolescenza....................................................................................... 34 La sessualità......................................................................................... 38 La nuova bellezza................................................................................. 39 Il concetto di disturbo etnico applicato ai Disturbi del Comportamento Alimentare. ........................................................................................... 41

CAPITOLO 3 ............................................................................................. 46 I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE NELLA NOSOGRAFIADEL DSM IV E NELL’ICD-10 E LE LORO CARATTERISTICHE CLINICHE ............ 46

L’Anoressia nel DSM IV e nell’ICD-10............................................... 47 ICD-10 ............................................................................................. 47 Il DSM-IV ........................................................................................ 50

Il quadro clinico dell’Anoressia .......................................................... 54 L’esame fisico .................................................................................. 54 Alcuni fattori scatenanti e l’atteggiamento mentale......................... 57

La Bulimia nervosa nel ICD-10 e nel DSM-IV .................................... 58 L’ICD-10.......................................................................................... 58 Il DSM-IV ........................................................................................ 60

Il quadro clinico della Bulimia ............................................................ 63

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Sommario

III

Ulteriori Disturbi del Comportamento Alimentare nell’ICD-10 e nel DSM-IV ................................................................................................ 64

CAPITOLO 4 ............................................................................................. 68 I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE SECONDO IL MODELLO PSICOANALITICO........................................................................................ 68

Il modello Psicoanalitico ..................................................................... 69 Le tendenze attuali in psicoanalisi....................................................... 75

L’influenza della Mahler.................................................................. 75 L’influenza di Winnicott. ................................................................. 86

CAPITOLO 5 ............................................................................................. 95 I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE SECONDO IL MODELLO DISPERCETTIVO......................................................................................... 95

Il modello Dispercettivo....................................................................... 96

CAPITOLO 6 ........................................................................................... 105 I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE SECONDO IL MODELLO SISTEMICO............................................................................................... 105

Il modello Sistemico ........................................................................... 106 Gli studi sulla specifica personalità di chi soffre di un Disturbo del Comportamento Alimentare ............................................................... 152

Il tipo dipendente ........................................................................... 157 Il tipo borderline............................................................................. 161 Il tipo ossessivo-compulsivo.......................................................... 167 Il tipo narcisista .............................................................................. 173

CAPITOLO 7 ........................................................................................... 179 I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE SECONDO IL MODELLO COGNITIVISTA......................................................................................... 179

Il Modello Cognitivista ...................................................................... 180 La Percezione. ................................................................................ 181 L’Interpretazione............................................................................ 183 La Decisione all’Azione................................................................. 186 L’Esecuzione del comportamento.................................................. 187

CAPITOLO 8 ........................................................................................... 193 I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE SECONDO LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO ........................................................................... 193

La Teoria dell’Attaccamento ............................................................. 194 Il Rapporto tra Empatia, Stili di Difesa e Disturbi del Comportamento Alimentare.......................................................................................... 217

CONCLUSIONI ....................................................................................... 221

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Sommario

IV

APPENDICE I.......................................................................................... 225 GLI ARTICOLI DEI GIORNALI ................................................................... 225

APPENDICE II ........................................................................................ 251 I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE ED INTERNET.............. 251

Premessa ............................................................................................ 252 I siti Web ............................................................................................ 253 I Newsgroups...................................................................................... 260

APPENDICE III....................................................................................... 281 I CONVEGNI ............................................................................................ 281

BIBLIOGRAFIA...................................................................................... 288

RINGRAZIAMENTI............................................................................... 298

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PREFAZIONE Questa tesi vuole essere un momento di riflessione

personale sui Disturbi del Comportamento Alimentare che

nasce da una forte motivazione per esperienze personali

vissute, presenti e passate.

Non è, non vuole e non può essere un lavoro esaustivo di

tutti gli approcci teorici e le tecniche terapeutiche che si sono

occupate di questi disturbi. Questa affermazione è

particolarmente valida per quanto riguarda la disamina delle

tecniche terapeutiche a cui si fa riferimento la maggior parte

delle volte come ulteriore momento esplicativo della chiave

di lettura adottata dal modello teorico di volta in volta

trattato.

Ciò comporta che la natura e gli scopi di questo lavoro

siano di fornire una delucidazione sui collegamenti logici

che esistono tra i principi teorici di ogni approccio e la loro

applicazione nell’interpretazione dei Disturbi del

Comportamento Alimentare. È un lavoro propedeutico ed

introduttivo ad ulteriori approfondimenti.

Unica eccezione a quanto affermato è, in parte, il lavoro

svolto nel capitolo sull’orientamento sistemico, perché esso

rispecchia una preferenza personale che mi ha accompagnato

fin da quando ho avuto modo di conoscerne i principi

ispiratori. In questo senso non vi è alcuna intenzione

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Prefazione

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discriminatoria o riduttiva nei confronti degli altri approcci

teorici.

Nella stesura di questo lavoro mi sono trovato a fare i

conti con un problema di definizione terminologica che

presto mi sono accorto nascere da una diffidenza emotiva. La

natura stessa del linguaggio umano, e più precisamente della

sua componente numerica, secondo quanto indicato da

Watzlawick (1971), rende impossibile non ricorrere a termini

specifici per indicare la persona che soffre di Disturbi del

Comportamento Alimentare. Nonostante ciò la scelta di un

termine include necessariamente l’esclusione di un altro e

con esso di tutti i significati emotivi che esso evoca. Ciò

ingenera in me la sensazione di ridurre in spazi troppo

angusti la complessa personalità e individualità di queste

persone. Per questo motivo faccio mie le parole di A.Gordon

a questo proposito: <<Nel riferirmi a questi problemi ho

talvolta fatto uso delle forme plurali “anoressici” e

“bulimici”. Sia chiaro che facendolo non ho voluto

neppure lontanamente suggerire l’esistenza di una qualche

uniformità nei pazienti considerati individualmente. È vero

che i sintomi clinici dei disturbi dell’alimentazione sono

assai simili in pazienti diversi; ciononostante, come

individui, essi mostrano una grande variabilità. Come

abbiamo appreso negli anni ’60 dalle critiche

dell’antipsichiatria, nella terminologia psichiatrica vi è

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Prefazione

3

purtroppo una tendenza alla deindividualizzazione che se

usata scorrettamente può provocare conseguenze dannose.

Ho usato i termini “anoressici” e “bulimici” solo per

questione di convenienza e spero vivamente che nessuno

dei portatori dei sintomi di questi disordini possa sentirsene

offeso. Parlo sempre di pazienti anoressiche e bulimiche al

femminile perché i pazienti di sesso femminile sono una

larghissima maggioranza; fatto questo di notevole

significato socioculturale.>> (Gordon, 1991).

Questa mia sensibilità verso l’individualità psichica si

sposa con la mia preferenza per l’orientamento sistemico-

relazionale, che spesso si ritiene che sia attento più alle

dinamiche relazionali che caratterizzano una famiglia o un

gruppo nel loro insieme, che alla individualità intrapsichica

di ogni singolo componente del sistema. Spero di chiarire le

interrelazioni presenti tra questi due piani quando nel

capitolo dedicato a questo orientamento teorico, metterò in

luce l’importanza dell’incontro tra ogni individuale

“intrapsichico” di ogni singolo componente del sistema

familiare con quello dell’altro e di conseguenza l’importanza

che le caratteristiche individuali assumono nella

strutturazione dell’interazione familiare e nella scelta della

costellazione dei sintomi.

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CAPITOLO 1

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE IN CHIAVE STORICA

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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STORIA DEL CONCETTO DI ANORESSIA

Nel corso della sua formulazione storica il concetto di

Anoressia mentale ha avuto diverse sistemazioni. Oggi noi

possiamo distinguere quattro periodi.

All’interno della primo periodo troviamo i primi tentativi di

identificare la malattia. Nel secondo periodo passiamo ad

una fase in cui si ha una precisa connotazione dell’Anoressia

mentale. In particolare, in questo periodo l’Anoressia

mentale viene definita come moderna nosografia clinica con

delle ben precise caratteristiche del quadro morboso e della

patogenesi. Il terzo periodo è caratterizzato dai lavori di

Simmonds (1914). Per finire nel quarto periodo vediamo il

dispiegarsi degli studi di specifiche discipline psicologiche

su questo argomento. In particolare si occuparono di una

sistematizzazione clinica del concetto di Anoressia mentale

gli studi di psicanalisi, di fenomenologia, e di analisi-

esistenziale. Lo scopo principale di questi studi è arrivare ad

una ricostruzione psicogenetica della malattia stessa e

all’approfondimento delle conoscenze psicologiche.

Primo periodo.

Possiamo identificare gli antecedenti della odierna

Anoressia mentale nella letteratura religiosa che parte fin dal

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periodo paleocristiano. In essa sono segnalati numerosi

episodi di astinenza dal cibo pressoché assoluta per

ascetismo. Essi vengono definiti con il nome di “miracoli

alimentari”. Tra gli autori di questi “miracoli” ci sono molti

santi tra cui San Nicola di Flue, Santa Caterina da Siena,

Santa Rosa da Lima e anche molti altri. Sembra che il loro

unico cibo fosse l’ostia consacrata.

Già nel Medio Evo, però, era presente una reazione sociale

ambivalente rispetto a queste situazioni di digiuno

prolungato. Infatti se da una parte si parla di “miracoli

alimentari”, appunto, non sono comunque rari i casi in cui

l’origine di queste manifestazioni comportamentali viene

attribuita ad una presenza demoniaca, come testimoniano

molti documenti tra cui gli atti di una missione cristiana

franco-irlandese del VII secolo che, datando l’episodio nel

660 dopo Cristo, testimoniano il caso di una ragazza che

aveva problemi alimentari. Nel testo questa è la citazione:

“...però accadde che essa fu assalita da uno spirito impuro,

cosicché non voleva più assumere alimenti né solidi né

liquidi; e rimase molti giorni senza mangiare né bere.

Giunse allora una grande moltitudine di suoi parenti, che

con preghiere e minacce volevano costringerla a prendere

cibo: ma essa negava di avere bisogno di alimenti, dicendo

che il suo corpo non ne aveva necessità, e che comunque non

aveva fame. I parenti però le misero in bocca un imbuto con

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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la forza, e vi versarono acqua e latte. Ma come essa ebbe

inghiottita la bevanda contro la sua volontà, la vomitò subito

mescolata a sangue”.

A partire dall’anno Mille ai resoconti di religiosi iniziano

ad affiancarsi quelli di medici. La prima testimonianza di un

medico è quella di Alberto Magno il quale nel settimo libro

“De animalibus” rileva come spesso vi siano delle persone

che sembrano resistere al digiuno totale. Egli per primo

rileva una caratteristica che poi sarà molto importante in tutti

i resoconti che riguardano l’Anoressia mentale fino ai nostri

giorni. Alberto Magno definisce la resistenza al digiuno

come una caratteristica tipica del sesso femminile in quanto

egli nota che i casi che ha potuto osservare sono soprattutto

quelli di donne. Negli anni che vanno dal 1200 al 1350 tutta

un’altra serie di medici rilevano sintomi che sembrano

assomigliare molto all’attuale Anoressia mentale. Tra questi

ricordiamo Pietro di Albano e in particolare Gerardo

Bucholz il quale nel 1551 descrive il celebre caso di

Margarita Weiss.

Negli anni dal 1500 alla 1650 vi sono tutta un’altra serie di

testimonianze da parte di medici. Esse però hanno in comune

la caratteristica di essere soprattutto centrate sugli aspetti

organici e sulle manifestazioni somatiche. Raramente vi è

una messa in luce di fattori eziologici psichici. Bisogna

aspettare il 1689 per avere la prima descrizione dettagliata e

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critica di un caso, anzi due, di Anoressia Nervosa. L’autore è

Sir Richard Morton. Egli era una grande medico inglese che

pubblicò un’opera sulla malattia tubercolare intitolata

“Phthysiologia, seu Esercitationes de Phthysi”. Il primo

capitolo di quest’opera contiene la descrizione di una

condizione che egli definisce col termine di “Atrophia, seu

Phthysis Nervosa”, essa può essere considerata la prima

descrizione sistematica e particolareggiata di un caso di

Anoressia Nervosa. Morton riferisce: “l’atrofia, o tisi

nervosa, è quella che trae origine da uno stato morboso

dello spirito o da un alterato tono dei nervi: per cui, così

come il languore e la consunzione generale del corpo

derivano alla fine da una scadente assimilazione del succo

nutritivo, così fin dall’inizio stesso della malattia

compaiono l’inappetenza e la digestione difficile dello

stomaco, a causa di una imperfetta fermentazione e

volatilizzazione del chilo”. Dopo queste caratteristiche di

fisiologia egli continua nella sua descrizione medica. Più che

la descrizione medica, acquista interesse rilevante per il

nostro discorso, l’osservazione di diverse caratteristiche che

possiamo definire psicologiche a proposito di quella che può

essere l’eziologia dell’ Anoressia “nervosa”. Infatti Morton

così continua: <<la principale causa di questa malattia mi

sembra essere di natura nervosa, e proveniente da uno

stato preternaturale degli spiriti animali e da un

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annientamento del tono dei nervi, cosicché io sono solito

chiamarla “tisi nell’abito del corpo”. Come l’appetito e la

digestione sono prostrati dall’indebolito tono dello

stomaco, così anche in tutto l’abito del corpo

l’assimilazione, la fermentazione e la volatilizzazione del

succo nutritizio vengono impediti per lo stato morboso del

sistema nervoso>>. E ancora: “abbiamo osservato che per

lo più le cause predisponenti sono i patemi d’animo

violenti, le eccessive libagioni di liquori e l’aria insalubre:

e nessuno può meravigliarsi che questi fattori possano

alterare il tono dei nervi e la disposizione naturale degli

spiriti di animali”.

Secondo periodo

Giungiamo così alla metà del XIX secolo. In questo periodo

l’Anoressia mentale viene definita nelle sue caratteristiche di

moderna entità clinica, sia per la definizione dei sintomi, che

per l’individuazione della patogenesi che viene riferita al

sistema nervoso periferico.

Gli autori che più contribuiscono a questa evoluzione

furono Ernest Charles Laségue e William Whitey Gull. Ad

essi sono dovute le prime descrizioni che risaltarono

l’eziologia “morale” e “nervosa” di questa malattia. Essi

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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rilevarono anche la preponderanza delle relazioni familiari

come fattori determinanti nell’istituirsi della patologia.

Laségue ipotizzò che la malattia nascesse da una emozione

non confessata dal soggetto. Egli suddivise la malattia in tre

stadi. Il primo stadio si manifestava con turbe digestive,

riduzione dell’alimentazione, grande iperattività. Nel

secondo stadio aveva inizio la “perversione mentale”, la

quale era accentuata da forti preoccupazioni presenti nella

famiglia per il comportamento anomalo del soggetto e per il

suo scarso appetito con conseguente perdita di peso. Nel

terzo stadio, cioè “la cachessia”, si arrivava ad un

dimagrimento estremo, la pelle perdeva la sua naturale

elasticità, l’addome si ritraeva, vi era il pallore sul viso,

sopraggiungeva l’amenorrea e la stipsi, e il soggetto passava

dallo stato di iperattività del primo periodo a quello di una

totale astenia.

Gull denominò, all’inizio, la sindrome con il termine di

“Apepsia histeryca”, in quanto pensava che la causa

principale fosse una ridotta funzionalità o completa

atrofizzazione delle branche gastriche del nervo

pneumogastrico e, avendo notato delle somiglianze tra il

quadro mentale dei soggetti da lui osservati e il quadro

mentale dell’isteria, aggiunse l’aggettivo “isterica”.

In seguito, nel 1873, egli propose il termine di “Anoressia

isterica”.

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Bisogna aspettare il 1883 perché si diffonda una nuova

denominazione ad opera di Huchard, il quale crea il termine

di “Anoressia mentale” che in seguito avrà sempre più

diffusione fino ad essere accettato quasi universalmente. La

proposta della nuova denominazione è motivata dall’autore

per sottolineare l’importanza dello stato psichico dei soggetti

in questa sindrome. Infatti, Huchard distingue un’Anoressia

mentale primaria da una secondaria di natura isterica ed

insiste sull’importanza della psicoterapia per la cura della

prima. Egli così si esprime: “essendo l’Anoressia

determinata da uno stato mentale particolare, è proprio su

questo che dobbiamo vegliare; ad una malattia psichica

dobbiamo opporre un trattamento psichico”.

Come si vede, fino all’inizio del nostro secolo,

all’Anoressia mentale era attribuita un’eziologia prettamente

psichica. Le cose cambiano dal 1914 in poi come vedremo

nel prossimo paragrafo.

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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Terzo periodo

Nel 1914 si ha un radicale cambiamento nell’interpretare

l’eziopatogenesi dell’Anoressia. In quest’anno infatti

Simmonds rende pubblico lo studio di un caso di atrofia del

lobo anteriore dell’ipofisi, venuta alla luce nell’autopsia di

una paziente affetta da una forma molto forte di cachessia e

tubercolosi polmonare. Questo caso clinico presentava

indubbie e marcate somiglianze nel suo quadro clinico con il

quadro sintomatologico dell’Anoressia mentale. Inoltre

Simmonds due anni dopo pubblicò altri due casi molto

simili. Anche in questa seconda pubblicazione i soggetti

presentano un tumore ipotalamo-ipofisario.

L’osservazione di questi casi porta l’autore, sue testuali

parole, ad “una conclusione pratica”, che egli così esprime:

“in tutti i casi di cachessia progressiva di origine

sconosciuta si deve pensare ad un interessamento

ipofisario”. Gli studi di Simmonds ebbero un’eco

eccezionale nell’ambiente medico, ed anche se all’inizio vi

furono molte perplessità sulle sue conclusioni, in quanto si

riteneva piuttosto riduttivo pensare che un quadro

sintomatologico così variegato e complesso come quello

dell’Anoressia mentale potesse essere giustificato

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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interamente su un piano medico-biologico, ciò portò a due

fasi che si susseguirono rapidamente.

Nella prima fase vi fu un periodo di grande incertezza nella

diagnosi differenziale tra la cachessia ipofisaria di

Simmonds e l’Anoressia mentale; ciò portò in una seconda

fase, ad ipotizzare comunque la presenza di un patologia

dell’ipofisi in ogni caso di cachessia grave. Ciò ebbe come

conseguenza che, da quel momento in poi, molte descrizioni

cliniche di casi, che oggi sarebbero tranquillamente

classificati come Anoressia mentale, vennero resi pubblici e

diffusi nell’ambiente medico con il nome di “malattia di

Simmonds”.

La conseguenza immediata fu un rallentamento degli studi

specifici sull’Anoressia mentale, cosa che ha rallentato non

poco il progresso della ricerca sulle cause psichiche

dell’eziogenesi dell’Anoressia stessa.

La confusione sul piano teorico, sulla definizione e sulle

cause della malattia stessa si riversò anche in campo

terapeutico portando all’applicazione di tecniche che

utilizzavano i trapianti ipofisari e le iniezioni di estratti

tiroidei nella cura dell’Anoressia mentale. In pratica si cercò

di riportare tutto all’ambito medico mettendo a tacere gli

aspetti psichici della sindrome, con non pochi danni per le

persone che soffrivano di questa patologia.

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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La situazione si aggravò ancor più con la pubblicazione da

parte della Kylin nel 1935 di una monografia sulla malattia

di Simmonds che comprendeva la descrizione di numerosi

casi di Anoressia mentale, per i quali si sottolineava a chiare

lettere la loro causa organica dovuta ad un’insufficienza

ipofisaria.

Arriviamo così agli anni ‘40, che possiamo prendere come

data di inizio di un nuovo periodo che segnerà la rinascita

degli studi psicologici sull’Anoressia mentale.

Quarto periodo

Il quarto periodo presenta gli sforzi per individuare le cause

psichiche dell’Anoressia mentale. Gli studi psicologici

tornano in primo piano e sono tutti tesi alla comprensione

della patologia, ed interessarono tutti i vari orientamenti

teorici, in particolare quello comportamentale, quello

psicoanalitico, quello sistemico-relazionale.

In campo medico, poi, ha una certa importanza lo studio di

Sheehan che ha contribuito ad eliminare l’equivoco creato

da Simmonds in quanto dimostrò che nell’insufficienza

ipofisaria il dimagrimento non è un segno precoce, e tanto

meno sempre presente; inoltre egli definì molto chiaramente

le diversità tra la sintomatologia dell’ipopituitarismo

anteriore e l’Anoressia mentale.

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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Ritornando alle teorie psicologiche possiamo definire di

fondamentale importanza i contributi che vennero da H.

Bruch negli Stati Uniti, di M. Selvini Palazzoli in Italia, di

Kestemberg e Decobert in Francia.

Furono soprattutto gli studi psicoanalitici ad essere

interessati da una notevole evoluzione. Freud, pur non

essendosi mai interessato in maniera diretta di Anoressia

mentale, la definì: “malinconia in una sessualità non

sviluppata”.

Molti altri psicoanalisti ortodossi vedevano l’Anoressia

mentale come risultato di una simbolizzazione di un conflitto

sessuale interiorizzato. Nel 1940 Waller, Kaufmann e

Deutsch diedero alle stampe un lavoro nel quale mettevano

in rilievo l’importanza delle fantasie di gravidanza che

interessavano il tubo digerente. Seguendo questa linea

teorica essi affermarono che la voracità compulsiva poteva

essere legata al desiderio di raggiungere lo stato interessante

attraverso la bocca, mentre all’altro opposto, l’astenersi dal

cibo poteva essere una conseguenza del senso di colpa legato

a questo tipo di desiderio. La stitichezza invece simbolizzava

il figlio nell’addome e l’amenorrea rappresentava la

negazione diretta della sessualità genitale.

Gli studi psicoanalitici seguenti tralasciarono queste

interpretazioni anche perché esse si rivelarono molto

inadeguate sul piano terapeutico, ma senz’altro ebbero il

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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merito storico di liberare la comprensione dell’Anoressia dai

tentativi di interpretazione esclusivamente medica e

somatica. In seguito gli studi psicoanalitici portarono la loro

attenzione sulle interazioni precoci tra madre e bambino.

Frutto di questo cambio di attenzione fu il non legare più i

sintomi dell’Anoressia mentale ai conflitti edipici ma alle

esperienze pre-edipiche, soprattutto quella dell’allattamento.

Sempre negli anni quaranta agli studi psicoanalitici, si

accompagnarono alcuni lavori di psichiatri ad orientamento

fenomenologico. Nel 1945 venne pubblicato “Il caso di

Ellen West” ad opera di Binswanger, nel quale vi era un

resoconto molto dettagliato delle esperienze e dei vissuti

interiori di una paziente malata di Anoressia Nervosa. Il

racconto di questo caso mise in luce la grande angoscia

provocata dal conflitto tra il forte timore di aumentare di

peso e il desiderio continuo di mangiare. Questo terrore

accompagnò la paziente per tutta la vita che così ne parlò nel

suo diario: “la cosa più orribile della mia vita è quell’essere

dominata continuamente dalla paura: paura di mangiare,

ma anche paura della fame e paura della paura stessa”.

Un’altra importante pubblicazione fu quella di Dally nel

1969 nella quale vi era lo studio di ben 140 pazienti che

erano affette da Anoressia mentale. Nella sistematizzazione

dei casi egli effettuò una triplice suddivisione. Ne risultarono

tre categorie ben diverse: il tipo possessivo, quello isterico, e

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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quello ad eziologia mista. Cosi egli delineò differenti

caratteristiche a seconda della categoria a cui appartenevano

le ragazze.

Le ragazze di tipo ossessivo rifiutavano il cibo per il gran

terrore che esso le portasse ad aumentare di peso e ciò

comportava una totale perdita del controllo su di sé.

Successivamente queste tendevano ad episodi di grandi

abbuffate, seguite dal vomito dopo i pasti ed accompagnate

da iperattività fisica.

Le ragazze che appartenevano al tipo isterico, sembravano

non avvertire la fame, non cadevano in eccessi di

alimentazione e non mangiavano a causa di disturbi

gastroenterici. Il vomito era comunque un caso eccezionale e

l’iperattività era involontaria.

Le pazienti ad eziologia mista rifiutavano di mangiare

perché provavano un senso di sazietà accompagnato da una

forte nausea alla vista del cibo. Il vomito era involontario e

l’iperattività diminuiva progressivamente per mancanza di

energia.

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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ALCUNE OSSERVAZIONI FINALI SULLO SVILUPPO

STORICO DEL CONCETTO DI ANORESSIA

Le conclusioni più immediate che possiamo trarre da

questo rapido excursus sull’evoluzione storica

dell’Anoressia mentale, ci portano a rilevare come fin dalla

sua nascita come sindrome, essa sia stata considerata una

malattia di ambito psicologico. In fondo già Gull e Laségue

rilevarono tra le possibili cause dell’Anoressia

“un’anomalia del funzionamento dell’Io” e molti altri

autori sottolineavano l’importanza dei fattori psicologici

nell’instaurarsi del perverso comportamento alimentare.

Certo lo studio e il rilevamento dei fattori psicologici era

ostacolato dalla presenza di un forte atteggiamento di

negazione da parte dei soggetti affetti da tale sindrome che

tuttora impedisce, spesso per lungo tempo, che si verifichi la

possibilità di comunicare sulla propria condizione.

L’atteggiamento negativistico, inoltre, influisce non poco

sulla stessa capacità di introspezione, oltre che sulla

verbalizzazione.

Vi fu poi, come abbiamo visto, un periodo di notevole

confusione, causato dai lavori di Simmonds che portò per

lungo tempo a confondere l’Anoressia con la nuova

sindrome della cachessia panipofisaria.

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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Infine, finalmente, a partire dagli anni ‘40, vi fu un ritorno

alle studio delle ipotesi psicogenetiche, alcune delle quali

abbiamo visto a grandissime linee, ma che riprenderemo

molto più approfonditamente in seguito, considerando anche

le loro implicazioni terapeutiche.

UNA CURIOSITÀ ETIMOLOGICA

Il termine Anoressia deriva dal greco ανορεξία che è un

termine filosofico usato per indicare l’“assenza di

desiderio”, in seguito il termine ed il suo sinonimo latino

“innappetentia” furono usati in senso fisico per indicare un

senso di disgusto per il cibo o comunque mancanza di

appetito. Quindi in effetti non si può dire che il termine

ανορεξία sia corretto nel suo significato rispetto a ciò che

realmente provano i soggetti affetti da Anoressia, in quanto

essi sentono i morsi della fame e il desiderio del cibo, spesso

in modo drammatico, come risulta dalle loro stesse

testimonianze in seguito alla guarigione. Ma la continua

ricerca da parte dei soggetti che soffrono della sindrome di

motivi che possano giustificare il loro comportamento

alimentare, ha fatto sì che, in un primo momento, si

ritenessero valide le loro affermazioni su una reale mancanza

di appetito e di disgusto verso il cibo.

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Da questo punto di vista, forse sarebbe più corretto il

termine “Sitieirgia” che fu proposto da Sollier nel 1891

in quanto la sua etimologia proviene da σίτος (cibo) ed

είργειν (tenere lontano) e cioè, rifiuto del cibo, appunto.

Ma questa rimane una curiosità etimologica data la ormai

universale accettazione del termine “Anoressia”, anche se è

interessante notare sul piano della aderenza alla

sintomatologia la differenza tra i due termini.

STORIA DEL CONCETTO DI BULIMIA E BULIMIA

NERVOSA

Storicamente il primo a definire la sindrome bulimica fu

Russel nel 1979, ma tracce del termine “Bulimia” possono

essere ritrovate in fonti europee occidentali che risalgono a

oltre 2000 anni fa. Possiamo vedere che il termine è usato

con pregnanza di significato per indicare uno “stato di

voracità patologica, culminante nell’ingestione di

un’eccessiva quantità di cibo” (B. Parry - Jones, William Ll.

Parry - Jones, 1995, in “Eating Disorders and obesity. A

comprehensive handbook”).

Non è facile trovare il materiale che riguarda lo sviluppo

del concetto di Bulimia a meno di condurre una ricerca di

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ampio respiro che abbraccia, come abbiamo detto, circa 2000

anni di storia; le fonti sono le più disparate in quanto si va

dai testi della letteratura classica greca e latina, trattati di

medicina medievale, scritti scolastici, opere teologiche,

resoconti che sembrano una sorta di “mirabilia”, ai più ovvi

testi di nosologia, dizionari medici, casi storici etc. A questa

gran mole di materiale descrittivo fa da contraltare una

limitata disponibilità di materiale in cui si tenti una disamina

delle cause del comportamento osservato.

Primo periodo

Possiamo rintracciare già nell’Anabasi di Senofonte (c.

428 - 354 a. C.) alcuni cenni importanti. Egli descrive una

sintomatologia che si diffonde tra le truppe greche di stanza

in Asia minore caratterizzata da episodi di deliquio e di

crollo fisico. Egli attribuisce la causa di ciò alla “bulimia”

per cui ricorre ai ripari distribuendo il vitto ai soldati.

Questa attribuzione di significato alla Bulimia, come uno

stato di notevole fame debolezza e fragilità, permane

invariata fino al quarto secolo dopo Cristo, nel quale Galeno

delinea la sintomatologia bulimica mettendo in risalto come

essa sia da assimilare ad un desiderio irrefrenabile di cibo,

accompagnato da svenimenti, ipotensione arteriosa, una

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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sensazione di freddo alle estremità del corpo, pesantezza di

stomaco e il battito cardiaco rallentato.

Così anche il Libro delle Medicine, un testo siriano del

220 - 500 a. C. circa, ci dice che “bolimos” e la “la brama

del cane” sono causate da una sofferenza gastrica dovuta al

freddo, svenimenti e da un senso di vuoto (fisico).

Il Talmud ebraico parla del “boolmot” che è una

condizione in cui il soggetto è in pericolo di vita a causa di

una distorta opinione sul cibo; i rimedi proposti per la

risoluzione di questo stato di cose suggeriscono di

somministrare alla persona miele e cibi prelibati per

ripristinale lo stato di vivacità.

Per quanto riguarda il vomito indotto, le prime fonti ci

pervengono da Petronio nel primo secolo a. C. . Egli

descrive come questa pratica fosse in uso durante i banchetti

pantagruelici dei patrizi romani; in ogni caso, per molto

tempo ancora, la Bulimia viene addotta a stati di estrema e

prolungata astensione dal cibo in situazioni climatiche rigide,

accompagnate da gravi sforzi fisici.

Bisogna aspettare il V° secolo d. C. perché essa sia

descritta come una condizione causata da una

iperalimentazione. È Aureliano che nei suoi scritti, parlando

di malattie croniche, descrive una patologia chiamata “fame

morbosa” o “Phagedaena”. Questa patologia è attribuita ad

una disfunzione dell’esofago e si manifesta con la presenza

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Capitolo 1 I DCA in chiave storica

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di un appetito vorace, soddisfatto senza che i cibi vengano

masticati e a cui segue il vomito; come caratteristiche

principali di chi soffre di questo disturbo egli rileva un

eccessivo rigonfiamento del viso e una dentatura rovinata; è

notevole il parallelismo presente tra questa descrizione e

l’ingrossamento parotideo e le carie che si riscontrano

spesso, attualmente, in chi soffre di questo Disturbo del

Comportamento Alimentare.

Secondo periodo

Durante il Medio Evo si crea una situazione storica e

culturale che porta ad un atteggiamento contraddittorio nei

confronti del cibo. Infatti la Chiesa riteneva la golosità uno

dei sette peccati capitali per cui condannava decisamente

l’alimentazione eccessiva; allo stesso tempo però la

possibilità di una alimentazione costante non era sicuramente

una certezza dati i frequenti sconvolgimenti politici e le

frequenti carestie, per cui spesso le persone, durante i

frangenti di abbondanza, ricorrevano all’iperalimentazione,

essendo anche molto forte l’incertezza sul futuro.

La frequenza di questi comportamenti è testimoniata dalla

presenza della “Bulimia” e dall’ “Appetito da cani da

caccia” descritti da Bartolomeo Anglico nel 1230-1250

circa. Egli ci descrive le persone che soffrono di questo

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disturbo come fortemente dissipate e suggerisce di curarle

con erbe mediche. Con riferimento a questa procedura è

possibile anche rinvenire la più antica illustrazione

conosciuta dei rimedi contro la Bulimia che è tratta dal testo

“De Arte Phisicali et Cirurgia” che risale al 1412 ed è

scritto da Giovanni di Arderno.

In linea di massima, comunque, la letteratura del tempo ci

parla soprattutto di episodi di golosità e gli espliciti

riferimenti a episodi di Bulimia sono piuttosto rari.

Abbiamo solo tre riferimenti ad episodi interessanti. Il

primo si riferisce ad una donna vissuta nel VI secolo la quale

viene sottoposta ad una cura di purghe perché oltre ad avere

comportamenti bulimici era affetta da tenia intestinale; il

secondo caso si riferisce ad una donna vissuta in clausura

che attua un “miracoloso” digiuno in Germania nell’895; la

terza testimonianza si riferisce alla morte della pittrice

fiamminga Hans Memling, una bulimica cronica, in seguito

ad un’abbuffata incontrollata di un enorme luccio.

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Dal XVII al XIX secolo

Questo periodo di tempo segna un notevole aumento nella

letteratura di casi che possono essere ricondotti alla

situazione clinica di cui ci stiamo occupando. In tutto

vengono segnalati 36 casi di iperfagia. L’aspetto interessante

sta nel fatto che ben 23 casi vengono identificati nel corso

del XIX secolo e quindi si può dedurne, almeno a grandi

linee, una maggiore frequenza. Facendo un rapido riesame

dei casi appartenenti a questo periodo più quattro del periodo

medievale si può stilare una rapida classifica in base al

criterio esplicativo adottato per interpretare le cause di

queste situazioni:

In 25 casi, l’iperfagia è ricondotta ad una forma di

ghiottoneria e spesso queste persone sono classificate come

dei Freaks. Negli altri 15 casi possiamo riscontrare delle

caratteristiche che sembrano richiamare la costellazione

sintomatica della Bulimia Nervosa e cioè la deglutizione

veloce, il mangiare in segreto, le abbuffate notturne, il

vomito e infine un peso corporeo nella norma.

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Il XX secolo

Rispetto al periodo precedente sono ben pochi i casi

conclamati di Bulimia o almeno quelli a cui è data una

dignità nosografica a sé stante. Infatti la gran parte dei

medici classifica i casi di iperfagia come la conseguenza di

una distorta interpretazione dei segnali fisiologici della fame

e della sazietà e comunque in pazienti diagnosticati come

isterici o nevrastenici. Negli anni ‘30, poi, la Bulimia fu

ritenuta la manifestazione di una carenza emotiva e di una

scarsa integrazione sociale tra i giovani disadattati o esuli. In

ogni caso, gli episodi di iperalimentazione sono già

menzionati all’interno delle prime descrizioni dei casi di

Anoressia (Gull, 1886). Dal 1960, poi, le abbuffate e il

vomito autoindotto diventano caratteristiche spesso presenti

nelle descrizioni dei casi di Anoressia. Infine, a partire dal

1970, la sempre crescente incidenza della Bulimia porterà

poi nel 1979 a definirla come entità nosografica a sé stante.

Continuando il nostro excursus storico è interessante

notare come già nel 1771 Sauvages elenca ben sette sottotipi

di Bulimia ed ne elenca i sintomi predominanti: in tutti il

sintomo caratterizzante e sempre la voracità; ad esso si

accompagnano l’emesi, gli sbalzi di pressione, la tenia, la

mancanza di defecazione, la diarrea, le convulsioni e

l’iperacidità.

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Al 1780, invece, risale l’importante classificazione di

Cullen il quale distingue tre categorie. La prima è

caratterizzata da una forma di voracità non accompagnata da

altri disturbi, la seconda da un’alimentazione molto

frequente e quasi coercitiva e la terza da crisi emetiche che

seguono a colossali abbuffate.

L’etimologia

Il termine deriva dal Greco “βούς”, “bue” e “λίµος”

“fame”, e il significato che se ne dà è duplice; da una parte si

pensa che il nome faccia riferimento ad “una fame da bue”,

dall’altro si pensa che stia a significare “l’aver tanta fame da

mangiarsi un bue intero”.

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CAPITOLO 2

L’INFLUENZA DEI FATTORI SOCIO - CULTURALI SULLA DIFFUSIONE DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO

ALIMENTARE

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

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I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

NELL’EPOCA MODERNA

Il primo a prevedere un aumento della diffusione

dell’Anoressia nervosa (discorso che possiamo applicare

anche alla diffusione dei Disturbi del Comportamento

Alimentare) nel nostro secolo fu il medico inglese John

Alfred Ryle (1889-1950). Egli sosteneva che la causa

principale di questo fenomeno era la sempre più grande

popolarità della figura snella e la forte carica emotiva che

investiva la vita dei più giovani.

La presenza dell’idealizzazione del corpo magro era una

assoluta novità rispetto alle descrizioni delle antiche forme di

digiuno auto indotto. Rappresentava un importante elemento

in più nell’Anoressia nervosa del XIX secolo. Sulla base di

queste considerazioni, Ryle cercò di spiegare l’ossessiva

attenzione per il peso corporeo e per quali motivi essa

interessasse soprattutto il sesso femminile e le donne molto

giovani.

È ormai indubbio che il fenomeno dei Disturbi del

Comportamento Alimentare presenta una stretta associazione

con la fase della pubertà e dell’adolescenza. Questa evidenza

ci spinge a portare la nostra attenzione sul tipo di educazione

e di famiglia in cui crescono i giovani. Infatti fin dai primi

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

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studi sull’Anoressia nervosa sono stati messi in rilievo i

problemi familiari, e la loro importanza nell’eziologia della

sindrome. Per questo sembra importante approfondire i

principali cambiamenti storici e l’evoluzione della vita

familiare.

Altro punto importante è l’analisi di come la formazione

dell’identità femminile si concateni con lo sviluppo

dell’identità sessuale nelle giovani donne. Freud stesso ha

sottolineato l’importanza dei conflitti nella sfera sessuale.

Sicuramente questo aspetto è una problematica di tipo

moderno anche per il diffondersi del femminismo. Esso ha

portato ad una notevole variazione dell’immagine femminile,

per cui sorge il dubbio di quanto il disturbo del

comportamento alimentare sia un sintomo del cambiamento

dell’ideale di bellezza. Ci si chiede quanto i Disturbi del

Comportamento Alimentare siano la manifestazione di una

ossessione patologica per la magrezza, il risultato di una

nuova cultura del corpo, o una protesta contro la società dei

consumi. Dare una risposta a questi interrogativi è un

tentativo di chiarire il senso del digiuno auto indotto nella

società dell’abbondanza. Ci troviamo di fronte ad una

situazione paradossale che interessa soltanto i paesi

occidentali.

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

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LA TRASFORMAZIONE DELLA FAMIGLIA IDEALE

Le caratteristiche principali dell’ideale di famiglia che si

sviluppa dal XVII secolo fino alla metà del XIX secolo,

possono essere riassunte nei seguenti punti:

Innanzitutto la famiglia è il luogo privilegiato nel quale

vengono definite le regole dei rapporti tra l’uomo e la donna

e quali debbano essere il comportamento nei confronti dei

bambini.

Tre erano i capisaldi della famiglia borghese che raggiunse

il suo apice come modello nella metà del secolo scorso:

• Il marito aveva il ruolo predominante nella famiglia e

provvedeva al suo sostentamento.

• La moglie aveva prevalentemente una funzione

domestica e doveva essere prima sposa e poi madre del

bambino.

• Il bambino stesso assumeva un ruolo centrale in quanto

era il custode del futuro e del progresso.

Con questi presupposti si aveva una netta distinzione tra

quelle che erano le funzioni dell’uomo e della donna.

L’uomo doveva provvedere al sostentamento materiale della

famiglia e la donna diventava la principale responsabile

dell’educazione affettiva.

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Altro caposaldo di questo tipo di famiglia veniva ad essere

la tutela della moralità. Essa si attuava soprattutto con una

accentuazione dei rapporti privati che si chiudevano

ermeticamente verso l’esterno. La chiusura verso l’esterno

determinò, in poco tempo, che il focus dei rapporti

interpersonali fosse limitato all’interno di due generazioni, si

ha così la nascita della famiglia nucleare.

L’ideale dell’amore romantico divenne il principio

ispiratore di questo tipo di famiglia che seguiva un codice

etico molto duro e che, per preservare quelle che erano le sue

caratteristiche principali, attuò una forte repressione della

sessualità femminile e dei bambini. L’autonomia economica

ed affettiva di ogni membro della famiglia borghese non era

permessa, i conflitti aperti proibiti e ogni sentimento di

frustrazione veniva regolato con l’autodisciplina.

Tutto ciò ebbe anche una grande influenza sul

cambiamento di quelli che erano i metodi educativi preposti

a preservare la moralità degli individui. Sebbene non fossero

più di moda le punizioni corporali, i metodi educativi erano

ben più incisivi e invasivi sul piano affettivo. Essi erano

spesso collegati al cibo: non si poteva assolutamente

rifiutare un cibo portato in tavola, il rifiuto di una

particolare specie di cibi veniva punito con una

riproposizione degli stessi, e inoltre ogni disubbidienza alle

regole della famiglia veniva punita con l’esclusione dalla

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

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cena. In pratica il momento del pasto e le sue regole

implicite diventavano una trasposizione delle regole generali

con cui venivano impartite lezioni di disciplina e affetto. Ci

si trova di fronte ad un vero e proprio rito sacro, ricco di

simbolismi, il cui luogo di culto veniva ad essere la sala da

pranzo.

È proprio in questo periodo, cioè alla metà del XIX secolo,

che cominciano ad apparire in letteratura le prime descrizioni

cliniche dell’Anoressia nervosa. In esse viene sottolineata,

come tratto caratteriale delle pazienti, la “testardaggine” e

“ostinazione”. Essa non viene ancora interpretata come un

comportamento di protesta nei confronti dei genitori, ma si

consiglia, per il buon esito della terapia, che i soggetti

vengano allontanati dalla famiglia e dall’ambiente familiare.

Il risultato di queste considerazioni è che si è arrivati, al

giorno d’oggi, a ritenere che il fallimento di questo ideale di

famiglia sia fra le cause dell’insorgere della Anoressia

mentale e possiamo aggiungere all’Anoressia anche gli altri

Disturbi del Comportamento Alimentare. Più in generale

possiamo dire che la sempre maggiore centralità della prole e

della sua educazione nei rapporti familiari ha aumentato

notevolmente le responsabilità dei genitori in contemporanea

con il rischio di fallire nell’opera educativa.

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L’ADOLESCENZA

A partire dal XVII secolo si fa, dunque, sempre più strada

una nuova definizione del mondo psichico del bambino il

quale, non più considerato come un adulto in miniatura, si

trova ad avere un nuovo statuto sociale. Una volta affermato

che il bambino non è più un semplice adulto in miniatura si

pone il problema della sua maturazione e, in essa, di quella

fase della vita che costituisce il momento di transizione tra

l’infanzia e l’età matura. Abbiamo così il concetto di

adolescenza. Una volta definita l’adolescenza come fase di

transizione con le suddette caratteristiche e finalità, comincia

ad essere anche riconsiderata la validità e l’utilità di

un’educazione in casa che finiva per non favorire il distacco

dall’ambiente familiare della prole. Si giunse così, nella metà

del XIX secolo, a ritenere più adatta ad incoraggiare

l’indipendenza un’educazione attuata all’interno del gruppo

dei pari. Ciò favorì un enorme sviluppo dei collegi. Questo

tipo di organizzazione sociale sortì un doppio effetto: marcò

ancora di più la separazione tra adulti e giovani, e conferì

agli adolescenti un proprio statuto.

Contemporaneamente avvenne che il progresso industriale

avanzava a grandi passi. Ma la sua avanzata così spettacolare

comportò, all’interno della borghesia, che i valori da essa

propugnati, facessero fatica a mantenere il passo con i tempi.

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

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Paradossalmente, questo fenomeno provocò un irrigidimento

delle regole all’interno della famiglia borghese stessa.

Avvenne così che i maschi dovessero essere proiettati verso

lo studio e la carriera mentre alle donne spettava il compito

di impegnarsi nella costruzione di una “famiglia felice”. Per

le ragazze questo divenne l’unico metro di giudizio delle

loro capacità personali, e di riconoscimento sul piano

sociale.

Questo tipo di analisi presenta, senza dubbio, una

profonda marca sociologica. È pur vero che il fenomeno

dell’adolescenza ha radici ben più profonde nello sviluppo

biologico degli individui ed ha la sua massima

manifestazione nell’insorgere dei caratteri sessuali secondari.

Comunque, il nuovo interesse destato dalla situazione sociale

e culturale verso i figli in generale e l’adolescenza in

particolare, ebbe l’effetto di far aumentare anche le ricerche

scientifiche su questa fascia d’età. Fu così che ci si rese

conto che l’insorgere biologico dei caratteri secondari

presentava una progressiva anticipazione con il passare dei

secoli, seppur sempre correlato con altre variabili di tipo

socio economico. In particolare, esempio eclatante fu quello

del menarca delle ragazze della classe media. Esso

presentava un’anticipazione della sua comparsa con una

media di 3/4 mesi ogni 10 anni. Ancor più significativo nel

quadro generale del nostro discorso è che anche l’età di

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

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insorgenza dei Disturbi del Comportamento Alimentare

avanzava di pari passo.

Proseguendo sulla falsa riga dell’analisi sociologica,

possiamo rilevare altri fenomeni molto importanti per le loro

ripercussioni sulla formazione dell’identità femminile. Il

sempre maggior diffondersi dei valori “nuovi” del

capitalismo, porta la giovane donna a cercare un altro tipo di

realizzazione che non sia più limitato all’ideale borghese

della donna madre. Sono sempre maggiori le spinte verso

l’esterno e la donna cerca anche una realizzazione nel campo

del lavoro e in quello intellettuale. Queste nuove esigenze

portarono ad uno scontro frontale con i vecchi ideali della

famiglia borghese ed ad una condanna morale da parte della

borghesia stessa per le nuove aspirazioni. Vi era anche una

motivo politico alla base di questo atteggiamento, in quanto

il movimento femminista rivendicava il suffragio universale

per le donne.

La presenza di questa forte contrapposizione fra quelli che

erano i valori familiari fino ad allora propugnati e i nuovi

valori proposti dalla società capitalistica avanzante, crearono

un forte contrasto che le donne pagarono caramente sul

piano emotivo. Molte di esse, qualora si impegnavano sul

doppio fronte della famiglia e della carriera cominciarono a

soffrire di crolli nervosi.

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

37

Tipicamente la manifestazione sintomatologica di questo

contrasto emotivo si realizzò con la comparsa dell’isteria e

della nevrastenia. Sì può dire che queste due malattie

divennero caratteristiche della nuova epoca fino a divenire

talmente diffuse da essere considerate una vera e propria

epidemia sociale. In particolare l’isteria sembrava essere

entrata a far parte dello stereotipo femminile della donna

vittoriana. Essa ben si adattava alla figura proposta dalla

cultura dominante di una ragazza psicologicamente

vulnerabile, dotata di scarsa autostima. Scegliendo il ruolo

dell’isterica, inoltre, c’erano anche dei guadagni secondari in

quanto ciò conferiva una maggiore autorità all’interno del

nucleo familiare.

La nevrastenia invece era più caratteristica del XIX secolo

e la sua nascita viene a coincidere con quella dell’Anoressia

nervosa. Essa era associata ad un ritmo di vita innaturale e

frenetico della donna. Anche per la nevrastenia, come anni

dopo per l’Anoressia, la cura consigliata era quella di un

lungo periodo di riposo, iperalimentazione e soprattutto

l’allontanamento dal nucleo familiare. Queste osservazioni ci

fanno notare un notevole parallelismo tra le patologie delle

donne che cercano una nuova identità più adatta ai valori

della nuova società. Possiamo, a questo punto, sostenere che

queste malattie hanno come minimo comune denominatore

quello di essere tutte un modo di manifestare il proprio

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

38

disagio e di allontanare da sé l’enorme incombenza dei

doveri familiari.

LA SESSUALITÀ

Tutti questi processi che coinvolgevano lo sviluppo

dell’identità femminile ebbero notevoli ripercussioni anche

nel campo della sessualità dove maggiore che altrove era il

controllo morale imposto dai valori borghesi. Fino all’inizio

del XIX secolo l’autocontrollo di tutte le emozioni e in

particolare delle emozioni legate alla sessualità, era stato il

valore principale propugnato all’interno della famiglia

borghese. Indubbiamente l’accesso al godimento sessuale era

quanto di più contrario vi potesse essere all’ideale della

donna madre. Non vi era per questa alcuno spazio per la

passione sessuale. In contemporanea, il sempre maggiore

anticiparsi dell’insorgenza biologica dell’adolescenza,

poneva le donne in una un’età sempre più precoce di fronte

ai problemi della sessualità. Ai notevoli cambiamenti

psicofisici di questo periodo dello sviluppo non faceva da

contraltare un’adeguata informazione da parte della famiglia

stessa, anzi la donna veniva tenuta nella più completa

ignoranza rispetto agli argomenti inerenti la sessualità.

Notevoli cambiamenti erano però alle porte per quanto

riguarda questa situazione; l’opera stessa di Freud e il

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

39

sempre maggiore diffondersi del movimento femminista e

delle sue idee spinse sempre più le giovani donne verso

l’emancipazione sessuale. Ciò era in netto contrasto con la

moralità delle generazioni precedenti e favorì non poco

l’inasprimento dei contrasti generazionali.

LA NUOVA BELLEZZA.

L’autocontrollo, come abbiamo visto, era uno dei capisaldi

della famiglia borghese. Esso non si limitava al solo campo

delle emozioni ma trovava espressione anche in due campi

ben specifici che erano l’alimentazione e il peso. A partire

dalla XIX secolo fu posta una sempre maggiore attenzione al

binomio gastronomia-obesità. L’obesità fu sempre più al

centro dell’attenzione delle classi medie/agiate. In

contemporanea si acuì l’interesse da parte dei medici per le

dimensioni corporee e anche per i canoni estetici del corpo

stesso. Tutto ciò fu accompagnato da un incremento

dell’avversione verso l’obesità: compare un nuovo ideale di

figura femminile. Essa tendeva, nel suo svilupparsi, ad

un’ideale di snellezza e di corpo slanciato. I medici inoltre

affinarono le tecniche per impedire l’ingrassamento e le

metodologie delle diete si fecero sempre più raffinate.

Si può riscontrare anche una caratteristica di

emancipazione femminile nel mutare della figura ideale. Nel

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

40

XVII secolo l’ideale di donna aveva delle forme rotonde,

tendenti al grasso con particolare attenzione alla prominenza

del ventre, quasi a sottolineare la sua funzione prevalente,

cioè quella riproduttiva. Man mano che questa figura ideale

fu sostituita da quella della donna “a clessidra”, cioè una

donna pur sempre formosa, ma in precisi punti del corpo

quali il seno e i fianchi separati da una vita molto sottile.

Infine si arriva al modello di figura femminile tipico del XX

secolo, in cui la donna tende ad un aspetto “tubolare” quasi

che si volesse liberare delle connotazioni sessuali attraverso

una loro mimetizzazione e una sempre maggiore

indifferenziazione dal corpo maschile.

Il polso di questa situazione si può facilmente verificare

attraverso un’analisi statistica del numero di articoli sulle

diete e la linea nei giornali dagli anni ‘20 ad oggi. Vi è un

incremento geometrico. Lo stesso discorso può essere

applicato alla pubblicazione delle foto di donne snelle, in

particolare del modello “tubolare”.

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

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IL CONCETTO DI DISTURBO ETNICO APPLICATO

AI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO

ALIMENTARE.

Per sistematizzare tutte le varie considerazioni sinora fatte

a proposito dei Disturbi del Comportamento Alimentare in

rapporto al contesto sociale, ci può venire in soccorso un

interessante formulazione teorica proposta per la prima volta

da Devereux (1978). Stiamo parlando del concetto di

“disturbo etnico”. Questo concetto è stato riproposto poi da

Gordon (1991). Esso può essere definito dai seguenti punti:

<<

a) Il disturbo si verifica più di frequente nella cultura in

questione, rispetto ad altri tipi di patologia psichica.

b) Se esiste una certa continuità tra i sintomi del disturbo,

le loro dinamiche e gli elementi “normali” della cultura,

il disturbo costituisce l’espressione, intensa e prossima al

confine patologico di forme precliniche.

c) Il disturbo mostra conflitti fondamentali e tensioni

patologiche normalmente diffuse nella popolazione che

però, a livello di singoli individui, possono svilupparsi

verso forme acute d’ansia e arrivare ad innescare alcuni

meccanismi di difesa.

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

42

d) Il disturbo è la tappa finale comune per l’espressione del

disagio psichico e di una grande varietà di problemi

personali.

e) I sintomi non sono solo l’estensione di atteggiamenti

normali e ricorrenti, ma includono spesso

comportamenti che, in situazioni normali, vengono

considerati altamente positivi.

f) Il disturbo è un disordine altamente strutturato, un

profilo di devianza, cioè un “modello di cattiva condotta”

che dà la possibilità a chi lo attua di comportarsi in

modo deviante e irrazionale pur rimanendo, in un certo

senso, all’interno di ciò che è socialmente più accettato.

g) Poiché, infine, il disturbo si fonda su comportamenti

apprezzati, ma costituisce nel contempo un’espressione

di devianza, provoca negli altri risposte ambivalenti:

timore e rispetto, ma anche reazioni negative e tentativi

di controllo della devianza. Il disturbo, in questo modo,

acquista una certa notorietà all’interno della cultura e

sviluppa un suo proprio modo di proporsi.>>

Gordon, infine, afferma che i Disturbi del Comportamento

Alimentare sono l’espressione, a livello sintomatico, delle

contrapposizioni presenti nell’identità femminile nella

società attuale. Chi soffre di Disturbi del Comportamento

Alimentare, nel momento in cui altera il rapporto con cibo e

assume un atteggiamento ossessivo nei confronti della

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

43

propria figura corporea, utilizza il linguaggio tipico dei

nostri giorni, che è definito dalla ossessione per le diete,

dalla snellezza e dall’ipercontrollo dell’alimentazione. Lo

scopo di tutti questi meccanismi è quello di creare una via di

fuga da una disagio interiore ben più profondo che risulta

insopportabile ed è strettamente connesso alle problematiche

dell’identità.

Gordon così si esprime: “l’Anoressia e la bulimia sono

disturbi socialmente strutturati, sono una maniera alla

moda di acquisire unicità tramite la devianza”. A conforto

di questa tesi anche la Bruch afferma (1985): “il

cambiamento in atto nello status e nelle aspettative delle

donne è una delle cause dell’aumento della prevalenza dei

Disturbi del Comportamento Alimentare. A ragazze

educate fin da bambine ad assumere il ruolo di mogli fedeli

improvvisamente, nell’adolescenza, si chiede di dimostrarsi

donne di successo. Ciò può essere all’origine di gravi

problemi d’identità e di incertezza di fondo. Nella loro

remissività, queste giovani donne scelgono lo slogan della

magrezza per dimostrare a se stesse di meritare rispetto”. A

queste considerazioni aggiunge la sua voce la Selvini

Palazzoli, la quale rileva una serie di situazioni atte a creare

un forte conflitto interiore nelle giovani donne: ella afferma

che la possibilità odierna delle donne di ricevere la stessa

istruzione maschile e di avviarsi a qualsiasi tipo di

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

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professione o carriera, precedentemente riservate agli

uomini, le mette in forte contrasto con l’ideale femminile che

riteneva la donna deputata prettamente ai compiti di

educazione familiare, connotati tra l’altro da una notevole

sottomissione nei confronti del ruolo sociale dell’uomo. Ma

il problema vero sembra essere che queste nuove possibilità

sono accompagnate da una altrettanto forte richiesta di non

perdere le connotazioni tipicamente femminili pur entrando

in un mondo dove la competitività regna sovrana. In pratica

la donna deve essere, anche se lavoratrice, comunque sempre

una buona moglie, una madre comprensiva, e anche una

buona domestica. Queste richieste hanno tra loro una forte

carica contraddittoria e risultano spesso inconciliabili. Se poi

a queste difficoltà aggiungiamo i forti messaggi provenienti

dai media che insistono sulla importanza di una linea perfetta

e contemporaneamente squalificano e ridicolizzano l’obesità,

finisce per essere immediato il binomio grasso = rifiutato.

La Selvini Palazzoli dice: “si ha spesso l’impressione che

queste figliole trapassino bruscamente alla pubertà, dalla

fase del lattante a quella dell’adolescente, dopo un

lunghissimo periodo di latenza, vuoto di esperienze proprie

e di successive dis-identificazioni dalla persona invadente,

carenti quindi di una vera consapevolezza di se medesime.

In tal modo il ruolo di donna si impone alla ragazza in

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Capitolo 2 L’influenza dei fattori socio-culturali

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pubertà in maniera improvvisa e scuotente, senza fasi

intermedie”.

Sempre a proposito di chi soffre di un disturbo etnico

Devereux afferma che costoro soffrono, in forma accentuata,

dei conflitti psicologici che pervadono la loro cultura. Si è

del resto osservato che nei paesi occidentali i Disturbi del

Comportamento Alimentare sono caratterizzati anche da una

frequente paura per l’obesità, anzi questo sembra essere un

dato predominante. Se a ciò aggiungiamo che in altre culture

questa paura del obesità non è presente pur presentando i

soggetti tutta la sintomatologia dei Disturbi del

Comportamento Alimentare, possiamo ipotizzare a proposito

della formazione dell’identità femminile, l’importanza dei

messaggi subliminali e veicolati dalla nostra cultura, e che si

innestano in maniera preponderante nello sviluppo dei

Disturbi del Comportamento Alimentare stessi, fino a

denotarne una delle caratteristiche principali.

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CAPITOLO 3

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE NELLA NOSOGRAFIADEL DSM

IV E NELL’ICD-10 E LE LORO CARATTERISTICHE CLINICHE

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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L’ANORESSIA NEL DSM IV E NELL’ICD-10

ICD-10

L’ICD-10 (l’International Classification of Diseaseses-10)

viene diffuso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tra

i criteri fondamentali per una diagnosi di Anoressia Nervosa,

esso annovera la valutazione del peso corporeo attraverso

l’Indice di Massa Corporea (Body Mass Index), che è il

rapporto tra il peso in chilogrammi e il quadrato dell’altezza

in metri. Secondo i criteri dell’ICD-10 per effettuare una

diagnosi di Anoressia Nervosa si necessita di un limite

minimo in cui l’Indice di Massa corporea sia minore o

uguale a 17,5 kg/m.

Per quanto riguarda la descrizione comportamentale dei

soggetti, l’ICD-10 osserva che la perdita ponderale viene

attuata, inizialmente, mediante l’eliminazione di cibi

considerati ipercalorici e successivamente con l’attuazione di

un regime alimentare molto rigido limitato a pochi tipi di

cibi. Inoltre la scarsa alimentazione è associata alle condotte

di eliminazione (vomito autoindotto, uso scriteriato di

lassativi e diuretici) ed ad una la notevole iperattività fisica.

L’ICD-10 dispone anche di un’altra categoria per i

Disturbi del Comportamento Alimentare: l’Anoressia

Nervosa atipica. Questa categoria racchiude tutti quei casi

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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che, pur non presentando tutti gli aspetti caratteristici

dell’Anoressia Nervosa come ad esempio l’amenorrea o la

notevole perdita di peso, tuttavia hanno un quadro

sintomatologico ben definito. In questa classificazione

vengono racchiusi anche tutti i casi che pur manifestando i

sintomi fondamentali dell’Anoressia Nervosa li presentano

in modo lieve.

Riportiamo ora i criteri dell’ICD-10:

World Health Organization (1992): ICD-10

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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F 50.0 ANORESSIA NERVOSA 1) Un peso corporeo che è almeno il 15% al di sotto di quello

atteso (perso o mai raggiunto), o un Indice di Massa Corporea di Quetelet di 17,5 o meno. I pazienti in età pre-puberale possono non subire il previsto incremento ponderale durante il periodo dell’accrescimento.

2) la perdita di peso autoindotta mediante l’evitamento dei cibi che fanno ingrassare, ed uno o più dei seguenti:

a) vomito autoindotto; b) purghe autoindotte; c) esercizio eccessivo; d) uso di farmaci anoressizzanti e/o di diuretici.

3) È presente una distorsione dell’immagine corporea, sotto forma di una specifica psicopatologia per cui il terrore di diventare grassa persiste come un’idea prevalente, intrusiva e il paziente si impone un limite di peso basso.

4) È presente una disfunzione endocrina diffusa riguardante l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, che si manifesta nelle donne come amenorrea e nei maschi come perdita dell’interesse sessuale e della potenza (un’eccezione apparente è la persistenza di sanguinamento vaginale in donne con Anoressia che seguono una terapia sostitutiva ormonale, in genere sotto forma di pillola contraccettiva). Vi possono essere anche elevati livelli di ormone somatotropo, aumentati livelli di cortisolo, modificazioni nel metabolismo periferico dell’ormone tiroideo e anormalità della secrezione insulinica.

5) Se l’esordio è pre-puberale, la sequenza degli eventi puberali è rimandata, o persino arrestata (l’accrescimento cessa; nelle ragazze i seni non si sviluppano e c’è un’amenorrea primaria; nei ragazzi i genitali rimangono infantili). Con la guarigione la pubertà è spesso portata a completamento in maniera normale, ma il menarca si verifica più tardi.

Questi invece, sono i criteri diagnostici suggeriti dall’ICD-

10, per la Anoressia Nervosa Atipica:

World Health Organization (1992): ICD-10

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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F 50.1 ANORESSIA NERVOSA ATIPICA Questa categoria deve essere utilizzata per quei pazienti in cui sono assenti uno o più aspetti caratteristici dell’Anoressia Nervosa (F.50.0), come l’amenorrea o una significativa perdita di peso, ma che, per il resto, presentano un quadro clinico abbastanza tipico. Questi pazienti si incontrano di solito nell’attività di consulenza psichiatrica negli ospedali generali o nella medicina di base. Questa categoria è la migliore anche per descrivere i pazienti che presentano tutti i sintomi fondamentali dell’Anoressia Nervosa, ma solo in grado lieve. Questa categoria non deve essere utilizzata per i Disturbi del Comportamento Alimentare simili all’Anoressia Nervosa che sono dovuti a malattie somatiche note.

Il DSM-IV

Il DSM-IV (il Manuale Diagnostico e Statistico dei

Disturbi Mentali), edito dall’American Psychyatric

Association, introduce come novità rispetto alle precedenti

edizioni, la distinzione tra due sottotipi di Anoressia

Nervosa: quello con restrizioni e quello con

abbuffate/condotte di eliminazione.

Nel primo sottotipo, quello con restrizioni, la perdita

ponderale è raggiunta attraverso diete, digiuno e attività

fisica eccessiva e il soggetto non presenta regolarmente

abbuffate o condotte di eliminazione.

Nel secondo sottotipo sono racchiusi quei soggetti che,

invece, presentano con continuità abbuffate e/o condotte di

eliminazione, come il vomito autoindotto, l’uso scriteriato di

lassativi, diuretici o enteroclismi.

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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Queste condotte possono essere attuate anche dopo

l’ingestione di quantità di cibo esigue. Viene inoltre

specificato che la frequenza di queste condotte deve avere

almeno cadenza settimanale.

Ecco i criteri diagnostici al completo:

American Psychyatric Association (1995): DSM-IV:

CRITERI DIAGNOSTICI PER LA ANORESSIA NERVOSA (307.1)

1. Rifiuto di mantenere il loro peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura (per esempio perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto del 85% rispetto a quanto previsto, oppure incapacità di raggiungere il peso previsto durante il periodo della crescita in altezza, con la conseguenza che il peso rimane al di sotto del 85% rispetto a quanto previsto).

2. Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso.

3. L’alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso.

4. Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi. (una donna viene considerata amenorroica se i suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni, per esempio estrogeni) Specificare il sottotipo: Con Restrizioni: nell’episodio attuale di Anoressia Nervosa il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per esempio vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi). Con Abbuffate/Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale di Anoressia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate e o condotte di eliminazione (per esempio vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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Vi sono delle differenze notevoli nei criteri diagnostici dei

due manuali. Quelle che più risaltano sono le seguenti:

Nell’ICD-10 si richiede che la perdita di peso sia

autoindotta mediante l’esclusione dall’alimentazione dei cibi

che “fanno ingrassare” e che, per quanto riguarda gli uomini,

sia presente una perdita dell’interesse e della potenza

sessuale e ciò è inteso come un equivalente dell’amenorrea

nelle donne.

Un’altra differenza fondamentale sta nel fatto che l’ICD-

10 esclude la diagnosi di Anoressia Nervosa in caso di

presenza regolare di abbuffate, mentre il DSM IV dà

comunque una precedenza alla diagnosi di Anoressia

Nervosa avendo introdotto la novità dei sottotipi.

C’è anche da dire che la formulazione diagnostica nel

DSM IV accoglie concettualmente, come eredità e ulteriore

sviluppo dal DSM III-R, il frutto del lavoro della Bruch nel

suo libro del 1973 sui Disturbi del Comportamento

Alimentare. Questo rilievo viene fatto notare da Gordon nel

suo libro “Anoressia e Bulimia” (1990). Egli mette in luce il

parallelismo tra i criteri diagnostici adottati dal DSM III-R (e

dal DSM IV poi) e le caratteristiche elencate dalla Bruch per

il tipo di Anoressia che ella definisce di “forma primaria”.

Essi sono:

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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a) “Un immagine distorta del corpo, la percezione

errata e virtualmente ingannevole di esso come

grasso”.

b) “Un’incapacità di identificare sentimenti interiori e

condizioni di bisogno, in particolare la fame, ma

più in generale un intenso spettro delle emozioni”.

c) “Un senso pervasivo di < ineffettualità >, la

percezione cioè che le proprie azioni, pensieri e

sentimenti non origino attivamente dentro di sé ma

riflettano passivamente aspettative e richieste

esterne”. (Gordon, 1990).

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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IL QUADRO CLINICO DELL’ANORESSIA

L’esame fisico

Il calo ponderale, che rappresenta l’elemento

principale e più appariscente del quadro clinico, varia a

secondo dei casi. Raggiunge in alcune situazioni valori

incredibilmente bassi con l’assunzione di 350, o 400, o 470

calorie al giorno.

L’aspetto delle ragazze anoressiche, così magre,

impressiona: scompaiono i depositi dell’adipe, le forme

rotonde, che sono così rappresentative della femminilità, si

annullano e la figura corporea diventa angolosa, i muscoli

dello scheletro diventano notevolmente ipotrofici.

Nonostante ciò, a dispetto di quanto ci si possa aspettare

dall’estremo dimagrimento e dall’ipotrofia muscolare, le

ragazze sono dotate di una notevole elasticità nei movimenti

corporei.

Tra le principali alterazioni della sfera genitale c’è

senz’altro l’amenorrea primaria o secondaria a secondo se

sopraggiunga dopo il menarca o se ne impedisca la normale

comparsa. Vi sono anche delle modificazioni dei caratteri

sessuali secondari che si rivelano a livello della pelosità

sessuale, con un incremento dei peli del pube e di quelli

ascellari, le mammelle sono risparmiate almeno a livello

ghiandolare anche se non si può dire la stessa cosa del loro

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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strato adiposo che però, caratteristicamente, resiste più che in

altre parti del corpo. Per quanto riguarda i genitali interni ed

esterni, essi presentano, nei casi avanzati della malattia, una

generica ipotrofia.

Altri sintomi organici possono essere presenti come degli

edemi.

Ben più cospicue sono le alterazioni ectodermiche. A

livello delle alterazioni cutanee, si nota che la pelle diventa

secca, rugosa, più sottile del normale e perde di elasticità.

Spesso si presenta una pigmentazione di colorito

giallo/arancio. Per quanto riguarda il sistema pilifero, i

capelli perdono di vitalità e consistenza, i peli sessuali, come

abbiamo visto, sono conservati se non incrementati;

soprattutto, però, spesso vi è la comparsa di una pelosità

superiore alla norma, in particolare sul viso e sugli arti che

viene detta lanugo. Le alterazioni dentarie sono

caratterizzate dalla presenza di numerose carie

accompagnate spesso da gengiviti.

Per quanto riguarda le alterazioni cardio-circolatorie, esse

si manifestano con una notevole ipotensione, con ipotonia

venosa (“le vene, che in precedenza appena si vedevano,

sembravano gonfie di sangue”, Whytt, 1767.). Altro sintomo

somatico appartenente a questa categoria è l’acrocianosi che

si associa alla secchezza della pelle e riduzione della

secrezione sudorale e sebacea. La pelle appare chiazzata,

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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rosso/bluastra e cianotica. La presenza di questa alterazione

ha come importante conseguenza che anche in ambienti

caldi, il freddo provoca forti ed intensi dolori. La

funzionalità cardiaca è influenzata da una sua ipotrofia e da

un concomitante allungamento (“cuore a goccia”); si

presenta anche la bradicardia.

Le alterazioni dell’apparato digerente rilevano un

particolare importante per le sue implicazioni psicologiche a

livello della motilità gastrica. Essa non sembra differire da

quella delle persone normali ma le ragazze anoressiche

interpretano una situazione perfettamente fisiologica, cioè i

“crampi allo stomaco”, come un fastidio. La

funzionalità intestinale è caratterizzata in modo notevole

dalla costipazione (stipsi e rallentamento della motilità

intestinale).

Le alterazioni legate a disfunzioni corticali sono

essenzialmente due, l’ipotermia e le alterazioni del sonno.

Per quanto riguarda la prima spesso, ma non sempre vi è una

riduzione della temperatura basale. Le alterazioni del sonno,

invece si manifestano soprattutto con un risveglio precoce o

al mattino, e/o un risveglio a metà della notte.

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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Alcuni fattori scatenanti e l’atteggiamento mentale.

Nella maggior parte dei casi, l’Anoressia ha il suo esordio

nel periodo post-puberale o adolescenziale e interessa

soprattutto le giovani donne.

Poche di esse presentano un reale eccesso di peso, anche

se talvolta vi è un sovrappeso che va nell’ordine dei 2/4 chili.

Il vero problema sembra essere rappresentato dallo sviluppo

fisiologico delle forme femminili, dalla nuova morfologia

dei seni e dei fianchi, il cui arrotondamento viene

interpretato dalle stesse come acquisto di tessuto adiposo.

Talvolta la semplice preoccupazione può sfociare in una vera

e propria ossessione in seguito ad un episodio banale, come

può essere un’osservazione scherzosa di un coetaneo. Questo

e altri commenti simili possono scatenare un atteggiamento

di esasperata attenzione verso il proprio corpo e il proprio

peso.

Talvolta invece, il suddetto atteggiamento mentale può

essere scatenato dall’approssimarsi di situazioni in cui ci si

allontana dal nucleo familiare e si esce dal proprio contesto

di vita abituale, situazioni cioè che portano con sé una

necessita di riadattamento e tematiche di accettazione/rifiuto.

Il senso di perdita e di allontanamento, sovente, può

scatenare un periodo di depressione che favorisce il senso di

“ineffettualità” (Bruch 1973).

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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LA BULIMIA NERVOSA NEL ICD-10 E NEL DSM-

IV

L’ICD-10

Nell’illustrazione di questa sindrome l’ICD-10 mette in

risalto la presenza dei comportamenti atti a neutralizzare

l’apporto calorico del cibo in seguito agli attacchi di

iperalimentazione. Viene messo anche l’accento sulla

presenza di un anormale preoccupazione per il proprio peso

corporeo, ma soprattutto viene fatta notare la sua relazione

con l’Anoressia nervosa e come la Bulimia possa talvolta

essere considerata come una fase che segue l’Anoressia

restrittiva

Anche nel caso della Bulimia l’ICD-10 riporta una

ulteriore categoria definita Bulimia nervosa atipica in cui

rientrano i casi ove il quadro clinico non presenti

chiaramente tutti gli elementi richiesti per la Bulimia nervosa

e soprattutto quei casi in cui gli attacchi di iperalimentazione

e le susseguenti condotte di eliminazione appaiono,

caratteristicamente, dopo lunghi periodi asintomatici. Si fa

rilevare che in queste situazioni non è raro riscontrare dei

sintomi che possono essere collegati a tratti depressivi, pur

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

59

non essendo tali da poter giustificare una diagnosi di

Depressione.

Per entrambe le categorie si registra la frequente presenza

di situazioni in cui le persone si presentano spesso

“normopeso”.

World Health Organization (1992): ICD-10

F50.2 Bulimia nervosa Direttive diagnostiche Per una diagnosi di certezza sono richiesti tutti i seguenti aspetti: 1. È presente una persistente preoccupazione per l'alimentazione,

un'irresistibile desiderio di cibo, e il paziente manifesta episodi di iperalimentazione nei quali vengono consumati grossi quantitativi di cibo in brevi periodi di tempo.

2. I1 paziente tenta di mitigare gli effetti ingrassanti del cibo mediante una o più delle seguenti procedure: vomito autoindotto, abuso di purganti, periodi alternati di digiuno, uso di farmaci come gli anoressizzanti, gli estratti di tiroide o i diuretici. Quando la bulimia si verifica in pazienti diabetici essi possono decidere di tralasciare il loro trattamento insulinico.

3. La psicopatologia consiste in un terrore morboso della pinguedine. Il paziente fissa per se stesso un limite ben definito di peso, molto al di sotto di quello che costituisce il peso ottimale secondo l'opinione del medico. È spesso, ma non sempre, presente una storia di un precedente episodio di anoressia nervosa con un intervallo variabile da pochi mesi a diversi anni. L'episodio in questione può essersi manifestato in maniera chiara oppure in forma ridotta, criptica, con una moderata perdita di peso e/o una fase transitoria di amenorrea.

La diagnosi differenziale riguarda: 1. le malattie dei tratto gastro-intestinale superiore che conducono a vomito

ripetuto (in cui la psicopatologia caratteristica è assente); 2. una più generale anormalità della personalità, giacché il disturbo del

comportamento alimentare può coesistere con una dipendenza dall'alcool e con atti criminosi di entità lieve (ad esempio rubare nei negozi);

3. le sindromi depressive (dal momento che i pazienti bulimici spesso presentano sintomi depressivi).

Include: bulimia non altrimenti specificata; iperalimentazione nervosa.

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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Questi i criteri per la diagnosi della Bulimia nervosa; di

seguito invece quelli per la Bulimia nervosa atipica:

F50.3 Bulimia nervosa atipica Questa categoria deve essere utilizzata per quei pazienti in cui sono assenti uno o più aspetti fondamentali della bulimia nervosa (F50.2); ma che, per il resto, presentano un quadro clinico abbastanza tipico. Nella maggior parte dei casi si applica per pazienti con peso normale o anche eccessivo, ma con caratteristici periodi di iperalimentazione seguiti da vomito o da assunzione di purganti. Inoltre, è comune riscontrare sindromi parziali associate a sintomi depressivi (tuttavia, se i sintomi depressivi giustificano una diagnosi separata si sindrome depressiva, si devono porre entrambe le diagnosi). Include: bulimia con peso normale

Il DSM-IV

Il DSM-IV sottolinea la correlazione diretta tra il livello di

autostima e la condizione del proprio corpo in rapporto al

peso e alla forma. Inoltre è maggiormente specificato sia il

criterio secondo il quale definire “un abbuffata”, la quale

viene definita in rapporto al quantitativo di cibo che la

maggioranza delle persone ingerirebbe in una certa unità di

tempo, sia l’importanza del contesto in cui essa avviene (per

esempio se rispetto a quanto viene mangiato in un

festeggiamento o in un pranzo quotidiano).

Un’altra caratteristica che viene rilevata è il sentimento di

vergogna che le persone provano per il loro comportamento

alimentare e il conseguente tentativo di nasconderlo. È

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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sottolineata anche la sensazione di perdere il controllo e il

senso di “derealizzazione” che talvolta essi provano nel

corso dell’abbuffata.

Le condotte di eliminazione sono un altro criterio base per

effettuare la diagnosi. Esse sono così presenti e il ricorso ad

esse avviene così spesso che queste persone arrivano a poter

vomitare con il solo atto di volontà, senza doversi provocare

il conato di vomito con uno stimolo meccanico. Anche il

DSM-IV sottolinea la stretta correlazione tra il livello di

autostima e la propria immagine corporea e l’importanza dei

tratti depressivi, soprattutto sul versante disforico.

Infine è riportata la presenza di due sottotipi, quello Con

Condotte di Eliminazione e quello Senza Condotte di

Eliminazione.

I criteri del DSM-IV:

American Psychyatric Association (1995): DSM-IV:

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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Criteri diagnostici per F50.2 Bulimia Nervosa [307.51] A. Ricorrenti abbuffate. Una abbuffata è caratterizzata da entrambi i seguenti: 1) mangiare in un definito periodo di tempo (ad es. un periodo di due ore),

una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili

2) sensazione di perdere il controllo durante l'episodio (ad es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando).

B. Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l'aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo. Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi. D. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei. E. L'alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di Anoressia Nervosa. Specificare il sottotipo: Con Condotte di Eliminazione: nell'episodio attuale di Bulimia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi. Senza Condotte di Eliminazione: nell'episodio attuale il soggetto ha utilizzato regolarmente altri comportamenti compensatori inappropriati, quali il digiuno o l'esercizio fisico eccessivo, ma non si dedica regolarmente al vomito autoindotto o all'uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.

Fondamentalmente non vi sono grandi differenze tra i

criteri diagnostici per la Bulimia nervosa tra il DSM-IV e

l’ICD-10, tranne una piuttosto rilevante. Il DSM-IV esclude

la possibilità di una diagnosi di Bulimia qualora le

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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manifestazioni comportamentali siano avvenute solo come

episodi nel decorso dell’Anoressia nervosa; l’ICD-10,

invece, esclude la diagnosi di Anoressia nervosa qualora le

abbuffate vengano ripetute con regolarità.

IL QUADRO CLINICO DELLA BULIMIA Il frequente ricorso al vomito, con un forte incremento del

grado di acidità nella bocca, spesso provoca seri danni alla

dentatura il cui smalto si deteriora notevolmente; frequenti

quindi sono le presenze di carie. Inoltre spesso è presente

un’ipertrofia delle ghiandole salivari. Un’altra caratteristica

frequentemente presente è la formazione di calli sul dorso

delle dita a causa della continua sollecitazione a cui sono

sottoposte sfregando contro i denti allorché i soggetti si

provocano il vomito. Altri disturbi, anche piuttosto gravi,

sono a carico dei muscoli e del cuore e derivano dall’uso di

alcuni tipi di lassativi. Sempre a causa dell’abuso di lassativi,

spesso si verifica una pigrizia intestinale e una dipendenza

da questi medicinali per ristabilire una normale funzionalità.

Nella Bulimia le preoccupazioni mediche, come si vede,

sono soprattutto focalizzate sulle conseguenze delle condotte

di eliminazione sui farmaci usati per attuarle. La

preoccupazione principale è dovuta ai forti e repentini

scompensi degli equilibri fisiologici, soprattutto a carico

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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degli elettroliti, il che preoccupa per il rischio di attacchi

cardiaci.

ULTERIORI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO

ALIMENTARE NELL’ICD-10 E NEL DSM-IV In entrambi i manuali non riescono ancora a trovare una

loro dignità diagnostica gli episodi di Disturbi del

Comportamento Alimentare che si verificano senza una

rilevabile associazione agli altri criteri che definiscono

Bulimia ed Anoressia. Essi sono definiti per differenza e per

assenza di caratteristiche. In particolar modo ciò colpisce

anche per l’inclusione in questa categoria

dell’Iperalimentazione compulsiva, che sembra costituire

una rilevante fetta sommersa nella popolazione di persone

che esprimono un loro disagio psichico attraverso il

comportamento alimentare. Comunque, mentre l’ICD-10

annovera un disturbo denominato “Iperalimentazione

associata con altri disturbi psicologici” in cui include l’

“iperalimentazione psicogena”, il dsm-iv parla di “Disturbo

da Alimentazione Incontrollata” di cui propone i criteri di

ricerca per un’eventuale proposta di una nuova entità

diagnostica.

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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Elenchiamo qui di seguito i criteri rimanenti di entrambi i

manuali e i criteri proposti per la ricerca nel dsm-iv per il

Disturbo da Alimentazione Incontrollata:

World Health Organization (1992): ICD-10

F50.4 iperalimentazione associata con altri disturbi psicologici È qui classificata l'iperalimentazione che ha portato ad obesità, reattiva ad eventi stressanti. Lutti, incidenti, operazioni chirurgiche ed eventi emozionalmente stressanti possono essere seguiti di una «obesità reattiva), specialmente in pazienti predisposti all'aumento ponderale. L'obesità come causa di disturbi psicologici non va codificata qui. L'obesità può determinare un'ipersensibilità del paziente per quanto riguarda il suo aspetto e dar luogo a una mancanza di sicurezza nelle relazioni interpersonali, e l'apprezzamento soggettivo delle dimensioni corporee può essere esagerato. Per codificare l'obesità che è causa di disturbi psicologici va usata una categoria come F38 (sindrome affettiva di altro tipo), o F41.2 (sindrome mista ansioso-depressiva), o F48.9 (sindrome nevrotica non specificata), con l'aggiunta di un codice ricavato da E66 per indicare il tipo di obesità. L'obesità come effetto indesiderato di un trattamento a lungo termine con farmaci neurolettici, antidepressivi o di altro tipo non deve essere codificata qui, ma in E66.1 (obesità indotta da farmaci), con aggiunta di un codice del Capitolo XX dell'ICD-10 (Cause Esterne), per identificare il tipo di farmaco. L'obesità può essere la causa dell'inizio di una dieta che a sua volta dà luogo a sintomi affettivi minori (ansia, irrequietezza, astenia e irritabilità) o, più raramente, a sintomi depressivi gravi («depressione da dieta»). Per codificare questi disturbi, si deve usare il codice appropriato di F30-F39 o F40-F48 per includere i sintomi succitati, con aggiunta di F50.8, «altro disturbo del comportamento alimentare», per indicare la dieta, e di un codice ricavato da E66 per indicare il tipo di obesità. include: iperalimentazione psicogena. Esclude: polifagia non altrimenti specificata (R63.2); obesità (E66).

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American Psychyatric Association (1995): DSM-IV:

F50.9 Disturbi dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati (307.50) La categoria Disturbi della Alimentazione non Altrimenti specificati include quei disturbi dell'alimentazione che non soddisfano i criteri di nessuno specifico Disturbo della Alimentazione. Gli esempi includono: 1) Per il sesso femminile, tutti i criteri dell'Anoressia Nervosa in presenza di un ciclo mestruale regolare. 2) Tutti i criteri dell'Anoressia Nervosa sono soddisfatti e, malgrado la significativa perdita di peso, il peso attuale risulta nei limiti della norma. 3) Tutti i criteri della Bulimia Nervosa risultano soddisfatti, tranne il fatto che le abbuffate e le condotte compensatorie hanno una frequenza inferiore a 2 episodi per settimana per 3 mesi. 4) Un soggetto di peso normale che si dedica regolarmente ad inappropriate condotte compensatorie dopo aver ingerito piccole quantità di cibo (es. induzione del vomito dopo aver mangiato due biscotti). 5) Il soggetto ripetutamente mastica e sputa, senza deglutirle, grandi quantità di cibo. 6) Disturbo da Alimentazione Incontrollata: ricorrenti episodi di abbuffate in assenza delle regolari condotte compensatorie inappropriate tipiche della Bulimia Nervosa.

American Psychyatric Association (1995): DSM-IV:

Criteri di ricerca per il Disturbo da Alimentazione Incontrollata A. Episodi ricorrenti di alimentazione incontrollata. Un episodio di alimentazione incontrollata si caratterizza per la presenza di entrambi i seguenti elementi: 1) mangiare, in un periodo definito di tempo (per es., entro un periodo di 2 ore), un quantitativo di cibo chiaramente più abbondante di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe in un periodo simile di tempo e in circostanze simili 2) sensazione di perdita del controllo nel mangiare durante l'episodio (per es., la sensazione di non riuscire a fermarsi, oppure a controllare che cosa e quanto si sta mangiando). B. Gli episodi di alimentazione incontrollata sono associati con tre (o più) dei seguenti sintomi: I) mangiare molto più rapidamente del normale 2) mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni

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Capitolo 3 DCA, DSM IV, ICD 10, Caratteristiche cliniche.

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3) mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati 4) mangiare da soli a causa dell'imbarazzo per quanto si sta mangiando 5) sentirsi disgustato verso sé stesso, depresso, o molto in colpa dopo le abbuffate. C. È presente marcato disagio a riguardo del mangiare incontrollato. D. Il comportamento alimentare incontrollato si manifesta, mediamente, almeno per 2 giorni alla settimana in un periodo di 6 mesi. Nota Il metodo per determinare la frequenza è diverso da quello usato per la Bulimia Nervosa; la ricerca futura dovrebbe indicare se il metodo preferibile per individuare una frequenza-soglia sia quello di contare il numero di giorni in cui si verificano le abbuffate, oppure quello di contare il numero di episodi di alimentazione incontrollata. E. L'alimentazione incontrollata non risulta associata con l'utilizzazione

sistematica di comportamenti compensatori inappropriati (per es., uso di purganti, digiuno, eccessivo esercizio fisico), e non si verifica esclusivamente in corso di Anoressia Nervosa o di Bulimia Nervosa.

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CAPITOLO 4

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE SECONDO IL MODELLO

PSICOANALITICO

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

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IL MODELLO PSICOANALITICO

Facendo riferimento alla teoria psicoanalitica, è

inevitabile esporre il pensiero di Freud rispetto

all’Anoressia, prima di passare alle più recenti

teorizzazioni.

Secondo Freud, la sindrome anoressica è direttamente

correlata con l’Isteria. Ciò fa sì che la sintomatologia

anoressica venga considerata come un sintomo di

conversione e che sia anche la conseguenza di una

rimozione dell’erotismo anale.

In pratica Freud ipotizza che avvenga una

sessualizzazione delle funzioni alimentari a causa della

fissazione dell’erotismo orale nella zona della bocca e

delle labbra, già considerate di per sé delle zone erogene

molto importanti. Il risultato di questo processo viene ad

essere una rimozione dell’appetito stesso e rileva anche

il posto fondamentale che l’oralità gioca nei primi

processi di identificazione e di differenziazione dell’Io e

dell’oggetto. A queste prime osservazioni cliniche

Freud ne aggiunge altre più specifiche mettendo in

risalto la componente depressiva dell’Anoressia e così si

esprime: “La nevrosi alimentare parallela alla

malinconia è l’Anoressia: la ben nota Anoressia

nervosa delle ragazze sembra essere una malinconia

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

70

che si verifica ove la sessualità non è sviluppata. La

paziente asseriva che non mangiava semplicemente

perché non aveva appetito e per nessun’altra ragione .

Perdita dell’appetito: in termini sessuali, perdita della

libido” (Freud, 1895).

Un’interpretazione più ampia, specifica, legata

all’osservazione dei sintomi e del contesto della

sindrome e quella di Waller, Kaufmann e Deutsch

(1940), secondo i quali, l’Anoressia si manifesterebbe

con l’alternanza di periodi di digiuno e periodi di

attacchi bulimici, di costipazione, di amenorrea. Questa

sintomatologia sarebbe strettamente collegata, secondo

gli autori, ad un conflitto nel contesto familiare,

conflitto che precipita in seguito al verificarsi di

circostanze esterne. Queste circostanze sono spesso

legate a situazioni che rimettono in gioco la definizione

dell’identità dell’individuo come nel caso di separazioni

dalla famiglia o la creazione di nuovi legami al di fuori

della famiglia stessa. Il riemergere, in queste occasioni

di un tale conflitto, pur sempre latente, porterebbe

all’Anoressia perché il soggetto subisce una regressione

ad un livello infantile, cosa che comporta un abbandono

della sessualità a livello cosciente.

Per quello che riguarda la cronicizzazione dei sintomi

e il loro mantenimento, gli autori fanno un discorso

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

71

molto interessante che mette in rilievo i vantaggi

secondari legati alla scelta di questa sindrome. Secondo

loro il soggetto ottiene una immediata focalizzazione

dell’attenzione parentale su di sé, a discapito degli altri

membri della fratria. Ciò sembra essere di particolare

importanza in quanto fa sì che il rapporto con il cibo

venga simbolizzato in modo tale da perdere la sua

naturale connessione con il bisogno di sopravvivenza.

Waller (e altri con lui) approfondisce il discorso

interpretativo sulla sintomatologia dell’Anoressia che

ruota intorno al simbolismo della fecondazione orale.

Secondo questa ipotesi interpretativa ad ogni sintomo

corrisponde una simbolizzazione, quindi l’Anoressia

simbolizza allo stesso tempo il desiderio e la negazione

di una fecondazione orale, l’amenorrea rappresenta la

gravidanza e la rimozione della sessualità genitale, la

costipazione, in ultimo, non è altro che la presenza di un

bambino nel proprio grembo. L’insieme dei sintomi e le

simbolizzazioni nel loro complesso fanno sì che la

sindrome sia caratterizzata da un rifiuto disgustato per il

cibo anziché, come talvolta si è ritenuto, da una

mancanza dell’appetito che invece resta ben vivo.

Dopo il 1940 Masserman (1941), Grimshaw (1959) e

Blitzer et al. (1961), apportano un ulteriore

approfondimento alla tematica della fecondazione orale

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

72

che viene affiancata nella sua qualità di elemento

determinante dell’eziopatogenesi psicodinamica

dell’Anoressia, dall’importanza delle fantasie di qualità

sadico-orale. Queste fantasie si esplicano prettamente

nel rapporto tra madre e figlia e sono veicolate dal cibo

che può assumere, a seconda dei casi, la doppia valenza

di oggetto buono o di oggetto cattivo. È un oggetto

buono allorché favorisca l’interiorizzazione della figura

materna, integrando in modo uniforme le diverse

caratteristiche di essa all’interno di se stessi. È un

oggetto cattivo quando invece, contribuisca a privare la

figura materna delle sue qualità positive. In pratica

questi autori centrano la loro attenzione sull’importanza

del cibo nelle dinamiche di identificazione ed

individuazione tra madre e bambino, proprio per la

capacita del momento della nutrizione di concretizzare

sul piano reale queste fantasie.

Su tutto un altro versante, pur rimanendo nell’ambito

dell’interpretazione psicoanalitica, si pongono i seguenti

autori, E. Kestemberg, J. Kestemberg e Decobert. Essi

sviluppano un modello interpretativo basato sulla

tematica del narcisismo. Con l’avvento dell’adolescenza

le tematiche conflittuali del periodo edipico

riaffiorerebbero provocando una marcatissima

regressione con una fissazione preoggettuale i cui

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

73

oggetti sono arcaici e non del tutto differenziati.

L’atteggiamento di chi soffre di Anoressia, sempre teso

verso l’ipercontrollo e la capacità di gestire il proprio

corpo, la sua fisiologia, la propria famiglia, il corpo di

chi è vicino, avrebbe come scopo quello di aumentare

spropositatamente l’ideale dell’Io della persona; questa

ipertrofia dell’Io, però, ha come diretta conseguenza una

maggiore confusione dei confini dell’Io stesso. Lo stato

di coscienza di se stessi è impoverito.

Questo tipo di interpretazione sembrerebbe trovare

riscontro nella mancata distinzione tra la genitalità e

l’oralità, nella tendenza a definire se stessi come un tubo

i cui orifizi sono indifferenziati nella loro funzione.

Questo tipo di indifferenziazione giustificherebbe anche

la confusione che accompagna spesso le pratiche

miranti allo svuotamento o almeno vissute come tali.

Infatti, sia il vomito (una pratica orale) che

l’applicazione di lassativi e clisteri (delle pratiche anali)

vengono spesso usate senza differenziazione, appunto.

L’atteggiamento anoressico secondo gli autori

suddetti mirerebbe, anche in queste pratiche, ad una

compenetrazione dell’ideale dell’Io e del proprio Io

attuale e ciò viene trasposto sul proprio corpo che non

viene visto più come un corpo materiale fatto di carne

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

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ed ossa ma è idealizzato divenendo asessuato, privo di

desiderio, gestito con megalomania onnipotente.

Un’altra linea interpretativa in ambito psicoanalitico è

quella in cui l’Anoressia viene analizzata e scomposta

nelle sue componenti di anamnesi e le cui caratteristiche

cliniche portano all’individuazione di sottotipi della

sindrome associabili a patologie della nosografia

riconosciuta. Pur mantenendo l’individualità della

sindrome stessa, Brusset nel 1979 distingue

nell’Anoressia sottotipi isterici, fobici, ossessivi e

psicotici. Questa differenziazione così minuziosa mirava

a migliorare la definizione della prognosi e ad

individuare quella che poteva essere la terapia migliore

per ogni caso individuale. Il tentativo ha il pregio di

“personalizzare” maggiormente ogni singolo caso ma

porta con sé il rischio di un’esasperazione delle minime

differenze nei sintomi e di un’esclusiva attenzione alla

struttura di personalità sottostante a discapito di uno

sguardo più aperto alla globalità della personalità di un

individuo e della situazione attuale.

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

75

LE TENDENZE ATTUALI IN PSICOANALISI

L’influenza della Mahler

La teorizzazione psicoanalitica negli ultimi anni ha

posto la propria attenzione sulle dinamiche del Sé e

sulle relazioni oggettuali. Di particolare interesse per

l’argomento che trattiamo è il lavoro della Mahler che

vede il processo maturativo dell’individuo come un

passaggio graduale che si esplica attraverso le fasi di

separazione-individuazione.

Seguiamo nell’illustrazione delle fasi quanto ci

dicono Greenberg e Mitchell:

La fase autistica normale.

“Durante le prime settimane di vita, il neonato

appare relativamente indifferente ad ogni tipo di

stimolazione, con periodi di sonno che superano

largamente quelli di veglia. La Mahler definisce

<<autistica>> questa fase, e ne deduce che il neonato

sta funzionando come un sistema chiuso1, ben lontano

dal mondo esterno. ... La fase autistica è <<senza

oggetti>>.” (Greenberg e Mitchell, 1986, pg. 273).

La fase simbiotica normale.

1 Corsivo nostro.

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

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“A tre o quattro settimane, si verifica una crisi di

maturazione fisiologica, in cui il neonato mostra una

maggiore sensibilità agli stimoli esterni. ....

L’investimento è ora diretto verso la periferia, piuttosto

che verso l’interno, ma la <<periferia>> acquista un

significato nuovo: è la periferia di una <<unità duale>>

che, dal punto di vista dell’osservatore, include sia il

bambino che la madre. Dal punto di vista del bambino

piccolo non esiste differenziazione tra i due individui

che compongono l’unità simbiotica: si comporta come

se lui e la madre fossero un sistema unitario,

onnipotente. ... La fase simbiotica è

<<preoggettuale>>.” (Greenberg e Mitchell, 1986, pg.

273).

La sottofase della differenziazione.

“Dai quattro o cinque mesi fino ai dieci, c’è la

prima delle fasi di differenziazione-individuazione. ...

Durante questa fase per la prima volta il bambino,

quando è sveglio, appare sempre più o meno vigile. La

sua iniziale tendenza a fondersi con il corpo materno

lascia il posto ad una preferenza per posizioni più attive,

auto determinate. ... Un po’ più tardi, nel corso del

processo di differenziazione, il bambino comincia ad

esplorare al di là dell’orbita madre-figlio, ricercando e

rispondendo a stimoli distanti; ... questo permette per la

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

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prima volta, una chiara discriminazione sensoriale tra sé

ed oggetto.” (Greenberg e Mitchell, 1986, pg. 274).

La sottofase della sperimentazione.

Sottofase di sperimentazione iniziale.

Il primo periodo di sperimentazione, che

comincia a dieci mesi circa, ..., si apre con la

nuova capacità del bambino di camminare

carponi. ... il piccolo è ora in grado di allontanarsi

un po’ dalla madre, anche se questa viene ancora

trattata come una specie di <<casa base>>, a cui

rivolgersi per quello che M. Mahler chiama

<<rifornimento emotivo>>. .... Il periodo di

sperimentazione iniziale è il contesto per tre

sviluppi decisivi nello stabilirsi della separazione-

individuazione: c’è un aumento della

differenziazione corporea dalla madre, che deriva

dalla capacità del figlio di allontanarsi fisicamente

da lei; nello stesso tempo si forma un legame

specifico tra figlio e madre, basato sulla capacità

di lei di offrire il rifornimento affettivo richiesto;

infine, questo è il momento della crescita

clamorosa delle funzioni dell’Io.” (Greenberg e

Mitchell, 1986, pg. 275).

La sottofase di sperimentazione vera e propria.

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Questo è “il periodo in cui la Mahler colloca

specificamente il verificarsi della <<nascita

psicologica>> (ed) inizia con l’acquisizione della

deambulazione eretta. ... È, ..., il culmine sia del

narcisismo (secondario), sia dell’amore

oggettuale. ... L’interesse del bambino in questo

stadio è concentrato sulle sue crescenti capacità,

che percepisce come onnipotenza. ... Nonostante il

rapido emergere di un funzionamento separato, ...,

le nuove reazioni del bambino nei confronti della

madre non indicano che ne riconosca il valore

come persona separata; la tratta ancora come

<<casa-base>>, .... . La capacità di sintonizzarsi

della madre deve essere in sintonia con il ritmo di

maturazione e di sviluppo del suo particolare

bambino; deve rispondere a lui, piuttosto che alle

proprie idee preconcette su come il figlio

dovrebbe essere.” (Greenberg e Mitchell, 1986,

pg. 275).

La sottofase di riavvicinamento.

L’esplicarsi della sottofase di sperimentazione

comporta anche però che “... a metà del secondo anno, il

bambino, ..., comincia a rendersi conto che, ..., in realtà

è una persona molto piccola in un mondo molto grande.

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

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Tale realizzazione comporta sia una perdita dell’ideale

senso del sé di cui godeva prima, sia la ricomparsa di

un’angoscia di separazione di tipo particolare. ... La

frustrazione viene sperimentata più di frequente e

scompare l’impermeabilità nei confronti dell’insuccesso

.... la <<crisi di riavvicinamento2>>, ..., si protrae dai

diciotto ai ventiquattro mesi. ... Nel corso della crisi di

riavvicinamento, il bambino sperimenta il bisogno di

ricevere aiuto dall’esterno, ma contemporaneamente,

perché si consolidino la separazione e l’individuazione,

ha bisogno di negare che tale aiuto provenga

effettivamente da un’altra persona. .... La Mahler

descrive l’atteggiamento dominante del bambino in

questa fase come <<ambivalente>>, perché le reazioni

affettive nei confronti della madre sono manifestamente

conflittuali, con alternanza di periodi di intenso bisogno

e di momenti di prepotenti desideri di separatezza. ... la

felice risoluzione della crisi di riavvicinamento, ..., è

vista da M. Mahler come il requisito evolutivo

essenziale per evitare future psicopatologie gravi.”

(Greenberg e Mitchell, 1986, pg. 276-277). Quindi in

questa sottofase è fondamentale la capacità di

sintonizzarsi della madre e di ben interpretare il

comportamento ambivalente del bambino senza cadere 2 Corsivo nostro.

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nell’errore di soffocare il processo ormai avviato verso

la separazione, o frustrare del tutto i momenti in cui il

bisogno di dipendenza è preponderante.

La fase della costanza dell’oggetto libidico.

Questa sottofase non ha una determinazione

temporale precisa ma si può dire che continui per tutta

la vita. Comunque nella fase iniziale del suo sviluppo,

intorno al terzo anno di vita, due sono i fini a cui tende:

“... la formazione di un concetto stabile del sé e quella

di un concetto stabile dell’altro. Il bambino deve

acquisire il senso della sua individualità, insieme al

senso dell’altro come presenza interna, investita

positivamente. Questo permette un funzionamento

adeguato in assenza dell’altra persona, una capacità che

comporta la conquista della separatezza intrapsichica.”

(Greenberg e Mitchell, 1986, pg. 278).

Riassumiamo alcuni dei passaggi salienti di questo

processo che, comunque, si può dire che prosegua per

tutta la vita. Esso porta all’acquisizione di una

equilibrata capacita di simbolizzazione degli oggetti con

la graduale sostituzione degli oggetti interni con le

corrispondenti rappresentazioni oggettuali. Perché

questo processo giunga a buon fine è determinante che

la madre, uno dei due membri della diade, abbia una

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

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corrispondenza sia fisica che emotiva con il bambino, il

secondo membro della diade. Questa corrispondenza

psicofisica non deve essere priva di momenti di

frustrazione che anzi sono fondamentali perché il

bambino arrivi alla realizzazione di un’effettiva

separazione tra la rappresentazione del suo oggetto

interno e quelle che sono le caratteristiche sul piano di

realtà dell’oggetto stesso. È un processo in cui il

soggetto si autodefinisce individuando i confini di sé e,

in modo complementare, quelli della realtà esterna.

La capacità di funzionare autonomamente, quindi,

comporta che si viva l’esperienza emotivamente forte e

disagevole della separazione dall’oggetto interno,

perdita che comunque porta ad un notevole progresso

evolutivo. In presenza di cure materne adeguate il

processo di separazione-individuazione rinforza il senso

d’identità e soprattutto permette che l’individuo sia in

grado di entrare in nuove relazioni interpersonali senza

che esse siano simbiotiche. Ciò avviene perché si

instaura “la costanza dell’oggetto emotivo3”.

Fin qui il processo nella sua forma “fisiologica”.

Qualora invece nel corso dell’interazione i bisogni della

madre si sovrappongano a quelli del bambino, ciò

influisce negativamente sull’acquisizione 3 Corsivo nostro.

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dell’autonomia. Tutto il processo è caratterizzato da una

fitta trama di comunicazioni emotive sottese

all’interazione reale. La madre in sintonia con il

bambino incoraggia i suoi tentativi di separazione pur

garantendogli la costanza di un rifornimento emotivo in

caso di bisogno. Il bambino avvia le sue esplorazioni del

mondo circostante ma ha la sicurezza sul piano emotivo

e su quello esperenziale che la madre è lì in caso di

bisogno. La comunicazione che passa è: “vai pure, ma

se hai bisogno di me io sono qui, basta che ti volti!”.

Una madre che invece abbia, per vari motivi,

difficoltà ad accettare le spinte di indipendenza del

figlio fa passare sul piano emotivo il suo risentimento

nei confronti delle sue iniziative personali e comunica

qualcosa del tipo: “è sbagliato, torna indietro”. Questa

seconda evenienza ha una diretta conseguenza sul

mondo interno del bambino il quale introietta immagini

“cattive” sia di sé che dell’oggetto, dato che le due

identità sono ancora simbioticamente ancorate e ciò

impedisce la differenziazione della propria struttura

psichica.

Alla fine il soggetto prova una vasta gamma di

sensazioni ambivalenti. Da una parte vi è l’odio e la

rabbia per la dipendenza dalla madre con conseguente

desiderio di annientarla in quanto minaccia alla propria

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autonomia ed identità, ma ciò significherebbe

l’abbandono totale. Tali sentimenti contrastanti e ricchi

di sensi di colpa diventano intollerabili e per sfuggire

loro il bambino ricorre a meccanismi di difesa primitivi,

quali la scissione dell’oggetto, l’identificazione

proiettiva, dinamiche schizoidi, ossessivo-coatte,

depressive, somatizzazioni e acting-out.

Secondo Blos (1967) ed altri anche in caso di una non

riuscita delle fasi di separazione-individuazione,

l’individuo può non mostrare particolari difficoltà fino

all’adolescenza, che in questo caso è vista come una

ulteriore fase di individuazione. Con l’avvento

dell’adolescenza il disagio psicologico, comunque

latente, viene elicitato dalle spinte di separazione dalla

famiglia. Nel caso in cui la madre trasmette il

messaggio di non essere in grado di accettare la

separazione, le spinte verso l’esterno, proprie di

quest’età, vengono interpretate come un vero e proprio

attacco teso al suo annientamento. Ciò crea un forte

senso di colpa nell’individuo che è del tutto funzionale

al perpetuarsi della simbiosi. L’unica possibilità di

emancipazione, almeno apparente, diventa allora quella

di instaurare una nuova relazione simbiotica che

sostituisca la precedente. Ciò può avvenire nel caso di

un matrimonio o di una gravidanza, che comunque

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essendo caratterizzati dall’essere simbiotici,

presenteranno al loro interno un modalità relazionale ed

un vissuto affettivo estremamente ambivalenti, dato che

il soggetto è sempre combattuto dal desiderio di fusione

e il terrore della stessa. Inoltre l’intreccio fusionale tra i

due membri della diade fa sì che ogni tentativo di

separazione venga interpretato in senso abbandonico

come se venisse a mancare una parte del Sé.

Il collegamento in senso interpretativo ed eziologico

tra la teorizzazione mahleriana i suoi sviluppi e

l’Anoressia viene fatta da Sours (1974, 1979, 1980), il

quale ipotizza che una non adeguata attuazione della

fase di separazione-individuazione sia la causa della

sindrome anoressica.

Nel suo lavoro Sours individua due categorie di

pazienti: quelle che hanno tratti simili ai nevrotici e

quelle con tratti di personalità borderline. I soggetti che

hanno i tratti nevrotici, secondo l’autore, si sono fermati

nell’ultima sottofase del processo di separazione-

individuazione, cosa che ha impedito loro il passaggio

all’ultima fase e quindi alla capacità di percepire la

costanza dell’oggetto emotivo. Questo tipo di pazienti

sembrano notevolmente in difficoltà nell’affrontare

l’adolescenza (la seconda fase di individuazione),

soprattutto a causa delle tematiche evolutive relative

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alla sessualità, ma pur subendo una forte regressione

non sembra che essa intacchi il senso di integrità del Sé.

Le anoressiche con tratti di personalità borderline,

invece hanno un blocco nella sottofase di

riavvicinamento, dato che la madre non è riuscita a

sintonizzarsi emotivamente con l’affettività ambivalente

espressa dal bambino. Pur di mantenere il rapporto con

la madre, allora, la bambina ha dovuto reprimere tutte le

spinte alla separazione e verso la propria

individuazione, ripiombando nella fusionalità più

completa. Stando così le cose queste persone sono

caratterizzate da una struttura di personalità in cui non

sono per niente definiti i confini tra il proprio Sé e

l’oggetto, con frequenti sintomi da angoscia di

separazione e da depressione da abbandono.

Invece, sempre secondo Sours, le ragazze anoressiche

che appartengono alla seconda categoria, cioè quelle che

hanno episodi bulimici con vomito, hanno un

atteggiamento meno passivo di fronte al desiderio e

nonostante anch’esse presentino un’evoluzione

inadeguata della fase di separazione-individuazione, non

hanno con la propria madre un legame fusionale come

le precedenti.

Le caratteristiche appena elencate non hanno trovato,

però, riscontro in altri studi e in particolare in quelli di

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Garner e Garfinkel del 1982. Secondo questi autori,

spesso, chi soffre di una sindrome anoressica con crisi

bulimiche presenta una struttura di personalità

sottostante di tipo borderline, il che rende la prognosi

molto più sfavorevole.

L’influenza di Winnicott.

Nella teorizzazione winnicottiana, assume notevole

importanza un adeguato rapporto tra madre e figlio ai

fini di un corretto sviluppo psichico.

L’autore afferma che, alla nascita, la madre è per il

bambino una madre/ambiente che egli non differenzia

da sé. Ciò comporta che il bambino abbia la necessità di

vivere sul piano esperenziale una continuità e una

sintonia dell’ambiente (la madre) che lo circonda. Ciò

corrisponde sul piano del vissuto interno, ad una

continuità di esistenza del bambino stesso e gli permette

di cominciare ad organizzare l’esperienza. La qualità del

rapporto si gioca tutta sul canale di una sintonia intesa

come un giusto equilibrio nelle distanze durante

l’interazione. La scelta della giusta distanza è frutto

della capacità empatica della madre nei confronti del

figlio, della sua capacità di identificarsi con lui. Sul

piano di realtà ciò si traduce, in una prima fase, nella

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capacità della madre di “portare il mondo al bambino”,

attraverso una puntuale risposta alle sue esigenze.

Questo atteggiamento materno causa nel bambino “il

momento dell’illusione4”, cioè il momento in cui egli

crede di essere l’artefice della creazione degli oggetti.

Questa sensazione permette lo sviluppo di un adeguato

senso di onnipotenza. Con il graduale insorgere di

inevitabili frustrazioni per la non sempre perfetta

corrispondenza tra desiderio del bambino e risposta

dell’ambiente, si passa ad una seconda fase. Winnicott

stesso afferma che la persistenza dell’ambiente

perfettamente rispondente, seppur importantissima, deve

avvenire per breve tempo. Ad esso deve subentrare una

modalità relazionale in cui il bambino possa sviluppare

la propria “capacità di essere solo” (Greenberg e

Mitchell, 1986, pg. 195), per poter sviluppare

autonomamente le proprie capacità. Lo sviluppo di

questa capacità richiede che la madre aggiunga alla sua

presenza nel rispondere ai bisogni del bambino, una

competenza nell’assenza, cioè una capacità a non

interferire con il mondo psichico del bambino quando

questi sia in uno stato di assenza di bisogni, pur

rimanendo in “prossimità” psicologica con lui.

4 Corsivo nostro.

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Infine arriva il momento vero e proprio in cui

l’onnipotenza rassicurante del “momento dell’illusione”

inizia a venire meno perché la madre inizia a rivolgere

sempre più il suo interesse verso altre aree della sua

vita, incoraggiata anche da una relativa capacità del

figlio di essere da solo. Qui il bambino avverte il dolore

della separazione e della frustrazione, ma questo disagio

in un certo qual modo è complementare ad una

concomitante spinta interna all’indipendenza e alla

“personalizzazione”. Ciò gli permette di sperimentare

se stesso e le proprie capacità in maniera sempre più

approfondita permettendo al bambino di affinare la sua

competenza nell’interazione con il suo ambiente. Il

rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che nel

corso della sperimentazione egli scopre sempre più

anche i suoi limiti e così l’onnipotenza del momento

dell’illusione si sgretola sempre più ma in

contemporanea c’è un aumento delle capacità attive del

bambino. Questo processo ha come diretta conseguenza

un cambiamento qualitativo all’interno della relazione

tra la madre e il bambino in quanto essa non si basa più

solo su una perfetta corrispondenza tra i desideri del

bambino e la capacità della madre di materializzarli nel

suo ambiente, bensì ora è il bambino stesso che chiede

alla madre di portargli ciò di cui ha bisogno, attraverso

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Capitolo 4 I DCA secondo il modello Psicoanalitico.

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un vero e proprio dialogo di vocalizzazioni e gesti. La

presenza del dialogo comporta che vi sia un aumento

della differenziazione e, soprattutto, dell’interazione tra

i due attori della stessa.

Ciò che può compromettere il regolare sviluppo di

questo processo è una incapacità da parte della madre a

fornire un ambiente perfetto, un ambiente cioè che non

sia in sintonia, per eccesso o per difetto di cure, con i

bisogni emotivi del bambino stesso. Questa incapacità si

manifesta in due casi: quando la madre non realizzi le

allucinazioni creative del figlio non rispondendo ai suoi

bisogni durante i periodi in cui egli è attivo ed eccitato;

quando ella interferisca con i periodi di quiete del

bambino. Questi comportamenti materni determinano

una grave frattura all’interno del senso di continuità del

proprio essere del bambino e portano ad un

“annichilimento del sé del bambino”. In entrambi i casi

non è più la madre a rispondere alle personali esigenze

del bambino ma è quest’ultimo a doversi adattare alle

richieste materne e ciò impedisce la formazione di un

reale senso di sé. La sua esperienza risulta segmentata e

parziale. L’essere costretto prematuramente a

riconoscere i segnali dei ritmi e dei bisogni materni,

soprattutto quando questi interferiscono bruscamente

con i suoi momenti di quiete, gli impediscono di entrare

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in contatto con se stesso e con i suoi reali bisogni,

creando tra l’altro una vera distorsione nella lettura della

corrispondenza tra i bisogni avvertiti e ciò che la madre

gli offre e propone. Il frazionamento della realtà porta il

Sé a scindersi in “vero sé” e “falso sé”. Il “vero sé” è la

parte genuina della personalità, quella autentica che

però si nasconde e mimetizza in quanto la sua

espressione nella realtà comporterebbe il suo stesso

annichilimento. Il “falso sé” invece si sviluppa

nell’interazione con la realtà adeguandosi e

modellandosi sulle richieste materne. A questa scissione

sul piano interno corrisponde una netta scissione tra i

processi di pensiero e i corrispettivi affettivi e somatici.

Una parte rilevante nello sviluppo globale della

personalità, per Winnicott, è occupato dagli “oggetti

transizionali”. Al di là degli oggetti stessi, ciò che è

rilevante è la qualità della relazione instaurata con gli

“oggetti transizionali”. L’esistenza degli “oggetti

transizionali” permette che il passaggio dalla fase

dell’onnipotenza allucinatoria alla fase dell’accettazione

obiettiva della realtà e dei limiti che essa comporta,

avvenga in modo sano, graduale e non traumatico.

L’universo degli “oggetti transizionali” viene a

costituire il terzo polo, intermedio tra l’universo degli

“oggetti soggettivi” che sono sotto il totale controllo

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dell’individuo, e l’universo popolato dalle altre persone

che risulta indipendente dalla volontà dell’individuo.

L’universo degli “oggetti transizionali” viene ad

essere un compromesso tra le caratteristiche salienti

degli oggetti che appartengono agli altri due universi di

cui è intermediario. L’esistenza degli “oggetti

transizionali” è resa possibile da un accordo non

esplicitato tra genitore e bambino in quanto nessuno dei

due si interroga sulla caratteristica e sulla provenienza

dell’oggetto stesso. La figura del genitore interagisce

con l’oggetto come se esso fosse stato effettivamente

creato dal bambino ma, nell’interazione stessa con esso,

è implicito il riconoscimento della sua appartenenza al

mondo della realtà. L’interazione con l’ “oggetto

transizionale” diventa così il campo privilegiato per

attuare il passaggio graduale dal solipsismo onnipotente

e allucinatorio ad una consapevolezza di sé come

individuo che interagisce con altri individui.

La centralità e l’importanza della teorizzazione sugli

“oggetti transizionali” nella teoria di Winnicott, ci

riguarda molto da vicino in quanto rappresenta il

collegamento tra la teoria dell’autore e la sua

applicazione all’interpretazione delle cause dei Disturbi

del Comportamento Alimentare. Infatti, molti autori

fanno un’ipotesi esplicativa che riguarda l’Anoressia

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mentale e propongono un’analogia tra il corpo e l’

“oggetto transizionale”. In questo caso il soma viene

assimilato ad un oggetto inanimato, altro da sé, che può

essere sottoposto a sperimentazione e manipolazione.

Questo atteggiamento mirerebbe a far decrescere le

sensazioni di solitudine, la paura del distacco o

addirittura mirerebbe ad una ritualizzazione difensiva

del conflitto tra attaccamento e spinta all’indipendenza.

Questa falsa riga è seguita ed approfondita da

Mathias Hirsch (1994) secondo cui l’avvento dei

caratteri sessuali secondari, denotando in senso

femminile il corpo dell’adolescente lo assimilerebbe

sempre più alle fattezze del corpo della madre.

L’insorgere di questa similitudine ingenererebbe un

timore panico nell’individuo in quanto la somiglianza

simbolizzerebbe un forte richiamo al legame simbiotico

con la madre, richiamo che contrasta notevolmente con

la contemporanea spinta all’individuazione. Unico

modo per risolvere il conflitto, allora, diviene quello di

tramutare il corpo stesso in un’entità priva di

femminilità e quindi priva di caratteristiche materne. In

questo modo nell’Anoressia il corpo raggiunge il

duplice scopo di continuare a garantire l’esistenza

dell’oggetto materno, esterno da sé, e difende

dall’interiorizzazione di un oggetto ritenuto cattivo.

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Anche Willenberg ritiene che nell’insorgere

dell’Anoressia sia implicata la dinamica sottostante

all’oggetto transizionale. L’atteggiamento ingenerante

la sindrome è sempre quello che implica da un lato il

rifiuto dello sviluppo della propria femminilità durante

l’adolescenza e, dall’altro, l’idea illusoria che il pericolo

per l’integrità della propria personalità possa essere

eluso con la distorsione della naturale maturazione del

proprio corpo. È proprio quest’ultimo approccio nella

relazione con il proprio soma che fa ritenere a

Willenberg che nell’Anoressia il corpo sia equiparato ad

un oggetto transizionale, mentre il cibo stesso

simbolizzerebbe l’oggetto materno che l’individuo

rifiuta di interiorizzare.

Infatti, all’inizio, gli alimenti sono connotati

positivamente ma in seguito diventano per il soggetto

dei veri e propri “oggetti diabolici”, che bisogna

assolutamente evitare di ingerire o che, nel caso che ciò

avvenga, devono essere immediatamente rigettati in

quanto la loro permanenza nel corpo causerebbe

l’immediato annichilimento dall’interno del Sé.

Un ulteriore sviluppo si può avere nel momento in cui

l’intero soma venga connotato come un oggetto materno

e diventi esso stesso l’obiettivo della rabbia. Secondo

l’autore, la manifestazione di questo sentimento

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sarebbero le escoriazioni che la persona si provoca nella

gola e nel cavo orale con i reiterati tentativi di rigettare.

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CAPITOLO 5

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE SECONDO IL MODELLO

DISPERCETTIVO

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Capitolo 5 I DCA secondo il modello Dispercettivo

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IL MODELLO DISPERCETTIVO

Senz’altro la personalità più di spicco di questo

orientamento teorico e la dottoressa Hilde Bruch.

Niente è più espressivo delle sue parole per esplicitare il

suo pensiero sulle caratteristiche salienti di questa

sindrome e quindi le riportiamo di seguito:

“Anoressia significa mancanza di appetito, ma,

sebbene l’ingestione alimentare sia drasticamente

ridotta, ciò non avviene per scarso appetito o per

mancanza di interesse nel cibo. Al contrario, queste

giovani sono assillate dal pensiero del cibo e del

mangiare, ma considerano abnegazione e disciplina le

massime virtù e condannano, come vergognoso

lassismo, il soddisfacimento dei loro bisogni e desideri.

Come dobbiamo spiegarci questo comportamento

paradossale? .... ho riunito le mie osservazioni in

merito ed ho enunciato il concetto che questa eccessiva

preoccupazione riguardo al corpo e alle sue

dimensioni, il rigido controllo del mangiare, sono

sintomi tardivi nello sviluppo di giovani le quali

combattono una lotta disperata contro il senso di

essere schiavizzate e sfruttate e incapaci di condurre la

propria vita. Andando in cerca alla cieca di un senso

di identità e di autonomia, le giovani anoressiche non

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Capitolo 5 I DCA secondo il modello Dispercettivo

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accettano nulla di quanto i genitori o il mondo che le

circonda possono offrire; preferirebbero morir di fame

piuttosto che continuare una vita di accomodamenti.

La mia ricerca si era focalizzata sulle caratteristiche

premorbose e avevo riscontrato tre aree di funzioni

psicologiche perturbate in modo caratteristico: primo,

gravi disturbi dell’immagine corporea, nel modo in cui

queste pazienti si vedono; secondo, interpretazione

errata di stimoli esteriori ed interiori, e in questo

campo un modo impreciso di percepire la fame è il

sintomo più marcato; terzo, al fondo di tutto, un senso

di inefficienza paralizzante, la convinzione di essere

del tutto incapaci di cambiare checchessia nella

propria vita. Il frenetico bisogno di tenere sotto

controllo il corpo e le sue esigenze deve essere visto

alla luce di questo senso di impotenza di fronte ai

problemi della vita. La scoperta di questo senso di

incapacità è stata una sorpresa: le anoressiche sono

tracotanti e caparbie e a prima vista danno

l’impressione di essere forti e piene di vigore.” (Bruch,

1983, pg. 13-14).

La Bruch mette anche in luce due aspetti psicologici

troppo spesso sottovalutati, soprattutto in ambito

terapeutico, concentrati come si è sulle caratteristiche

più evidenti della sindrome. Il primo di questi è l’esito

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Capitolo 5 I DCA secondo il modello Dispercettivo

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dell’avidità di cibo sulle funzioni psicologiche; il

secondo è il rilievo di un evidente “deficit di sviluppo

nella fase premorbosa.” (Bruch, 1983, pg. 16).

Per la Bruch, quindi, ha una grande importanza, sia

per l’insorgere della sindrome che per il suo

mantenimento, la marcata incapacità da parte dei

soggetti in un riconoscimento corretto dei propri stimoli

e bisogni sia sul piano corporeo che su quello psichico.

Secondo l’autrice questa situazione ha le sue radici

nella mancanza o nella deprivazione di riscontri

appropriati da parte dei genitori ai segnali con cui il

bambino esprime le sue necessità.

Nelle primissime interazioni con la figura di

accudimento è molto importante una esatta

corrispondenza tra i segnali che il bambino esprime e la

risposta che il genitore vi dà per soddisfare il bisogno

espresso. Questa corrispondenza permette al bambino di

dotare di senso i messaggi che provengono dal suo

stesso corpo e a discernerli tra loro. Questo

apprendimento risulterà poi fondamentale in una

successiva fase dello sviluppo quando dovrà egli stesso

provvedervi da solo. Sul versante somatico, il risultato

finale di questa serie di apprendimenti e di esatte

corrispondenze tra segnali e risposte, permette

all’individuo di acquisire una coscienza globale ed

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Capitolo 5 I DCA secondo il modello Dispercettivo

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integrata del proprio corpo. Sul versante psichico

invece, questo processo determina una coscienza e una

fiducia nelle proprie abilità e nella propria competenza

ad esprimere i segnali che manifestano un bisogno,

dotando l’individuo di un proprio sentimento di

efficacia.

Questo concetto è ben approfondito nella

teorizzazione di Sullivan, il quale dichiara che il

fanciullo perviene alla completa maturazione della

propria individualità nel momento in cui intuisce le

proprie capacità. Il riconoscimento può avvenire solo

quando la coppia genitoriale reputa il proprio figlio

come un’entità differenziata da se stessa e quindi un

individuo con necessità, percezioni ed

intellettualizzazioni diverse dalle proprie.

Quando la figura di accudimento non riconosce

l’individualità e l’alterità del neonato, le sue risposte

saranno inadeguate per eccesso e/o per difetto; ciò

pregiudica seriamente l’abilità del bambino nella

discriminazione delle proprie esigenze corporee ma

soprattutto questo atteggiamento mina la fiducia stessa

del neonato sulla ammissibilità e correttezza delle

proprie percezioni. Come abbiamo visto anche in

Winnicott, avviene che il comportamento del bambino

si sviluppa su quelle che sono le esigenze corporee

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Capitolo 5 I DCA secondo il modello Dispercettivo

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dell’altro che l’accudisce e non in base ai propri bisogni.

Questo processo paradossale pregiudica gravemente

l’integrità dell’Io, la percezione della propria identità e

l’immagine del proprio corpo.

La combinazione di questi elementi preesistenti

esplode in tutta la sua drammaticità con il

sopraggiungere dell’adolescenza e della contemporanea

maturazione dei caratteri sessuali; in questo periodo

diventa preponderante la necessità di individuare nuove

figure di attaccamento, ciò comporta anche un aumento

dei confronti con il sociale e con un ambiente più ampio

di quello delimitato dai confini familiari. Il complesso

di tutti questi fattori porta ad una ridefinizione e

precisazione di una nuova identità sul piano personale e

sociale. Questo è un processo che comporta un’alta

probabilità di provare sensazioni di inefficacia, di

inadeguatezza accompagnati da atteggiamenti

anticonformisti e di forte antagonismo sociale.

In questo quadro generale la sintomatologia

anoressica, soprattutto nell’espressione di ipercontrollo

delle sensazioni fisiologiche, risulterebbe l’unica strada

per definire se stessi e differenziarsi dal ruolo

prestabilito dalla famiglia e scelto per il soggetto. È

questo che la Bruch intende quando parla di “una lotta

disperata contro il senso di essere schiavizzate e

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Capitolo 5 I DCA secondo il modello Dispercettivo

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sfruttate e incapaci di condurre la propria vita.

Andando in cerca alla cieca di un senso di identità e di

autonomia, le giovani anoressiche non accettano nulla

di quanto i genitori o il mondo che le circonda possono

offrire; preferirebbero morir di fame piuttosto che

continuare una vita di accomodamenti.”.

Il suo lavoro porta la Bruch a individuare due distinte

tipologie di Anoressia:

•“Anoressia mentale primitiva (o genuina)”;

•“Anoressia mentale atipica”.

La prima sarebbe caratterizzata soprattutto da una

strenua battaglia per l’indipendenza, per conquistare e

mantenere una propria identità accompagnata da un

senso di competenza ed efficacia. La seconda viene

definita invece atipica perché non vi è un insieme di

caratteristiche generali ben individuabili se non per la

presenza di una marcata distorsione delle percezioni

della fisiologia alimentare che sarebbe la causa primaria

del calo ponderale.

L’Anoressia atipica, quindi, presenta una varietà di

sintomi non costanti e variabili da un caso all’altro,

invece quella primitiva è caratterizzata da un quadro

sintomatologico molto ben definito in cui si riscontrano

disturbi che interessano principalmente tre sfere del

funzionamento psicologico:

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• Un serio disturbo dell’immagine e della

rappresentazione corporea che rasenta un

atteggiamento delirante.

• Una grave carenza nella capacità di percepire e

discernere a livello della coscienza i segnali

fisiologici corporei, la cui manifestazione più

spiccata riguarda lo stimolo della fame.

• La terza sfera psicologica interessata si

concretizza in un grave sentimento di incapacità e

inabilità che si riflette nelle abilità cognitive e

pratiche dell’individuo.

Vediamo ora le conseguenze sul piano pratico e

comportamentale dei tre elementi appena elencati. Il

primo elemento comporta che l’individuo non si allarmi

per lo stato di consuzione del proprio corpo, al contrario

lo reputi come nella norma se non addirittura

apprezzabile e quindi tende a preservarlo con sacrifici

enormi ritenendolo indispensabile, ai fini di evitare un

aumento ponderale che egli ritiene tutt’altro che

fisiologico, ma bensì sinonimo di ingrassamento. Vi è

quindi una chiara coscienza del proprio stato emaciato

con una consapevole pianificazione del comportamento

al fine di mantenere lo status quo e una contemporanea

negazione dell’anormalità del proprio stato corporeo.

Ciò a differenza dell’Anoressia atipica dove la persona

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Capitolo 5 I DCA secondo il modello Dispercettivo

103

denota come riprovevole e preoccupante il calo

ponderale, ma si dichiara impotente ad agire

diversamente.

Il problema del cattivo discernimento dello stimolo

della fame si struttura a due livelli. E con questo

passiamo all’approfondimento del secondo elemento

caratterizzante l’Anoressia primitiva. Al primo livello si

nota la carenza o in alternativa la negazione del

desiderio stesso del cibo quando il corpo lo richiede e

paradossalmente una iperalimentazione compulsiva

non accompagnata dallo stimolo della fame. In questi

casi, spesso, poi, il soggetto ricorre al vomito

autoindotto. Questi momenti di crisi vengono

considerati dall’individuo come una grave mancanza ai

propri proponimenti, come una carenza di volontà e

quindi come una totale perdita dell’autocontrollo e

scatenano delle ondate di panico. La distorsione

percettiva non si limita solo al campo della nutrizione

anche se è in esso che ha la sua manifestazione più

drammatica. Anche i segnali della stanchezza vengono

negati, anzi spesso sono contrastati con il ricorso

all’iperattività. Vi sono ripercussioni anche sulla sfera

sessuale, delle sensazioni erotiche e più in generale è

gravemente compromessa la capacità di discernimento e

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Capitolo 5 I DCA secondo il modello Dispercettivo

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di identificazione della natura delle reazioni emotive e

degli affetti.

Il terzo elemento comporta che chi soffre di

Anoressia primitiva ha l’impressione che le proprie

azioni scaturiscano sempre e solo in risposta ai desideri,

alle richieste altrui e mai per propria iniziativa personale

e indipendente. Sul piano comportamentale poi è come

se si agisse per mascherare questo forte senso di

impotenza ed inefficacia, ricorrendo sempre ad un

atteggiamento di rifiuto e di sfida che complica

notevolmente la possibilità di un rapporto

interpersonale. Questo atteggiamento sembra essere, sul

piano comportamentale, lo specchio e il parallelo del

timore, sul piano psicologico, di deglutire anche una

minima quantità di cibo il che comporterebbe una totale

perdita dell’autocontrollo. La sensazione di inefficacia

si rivela essere allora indifferenziata sia rispetto alle

situazioni che agli stati emotivi.

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CAPITOLO 6

I Disturbi del Comportamento Alimentare secondo il Modello

Sistemico

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

106

IL MODELLO SISTEMICO

L’esposizione in questo capitolo si articolerà in due

fasi che hanno una loro consequenzialità non solo

temporale; infatti esse rispecchiano un lavoro di

elaborazione e sviluppo concettuale, basato anche sul

feedback del lavoro clinico con le famiglie e i loro

singoli membri.

Nella prima parte vi è un’esposizione storica, se così

possiamo dire, dei primi concetti guida che hanno

ispirato la comprensione e il trattamento terapeutico con

le famiglie in cui insorgeva il disturbo del

comportamento alimentare. Prendiamo in

considerazione soprattutto il primo lavoro della Selvini

Palazzoli e quello di Minuchin.

La seconda fase sono le considerazioni sul frutto del

lavoro di autocritica e rielaborazione di quasi venti anni

di successi ed insuccessi terapeutici nel trattamento dei

Disturbi del Comportamento Alimentare da parte

dell’équipe della Selvini Palazzoli.

Mi sembra importante seguire questa linea logico-

temporale perché mette in evidenza anche l’importanza

dell’incontro tra ogni individuale “intrapsichico” di ogni

singolo componente del sistema familiare con quello

dell’altro e di conseguenza l’importanza che le

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

107

caratteristiche individuali assumono nella strutturazione

dell’interazione familiare. Questa caratteristica, secondo

me, è di notevole importanza perché nella sua

articolazione concettuale e senza cadere nel

qualunquismo, integra e supera alcune importanti

limitazioni nell’interpretazione e nel trattamento dei

Disturbi del Comportamento Alimentare che

caratterizzano gli orientamenti che sbilanciano l’accento

alternativamente più sull’individuo o più sul suo

contesto familiare.

Nell’orientamento teorico del modello sistemico e in

particolare nelle sue applicazioni ai Disturbi del

Comportamento Alimentare, ha particolare rilievo il

lavoro svolto da Mara Selvini Palazzoli.

L’orientamento Sistemico presenta una diversa

interpretazione della psicopatologia. L’origine del

comportamento patologico e i sintomi che ne sono

espressione non derivano principalmente da una

dinamica interna all’individuo stesso ma vengono

denotati come la manifestazione di un disagio che si

colloca all’interno di un particolare momento storico di

una famiglia; vengono individuate specifiche

costellazioni familiari con peculiari caratteristiche dei

membri che la compongono.

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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L’indirizzo sistemico vede la famiglia come un

“sistema”, appunto, le cui principali caratteristiche

sono:

La totalità, che indica che il sistema pur essendo

coincidente con la somma delle caratteristiche dei suoi

membri è, allo stesso tempo, dotato di una propria

autonomia di funzionamento, sciolta dai singoli

individui che lo compongono. Quello che è importante è

la collocazione dei singoli all’interno dell’interazione

familiare e il ruolo che essi assumono nell’interazione

stessa. Ciò dota le relazioni di una propria esistenza

individuabile oggettivamente, un’esistenza che si

mantiene nonostante la riorganizzazione delle

interazioni.

I processi di autocorrezione (cibernetica): Il sistema

familiare, pur essendo dotato di un certo range di

capacita di variazione tende a riorganizzarsi secondo

mutamenti definiti, mantenendo un proprio livello di

omeostasi interna. È in quest’ambito che agisce il

meccanismo di retroazione negativa che tende a

riportare ad un equilibrio predefinito e antecedente il

sistema in caso dell’intervento di fattori che spingono al

cambiamento. Il meccanismo agisce con una funzione

protettiva soprattutto in seguito all’intervento di stimoli

esterni al sistema che sono fonte di stress per la

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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famiglia. L’azione del meccanismo di retroazione si

esplica secondo regole raramente esplicitate in quanto,

essendo un automatismo, il riflettere stesso su di esso ne

comporta una sua sospensione. È a tal proposito che la

Selvini Palazzoli parla de “la regola delle regole”, cioè

il divieto assoluto di parlare delle regole stesse, della

loro natura e origine, di riflettere su di esse, in una

parola di metacomunicare sulle regole.

La trasformazione: il sistema familiare, comunque, è

per sua stessa natura costitutiva, un sistema in continua

mutazione. Le trasformazioni avvengono attraverso le

interazioni tra i membri del sistema stesso che appunto

si muove secondo quelle che sono le proprie regole di

funzionamento. Al fine di individuare le peculiarità

caratterizzanti quest’ultimo, è necessario analizzare la

comunicazione che avviene all’interno della famiglia.

Questa analisi avviene basandosi sui principi enunciati

nell’ambito della teoria della “Pragmatica della

Comunicazione Umana” (P. Watzlawick, J. H. Beavin,

D.D. Jackson, 1971).

Prima di passare ad un analisi più approfondita degli

assiomi della comunicazione è necessario chiarire la

terminologia usata dagli autori. Essi definiscono la

“comunicazione” come “una unità di comportamento

genericamente definita” (P. Watzlawick, J. H. Beavin,

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D.D. Jackson, pag. 43,1971); aggiungono poi che “una

singola unità di comunicazione sarà chiamata

messaggio, oppure, dove non si presentano possibilità

di confusione, una comunicazione. Una serie di

messaggi scambiati tra persone sarà definita

interazione.” (ibidem).

L’analisi della comunicazione risulta essere il metodo

privilegiato per comprendere la funzionalità del sistema

familiare in quanto è uno scambio di informazioni in

grado di produrre un cambiamento nella relazione, non

essendo un fenomeno unidirezionale di cui interessa il

solo effetto sul ricevente, bensì un processo interattivo

del quale interessa anche l’effetto che colui che riceve il

messaggio provoca in colui che l’ha emesso.

Vengono poi enunciati 5 assiomi della comunicazione

che rappresentano i criteri interpretativi della stessa e le

sue caratteristiche principali. È importante chiarire che

gli autori denotano tali assiomi con l’aggettivo

“metacomunicazionali”, intendendo con questo

aggettivo, oltre che la caratteristica di “comunicazione

sulla comunicazione”. anche che essi interessano

“l’aspetto relazionale della comunicazione”, cioè

quelle che sono le influenze sul comportamento degli

individui nel rapporto al di là del semplice contenuto

della comunicazione stessa.

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111

Noi parliamo di Comportamento Alimentare; il

“comportamento” è comunicazione sia nel suo aspetto

passivo che in quello attivo, come sappiamo dal primo

assioma della comunicazione. In ordine ai Disturbi del

Comportamento Alimentare, essi sono senz’altro la

comunicazione di un disagio. Quello che mi pare

estremamente rilevante è che la comunicazione di un

disagio, in questo sistema familiare, debba passare

attraverso questo “particolare” canale di comunicazione.

Il corpo assume un rilievo di primo piano nella

comunicazione: la costellazione sintomatologica

esprime tutto il disagio e l’angoscia che la persona

prova in un metaforico colloquio con se stessi e con gli

altri. Infatti, l’aspetto relazionale della comunicazione è

molto importante nei Disturbi del Comportamento

Alimentare; non dimentichiamo l’importanza che la

manifestazione dei sintomi ha nel mantenimento

dell’omeostasi familiare. È anche importante vedere

come la discrepanza tra il messaggio trasmesso e

l’interpretazione che ne fa il ricevente alimentino

l’incomprensione reciproca. Le manifestazioni

comportamentali della persona che soffre di un Disturbo

del Comportamento Alimentare focalizzano spesso tutta

l’attenzione dei membri del sistema familiare e, spesso,

in modo particolare della figura di attaccamento

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

112

principale sul corpo della persona (il peso, la quantità di

cibo ingerito, la presenza o meno del vomito etc.). Ciò

ha la duplice funzione di distogliere le energie e

l’attenzione sia da difficoltà relazionali presenti

all’interno della famiglia, che non per forza coinvolgono

direttamente il <<paziente designato>>, sia da

un’effettiva comunicazione sul reale disagio psichico di

chi soffre. Attraverso la comunicazione corporea il

soggetto, comunque, trova la possibilità di esprimere

un’angoscia esistenziale che lo tormenta e questa

comunicazione passa anche agli altri membri del

sistema, aggirando qualsiasi tipo di ostacolo e di

proibizione ad esprimere il “non detto” familiare.

Oltre ad esprimere un’informazione (“sto male”), il

Disturbo del Comportamento Alimentare ha una

modalità di espressione del messaggio che definisce la

relazione. Ci stiamo rifacendo al secondo assioma. Chi

esprime questo tipo di disturbo esprime la sua

informazione in modo estremamente violento,

evidentemente perché si trova in una situazione in cui

deve “urlare” per farsi sentire da se stesso e dagli altri.

Sicuramente egli comunica a se stesso di non piacersi,

comunica agli altri che non si sanno prendere cura di

lui, che non lo hanno saputo fare o che non vuole che

continuino a farlo nel modo attuale. In questo caso la

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

113

modalità di espressione di se stessi è senz’altro

significativa. In una relazione funzionale la denotazione

della relazione attraverso la comunicazione è di

secondaria importanza, mentre in una situazione

disfunzionale essa diventa di primaria importanza. La

ragazza che “sbatte” in faccia ai suoi cari la propria

magrezza, che rifiuta ostentatamente il cibo negando la

sua stessa fame, non comunica soltanto un rifiuto verso

l’oggetto ma un violento rifiuto verso se stessa, verso

come la vogliono gli altri e lo fa con violenza, con una

aggressività espressa attraverso il sintomo corporeo che

spesso non trova eguali nella verbalizzazione.

Indubbiamente questa confusione e discordanza dei

livelli è sintomatica di una difficoltà di definire se stessi

e gli altri all’interno della relazione.

Il Disturbo del Comportamento Alimentare, inteso

come “comportamento comunicante”, ha anche un altra

importante implicazione per quanto riguarda la

ridefinizione della relazione. Esso va ad influenzare

direttamente la ridefinizione del ruolo degli attori della

comunicazione. È indubbio che in molte situazioni la

comparsa del disturbo permette di conquistare un

controllo, per quanto effimero, sia della relazione che

del contesto nel quale la stessa avviene. Prendiamo ad

esempio il caso in cui la madre di un’anoressica

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squalifichi ogni tentativo di separazione della figlia. Ella

è indubbiamente dominante nella relazione, ed in modo

attivo, per quanto professi ai quattro venti di sacrificarsi

oltremodo per quella figlia e per la famiglia intera. La

comparsa della sintomatologia cambia la punteggiatura

della comunicazione (e quindi anche il suo aspetto

relazionale) invertendo i ruoli, pur preservandoli

apparentemente immutati. La madre si preoccupa

ancora se non di più della figlia, ma ora è questa ad

avere il controllo della relazione e seppur con un

comportamento passivo (ella in fondo non è assertiva in

modo diretto all’interno della relazione), ha stabilito un

suo stato di indipendenza, una sua zona franca.

Se passiamo ad analizzare le caratteristiche e il

rapporto esistente sul piano della comunicazione

analogica e di quella numerica, vediamo come il

comportamento sintomatico sia ancora una volta

funzionale all’omeostasi familiare. Come dicevamo

all’inizio, la comunicazione della sofferenza relazionale

nella persona che ha un Disturbo del Comportamento

Alimentare passa attraverso il corpo, attraverso cioè il

canale del non verbale, usa la comunicazione analogica,

che, pur essendo estremamente espressiva da un punto

di vista emotivo e relazionale, ha in sé un ampio

margine di ambiguità rispetto all’interpretazione da

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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parte del ricevente del significato della comunicazione.

Gli altri membri della famiglia leggono la sofferenza ma

hanno un buon margine di ambiguità per scegliere i

motivi a cui attribuirla e il tutto contribuisce a garantire

l’omeostasi del sistema. In contemporanea, la ragazza

ha una grande sensibilità e perspicacia nel leggere e nel

definire “numericamente” i comportamenti e le

dinamiche familiari, come spesso si evince da ciò che

riporta in terapia, ma a ciò non corrisponde, sul piano

personale, una equivalente capacità di definire il suo

ruolo e di metacomunicare sulle relazioni che la

coinvolgono.

A proposito del tipo di interazione “complementare”

o “simmetrica” nella comunicazione che avviene

all’interno del sistema famiglia, sempre intendendo il

comportamento alimentare come una comunicazione,

possiamo avanzare alcune ipotesi. A seconda dei

contesti, possiamo interpretare l’espressione

sintomatologica come una comunicazione all’interno di

una relazione simmetrica quando, per esempio, essa

diventi il nucleo portante di una ricerca di attenzione

all’interno della fratria rispetto alla coppia genitoriale.

Come vedremo in seguito alcune di queste ragazze si

trovano in delle famiglie ove la scarsa disponibilità della

coppia genitoriale ad offrire empatia ai figli e il loro

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manifestare una preferenza alternata ad essi, soprattutto

su un piano di prestazione, instaura dinamiche

fortemente competitive all’interno della fratria.

Possiamo trovare, invece, le caratteristiche di una

comunicazione all’interno di una relazione

complementare in quelle situazioni in cui l’espressione

del disturbo risponda alle richieste materne di non

differenziazione e quindi di non sviluppo della figlia. A

questo tipo di ragionamento può corrispondere

l’annullamento dei caratteri sessuali secondari, il corpo

asessuato, che troviamo in molte anoressiche; ciò

impedisce che la figlia entri in competizione con la

madre nel campo della femminilità ed i due membri

dell’interazione conservano i loro ruoli “up” e “down”

in modo complementare.

Sempre utilizzando l’analisi della comunicazione

come materiale principe per comprendere il

funzionamento del sistema famiglia, notiamo che

nell’ambito di un’interazione, il ricevente può attuare tre

modalità di risposta:

•La Conferma del messaggio.

•Il Rifiuto del messaggio.

•La Disconferma del messaggio.

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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In un certo qual modo si può dire che le prime due

modalità appartengono ad un tipo di comunicazione che

possiamo definire “sana”, sempre che vi sia un

avvicendamento tra le due modalità di risposta,

soprattutto in coerenza con il contesto della

comunicazione. Il Rifiuto, per quanto possa essere duro,

implica comunque il confronto con l’altra persona e

quindi ne riconosce l’esistenza e il possesso di proprie

opinioni, per quanto diverse dalle proprie o

inaccettabili. Comunque il Rifiuto può diventare fonte

di patologia allorché sia l’unica modalità di risposta o

almeno quella nettamente prevalente. La Disconferma,

invece, risulta essere sempre fonte di patologia. Il

disconfermare si associa sempre ad un comportamento

ambivalente, che non dà alla persona che aspetta la

risposta né una conferma né un rifiuto della sua

comunicazione e quindi di sé. Questo atteggiamento, di

conseguenza, non connota né in un senso né nell’altro la

relazione tra le due persone; la comunicazione che passa

è quella di non esistenza, di squalifica completa

dell’altro, è come dire all’altro: “non meriti né un

rifiuto, né un’accettazione, perché tu non comunichi

perché non esisti!”. Vi è un misconoscimento

dell’identità e dell’alterità da sé della persona con cui

avviene l’interazione.

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Gli equilibri all’interno del sistema famiglia sono

perpetuati grazie alla presenza di regole stabili applicate

nelle fasi di transizione. Nell’ambito della

comunicazione un ricevente adotta sempre e

immediatamente uno solo dei molti significati

disponibili per interpretare il contenuto della

comunicazione stessa. L’adozione di questo

comportamento nelle fasi di cambiamento, porta con sé

un duplice vantaggio secondario, in quanto assicura,

primo, che il ruolo di ogni membro del sistema sia

preservato e costante e, secondo, che non vengano rotte

le leggi familiari.

LA PRIMA FASE DEL LAVORO TEORICO

DELL’ÉQUIPE DELLA SELVINI PALAZZOLI

Gli studi della Selvini Palazzoli si basano su

l’osservazione terapeutica dei sistemi familiari che

hanno al loro interno un soggetto anoressico al fine di

individuare specifiche caratteristiche delle interazioni e

rilevare così i principi di funzionamento che le

regolano.

In effetti sembrano esservi diverse caratteristiche

specifiche che individuano queste famiglie. La coppia

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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genitoriale è caratterizzata da comportamenti di forte

drammatizzazione e dolore per il comportamento della

figlia e si profonde in grandi promesse di sacrificio per

aiutarla.

L’analisi della comunicazione rivela che i due moduli

di comunicazione, quello numerico e quello analogico,

risultano in sintonia tra loro. Sembra che tutti gli

appartenenti a questo tipo di sistema familiare siano

piuttosto assertivi nelle loro dichiarazioni e che tendano

a proporre le loro opinioni sulle regole di relazione

familiare. Il problema sembra essere, invece, a livello

del modulo di risposta nell’interazione. Si rileva una

fortissima frequenza di risposte di rifiuto che

contraddice il più delle volte la definizione di sé che

l’altro propone all’interno dell’interazione.

Un’altra caratteristica della coppia genitoriale è la

reticenza ad assumersi la paternità delle decisioni che

vengono motivate, non come il frutto di propri bisogni o

responsabilità, ma come un qualcosa che andava fatto

per tener conto dei desideri di qualcun’altro affinché

stesse bene. Anche il membro che manifesta la

sindrome anoressica fa sua questa regola relazionale e

sacrifica ad oltranza le sue esigenze e i suoi desideri per

tener conto di quelli di un altro, almeno fino a quando la

manifestazione dei sintomi non le renda più possibile di

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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evitare il dolore alla sua famiglia. Il paradosso di questa

situazione è che la sindrome va a riempire il vuoto

funzionale all’interno del sistema, l’incapacità cioè di

assumersi la paternità delle decisioni, in quanto viene a

trasformarsi nell’elemento che determina e guida le

decisioni della famiglia stessa. È importante notare che

è proprio la sintomatologia ad assumere questo ruolo e

non la persona che ne è portatrice.

Queste ipotesi cliniche sul funzionamento familiare

della famiglia “anoressica”, hanno trovato conferma

sperimentale nel lavoro di F. Kroger, A. Drinkmann,

W. Herzog ed E.Petzold (1991). Essi hanno sottoposto a

26 famiglie, la cui figlia soffriva di Anoressia, la

“Symlog adjective rating form” che valutava la

percezione che ognuno aveva di sé e di ciascuno degli

altri componenti della sua famiglia. Le valutazioni

rilevano che la coppia genitoriale reputa la propria figlia

come scarsamente dominante e questa valutazione è

condivisa dalla figlia stessa. La madre attribuisce a se

stessa uno scarso potere decisionale e reputa, invece, il

marito come più influente. Da parte sua il padre

individua se stesso come una persona molto poco

influente nelle decisioni familiari e percepisce la

consorte, in completo contrasto a quanto percepisce lei,

come colei che ha il potere decisionale. Questo tipo di

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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percezione, complementare ed opposta, ha come

conseguenza che ciascuno dei due genitori delega

all’altro il compito di agire nella situazione di crisi

familiare che si è venuta a creare, in quanto entrambi

reputano l’altro più competente nell’assumere il ruolo

risolutore. Quindi la necessità quotidiana di trattare con

i sintomi della sindrome anoressica, colma lo spazio

vuoto di potere. In questo senso la figlia assume il ruolo

guida all’interno del funzionamento familiare, ma può

farlo solo attraverso l’espressione sintomatologica e non

attraverso la sua personalità.

Comunque, la Selvini Palazzoli nota che ciò che è

fondamentale nell’instaurarsi della sindrome e

soprattutto della sua cronicizzazione, è la pletora di

regole non dette che regola il funzionamento di queste

famiglie. Questo aspetto è senz’altro il più

problematico, perché queste regole non dette hanno la

caratteristica fondamentale che su di esse non è

ammesso metacomunicare. Questo tipo di sistema

familiare vive con emozioni violente l’eventuale unione

fra due individui ad esso appartenenti. Questa alleanza

viene percepita come un infedeltà rispetto a tutti gli

altri, un attentato all’armonia familiare. Il diktat della

famiglia è che si stia tutti uniti sempre e comunque, in

qualsiasi situazione e quindi anche se ciò possa

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provocare sofferenza. Il tentativo di separazione o di

individuazione da parte di un membro è percepito come

un attentato all’equilibrio di tutti. Tutti i componenti

della famiglia affermano di prodigarsi, anche a proprio

discapito, per gli altri, ma in realtà nessuno si attribuisce

la responsabilità della situazione di crisi. Le madri, per

esempio, tendono a professare grandi “mea culpa” per le

loro mancanze e per il ruolo che hanno avuto nello

scatenarsi della sofferenza della figlia, ma alla resa dei

conti questa drammatizzazione si rivela essere una

modalità distorta per affermare la loro completa

dedizione alla famiglia e a quella figlia in particolare.

La figura paterna, che potrebbe costituire un

momento di equilibrio in una situazione emotiva così

forte tra madre e figlia, in effetti si presenta come più

riflessiva, ma non riesce a conservare nel tempo una

posizione critica nel valutare la crisi della relazione tra

la propria moglie e la propria figlia, facendosi

coinvolgere dai comportamenti irrazionali della moglie.

Data l’incostanza dei ruoli assunti e l’ambiguità degli

atteggiamenti ad essa correlata, l’anoressica si trova, in

breve tempo, in una posizione difficilissima, al centro di

un gioco di alleanze offerte a turno dai vari appartenenti

al sistema, alleanze che sono poi puntualmente negate

dopo essere state offerte. Quindi, in quest’ottica, dove la

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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modalità di interazione prevalente risulta essere il

Rifiuto, la scelta da parte dell’anoressica di dire “no” al

cibo risulta assolutamente coerente con le regole di

comunicazione vigenti nel sistema familiare.

Riunendo in un insieme omogeneo le caratteristiche

osservate in questo tipo di famiglia, la Selvini Palazzoli

ha ricostruito l’intero iter dello sviluppo della patologia,

elencando i fattori predisponenti e quelli scatenanti.

Questo lavoro l’ha portata a strutturare il decorso della

sindrome in un modello a sei stadi.

Primo Stadio.

In questo stadio si elencano le caratteristiche

dell’interazione tra marito e moglie che fanno da humus

fertile per il manifestarsi dei sintomi della figlia. La

tipologia materna vede una moglie che è scontenta del

carattere del marito poiché ritiene che proprio a causa di

esso, ella è costretta a subire dei soprusi da parte sua e

della di lui famiglia. Come donna invece si percepisce

frustrata e sacrificata nei suoi desideri di realizzazione

messi da parte per adempiere ai compiti di madre e

casalinga. Intanto però svolge il suo ruolo di madre

assumendo atteggiamenti fortemente intrusivi, direttivi e

indiscreti. L’uomo invece sembra aderire a due modelli

comportamentali e caratteriali diversi. In un primo caso

è una persona estremamente diligente e brillante nel

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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lavoro, ma del tutto incapace, nel rapporto di coppia e

nelle relazioni familiari, di contenere gli atteggiamenti

eccessivi della moglie e l’unico comportamento

oppositivo che manifesta è il silenzio ostinato. Sono i

mariti “incassatori”.

Una seconda evenienza è quando il marito assume un

atteggiamento molto direttivo nei confronti della moglie

e soffoca sul nascere qualsiasi rivendicazione o protesta

da parte della moglie. Questo atteggiamento risulta però

effimero ad una osservazione più attenta del gioco di

coppia e viene alla luce che il marito deve sottostare a

molte delle lamentele della moglie.

Secondo stadio.

La figlia che si candida all’Anoressia risulta essere fin

dall’infanzia estremamente invischiata nel conflitto

genitoriale. Essa assume all’interno del sistema il ruolo

della bambina perfetta da additare come esempio per il

suo comportamento. Questo sia nei rapporti all’interno

della famiglia, dove è molto presente alle richieste

materne, che negli impegni scolastici dove eccelle.

Sembra che il suo comportamento sia mirato a non

oberare di ulteriori preoccupazioni la madre che ella

percepisce come una donna poco valida e succube.

Questo idillio illusorio nel rapporto con la madre si

rompe con il sopraggiungere dell’adolescenza e spesso

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la figlia realizza che la madre ha un rapporto più

intenso, anche se magari più burrascoso, con un altro

membro della fratria, che coinvolge emotivamente la

madre più di quanto non faccia lei, proprio perché si

discosta dal modello di perfezione a cui la ragazza

aderisce, provocando preoccupazioni nella madre.

Terzo stadio.

In esso la ragazza tenta una riorganizzazione dei suoi

rapporti all’interno del sistema familiare e, delusa dal

“tradimento” della madre, rivolge le sue attenzioni al

padre attribuendogli delle qualità positive che fino ad

allora gli aveva negato. Questo processo porta a

ridefinire il padre come succube del comportamento

intrusivo della moglie e non più come il “torturatore”

della madre.

Quarto stadio.

È in esso che fa la sua comparsa la dieta che assume

la caratteristica di essere il primo comportamento

attuato dalla ragazza indipendentemente dai voleri della

madre. È il primo tentativo di dimostrare una volontà

autonoma dopo anni di adesione ai desideri materni;

soprattutto però la figlia scopre che con la dieta può a

sua volta prendere il comando nella relazione con la

madre grazie al “non mangiare”.

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Questo “sciopero della fame” provoca la ribellione

della madre ad esso, per cui ella inizia ad attaccare la

figlia. Questa, allora, cerca un’alleanza e una difesa nel

padre il quale ha già avuto modo di farle intendere

analogicamente che la riteneva addirittura una moglie

migliore della madre. Ma è a questo punto che avviene

il secondo tradimento, quello del padre, che si rivela un

marito incapace di opporsi alla moglie per prendere le

difese della figlia. A questo punto l’astensione dal cibo

assume il valore di un doppio rifiuto e di una doppia

accusa, non più solo nei confronti della madre ma anche

del padre.

Quinto stadio.

La dieta si trasforma in Anoressia, i sintomi entrano

nella fase conclamata e sono un chiaro segno di

disperazione.

Sesto stadio.

L’ultimo stadio è costituito da tutte le strategie atte

alla conservazione del sintomo e a come esse si

strutturano nell’equilibrio del sistema familiare.

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

127

LA PRIMA FASE DEL LAVORO TERAPEUTICO

DELL’ÉQUIPE DELLA SELVINI PALAZZOLI

Partendo dalla base concettuale su esposta vediamo

(M. Selvini Palazzoli, S. Cirrillo, M. Selvini, A.M.

Sorrentino, 1998) che il lavoro clinico è stato

caratterizzato dal ricorso a tre metodi che si sono

susseguiti nel tempo e che sono:

a) Metodo paradossale (rivolto alla paziente

designata).

b) Metodo della serie invariabile di prescrizioni

(rivolto ai genitori designati come co-

terapeuti).

c) Disvelamento del gioco familiare.

Questi tre metodi sono comunque accomunati

dall’essere ispirati dai seguenti concetti fondamentali:

• Coinvolgimento fin dalla prima seduta della

famiglia nucleare.

• Progetto di una terapia breve (max 10 sedute).

• Intervallo di un mese tra le sedute.

• La terapia mira a collegare l’anoressia con le

qualità disfunzionali delle relazioni nella famiglia

una considerazione più attenta dei tre metodi ci

permette di individuare le caratteristiche individuanti

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ciascun metodo ed oltre ai pregi anche i motivi di

insuccesso.

Il metodo paradossale

Nella sua applicazione questo metodo si

caratterizzava per: <<

• La connotazione positiva di ciascun membro della

famiglia;

• La formulazione paradossale del gioco familiare in

corso e la sua prescrizione;

• I rituali familiari;

• La regola dell’intervallo mensile delle sedute. >>

(M. Selvini Palazzoli, S. Cirrillo, M. Selvini, A.M.

Sorrentino, pag. 10, 1998).

Secondo gli autori ciò che motivava la scelta della

connotazione positiva era il fatto che la non denotazione

tra “soggetti buoni e cattivi, sani e malati” (ibidem)

aveva il doppio vantaggio, da un lato, di non aggiungere

resistenze ulteriori a quelle preesistenti, favorendo così

la presa in carico della famiglia e, dall’altro, l’assenso

manifesto all’equilibrio omeostatico del sistema

familiare aveva un effetto di rassicurazione per la

famiglia ma al contempo creava le premesse per un

futuro cambiamento graduale. Comunque l’esperienza

terapeutica insegnò che l’applicazione in ogni caso della

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connotazione positiva era controproducente in quelle

famiglie ove erano presenti violenze “di membri più

forti (gerarchicamente e fisicamente) su membri più

deboli” (ibidem).

Per quanto riguarda l’uso della riformulazione

paradossale in positivo dei comportamenti disfunzionali

all’interno della famiglia e in conseguenza la

prescrizione, imposta a tutti i componenti del sistema, a

perseverare in essi, essa mirava a far sorgere “un

interrogativo paradossale sul perché mai una così

stretta coesione familiare, definita dai terapeuti come

<buona>, potesse essere ottenuta solo a spese di una

<paziente designata> ” (ibidem, pag. 11).

I rituali familiari erano un insieme di azioni, anche

questi prescritti, che dovevano sostituire le regole che

normalmente arbitravano la relazione fra i membri del

sistema. Il loro effetto dirompente stava ancora una

volta nella loro natura prescrittiva che non prevedeva

alcuna possibilità di metacomunicazione durante il loro

svolgimento, il che paradossalmente, favoriva una

riconsiderazione critica delle “vecchie” regole di

rapporto.

La lunga scadenza temporale tra una seduta e l’altra

trovava la sua ragione d’essere nel permettere agli

effetti delle tecniche suddette di palesarsi.

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Tra le controindicazioni nell’applicazione di questo

metodo possiamo individuare: <<

• L’assenza di uno spazio terapeutico individuale per

le pazienti.

• L’estrema brevità dei trattamenti.

• La scarsa empatia dei terapeuti verso i genitori e in

particolare le madri.

• Una teoria riduttiva nel suo essere puristicamente

sistemica (a spese degli approfondimenti diadici ed

individuali) >> (M. Selvini Palazzoli, S. Cirrillo, M.

Selvini, A.M. Sorrentino, pag. 12, 1998).

Queste controindicazioni ed il corollario che da esse

deriva, di una natura di tipo più interventista del

metodo, a discapito di un approfondimento di quello che

era il senso della sofferenza nella personale esperienza

di vita della paziente, portò ad un abbandono del

metodo stesso, senza nulla togliere alla grande efficacia

che ebbe sul piano terapeutico.

La serie invariabile di prescrizioni

La scoperta e l’applicazione di questo metodo portò

alla formulazione del modello a sei stadi di cui abbiamo

parlato nel paragrafo precedente.

Le prescrizioni sono date al sottosistema genitoriale il

quale, senza ulteriori spiegazioni, deve eseguire

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fedelmente dei dictat dei terapeuti, senza parlarne in

famiglia, né prima né dopo, dando solo le

comunicazioni strettamente necessarie a non creare

inutili allarmismi. Inoltre i genitori dovevano portare in

terapia un resoconto scritto di tutte le “reazioni

comparse in ciascuno dei membri della famiglia

nucleare ed estesa” (ibidem, pag. 14).

Grazie a ciò si andava ad incidere su uno dei cardini

principali su cui si imperniano queste famiglie poiché si

spezzava “quel predominio dell’ossessivo controllo

reciproco che in questo tipo di famiglia maschera

l’insufficienza di fiducia, di empatia e di intimità”

(ibidem). Questo tipo di metodo ristabilisce, ridefinisce,

o forse sarebbe meglio dire che definisce per la prima

volta, i confini tra i vari sottosistemi che costituiscono il

sistema familiare. Questa sua caratteristica principe

ebbe come conseguenza quella di incrementare

l’attenzione sul singolo le cui azioni, reazioni ed

emozioni balzavano in piena luce nei resoconti scritti

che venivano riportati nelle sedute, pur conservandosi

ben chiaro il contesto sistemico della trama delle

relazioni familiari entro cui avvenivano.

Il metodo del disvelamento del gioco familiare

Questo metodo rappresenta una decisa inversione di

tendenza rispetto alle componenti prescrittive dei due

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metodi precedenti. Infatti esso si basa su una chiara

decodifica del gioco familiare in atto e una conseguente

elaborazione in collaborazione con la famiglia di una

serie di azioni da eseguire che non hanno più il carattere

paradossale ma spingono decisamente in direzione del

cambiamento. L’adozione di questo nuovo metodo ha

una serie di motivazioni sia pratiche che teoriche. Il

metodo della serie invariabile di prescrizioni aveva un

gran valore con le famiglie ove la caratteristica

principale delle interazioni è l’ipercontrollo

bidirezionale tra il soggetto che soffre di un Disturbo

del Comportamento Alimentare e i propri genitori, ma

risultava completamente inefficace in quelle famiglie

ove il sistema familiare attua “un atteggiamento

espulsivo o ostile nei confronti della paziente” (ibidem,

pag. 15).

Inoltre ove sussisteva una assenza della coppia

genitoriale (divorzio, vedovanza) il metodo risultava

inapplicabile. Talvolta poi la prescrizione era disattesa

per cui l’équipe era costretta al congedo della famiglia.

Queste controindicazioni vennero risolte con

l’adozione del metodo del disvelamento del gioco

familiare; esso ha dimostrato i suoi pregi ma comunque,

nel corso del feedback raccolto dagli autori, si è visto

che questo ha un impatto dirompente e la reazione

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prevalente nelle pazienti è quella della rabbia. Nei casi

in cui il metodo ha favorito uno sblocco della

interazione disfunzionale questa rabbia si è rivelata

senza dubbio costruttiva e produttiva, dando alla

persona e talvolta anche alla famiglia, la possibilità di

abbandonare il proprio sintomo e spesso di

intraprendere un ulteriore percorso di sviluppo, anche

terapeutico in maniera indipendente dalla famiglia. Nei

casi in cui invece l’applicazione del metodo non ha dato

l’esito sperato si è visto che questa rabbia è perdurata

negli anni creando una pregiudiziale anche verso altri

eventuali percorsi terapeutici.

IL MODELLO PSICOSOMATICO DI MINUCHIN

Un ulteriore orientamento teorico che focalizza la sua

attenzione sul sistema familiare è quello basato sugli

studi di Minuchin e coll.(1980). Per oltre dieci anni essi

si sono occupati della diagnosi e del trattamento di

famiglie con bambini psicosomatici.

Nell’ambito di questo lavoro sono stati individuati

due modelli per quanto riguarda la diagnosi e il

trattamento delle sindromi psicosomatiche, tra cui anche

l’Anoressia: il modello lineare e quello sistemico.

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Il primo modello comprende tutte le tecniche e gli

orientamenti terapeutici e diagnostici che centrano la

loro attenzione sul singolo e quindi si parla

dell’approccio medico, di quello comportamentista e di

quello psicodinamico.

Il modello sistemico invece considera lo sviluppo

comportamentale e della struttura psicologica di una

persona inquadrandolo nel contesto ambientale

dell’individuo stesso.

Il primo modello opera, appunto secondo una logica

lineare, per cui individua per ogni effetto una causa, il

tutto secondo una serie ordinata di situazioni

susseguentesi. Nel secondo modello invece

l’organizzazione finale del sistema è il frutto dell’azione

e della reazione di tutti i membri che lo compongono in

quanto ogni membro è allo stesso tempo organizzatore e

organizzato da e per ogni parte del sistema.

Il modello di Minuchin porta avanti la tesi che alcune

tipologie familiari caratterizzate da una determinata

organizzazione dei propri componenti, risultano

strettamente collegate all’insorgenza e alla

cronicizzazione di sindromi psicosomatiche, soprattutto

nei bambini. Inoltre gli autori mettono l’accento sul

fatto che i sintomi, una volta entrati nella fase

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conclamata, assumono una importante funzione nel

mantenere costante l’omeostasi del sistema familiare.

Partendo da questi presupposti, viene elaborato un

modello di analisi per individuare la modalità di

funzionamento della “famiglia psicosomatica”.

Le principali modalità di interazione all’interno di

queste famiglie sono quattro. È importante sottolineare

che, ognuna di esse, presa singolarmente non può essere

ritenuta responsabile dell’insorgenza del sintomo

psicosomatico, ma piuttosto è la loro concomitanza a

creare un terreno favorevole alla manifestazione della

somatizzazione.

Le modalità sono:

1.L’Invischiamento.

2.L’Iperprotettività.

3.La Rigidità.

4.La Non Risoluzione dei Conflitti.

L’Invischiamento.

Un sistema familiare invischiato è un sistema in

cui ogni variazione nell’interazione tra due membri e

ogni mutazione personale, si ripercuote sull’intero

equilibrio della famiglia. Per esempio un eventuale

conflitto tra due componenti è la causa del formarsi di

numerose alleanze con l’uno o l’altro dei contendenti

per cui il conflitto stesso pervade in poco tempo l’intero

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sistema e tutti i suoi membri. Questo tipo di

funzionamento è favorito anche dal fatto che in questo

tipo di famiglia, i vari sottosistemi, i ruoli e le funzioni

non sono ben delimitati, i confini sono cioè deboli. I

sottosistemi coniugale, genitoriale e della fratria non

hanno una loro chiara identità funzionale e si

accavallano tra loro nelle rispettive funzioni e ciò

influisce negativamente sia sull’efficacia delle loro

funzioni, che sullo sviluppo dell’identità stessa di ogni

componente. La mancanza di confini definiti e quindi di

uno spazio autonomo di sviluppo, non si manifesta

soltanto nella realtà con un’invasione degli spazi e degli

oggetti degli altri membri del sistema familiare, ma

giunge ad una vera e propria contaminazione

sentimentale e dei processi di pensiero da parte di ogni

individuo nei confronti dell’altro.

L’Iperprotettività.

Il sistema familiare di queste famiglie, le regole

che ne determinano il funzionamento sono percepite dal

sottosistema genitoriale come atte a creare un ambiente

“sicuro” contrapposto ai pericoli provenienti dal mondo

esterno. Ciò provoca nei genitori un atteggiamento di

eccessiva protettività che ostacola non poco l’insorgere

di interessi esterni alla famiglia nei figli e quindi

pregiudica lo sviluppo dell’autonomia degli stessi.

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Questo senso di un pericolo esterno che incombe sulla

famiglia instilla nei figli stessi, e soprattutto

nell’individuo psicosomatico, la radicata sensazione di

avere il compito di proteggere il sistema. Se in qualche

modo i sintomi assumono il ruolo di mezzi atti a

“proteggere” l’equilibrio omeostatico della famiglia, il

soggetto ne riceve un rinforzo notevole e ciò

contribuisce alla loro cronicizzazione.

La Rigidità.

Con questa caratteristica si intende definire il

grande impegno e profusione di energie che queste

famiglie impiegano per mantenere uno status quo.

Questo atteggiamento determina ed è

contemporaneamente, la causa di una notevole

incapacità ad affrontare i momenti di crisi evolutive, le

quali non sono percepite più come un’occasione di

crescita e di riorganizzazione del sistema ma solo come

delle cariche distruttive. L’esempio più eclatante è dato

spesso dall’ingresso di uno dei figli nell’adolescenza; in

genere, in questo tipo di occasioni un sistema familiare

flessibile nelle sue funzioni è in grado di rinegoziare le

regole che caratterizzano le interazioni al suo interno,

pur di venire incontro all’aumentata esigenza di

autonomia di uno dei suoi membri. Invece, i componenti

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di una famiglia psicosomatica non riescono ad essere

flessibili rispetto al cambiamento dei ruoli nelle

relazioni all’interno del sistema. Questa difficoltà fa sì

che gli accadimenti esterni ed improvvisi portino con sé

un carico di stress ben più alto del normale e che

amplifichino le difficoltà preesistenti all’interno delle

interazioni familiari, favorendo così l’insorgere della

sindrome.

La Non risoluzione dei conflitti.

La combinazione dei due elementi precedenti

determina comunque una certa staticità del sistema, il

che per lungo tempo congela le occasioni di conflitto,

che in ogni caso qualora si manifesti, viene contrastato

con una strategia di evitamento puntualmente applicata.

L’adozione di questa strategia viene spesso determinata

dalla fedeltà ad un rigido insieme di precetti religiosi,

morali e/o etici, ma comunque determina la persistenza

del conflitto e dei problemi ad esso sottostanti anche se

ad un livello non conclamato. L’omeostasi del sistema

viene mantenuta ricorrendo a manovre distraenti che si

applicano attraverso scambi di ruolo tra i vari membri

senza però che in realtà cambi alcunché nelle dinamiche

familiari e l’interazione viene ricondotta entro parametri

costanti e conosciuti che offrono il vantaggio di poter

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essere trattati con una competenza già acquisita. Tutto

questo movimento ha l’effetto di sfocare l’attenzione

verso i veri problemi.

In questo contesto familiare, durante i momenti di

transizione, di crisi, i sintomi diventano il meccanismo

regolatore dell’omeostasi familiare; l’individuo

psicosomatico è spesso quello più coinvolto nei conflitti

del sottosistema coniugale. Data l’incapacità di questo

sottosistema di trattare un problema, incapacità comune

all’intero sistema, e di rinegoziare le regole di relazione,

i coniugi ritrovano l’armonia unendosi

nell’atteggiamento protettivo nei confronti del figlio

malato. L’impegno in questo senso funge spesso da

manovra diversiva dal conflitto in corso,

salvaguardando la coesistenza del sottosistema

coniugale.

Il soggetto psicosomatico viene coinvolto

nell’interazione familiare, a seconda dei casi, con il

ruolo di possibile alleato, di mediatore o di aiutante.

Negli studi di Minuchin sono elencate tre modalità di

coinvolgimento del figlio nel conflitto genitoriale,

coinvolgimento che paradossalmente mira

all’evitamento del conflitto stesso.

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Esse sono:

•La Triangolazione.

•La Coalizione genitore-bambino.

•La Disgressione.

Le prime due modalità sono adottate quando il

conflitto è conclamato e i genitori si contrappongono

l’uno all’altro apertamente. Il soggetto è sottoposto a

continue richieste di alleanza da parte di ciascuno dei

genitori contro l’altro. L’ultima modalità invece si

manifesta quando il sottosistema coniugale sembra

apparentemente armonico ma in realtà il conflitto è

latente e viene tenuto a bada concentrandosi solo sul

problema del soggetto malato che viene percepito come

l’unico elemento disfunzionale del sistema.

Non bisogna pensare che queste modalità di interagire

e di affrontare i conflitti non siano presenti anche nei

sistemi familiari cosiddetti normali, ma ciò che

determina la differenza con le famiglie psicosomatiche è

senz’altro la continuità, la altissima frequenza e la

costanza nel tempo con le quali vengono proposte.

Passando più nello specifico della sindrome

anoressica Minuchin analizza che la fondazione di un

sistema familiare coincide con la decisione da parte di

due individui di formare una famiglia. Ora ciascuna

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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delle due persone proviene da due differenti contesti

ambientali dai quali ha appreso determinate modalità di

interazione nei rapporti interpersonali e attribuisce

specifiche caratteristiche ai ruoli assunti nelle

interazioni, il tutto inscritto in una individuale mappa

cognitiva. Perché sia possibile mantenere la coesione

del sistema familiare le caratteristiche suddette devono

equilibrarsi e esprimersi in concomitanza. Questo

incontro determina lo sviluppo di nuovi modalità di

interazione nelle fasi di transizione, che caratterizzano

in modo peculiare il nuovo sistema familiare. Questo

processo in continuo svolgimento esercita una notevole

influenza sullo sviluppo della personalità del bambino,

inibendone alcune caratteristiche e favorendo lo

sviluppo di altre che il bambino arriva a percepire poi

come specificatamente tipiche di sé.

Partendo da questi presupposti la ragazza anoressica

si svilupperebbe in un sistema familiare dove la

modalità più spiccata di interazione è quella invischiata,

per cui la vicinanza e i rapporti interpersonali stretti

diventano i valori fondanti il suo agire. La fedeltà e la

protettività hanno la prevalenza sull’individuazione di

sé e sull’autorealizzazione. L’attenzione di un sistema

familiare anoressico è centrata sulla prole, e la figlia si

sviluppa sotto la pressante attenzione dei genitori che

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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identificano il suo bene con un atteggiamento di

ipercontrollo rispetto alle sue esigenze psicologiche e

alle sue iniziative. Questo atteggiamento mette sotto

continuo esame la figlia che sviluppa una ipersensibilità

ai segnali degli altri e una precoce autocoscienza, il che

la porta alla ricerca di un ideale di perfezionismo che

diventa ossessivo. Inoltre l’estrema consapevolezza che

le sue azioni scatenano una immediata reazione negli

altri, la rende titubante e restia a prendere iniziative

personali: preferisce agire in maniera adesiva alle

richieste familiari, conformandosi ai desideri dei

genitori, sempre angosciata dall’evitare di deluderli o

imbarazzarli.

È così impegnata in questo compito che, qualora

subisca un rimprovero per il mancato rispetto di una

regola, ciò le scatena un profondo rimorso e una forte

vergogna che acuiscono le sue capacità di analisi del

funzionamento familiare, di modo che la maggiore

comprensione la preservi da futuri “errori”. In questo

contesto ogni spinta all’indipendenza emotiva è

vanificata e ostacolata; il ritardo evolutivo

nell’acquisizione di una propria autonomia si manifesta

nell’interesse prolungato nel tempo oltre il normale da

parte del sistema familiare verso funzioni corporee e

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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psicologiche che già da tempo dovrebbero essere

appannaggio della persona.

L’esigenza poi di mantenere inalterata la fusione del

sistema familiare, senza affrontare processi di

riequilibrio e di transizione, scoraggia tutte le iniziative

di manifestare un disaccordo. L’ipercontrollo della

famiglia impedisce una reale esperienza di

partecipazione emotiva a situazioni e relazioni extra-

familiari, il che impedisce alla bambina di sperimentare

parti alternative di sé rallentandone lo sviluppo.

Questa situazione arriva al livello di saturazione con

l’inizio dell’adolescenza dove le normali spinte ad

interagire con il gruppo dei pari le provocano un

conflitto lacerante con la parte che la vuole sommersa

nel sistema familiare; ella non riesce a percepire il

proprio essere come separata dai genitori e terrorizzata

si reimmerge nella famiglia rimanendovi sempre più

invischiata, rinforzando inoltre le modalità di

interazione del sottosistema coniugale. È infatti

caratteristico che nella famiglia anoressica la percezione

dei confini con il mondo esterno è ben delineata e

rimarcata, mentre i confini interni sono labili e sfuocati.

Una particolare sensibilità, poi, all’interno della

famiglia verso le manifestazioni corporee, patologiche e

non, può favorire la scelta di una sindrome

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psicosomatica. Diventando poi l’attenzione ai sintomi il

modo privilegiato per distrarre dai conflitti il sistema, la

malattia viene sempre più rinforzata.

Ed è proprio per il contributo che la ragazza dà al

mantenimento dell’equilibrio del sistema con la sua

sintomatologia, che le sue richieste, anche se ritenute

eccessive, non fanno desistere genitori e fratelli

dall’essere eccessivamente iperprotettivi e

ipercontrollanti.

IL LAVORO ATTUALE DELL’ÉQUIPE DELLA

SELVINI PALAZZOLI. Fin qui abbiamo visto sia i concetti che l’applicazione

che da essi nasceva, della teorizzazione sistemica per

così dire “classica” applicata alle situazioni in cui era

presente un Disturbo del Comportamento Alimentare. In

linea di massima si può affermare che, sia l’azione

terapeutica che gli sforzi teorici, miravano ad

intervenire direttamente nella regolazione

dell’interazione in corso nel sistema familiare; questo

tipo di attenzione ha fatto sì che non si andasse a toccare

l’analisi della motivazione di ogni singolo membro del

sistema familiare. A questo punto è necessaria una

precisazione: l’applicazione dei tre metodi su esposti

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non è che non mettesse in luce ciò che spingeva le

singole persone ad agire in un determinato modo, ma, ai

fini dell’interazione terapeutica, questi aspetti

rimanevano in secondo piano. L’équipe della Selvini

Palazzoli applicando in particolare il metodo delle

prescrizioni si è però trovata di fronte ad una realtà

terapeutica che ha spinto la teorizzazione in una

direzione ben precisa. Come ho accennato prima, il

metodo delle prescrizioni invariabili, avendo il pregio di

definire con particolare chiarezza i confini

intrasistemici, ha permesso di individuare alcune forme

ben definite di relazione che caratterizzavano in modo

specifico determinati sottosistemi del più generale

sistema familiare. Inoltre si è potuto notare, con sempre

maggiore determinazione, come i membri di famiglie

che ad una attenta analisi sembravano presentare

analoghe situazioni di gioco familiare, reagissero poi in

modo diverso e del tutto personale ad identiche

prescrizioni; queste osservazioni senza dubbio hanno

riportato in primo piano l’importanza della storia

emotiva personale di ogni singolo individuo. Nel

contesto sistemico questo richiamo al singolo ha una

doppia valenza. Da un lato riafferma con forza la

riduttività di tutte quelle teorizzazioni che, cercando di

individuare una correlazione diretta tra il sintomo

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

146

espresso in un Disturbo del Comportamento Alimentare

e una ben specifica causa o serie di cause, portano alla

definizione di una costellazione di personalità piuttosto

schematica che viene troppo facilmente smentita dal

riscontro nella realtà terapeutica; dall’altro, seguendo lo

stesso ragionamento di fondo, finisce per far ritenere

scorretta la definizione de “la famiglia dell’anoressica”

(M. Selvini Palazzoli, S. Cirrillo, M. Selvini, A.M.

Sorrentino, pag. 90, 1998) e per estensione direi io de

“la famiglia con un Disturbo del Comportamento

Alimentare”. Questa considerazione nasce soprattutto

dal riscontro terapeutico nel lavoro degli autori e da

quello dell’analisi della letteratura in cui sembra potersi

riscontrare una serie quasi infinita di caratteristiche

familiari, spesso le une opposte alle altre.

Seguendo il discorso degli autori, allora, ci si va a

chiedere il “perché” del sintomo (ibidem, pag. 88); il

primo passo verso una risposta a questo quesito, è

quello di assumere un approccio “multidimensionale”,

cioè un approccio dove “la personalità di ciascun

soggetto, viene apprezzata nella sua individualità, nel

qui ed ora del suo relazionarsi sia con il terapeuta sia

con i suoi interlocutori familiari, oltre che nel suo

esprimersi quotidiano. Questo presente appare frutto

tanto delle relazioni in atto che della storia delle

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relazioni passate che hanno determinato il

cristallizzarsi dell’attuale equilibrio emotivo della

persona.” (M. Selvini Palazzoli, S. Cirrillo, M. Selvini,

A.M. Sorrentino, pag. 88, 1998).

In questo tentativo interpretativo, non si cerca più una

corrispondenza diretta tra il sintomo ed una particolare

tipologia di famiglia, ma le intercorrelazioni avvengono

lungo due assi; Il primo asse mette in relazione una

determinata espressione dei sintomi e la particolare

personalità di chi li esprime; il secondo asse esprime

l’interdipendenza tra la personalità di chi esprime la

sintomatologia e la particolare tipologia della famiglia.

Costellazione di sintomi

Personalità della paziente

Tipo di Famiglia

In questo modo la relazione immediata e riduttiva tra

i sintomi e il sistema familiare non ha più ragione di

essere in quanto essa è ora mediata e a tratti catalizzata,

dall’insieme di caratteristiche uniche, individuali e

storiche che determinano la personalità del soggetto che

esprime il Disturbo del Comportamento Alimentare.

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In questo modo l’espressione sintomatica trova un

suo significato pur nell’estrema diversità che si può

riscontrare sia nella singola persona che soffre che nella

altrettanto variegata costellazione delle personalità che

compongono la sua famiglia.

Questo ritorno di un collegamento più diretto del

sintomo alla persona ci riporta al discorso iniziale da cui

siamo partiti e cioè del “perché” del sintomo. A questo

proposito è estremamente interessante il discorso fatto

dalla dottoressa A. M. Sorrentino nel suo intervento

“L’eziopatogenesi familiare dell’anoressia mentale”

durante il convegno di studio “Disordini alimentari:

anoressia, bulimia e obesità. Un approccio

interdisciplinare.” (Roma 12 giugno 1998)5. In esso la

Sorrentino dava un’interpretazione del disturbo del

comportamento alimentare in chiave difensiva; la

costellazione dei sintomi assume una doppia

funzionalità. Da un lato ha una funzione “antalgica”,

dall’altro una funzione “strutturante”. I Disturbi del

Comportamento Alimentare sono visti come

l’assunzione da parte del soggetto di una posizione

antalgica in quanto hanno lo scopo di lenire una

profonda sofferenza psicologica patita dalla persona, la

quale dirotta la propria attenzione sul controllo corporeo 5 Vedi Appendice III pag.283

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in modo da distoglierla da una angoscia intollerabile che

la pervade. I sintomi fungono da anestetico spostando

l’attenzione e il controllo da emozioni che sembrano

incontrollabili e che spingono dall’interno in modo

insopportabile, verso un pensiero concreto, impegnato

in cose concrete (il quanto, come e se mangio, vomito,

corro etc.).

La funzione strutturante viene ben chiarita, sempre

nello stesso intervento, con i suoi vantaggi e svantaggi,

dalla metafora dell’ingessatura. L’adozione di un

disturbo del comportamento alimentare viene

paragonata all’ingessatura che una persona è costretta a

farsi per risanare una frattura scomposta. Il ricorso a

questa misura ortopedica, indubbiamente permette alla

persona di poter continuare a svolgere le sue attività

quotidiane con una certa efficacia e evitando un dolore

lancinante, pur con una parziale invalidità. In questo

caso il gesso ha un valore terapeutico e strutturante nel

senso di una struttura che contiene la parte dolorante

la quale preserva una sua funzionalità seppur parziale.

In questo senso i sintomi possono essere intesi

paradossalmente come una sorta di auto terapia. Il gesso

perde la sua valenza terapeutica nel momento in cui

esso venga portato oltre tempo e oltre misura. In questo

caso, anzi, esso arriva a danneggiare la funzionalità

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stessa dell’arto provocando un’atrofia muscolare. Il

parallelo di questo esempio nel campo dei Disturbi del

Comportamento Alimentare viene a coincidere con la

loro cronicizzazione. Essi hanno dunque una funzione

essenzialmente protettiva e sono, se vogliamo,

l’esasperazione di un comportamento difensivo assunto

nei confronti di un dolore intollerabile. Quindi la

sintomatologia, nella sua fase iniziale, per la sua

efficacia difensiva ha anche una sua valenza fisiologica

e non solo patologica. Questa chiave di lettura

inevitabilmente porta a spostare l’attenzione su quale sia

la natura del dolore sottostante e su cosa lo abbia

provocato nella storia personale e soggettiva della

persona.

Scendendo più nel particolare il sintomo può

assumere “due differenti funzioni.... nella storia

personale della paziente, che.... abbiamo chiamato

prima e seconda anoressia. La prima funzione

dell’anoressia è l’espressione del sentimento di

disvalore che la paziente sperimenta, e insieme la difesa

che essa adotta contro l’onda crescente della sua

sofferenza, che minaccia di sommergerla e che lei tiene

a bada con il digiuno e il sentimento di lucidità e di

potenza che gliene deriva”; (ibidem pag. 92)....

“allorché il desiderio di potere della futura anoressica

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fallisce nelle relazioni, ella va alla ricerca

compensatoria di un potere nella relazione con il

proprio corpo.” (Selvini Palazzoli, 1963, pagg. 117-

118).

Il vantaggio principale di questa prima funzione è,

quindi, la possibilità di passare da un ruolo passivo nel

tentativo di contrastare l’angoscia interna, ad un ruolo

attivo anche se caratterizzato da un’energia che nasce

dalla disperazione.

“La seconda funzione dell’anoressia, viceversa, è

tipica della fase cronica, nella quale il soggetto

precipita in una condizione di stallo. È l’esperienza di

un’enorme capacità di controllo sull’ambiente (e in

particolare sui genitori) acquistata attraverso

l’accanimento nel protrarre le restrizioni alimentari e il

dimagrimento”. (M. Selvini Palazzoli, S. Cirrillo, M.

Selvini, A.M. Sorrentino, pag. 92, 1998).

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GLI STUDI SULLA SPECIFICA PERSONALITÀ DI

CHI SOFFRE DI UN DISTURBO DEL

COMPORTAMENTO ALIMENTARE In linea di massima tutta la teorizzazione e la sua

applicazione clinica sui Disturbi del Comportamento

Alimentare tende a basarsi sul presupposto che la

personalità degli individui in questione sia, in un certo

qual modo, standardizzata e caratterizzata da elementi

comuni che poco spazio lasciano agli aspetti unici e

irripetibili delle singole persone.

Nell’ambito del modello sistemico e del lavoro

dell’équipe della dott.ssa Palazzoli la necessità di tenere

ben in conto la singola soggettività delle persone, pur

nell’apparente similarità dei sintomi da esse proposti, è

diventata preponderante; ciò non avviene solo per una

motivazione teorica ma nasce, anche e soprattutto, dalla

metodologia clinica che prevede che si svolga un lavoro

contemporaneo con la persona che manifesta il sintomo

e il sistema familiare di cui fa parte.

Questa necessità diventa fondamentale allorché si

arriva alla conclusione che chi soffre di Disturbi del

Comportamento Alimentare presenta,

fenomenologicamente, una costellazione di sintomi che

si reiterano nel tempo e nello spazio con modalità

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essenzialmente identiche nelle loro componenti

principali, da persona a persona. Eppure l’esperienza

clinica porta e portò a rendersi conto che questa

apparente uguaglianza nascondeva delle sostanziali

differenze e soprattutto delle reazioni profondamente

diverse all’approccio terapeutico, spesso arrivando a

pregiudicarne il risultato. Data questa premessa diventa

fondamentale rilevare differenze e somiglianze in

quanto “personalità diverse, ..., necessitano di terapie

diverse” (M. Selvini Palazzoli, S. Cirrillo, M. Selvini,

A.M. Sorrentino, pag. 176, 1998). Le maggiori

differenze si riscontravano nella capacità,

nell’accettazione della relazione con il terapeuta e

nell’elaborazione emotiva ed affettiva che veniva fatta

di uno stesso sintomo. L’esempio più eclatante è dato,

in quest’ultimo caso, dal significato e dalle emozioni

che vengono collegate all’abbuffata e al vomito ad essa

successivo: per alcune ragazze essi hanno un forte

vissuto angoscioso e lesivo della propria autostima,

specie per coloro le quali mangiano dei miscugli

disgustosi; per altre il vissuto è lenitivo, specie se

preceduto da una preparazione accurata e sofisticata

dell’alimento poi vomitato.

Queste differenze osservate insieme ad altre hanno

portato a teorizzare differenti quadri di personalità.

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L’ipotesi che viene avanzata è quella che noi ci

troviamo, di base, di fronte a ragazze che hanno un

comune sentire una imperfezione che riguarda la parte

più intima di loro stesse che però si inserisce in un

nucleo di personalità di volta in volta differente. Esse

provano una profonda angoscia a causa di questa

percezione emotiva di se stesse, angoscia da cui devono

assolutamente difendersi. Questa necessità si

concretizza nella scelta di una modalità difensiva simile,

transpersonale, ma contestualizzata nell’attuale

momento storico che tanta importanza dà all’immagine

corporea come specchio della personalità e mezzo

privilegiato sul piano relazionale.

Ora, ipotizzando dei tipi di personalità strutturati su

una modalità difensiva, seguiamo gli Autori

nell’illustrazione che essi fanno della teorizzazione di

Solomon di un “coontinuum difensivo” che ha, da un

lato, un “estremo borderline” caratterizzato da una

opinione di Sé altamente lesiva della propria autostima,

in cui la persona si vede indegna della bontà altrui per

una propria insita cattiveria e si colpevolizza di ciò,

ponendosi in un atteggiamento riparatorio in cui deve

riconquistare l’affetto degli altri (quindi è molto forte la

componente di depressione e dipendenza); dall’altro un

“estremo narcisistico” dove la componente difensiva è

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sempre molto forte, ma non direzionata unicamente nei

confronti dell’angoscia ma anche verso la percezione

altamente negativa di Sé. In pratica viene capovolto il

discorso precedente per cui ora è il mondo esterno e chi

lo popola ad essere denotato negativamente e

persecutoriamente, mentre si attribuisce a se stessi la

bontà e la perfezione. In ogni caso, questo

atteggiamento allontana la persona da una serena

capacità di vivere gli affetti e le relazioni esasperando

l’aspetto competitivo. Parlando di un continuum va da

sé che queste caratteristiche si miscelano in diverse

gradazioni e misure nelle parti intermedie creando degli

stili difensivi personalizzati.

Partendo da questo quadro generale e collegandolo

alle caratteristiche di alcuni disturbi di personalità

presenti nel DSM IV, si arriva a individuare quattro

fondamentali quadri di personalità per chi soffre di

Disturbi del Comportamento Alimentare:

• Il tipo “personalità dipendente”.

• Il tipo “personalità borderline”.

• Il tipo “personalità ossessivo-compulsiva”.

• Il tipo “personalità narcisista”.

Detto questo va ribadito, ancora una volta, che la

costellazione dei sintomi e le loro variazioni nell’arco

temporale non possono denotare alcun collegamento

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consequenziale con la tipologia personale sottostante,

mentre la gravità del sintomo è spesso collegabile al

grado di profondità del tormento interiore provato dalla

persona. Quindi i sintomi sono importanti se

contestualizzati nelle emozioni soggettive che essi

evocano nella singola persona che sta patendo il

Disturbo del Comportamento Alimentare.

Inoltre i sintomi, le loro correlazioni con lo stile

difensivo e le sottostanti tipologie di personalità

possono avere un valore interpretativo solo dopo una

attenta disamina della storia relazionale e di sviluppo

che ha preceduto l’esplosione sintomatologica in modo

tale di poter disporre di un quadro di insieme complesso

e significativo della personalità e non solo una visione

parziale di ciò che si è strutturato intorno alla patologia.

Questo tipo di indagine fornisce anche informazioni

preziosissime per individuare a che punto del proprio

sviluppo psicofisico fosse arrivata la persona prima che

il sintomo invalidante facesse la sua comparsa in aree

sempre più vaste di Sé. Ciò, unito all’individuazione del

cosiddetto evento scatenante che ha una sua importanza

come indicatore delle parti fragili della personalità, può

favorire notevolmente la scelta di una strategia

terapeutica adeguata.

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Passiamo ora ad esaminare più in dettaglio i vari tipi

di personalità ricordando che i tratti elencati nel DSM

IV dei disturbi a cui essi si richiamano hanno notevoli

coincidenze ma non stiamo parlando di un identità

perfetta.

Il tipo dipendente

Questo primo tipo si collega al seguente disturbo di

personalità elencato nel DSM IV:

Criteri diagnostici per F60.7 Disturbo Dipendente di Personalità [301.6] Una situazione pervasiva ed eccessiva di necessità di essere accuditi, che determina comportamento sottomesso e dipendente e timore della separazione, che compare nella prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

1) ha difficoltà a prendere le decisioni quotidiane senza richiedere una eccessiva quantità di consigli e rassicurazioni

2) ha bisogno che altri si assumano le responsabilità per la maggior parte dei settori della sua vita

3) ha difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri per il timore di perdere supporto o approvazione. Nota Non includere timori realistici di punizioni

4) ha difficoltà ad iniziare progetti o a fare cose autonomamente (per una mancanza di fiducia nel proprio giudizio o nelle proprie capacità piuttosto che per mancanza di motivazione o di energia)

5) può giungere a qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento e supporto da altri, fino al punto di offrirsi per compiti spiacevoli

6) si sente a disagio o indifeso quando è solo per timori esagerati di essere incapace di provvedere a se stesso

7) quando termina una relazione stretta, ricerca urgentemente un'altra relazione come fonte di accudimento e di supporto

8) si preoccupa in modo non realistico di essere lasciato a provvedere a se stesso.

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Nella casistica a disposizione dell’équipe le ragazze

presentavano tutte una sintomatologia di tipo restrittivo

ed avevano un atteggiamento di tipo collaborativo con il

terapeuta. Per quanto riguarda la sessualità espressa,

essa ha caratteristiche infantili.

La storia relazionale di queste ragazze è segnata da

una crescita che avviene in modo fusionale con la figura

di attaccamento materna tanto che esse sviluppano una

competenza altissima nel leggere gli stati d’animo e le

emozioni di quest’ultima, ma ciò va di pari passo con

una notevole difficoltà a individuare le proprie necessità

emotive che vengono messe in secondo piano rispetto a

quelle degli altri. Il naturale rapporto di accudimento

madre-figlia è in questa situazione invertito, in quanto è

la figlia che consola e accudisce la propria madre che

vive in modo consolatorio la presenza e la scrupolosità

della figlia.

Il loro stile di attaccamento richiama il tipo ansioso-

ambivalente, per cui esse lungo tutta la loro infanzia e

nell’adolescenza poi, sviluppano un attaccamento

eccessivo, morboso verso gli altri significativi e cercano

di mantenere l’affetto di questi con comportamenti di

estrema diligenza e assecondando la figura di

attaccamento. Giunte nell’adolescenza insorge una

notevole difficoltà ad attuare la fisiologica separazione,

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o meglio le nuove relazioni instaurate sembrano essere

una mimesi di quelle sostenute nel sistema familiare e

quindi si caratterizzano con l’essere di natura

simbiotica. L’ulteriore evoluzione del gruppo dei pari

verso uno stile relazionale più indipendente porta spesso

alla solitudine queste ragazze che vengono giudicate

eccessivamente timorose e inibite sul piano sessuale.

Il tratto fondamentale rimane quello dell’estrema

dipendenza nei confronti della madre la quale è

oltremodo idealizzata, senza che vi siano validi tentativi

di trasgressione alle regole familiari. Il vissuto verso

questa dipendenza, però, è ambivalente in quanto

provoca nella ragazza un senso di sicurezza, ma anche

una sorta di vergogna per la propria incapacità a

prendere iniziative personali. In questo quadro, la dieta

prima e l’adozione del Disturbo del Comportamento

Alimentare poi, rappresentano il primo tentativo di una

scelta autonoma e indipendente che sembra portare con

sé anche una capacità di controllo e di gestione di sé

stesse. Con la graduale cronicizzazione della

costellazione sintomatica e il suo inserimento nei giochi

relazionali, la ragazza si dà il via libera per tutta una

serie di rivendicazioni e di manifestazioni di rabbia nei

confronti della figura di attaccamento. I sintomi

diventano il mezzo privilegiato per esercitare un

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controllo e per assumere una posizione di potere nella

relazione e sul contesto in cui essa avviene.

La madre spesso esaspera la sua protettività nei

confronti della figlia accentuando un messaggio

implicito di svalutazione verso i suoi tentativi di uscire

dalla relazione simbiotica in quanto, così facendo, la

tratta ancor più da immatura.

Il padre ha un ruolo prevalentemente passivo, anche

se competitivo nella conquista delle attenzioni

dell’affetto della moglie. Egli si ritira dalla relazione

madre figlia, vivendo questa scelta come un dono

sacrificale che egli stesso fa alla moglie e così facendo

abdica dal suo ruolo di elemento di divisione e

separazione di una diade già così simbiotica, anzi

contribuisce al suo consolidamento restituendo risposte

sul piano relazionale che confermano il suo vedere

madre e figlia come un tutt’uno inscindibile e non

separato. È spesso con gran sorpresa che si accorge

della individualità separata della figlia e spesso questa

rivelazione coincide con la scelta della sintomatologia

da parte della figlia. Dal punto di vista terapeutico,

talvolta questo gruppo non presenta situazioni

particolarmente gravi e la prognosi è abbastanza

positiva.

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

161

Il tipo borderline

Vediamo anche in questo caso le caratteristiche

elencate nel DSM IV:

Criteri diagnostici per F60.31 Disturbo Borderline di Personalità [301.83] A. Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell'umore e una marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da uno (o più) dei seguenti elementi: 1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono.

Nota Non includere i comportamenti suicidari o automutilanti considerati nel Criterio 5.

2. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall'alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione.

3. alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili

4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate. Nota Non includere i comportamenti suicidari o automutilanti considerati nel Criterio 5.

5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o comportamento automutilante.

6. instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell'umore (per es., episodica intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore, e soltanto raramente più di pochi giorni)

7. sentimenti cronici di vuoto 8. rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia

(per es., frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici)

9. ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.

In questo secondo tipo non è per niente frequente

l’atteggiamento restrittivo e le ragazze sembrano

rispondere a quello che nel DSM IV è il cosiddetto

sottotipo di Anoressia con abbuffate/condotte di

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

162

eliminazione. Le ragazze che rientrano in questo tipo di

personalità non sono molto collaborative e spesso

presentano un atteggiamento decisamente ostile alla

relazione terapeutica.

Una caratteristica importante, specifica di questo

gruppo e che non si riscontra negli altri quattro, riguarda

la sessualità. Queste ragazze hanno un atteggiamento

molto attivo in questo campo e hanno uno stile

relazionale spesso basato sulla seduzione. Infatti

raramente la loro vita sociale è rarefatta, anzi hanno

spesso una relazione affettiva con un ragazzo. A

differenza di ciò che accade negli altri gruppi, invece, il

loro rendimento in campo lavorativo e studentesco è

inferiore.

In questi casi la figura di attaccamento principale non

è più la madre, il cui accudimento oltre ad essere

ambivalente ha forti tratti di disorganizzazione, ma il

padre. Il grado di sofferenza per delle ferite infantili è

estremamente elevato e spesso si verificano delle

situazioni prepsicotiche. Quello che colpisce è che la

tipologia materna è spesso molto lontana da quella di

cui siamo di solito abituati a leggere riguardo alle madri

di una ragazza che soffre di un Disturbo del

Comportamento Alimentare. Non vi è più la madre che

si immola sull’altare della famiglia. Quella che prevale

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

163

è invece una figura materna che è stata fortemente

traumatizzata ed ha un passato emotivo di grossa

sofferenza e ancor più spesso ha subito un forte shock

emotivo in prossimità della nascita della figlia.

A conferma di questa impressione sta il fatto che

quando la personalità della madre è maggiormente

solida e strutturata, pur in presenza di un evento

fortemente traumatico, magari reiterato nel tempo, la

ragazza sviluppa una patologia anoressica in cui le

caratteristiche borderline sono meno preponderanti. La

seduzione relazionale rimane pur sempre diretta nei

confronti del padre ma l’angoscia tocca punte di

sofferenza inferiori e la costellazione sintomatologica

mira più al controllo relazionale e dell’ambiente.

Gli aspetti visivi del corpo sono particolarmente

messi in gioco. Si passa da un estremo all’altro con, da

un lato, una grande cura e attenzione per tutto ciò che

possa celare sia l’estremo calo ponderale che

l’eccessivo peso come anche la scelta di accessori che

esaltino l’identità sessuale e il gioco della seduzione; e,

dall’altro, con condotte attivamente mirate a distruggere

la propria bellezza che arrivano ad atti di autolesionismo

e di autopunizione.

Il soma è tutto ciò che vi è connesso si può davvero

dire che pervada ogni loro pensiero e azione, ma in un

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

164

certo qual modo siamo di fronte ad una relazione

perversa con i ruoli invertiti in quanto è quasi come se

fosse il primo a guidare i secondi. Quasi tutte le

condotte di queste ragazze sono improntate alla ricerca

di un forte grado di eccitazione per cui abbondano le

trasgressioni sia in campo sessuale che sociale.

Ricercano una conferma della propria salute mentale

nelle loro competenze scolastiche e lavorative ma il

tutto costa loro forti attacchi di ansia. Tutto il loro stile

di vita pare improntato a ricercare sollievo da forti

vissuti depressivi ricorrendo ad un eccitazione perpetua

fatta di estremi in ogni campo. Ricercano relazioni

prolungate purché siano caratterizzate da grossi

sconvolgimenti emotivi che spesso sfiorano

atteggiamenti sadomaso. Tutto purché non ci si trovi di

fronte al vuoto che sentono dentro se stesse. Passano da

un peso al di sotto della media all’obesità in poco

tempo, fanno delle vere e proprie orge alimentari.

Questi comportamenti, come anche i frequenti atti di

autolesionismo, hanno spesso la caratteristica di

sopraggiungere come un fulmine a ciel sereno per cui

spesso sono sconvolgenti perché paralleli ad un

accettabile equilibrio in altre aree funzionali della

propria vita. Anche l’anamnesi è particolare e si può

riscontrare come vi sia tutta una storia di disturbi

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

165

infantili, talvolta anche gravi, ma che sono stati

gravemente sottovalutati dalle figure di attaccamento.

Per queste ragazze ha un gran valore interpretativo la

metafora del “gesso” della dott.ssa Sorrentino, sopra

citata. Infatti l’azione attiva di controllo sul cibo

attraverso l’imposizione di una inflessibile

programmazione quotidiana sembra mirare più

chiaramente che nelle altre categorie a dotare di una

struttura contenitiva, come uno scheletro di sostegno, la

personalità stessa della ragazza che sembra essere

sempre sul punto di disintegrarsi. Le imposizioni della

dieta sono di una deprivazione impressionante come lo

sono i momenti di rottura delle orge alimentari che non

sono precedute da alcuna programmazione o

preparazione dei cibi. Il ricorso al vomito è molto forte,

fino allo sfinimento. I lassativi sono usati in

sovrabbondanza, anche perché tutte queste condotte di

eliminazione arrivano a sfinire il corpo oltremodo,

dando un senso di pace che esse associano alla morte,

vista come unica salvezza dall’angoscia che le tormenta.

Con questi comportamenti le ragazze di questa categoria

sono quelle che più corrono il rischio di una morte

improvvisa eppure sono le uniche tra i quattro gruppi in

considerazione che mostrano una notevole paura della

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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morte anche perché i tratti onnipotenti non sono così

marcati.

In terapia spesso la sofferenza interiore è proclamata

a chiare lettere, se non urlata. La relazione stessa con il

terapeuta viene fortemente investita ed idealizzata per

cui vi è un grossissimo rischio di rotture in quanto la

soglia della delusione è molto bassa. Inoltre gli acting-

out sono all’ordine del giorno, anche di natura

aggressiva, soprattutto nelle fasi di transizione.

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167

Il tipo ossessivo-compulsivo

Così la descrizione del disturbo di personalità nel

DSM IV:

Criteri diagnostici per F60.5 Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità [301.4] Un quadro pervasivo di preoccupazione per l'ordine, perfezionismo, e controllo mentale e interpersonale, a spese di flessibilità, apertura ed efficienza, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi: 1. attenzione per i dettagli, le regole, le liste, l'ordine,

l'organizzazione o gli schemi, al punto che va perduto lo scopo principale dell’attività

2. mostra un perfezionismo che interferisce con il completamento dei compiti (per es-, è incapace di completare un progetto perché non risultano soddisfatti i suoi standard oltremodo rigidi)

3. eccessiva dedizione al lavoro e alla produttività, fino all'esclusione delle attività di svago e delle amicizie

4. esageratamente coscienzioso, scrupoloso, inflessibile in tema di moralità, etica o valori (non giustificato dall'appartenenza culturale o religiosa)

5. è incapace di gettare via oggetti consumati o di nessun valore, anche quando non hanno alcun significato affettivo

6. è riluttante a delegare compiti o a lavorare con altri, a meno che non si sottomettano esattamente al suo modo di fare le cose

7. adotta una modalità di spesa improntata all'avarizia, sia per sé che per gli altri; il denaro è visto come qualcosa da accumulare in vista di catastrofi future

8. manifesta rigidità e testardaggine.

Le ragazze che appartengono a questo gruppo sono

prevalentemente di tipo restrittivo, a testimonianza della

valenza di controllo sulle relazioni e sull’ambiente che

assume la costellazione sintomatologica. Anche quando

vi è un passaggio verso la Bulimia risulta preponderante

l’importanza nel controllo dei cibi assunti e le

ritualizzazioni nella loro preparazione. Le relazioni

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sociali sono molto rarefatte e abbastanza spesso vi è una

forte relazione con un unico ragazzo. Anche in questo

caso ciò che determina l’appartenenza non è

un’esclusiva presenza di determinati tratti di personalità,

ma la loro preponderanza rispetto alle manifestazioni

comportamentali della persona. Caratteristiche di

ossessività sono, infatti, quasi sempre presenti nei

Disturbi del Comportamento Alimentare, in quanto la

stessa deprivazione alimentare e la preoccupazione per

la propria immagine corporea generano

automaticamente una serie di pensieri fissi verso

l’oggetto della deprivazione e della preoccupazione (mi

viene in mente l’aneddoto del ricco mercante che va dal

maestro buddista chiedendogli quale sia la strada verso

l’illuminazione e quando il maestro gli risponde che

tutto sta nel non pensare alla scimmie egli se ne va

pensando che non vi sia niente di più facile dato che mai

in vita sua si era preoccupato di scimmie; il giorno dopo

era da ricovero perché vedeva scimmie dappertutto). In

questa categoria, però, le tendenze all’ipercontrollo

spiccano oltre modo. Vi è una ricerca a volte esasperata

di un ideale di autosufficienza che ha come corollario

un notevole isolamento sociale. Il pattern di

attaccamento della madre sembra essere di tipo evitante,

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169

anche se alternato con fasi di attaccamento

relativamente più empatico.

La ricerca di una propria autosufficienza sembra

essere avallata dal fatto che, caratteristicamente, queste

ragazze non hanno un investimento emotivo

significativo su nessuno dei due membri della diade

genitoriale. Il comportamento dei genitori

nell’allevamento di questa figlia sembra essere

caratterizzato, soprattutto per quanto riguarda la madre,

non tanto da una carenza di cure fisiologiche, quanto da

una puntuale presenza di esse ma non accompagnate da

un’adeguata empatia e un buon coinvolgimento emotivo

durante il loro svolgimento. Cioè, sembra che la madre

di una ragazza che presenta queste caratteristiche di

personalità abbia puntualmente svolto i suoi “doveri” di

accudimento verso la figlia ma non ne abbia tratto lei

stessa un ritorno emotivo, una gioia. Lo ha fatto per

puro spirito di dovere.

I tratti ossessivi sono molto presenti e importanti nei

campi dello studio e del lavoro, ove vengono spesso

raggiunti lodevoli risultati, ma con un costo

estremamente elevato in termini di ansia e di sforzi.

Inoltre, una volta che il risultato è stato raggiunto,

nonostante il suo valore intrinseco e che venga anche

riconosciuto dall’ambiente circostante, esso non è

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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vissuto come una conferma delle proprie capacità ma

come il minimo che potesse essere fatto in quella

determinata situazione.

L’aspetto del dovere e della competizione invade

anche campi della vita quotidiana che normalmente

sono riservati al piacere e allo svago.

Il rapporto con l’estetica della propria figura è

caratterizzato da un atteggiamento che mira a svalutare

la propria identità sessuale e vi è, paradossalmente, una

attenta cura a vestirsi in modo scialbo, oltremodo

essenziale, con concessioni nulle alla femminilità.

Molto spesso è praticato uno sport che abbia

particolari caratteristiche di durezza e in modo molto

compulsivo. Vi è una chiara tendenza a mortificare la

corporeità con prove e “penitenze”. Non stiamo

parlando degli atti di autolesionismo della tipo

borderline, ma di atteggiamenti che ricordano le prove a

cui si sottoponevano gli asceti dei secoli scorsi.

Le relazioni sociali sono piuttosto rare ma non del

tutto assenti, spesso approfondite e con il carattere del

già visto e conosciuto, per cui in caso di una certa

differenziazione dell’altra persona, esse si ritirano dalla

relazione, anche con sofferenza notevole, ma non la

manifestano.

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Vi è un quadro di generale adesione ad un

conformismo sociale accettato e ricercato come una

difesa verso un notevole timore di riprovazione sociale.

Come abbiamo detto, non vi è un attaccamento

preferenziale verso nessuno dei genitori, piuttosto una

imparziale equidistanza, per cui non compaiono tratti di

idealizzazione; ciò favorisce anche una certa capacità di

critica nei loro confronti ed è pure ammessa

l’aggressività in caso di disaccordo. Ma questi

atteggiamenti non vengono messi in gioco nella

relazione, bensì appaiono soltanto quando i genitori

tentano di sindacare sui loro rituali.

Il rapporto con la madre, in particolare, è

caratterizzato da una notevole distanza, che ha

un’origine storica lontana nel tempo, con una forte

incapacità a comunicare.

Le ragazze che appartengono a questo gruppo sono

quelle che più delle altre preparano i cibi con notevole

cura e secondo un rituale ben preciso. Sono presenti le

condotte di eliminazione in seguito alla trasgressione

del rigido programma alimentare che si sono imposte,

ma, caratteristicamente, ad una più attenta analisi si

rileva che la “trasgressione” consiste nell’ingestione di

modiche quantità di cibo e riguarda più la qualità che la

quantità. Infatti vi è una caratteristica lista di cibi

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proibiti. La trasgressione è vissuta con un forte senso di

rabbia che poi andrà a caratterizzare lo stato d’animo

con cui la ragazza ricorre alle condotte di eliminazione

che assumono un carattere autopunitivo al fine di

calmare l’estrema angoscia dovuta alla perdita

momentanea di controllo sul proprio corpo e sui propri

bisogni fisiologici. L’obbiettivo è quello di controllare

oltremodo qualsiasi senso di dipendenza sia esso

fisiologico o affettivo. Questo atteggiamento di fondo

sembra trovare la sua motivazione nel sentimento di

profonda solitudine che queste ragazze provano e dal

dolore angosciante che ne consegue. In questo gruppo,

in pratica, è molto pronunciata la natura “antalgica” del

Disturbo del Comportamento Alimentare. I rituali e i

tratti ossessivo-compulsivi mirano ad anestetizzare il

dolore e l’angoscia, a mascherare con l’ipercontrollo un

bisogno mai soddisfatto di fiducia e dipendenza, che

sono vissute come delle debolezze fonte solo di

sofferenza.

Terapeuticamente, la prognosi è piuttosto favorevole.

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Il tipo narcisista

Il DSM IV:

Criteri diagnostici per F60.8 Disturbo Narcisistico dì Personalità [301.81] A. Un quadro pervasivo di grandiosità (nella fantasia o nel comportamento), necessità di ammirazione e mancanza di empatia, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi: 1) ha un senso grandioso di importanza (per es., esagera risultati e talenti, si aspetta di essere notato come superiore senza una adeguata motivazione) 2) è assorbito da fantasie di illimitati successo, potere, fascino, bellezza, e di amore ideale 3) crede di essere “speciale” e unico, e di dover frequentare e poter essere capito solo da altre persone (o istituzioni) speciali o di classe elevata 4) richiede eccessiva ammirazione 5) ha la sensazione che tutto gli sia dovuto, cioè, la irragionevole aspettativa di trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative 6) sfruttamento interpersonale, cioè, si approfitta degli altri per i propri scopi 7) manca di empatia: è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri 8) è spesso invidioso degli altri, o crede che gli altri lo invidino 9) mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntuosi.

Questa categoria presenta un’alta frequenza di figlie

uniche. La costellazione sintomatologica presenta

spesso una transizione dalla fase restrittiva a quella del

sottotipo con abbuffate/condotte di eliminazione. Si

caratterizzano per la forte oppositività, passiva e attiva,

nei confronti della relazione terapeutica. La sessualità

ha forti tratti di infantilismo e le relazioni sociali sono

ancor più rarefatte che negli altri tre gruppi.

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La presenza di una personalità così centrata su se

stessa, accompagnata da una notevole permeabilità ed

indisponibilità all’autocritica e alle frustrazioni dovute

alle difficoltà della vita reale, rendono estremamente

difficile instaurare una relazione terapeutica

soddisfacentemente empatica.6

Questa caratteristica difficoltà relazionale è ben

presente anche nelle relazioni quotidiane, le quali,

quando presenti trovano la loro ragione d’essere in una

manipolazione delle stesse al fine di un tornaconto

utilitaristico, senza alcun coinvolgimento emotivo o

senso di reciprocità. In effetti comunque, il vero

tornaconto che esse ricercano in una relazione è quello

di avere un pubblico a cui mostrare se stesse.

Qualora, invece, il quadro di personalità sia

maggiormente destrutturato, esse prendono a modello

un ideale di comportamento di cui assumono

mimeticamente gli atteggiamenti; se è poi la

componente depressiva ad essere maggiormente

accentuata, manifestano tratti autistici e si chiudono in

un isolamento ermetico.

6 Nella teorizzazione dell’équipe l’ “empatia” diventa sinonimo di “equivicinanza” rispetto a tutti i membri del sistema familiare qualora il terapeuta sia impegnato in una seduta con tutta la famiglia. Nella situazione di cui stiamo parlando è più marcato l’aspetto del riuscire ad entrare nella relazione specifica, di attuare uno scambio emotivo e di metacomunicare su di esso.

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In questo quadro di personalità, tutti i rituali che

riguardano la preparazione e la consumazione del cibo

sono strumentalizzati al fine di ottenere un controllo

manipolatorio all’interno delle relazioni, soprattutto

quelle familiari.

Le abbuffate e le conseguenti condotte di

eliminazione, quando compaiono, non sono di tipo

orgiastico, ma sono meticolosamente programmate.

Vi è una notevole ricercatezza nella cura della propria

immagine sociale con grande attenzione al look, ma ciò

avviene solo quando vi sono occasioni sociali dove i

tratti esibizionisti sono pronunciati; Quando sono sole,

invece, la depressione ha il sopravvento, per cui

diventano molto trascurate nella cura del proprio

aspetto.

Nella relazione con un partner, dove la sessualità vera

e propria trova poco spazio, prevale il gioco della

seduzione e vi è uno scarso coinvolgimento emotivo e

sono sempre loro a interrompere la relazione.

La storia dei pattern di attaccamento con i care-takers

rivela che ci troviamo di fronte ad un attaccamento con

forti tratti di ambivalenza ed evitamento. Durante tutto

lo sviluppo preadolescenziale ed infantile la ragazza è

stata continuamente lusingata da sia dalla madre che dal

padre, ma questo atteggiamento si rivela del tutto privo

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di empatia e mira a fornire ai genitori una

compensazione a sua volta narcisistica. La ragazza non

è speciale per i genitori perché essi la sentano realmente

tale, ma deve assolutamente esserlo, per cui questa

idealizzazione acritica da parte dei genitori, oltre a

misconoscere i reali termini della personalità della

ragazza, la investe di un fardello enorme in quanto ella

deve essere all’altezza delle notevoli richieste dei

genitori che spesso assumono i connotati del ricatto

morale e sono pretese con rabbia. Il corollario di questo

atteggiamento è che spesso queste ragazze devono

crescere in gran fretta saltando tutta una serie di tappe

evolutive determinanti per la formazione di un “vero

Sé” correttamente strutturato. Inoltre, esse spesso

diventano estremamente sprezzanti nei confronti dei

genitori di cui riconoscono l’incapacità personale, ma

non per una sorta di sensibilità alla critica costruttiva, né

tanto meno alla autocritica, ma per il loro senso di

superiorità.

Questa aggressività nei confronti della coppia

genitoriale si esprime prevalentemente attraverso due

modalità; una, di marca chiaramente autistica, che è

tipica delle situazioni ove prevalgono i contenuti

depressivi. L’altra che presenta tratti paranoici e in cui

compaiono forti rivendicazioni nei confronti dei genitori

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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da cui la ragazza cerca un continuo risarcimento

affettivo.

Anche il lavoro con l’intera famiglia presenta

notevoli difficoltà terapeutiche. Il sottosistema

genitoriale sembra impermeabile ad iniziare un lavoro

di autocritica che ha una forte potenzialità depressiva, il

cui carico risulta insopportabile per i genitori, avendo

per loro una valenza distruttiva ed essendo incapaci di

usare la crisi ingenerata come un momento costruttivo.

Scarse risorse sembrano esserci anche a livello del

sottosistema filiale nel quale i vari fratelli e sorelle,

quando presenti dato l’alto numero di figlie uniche in

questo gruppo, sono troppo impegnati a contendersi

quel poco di affetto e di empatia che i genitori sono

capaci di dare. Questa dinamica competitiva è

alimentata anche dall’attenzione altalenante e incostante

che, di volta in volta, i genitori dedicano a ciascun

figlio.

Il problema più grave, comunque, da un punto di vista

terapeutico è che qualora la ragazza accetti la relazione

e si possa iniziare un lavoro comune, esso

inevitabilmente porterà, man mano che la corazza

rappresentata dal sintomo perde il suo potere, a dover

fare i conti con gli imponenti tratti depressivi e a dar via

libera a una dinamica di rivendicazioni nei confronti dei

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Capitolo 6 I DCA secondo il modello Sistemico

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genitori che raramente sono il preludio ad una fase

costruttiva. Per questo motivo, forse più che nelle altre

situazioni, in questi casi è già un buon risultato condurre

la ragazza ad un livello di funzionamento accettabile;

talvolta può essere opportuno preservare il più possibile

quel nucleo di autosufficienza che l’individuo si è

creato, anche se parzialmente artificioso e può anche

essere importante, come spesso, ma aspecificamente

consigliato in passato, allontanare la ragazza dal nucleo

familiare, palcoscenico preferito delle sue dinamiche

esibizioniste e competitive.

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CAPITOLO 7

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE SECONDO IL MODELLO

COGNITIVISTA

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Capitolo 7 I DCA secondo il modello Cognitivista

180

IL MODELLO COGNITIVISTA

Nella sindrome anoressica, sicuramente, la

sintomatologia corporea ha un grande impatto visivo e

spesso è soprattutto su di essa che bisogna intervenire in

situazioni di emergenza. In essa comunque sono

presenti, anche se meno visibili, ma non per questo

meno importanti, degli importanti disturbi che

coinvolgono la sfera dei processi cognitivi. Queste

alterazioni sembrano avere un ruolo fondamentale

nell’instaurarsi della patologia e nel suo mantenimento.

La terapia cognitiva mira esplicitamente ad una

ristrutturazione dei processi di pensiero con cui la

persona si approccia verso se stesso, l’ambiente, gli

altri, le situazioni di vita e l’immagine che si ha del

proprio corpo; lo scopo di questa ristrutturazione è

quello di ricondurre i processi di pensiero che

determinano comportamenti patologici o stressanti ad

una funzionalità più efficace nella risoluzione del

disagio.

Per quanto riguarda l’Anoressia vengono presi in

considerazione gli elementi che determinano le singole

fasi del processo cognitivo sottostante e che attraverso

la loro valenza informativa instaurano la sindrome

stessa. Gli elementi presi in considerazione sono la

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Capitolo 7 I DCA secondo il modello Cognitivista

181

dieta, il vomito autoindotto, il ricorso eccessivo a

farmaci lassativi, l’iperattività fisica.

Quando si parla di processo informativo,

nell’orientamento cognitivista, ci si riferisce ad un

processo composto di vari stadi che si susseguono

caratterizzati da un ingresso di informazioni provenienti

dal contesto dell’azione e dalle risposte biologiche che

costituiscono “l’input”, e la reazione comportamentale

in uscita che deriva dalla loro elaborazione cognitiva.

Le risposte comportamentali costituiscono “l’output”.

Le fasi che caratterizzano lo svolgersi del processo

informativo sono:

• La Percezione.

• L’Interpretazione.

• La Decisione all’Azione.

• L’Esecuzione del Comportamento.

La Percezione.

Essa inizia con la percezione di informazioni

attraverso gli organi di senso. In questa fase una cattiva

ricezione delle informazioni può essere determinata da

un cattivo funzionamento a tre livelli:

♦ una disfunzione dell’apparato sensoriale;

♦ una inadeguata attenzione selettiva;

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Capitolo 7 I DCA secondo il modello Cognitivista

182

♦ un cattivo discernimento degli stimoli.

La presenza di uno di questi tre elementi può essere la

causa di una inadeguata risposta comportamentale.

La prima fase del processo informativo è strutturata

per ottimizzare la raccolta iniziale di input, al fine di

rilevare e scremare gli elementi salienti da quelli

secondari. Una sua strutturazione funzionale e adeguata,

permette alla maggioranza degli individui di selezionare

in pochi attimi quali siano le informazioni rilevanti e di

scartare, o comunque di porre in secondo piano, le

informazioni meno importanti. Ciò è possibile grazie

all’esistenza di quella funzione cognitiva denominata

attenzione selettiva, il cui funzionamento deriva dalle

cognizioni e dalle esperienze fissate nella memoria a

lungo termine.

Sembra che nei soggetti che soffrono di Anoressia, il

fulcro dell’attenzione selettiva sia mirato sugli stimoli

secondari e che le informazioni salienti per la lettura

di una situazione vengano addirittura ignorati.

Un cattivo funzionamento del terzo livello, cioè il

cattivo discernimento degli stimoli, può essere causato

dal fatto che i dati immagazzinati nella memoria a lungo

termine, con cui vengono confrontate le informazioni

raccolte nel momento attuale, sono di per sé non

completi o inadeguati. Inoltre sia l’accesso a queste

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Capitolo 7 I DCA secondo il modello Cognitivista

183

informazioni, che il modo in cui sono conservate,

subisce l’influenza di molteplici variabili come lo stato

emotivo di base dell’individuo, la presenza in quel

momento di emozioni molto pregnanti, soprattutto se

negative. In questi casi, la lettura delle informazioni

può essere alterata dal cattivo discernimento degli

stimoli sensoriali e ciò può avere come conseguenza

una risposta comportamentale inadeguata alla

situazione.

L’Interpretazione.

La percezione e l’identificazione iniziale dei

messaggi fornisce all’individuo una serie frammentaria

di informazioni che in questa seconda fase vengono

organizzati attraverso la loro integrazione; il processo

interpretativo permette di decodificare un avvenimento

nella sua globalità.

I dati immagazzinati nella memoria a lungo termine

hanno anche in questa fase un ruolo determinante. Beck

afferma che l’accesso e il recupero delle informazioni

depositate si svolge secondo uno schema cognitivo ben

definito. Lo schema cognitivo è un codice di “regole”

strutturate in base a opinioni, desideri, comportamenti e

reazioni emotive frutto di condizionamenti che sono

nella loro globalità strettamente interconnesse; il loro

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Capitolo 7 I DCA secondo il modello Cognitivista

184

recupero dalla memoria, infatti, avviene come un

tutt’uno.

L’esistenza di questa forte coesione tra gli elementi

su citati è alla base di alcune errate interpretazioni nel

caso in cui delle opinioni sbagliate vengano abbinate a

determinate situazioni. Questa associazione non

corretta causa poi un output comportamentale che non è

funzionale alla situazione.

Nel caso dell’Anoressia le interpretazioni errate che

vengono rilevate più frequentemente sono dovute a:

a) Processi di pensiero del tipo “tutto o nulla”.

L’individuo assume un atteggiamento per cui ogni

accadimento e situazione viene radicalizzata, con

oltranzismo. Questa tendenza trova la sua origine nel

fatto che la persona si muove seguendo due schemi

cognitivi strutturati in categorie che sono l’una

l’opposto dell’altra, schemi cognitivi che la persona

applica alla lettura della realtà in modo alternato.

b) Pensiero catastrofico.

Nella valutazione di quali possano essere gli esiti di

un avvenimento vi è una ipervalutazione irrealistica

degli aspetti negativi (questo meccanismo di pensiero

spesso scatta quando vengono ingerite, per es., quantità

irrisorie di cibo e la persona teme che ciò la faccia

ingrassare in modo inverosimile).

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185

c) Ipergeneralizzazione.

Elementi comuni, ma insignificanti, sono spesso presi

come prova per ritenere del tutto simili situazioni molto

diverse.

d) Interpretazione selettiva.

La persona utilizza nell’interpretazione

esclusivamente i messaggi negativi e ignora la

considerazione degli aspetti positivi.

e) Elusione e non ammissione della realtà delle

situazioni.

Questo atteggiamento si manifesta con una modalità

particolare e cioè non ammettendo i propri successi da

un lato, e, dall’altro, trasmutando le valenze positive di

una situazione in negative.

f) Assolutismo.

È un atteggiamento di pensiero che porta l’individuo

a vivere imponendosi un codice comportamentale

composto di precetti inderogabili; molti di questi doveri

e proibizioni sono legati a ciò che si può fare o non fare

se il proprio aspetto fisico non rientra in certi canoni di

perfezione.

g) Distorta assegnazione della causalità.

La persona è portata a sottovalutare molto le sue

capacità e ritiene che ogni buon risultato che raggiunge

non sia da attribuirsi alle sue capacità ma alla fortuna o

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Capitolo 7 I DCA secondo il modello Cognitivista

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a situazioni al di fuori del suo controllo; al contrario egli

fa dipendere ogni insuccesso da una sua carenza

personale.

h) Ricorso ad una terminologia piena di vocaboli a

forte connotazione emotiva per descrivere certi

accadimenti.

È questo il tipico caso in cui la persona che soffre di

Anoressia descrive il senso di appagamento che segue

un pasto normale come un sentirsi “gonfia”, satolla,

rivelando così la componente emotiva di ansia

sottostante e la distorta percezione dei propri stimoli

fisiologici.

La Decisione all’Azione.

Gli elementi interpretati sono il presupposto

dell’ulteriore passaggio alla programmazione

dell’azione.

La persona valuta il ventaglio di possibili

comportamenti che può attuare in una determinata

situazione, scegliendo di solito la risposta

comportamentale che possa essere più adatta e di facile

esecuzione. A seconda dei casi questa fase può avvenire

automaticamente, quando la situazione sia molto

frequente e familiare, per cui il pattern comportamentale

è stato attuato numerose volte fino a diventare, appunto,

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Capitolo 7 I DCA secondo il modello Cognitivista

187

un automatismo. In molti altri casi, invece, la scelta

della risposta richiede un lavoro attivo e una attenta

disamina delle varie alternative e delle loro

conseguenze, fino al completamento del processo di

scelta, che in genere mira ad individuare la risposta che

meglio preservi l’individuo da conseguenze spiacevoli.

Quando questo processo viene a basarsi sugli

elementi interpretati non realisticamente, oppure

quando vi è una valutazione distorta degli eventuali

risultati, la probabilità di scelta di una risposta

comportamentale inadeguata alla situazione è molto

alta.

L’Esecuzione del comportamento.

La decisione all’azione scelta nello stadio precedente

si attua nella realtà in una serie di output

comportamentali. È a questo punto del processo globale

che interviene l’ultima fase con l’attuazione del

“feedback”, cioè dell’informazione di ritorno al

soggetto, di verifica degli effetti della sua azione e

valutazione del grado di discordanza tra il risultato

atteso e quello ottenuto dall’azione. Gli effetti rilevati

hanno come conseguenza immediata di intervenire sulla

struttura dello schema cognitivo inerente alla situazione

globale. Il comportamento attuato apporta una serie di

modifiche al contesto ambientale e biologico della

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188

persona. La situazione alterata è fonte di ulteriori

messaggi per l’individuo che, se estremamente

discordanti da quelli attesi, possono provocare una

scissione nello schema cognitivo pregiudicando l’unità

che lo caratterizza. L’effetto immediato di ciò è una

variazione comportamentale. Questa variazione avviene

a causa della ristrutturazione avvenuta nello schema di

base in seguito alla frattura al suo interno e sarebbe

capace di indurre marcate mutazioni comportamentali.

Il concetto cardine del Cognitivismo afferma che i

comportamenti disfunzionali e le emozioni negative che

li accompagnano sono il frutto di opinioni distorte ed

errate. Nonostante la disfunzionalità e la scarsa efficacia

comportamentale, queste risposte verrebbero perpetuate

nel tempo grazie ad un meccanismo di “fuga” cognitiva,

che può avvenire grazie alla ripetuta rimozione dello

stimolo ostile.

Secondo queste linee guida sono valutati anche i

comportamenti che caratterizzano l’Anoressia: il

mettersi a dieta, il rifiuto totale del cibo, l’iperattività

fisica, il ricorso a diuretici e lassativi, avrebbero in

comune la caratteristica di essere tutte risposte

comportamentali conseguenti alla cattiva valutazione

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Capitolo 7 I DCA secondo il modello Cognitivista

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dello stimolo negativo, angosciante che è la paura di

ingrassare.

Questa interpretazione della sindrome anoressica ha

una sua assonanza con le ipotesi che interpretano la

fobia per il cibo presente nell’Anoressia come la

trasposizione sul piano comportamentale di un terrore

ben più radicato che è quello di pervenire alla maturità

sessuale. È noto infatti come l’iponutrizione abbia tra i

suoi effetti principali quello di arrestare lo sviluppo

fisiologico dei caratteri sessuali secondari.

Quindi, sebbene le condotte adottate nell’Anoressia

siano disfunzionali nella totalità delle situazioni di vita,

su un piano di lettura diverso, esse risultano essere delle

adeguate risposte comportamentali nell’evitamento della

fobia di ingrassare e costituiscono una forte molla per

perpetuare l’astensione dal cibo. La cronicizzazione

della sintomatologia, comunque, non è da attribuirsi

soltanto al rinforzo in “negativo” (evitare di ingrassare),

ma anche ad una serie di rinforzi positivi, soprattutto

nelle fasi prodromiche della dieta. L’iniziale calo

ponderale, infatti, oltre a rassicurare la persona riguardo

al suo terrore di ingrassare, è strettamente correlato a

sensazioni positive che riguardano il senso di efficacia

personale e di realizzazione di sé. La capacità di

persistere nel rifiuto del cibo, il verificare il continuo

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190

calo ponderale, diventano indice di una fermezza

morale, di una capacità di autocontrollo che esula dalla

sola sfera corporale per pervadere anche gli altri aspetti

di sé. Quindi avvertire la fame come stimolo fisiologico,

non è più identificato solo come un segnale al negativo

che il corpo usa per segnalare una carenza, un bisogno,

ma si tramuta anche in una occasione per mettere alla

prova le proprie capacità di controllo delle situazioni e

di sé, il che diventa una dimostrazione di valore sia sul

piano personale che nei confronti degli altri. Quindi il

processo si autoalimenta e sviluppa in proporzione

geometrica all’aumento dello stimolo della fame stessa;

più esso è intenso, maggiore è lo sforzo di volontà per

resistervi e ancora più alto è il ritorno emotivo sotto

veste di senso di efficacia e capacità di autocontrollo.

Queste sensazioni positive vanno a compensare la

profonda angoscia di percepirsi, in realtà, come una

persona inefficace, incapace ed inadeguata negli altri

aspetti della propria esistenza.

Analizzando il processo di ragionamento

nell’Anoressia si nota che il suo essere “disfunzionale”,

è correlato ad un codice di regole implicite che

strutturano lo schema cognitivo della persona. Come

abbiamo visto prima, lo schema cognitivo influenza la

percezione dell’ambiente e del proprio corpo, la

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Capitolo 7 I DCA secondo il modello Cognitivista

191

strutturazione delle esperienze vissute, gli obiettivi che

la persona si prefigge e il giudizio personale su se stessi

e sulle proprie azioni.

Alcune delle convinzioni presenti nello schema

cognitivo più di frequente possono essere:

♦ “Una persona grassa è una persona priva di

qualità, poco piacevole ed infelice del suo stato”.

♦ “Essere capaci di autocontrollo è un chiaro

segnale di come una persona si sa imporre delle

regole e ha la forza di volontà di rispettarle”.

♦ “Non essere capaci di autocontrollo è sinonimo di

debolezza e viltà”.

La ricerca di un ferreo autocontrollo attraverso la

manipolazione del proprio corpo e il controllo del peso,

fa sì che ci si impongano dei regimi di dieta

assolutamente irreali e votati al fallimento.

L’insuccesso, la trasgressione dei limiti imposti, però,

viene valutata non come dovuta alla irrazionalità dei

limiti stessi, ma come la conseguenza della propria

mancanza di forza di volontà. La presenza del tipo di

pensiero “tutto o nulla”, poi, provoca spesso il

passaggio all’eccesso opposto, con la caduta di tutti i

freni inibitori nei confronti del cibo e soprattutto di

quelle pietanze che la persona aveva connotato come le

più pericolose e quindi come “cibi proibiti”. L’attacco

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Capitolo 7 I DCA secondo il modello Cognitivista

192

di iperalimentazione, ha comunque un momentaneo

vantaggio secondario in quanto, per breve tempo, ha

l’effetto di distogliere la persona dai propri processi di

pensiero disfunzionali calmando l’angoscia e il senso di

inefficacia. Anzi sembra proprio che gli attacchi

bulimici siano strettamente correlati ai momenti di forte

ansia e depressione, stati emotivi questi che hanno una

forte capacità di interferire con la motivazione

all’autocontrollo. Le ipotesi cognitiviste hanno una forte

capacita esplicativa dei sintomi prodromici dei Disturbi

del Comportamento Alimentare in genere e, la

spiegazione che danno della reazione nei momenti di

perdita di autocontrollo, collima con l’osservazione che

persone normalmente a dieta tendono a mangiare di più

di persone che pur scegliendo un particolare regime

alimentare, non si impongono restrizioni sulla tipologia

dei cibi, in particolare dei cibi proibiti perché altamente

calorici. Inoltre sembra che spesso la capacità di

mantenere l’autocontrollo verso il cibo in una dieta sia

legato alla percezione da parte della persona che la dieta

sia “integra”, che non si sia fatto nessuno strappo alla

regola, in caso contrario vi è una disinibizione dei freni

regolatori.

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CAPITOLO 8

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE SECONDO LA TEORIA

DELL’ATTACCAMENTO

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Capitolo 8 I DCA secondo la Teoria dell’Attaccamento

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LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO

La teoria dell’attaccamento nasce tra gli anni ’30 e

’40 in seguito ad alcuni studi condotti per verificare le

conseguenze sui bambini della prolungata permanenza

in istituti, dove l’agente delle cure materne è spesso

assente. Inoltre vennero studiati anche gli effetti dovuti

al frequente alternarsi di una figura materna nelle prime

fasi di sviluppo neonatale. Prima di questi studi, era

radicata la convinzione che la forte unione tra madre e

bambino derivasse dal fatto che essa era la figura a cui il

bambino si rivolgeva per ottenere la soddisfazione di

tutti i bisogni primari, primo fra tutti la soddisfazione

della fame. Seguendo questo tipo di ragionamento,

sarebbe stato coerente supporre che chiunque si fosse

occupato di nutrire il neonato avrebbe ottenuto il suo

affetto e sviluppato una relazione soddisfacente con lui.

Come vedremo in seguito questa ipotesi si è rivelata

errata.

La prima a dare un grande rilievo alla correlazione

esistente tra l’instaurarsi di una relazione importante,

l’importanza del cibo, la stimolazione delle zone

erogene della bocca e il seno materno (l’agente della

nutrizione) quale “oggetto” principe fu M.Klein. Dopo

di lei questo aspetto fu approfondito da diversi autori.

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Capitolo 8 I DCA secondo la Teoria dell’Attaccamento

195

Alcune di queste teorizzazioni analitiche ebbero una

certa influenza su Bowlby nella formulazione della sua

teoria dell’attaccamento, ma è indubbio che il retroterra

analitico tradizionale passa nettamente in secondo

piano, nella formulazione di questa teoria, rispetto alle

influenze ben più importanti di discipline quali

l’etologia e la teoria del controllo. Queste discipline

erano entrate nel panorama scientifico di recente. Il

ricorso ai loro concetti basilari permise a Bowlby di non

essere costretto negli angusti spazi della teorizzazione

che si muoveva in base ai concetti di energia e pulsione

e di sviluppare una teoria a più ampio raggio che

considerava anche alcuni concetti della psicologia

cognitivista.

Per quanto riguarda le influenze dell’etologia,

fondamentali risultarono gli esperimenti di Lorenz con

gli anatroccoli che sembravano sviluppare un

attaccamento, basato anche su stimoli visivi, con un

essere animato, ma non solo, a patto che venissero

rispettate alcune condizioni in concomitanza con la

dischiusa delle uova. L’importanza di queste

osservazioni stava nel fatto che esse dimostravano che

in molte specie animali era possibile che si creasse un

attaccamento con una figura dalle caratteristiche

materne, senza che questa forte unione dovesse essere

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Capitolo 8 I DCA secondo la Teoria dell’Attaccamento

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per forza mediata dalla nutrizione; in particolar modo

ciò risultava evidente con gli anatroccoli i quali erano

assolutamente indipendenti dalla madre per quanto

riguardava il procacciarsi il cibo.

In questo senso ebbero anche grande risonanza gli

studi di Harlow con i machachi rhesus. Egli condusse

un esperimento con i cuccioli di questi primati che

consisteva nell’inserire nella loro gabbia due manichini

con caratteristiche diverse; uno dei manichini era una

semplice struttura fatta di materiale duro e freddo, ma

era deputato alla nutrizione dei cuccioli, mentre il

secondo manichino era rivestito con materiali morbidi al

tatto, anche se non era in grado di dispensare il cibo. I

rhesus neonati sviluppavano dei chiari comportamenti di

attaccamento nei confronti del manichino soffice,

nonostante esso non fornisse loro del cibo.

Partendo dai risultati di questi esperimenti Bowlby

sviluppo la sua teoria su una base chiaramente

evoluzionistica. Egli, infatti, attribuì alla risposta di

attaccamento un carattere innato, in quanto presente fin

dalla nascita e quindi facente parte del corredo genetico

dell’individuo. La predisposizione all’attaccamento

aveva, secondo Bowlby, una valenza chiaramente

adattiva.

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La definizione che egli dà dell’attaccamento è la

seguente:

“(è) una forma di comportamento che si manifesta

in un individuo che consegue o mantiene una

prossimità nei confronti di un’altra persona,

chiaramente identificata, ritenuta in grado di

affrontare il mondo in modo adeguato. Questo

comportamento diventa molto evidente ogni volta che

la persona è spaventata, affaticata o malata, e si

attenua quando si ricevono conforto e cure.”.

Quindi il valore adattivo dell’attaccamento, inteso

come funzione biologica che è insita nel corredo

genetico umano, sta nella funzione protettiva che esso

assolve, in quanto la prossimità con la figura di

attaccamento permette, in caso di pericolo o

semplicemente di necessità, di aumentare l’efficacia

dell’intervento di quest’ultima e di conseguenza ciò

rende molto più probabile la sopravvivenza del piccolo.

Secondo questa linea logica troverebbe anche senso

l’angoscia da separazione che si prova quando la

persona avverte che una figura importante per lui si

allontana; questa emozione violenta trarrebbe le sue

origini dal comportamento di attaccamento in quanto la

separazione da chi ci fornisce delle cure, occupandosi di

noi, è sinonimo di minaccia al rimanere in vita.

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Inoltre ciò spiegherebbe anche perché, non soltanto

l’attuazione di un comportamento di separazione, ma la

sola minaccia dello stesso, come un paventato

abbandono o suicidio di una figura di attaccamento,

genera angoscia nel bambino. Spesso si osserva che

quando le figure di attaccamento minacciano

l’abbandono con l’intenzione di esercitare un controllo

sul bambino, dopo la prima reazione di angoscia questi

reagisce con un attacco di rabbia. Questa reazione è

piuttosto tipica dei bambini più grandi e negli

adolescenti. Anche l’esplosione di rabbia, nella sua

connotazione “fisiologica”, ha un fine adattivo che è

quello di attivarsi affinché sia scongiurato il temuto

abbandono, ma la sua reiterazione nel tempo diventa

facilmente fonte di patologia.

L’attaccamento oltre ad avere una manifestazione

comportamentale, è soggetto ad un’elaborazione che

porta ad internalizzare, con un processo graduale, le

caratteristiche dei primi legami di attaccamento. Queste

internalizzazioni, poi, funzionano da parametri guida

nella strutturazione delle esperienze successive. Queste

esperienze vengono dotate di senso in base alle

rappresentazioni intrapsichiche del proprio ruolo e delle

aspettative verso gli altri che l’individuo si è formato

partendo dalle internalizzazioni suddette. Le

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199

rappresentazioni intrapsichiche non sono rigide nella

loro struttura, ma anzi hanno una natura plastica che si

plasma nell’interazione con l’ambiente. Esse sono

denominate nel loro complesso “Modelli Operativi

Interni”.

I modelli operativi sono strettamente individuali e

riguardano il Sé e le primitive figure di attaccamento.

Essi diventano appunto operativi nelle relazioni a due

che si ripetono nella vita dell’individuo.

Questa permanenza è molto importante per lo

sviluppo dell’individuo sia in senso negativo che

positivo. Infatti il modello operativo interno del Sé è

complementare a quello delle figure di attaccamento.

Quindi se una persona è dotata di un modello operativo

interno in cui le figure di attaccamento sono

caratterizzate dall’essere amorevoli e disponibili al

sostegno, in maniera complementare, svilupperà un

modello operativo interno del Sé come meritevole di

quell’amore e di quel sostegno.

Il panorama muta radicalmente quando la prossimità

offerta e accettata dalle figure di attaccamento risulta

inadeguata. In questi casi la persona attua un particolare

meccanismo di difesa che è “l’esclusione difensiva”. In

esso le caratteristiche frustranti della figura di

attaccamento vengono escluse dalla relazione con il

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200

proprio Sé per cui il modello operativo interno del Sé

dell’individuo non risulta più complementare con quello

della figura di attaccamento, ma avviene una scissione

interna tra i due. La parte scissa viene posta al di sotto

del livello di coscienza e la sua funzionalità si esplica

inconsapevolmente; la scissione avviene perché le

caratteristiche che l’individuo attribuirebbe alla figura di

attaccamento risulterebbero intollerabili. Infatti, la parte

cosciente del modello operativo interno finisce per

considerare il Sé come malvagio ed inadeguato, in

modo tale da preservare l’integrità della figura di

attaccamento di cui si ha bisogno, mentre la parte

inconsapevole del modello operativo del Sé giudica,

invece, la figura di attaccamento come inadeguata e

malvagia, preservando la fondamentale bontà del Sé.

Pur agendo al di sotto del livello di consapevolezza, la

parte scissa del modello operativo ha un’ influenza

diretta sui processi di pensiero della persona.

Secondo Bowlby l’avvenimento cruciale che

determina la scissione del modello operativo del Sé ha

una valenza traumatica nell’esperienza del bambino.

L’episodio traumatico di per sé non ha insito l’effetto di

scissione, ma esso ha ricevuto da parte delle figure di

attaccamento una chiarificazione inadeguata a cui segue

un evitamento dell’argomento e di qualsiasi riferimento

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201

ad esso nelle interazioni future. La confusione che ne

deriva non permette una risoluzione del conflitto che

rimane latente al di sotto della coscienza in quanto il

bambino accetta coscientemente la spiegazione non

esaustiva che gli viene data dalle figure di attaccamento

e rimuove le incongruenze che ha avvertito sul piano

personale.

Un esponente importante della teoria

dell’attaccamento è Mary Ainsworth. Ella partendo dai

concetti fondamentali elaborati da Bowlby iniziò una

serie di osservazioni su le madri e i propri figli in un

contesto familiare, sia in Uganda (1967) che a

Baltimora (Ainsworth, Blehar, Waters e Wall, 1978).

Scopo di queste osservazioni era studiare le

caratteristiche della relazione tra i modelli di

comunicazione e i modelli operativi interni.

In questo contesto si rilevò che qualora le figure

materne nella loro relazione con il proprio figlio

nell’ambito dei primi tre mesi di vita, mostravano una

seria attenzione ai loro segnali di prossimità e di

contatto visivo durante l’allattamento, che nei giochi

mantenevano costante il contatto viso a viso, che,

ancora, rispondevano alle richieste di contatto fisico e

che infine, erano sensibili alle esigenze dei neonati nelle

occasioni di separazione-riunione, influenzavano il

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202

carattere del figlio in senso positivo; infatti questi

bambini, giunti tra i nove e i dodici mesi, erano poco

inclini al pianto e mostravano uno sviluppo del

linguaggio più avanzato. Inoltre, ad una buona sintonia

nelle cure materne nei primi mesi di vita, corrispondeva

per questi bambini una minore richiesta di contatto

fisico diretto, inversamente proporzionale comunque

alla loro capacità di ricavarne piacere e soddisfazione. I

bambini, poi, erano in genere più propensi ad ubbidire

alle madri. Comunque le differenze comportamentali tra

i bambini con madri sensibili ai loro bisogni durante le

prime fasi di vita, e i figli di madri non attente a questi

bisogni, venivano chiaramente alla luce in una

procedura sperimentale elaborata dalla Ainsworth, la

“Strange Situation”, che ripropone, in un ambiente più

strutturato, le caratteristiche salienti dell’interazione

casalinga tra madre e neonato.

La Strange Situation si compone di una serie

standardizzata di situazioni della durata di circa tre

minuti, all’interno di una apposita stanza attrezzata in

laboratorio. In questa stanza sono presenti molti stimoli

che dovrebbero invogliare il bimbo al gioco. Egli si

trova nella stanza con la madre, inizialmente, e dopo

viene raggiunto da un’estranea che, in seguito ad un

momentaneo allontanamento della madre, rimane da

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Capitolo 8 I DCA secondo la Teoria dell’Attaccamento

203

sola con il bambino. Ai fini di valutare lo stile

comportamentale del bambino ed ipotizzare i modelli

operativi interni sottostanti al comportamento, risultano

di particolare interesse proprio il momento in cui la

madre si separa dal bambino e il successivo

ricongiungimento tra i due. In base alle emozioni e ai

comportamenti manifestati dai bambini in questi due

momenti cruciali essi venivano suddivisi in tre categorie

tenendo soprattutto presente:

il tempo dedicato all’esplorazione dell’ambiente in

presenza della madre prima e in sua assenza poi;

il modo in cui si rapportano con la madre in sua

presenza, nel momento in cui si allontana e in

particolar modo in occasione del loro

ricongiungimento dopo la separazione.

L’analisi comportamentale rivelò che vi era una

stretta correlazione tra la gioia manifestata al ritorno

della madre e la capacità che le madri stesse avevano

avuto nel recepire i segnali nei primi mesi di vita dei

bambini durante la nutrizione, il pianto, nelle situazioni

in cui richiedevano supporto e nell’interazione viso a

viso che gli autori avevano osservato nella relazione a

casa. Questi bambini reagivano al ritorno della madre

nella stanza della Strange Situation ricercando subito

una prossimità fisica ed emotiva con lei, con una

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Capitolo 8 I DCA secondo la Teoria dell’Attaccamento

204

richiesta di interazione e un contatto fisico diretto,

durante il quale dimostravano di rasserenarsi in breve

tempo, per poi ritornare rapidamente all’esplorazione e

al gioco. I bambini che manifestavano queste

caratteristiche furono inseriti nel gruppo B, cioè il

gruppo dei bambini che manifestavano un attaccamento

“sicuro”.

Altri bambini, invece, reagivano al ritorno della

madre con proteste e rimproveri, evitavano o rifiutavano

il contatto visivo voltandosi in una direzione diversa da

quella in cui si trovava la madre o addirittura

allontanandosi fisicamente da lei e erano sordi alle

richieste di rapporto della madre stessa. I bambini che

avevano questa modalità di risposta rientravano nel

gruppo A ed erano definiti “insicuri-evitanti”.

Un’ulteriore modalità di risposta era quella

manifestata da un altro gruppo di bambini che reagivano

con comportamenti ed emozioni ambivalenti nei

confronti della madre in occasione della riunione con lei

dopo la separazione. Essi, in un primo momento,

ricercavano con insistenza, quasi con rabbia la

prossimità con la madre ma una volta ottenuto il

contatto fisico manifestavano rabbia e rifiuto dei

tentativi stessi della madre di mantenere la prossimità

fisica. Era questo il gruppo C, formato da bambini con

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attaccamento “insicuro-ambivalente”. Il

comportamento dei bambini di questo gruppo colpisce

per le emozioni fortemente contrastanti che traspaiono

dal loro atteggiamento; vogliono che la madre li prenda

in braccio, ma poi non riescono a rilassarsi e ad

avvicinarsi quando questo succede; cercano la

prossimità con la madre al suo ritorno, ma poi hanno nei

suoi confronti dei forti attacchi di rabbia.

Per quanto riguarda le osservazioni casalinghe del

comportamento delle madri degli ultimi due gruppi

l’autrice notò che le madri dei bambini evitanti, il

gruppo A, erano in genere, ma costantemente, meno

disponibili all’interazione, alle manifestazioni affettive,

spesso rifiutavano il contatto corporeo e visivo.

Invece le madri del gruppo C, i bambini insicuri-

ambivalenti, avevano una buona capacità di lettura dei

segnali del bambino, ma le loro risposte erano incostanti

nel tempo e variavano di volta in volta, passando da un

estremo all’altro, con slanci affettivi congruenti ai

segnali del bambino alternati a momenti in cui le madri

non rispondevano alle richieste del bambino, con

bruschi passaggi ad una forte prossimità fisica.

Gli autori giungono alla conclusine che i bambini che

nell’interazione diadica con la madre riscontrano delle

risposte congruenti con le loro richieste ed in sintonia

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Capitolo 8 I DCA secondo la Teoria dell’Attaccamento

206

con i loro tempi, sviluppano un’ansia contenuta e

tollerabile rispetto alle aspettative di ricevere dalla

figura di attaccamento protezione e supporto. Quando

invece vi è una carenza di sensibilità ai segnali e alle

richieste del bambino in questo senso durante le

interazioni precoci, egli sviluppa un’attenzione

preoccupata e selettiva verso la prossimità fisica ed

emotiva della figura di attaccamento materna.

Ulteriori caratteristiche e precisazioni di questi tre

modelli di interazione furono rilevate in successive

osservazioni con la “Strange Situation”. Escher-Graenb

e Grossmann (1983) rilevano che le madri di bambini

evitanti erano disponibili a partecipare all’interazione

con i loro figli durante il gioco solo se questi

mostravano gioia nella loro esplorazione ed erano

sereni. Nel momento in cui, invece, i bambini

mostravano di incontrare delle difficoltà o vivevano dei

momenti di frustrazione, la madre abbandonava

l’interazione. Nell’interazione diadica dei bambini

sicuri, invece, mutava completamente la modalità

relazionale; magari la prossimità fisica e visiva delle

madri risultava talvolta anche inferiore rispetto alla

media degli altri gruppi, ma la madre interveniva

puntualmente qualora la difficoltà del figlio dava segno

di tramutarsi in un vero e proprio stress traumatico.

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207

Per quanto riguarda i bambini evitanti, Grossmann,

Grossmann e Schwan nel 1986, rilevano che essi

gestivano i momenti di separazione dai loro genitori

senza trasmettere loro le proprie emozioni e senza

ricercare la prossimità fisica pur se evidentemente a

disagio per la situazione di separazione. Le emozioni

negative, al contrario, generavano nei bambini sicuri un

aumento della richiesta di contatto fisico.

Questa serie di osservazioni permise di rilevare la

costanza delle caratteristiche nei modelli di

comunicazione tra i due membri di una diade, una volta

che le regole della comunicazione stessa siano state

implicitamente stabilite. Altro risultato importante nel

contesto che stiamo affrontando, è la stretta correlazione

tra i suddetti modelli di comunicazione e una idonea

strutturazione e funzionalità dei modelli operativi interni

del Sé e della figura di attaccamento; in altre parole la

modalità di comunicare (si ricordi a questo proposito

quanto detto nel capitolo 6 sul comportamento come

comunicazione e sulla impossibilità di non poter non

comunicare con il comportamento stesso) ha una

influenza diretta e non mediata sulla formazione dei

modelli operativi interni.

I modelli operativi interni che i genitori attuano

nell’interazione con il proprio figlio, hanno un’origine

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208

precedente alla nascita stessa del bambino. Essi sono

evidenziabili anche nelle fantasie e nelle aspettative pre-

parto dei genitori. Questi modelli operativi, una volta

nato il bambino, si confrontano con le reali esigenze e le

caratteristiche peculiari del bambino stesso. Di

conseguenza essi entrano in un processo di adattamento

e modificazione nell’interazione reale. Gli esiti stessi di

questo processo dipendono da quanto i modelli operativi

interni dei genitori siano ben strutturati e flessibili.

Queste due ultime caratteristiche sono a loro volta

direttamente proporzionali al grado di consapevolezza

degli schemi che regolano la funzionalità dei modelli

operativi e inversamente proporzionali ai meccanismi di

difesa che l’individuo attua e che lo portano ad avere

una percezione errata dei propri modelli operativi. In

questo secondo caso, difficilmente le figure di

attaccamento hanno un’adeguata capacità di leggere i

segnali e le richieste di attaccamento del bambino e

quindi gli danno riposte distoniche. La capacità di un

genitore di fornire risposte sintoniche al proprio figlio è

strettamente collegata alla sua abilità di immedesimarsi

con i fini che il bambino si propone e a quella di

adottare il suo punto di vista nel raggiungerli, in modo

tale di partecipare con lui alle sue iniziative senza né

eseguirle al suo posto, né tantomeno lasciandolo da

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209

solo. Un genitore che abbia un modello operativo

genitoriale adeguato, ha la possibilità di entrare in

empatia con le esigenze del figlio e la sua risposta

empatica permette una co-costruzione della relazione in

continuo sviluppo che procede di pari passo al reciproco

adattamento, formazione e strutturazione dei modelli

operativi di entrambi i partecipanti all’interazione.

Qualora invece, tale flessibilità del modello operativo

sia mancante, flessibilità che viene pregiudicata

dall’irrigidimento conseguente alla scissione del

modello operativo, il genitore non è in grado di attuare

una risposta empatica e quindi di interpretare

correttamente i segnali del bambino.

Addirittura Bowlby dichiara che la caratteristica

principale del ruolo di genitore deve essere la capacità

dell’individuo di essere, sì attento alle esigenze e

richieste del bambino, pronto ad intervenire, ma solo nel

caso in cui egli sia in difficoltà. La capacità di

discernere il momento, il motivo e il modo

dell’intervento richiede una notevole empatia. La

capacità empatica delle figure di attaccamento

determina lo sviluppo psichico sano o meno del

bambino.

Dal punto di vista comportamentale i compiti

fondamentali dei genitori sono due:

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210

essere una base sicura per il bambino;

spingerlo ad una esplorazione attiva dell’ambiente

partendo da questa base sicura.

Costituire una base sicura per il bambino implica il

riconoscimento del suo bisogno di attaccamento, cioè di

rispettare il suo desiderio di allontanarsi dal genitore

durante l’esplorazione dell’ambiente, pur avendo la

sicurezza che egli sia lì pronto ad aiutarlo in caso di

difficoltà. In questo senso le figure di attaccamento

devono saper interpretare correttamente il significato

degli attacchi di rabbia del bambino. Infatti il motivo

che più spesso sta alla loro base è la non soddisfazione

del bisogno di cure, di affetto e conseguentemente i suoi

stati di angoscia sono la manifestazione di una profonda

incertezza che coinvolge la sicurezza del bambino che i

genitori siano in grado di dargli, senza soluzione di

continuità, una prossimità fisica ed emotiva.

Alla base di un’idonea capacità di attuare il secondo

compito fondamentale di un genitore, sta ancora una

volta il riconoscimento dei desideri del bambino e della

prospettiva che egli adotta nel manifestarli. Infatti il

genitore, per incoraggiare il bambino all’esplorazione,

deve essere in grado di accettare con serenità la sua

spinta in questo senso a ricercare interazioni alternative

sia con altri bambini che con gli adulti. Indubbiamente

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211

la serenità di questa accettazione da parte della figura di

attaccamento e strettamente dipendente dalla modalità

con cui egli gestisce le separazioni e di conseguenza

dalla natura del suo bisogno di attaccamento.

L’importanza dei due fattori fondamentali

nell’educazione si manifesta nelle caratteristiche degli

individui ben adattati, i quali hanno una struttura di

personalità caratterizzata da una giusta proporzione tra

capacità di iniziative indipendenti con collegata fiducia

in se stessi e la capacità di chiedere aiuto agli altri in

caso di necessità, oltreché di saperlo sfruttare.

Un’analisi longitudinale delle tappe evolutive

(infanzia, adolescenza ed età adulta) di queste persone,

evidenzia che la loro è una storia caratterizzata da un

progressivo allontanamento da una solida base sicura

rappresentata dalla famiglia, verso esplorazioni sempre

più prolungate e complesse. La spinta verso

l’indipendenza e l’autonomia è stata attuata

costantemente dalla famiglia, ma sempre nel rispetto dei

tempi evolutivi della persona e senza imposizioni di

sorta. Il cordone ombelicale con la famiglia, fonte del

nutrimento emotivo, è diventato sempre più flessibile e

lungo, senza mai essere reciso di netto.

Secondo Bowlby le situazioni evolutive più difficili e

ambigue si verificano allorché vi è una inversione dei

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212

ruoli tra madre e figlia nella relazione educativa. Ciò

avverrebbe quando la madre cerca nell’interazione con

il proprio figlio una compensazione e un risarcimento

delle proprie carenze affettive ed empatiche, carenze

che invece hanno caratterizzato la sua personale storia

evolutiva. In questa modalità di interazione la madre,

essendo centrata sui suoi bisogni, non ha spazio per

quelli del figlio. Nonostante ciò quest’ultimo

interiorizza un’immagine materna monodimensionale

caratterizzata da generosità e affettuosità. Il processo in

questo senso può avvenire perché il bambino esclude

dalla coscienza qualsiasi indizio della relazione che

possa denotare la madre come non attenta ai suoi

bisogni e solo centrata su di sé. Questa percezione

selettiva e diretta solo alle qualità positive della madre,

fa sì che il bambino accetti a livello cosciente soltanto le

emozioni positive che prova nei confronti della madre

ed elude i sentimenti di rabbia causati dagli ostacoli che

la madre pone sulla strada verso la sua personale

autonomia, non accettando di separarsi dal figlio,

separazione che ella vive come una perdita troppo

angosciante. Avviene in pratica una sorta di

attaccamento a ruoli invertiti. La madre si relaziona al

figlio come se questo dovesse essere la sua figura di

attaccamento e non viceversa. I metodi per indurre il

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213

figlio ad assumere questo ruolo possono essere diversi e

tutti patogeni. Ella può esercitare una spinta inconscia

affinché il figlio maturi rapidamente saltando delle

tappe evolutive, oppure minacciare coscientemente il

figlio o fare leva sui suoi sensi di colpa.

I bambini sottoposti a questo bombardamento

manifestano iper-responsabilità, sono schiacciati dai

sensi di colpa e sviluppano un attaccamento carico di

ansia. Contemporaneamente nella loro struttura psichica

è latente una parte inconscia assetata di riconoscimento

dei propri desideri e bisogni che può trovare come unica

forma di espressione la patologia e in particolare

Bowlby cita appunto l’Anoressia.

Elaborando questo concetto di Bowlby, Liotti (1988)

rileva che la conseguenza di una non accoglienza dei

bisogni di sostegno e di cura espressi dal bambino, ha

come conseguenza non un annullamento delle emozioni

ad essi collegati, bensì lo sviluppo di un ipercontrollo

dell’espressione delle stesse caratterizzato da

un’inibizione generalizzata delle emozioni. Questi

bambini sviluppano un attaccamento di tipo insicuro-

evitante che li porta a rapporti interpersonali

caratterizzati dall’infelicità e ad attuare un forte

controllo, nonché una forte distorsione delle proprie

sensazioni fisiche ed emotive.

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214

Gli schemi relazionali che strutturano i modelli

operativi interni di questi bambini con attaccamento

insicuro comprendono un modello della figura di

attaccamento denotata come incostante, non disponibile

ad accettare i suoi bisogni nonché invasiva nelle sue

manifestazioni affettive. In maniera complementare il

modello operativo del Sé racchiude una parte cosciente

che, pur di salvaguardare l’integrità della figura di

attaccamento, arriva a ritenere giuste le pressioni della

figura di attaccamento ed una parte scissa inconscia che

si reputa estremamente bisognosa di cure e sostegno.

Per quanto riguarda l’Anoressia, l’analisi dei modelli

di attaccamento vigenti all’interno della famiglia,

conduce all’idea che chi ne soffre abbia sviluppato un

attaccamento di tipo insicuro-evitante. Essendoci una

cattiva lettura dei segnali emessi dalle bambine nel

manifestare i loro bisogni, i genitori non rimandano una

risposta congruente alla loro richiesta. Ciò pregiudica la

capacità della bambina stessa di apprendere a discernere

e le sue sensazioni fisiologiche e i segnali del suo corpo

in generale. Anzi, spesso, ella sperimenta che una chiara

manifestazione delle sue esigenze comporta un rifiuto di

cure da parte della madre per cui apprende che una

risposta adattiva è l’inibizione degli stimoli fisiologici.

Ciò le permette apparentemente di conservare la

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215

prossimità con la sua figura di attaccamento, ma in

realtà la relega in una profonda solitudine affettiva.

La forte carenza affettiva, viene compensata durante

la fase adolescenziale con una fervida fantasia il cui

tema principe è il sogno di incontrare una figura di

attaccamento al di fuori della famiglia con cui instaurare

una relazione perfetta e completamente soddisfacente

che compensi le mancanze affettive con le figure di

attaccamento realmente presenti nella famiglia. A

questo desiderio, alla sua realizzazione fantastica fa da

contraltare l’incapacità della ragazza a richiedere affetto

e protezione all’interno di una relazione dato che non ha

mai potuto apprendere e sperimentare questa modalità

di comunicazione interpersonale.

Le figure di attaccamento idealizzate sono talmente

perfette che finiscono per diventare molto più attraenti

di qualsiasi esperienza reale in quanto essa deve fare i

conti con le limitazioni che la realtà per sua natura

comporta. Di conseguenza, il grado di delusione in

questi confronti è veramente alto e la ragazza inizia a

cercare la perfezione di se stessa per compensare il

senso di imperfezione che sembra caratterizzare

l’ambiente che la circonda. Ancora una volta la persona

ritiene responsabile della mancanza di rapporti affettivi

soddisfacenti, non gli altri, ma se stessa e la sua

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imperfezione, anche fisica. Il percepirsi grasse e

sgraziate nelle forme a causa del cibo diventa il

sinonimo per eccellenza del non essere degne di amore7.

Allora inizia un rapporto fortemente conflittuale con

l’immagine distorta del proprio corpo usando come

arma per ridurlo ai propri voleri l’astensione dal cibo.

Riuscire in questo intento di raggiungere un fantomatico

ideale corporeo assume un significato che va ben oltre il

risultato sul piano estetico. Infatti una vittoria di questo

tipo sarebbe una prova della propria forza di volontà,

fiducia in sé e capacità di gestire se stesse come il

proprio corpo. La prova di questa illusoria capacità di

autonomia è così importante per la persona perché

sarebbe la dimostrazione della possibilità di trasferire la

forza di volontà dimostrata anche nell’insoddisfacente

campo delle relazioni familiari.

Sennonché i conflitti che il digiuno e il drastico calo

ponderale provocano, esasperano le caratteristiche

inadeguate dei modelli operativi interni delle figure di

attaccamento nella famiglia; a ciò si aggiunge

l’isolamento affettivo anche nell’ambiente extra-

familiare. Questi ulteriori rifiuti nella relazione

irrigidiscono ancora di più le modalità di attaccamento

insicuro-evitante della persona anoressica che sente 7 Vedi lettere Appendice II pagg. 264 e segg.

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confermata la sua impressione che non ci si può

rivolgere agli altri per essere anche compresi nelle

proprie esigenze perché questi non sono disponibili ed

empatici. Inoltre non vi è nemmeno più l’illusione

rassicuratoria di incontrare una figura di attaccamento

adeguata al di fuori della famiglia.

IL RAPPORTO TRA EMPATIA, STILI DI

DIFESA E DISTURBI DEL COMPORTAMENTO

ALIMENTARE

L’importanza dell’empatia è ribadita anche da

Kernbern (1975) il quale analizza, in particolare, la

relazione esistente tra la capacità empatica manifestata

dai genitori verso il bambino e lo sviluppo fisiologico o

meno di meccanismi di difesa con i quali l’adulto del

domani affronterà l’adattamento al suo ambiente di vita.

Secondo una definizione generica possiamo dire che

lo scopo dei meccanismi di difesa che una persona

sviluppa è quello di preservarla dalle emozioni negative

e dall’ansia, ma anche di tenere a bada i comportamenti

istintivi e apparentemente irrazionali.

In questo quadro più ampio Vaillant nel 1975

differenzia tre tipi di meccanismi di difesa:

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218

meccanismi di difesa maturi;

meccanismi di difesa immaturi;

meccanismi di difesa nevrotici.

Le persone che sviluppano il primo tipo di difese

riescono a preservare il proprio equilibrio mentale di

pari passo con la loro capacità di adeguarsi

all’ambiente. Al contrario i meccanismi di difesa

immaturi comportano dei seri disordini di personalità e

una seria incapacità di adattamento all’ambiente. In

ultimo le difese di tipo nevrotico presentano una

frequenza omogenea tra individui dotati di diversi gradi

di adattamento.

Alcuni lavori hanno evidenziato una correlazione tra

stili di difesa e sviluppo di Disturbi del Comportamento

Alimentare. Steiner (1990) per es., rilevò che i

meccanismi di difesa adottati dalle adolescenti

anoressiche sono di tipo immaturo rispetto a quelli

adottati dalle loro coetanee. Inoltre chi soffre di Bulimia

sembra che usi dei meccanismi di difesa molto più

immaturi rispetto alle anoressiche.

I primi invece ad analizzare il legame esistente tra lo

stile di difesa, le cure infantili e i Disturbi del

Comportamento Alimentare furono Steiger e coll.

(1989); essi usarono il Parental Bonding Instrument

(P.B.I.) di Parker. I risultati di questo test mostrano che

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219

uno stile di difesa immaturo correla in positivo con il

grado di protezione genitoriale e in negativo con le cure

fornite nell’infanzia. Invece, i meccanismi di difesa

maturi correlano in modo inverso, quindi in negativo

con il grado di protezione genitoriale e in positivo con le

cure ricevute nell’infanzia. Un ulteriore studio in questo

senso è stato condotto da U.Schmitdt, G.Slone, J.Tiller

e J.Trasure. Gli autori si sono proposti di analizzare tre

ipotesi:

se chi soffre di Anoressia usa stili di difesa differenti

rispetto ad un campione di controllo;

se esistono differenze negli stili di difesa tra chi

soffre di Anoressia e chi di Bulimia;

se vi fossero correlazioni tra il tipo di cure ricevute

durante l’infanzia e lo stile di difesa applicato da

chi soffre di Disturbi del Comportamento

Alimentare.

Riguardo la prima ipotesi si è visto che i soggetti con

Disturbi del Comportamento Alimentare adottano poche

difese di tipo maturo ed un numero significativo di

difese di tipo immaturo e/o nevrotico.

La verifica della seconda ipotesi mette in luce che le

anoressiche di tipo restrittivo applicano soprattutto uno

stile di difesa nevrotico, mentre le anoressiche di tipo

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220

bulimico e le bulimiche stesse con esperienze passate di

fasi di Anoressia, ricorrevano a stili di difesa immaturi.

Non è stata invece rilevata una correlazione

significativa nelle anoressiche restrittive tra cure

ricevute nell’infanzia e incremento di un particolare

stile difensivo.

Invece nel gruppo delle Anoressiche bulimiche e

delle Bulimiche con episodi passati di Anoressia, si

riscontravano spesso un’alta percentuale di discordie

familiari, seguite da casi di abuso sessuale ed infine da

situazioni di indifferenza genitoriale.

I risultati di queste ricerche danno un parziale

conforto alle ipotesi che ritengono strettamente correlate

le esperienze di cura negative nell’infanzia con lo

sviluppo di meccanismi di difesa immaturi i quali

ostacolano notevolmente le capacità di adattamento

della persona all’ambiente, creando in alcuni individui

una situazione facilitante lo sviluppo di Disturbi del

Comportamento Alimentare.

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CONCLUSIONI

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Conclusioni

222

Alla fine di questo lungo excursus attraverso le

diverse ottiche con cui i vari orientamenti teorici

interpretano la genesi, lo sviluppo e la terapia dei

Disturbi del Comportamento Alimentare, possiamo dire

che l’interesse per queste sindromi è molto alto dato

anche, purtroppo, la crescita esponenziale dell’incidenza

che esse hanno nel quadro delle patologie attuali. Lo

sforzo clinico e teorico è in continua intensificazione in

tutte le discipline. Inoltre queste sindromi hanno una

consistente “fetta” di invisibilità, in quanto moltissimi

sono i casi non dichiarati (si pensi ad esempio alla

Bulimia normopeso dove la persona mantiene un grado

di adattamento abbastanza adeguato in molti campi

della sua vita, senza che nemmeno le persone ad essa

più vicine immaginino nemmeno lontanamente il suo

tormento interiore, per nulla visibile sul piano

somatico). Un altro dato importante e preoccupante che

motiva all’approfondimento dello studio di queste

situazioni cliniche è la progressiva diminuzione dell’età

di insorgenza delle stesse. Ciò crea anche notevoli

problemi sia sul piano teorico che su quello clinico.

Infatti, che senso dare, sia sul piano interpretativo che

su quello clinico, ad un quadro sintomatologico che fino

ad ora ha eletto a sua fase evolutiva d’eccellenza

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Conclusioni

223

l’adolescenza quando questo inizia a comparire in fasi

sempre più precoci dello sviluppo fisico e psicologico

dell’individuo?

Per quanto riguarda le impressioni personali, a mio

giudizio, il confronto tra i vari approcci teorici mi ha

persuaso della necessità, direi inderogabile, di affrontare

queste situazioni intervenendo a più livelli in quanto

ritengo che l’efficacia clinica nel trattamento passi, con

eguale importanza, sia attraverso il piano individuale,

che quello familiare, che, infine, quello medico.

Focalizzare l’attenzione su uno soltanto di questi livelli

significa, a mio avviso, rischiare di tamponare solo

temporaneamente una situazione che può in breve

tempo rivelarsi esplosiva. Ad esempio mi ha molto

colpito l’osservazione, che raramente ho visto

sottolineata altrove, della dott.ssa Bruch, la quale

sottolinea l’importanza che, nei casi delle ragazze

anoressiche gravemente defedate, ha il riacquisto di un

peso accettabile ai fini della capacità della persona di

sostenere e approfondire un rapporto terapeutico basato

sulla introspezione. Infatti le funzioni cognitive

vengono gravemente deteriorate dalla fame e dalla

consunzione per cui è utopico cercare di iniziare una

relazione terapeutica con la speranza che ciò

automaticamente ripristini un comportamento

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Conclusioni

224

alimentare che porti fuori la persona dalla zona critica

della denutrizione; come del resto è molto difficile

pensare di voler privare una persona dei suoi sintomi

quando questi sono funzionali e indispensabili al

mantenimento di un equilibrio emotivo familiare

alquanto fragile e la cui paventata rottura è temuta

oltremodo dalla persona. Proseguendo sullo stesso piano

di ragionamento, è altrettanto riduttivo non tener

presente che, l’intervenire solo al livello familiare, può

lasciare sola di fronte alla sua angoscia profonda la

persona nel momento in cui cade il gioco familiare e

con esso lo scudo fino a quel momento rappresentato

dalla patologia.

Per cui io auspico un approccio sempre più olistico

rispetto a queste sindromi, senza per questo cadere nel

qualunquismo, ma superando al contempo inutili

settarismi teorici che vanno solo a discapito di chi si

rivolge ai terapeuti e ai medici, al fine di imparare a

superare e a convivere con la propria sofferenza senza

soccombervi.

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APPENDICE I

GLI ARTICOLI DEI GIORNALI

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Appendice I Gli Articoli dei giornali

226

I Disturbi del Comportamento Alimentare sono ormai

“fagocitati” dai media e rigettati all’opinione pubblica

con sempre maggiore frequenza.

Le motivazioni di questa attenzione, che spesso

confina con la morbosità, sono a mio avviso

principalmente due:

•un incremento esponenziale dell’incidenza di questi

disturbi;

•l’esorcizzazione di ciò che questi disturbi

rappresentano in relazione ai valori della nostra società.

Il tenore degli articoli verte su vari registri; abbiamo

la denuncia moralistica che accusa la perdita degli

antichi valori familiari come l’unica e sola causa di

queste situazioni di disagio; c’è poi l’analisi sociologica

che individua il cambio di ideale dell’immagine

corporea come elemento determinante. A questo

proposito è indubbio come il continuo proporre

un’ideale di figura femminile sempre più “longilineo”

come canone di bellezza sia una caratteristica del nostro

tempo e che trovi innesti fecondi nella sindrome dei

Disturbi del Comportamento Alimentare. Questo tipo di

denuncia è portata avanti con molta decisione da parte

di coloro che seguono la prospettiva femminista nella

cura di questi disturbi. È indubbio che l’importanza che

ha il disturbo della percezione della propria immagine

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Appendice I Gli Articoli dei giornali

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corporea è un elemento che rientra nella diagnosi dei

Disturbo del Comportamento Alimentare solo a partire

dal nostro secolo e in particolare nelle sue ultime

decadi. Caratteristicamente esso non appare in modo

così preponderante nelle prime descrizioni dei vari

Disturbi del Comportamento Alimentare.

Un capitolo a parte nell’articolistica dei giornali, è

quello delle rubriche epistolari tenute da psicologi o

pseudo tali. In esso ritroviamo note stonate e non ed è

difficile farsi un’idea complessiva o esprimere un

giudizio.

In ogni caso il fenomeno ha assunto dimensioni tali

che non può essere ignorato, per cui ho deciso di

riportare in questa appendice alcuni stralci di giornali

che non pretendono di essere un quadro esauriente della

situazione ma che comunque rendono l’idea.

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APPENDICE II

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE ED INTERNET

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Appendice II I DCA e Internet

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PREMESSA Questa appendice racchiude il frutto del lavoro di

ricerca nato dall’unione di due miei interessi: lo studio

dei Disturbi del Comportamento Alimentare e la

navigazione in rete, appunto. Per un attenta analisi del

fenomeno dei Disturbi del Comportamento in rete

bisogna innanzitutto delimitare due campi che

rappresentano poi le due direzioni in cui può avvenire la

ricerca di materiale sull’argomento. Da un lato abbiamo

il Web e cioè tutti quei siti che sono dedicati in un modo

o nell’altro a questo fenomeno, dall’altro i Newsgroups,

che sono dei gruppi di discussione tematici. Una

ulteriore distinzione può essere fatta tra siti web e

newsgroups in lingua inglese e in italiano.

Possiamo subito dire che per quanto riguarda la

lingua italiana vi è una grave lacuna in entrambe le

direzioni. I pochi siti che si trovano trattano il problema

in modo aspecifico e poco approfonditamente, oppure

sono, a mio parere, criticabili in quanto sono una specie

di tentativo mal riuscito di “terapia in rete” che sa un

po’ troppo di promo pubblicitario. Vi è qualche

eccezione ma si tratta di estratti di articoli di stampo

scientifico che trattano di Disturbi del Comportamento

Alimentare.

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Appendice II I DCA e Internet

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Per quanto riguarda i newsgroups, poi, vi è una

completa assenza nella gerarchia italiana di gruppi ove

sia possibile affrontare questi argomenti, ben

differentemente da quanto accade nelle gerarchie

straniere. Questa situazione mi ha stupito così tanto da

farmi risolvere a proporre io stesso la creazione di un

newsgroup sui Disturbi del Comportamento Alimentare.

Dedicherò a ciò un paragrafo successivo. L’iter per la

creazione del gruppo di discussione prevede la

creazione di un Manifesto del gruppo stesso in cui si

esponga lo scopo e l’area tematica del gruppo stesso.

Ben differente è la situazione per i siti e i newsgroups

stranieri. Nella mia navigazione in rete ho trovato una

grandissima quantità di materiale e di siti. Premetto che

alcuni di essi presentavano le caratteristiche negative

che ho attribuito ai siti italiani (ma sono una netta

minoranza), mentre molti altri sono ricchi di materiale

informativo.

I SITI WEB La struttura di base è in genere la stessa, cioè vi è una

prima parte dedicata all’esposizione delle caratteristiche

e dei comportamenti rivelatori dei Disturbi del

Comportamento Alimentare sia da un punto di vista

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Appendice II I DCA e Internet

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medico che psicologico e parti successive di

approfondimento. Alcuni in verità sono in parte

incompleti, ma la maggior parte sono piuttosto

stimolanti per un ulteriore approfondimento. Altri

ancora sono veramente molto completi, dei veri e propri

trattati multimediali sull’argomento sotto diversi punti

di vista, medico, psicologico, sociologico e spesso con

una parte consistente di “voci sul campo” di medici,

psicologi, ragazze coinvolte nella sindrome,

testimonianze di familiari e amici sia scritte che audio e

talvolta anche per immagini e video.

Vi sono poi delle sezioni all’interno di questi siti che

sono piuttosto impressionanti in quanto sono una sorta

di cimitero virtuale dove vi sono degli epitaffi virtuali, a

tratti molto commoventi, per persone che sono morte a

causa dei Disturbi del Comportamento Alimentare.

L’impressione che si ha visitando queste pagine è molto

simile a quella vissuta nel visitare i cimiteri militari

della seconda guerra mondiale dove sei colpito allo

stomaco per l’enormità delle vite che si spengono e

della “follia” assurda che ha causato quelle morti.

In ogni caso io penso che una delle caratteristiche più

interessanti sia l’accessibilità a tutti di un gran

quantitativo di informazioni su questo argomento,

spesso molto approfondite e, soprattutto l’enorme

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Appendice II I DCA e Internet

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spazio dedicato ai colloqui virtuali che avvengono tra i

diretti interessati. Certo, da un punto di vista clinico, si

può affermare che fin quando la singola persona non si

sensibilizzi a prendersi carico essa stessa del suo

disturbo, nessun sito web, per quanto completo potrà

risolvere il problema, ma è indubbio che essi sono

estremamente stimolanti e che danno una ricca

informazione per indirizzare le persone verso strutture

specialistiche ove sia possibile approfondire e affrontare

seriamente il problema.

Comunque ecco un elenco dei principali siti web

sull’argomento con allegata una breve descrizione:

1) Http://users.neca.com/cwildes/web.html

Questo è un sito creato da Cheryl Wildes, che ha

una sorella, Stacy, che soffre di Anoressia. Questo

sito può essere un buon punto di inizio per esplorare il

mondo dei D.C.A. in rete e solleva la questione del

Disturbo dell’immagine corporea.

2) Http://www.raderpro.com .

Questo è un sito che illustra il programma di una

comunità terapeutica per i Disturbi del

Comportamento Alimentare. Ha una impostazione

cognitivo comportamentista.

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3) Http://aabainc.org/home.html

Questo è il sito dell’Associazione Americana

Anoressia/Bulimia. È un sito prevalentemente

informativo con diverse sotto-sezioni dedicate a chi

soffre di D.C.A., agli amici e parenti, ai professionisti

e infine delle informazioni di carattere generale.

4) Http://www.mirror-mirror.org/eatdis.htm.

È uno dei siti migliori per qualità e quantità delle

informazioni. In esso compare una sezione chiamata

“Survivor’s Wall”, il Muro dei Sopravvissuti, pieno

di dediche e scritte di coloro i quali sono passati

attraverso il dramma dei D.C.A.

5) Http://www.something-fishy.org.

È, a mio avviso, il miglior sito che esista in rete per

quanto riguarda l’argomento. È un vero e proprio

trattato sugli Eating Disorders e su tutte le loro

implicazioni. Dispone, anche, di un’ampia sezione

dedicata alle persone che ne soffrono, c’è la

possibilità di iscriversi ad una Mailing List (una lista i

cui iscritti ricevono periodicamente una e.mail che li

informa delle ultime iniziative, pubblicazioni,

conferenze, centri specialistici e molto altro) e di

collegarsi in rete per conferenze audio in cui è

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possibile parlare con esperti di determinati temi

inerenti i D.C.A.. Spesso tengono queste conferenze

anche specialisti del settore conosciuti in campo

scientifico. È in questo sito che compare la sezione

“In loving memory” di cui parlavo all’inizio di questo

paragrafo.

6) Http://www.healthtouch.com/level1/leaflets/1152

07/115207.htm

La pagina web di “healthtouch” dedicata ai DCA.

Quasi tutte le informazioni sono a cura dell’ANAD

l’Associazione Nazionale dell’Anoressia Nervosa e i

Disturbi Associati. È un sito molto completo e di

taglio abbastanza scientifico.

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7) www.samurai.com/~ased

Il sito “The Alt.Support.Eating-Disord”. È il

collegamento in rete di uno dei più importanti

newsgroups della gerarchia straniera.

8) Http://laureate.com .

Al suo interno vi è la presentazione di un

programma di cura per gli Eating Disorders e il

collegamento in rete alla NEDO, l’Organizzazione

Nazionale per gli Eating Disorders.

9) Http://www.anred.com.

È il sito de “Anoressia Nervosa e i correlati Eating

Disorders”, un’associazione di specialisti e terapeuti.

10) Http://www.span.com.au/anorexia.

Questo sito è creato dall’ABNA la “Associazione

Anoressia e Bulimia” che ha sede in Australia.

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11)Http://www.overeatersanonymous.org.

Un sito dedicato a chi soffre di Iperalimentazione

Compulsiva tenuto da coloro i quali si ispirano alla

filosofia dell’associazione degli Alcolisti Anonimi

applicata ai D.C.A. Vi è anche un manifesto con i

famosi “passi” riadattato per l’occasione.

12)Http://www.mealformation.com/bmassidx.htm.

Una pagina web per calcolare il proprio BMI.

13)Http://www.primenet.com/~danslos/males./hom

e.html.

Un sito dedicato agli uomini che soffrono di

D.C.A.

14)Http://www.excite.com/communities/healt/diet_

and_nutrition/eating_disorders.

Un punto discussioni che parte da un singolo

messaggio o problema postato da qualcuno a

proposito dei D.C.A e sviluppato in maniera diretta da

chiunque voglia intervenire.

15) Http://www.foodhelp.com.

Il sito di una associazione inglese di psicologi che

si occupano di D.C.A.

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16)Http://www.noah.cuny.edu/wellcon/eatdisorders.

html.

Ampio sito con informazioni generali e sui tipi di

trattamento per i D.C.A.

I NEWSGROUPS I newsgroups sono, come abbiamo detto, delle

bacheche tematiche, dei gruppi di discussione ove

apporre i propri messaggi e iniziare delle discussioni su

un determinato argomento. Il principio è lo stesso della

posta elettronica, solo che si può scegliere di postare la

propria risposta ad un annuncio sia pubblicamente sul

newsgroup stesso che privatamente rispondendo in

modo diretto all’autore dell’annuncio. I gruppi nella

gerarchia straniera sono numerosi e molto specifici. Il

numero di messaggi in essi presente ed inviato ogni

giorno è molto alto, a testimonianza del grande interesse

che i D.C.A. purtroppo suscitano. Qui di seguito

riportiamo un elenco dei più importanti newsgroup

presenti in rete:

1.alt.food.low-fat

2.alt.recovery.compulsive-eat

3.alt.support.diet

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4.alt.support.eating-disord

5.alt.support.ocd

6.soc.support.fat-acceptance

7.alt.support.bigfolks

Come si vede la gerarchia straniera è ben “fornita”, a

differenza della gerarchia italiana ove non appare alcun

newsgroup che tratti dell’argomento. Per questo motivo

io stesso, con la collaborazione di Spinosi Sabina,

studentessa di Psicologia, ho proposto la creazione di un

newsgroup tematico chiamato it.sociale.anorexbulimia.

La procedura per la creazione di un nuovo newsgroup

prevede che venga pubblicato un manifesto che illustri

gli scopi del gruppo e dopo un periodo di discussione

sul manifesto stesso, quest’ultimo viene sottoposto ad

un periodo di voto al fine di valutare il numero effettivo

di persone interessate ad esso. La votazione e tuttora in

corso e i voti necessari alla sua approvazione sono 75 ed

il manifesto ne ha già ricevuti 65. Questo a

testimonianza dell’attenzione rispetto a questo tema.

Riporto di seguito il testo integrale del manifesto del

gruppo:

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Modulo per Richiesta Formale di Discussione

(RFD) ___________________________________________

______________________________ Nome e Cognome del proponente: Mario Sgambato Indirizzo di Posta Elettronica del proponente: [email protected] ___________________________________________

_______________________________ 1. Nome del gruppo proposto: it.sociale.anorexbulimia 2. Titolo del gruppo Anoressia,Bulimia,Iperalime.Compulsiva,Parliamone

! *L'argomento del gruppo tratta tutte le implicazioni

personali, psicologiche, affettive, familiari, sociali legate alla presenza di un Disturbo del Comportamento Alimentare.

*In questo contesto, al gruppo trovano accesso tutte le discussioni, le domande, le proposte di chi ha o ha avuto un Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) e delle persone (genitori, parenti, compagni, amici etc.) che sono o sono stati coinvolti in questa realtà.

*Scopo del gruppo e' anche: *Creare la possibilità di un proficuo scambio di

informazioni per il reperimento di materiale sui DCA, scientifico e non (Associazioni, Bibliografia,

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Newsgroups stranieri, Siti Web, Gruppi di autoaiuto, etc).

*Attuare lo scambio di opinioni sulle tecniche terapeutiche per la cura dei DCA.

*Offrire un punto di riferimento, di dialogo e di confronto tra chi soffre in prima persona di un DCA.

*Favorire il dialogo e il confronto delle esperienze di chi è vicino ad una persona che soffre di un DCA.

*Sono accettati anche gli interventi di professionisti che favoriscano il dialogo, purché non si trasformino in sola speculazione teorica o in una terapia in rete.

Sono assolutamente OFF TOPIC (fuori tema): *Messaggi pubblicitari. *Crossposting selvaggio e/o eccessivo. *Catene di S. Antonio. *Messaggi di natura offensiva, volgare e/o

denigratoria. *Messaggi che possano ledere la libertà e/o la

dignità della persona. *Messaggi illegali a norma di legge. *Annunci personali che sono più adatti ad essere

incanalati via e.mail anziché favorire la discussione nel gruppo.

La proposta di creare questo gruppo nasce dal

desiderio di colmare un vuoto presente, a nostro giudizio, nella gerarchia Italiana su un tema di sempre maggiore diffusione come testimoniato dalla presenza nella gerarchia internazionale di numerosi gruppi inerenti a questa tematica (alt.recovery.compulsive-eat, alt.support.eating-disord, soc.support.fat-acceptance etc.).

_______________________________________________ versione 1.11 del 17 febbraio 1998 - Gruppo Coordinamento News in Italia

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Al di là dell’effettiva approvazione o meno del

newsgroup, la sua proposta mi ha dato la possibilità di

entrare in contatto epistolare elettronico con un certo

numero di ragazze e qualche ragazzo che sono coinvolti

direttamente nei Disturbi del Comportamento

Alimentare. Di questo “colloquio fitto” e talvolta molto

forte emotivamente, riporto qui di seguito alcune

testimonianze, tenendo presente che ciò che segue sono

solo, appunto delle lettere e niente di più, senza alcuna

pretesa di osservazione clinica, cosa che del resto

sarebbe assurda data la natura specifica del mezzo di

comunicazione.

Inoltre alcune risposte vengono da parte di persone

che hanno risposto ad un mio annuncio su vari

newsgroups sia italiani che stranieri.

Per ovvi motivi di correttezza e riservatezza i nomi e

qualsiasi riferimento più specifico all’identità della

persona sono criptati, sebbene sia stato loro chiesto il

permesso di utilizzare il materiale epistolare per questo

lavoro.

From ♣♣♣@aol.com Fri Oct 02 14:20:03 1998 Newsgroups: alt.support.eating-disord Subject: Re: EATING DISORDERS From: ♣♣♣@aol.com (♣♣♣) Date: 2 Oct 1998 13:20:03 GMT >Which is your story?

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I became anorexic at the age of 11 or 12 . i was a gymnast. very tall

for my age. wanted to stunt my growth and be small. i had low self esteem. Became bulimic at 18 in college. I am now 24 and still working on recovery.

>Which therapy have you do or are you doing? I saw an eating disorder specialist from ages 12 to 20. was

hospitalized three months on an ed unit. The next year went into residential treatment for nine months. My senior year of highschool I had a heart attack and was on a med unit. I have had talk therapy, family therapy, group therapy, behavior modification, hypnotherapy, biofeedback, art therapy, and music therapy. I now see a cognitive behavioral therapist. I have done neg vs pos mind journaling.

>What have you expected? To recover fully and be free of obsessions and compulsions. To be

able to relate with others and not be afraid of others. >Today, who are you? Someone in recovery. Someone who like to feel loved. who likes

to have fun. Who wants a family and children. >Today, what you do? Part time student, part time worker, therapy

Da:♥♥♥[SMTP:♥♥♥@mailcity.com] Inviato: sabato 10 ottobre 1998 21.23 A: [email protected] Oggetto: DCA Salve...sono ♥♥♥ e ho 26 anni. Non so se ciò può esserti utile..cmq volevo raccontarti per sommi

capi la mia storia. Nel 1995 sono stata anoressica. Non ero grassa (pesavo 44 kg su 1,58), ma volevo vedermi ancora

più magra.. odiavo la mia "pancia". Così sono arrivata a pesare 36 kg.. cosa mangiavo??? una mela al

giorno.. nulla di più.

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Non amavo il mio corpo, sapevo di essere troppo magra, ma nello stesso tempo temevo di ingrassare. Il tutto ha avuto la durata di circa 6 mesi, dopodiché mi è arrivata una fame insostenibile(come se dovessi recuperare tutto ciò che avevo perso in quei mesi).

Non so se era bulimia.. forse si...cmq...ero capace di passare al supermercato... tornare a casa.. e mangiare consecutivamente.. x esempio:1\2kilo di pasta, 3 gelati e un pacco intero di biscotti. Per fortuna non sono ingrassata troppo (il max a cui sono arrivata è stato 58kg), poi mi sono rimessa a dieta.. e ho ripreso a mangiare poco e male. Così adesso peso 52 kg circa.. non sono del tutto soddisfatta del mio corpo, ma mi accetto. Però credo di avere, ovviamente, il metabolismo stravolto. Mangio ancora poco, se ogni tanto capita che eccedo, poi mi sento in colpa e non mangio per almeno una settimana proprio nulla.

Per quanto riguarda le terapie...beh...credo che la terapia migliore siano stati gli amici, i miei genitori non volevo ascoltarli. Ah, se questa notizia può esserti utile...anche mia sorella è stata anoressica con diverse ricadute.. e con forme accentuate anche di bulimia.

Proprio come si dice di noi anoressiche, nella mia famiglia non mi è mai mancato niente, né dal punto di vista affettivo, né da quello pratico...a meno che io non mi renda conto che sia mancato qualcosa, ma non credo.

Ultima cosa.. non credo di essere guarita totalmente.. nel senso che mi rendo conto che il mio rapporto col cibo resta cmq conflittuale.

Se hai bisogno di altre informazioni scrivimi... Saluti..... ♥♥♥ Da: Mario Sgambato[SMTP:[email protected]] Inviato: mercoledì 14 ottobre 1998 16.26 A: ♥♥♥ Oggetto: R: da Mario<[email protected]> Ciao, e grazie della tua risposta. Scusa se ti rispondo dopo un po', ma sono stato molto impegnato in

questi giorni. Grazie per il racconto a grandi linee della tua storia. L'ho molto apprezzato. Nella tua lettera mi hai accennato a due cose che mi hanno molto incuriosito. Mi chiedevo se avevi voglia di spiegarmele meglio. Ad un certo punto mi hai detto che spesso provi dei sensi di colpa dopo aver mangiato. Ma ti succede sempre? In pratica mi chiedevo quali erano i pensieri che hanno accompagnato tutte le vicende di cui mi hai parlato. Mi rendo conto che è una domanda molto personale, rispondimi se ti va.

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Appendice II I DCA e Internet

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L'altra frase che mi ha colpito è quella in cui dici che secondo te la migliore terapia sono gli amici e in parte i tuoi genitori. Cosa ti ha spinto a pensare questo? Hai avuto delle esperienze andate male in qualche terapia tentata?

Grazie di nuovo, spero di sentirti presto. P.S. Cosa ne pensi della mia idea di creare un newsgroup italiano che si

occupi di Disturbi del comportamento alimentare? Ciao Mario. To: "Mario Sgambato" <[email protected]> Date: Wed, 21 Oct 1998 13:33:13 -0700 From: ♥♥♥<♥♥♥@mailcity.com> Subject: Re: R: da mario<[email protected]> Ciao Mario, sono ♥♥♥.. ti rispondo io stavolta in ritardo perché ho

avuto l'hard disk rotto. Tornando alla mia storia.. beh si quasi tutte le volte che mangio.. se

so che va al di sopra delle 1000\1200 kcal mi fa sentire in colpa...e allora "mi punisco" mangiando di meno i giorni successivi.. per rientrare nei miei jeans. Per quanto riguarda famiglia e amici intendevo dire che loro mi hanno aiutato a capire che rischiavo di morire se continuavo a dimagrire.. ma ciò che è stato importante è stato la loro maniera dolce di farmi capire tutto ciò. La mia era.. e forse ancora un po’ lo è.. una lotta contro il cibo.. cioè: cibo=grasso=non mi piaccio.... Da questo punto di vista credo di essere guarita completamente....in quanto adesso mi piaccio per quella che sono dentro.. e cerco di mantenere cmq anche una buona forma fisica..(anche se i sensi di colpa nei confronti di ciò che mangio ci sono comunque).

Sarei contenta di sapere qualcosa riguardo la tua idea di creare quel newsgroup sui disturbi alimentari....

E in ogni caso puoi, se vuoi, chiedermi dell'altro sulla mia malattia. Per me non è un problema parlarne...non me ne vergogno, come forse invece fanno altre ragazze.

Ti saluto. ♥♥♥ Da: Mario Sgambato[SMTP:[email protected]] Inviato: sabato 24 ottobre 1998 15.39 A: ♥♥♥

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Appendice II I DCA e Internet

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Oggetto: R: da Mario Ciao, sono contento che ti interessa la mia idea per la creazione di

un newsgroup sui DCA. L'idea mi è nata quando, facendo le mie ricerche per la tesi mi sono accorto che non esiste nella gerarchia italiana un ng specifico sui DCA, tipo alt.support.eatingdisord e altri simili per intenderci, e così, al di là di quelli che erano i miei interessi del momento, ho pensato che poteva essere una buona idea crearne uno. Ora sto stilando un manifesto che va inviato al gruppo di coordinamento dei ng italiani e poi seguirà una votazione on line che deciderà, in base ai consensi ricevuti, se approvarne la creazione. Io spero tanto che la mia idea riscuota successo. Se ti va, non appena pronto, ti mando la bozza del manifesto.

Non so se sono completamente d'accordo con te sulla definizione che tu hai dato di un DCA, cioè che sia una lotta contro il cibo. Io penso che la lotta contro il cibo nasconda una lotta ben più importante, che ne pensi?

Ho letto un libro molto illuminante su questo argomento, pieno di testimonianze di ragazze che vivevano questo problema, mi ha colpito molto.

Mi piace sentire la tua energia anche nel parlare del tuo DCA, sai spesso mi è capitato di discuterne con persone che ci erano dentro fino al collo ma mai avrebbero ammesso ad un altro la loro realtà, né l'avrebbero definita con la qualità di un problema da affrontare, non so se capisci cosa intendo.

Beh, a presto! Mario To: "Mario Sgambato" <[email protected]> Date: Wed, 28 Oct 1998 08:24:21 -0700 From: "♥♥♥" <♥♥♥@mailcity.com> Ciao Mario...scusa se rispondo col mio solito ritardo. Sarei felice di ricevere una bozza del manifesto sul newsgroup, e

comunque dimmi se posso esserti utile anche in altro modo. Per quanto riguarda la mia espressione di "lotta contro il cibo", beh sì, forse non mi sono espressa al meglio .Di certo, controllare il

cibo significa anche mantenere un certo peso forma per me e il mio peso corporeo influisce molto sul mio umore. Intendo dire che sono tutt’oggi contenta dei miei 50\52kg,ma sono sicura che non mi piacerei e dunque accetterei se pesassi di più.

Capisci? Pur sapendo ciò' che valgo "dentro", non riuscirei ad accettarmi pienamente se avessi un peso superiore alla norma.

Dammi, se puoi, altre notizie sul newsgroup. E buona ricerca! Ciao..... ♥♥♥

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Da: Mario Sgambato[SMTP:[email protected]] A: ♥♥♥ Ciao, ti rispondo anche io in ritardo, perché sono stato molto

impegnato con lo studio, scusa. Come va? Ti spedisco in P.S. il manifesto del ng. Fammi sapere le tue

opinioni!! Ho una domanda su quello che mi hai scritto (ormai ho iniziato e

non riesco a smettere, spero che tu abbia ancora pazienza!). Il fatto che tu senti che non ti accetteresti oltre i 50/52 chili, quanta energia ti fa spendere la preoccupazione di non “sforare”, cioè quanto riesci ad essere serena con questo pendaglio sulla testa?

Questo è tutto per oggi! Ciao, a presto, Mario. P.S. Modulo per Richiesta Formale di Discussione (RFD) (vedi sopra) To: "Mario Sgambato" <[email protected]> From: "♥♥♥" <♥♥♥@mailcity.com> Ciao Mario!!! Che piacere risentirti!!!!!! Allora, più che darti una definizione ben precisa, perché proprio

non te la so dare, posso dirti che sia il rifiuto del cibo che il suo opposto, nascono sicuramente dal sentirsi "non amata", soprattutto in famiglia. Ad esempio, la mia famiglia potrebbe essere una famiglia modello: benestanti, ottima educazione, affetto..... ma dimostrato in tantissimi regali...ma pochi abbracci e carezze.....soprattutto nel periodo critico, adolescenziale. E da qui...credo (almeno per me), il rifiuto del cibo(o il contrario) per "mettersi al centro dell'attenzione" (cosa di cui mi rendo conto solo a posteriori).

Allora....forse il tutto porta ad una conclusione: voglia di amore. Forse non ti ho aiutato a trovare la soluzione del tuo problema, ma resto comunque a tua disposizione, con molto piacere, per ogni chiarimento o altre domande.

A presto!!!! Baci... ♥♥♥ :-))

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Da: ♦♦♦[SMTP: ♦♦♦@linet.it] Inviato: lunedì 5 ottobre 1998 7.47 A: [email protected] Oggetto: DCA Ho letto la tua richiesta e ti rispondo, non per i tuoi studi, ma per

aiutare le persone, che conosci. Sai, chi è bulimico o mangiatore compulsivo, anche se migliorerà e

rasenterà la guarigione, secondo me, non guarirà mai. Puoi tenere a bada gli attacchi bulimici, ma sarà sempre mangiatore compulsivo.

In tutte le maggiori città italiane, esistono gruppi di OVEREATERS ANONYMOUS, il cui numero telefonico nazionale è 06-6638875.

Sono gruppi di auto-aiuto, che possono, forse, aiutare chi soffre di tali disturbi.

Anche tu - se sei interessato - puoi partecipare a tali riunioni: basta che tu chieda - quando telefoni e saprai il gruppo a te più vicino o

più comodo - quando quel gruppo tiene riunioni aperte. A quelle riunioni, potrai andare ed ascoltare.

Verrà risposto alle tue domande, se le farai durante le riunioni, alla fine delle riunioni :in riunione, non si fa dialogo ma, dopo la fine delle riunioni, potrai fare tutte le domande che riterrai utili.

Se vuoi ottenere, per iscritto, risposte, scrivi a Overeaters Anonymous -Casella Postale 63 - 50041 - Calenzano (Fi).

Dimenticavo; il gruppo è totalmente GRATUITO. Dopo che avrai telefonato e ti sarai informato, sono a tua

disposizione per chiarirti qualsiasi dubbio. A presto e.... fammi sapere . ♦♦♦ Da: Mario Sgambato[SMTP:[email protected]] Inviato: martedì 6 ottobre 1998 23.35 A: '♦♦♦@linet.it' Oggetto: R: Mario Sgambato, [email protected] Ti ringrazio per la tua risposta, ho letto con molto interesse le

informazioni che mi hai dato sui gruppi Overeaters Anonymous e

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penso che il sia un buon punto di riferimento il numero che mi hai dato. Ho però una perplessità. Da come mi parli mi sembra che i gruppi siano strutturati anche per chi è vicino a persone con DCA, altrimenti che senso ha il tuo suggerimento che sia io a chiamare l'associazione? In questo senso io potrei porre domande sulla realtà che vivo stando accanto a persone che soffrono di DCA?

Grazie di nuovo e a presto! Mario Da: ♦♦♦[SMTP:♦♦♦@linet.it] Inviato: mercoledì 7 ottobre 1998 19.38 A: Mario Sgambato Oggetto: O-ANON Innanzitutto, chiedevi di poter ascoltare le esperienze di persone

con disturbi del comportamento alimentare: e, quindi, partecipare ad una riunione aperta, forse può servirti per conoscere le esperienze delle persone, che ne soffrono. Poi, una volta che hai telefonato, anche se non vi parteciperai, potrai sempre indicare alle persone che ti stanno a cuore, che possono - forse -essere aiutate, - oltre che dalle terapie-, anche da tale gruppo.

Infine, sì: in alcune città esistono, accanto alle riunioni di O.A., riunioni di O-ANON per familiari, amici, conoscenti.

Devi informarti sempre a quel numero, che ti fornirà il numero telefonico di una persona della tua città, che ti potrà dare altre informazioni.

Comunque, se vuoi, puoi cercare sul WEB: www.overeatersanonymous.org. e chiarirti le idee.

Infine, poiché stai facendo una tesi, ti consiglierei di farti inviare l'elenco dei testi della casa editrice POSITIVE PRESS di Verona,

che ha pubblicato molti testi sul problema. Buon lavoro. Sono sempre a disposizione per qualsiasi altra informazione . ♦♦♦

Da: ΦΦΦ.[SMTP:ΦΦΦ@tin.it] Inviato: mercoledì 14 ottobre 1998 20.22 A: Mario Sgambato Oggetto: R: da Mario<[email protected]>

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Ciao, ho iniziato ad avere problemi con il cibo all’età di 13 anni; pesavo circa 50 kg e mi sentivo goffa, inadeguata rispetto alle mie coetanee. Inoltre in quel periodo era nata mia sorella, della quale ero tremendamente gelosa, visto che mi "rubava" i miei privilegi di figlia unica e le attenzioni dei miei genitori. Ho riversato tutta la mia ansia e la mia paura nel cibo e in poco tempo sono arrivata a pesare 32 kg, assumendo lassativi, ormoni tiroidei e facendo molta attività fisica, oltre a non mangiare. L'attenzione dei miei genitori si e' di nuovo rivolta a me e ogni pasto era un campo di battaglia. Ho subito diversi ricoveri, di cui uno in clinica psichiatrica, circa 7 anni fa, che non ha dato alcun frutto, visto che, una volta uscita ho ripreso a fare come prima. Oramai il meccanismo si era innescato ed era molto difficile fermarlo visto che poi non lo volevo neanche.

Gli anni successivi sono stati un continuo miglioramento-peggioramento nel senso che ho trovato un lavoro, ho un ragazzo ma solo ora, sto veramente cercando di uscire dalla mentalità' anoressica dove la magrezza e' alla base della tua autostima e la bilancia il tuo giudice del tuo valore come persona. Accanto a me lavora uno psicologo, in cui credo molto .Vorrei veramente riuscire ad uscirne, soprattutto perché coltivo un sogno che è quello di aiutare le ragazze che come me soffrono di questa malattia che ti logora e logora tutti coloro che ti vogliono bene. Attualmente peso 38.4 e sono alta 1.54 cm. Ho paura di non essere riuscita a sintetizzare bene ciò' che ho passato, anche perché è difficile riassumere in poche righe ciò che ho passato in dieci anni. Se ti interessano altri particolari, contattami pure. Sono a tua disposizione.

A proposito, conosci la e-mail di qualche ragazza che ha lo stesso problema?

Un salutone. ΦΦΦ A: ΦΦΦ Oggetto: R: da Mario<[email protected]> Ciao, penso che non sia facile sintetizzare una esperienza come la

tua, anzi, ti ringrazio per quello che mi hai raccontato. Io spero tanto che lo sforzo che stai facendo ti dia i frutti che speri, ti sento davvero carica e penso che questo sia un buon modo per partire. Sai, se ti può interessare, spesso mi è capitato di sentire da persone autorevoli che chi ha sofferto di un Disturbo del Comportamento Alimentare e ha poi deciso di diventare terapeuta, ha rivelato una sensibilità fuori dal comune nel suo operato. Certo, prerequisito fondamentale è stato un lungo lavoro su se stessi per risolvere il proprio DCA.

Ora vorrei farti alcune domande che mi sarebbero di grande aiuto. Vuoi?

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Sai, a me interesserebbe molto conoscere maggiori particolari sulle tue vicende terapeutiche. Per esempio i ricoveri a cui accenni nella tua lettera di che tipo sono, e in quello psichiatrico cosa è avvenuto?

Poi mi chiedevo come sei arrivata al tuo psicologo, cosa ti aspettavi di trovare in terapia prima di iniziare e cosa invece hai trovato poi. Un'ultima cosa è chiederti che tipo di terapia svolge il tuo psicologo. Spero di non essere indiscreto.

Io conosco qualche indirizzo di persone che hanno il tuo stesso problema, ma prima di inviartelo debbo chiedere la loro approvazione. In ogni caso puoi trovare molti indirizzi al sito http://www.something-fishy.com. Sbirciando vedrai che c'è una sezione dedicata a persone che soffrono per un DCA e che vogliono comunicare tra loro e puoi aggiungere tu stessa il tuo nome alla lista. La maggior parte delle persone sono inglesi o comunicano in quella lingua, ma ci sono anche alcuni italiani.

Ciao, spero di risentirti presto. Mario. Da: ΦΦΦ[SMTP: ΦΦΦ@tin.it] Inviato: lunedì 19 ottobre 1998 20.06 A: Mario Sgambato Oggetto: ΦΦΦ Ciao Mario, i ricoveri di cui ho avuto esperienza sono stati tutti di

tipo prettamente medico, atti soprattutto a risollevare il peso, ma questo si scontrava con la mia volontà. (pensa che mi strappavo addirittura le flebo). Nel primo ricovero in clinica psichiatrica sono stata trattata con massicce dosi di psicofarmaci: antidepressivi, calmanti, ecc.

Di quel periodo, durato un mese, riservo un vago ricordo, perché ho dormito tanto, ma tanto.....

Quando sono uscita, da trentadue Kg., ne pesavo quarantasette ma i miei problemi non erano risolti.

Mi sono guardata allo specchio e mi sono odiata. Dio quanto mi sentivo grassa e ingombrante ...... Ho ripreso a fare la vita di prima, anche se non sono mai più scesa

a trentadue kg. L'ultimo ricovero, di pochi mesi fa è stato in una struttura

specialistica per i DCA e nonostante la mia motivazione ha dato esito infruttuoso.

Ora sono punto e a capo, ma con una grande voglia di stare bene fisicamente ed emotivamente ed in questo mi è d'aiuto il mio psicologo, che io stimo moltissimo e che segue un approccio di tipo cognitivo comportamentale.

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Spero di aver soddisfatto le tue richieste: eventualmente ho anche scritto una breve autobiografia (se ti può essere utile).

Grazie per l'indicazione relativa al sito http://www.something-fishy.com .

Fatti sentire. ΦΦΦ Da: Mario Sgambato[SMTP:[email protected]] Inviato: sabato 24 ottobre 1998 16.15 A: ΦΦΦ' Oggetto: R: da Mario CiAo, mi sa che ora non devi amare tanto i medici!! Scherzi a parte, da

quanto ho capito, non deve essere stato per niente piacevole essere ricoverata. Io ho un bel po' di orrore per l'approccio ESCLUSIVAMENTE medico ai DCA e quello che mi racconti me lo aumenta. C'è una frase che mi ha molto colpito (l'ho letta su un libro che parlava di DCA) ed in pratica esprimeva il concetto che chi soffre di un DCA, in realtà soffre di una profonda insoddisfazione verso se stesso e verso la propria vita, insoddisfazione che poi trasferisce sul proprio corpo. Io non amo molto le definizioni (come si può racchiudere un'intera persona in poche parole?), però almeno questa frase mi ha fatto riflettere, come il resto del libro.

Ti informo che i preparativi per la creazione del newsgroup vanno avanti alla grande. Se ti va, ti posso mandare il manifesto, così mi potresti dire cosa ne pensi.

Se per te va bene mi andrebbe molto di leggere la tua autobiografia, indipendentemente dal fatto che mi possa essere utile.

A presto!! Mario. Da: ΦΦΦ[SMTP: ΦΦΦ@tin.it] Inviato: lunedì 19 ottobre 1998 20.06 A: Mario Sgambato Mi chiamo ∇∇∇ e sono il ragazzo di ΦΦΦ; Innanzitutto desidero porti gli auguri di un felice 1999 da parte mia

e di ΦΦΦ. Ti chiederai come mai rispondo io al tuo messaggio, ebbene presto spiegato. Dopo anni di sforzi, tentativi e ricoveri sembra che ora ΦΦΦ ce la stia facendo.

Prima dell'ultimo ricovero ha rischiato molto a causa della situazione di sottopeso in cui si trovava, e probabilmente lo spavento preso le è servito per farla correre ai ripari.

Ora segue uno schema alimentare fisso da cui non esce nemmeno di uno spillo. Questo le provoca molti problemi a livello psicologico e

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crisi momentanee che cerca di risolvere assieme alle persone che la seguono.

Il fatto di stare meglio fisicamente l'ha portata a poter dedicarsi a tutte quelle cose che a causa della sua salute ha sempre lasciato da parte, e quindi abbiamo deciso di vederci solamente un paio di volte alla settimana, in modo che lei abbia abbastanza tempo per se.

Da questo ne deriva che il suo tempo dedicato al computer è praticamente quasi nullo. Qualsiasi tuo messaggio comunque le sarà recapitato al sabato o alla domenica e appena ricevuta la sua risposta provvederà ad inviartela come ho fatto oggi per gli auguri.

Per quanto riguarda il newsgroup, essendo molto interessato anch'io, l'ho votato subito. Siamo entrambi sulle spine nella speranza vada bene, e siamo anche d'accordo sul fatto che sarà molto utile a tante persone.

Rinnovando gli auguri ti saluto. Ciao ∇∇∇

From: "ℜℜℜℜ" <ℜℜℜℜ> To: <[email protected]> Subject: Disturbi alimentari Date: Sun, 1 Nov 1998 08:31:22 +0500 Sono una mangiatrice compulsiva; se vuoi sono a tua disposizione. From: <[email protected]>"ℜℜℜℜ" <ℜℜℜℜ> To: "ℜℜℜℜ" <ℜℜℜℜ> Subject: Disturbi alimentari Ciao, grazie per la tua risposta e per la tua disponibilità! Scusa se ti rispondo solo ora, ma sono stato fuori. Sai io sono interessato a conoscere degli aspetti particolari legati a

chi fa una terapia per un Disturbo del Comportamento Alimentare, ma in generale mi interessa molto scambiare delle opinioni su questo argomento, perché ho alcune persone a me molto care che hanno questo problema e spesso mi pongono delle domande sull'argomento in generale e sulle terapie in particolare. Per quanto io mi interessi molto alla cosa, penso che chi ha fatto quest'esperienza o la stia

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facendo possa saperne molto di più di me.

In genere le domande che mi pongono più altre che io vorrei porti sono queste:

Qual è la tua storia? Come sei arrivata a definire il tuo DCA? Che tipo di terapia hai fatto o quale stai facendo? Cosa la terapia ha cambiato dentro di te? E nella tua famiglia, nei

confronti dei tuoi genitori, dei tuoi amici e dei tuoi cari? Cosa ti aspettavi quando hai iniziato? E ora cosa hai trovato? Oggi, Chi sei? Oggi, cosa fai? Al di là delle domande mi farebbe molto piacere, come dicevo su,

parlare con te degli aspetti dei Disturbi del Comportamento Alimentare.

Se ti può interessare, sto lavorando su una proposta per la creazione di un newsgroup italiano esclusivamente dedicato ai DCA.

Se vuoi ti posso spedire la bozza del manifesto, mi farebbe piacere conoscere la tua opinione in merito.

Ciao, a presto, Mario From: "ℜℜℜℜ" <ℜℜℜℜ> To: <[email protected]> Subject: Disturbi alimentari 15.02 04/11/98 +0500 Ciao Mario, scusa la curiosità, ma vorrei sapere se sei un medico, uno psicologo

o qualcosa di simile, perché è strano che qualcuno si interessi a questi problemi solo per simpatia, anche se sarebbe bello che lo facessero tutti.

< Qual è la tua storia? La mia storia inizia molti anni fa, ora ne ho 37; fino ai 20/25 anni

non ho mai avuto grossi problemi di alimentazione; a causa di qualche chilo che andava e veniva mi mettevo a dieta e tutto si risolveva in poche settimane di astinenza. Dopo questa età ho avuto diversi problemi che, più o meno inconsciamente, mi hanno portata a cercare il cibo come ancora di salvezza. Dopo aver preso un discreto numero di chili, schifata cercavo di mettermi a dieta, calavo di alcuni chili (mai tutti) e li riprendevo puntualmente con l'aggiunta. Senso di frustrazione, incapacità di accettarmi sono sempre stati all'ordine del giorno.

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> Come sei arrivata a definire il tuo DCA? È da pochissimo tempo che ho ammesso con me stessa e con le

persone più care di avere un problema con il cibo. Prima mi nascondevo dietro frasi tipo "Ho il metabolismo lento", oppure "Basta l'odore a farmi ingrassare" e mentre lo dicevo pensavo di andare a comprare la Nutella..

> Che tipo di terapia hai fatto o quale stai facendo? Ho fatto mille terapie, diete, trattamenti estetici senza risultati. Sono stata in terapia da uno psicoterapeuta per quasi tre anni, e,

perlomeno, oggi non sono più così cattiva con me stessa. Ora non mi sento senza forza di volontà, so di avere una grande forza di volontà che è tutta protesa a non mettermi a dieta.

Nei momenti buoni riesco anche a non strafogarmi; da ultimo sto provando con lo Xenical, la famosa pillola brucia grassi. Vedremo, per ora resisto.

> Cosa la terapia ha cambiato dentro di te? E nella tua famiglia, nei confronti dei tuoi genitori, dei tuoi amici e dei tuoi cari? La mia famiglia è stato l'osso più duro. Nessuno di loro ha questi

problemi e non mi capivano per niente; ora forse un po' di più, perché' io per prima ne parlo.

Ho frequentato anche un gruppo di Overeaters Anonymous (terapia simile agli Alcolisti Anonimi), e trovarmi con tante persone col mio stesso problema mi ha aiutata ad accettarmi un po' di più.

E mi ha portata a parlarne con amici, parenti, senza troppe paure. Affrontare la realtà è stata duro, ma anche liberatorio. E' quello che

consiglio a tutti. Forse all'inizio ti guardano come una pazza, ma poi un mano tesa la trovi.

Nel momento in cui mi prende l'attacco alimentare (come lo chiamo io) telefono ad un amico e chiedo aiuto. Così si esce, si fan due passi o si parla anche solo un po', e tanto l'ansia scende e il momento è passato.

Ora non ho più paura di dire a mio marito: Ho avuto un attacco compulsivo. Sa cosa vuol dire, e poterlo raccontare liberamente è di grande aiuto.

> Cosa ti aspettavi quando hai iniziato? DIMAGRIRE e nient'altro. > E ora cosa hai trovato? Un po' di serenità, e il frigo non è più il mio solo sfogo. > Oggi, Chi sei? > Oggi, cosa fai?

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Oggi sono quella di ieri, ma con una maggiore consapevolezza, e un po' più di amore per me stessa.

L'autolesionismo non mi lascerà mai, ma riuscire ad essere astinente dal cibo anche solo per 24 ore è già una grande conquista.

Aspetto una tua risposta e uno scambio di idee. Ciao ℜℜℜℜ

Da: ℑℑℑℑℑ@aol.com[SMTP:ℑℑℑℑ@aol.com] Inviato: mercoledì 7 ottobre 1998 14.42 A: [email protected] Oggetto: Re: EATING DISORDERS I am recovered from both anorexia and bulimia. Which is your story? I developed anorexia when I was seventeen years old. I am 6

feet 8tall and big boned, and weighed about 200 pounds9 prior to developing anorexia. I lost over seventy pounds10 in six weeks from not eating. I also used laxatives and made myself vomit. After about two years, I began to lapse into bulimia, and began bingeing and vomiting on a regular basis. This lasted for about ten years. At my worst I would binge about 8-10 times a day and would take over 100 laxatives a day.

Which is your EDs? See above. Which therapy have you do or are you doing? I was in therapy briefly during my anorexia, but didn't have

much success. It wasn't until I went to see a psychanalyst and spent five years working with him that I was finally strong enough to overcome it.

8 Circa un metro e ottanta cm 9 Circa 90 Kg. 10 Circa 31 Kg.

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What was the therapy changed within you? And within your family, your parents, your friends, your loved ones?

The way that therapy changed me is that it made me a stronger

person. I learned to rely on myself more, and also learned better coping mechanisms. I no longer have to do something destructive when I feel upset. I have also learned to like myself, and am willing to fight for myself, which I was unable to do before. As for my family and friends, I have learned to set boundaries and have made it clear to them that they can either accept me as I am or I will not have anything to do with them.

What have you expected? I have learned to stop expecting everything to be perfect. I

used to think that everything had to be perfect, including myself, or it wasn't worth doing or having. I have learned to accept the fact that just okay is good enough.

Today, who are you? Today I am a much stronger woman, and I no longer feel that i

have to hurt myself in order to get what I need. Today, what you do? Today I work in an office while I pursue a degree in

psychology at Harvard University. I hope I have answered some of your questions. I feel it is

important for people to learn as much as they can about eating disorders and so I don't mind talking about my experience. If I can answer any more questions for you, please feel free to let me know.

Molte di queste lettere sono poi proseguite in uno

scambio epistolare molto fitto e confidenziale dandomi

molto, oltre che sul piano delle conoscenze, anche sul

piano umano. Logicamente non è possibile proporre in

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questa sede le altre lettere per una questione, io direi, di

etica, non solo professionale, ma soprattutto umana.

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APPENDICE III

I CONVEGNI

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Appendice III I Convegni

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In questa appendice racchiudo i programmi dei

convegni a cui ho partecipato e che trattavano dei

Disturbi del Comportamento Alimentare.

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BIBLIOGRAFIA

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RINGRAZIAMENTI

Quando li leggi sulle tesi altrui sembrano un passo

obbligato, ma poi quando tocca a te scriverli

personalmente, ti accorgi che sono sentiti.

Quindi ringrazio:

• i miei genitori per il “lavoro” che hanno fatto con

me e con loro i miei fratelli per i notevoli sacrifici

che hanno sostenuto per permettermi di studiare e

raggiungere questo risultato;

• la mia ragazza, Sabina, per il sostegno, l’occhio

critico e la collaborazione che mi ha dato nella

stesura della tesi;

• il dott. Giovanni Caputo, per il suo sostegno, la

sua professionalità, la sua consulenza e la fiducia

che ha avuto in me nei momenti difficili;

• i miei amici Giuseppe, Dino, Enzo, Marilena e

Patrizia per essersi dimostrati ancora più amici

nello spronarmi a concludere questa fase della mia

vita;

• il dott. Saluzzi Pasquale per lo spirito critico e i

suggerimenti datimi nella stesura della tesi;

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• il prof. Maurizio Andolfi per gli insegnamenti che

mi ha dato durante il corso di laurea e per

l’entusiasmo che investe nella sua professione;

• i miei amici Domenico e Agostino per la pazienza

con cui hanno sopportato i miei orari folli e il mio

disordine nel nostro appartamento in questo

periodo;

• i miei cugini Giulia, Checco, Mario, Mirko,

Marinella e Massimo per il loro affetto e i loro

consigli.

• tutti coloro i quali, presenti e passati, mi hanno

ritenuto degno di confidarmi il loro vissuto di

sofferenza a causa di questi disturbi, nella

speranza che riescano ad avere una vita migliore.

Infine questa tesi la dedico ai miei Nonni e a mio zio

Lino, tre persone per le quali pagherei miliardi perché

fossero ancora qui: i primi mi avrebbero cucito il vestito

di laurea più bello del mondo, il secondo ne avrebbe

detta una delle sue (sulla laurea, sulla commissione, su

qualsiasi cosa) facendoci ridere e stare bene tutti con il

suo splendido senso di ironia verso la vita, quello che

solo una persona che amava veramente la vita e i suoi

cari come faceva lui poteva avere, ma le cose sono

andate diversamente.

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Saranno per me sempre un esempio di vita.

A tutti grazie infinite.

Mario