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2Conclusasi la tre giorni di seminario e musicavoluta dal maestro Paolo Cimmino, direttore del“Percussion Ensemble”, ed organizzata daMusicateneo, l'artista israeliano Zohar Fresco,prima del ritorno a casa, ha scambiato due parolecon il sottoscritto per il nostro magazine. Percussionista di fama internazionale, maestro ditamburi a cornice, con all'attivo numerose colla-borazioni negli ambiti più alti del jazz contempo-raneo, nonché organizzatore del “PeimontFestival” di Gerusalemme, Zohar Fresco è giuntoall'Università di Salerno per un incontro didatticodi due giorni più un concerto conclusivo, accom-pagnato dal Musicateneo Percussion Ensemble,tenutosi nel Teatro di Ateneo. Vincendo in extremis i numerosi impegni, masoprattutto la timidezza e la riservatezza dell'arti-sta, riesco a porgergli alcune domande, che potre-te leggere qui di seguito, con le relative risposte,in "libera" traduzione dall'inglese all'italiano. Zohar, come stai? Come ti è sembrata l’espe-rienza qui a Salerno? Bene, grazie! É stato un piacere per me incontra-re Paolo e tutti questi studenti. Sono rimasto pia-cevolmente sorpreso dall'interesse che ho trovatoqui per le percussioni del Medio Oriente. Stai per tornare a casa. Dove vivi attualmente?Vivo in Israele.Quali sono i tuoi progetti musicali attuali eprossimi? In questo periodo sto lavorando al mio disco soli-sta, accompagnato dal mio trio jazz, e prestoapproderò in India per alcuni concerti! La cosa mi

eccita davvero molto.C'è qualcuna, tra le tante collaborazioni musi-cali che hai avuto (Glen Velez, Zakir Hossian,Ahmet Misirli, Philip Glass, Ross Daly, ArtoTuncboyaciyan, Hariprasad Chaurasia e Noa),che ti ha soddisfatto maggiormente? Davvero non saprei scegliere, mi sono divertito inquasi tutte le collaborazioni allo stesso modo.Lo stile percussivo della musica popolare delsud Italia, come taranta e tammorra, ha inqualche modo influenzato i tuoi lavori? Sì, direi che apparteniamo tutti alla stessa grandefamiglia, quella dei tamburi a cornice. È stato unonore per me rappresentare questo strumento inItalia. Il sud Italia poi sembra così pieno di gioia:ogni volta che ascolto la vostra musica popolaremi sento felice.L'incontro tra cultura israeliana e araba hainfluenzato la tua crescita spirituale e musica-le?Certamente. Dalle mie parti viviamo tutti insieme,persone di etnia diversa. La nostra cultura è moltovicina a quella araba, così come è simile nellamusica.Sembra che in Occidente ci si stia abituando aicontinui scontri nell'area del Medio Oriente, inparticolare tra Israele e la Jihad. Vuoi dirciqualcosa a riguardo?Io cerco solo di essere un musicista. Tutto quelloche posso fare è pregare, pregare per una solacosa: la Pace!Cosa vuoi dirci del “Peimont Festival” diGerusalemme?É un festival interamente dedicato alle percussio-ni. "Peimont" significa "che pulsa". Quest'anno hoavuto qualche problema nell'organizzazione, masono molto fiducioso, spero di ricominciare l'annoprossimo e di continuare per molto tempo. Domanda di rito. Tornerai qui a Salerno perPaolo e per Musicateneo? Certamente! Sono in continuo contatto con Paoloper organizzare nuovi incontri e portare avantiquesti progetti.

"Musicateneo magazine" cambia veste con unanuova grafica, una nuova linea editoriale e nuovicollaboratori, a parte qualche presenza "storica"della redazione. Altra novità: da otto si passa adodici, tante sono le pagine che fanno di questoun numero che potremmo definire "pilota"; unpunto di partenza, meno autoreferenziale e sicu-ramente più proiettato sulla realtà musicale (enon solo) esterna alla nostra associazione. Ilmagazine si apre con un'intervista al percussioni-sta Zohar Fresco, il quale, durante lo scorso mesedi dicembre, ha tenuto un interessante seminariosu "i tamburi a cornice", organizzato dalla nostraassociazione. Si tratta di un artista dallo stile ori-ginale che ha assorbito diverse tradizioni cultu-rali suonando, lungo la sua carriera, con musici-sti arabi, ebrei e turchi. Si prosegue con un servi-zio sull'evento Complete Masada, tenutosi aRoma, basato sullo storico progetto Masada del-l'artista John Zorn che fonde elementi della tradi-zione musicale ebraica con il free-jazz. Una “tregiorni” di concerti, svoltasi presso l'Auditoriumdella città capitolina, che hanno, a dir poco, entu-siasmato il cronista autore dell'articolo che vipresentiamo. Troviamo un'intervista ai responsa-bili di Unis@und, la web-radio sorta quest'anno,in via sperimentale, all'interno del nostro Ateneo,oltre ad un servizio su quello che si presenta comeun vero e proprio laboratorio didattico nel qualequanti desiderano inserirsi in un ambito lavorati-vo radiofonico potranno acquisire competenze edaccumulare le esperienze. E' poi il turno di un'ap-profondita analisi critica riguardante le musichee le danze popolari dell'Italia meridionale, dalleorigini alla ri-scoperta dei giorni nostri. Il servi-zio, fra le altre cose, concentra la sua attenzionesu quella che è stata definita "come l'espressioneculturale ed emblema del sud intero": la tarantel-la. Proseguendo nella lettura si scoprirà, adesempio, che pizzica-pizzica, pastorale, tammur-riate vesuviane e tarantella del Gargano altronon sono che sotto-gruppi stilistici dello stessogenere, appunto la travolgente tarantella. Tra lerubriche risalta quella "Semiseria su liuteria &contorni", come la definisce scherzosamente ilsuo autore, uno spazio di tipo tecnico che fornisceutili indicazioni e consigli pratici ai provetti chi-tarristi. L'altra rubrica, "Rock heaven", il cuioggetto è la recensione dei "Tesori del passato",in questo numero propone una critica non com-pletamente positiva riguardo al gruppo prog-metal dei Dream Theater. Il recensore ripercorrela loro carriera mettendo in risalto "un certo ina-ridimento attuale della vena creativa", ma, alcontempo, riconosce al quintetto statunitense diaver prodotto grande musica. In particolare in"Scenes from a memory", il lavoro qui recensito,essi "raggiungono un perfetto equilibrio fra tec-nica ed emozioni". La terza rubrica,"Fuori/Fuoco", compone un ritratto del leggen-dario, e per tanti aspetti controverso, fondatoredei Pink Floyd, il "diamante pazzo" Syd Barrett.Spazio anche al teatro con un'intervista aMaurizio Igor Meta, autore del monologo "IlRivoluzionario", lavoro per il quale è stato insi-gnito del titolo di miglior attore, nella sezionenuova drammaturgia, della seconda edizione del"Rota in festival". Infine "GenomArt", lo spaziodedicato all'arte digitale contemporanea.Insomma, ce n'è davvero per tutti i gusti!Auguriamo a tutti buona lettura.

Rosa Santomauro

Zohar Fresco, seminario all’UniversitàNostra intervista al percussionista israeliano

Editoriale

Registrazione Tribunale di Salerno n.1138 del 08/04/2003

Direttore responsabileRosa Santomauro

Progetto comunicativo-editorialeMaria Siano

RedazioneEmmanuel Granatello, Alessandro Inglima,Giuseppe Morrone, Barbara Ruggiero, MirkoSalvati, Antonio Santomauro

GraficaAlessandro Inglima

ImpaginazioneBarbara Ruggiero

StampaArti Grafiche Sud

[email protected]

Ritratto dell’artistaZohar Fresco è nato inIsraele nel 1969. Si èappassionato fin da picco-lo alla musica, in partico-lare alle percussioni,facendo sue le ricche ediverse tradizioni culturaliche lo circondano. Ex-

membro dell’ensemble Bustan Abraham, for-mazione in cui collaborano musicisti arabi edebrei, ha suonato anche con l’ensembleZiryab, che si dedica alla musica classicaturca ed araba, sotto la direzione artistica delnoto suonatore di oud Taiseer Elias. Con iltempo Zohar Fresco ha sviluppato il proprioinimitabile stile, affermandosi sulla scenainternazionale. Ha collaborato con musicistidel calibro di Glen Velez, Zakir Hossian,Ahmet Misirli, Philip Glass, Ross Daly, ArtoTuncboyaciyan, Hariprasad Chaurasia e Noa.

di Mirko Salvati22 anni, studente di LettereClassiche presso l'Universitàdegli Studi di Salerno.Appassionato di Letteratura edi Musica, è cantante e chi-tarrista nella band Shevil,attiva nell'underground condiversi dischi autoprodotti.

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3Da Zorn a Ribot: demoni e avanguardia

Complete Masada. Questo il nome col qualeè stata presentata nello scorso mese di luglioall'Auditorium di Roma la tre giorni di con-certi che ha visto alternarsi sul palco quindi-ci dei migliori (e tra i più eclettici) musicistial mondo. Tre giorni, tre concerti al giorno. Un eventoper John Zorn secondo solo all'intero mese diconcerti al Tonic di New York in occasionedel suo cinquantesimo compleanno. La diffe-renza sta, inoltre, nel fatto che l'evento roma-no si è concentrato sul suo storico progetto,Masada, che dai primi anni ‘90 fonde ele-menti della tradizione musicale ebraica colfree-jazz, e in particolare sulla seconda seriedi brani composti da Zorn (la prima serie neconta circa 200), ovvero il "MasadaSongbook Two - The Book of Angels", dovei titoli dei brani sono ispirati dalla demonolo-gia ebraica e cristiana. Zorn lo si sentirà suonare solo due volte,mentre dirigerà in altre tre occasioni.L'impressione è quella di aver avuto la fortu-na di assistere a qualcosa di veramente spe-ciale ed irripetibile. Nove, dico nove, concer-ti di eccezionale portata. Un evento jazzisticoimportantissimo. A Roma.Personalmente sono rimasto folgorato da tredelle nove formazioni. Innanzitutto i BarKokhba, sestetto con sezione ritmica (batte-ria e percussioni) e sezione d'archi (contrab-basso, violoncello e l'impressionante MarkFeldman al violino) spezzate, è il caso didirlo, dall'inimitabile suono della chitarra di

Marc Ribot. John Zorn dirige. L'impatto èstato devastante. Ho visto Ribot sette volte ein sei differenti formazioni, ma la sensazioneche hai quando lo ascolti in questo gruppo,quando senti le prime note perfettamente dis-sonanti crescere d'intensità, e sei in un audi-torium dove il suono è perfetto, è indescrivi-bile. Un fatto fisico, di stomaco. Una forma-zione geniale, perfettamente amalgamata,freneticamente energica e silenziosamentesensuale al contempo. Il bello del free-jazz:le dinamiche. E poi gli scambi tra violoncel-lo e violino che ti portano immediatamentead un immaginario etnico e cinematograficoche va dal migliore Kusturica a qualcosa dimorriconiano stile Clan dei Siciliani.Il violinista, Mark Feldman, lo ritrovo il gior-no seguente induo con lamoglie, SilvyeC o u r v o i s i e r ,pianista. Nonpensavo che unviolino potesseprodurre queisuoni. Ed èanche stato par-ticolare vederedue compagni divita così affiatatinella musica. Liho immaginati a casa che provano, tutti e duead accanirsi sullo strumento... Lei passabuona parte del concerto a pizzicare diretta-mente le corde dall'apertura del pianoforte acoda, lui le fa un applauso alla fine di ognibrano. Impressionanti e precisissimi. Il concerto che chiude i tre giorni è quellodegli Electric Masada. Li ho già visti, semprea Roma, circa quattro anni fa, ed ho, da allo-ra, affermato che sono la cosa migliore a cuiabbia mai assistito dal vivo. Dopo questi tregiorni lo riconfermo. La formazione rispettoa quattro anni fa si è allargata. Si sonoaggiunti Joey Baron come seconda batteria

(!) e Ikue Mori all'elettronica. E poi i solitiRibot alla chitarra, Jamie Saft alla tastiera,Cyro Baptista alle percussioni, KennyWollesen alla batteria, Trevor Dunn al basso(sì, proprio lui, già bassista dei Mr. Bungle edei Fantomas). E poi Zorn al sassofono. Manon solo. Si diverte, infatti, anche a dirigerele improvvisazioni degli altri sette che passa-no gran parte del concerto ad osservarlo ed aseguire affannosamente le improvvise diretti-ve impartite dal suo dito. Sì, perchè Zorncomunica soprattutto attraverso il suo indice.Già quattro anni fa da questi musicisti hocapito che esiste un modo diverso di concepi-re e suonare la musica. Al di là della superio-rità tecnica e della perfezione sonora. Questaè gente a cui piace suonare, gente che si

diverte, che ticoinvolge deltutto e che afine concerto siferma anche ascambiare duechiacchiere conte prima di sali-re tutti insiemesul furgoncinoche li porterà inalbergo. Certo,tu poi stai là ecerchi con il tuo

stentato inglese di dirgli quanto per te sianostati bravi e ti abbiano colpito, come se loronon lo sapessero già.E pensare che su Wikipedia trovo questedeprimenti descrizioni:“Sebbene poco noto al grande pubblico,Zorn è un musicista estremamente attivo, conpiù di cento album a suo nome e un'attivitàche spazia tra svariati generi musicali”.e ancora:[Marc Ribot è] “noto per aver suonato la chi-tarra in alcuni album di Tom Waits e diVinicio Capossela. È anche compositore e,occasionalmente, cantante”.

The Book of Angels. L’evento Complete Masada a Roma

“Paesaggi Diversi”, il cd della Camerata Strumentale dell’Università di Salerno

di Alessandro InglimaLaureato in Scienze dellaComunicazione, suona basso esynth nei gruppi Kazum, Faktaframedada e Rupert & the SynthBassolino. Appassionato di sounde video editing lavora comesound designer per il teatro e peri progetti Sound Barrier, Matto eMarinaio e vunderscoreF.

“I l paesaggio del Campus è diverso quando c’è musica”

Un progetto ambizioso e da ri-scoprire nel suo particolare fasci-no. Traslitterare in componimenti dal gusto classico, non soloopere di Maurice Ravel o Astor Piazzolla la cui compatibilità ori-ginale con l'intento è certamente alta, ma soprattutto pezzi dellatradizione pop quali "The great gig in the sky", dei Pink Floyd, o"Michelle", elegiaca struttura melodica, risalente all'epopea deiBeatles. E' stato questo l'intento della Camerata Strumentaledell'Università di Salerno, sotto la direzione del maestro, e vio-lista, Danilo Rossi, e mettendo in pratica gli arrangiamenti e leorchestrazioni di Stefano Nanni, compositore, e Giuseppe Mirra,contrabbassista e compositore anch'egli. Il suggestivo titolo dellavoro venutone fuori è "Paesaggi diversi".Puoi trovare il cd/dvd al Campus di Fisciano, alla Cues nel-l'atrio di Ingegneria ed alla Cusl (ex bar giallo). A Salerno èinvece in distrbuzione da Disclan e alla Ricordi Media Store.Fo

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Testi raccolti con la collaborazionedi Maria Siano

Animati da un grande entusiasmo per la radio sisono tuffati a capofitto in una nuova avventura.Gianluca, Sante ed Eugenio sono tre ragazziche incontriamo alla web radio. Diversi nell'ac-cento, nell'aspetto e nel ruolo che ricoprono adUnis@und, sono uniti da un’unica grande pas-sione: la radio.Gianluca Durante studia Scienze dellaComunicazione; Sante Farnararo è assegnistapresso la Facoltà di Lingue e LetteratureStraniere mentre Eugenio Apicella è collabora-tore a contratto dell'Università.Sante e Gianluca si occupano del palinsesto esono le voci della radio, Eugenio invece sioccupa dell'area musicale. All'interno dellaRadio, quella con la R maiuscola, loro ci sonogià stati, ci hanno lavorato ed ora sfruttano leesperienze passate mettendole a disposizione diquanti hanno intenzione di fare radio aFisciano. "La passione per questo mezzo di comunicazio-ne è tanta: per noi è un vero e proprio hobby checi accomuna e che ci spinge a trascorrere assie-me ore anche di sera" - spiega immediatamenteSante. "Trasmettiamo all'interno del Centro Ict dovec'è uno studio di registrazione nuovo di zecca"- aggiunge Gianluca.Cosa rappresenta per voi questo progetto?Eugenio: "E' una sfida in itinere: ogni giornocresciamo"Gianluca: "Per me rappresenta una bella soddi-sfazione veder crescere questo progetto e osser-

vare persone interessate alla radio che si avvici-nano per la prima volta a questo mezzo dicomunicazione".Sante: "E' l'incontro di persone appassionatedello stesso mezzo comunicativo. Il progetto èpartito in tempi piuttosto rapidi. Pensate che indue mesi abbiamo messo su le trasmissioni…".Siete soddisfatti del prodotto che state pro-ponendo al vostro pubblico?Eugenio: "Stiamo migliorando man mano"Gianluca: "Il limite è che si tratta di una webra-dio: ci può seguire solo chi ha il computer. Dapoco tempo è possibile ascoltarci anche dallamensa universitaria".Sante: "Diventerà un buon prodotto al più pre-sto".Come definireste questa esperienza?Eugenio: "Siamo andati avanti con ritmi parti-colarmente sostenuti, specie all'inizio del pro-getto; ma adesso - dice scherzoso - possiamodire di essere allenati. Siamo partiti da sottozero e stiamo andando avanti. Poi è ovvio chenel frattempo acquisiamo anche esperienza ecapacità".Gianluca: "Stiamo migliorando pian pianoanche dal punto di vista della logistica e delleinfrastrutture che sono a nostra disposizione".Sante: "Un'esperienza eccitante. E' semprebello veder nascere un mezzo di comunicazio-ne. Certo, ci sono momenti in cui la stanchezzaprende il sopravvento; ma la passione ha sem-pre la meglio su tutto il resto".Quanto spazio dedicate all'interno del vostropalinsesto alle band universitarie emergenti?Sante: "Moltissimo: offriamo ad una band bendodici passaggi al giorno dei loro brani perun'intera settimana; questo vuol dire che unaloro canzone può essere ascoltata ogni ora pertutto il giorno"."Inoltre - aggiunge Gianluca - i loro branientrano nella classifica della settimana".Eugenio: "Diciamo che siamo alla ricercaossessiva e costante di nuovi gruppi a cui darespazio nel nostro palinsesto".

Che tipo di musica viene proposta aUnis@und?Sante: "C'è di tutto, specie rock, seguito da pop,blues, jazz. Fino ad ora, però, non ci è arrivatoancora nessun brano dance prodotto dai ragaz-zi, cosa che sarebbe già capitata se fossimo afine anni '80". Secondo voi c'è qualche band che ha l'oppor-tunità di sfondare?Ci pensa Eugenio a rispondere, anticipandotutti sul tempo: "Secondo me sì. Come dicevo,siamo proprio alla ricerca di qualcuno che sia ingrado di sfondare".E le associazioni? Hanno un ruolo nell'orga-nizzazione della radio?"Le associazioni - raccontano - hanno chiesto dipartecipare e siamo in attesa delle loro propo-ste".

Il progetto che ha portato alla costituzionedella web radio si concluderà a maggio. Chene sarà di Unis@und?"Sarà il rettore, che è anche l'editore della radio,a decidere se portare avanti il progetto" - spie-gano. Come si può far parte della radio?Sante: "Basta collegarsi al nostro sito, compila-re il form ed attendere di essere contattati"Eugenio: "Aggiungiamo solo che abbiamobisogno di tecnici: sono preziosissimi, servonosempre".In che modo gli studenti partecipano alleattività quotidiane della radio?Gianluca: "I ragazzi ci seguono in tutte le atti-vità: dall'organizzazione del palinsesto fino allarealizzazione della trasmissione. Si tratta di per-sone particolarmente motivate; sono in pochi adavere esperienze radiofoniche ma riescono acalarsi nella realtà e a regalarci belle soddisfa-zioni"Quanti ragazzi ci sono attualmente nell'or-ganizzazione?"Una cinquantina - spiegano - inizialmenteabbiamo ricevuto circa quattrocento richieste dipartecipazione. Gestirle è stato abbastanzacomplicato. Come accade in questi casi, c'èstata una selezione naturale".

di Barbara RuggieroLaureata in Scienze

della Comunicazionepresso l’Università degliStudi di Salerno, giorna-

lista pubblicista da 5anni, collabora a

“Cronache del mezzo-giorno” e a “Datasport”.

Passione ed entusiasmo: i segreti di Unis@undE ’ a r r i v a t a

La voce di chi lavora dietro le quinte: Eugenio, Gianluca e Sante

Da sin.: Sante Farnararo, Rocco Curcio, MassimoDe Santo, Gianluca Durante, Eugenio Apicella,Paolo Rocca

Lo staff della webradio

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5Suoni e voci dell’Università di Salerno

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Suoni e voci dell'università. Questo il claimche accompagna tra un programma e l'altrogli ascoltatori della web radio dell'Universitàdi Salerno.In onda dal 10 settembre 2007, Unis@und,questo il nome della web radio, ha l'obiettivodi dotare la comunità universitaria di unnuovo mezzo comunicativo aperto e creativoche accompagni nella loro quotidianità stu-denti, docenti, personale tecnico del Campus. Insieme ad altre 39 università italianel'Università degli Studi di Salerno è stata sele-zionata per partecipare al progetto"UnyOnAir". Il progetto ideato da Radio 24aiuta le realtà universitarie ad avere una pro-pria web radio, l'iniziativa vede la collabora-zione con Il Sole 24 Ore, con il network Job24 e il supporto di aziende come Heineken,Renault e Microsoft.Tante le radio che sono nate in questo ultimoanno, oltre a Salerno ci sono: la Luiss diRoma, Urbino, Torino, Bicocca di Milano edaltre.

La radio è un vero e proprio laboratorio didat-tico dove i partecipanti acquisiscono compe-tenze editoriali, tecniche e manageriali perlavorare nel mondo radiofonico. Unis@und è aperta a: studenti, associazioni,docenti e personale tecnico amministrativoche vogliono provare l'emozione di passaredall'altro capo della radio, tra microfoni e cuf-fie, musica e parole e che intendono cimentar-si nella programmazione del palinsesto edegli stessi programmi, cosa non da poco. Oentrare nel team dei tecnici di regia e di mon-taggio per chi vuole conoscere con quali stru-mentazioni tecniche passa la voce dello spea-ker.Il progetto della web radio è curato dall'ICTguidato dal professore Massimo De Santo edall'Ufficio stampa diAteneo diretto dal dottoreFrancesco Colucci.Tanti i programmi che sirincorrono durante la gior-nata intervallati dalle noteinformative. Per essere sem-pre informati su ciò che suc-cede nel mondo, dal globoal campus di Fisciano, ogniPrimo quarto e Ultimo quarto di ora, va inonda l'informazione.Al trentesimo minuto di ogni ora c'è la “PIU”,che letta così sembra lontana parente delCFU, invece è l'acronimo di PillolaInformativa Universitaria, il programma che

dà notizie utili agli studenti e aggiorna gliascoltatori sulle novità del campus.I poeti universitari possono invece spedire ipropri versi alla radio, dove in un appositospazio, “Da Bellavista a Zivago”, sarannoletti in onda. Dalle righe di un foglio alla webradio. La poesia non ha confini. Tra un brano e l'altro il programma “RadioNettuno” propone massime relative alla mate-ria del giorno, disponibili anche nell'archivio.E sì perché Unis@und ha anche un archiviodove si possono riascoltare i propri program-mi preferiti.Come ogni radio che si rispetti non potevamancare la mitica “50s@unds-The LivingChart”, ogni giorno è possibile, infatti, ascol-tare dieci brani della play list ufficiale della

radio, che il sabato viene tra-smessa per intero.Pubblicizzata con uno spotradiofonico, fatto in casaUnis@und; c'è la “PersonalPlay list -PP”, le dieci can-zoni che ognuno vorrebbeascoltare di fila e che tra leloro parole e note nascondo-no i momenti più importanti

della propria vita. Tutti possono comporre lapropria lista di canzoni e spedirla, ovviamen-te via e-mail. Il resto lo fa la radio. A noibasta solo un click sul pulsante che comparesul monitor: ed ecco la musica!

Nel variegato mosaico delle esperienze culturalisviluppate all'interno dell'ambiente universitarioitaliano, una di quelle che si può considerarecome capostipite ed esperimento meglio riuscito,in quanto collaudato nel tempo, è la stazioneradio "Facoltà di Frequenza" (trasmettente viaetere sui 99.450 Mhz e via web suwww.radio.unisi.it), originatasi e maturata aSiena a partire dal settembre2000, secondo un progettoideato dall'Università degliStudi di Siena su impulso, erealizzazione, del dinamicodipartimento di Scienze dellaComunicazione.Il punto forte dell'emittente uni-versitaria senese consiste nel-l'abbinare ad una selezionataproposta di programmi prettamente musicali,quasi tutti concentrati sulla qualità della creazio-ne artistica a scapito della commerciabilità delprodotto-canzone, un'ampia panoramica riguar-dante problematiche politiche e sociali generali(ancorate alla realtà tramite le indispensabilirubriche d'informazione), senza trascurare unacopertura sistematica degli eventi culturali (cine-

ma, arte contemporanea, teatro, rassegne, conve-gni) aventi luogo intorno alla comunità senese, enon (basti pensare alle interviste realizzate allepiù svariate realtà musicali, emergenti ed affer-mate). La ricchezza dei contenuti, e la contami-nazione delle tematiche, costituiscono, quindi, iltratto distintivo per il micro-cosmo di “Facoltà diFrequenza”. Altra circostanza dirimente, per non

dire fondamentale, è la assolu-ta gratuità di prestazione, econtrapposta libertà d'espres-sione (cosa che, in certi conte-sti comunicativi, è soltantoapparente), che le personeimpegnate (oltre 300 finora perun centinaio di programmi,alcuni longevi altri effimeri)nel dar vita ai palinsesti della

radio garantiscono con continuità e ricambio.Inutile stare a specificare che si tratta di studentiprovenienti da diverse facoltà dell'ateneo senese,in special modo "Lettere e Filosofia". Il metodoè semplice e partecipato: progettare un'idea intri-gante, proporla ai responsabili che coordinano laradio a tempo pieno (studenti, magari specializ-zati, anch'essi), eseguirla avendo fornito un ade-

guato supporto tecnico (che può essere ancheauto-gestito qualora le capacità lo consentano).Tranne che non si tratti di evidenti cadute di stile,nel senso di deplorevoli smancerie o scimmiotta-ture di spazzature mediatiche, la possibilità diesprimersi è garantita. Non manca la leggerezza,ma velata d'ironia ed intelligenza. Per conclude-re, vanno segnalati tre primati di cui "Facoltà diFrequenza" può andare fiera: come accennato, èstata la prima, e per tanto tempo unica, radio uni-versitaria nazionale; sull'onda del suo positivoesempio, tanti riconoscimenti ufficiali ed un'otti-ma audience, è stato ideato un corso di laureaspecialistica in "Radiofonia e Linguaggi dellospettacolo e del multimediale", chiaramente atti-vato a Siena presso il dipartimento di Scienzedella Comunicazione: pratica e teoria, quindi; èstato, infine, pubblicato un libro ("Facoltà diFrequenza" di Romeo Perrotta, Carocci editore,2005) che racconta, dall'interno, delle vicissitu-dini di questa comunità universitaria particolare,variabile ed interconnessa. Se siete a Siena, pas-sate per i locali del rettorato che ospitano"Facoltà di Frequenza", bussate e vi sarà aperto:forse, potreste avere da dire qualcosa anche voi...

Giuseppe Morrone

C’erano una volta i pionieri... E ci sono ancora. A SienaL’esperienza di “Facoltà di Frequenza”, prima radio universitaria italiana

Da “Bellavista a Zivago” a “The living Chart”: ecco il palinsesto di Maria Siano

Pubblica amministrazione,terzo settore ed eventi culturali: la comunicazioneè il mio pane quotidiano; e il magazine ne è unafetta...

l a w e b r a d i o

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Un paragone inappropriatoCome per ogni definizione che ci apprestiamo acircoscrivere, è bene chiarire, anzitutto, gliequivoci semantici, e significanti, disseminatidal senso comune, dalle semplificazioni deimedia, da un modo di procedere non razional-mente informato. E' il caso della cosiddettamusica popolare. Ad affrontare la questione sinota, immediatamente, un caso di omonimiapiuttosto bizzarro. Basti pensare alla musicapop. Questa caratterizzazione non è altro chel'abbreviazione di un genere coniato, ed espor-tato con enorme successo in tutto il mondo, apartire dai paesi anglosassoni verso la fine deglianni '50: la popular music, appunto. Genereche, in tutti i sensi, non c'entra assolutamentenulla con quello che è l'orizzonte, artistico,dimensionale ed antropologico, della musicapopolare per come si è sviluppato storicamente

e per come ci è stato tramandato. Almeno nelnostro paese…

L'Italia sommersa...Scontato questo necessario chiarimento, provia-mo a tracciare un essenziale ritratto genealogi-co di ciò che s'intende per musica popolare inItalia, con un riferimento inevitabile alle varieforme di danza che vi sono, quasi naturalmente,connesse. Immediatamente, c'è da registrare unfrazionamento su scala locale: quasi in ogniregione, e non soltanto in quelle delMezzogiorno (lo testimoniano le tradizioni fol-kloriche toscane, venete, sarde, laziali, ecc…),troviamo specifici, a volte interconnessi,modelli tradizionali di linguaggi musicali fruttodel contributo delle collettività passate, i qualivengono tramandati oralmente di generazionein generazione. Allo stesso modo, gli strumenti(e tra questi, va inserita a pieno titolo la voce)usati per darvi corpo sono costruiti secondo tec-niche rimaste praticamente immutate nel corsodei decenni, o perfino dei secoli. Tale schema,di composizione ed espressione, giungeva aconcretarsi, non sempre (basti pensare al ritualedella danza di corteggiamento simboleggiatodalla pizzica-pizzica), durante un momentoriconosciuto come fondamentale per la vita diuna data comunità: lo spazio della festa, preva-lentemente religiosa. A scanso di equivoci, con-centreremo la nostra attenzione sull'Italia meri-dionale, dapprima in generale, e poi descriven-do due casi particolari.

Lo sterminato humusdelle tarantellePrima di procedere, eper evitare confusioni,inquadreremo quella cheè stata definita come"l'espressione culturaleche può essere assuntaquale migliore e più pro-fondo emblema del sudintero": la tarantella.Essa rappresenta un'am-pia, e diversificata, fami-glia di danze tradizionalidistribuite in tutte leregioni dell'Italia meri-

dionale (dal Molise alla Sicilia). Soltanto alcu-ne aree però conservano, al giorno d'oggi, unatradizione viva, assidua ed autentica del ballo,e, in ogni caso, modificata rispetto alle forme edalle movenze originarie. La maggior parte deirepertori consiste in balli di coppia (non neces-sariamente uomo-donna), ma esistono forme aquattro persone, in cerchio o processionali. Visono aree in cui i danzatori fanno uso di casta-gnole nelle mani. Il termine tarantella è il sem-plice diminutivo con suffisso in -ella di taranta,lemma che in quasi tutti i dialetti meridionaliindica la tarantola. Ma della taranta comedanza rituale specifica parleremo meglio inseguito. Nell'ambito delle tarantelle possiamoindividuare, invece, diversi sottogruppi stilisti-ci, ciascuno con propria denominazione (pizzi-ca-pizzica, zumpareddu, pastorale, tarascone,viddhanedda, ballarella, zumparella, tammur-riate vesuviane, tarantelle lucane e calabresi,tarantella del Gargano), così come vari reper-tori musicali (in 2/4, 6/8, 4/4, 12/8, ecc…) estrumenti usati per suonarli (canto, tamburo,zampogna, ciaramella, organetto, fisarmonica,chitarra battente, violino, mandolino, flauto,marranzano, tammorra, ecc…). Forniti questispunti sommari, possiamo passare ad analizza-re uno dei molteplici contesti accennati, quellopugliese, salentino in particolare: le realtà dellapizzica-pizzica e della già citata taranta, quindi.Questo perché si tratta delle forme che stannoriscuotendo, ormai da qualche tempo a questaparte, un portentoso successo di pubblico, gra-zie ad un'astuta commercializzazione, i cuirisvolti parzialmente negativi affronteremodopo. Ci è, quindi, sembrato opportuno indaga-re, senza pretese di esaustività, le loro origini.

"Il simbolo della taranta comporta un ethos, cioè una mediata volontà di storia, un pro-getto di ‘vita insieme’, un impegno ad uscire dall'isolamento nevrotico per partecipare adun sistema di fedeltà culturali e ad un ordine di comunicazioni interpersonali tradizional-mente accreditato e socialmente condiviso: un ethos che, per quanto elementare e stori-

camente condizionato, e per quanto ‘minore’ nel quadro della vita culturale dell'Italiameridionale, consente di qualificare il tarantismo come ‘religione del rimorso’ e come

‘terra del rimorso’ la molto piccola area del nostro pianeta in cui questa religione ‘minore’vide per alcuni secoli il suo giorno."

Ernesto De Martino

Con riferimento bibliografico e sitografico a:"La terra del rimorso", Ernesto De Martino, Ed. Net, 2002"La tarantella dei pastori", G.M. Gala, Ed. Taranta, 1999www.ilsuonodelsalento.it, www.taranta.it/pizzica.

Viaggio intorno ai sentieri della tradizioneLa riscoperta delle musiche e delle danze popolari in Italia

di Giuseppe MorroneLaureato in Scienze della

Comunicazione pressol’Università degli Studi diSiena. Ha pubblicato un

romanzo dal titolo “Lo sguar-do stuprato” (Aletti Editore,

2007). Collabora conLiberazione e Girodivite.it.

F o

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7Amore, trance, catarsi: pizzica e taranta in Salento

L’attuale tendenza commerciale: spunti per una discussioneNegli ultimi anni si è assistito, un po' in tutto ilterritorio nazionale, ad una entusiastica riscoper-ta del valore della musica e delle danze popolari,specie salentine: sono fioriti come funghi, o forsesono stati soltanto illuminati dalla luce abbaglian-te della moda di turno, artisti, complessi, festival,manifestazioni, prodotti discografici attinenti aitemi, e ai luoghi, che abbiamo appena affrontato.E la risposta del pubblico a questa dettagliatissi-ma offerta è stata, a dir poco, portentosa. Postoquesto come dato di fatto incontrovertibile, ladomanda che ci, e vi, vogliamo porre è la seguen-te: si è trattato, e continua a trattarsi, di un genui-no (e positivo in quanto si rischiava l'oblio) affla-to verso le tradizioni e le espressioni popolarioppure dell'ennesimo colpo assestato dall'onni-vora industria culturale ad un mercato in asfissiaed in cerca di false legittimazioni? Noi non abbia-mo la presunzione di potervi fornire una rispostacertificata, però vorremmo proporvi una riflessio-ne critica che assume, e pone a confronto, la tesie l'antitesi ipotizzate. Essa è stata sviluppata dal-l'associazione culturale di tradizioni popolari,"Taranta". Eccola: "Il vivace ritorno negli ultimianni del dibattito culturale sul tarantismo puglie-se ha innescato un inatteso processo di valorizza-zione di alcune espressioni del patrimonio tradi-

zionale salentino che rischiavano la definitivaestinzione: in modo particolare la musica e ladanza tradizionale sono diventate un segno diriconoscimento e di recuperata identità dei gio-vani salentini sino a propagarsi in tutta l'Italia eoltre i confini nazionali negli ambienti legati allaworld music. La pizzica non è oggi solo un ballo,è un emblema, un forte richiamo, una griffe, unasorta di nuovo mito culturale che crea moda,spettacolo, turismo, mercato editoriale e musica-le. Il Salento si configura in Italia come unimportante laboratorio antropologico, nel qualesi misurano ed interconnettono bisogni identitari(smantellati con troppa fretta dalle generazioniprecedenti) e strade diverse dalla globalizzazioneculturale in atto (basti pensare al fatto che la stes-sa pizzica-pizzica è stata considerata da unaparte, specie impegnata, delle giovani generazio-ni come uno degli emblemi ideologici dell'anti-globalizzazione, ndr); un laboratorio nel quale sigioca una scommessa sul ruolo che la tradizionepotrà avere nella società post-industriale e mul-timediale e nei futuri processi di turismo di massae di sincretismi culturali interetnici."Per quanto riguarda la contrapposizione, spessofrontale quanto stucchevole, fra "puristi" e"modernisti", su quello che prevede il canovaccio

classico rispetto alle trasformazioni intervenute, alivello stilistico, terminologico, coreutico ed atto-riale, si potrebbe ribattere che i processi di inno-vazione o di rottura col passato sono sempre esi-stiti nella storia delle tradizioni popolari. Ma è,infine, opportuno auspicare che le odierne super-ficialità con cui spesso si affrontano, e si snatura-no quasi sino a renderle irriconoscibili, talunedelle tradizioni popolari in oggetto, si tramutinoin percorsi di studio, teorici e metodologici, diampio respiro e di forte serietà culturale, conl'ambizione, neppure tanto trascendentale, discandagliare autenticamente il passato per poter-lo, prima preservare, e poi adattare con misura alpresente. Tale necessità richiama il ruolo, talorapassivo o soltanto accademico, che dovrebberoesercitare antropologi, operatori culturali e musi-cisti a livello di massa e di comprensione diffusa.E' bene, comunque, non assumere questa ultimaconsiderazione come complessiva, riconoscendoa quelle realtà, o a quei singoli artisti pur presen-ti (Eugenio Bennato potrebbe rappresentarne unbuon paradigma), l'impegno mediante il qualeprovano, faticosamente perché la frenesia dellacompetizione raramente concede tregue di quali-tà, a percorrere un orizzonte del genere appenarichiamato. (g.m.)

L'espressione più caratteristica della tradizionepopolare salentina è rappresentata da un cre-scendo armonioso ed invasato di tamburelli,onnipresenti ed ossessivi, coniugato ad altristrumenti, quali mandolini, nacchere, violini,chitarre o armoniche. Ad esso è consustanzia-le una particolare danza di corteggiamentodurante la quale i due danzatori si avvicinano,senza toccarsi mai. La scena si svolge con unoscambio di sguardi, più o meno provocatori,una serie di gesti che rivelano da una parte ildesiderio dell'uomo di godere delle graziedella donna, e dall'altra quello della donna diessere corteggiata dall'uomo, al quale, però,sfugge se questi prova ad avvicinarsi. Un ele-mento importante, durante la danza, è il fazzo-letto rosso, simbolo della passione, che ladonna sventola in segno di elegante pro-vocazione agli occhi dell'uomo, il qualeperò non può afferrarlo se non con l'espli-cito consenso della donna. Ma non sem-pre è presente questa funzione d'attrazio-ne: infatti, ci si può semplicemente scate-nare sull'onda travolgente, e catartica,della musica, anche da soli, seppurmescolati tra la folla, e con l'unica ambi-zione di cedere all'estasi del ritmo.L'intero complesso d'interazioni appenadescritto, sia in un caso che nell'altro,prende il nome di pizzica-pizzica.Strettamente connesso, almeno dal puntodi vista musicale, è il fenomeno dellataranta, da inserirsi primariamente nel-

l'ambito delle credenze popolari, esattamentequella riguardante il tarantismo. Esso era con-siderato una vera e propria malattia, originatadal morso della tarantola (un velenoso ragno),il quale provocava uno stato di malesseregenerale (catalessi, palpitazioni, dolori addo-minali) alla persona che ne era stata vittima. Inquesto contesto, la musica e la danza eranopercepiti come gli elementi fondamentali dellaterapia da mettere in atto. La scena del ritualesi presentava in questa maniera: atmosferamistica e melodie del tipo di quelle richiamatenel caso della pizzica-pizzica. La tarantata(cioè la persona morsa dalla tarantola), stesa alletto, ascoltando i suonatori cominciava amuovere la testa e le gambe, strisciava suldorso, non riusciva a mantenere l'equilibrio e,

scesa dal giaciglio, si poneva aderente alsuolo, immedesimandosi con la posizione delsuo carnefice, cioè la tarantola stessa.Successivamente, rialzatasi, batteva i piedi atempo di musica, come per schiacciare il ragnoe compiva svariati giri su se stessa o movimen-ti acrobatici, finché, stremata dagli sforzi, crol-lava a terra, priva di sensi. Con le parole rias-suntive di Diego Carpitella, etnomusicologo:"Si trattava quindi di un ciclo coreutico(riguardante l'arte della danza, ndr) bipartito,indefinitamente iterato nel corso del rito sinoal momento della guarigione: tale ciclo si arti-cola in due fasi conseguenti, la prima al suolo,orizzontale, orientata prevalentemente versola identificazione mimica con l'animale mitico(cioè la tarantola), e la seconda in piedi, ver-

ticale, prevalentemente orientata versouna risoluzione agonistica della posses-sione". A questo punto, la tarantata,secondo la leggenda graziata per inter-cessione di San Paolo (il santo celebratoil 29 giugno a Galatina, provincia diLecce e centro operativo del fondamen-tale studio etnografico, "La terra delrimorso", compiuto da Ernesto DeMartino, lo stesso Carpitella ed altri aproposito del fenomeno), veniva condot-ta presso la cappella del santo, qui beve-va l'acqua sacra dal pozzo adiacente eripeteva, simbolicamente, un rito didanza. Il processo poteva, allora, consi-derarsi concluso. (g.m.)

c u s

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I Dream Theater, sulla scena da quasi ven-t'anni, sono entrati a far parte di quellacategoria di gruppi musicali che dividono ilpubblico, ed i critici, ad ogni nuovo discopubblicato. C'è chi li considera la bandProg Metal per eccellenza, affrettandosi adincensare anche lavori spesso non all'altez-za del loro illustre passato e chi lamentaormai una certa ripetitività ed inaridimentodella vena compositiva dei cinque, non atorto, se ci si sofferma sulle ultime prove instudio giudicate insufficienti da appassio-nati e critica. Saliti alla ribalta, nel 1992,con l'album-capolavoro "Images AndWords", e consolidato un crescente succes-so di pubblico col successivo ed ultra-tecni-co "Awake", del 1994, i nostri in realtà ave-vano già segnato una battuta a vuoto con"Falling Into Infinity", datato 1997. Unlavoro più easy listening, e quindi deluden-te per quei fans che dai Dream Theater siaspettano un certo sound fatto di composi-zioni impregnate di tecnicismi e virtuosi-smi strumentali spinti ai massimi livelli, suiquali può stagliarsi la splendida voce delvocalist James La Brie. Accantonata laparentesi di "Falling", nel 1999, i DreamTheater danno alle stampe quello che vieneunanimemente riconosciuto come il secon-do masterpiece della loro discografia; quel-lo "Scenes From A Memory" che risollevòbrillantemente le quotazioni della band sta-tunitense, aggiudicandosi meritatamente lapalma di Prog Metal album dell'anno.Siamo di fronte al disco più completo del"Teatro Del Sogno", forse il migliore sottotutti i punti di vista, superante splendida-mente la prova del tempo. Non basterebbe-ro dieci pagine per descrivere accuratamen-te questo gioiello musicale, quindi ci limi-teremo a metterne in risalto gli aspetti piùimportanti. Anzitutto, l'originale conceptattorno al quale ruota l'album, una storia(ambientata tra presente e passato ed aven-te tutte le caratteristiche di un vero e pro-prio giallo) che tratta il tema della reincar-nazione, sorretta da partiture strumentali dabrivido e da un'intensità tale da far vivereall'ascoltatore in prima persona i fatti narra-ti dai testi. Per poi passare alla musica,potente, melodica ed emozionante, concontinui rimandi musicali e lirici ad "ImageAnd Words", di cui "Scenes" è consideratoil seguito già a partire dal titolo. La primaparte dell'album (suddiviso in due atti)

prende il via con le dolci note di"Regression", scandite da una chitarra acu-stica e dalla voce emozionante di La Brie.La strumentale "Overture 1928" vede laband al massimo della forma, con una strut-tura caratterizzata da molteplici intreccistrumentali tra chitarra e tastiera, continuicambi di tempo ed aperture melodiche diun'altra dimensione. Comporre un branocosì non è da tutti e si sente! Non è neces-sario essere dei critici musicali o appassio-nati dell'Hard & Heavy e del Progressiveper rendersi conto della bellezza, ed allostesso tempo, dell'orecchiabilità di un simi-le pezzo da novanta! Grande musica, senzanessuna etichetta. Caratteristica di tutto"Scenes" è il perfetto equilibrio tra la tecni-ca e le emozioni che fa scorrere liscio l'al-bum per tutti i suoi 77 minuti di durata(come un'unica grande canzone), senzarisultare eccessivamente ostico. "StrangeDeja Vu" prosegue il viaggio nell'inconscio

attraverso un'atmosfera oscura che si stem-pera in un ritornello dolcissimo. "ThroughMy Words" è un breve intermezzo pianisti-co che introduce "Fatal Tragedy", canzonecupa e misteriosa caratterizzata da una rit-mica trita-sassi in mid-tempo del chitarristaJohn Petrucci, cui segue una seconda partecaratterizzata da un repentino cambio ditempo che velocizza la canzone, e duranteil quale lo stesso Petrucci ed il tastieristaJordan Ruddess si esibiscono nei consueti,e funambolici, "duelli" chitarra-tastiera.Altro pezzo da incorniciare. La prestazionedi Ruddess in questo album (il primo con iDream Theater) è davvero notevole, conuno stile tastieristico che adotta soluzioniblues, jazz, classiche, fusion e addiritturaragtime. "Beyond This Life", introdotta daun riff quasi hardcore, continua la corsadell'album come un fiume in piena tra ladoppia cassa del batterista Mike Portnoy, laritmica pulsante del bassista John Myung,ed assoli velocissimi che precedono undeciso stacco. Ennesimo brano (caratteriz-zato da un ritornello inquietante ed effica-ce) che lascia a bocca aperta quanto a com-

plessità sonora. "Through Her Eyes", è unadolce ballad che termina il primo atto deldisco ed è impreziosita dai vocalizzi dellacantante Theresa Thomason. "Home" apreil secondo atto attraverso decise ed affasci-nanti influenze orientali, dettate dal sitar edal wah wah di Petrucci. Strofe ossessive,pesantissime e metalliche (con numerosirichiami a "Metropolis Pt 1", brano di"Images And Words") che, come al solito,si aprono in uno splendido ritornello nelquale la voce di La Brie è protagonista."The Dance Of Eternity", seconda tracciastrumentale del lavoro, dopo un attaccomartellante passa in rassegna tutte le carat-teristiche finora ascoltate: contro-tempi,assoli al fulmicotone, tempi dispari, stacchitecnicamente impossibili da eseguire (comequello creato, in questo stesso pezzo, daJohn Myung col suo basso distorto) tantapotenza metal, velocità ed una grande peri-zia strumentale. Con "One Last Time" e"The Spirit Carries On" ci si avvia al termi-ne di questo entusiasmante viaggio musica-le per il mezzo di due pregevoli ballate cherichiamano, a livello strumentale e vocale,rispettivamente "Overture 1928" e"Regression", vedendo numerosi interventid'impronta blues di Petrucci, il quale nelcorso della seconda canzone (impreziositadalla presenza di cori gospel) regala ancheun bel solo melodico. Siamo alla conclusio-ne e "Finally Free" in dodici minuti raccon-terà il finale della storia, e dei suoi perso-naggi, alternando atmosfere tranquille adimprovvisi colpi di scena. Lavoro consi-gliato agli amanti della buona musica, indi-pendentemente dai generi preferiti. Un con-centrato di emozioni irripetibili! Buonascolto.

Un uomo, Nicholas si reca in uno studio psi-chiatrico per cercare di liberarsi dagli incubiche lo tormentano durante la notte e gli fannovedere immagini della vita passata di unaragazza, di nome Victoria, che fu assassinatainsieme al suo fidanzato Julian. Visto lo stiledi vita di quest'ultimo, caduto in disgrazia ededito al gioco d'azzardo, Victoria è costrettaad abbandonarlo per rifugiarsi tra le bracciadel fratello-gemello Edward, un potente sena-tore che si innamora di lei. Victoria però sente di amare ancora Julian ecosì i due decidono di vedersi segretamente.Edward sospetta di Victoria e si reca a casa diJulian dove trova i due innamorati. Spara aidue e lascia una lettera in tasca al fratello chefarebbe pensare prima all'omicidio di Victoriae poi al suo suicidio. Dopo circa 40 anni l'ani-ma di Victoria si è reincarnata in Nicholas. Lopsichiatra lo ipnotizza e gli permette di ricor-dare tutto, tranne che dell'omicidio. Nicholas,alla fine della seduta, durante il tragitto che loriporta a casa, improvvisamente si ricordatutto…

LA TRAMA DEL CONCEPT

ROCK HEAVEN: TREASURES FROM THE PASTDream Theater. "Metropolis Pt 2: Scenes From A Memory"

di Antonio SantomauroPer i miei amici sono come un"piccolo Bignami" della musica

Hard & Heavy. Per voi lettorimi auguro di essere solo undiscreto recensore, che sia

capace di comunicarvi le emo-zioni che possono suscitare

alcuni dei più bei dischi dellastoria del Rock.

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9TRIPS AND TRICKS RRUUBBRRIICCAA SSEEMMIISSEERRIIAA DDII LLIIUUTTEERRIIAA && CCOONNTTOORRNNII......

Settaggi e manutenzione: oltre la meccanica ondulatoria...

Chitarristi e curiosi, quante volte vi sarà capitato di cambiare le cordealla vostra "donna", di cercare di tirare fuori il meglio di lei attraver-so settaggi, "manovraggi", "aggiustaggi", "truccaggi", per poi scopri-re che avete fatto solo danneggi? A me, un sacco di volte, fin quando ho deciso di mettermi l'anima inpace e sono andato dal liutaio a farmi spiegare un po' di cose, spen-dendo anche qualche soldo (soldi spesi bene, direi). Mi sono fatto una piccola cultura di settaggio e manutenzione dellostrumento che ho deciso di condividere con i lettori del magazine, perevitare errori che ho commesso, i quali, sommati, vi porterebbero acomprare una nuova chitarra, perché la vecchia è diventata "'namazza 'e scopa".In questo numero parleremo dell’operazione più comune nel settag-gio, ossia il famigerato cambio delle corde. A molti potrà sembrare unlavoro di banale importanza, ma ricordiamoci che sono le corde asuonare per prime, poi i pick up (i "microfoni" della chitarra elettri-ca), poi il ponte, e poi il corpo, infine anche il manico gioca un ruolodecisivo. A questo, però, ci arriveremo piano piano nei prossiminumeri.Veniamo al dunque. Prima di iniziare guardiamo il gioiellino e cichiediamo: che ponte ha la mia chitarra? A questo punto, armiamoci

degli attrezzi del mestiere....Sdraiate la chitarra su un piano per avere la situazione sotto control-lo e rialzate il manico appoggiandolo su un piedistallo (o una pila dilibri)."Scordiamo" la corda che ci interessa cambiare, oppure, se vogliamocambiarle tutte, iniziamo dal Mi basso. Tagliamo la corda non appe-na si trova ad una tensione tale da garantire l'incolumità della nostrafaccia, srotoliamola dalla chiavetta (quel "pirulino" che gira quandoaccordiamo, per chiarirci), e sfiliamola dal ponte… e mo’ come si fa?[1] Togliamo il coperchio del vano. Se spingiamo la corda, posta

sopra il ponte, la vedremocomparire magicamente dalforo corrispondente della parteinferiore di questo.[2] Il floyd ha un sistema dibloccaggio a vite, ossia con lacorda stretta ad un capo da unmorsetto. Quindi, bisognaallentare la vite con il chiavinoesagonale da 3 mm e, molto

semplicemente, togliere la corda. Al sistema Floyd Rose dobbiamodedicare un'attenzione particolare poiché è basato sul bilanciamentodella tensione corde-molle. Per evitare che il floyd "scenda" quandotogliamo le corde (mi raccomando: una alla volta!), basta bloccarlocon uno spessore da inserire sotto le viti dei morsetti.Inoltre, sul capotasto non è difficile notare un bloccacorde: è questala genialata che ci permette di mantenere l'accordatura anche dopo usie abusi violenti della leva-vibrato. Questo pezzo va tolto con la chia-ve esagonale da 3 mm per permettere alle corde vecchie di lasciare ilposto alle nuove.[3] E' simile al Fender, con in più la comodità di non usare il caccia-vite come un bisturi sulla schiena dalla nostra “amica”, perché lecorde non attraversano il corpo, ma sono fissate al ponte (allo stop-tail).Ora che la corda vecchia è stata buttata (mi raccomando, non fatecome me, che a volte me le ritrovo nel letto….) accingiamoci adosservare alcuni accorgimenti per allungare la vita dell'hardware.Bisogna, inoltre, assolutamente stringere le boccole delle meccanichecon la chiave da 10 mm e le viti delle chiavette, come in figura.Fatta questa ramanzina, passiamo ad inserire la nuova corda con unprocedimento che può essere approssimato all'inverso dell'operazio-ne precedente… e di nuovo abbiamo 3 casi:[1] Passare la corda dal lato senza pallino, in modo che questo labloccherà una volta passata tutta dal foro corrispondente del ponte.

Successivamente bisogna infilarla nel foro della chiavetta corrispon-dente, mettendola sotto l'abbassacorde. Prima di fissarla, bisogna"dare un po' di corda alla corda" (è brutto dirlo così, ma non sapreispiegarmi altrimenti), facendo in modo da formare un triangolo, lacui base è la chitarra e i due lati uguali sono le due metà della corda,che ha un'altezza di almeno 15 cm (non preoccupatevi, non c'è biso-gno di usare la squadretta: è una misura indicativa). Attenzione!Questo procedimento è importantissimo e vale per qualunque tipo dichitarra, poichè avvolgendo più corda attorno alla chiavetta, l'accor-datura si mantiene più stabile; non è un arcano: questo fenomeno èbasato sulla teoria della meccanica ondulatoria, che in questomomento però non ci interessa…. Avvolgiamo la corda tenendolasempre tesa verso l'alto senza dare strattoni, così quest’ultima si stirapiano piano.[2] Dopo aver letto quanto segue - imprecherete su chi vi ha fattocomprare la vostra chitarra da shredder! - si comincia dalla paletta,contrariamente a quanto detto prima… Eh lo so: è complicato ma,diversamente da quello che dice la maggior parte dei chitarristi, io lotrovo molto più ricco di vantaggi che di svantaggi. Dipende, comesempre, dai gusti musicali. Dopo aver passato completamente lacorda dal foro della chiavetta dal lato senza pallino, bisogna stirarlasul manico e fare in modo di formare il triangolo come per il caso pre-cedente, con la difficoltà in più che la corda non deve essere fissataal morsetto del ponte, ma essere mantenuta all'altezza del morsetto…Vedrete che vi avanza corda, e quindi, zac!, la tagliate con i tronche-sini. Ora è il momento di fissarla e avvolgerla, come detto sopra.[3] Dopo la disavventura Floyd Rose, rilassiamoci un attimo: per que-sto sistema il discorso è uguale a quello fatto per il Fender, con la dif-ferenza che i fori dove si blocca il pallino sono sul ponte, che è fissa-to al top (Evviva!)E adesso? Accordiamo e suoniamoci una “granta” “Smoke on thewater”...

di Emmanuel GranatelloStudente di Ingegneria Elettronica, è un grandeappassionato di musica rock, metal e progressive. Polistrumentista, è esperto di liuteria e soundengineering.

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10Fuori/Fuoco La memoria che scava nell’oblìo

Syd Barrett. Il Genio TragicoAppunti per una ri-costruzione musicale e d'esperienza

Syd Barrett. Un folle visionario, un genio incom-preso, un artista maledetto. Quando negliambienti musicali, o fra i sinceri appassionati, sipronuncia il nome del fondatore dei Pink Floyd ivisi si rigano di lacrime, o di cinico disprezzo, egli occhi si illuminano, o si insospettiscono; lealternative dipendono dai casi, "di coscienza"sarebbe opportuno aggiungere. Dileggiato comesballato cronico od esaltato in quanto agitatorepsichedelico, la sua arte, spontanea e visceralecome un quadro dai colori carichi, non è maisfuggita alla doppiezza dei giudizi. L'incoerenzadomina sovrana e le stesse, puerili, pretese dirappresentarlo soltanto come una sorta di relittoevaporato dalle nebbie fumose della Londra fineanni '60, si scontrano con la musica, ed i testi, checi ha lasciato in consegna. Andiamo a conoscer-lo da vicino.

Roger Keith Barrett nacque il 6 gennaio 1946, aCambridge. L'appellativo Syd, mediante il qualediventerà popolare, gli fu attribuito da alcunicompagni di scuola. Dal 1962 al 1965, Barrett,chitarrista elettrico e poi anche cantante, fu pro-motore, o coinvolto, in una discreta sequela dicomplessi, tutti progenitori dei Pink Floyd. Laprima formazione del leggendario gruppo sorse,in seguito, fra la fine del 1965 e l'inizio del 1966.In questo periodo, e fino al 1967 (anno della pub-blicazione del disco d'esordio "The Piper at thegates of dawn"), i Pink Floyd, e Barrett in partico-lare (ormai assurto a leader indiscusso), dopo gliesordi venati di folk e blues, si misero in luce fraconcerti eccentrici, suoni spaziali, abiti sgargiantie sperimentazioni avanzate di droghe allucinoge-ne. In sintesi, crearono la scena psichedelicainglese. E Barrett ne costituiva il faro: magnetico,idealista, sarcastico e completamente fuori daglischemi. Idolatrato perfino dai Beatles. Ma, comein una favola dal finale amaro, a seguito dell'enor-me impressione suscitata da "The Piper", gemmaacida e strabiliante creatura partorita dalla genia-lità squassante di Syd, cominciarono i guai. Gliabusi di Lsd e Mandrax, l'estrema fragilità carat-teriale, la voglia di ardire oltre il limite, le spari-zioni improvvise, le turbe mentali ed i comporta-menti astrusi sempre più evidenti (i quali, a dire ilvero, dettero vita ad una fortunata, quanto deplo-revole, serie di leggende metropolitane), cheormai contraddistinguevano Barrett, costrinsero ilresto dei Pink Floyd a prendere contatto con lacruda realtà. Venne convocato in tutta frettaDavid Gilmour, buon chitarrista e vecchio amico

di Syd, nel tentativo di dar vita ad una sorta di for-mazione "a 5", con Barrett relegato nel ruolo diautore dei testi stanti la sua incapacità persino diaccordare lo strumento ed i lunghissimi silenziregalati agli astanti (atteggiamenti che compromi-sero tourneè, interviste televisive o anche sempli-ci discussioni fra amici), forse carichi di osserva-zioni e domande inevase. L'esperimento duròpoco, giusto qualche mese, in quanto Syd, forseindispettito dalla presenza di Gilmour e dai calco-li di bottega compiuti a danno delle sue sventure,prese a provocare il suo sostituto, sempre per iltramite dei suoi sguardi assenti e persistenti.Ormai non ci si preoccupava più di recuperarlo odi andarlo a cercare, era semplicemente sorvolato"in un'altra dimensione". Nel marzo del 1968,come recitarono le cronache dell'epoca, SydBarrett fu "ufficialmente allontanato" dai PinkFloyd. Il suo celebre epitaffio, posto in chiusuradel secondo disco dei Floyd ("A Saucerful ofSecrets", 1968), s'intitolava "Jugband Blues" (perla cui registrazione Syd aveva cooptato la bandadell'Esercito della Salvezza, intimandogli di suo-nare "assolutamente a caso"!) e recitava, quasi peril tramite di un lucidissimo atto di coscienza schi-zofrenica, in questa maniera: "è tremendamentecortese da parte vostra pensarmi qui. E vi sonomolto obbligato per aver chiarito... che non cisono". Esaurita la fase floydiana, la carriera soli-stica di Syd Barrett fu ostacolata dai gravi proble-mi mentali richiamati, ma, è bene chiarire, cheproseguì, seppure a singhiozzo, fino ad interrom-persi, definitivamente, soltanto nel febbraio del1972 (quando ebbe luogo, nella natia Cambridge,la sua ultima esibizione "dal vivo", con un com-plesso chiamato "Stars"). Syd registrò e pubblicò,fra mille difficoltà, due dischi ("The MadcapLaughs" e "Barrett", entrambi nel 1970), metafo-re reali delle sue enormi qualità artistiche mesco-late ai travagli psichici che lo stavano disintegran-do. Ritratti fedeli, e sofferti (anche per chi li ascol-ta), di una perla in de/composizione. Syd rimasea Londra, dove fu oggetto di numerose chiacchie-re da parte della stampa, sciacalla come sempre,e di migliaia di cosiddetti "Syd sightings" (avvi-stamenti), data la sostanziale irreperibilità dellesue tracce. Ormai il mito era in irrefrenabile asce-sa, condito dalle minuziose, e spesso fantasiose,descrizioni di episodi che lo avrebbero coltocome folle protagonista. L'unico dato certo erache la sua salute continuava a non destare segni dimiglioramento. Nel 1975, e questo episodio èconfermato da più testimonianze, durante le ses-sioni di registrazione che i Pink Floyd tennero per"Wish you were here" accadde una circostanzaquasi mistica. Mentre la band era intenta a finaliz-zare i dettagli di "Shine on your crazy diamond",la superba suite giusto a Syd dedicata, di fronte aimusicisti si materializzò un'inquietante sagoma,sovrappreso, sghignazzante e con i capelli cortis-simi. Tutti pensarono che fosse un custode. Inrealtà era un irriconoscibile Barrett, il quale, dopoaver pronunciato qualche strascicata parola, se ne

andò mestamente. Sul finire degli anni '70, Syd siritirò a Cambridge presso la casa abitata dallamadre e dalla sorella, dove continuò a vivere inisolamento, spesso segregandosi in soffitta, pas-sando la maggior parte del tempo a dipingere.Degli ultimi 25 anni, trascorsi sempre aCambridge, non si sa nulla con certezza, se nonaneddoti ingigantiti, foto rubate (e fatte circolare)alla quotidianità di un soggetto in privato, spora-diche uscite in bicicletta, ulteriori tracolli e parzia-li riprese, perfino un paio di interviste, piuttostostralunate, concesse ad alcune riviste musicali. E,parallelamente, la crescita esponenziale delledicerie di contorno, della smania di collocare ilPersonaggio/Syd nelle fattezze delPazzo/Drogato, del simboleggiare una trasgres-sione ideologicamente bollata come negativa.Atteggiamenti stereotipati ed irrispettosi dellastessa volontà, espressa pur sempre da una perso-na in carne ed ossa, di voler, magari, trascorrereun lasso di umana esperienza in penombra, auto-nomia e tranquillità, nonostante i propri interiorisquilibri. A spezzare tale catena di sofferenze,concrete ed astratte, per Syd Barrett, il 7 luglio2006, è giunta la serena morte, all'età di 60 anni.Anoi profani posteri resterà il frutto delle sue per-cezioni distorte, della sua immaginazione colora-ta, dei suoi accordi cosmici, del suo sguardo pene-trante. Potrà bastarci per imbastire sogni e viaggifuturi. Il sensazionalismo, ed il qualunquismo,lasciamoli a chi se ne occupa di mestiere...

Per concludere, vi propongo un'interpretazionearguta, e giustamente complicata, concernente leprobabili cause della deriva di Syd. E' stata elabo-rata da un tizio che assomma in sé molte analogiecon Barrett, quindi probabilmente in grado di car-pire la sua sensibilità. Si tratta di Julian Cope, can-tautore inglese dal cervello fluido e dalla liricastraniante."Syd Barrett è stato il primo autore a forte impat-to psichico della musica pop a competere conJohn Lennon... Le limitazioni paralizzanti delledinamiche commerciali, a cui fu costretto prema-turamente, causarono a Barrett un'insostenibilesofferenza: è quasi impossibile per un artista,infatti, limitarsi al perseguimento del raggiungi-bile, ma era proprio questo che pretendevano dalui gli altri componenti dei Pink Floyd. Credo chequando Barrett se ne rese conto, la sua sottileaderenza alla realtà venne meno ed egli cadde nelvuoto. E' stata come una Morte Artistica ed unatragedia dalle proporzioni leggendarie."

a cura di Giuseppe Morrone

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11L’incomprensibile teatro delle immagini sociali“Il Rivoluzionario”, monologo di Maurizio Igor Meta

Maurizio Igor Meta si è formato studiando connumerosi professionisti del teatro e del cinema,perfezionandosi all'Accademia Nazionaled'Arte Drammatica "Silvio D'Amico" di Roma.La Compagnia "Teatro Novecento", di cui èsocio fondatore unitamente a Cinzia Sità, sioccupa di teatro, danza e cinema e nasce dallanecessità di raccontare persone, vite, fatti,suoni, parole, immagini, gesti, sorrisi, amarez-ze e silenzi del nostro tempo. L'intervista che ciha concesso concerne una discussione a pro-posito della sua ultima creazione teatrale, "IlRivoluzionario", regia di Cinzia Sità, di cui èautore ed interprete. Il monologo è stato ogget-to di una tourneè che ha toccato, nel corso del2007, varie zone d'Italia.

La forma del monologo, nel teatro, esprimeuna volontà d'indagare riflessivamente letematiche che si vanno a trattare. Era que-sta la tua intenzione quando la hai sceltaoppure credi che le sofferenze, le criticità sipossano amalgamare anche in una sceneg-giatura corale, mantenendo la stessa pro-fondità d'approccio?Si è trattato di una scelta istintiva, necessaria eobbligata. In questo momento del mio percor-so artistico non potrei esprimermi in manieradiversa, ma credo che una drammaturgia conpiù interpreti possa trattare le contraddizionisociali e i drammi interiori alla stessa streguadel monologo. Per quanto riguarda me, ripeto,è stata una scelta istintiva perché nata sponta-neamente, non decisa a priori, per l'urgenzache io avevo di affrontare certi temi.Necessaria perché ad un certo punto del miopercorso artistico ho sentito l'esigenza di met-termi alla prova. Obbligata perché ad un certopunto della mia vita ho capito che non avreipotuto fare altro se non l'attore. Ma se aspettiche ti chiamino puoi attendere anche tutta lavita, almeno per me è stato così, e così hodovuto trovare la strada per fare ciò che hosempre voluto, ed è stato difficilissimo.Le quattro figure da te individuate, per tra-mite della riflessione permanente di unoscrittore, nella ripartizione del monologo "IlRivoluzionario" (un commerciante avido diricchezza, un giovane idealista e senzatetto,

un pugile prima famoso e poi dimenticato,un tifoso fanatico e violento) potrebberocorrispondere ad altrettanti ambiti di con-traddizione sociale (l'invadente mercato, ledifficoltà pratiche e quasi lo schernimentonel tenere un comportamento eticamentecorretto, i valori dell'ambizione e dell'agoni-smo e/o la conseguente caducità di questi, laviolenza ingiustificata come valvola disfogo) intimamente connessi alle crisi diciviltà, cultura e politica attuali. Almeno,questa è la interpretazione che ne ho dato.Raccontaci, per sommi capi, la strutturadell'evento.I personaggi sono cinque e il monologo èunico. Lo scrittore, che fa da collante, non fa

altro che osservare e rappresentarela realtà sociale, affidandosi ancheagli altri personaggi. Inizia sedutosu di una panchina abbracciato allasua valigia chiusa con una cordicel-la, dove è custodito tutto ciò che è lasua essenza, tutto ciò che pensa.Aprendola ci regala i suoi pensieripiù intimi, per bocca degli altri per-sonaggi: un venditore che è dispostoa smerciare improbabili oggetti purdi diventare "normale", cioè ricco;un senzatetto che riflette sul signifi-cato di felicità che per lui è un caffè,un panino con la salsiccia, qualcosa

da leggere e un posto dove dormire; un pugilesognatore che raggiunge il successo arrivandoa disputare l'incontro per il titolo mondiale, mache poi, finito sul lastrico, continua a sognare;un tifoso teppista che fa della violenza unostile di vita che non rinnega nemmeno di fron-te al verificarsi di un evento drammatico.Infine, prima dell'epilogo, lo scrittore provve-de a richiudere la valigia.Come appena rammentato, sullo sfondo, enella narrazione in apertura e chiusura discena, compare, la figura di uno scrittoresovversivo, severo osservatore della realtàche gli scorre accanto, il quale per tenerefede alla sua irreprensibilità, e per non farsifagocitare dal sistema, giunge a smettere discrivere. E' davvero l'astrazione assolutadalla realtà, anche tramite gesti apparente-mente illogici e disperanti, quello che ci con-sente di osservare con lucidità lo squallorecircostante?Per rispondere a questo bisogna, esattamente,focalizzare il momento in cui lo scrittoreriprende coscienza di sé e decide di smettere discrivere perché dice: "se sapessero quello chepenso sarei già appeso al muro". In questosenso, lo scrittore assolutamente non si astraedalla realtà, ma è un uomo arrabbiato che rifiu-ta un sistema al quale, suo malgrado, non puòsottrarsi. E il cappello che, alla fine, rimaneappeso al muro sta ad indicare proprio questo.In principio d'intervista ci confessavi che il

viatico per esprimersi liberamente, e secon-do le proprie capacità e interessi, continuaad essere irto di ostacoli. Credo che questovada assunto, purtroppo, come fenomenogenerale, considerata la precarietà d'occu-pazione, e d'esistenza, che contraddistinguequesta fase storico/politica. Sarebbe utile, eforse catartico, poter ascoltare un granellodella tua esperienza rispetto alla prepara-zione, anche autoriale, ed alla messa inscena de "Il Rivoluzionario".Provare a scrivere, capire di poterlo fare e poiraccontare quello che hai scritto, mettere su lospettacolo e pensare praticamente a tutto, dal-l'aspetto artistico (scene, costumi, etc.) a quel-lo gestionale (produzione, promozione, distri-buzione, etc.), e poi restare in scena da solo perquasi un'ora, sono tutte prove che ho dovutoaffrontare contemporaneamente, e avevo eancora ho, anche se in maniera diversa, timoredi non farcela, ma allo stesso tempo la grandis-sima forza di sapere di non poter fare altro, e,cioè, raccontare a chi ha voglia di ascoltare, eascoltare i silenzi e i sorrisi di chi ha voglia distarmi di fronte…o di lato…o magari sedutosul palco come piace a me, vicino a me, comeè successo a Padova.E' tutto merito tuo o hai da elargire qualchericonoscimento particolare?Voglio ringraziare la regista Cinzia Sità, che miha seguito passo dopo passo in questo difficilepercorso ed è stata autrice di un disegno dram-matico semplice ed efficace, Michele Demaria,che col suo disegno luci ha dato un altissimocontributo di qualità a questo spettacolo,Alfonsina Malanga che è il nostro temerarioaddetto stampa, Antonio Sirica autore dellalocandina e delle foto di scena, e tutti quelliche credono ne "Il Rivoluzionario" richieden-done la rappresentazione.

Giuseppe Morrone

Maurizio Igor Meta è stato insignito deltitolo di miglior attore nella sezione“nuova drammaturgia” del “Rota inFestival”. La rassegna si è svolta aMercato San Severino tra i mesi di otto-bre e novembre 2007 ed è stata organiz-zata dalla Compagnia Stabile Città diMercato San Severino. Sei gli spettacoliche hanno animato la manifestazione. Laserata di premiazione ha avuto luogopresso il Centro Sociale “Biagi” il 25novembre scorso. In precedenza, "Il Rivoluzionario" è statoselezionato nella rosa dei nove spettaco-li più originali tra i centoventi lavori teatra-li pervenuti alle selezioni del Festival"Parlami di me... In viaggio attraverso lediversità", tenutosi a Padova durante ilmese di dicembre 2006.

La premiazione al “Rota in Festival”

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12 GenomARTArte Digitale Contemporanea

www.genomart.org | www.genomart.euMarco Coraggio (direttore responsabile)

[email protected] Carlo Quadrino (responsabile comunicazione)

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GenomART è membro del comitato promotore di:SCIENCE & ART ENTANGLEMENT

Comunità virtuale internazionale di ricerca traSCIENZA ed ARTE per una Miglior Qualità della

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Il video People! prodotto da GenomART, è stato selezionatoper partecipare a “Cinemateque 2007”, rassegna dedicata alleopere di videoarte fruibili con tecnologia QuickTimedal titolo Cinema C - Slowtime 2007 - Quicktime as an artisticmedium. L'evento è inserito nel contesto più ampio delNewMediaFest2007 www.newmediafest.org, primo festivalinternazionale dedicato all'arte & new media, svolto in coope-razione con 3rd Digital Art Festival Rosario/Argentina,november 2007. Il video è visionabile e scaricabile suwww.genomart.org

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