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19-11-02 RASSEGNA STAMPA 19-11-01 RIFORMA PAC NON PRIMA DEL 2022, PER LE REGOLE ATTUALI PRONTA LA PROROGA MA MANCANO I FONDI Agrisole 19-11-01 «LA POLITICA AGRICOLA DEVE RESTARE COMUNE CON UN BILANCIO ADEGUATO ALLE NUOVE SFIDE» Agrisole 19-11-01 ISMEA, PER OPERATORI DEL SETTORE CEREALICOLO CONTRATTI DI FILIERA DA INCENTIVARE Mangimi&Alimenti 19-11-02 PROGETTO AFRICA IN AGRICOLTURA. IL GHANA FA DA BATTISTRADA A UN’INTESA DI CRESCITA SOSTENIBILE la Stampa

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19-11-01

Riforma Pac non prima del 2022, per le regole attuali pronta la proroga ma mancano i fondi R.A.

La Commissione vara il regolamento che rinvia di un anno l'entrata in vigore della riforma post 2020 ma senza un accordo sul budget la proposta è senza copertura finanziaria

Alla proroga mancava solo l'ufficialità. Un anno che potrebbe non bastare, anzi è quasi certo che non basterà. Che la nuova Pac sarebbe entrata in vigore più tardi rispetto alla scadenza fissata era scontato da tempo. Ieri, è arrivato l'atto ufficiale: la Commissione europea ha infatti presentato, a Bruxelles, una proposta di regolamento che prevede lo slittamento di un anno e la proroga delle attuali regole.

Le discussioni in seno al Parlamento europeo e al Consiglio stanno richiedendo più tempo del previsto, ha indicato la Commissione. Pertanto, sotto il profilo legale, è necessario assicurare una "transizione morbida" tra l'attuale regime normativo e il nuovo assetto previsto nella proposta presentata l'1 giugno 2018. Dunque, sulla base della proposta dell'Esecutivo Ue, la "Pac post 2020" entrerà in vigore all'inizio del 2022.

Nella parte introduttiva della progetto legislativo si precisa che i regolamenti relativi ai pagamenti diretti e ai programmi per lo sviluppo rurale non hanno una scadenza definita. Manca, però, la copertura finanziaria dopo il 31 dicembre 2020, quando scadrà il vigente quadro finanziario pluriennale (Qfp) dell'Unione. In buona sostanza, le regole esistenti sulla Pac resteranno in vigore nel 2021 e la copertura finanziaria sarà assicurata con i fondi previsti nel progetto per il Qfp 2021-2027, che dovrebbe essere approvato dai capi di Stato e di governo a dicembre.

Da ricordare che il progetto in questione prevede una riduzione complessiva della spesa agricola in misura del 12% a prezzi costanti rispetto al periodo 2014-2020. Per l'Italia il taglio sarebbe di quasi sette punti percentuali. Circa 2,7 miliardi di euro in valore assoluto.

La proposta di regolamento della Commissione sullo slittamento della nuova Pac dovrà essere approvata secondo la procedura legislativa ordinaria. Vale a dire con la codecisione tra Parlamento europeo e Consiglio. Difficilmente, il trilogo tra le istituzioni per giungere all'accordo finale potrà partire prima di febbraio-marzo 2020. Per questo, lo slittamento di un anno dell'entrata in vigore della nuova Pac potrebbe risultare insufficiente.

A livello di Europarlamento si è già delineato uno schieramento favorevole ad una proroga biennale (fino al 31 dicembre 2022), introducendo però alcune modifiche della normativa vigente. Si tratta di un'ipotesi non vista di buon occhio dalla Commissione Ue, perché potrebbe svuotare il progetto di riforma della Pac in discussione da oltre un anno. Da parte sua il Consiglio ha da tempo indicato che la posizione sulla riforma della Pac (il cosiddetto "orientamento generale") sarà assunta solo dopo aver conosciuto l'ammontare delle risorse finanziarie a disposizione fino al 2027. Dunque, un altro rinvio: se ne riparlerà all'inizio del 2020.

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19-11-01

«La Politica agricola deve restare comune con un bilancio adeguato alle nuove sfide» R.A.

La dichiarazione comune dei presidenti di Confagricoltura e Fnsea, Giansanti e Lambert, sul ruolo della futura Pac e la necessità di tutelare l'agricoltura nei negoziati commerciali

L'agricoltura ha bisogno di «un'Europa forte con politiche adeguatamente finanziate per le sfide da affrontare: la Pac deve soprattutto rimanere una politica comune, a carattere economico». Parte da quest'obiettivo comune l'alleanza tra Confagricoltura e Fnsea, il potente sindacato agricolo nazionale francese, raggiunta sui contenuti e le priorità per il futuro dell'agricoltura in dell'incontro a Parigi tra i presidenti di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, e della Fnsea, Christiane Lambert.

In una nota congiunta le due organizzazioni hanno ribadito che è necessario bilanciare l'aspetto economico della Pac con la sostenibilità ambientale: non può esistere, però, sostenibilità economica senza produzione. «Il contributo della Pac in termini di sicurezza alimentare, uso del suolo, occupazione e crescita non è in contrapposizione con le azioni volte a combattere il cambiamento climatico, la protezione dell'ambiente e la biodiversità. Al contrario – sottolinea la nota –, tali obiettivi possono essere raggiunti attraverso tecniche mirate ed una remunerazione adeguata per gli agricoltori. La sostenibilità deve basarsi in ogni caso su tre pilastri: economico, ambientale e sociale».

Sull'accordo di libero scambio Ue-Mercosur e sull'applicazione delle misure di ritorsione statunitensi a seguito del panel Wto "Airbus-Boeing", Confagricoltura e Fnsea sono concordi nel considerare le concessioni ai paesi sudamericani e i dazi Usa «un'ingiusta penalizzazione imposta all'agricoltura europea. L'agricoltura non può essere utilizzata dai negoziatori dell'Ue come "settore di compensazione" nell'ambito dell'accordo Mercosur. I dazi statunitensi impongono con urgenza il varo di un piano di sostegno per le produzioni più colpite.»

A seguito della nuova proroga della data della Brexit, i due presidenti hanno anche discusso della situazione economica in Europa, ribadendo la necessità di evitare «un'uscita non ordinata» del Regno Unito e negoziare una zona di libero scambio per salvaguardare in futuro gli scambi commerciali bilaterali. Sul controverso tema dell'etichettatura di origine, la nota si limita a sottolineare che questa «deve anche proteggere gli agricoltori per la valorizzazione delle loro produzioni».

Infine biotech e innovazione come elementi centrali per lo sviluppo del settore: Confagricoltura e Fnsea hanno indicato che le nuove tecniche di miglioramento genetico e l'innovazione, sono una priorità per il futuro dell'agricoltura europea. «Il settore deve migliorare la propria competitività attraverso investimenti per rispondere così alla rivoluzione digitale in un contesto in cui essere agricoltore diventa sempre più complesso». Secondo i due presidenti, «sono necessarie nuove iniziative che consentano agli agricoltori di poter gestire i dati provenienti dalle loro aziende agricole perché vadano a beneficio del settore agricolo».

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Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

Data 02/11/2019

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Foglio 1

Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

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Qui sopra e a sinistra due immagini del Progetto Africa avviato in Ghana

Convegno sul futuro al Maxxi di RomaIl numero uno del gruppo: “Abbiamo adottatogli obiettivi di economia sostenibile dell’OnuMa non tutti stanno facendo la loro parte”

Il mondo si deve dotare diun modello di sviluppo dif-ferente rispetto a quello at-tuale». Lo ha affermatol’ad Eni, Claudio Descalzi,nel corso di un recente di-

battito con il direttore di Chat-man House, Robin Niblett, te-nutosi a Romapresso ilMaxxi,il museo nazionale d’arte delXXI secolo. Per il futuro «nonsono né ottimista né pessimi-sta», ha evidenziato l’ad Eni:dal 2015, anno dell’accordosul clima di Parigi, «ho sentitotroppe parole che prevalgonosulleazioni, mentrele emissio-ni sono aumentate». Se leazio-ni per la transizione energeti-ca «non sono coordinate, di-ventano gocce nell’oceano»,ha rimarcato. «Le società devo-no investire, te lo chiedono gliinvestitori che vogliono pianiverdi e sostenibili. Ma allostes-so tempo se non porti ogni tri-mestre profitti, difficilmentechiedono cosa tu stia facen-do…», ha osservato con disap-punto Descalzi.

Nel 2018 le emissioni di CO2sono aumentate dell’1,8% ri-spetto al 2017: «Questo dimo-

stra come, finora, il modello oc-cidentale abbia fallito»,ha pro-seguito. Eni ha adottato gliobiettivi di sviluppo sostenibi-le (Sdg) dell’Onu perché con-densano «tutto ciò che dev’es-serefatto per realizzare la tran-sizione energetica». Descalziha ricordato poi gli investimen-ti del gruppo in tema di sosteni-bilità: «Tre miliardi in realizza-zioni di progetti, più un miliar-do in ricerca scientifica in quat-tro anni e mezzo».

Robin Niblett ha dipinto unaffresco a tinte fosche della si-tuazione internazionale: «Senon riduciamo le emissionidel 3% l’anno per i prossimi30 anni, non raggiungeremonemmeno l’obiettivo minimoper il contrasto ai cambiamen-ti climatici», ha detto. Nelmondo l’egoismo delle nazio-ni rappresenta la quotidiani-tà: «China first, Usa first. È dif-ficile considerare i problemiglobali in un’azione pubblicacomune e chi ci va di mezzo èla società civile», ha rimarcatoNiblett. I governi non hannofatto molti passi avanti, secon-do il direttore della Chatman

House, «per non prendere de-cisioni difficili delegano le po-litiche sui prezzi alle società:ora, però, devono stabilire re-goleprecise». Qualche pennel-lata chiara, tuttavia, sembraemergere dal suo dipinto, apartire dalle politiche dellanuova Commissione europeache ha messo la green econo-my in cima all’agenda, edall’impegno di stati europei e

americani nella produzione dienergia pulita. «Non sono otti-mista», ha ribadito Niblett, «ilmomento politico internazio-nale è negativo. Di buono c’èche è in atto una nuova allean-za nella società che può rive-larsi vincente».

Sulla società civile si è sof-fermato anche Descalzi, cheha rimarcato la presenza diEni in 70 Paesi e i forti investi-

menti in Africa (e nel Messi-co): «Quando vedi personeche soffrono non puoi far fin-ta di niente: motivazioni so-ciali, morali, umane ci spin-gono ad agire». L’Africa è ilpiù ricco continente al mon-do in termini di risorse ener-getiche ma «a fronte di unapopolazione pari al 15-16%del pianeta, il consumo dienergia è solo il 3% del tota-

le». Eni ha portato in Africa 1GW di energia attraverso pro-getti per il gas domestico e l’e-lettrificazione in Ghana, Egit-to e Libia. «È una goccia», am-mette Descalzi, «abbiamoconsentito l’accesso all’ener-gia a 18 milioni di persone,mettendo in campo tecnolo-gie, investimenti e sussidi».

Sulla transizione energeti-ca Descalzi apre qualche spira-glio: «Dopo aver cozzato millevolte l’uomo trova la stradagiusta», e le buone pratichenon mancano. «Si può usciredalla situazione drammatica nella quale ci siamo infilati»,ha detto, «non dobbiamo pe-rò seguire l’esempio della Ci-na che apre centrali a carbo-ne in Africa, ma gli esempi diUsa, Regno Unito e Italia,che stanno operando scelteenergetiche virtuose». Il di-battito si è concluso con unavisione del mondo dell’ener-gia tra 10 anni, secondo l’adEni: «Zero carbone e zero pe-trolio, meno gas e più rinno-vabili. Il grande mercato deirifiuti nei Paesioccidentali do-vrà trasformarsi in risorsa pri-maria per la produzione dienergia: il rifiuto dovrà diven-tare l’oil and gas del futuro».Trasformare la materia in idro-geno sarà possibile «solo inve-stendoin ricerca tecnologica ecapitale». —

La produzione dienergia è probabil-mente il campoprincipale sul qualesi gioca la partitadella transizione

energetica e il contenimentodella febbre del pianeta. Tec-nologie avanzate consentonooggi di ricavare energia da ri-fiuti urbani, oli esausti e bio-masse minimizzando l’impat-ti ambientali e i costi di smalti-mento e trasformando in real-tà l’economia circolare. Pro-prio questa è la strada intra-presa da Eni che, nel campodella raffinazione, è la primacompagnia al mondo ad ave-re convertito una raffineriatradizionale in bioraffineria,prima a Venezia e poi a Gela.La società è impegnata anchenel recupero degli oli vegetaliusati e di frittura per produrre«green diesel» a supporto del-la mobilità sostenibile, e stasviluppando soluzioni tecno-logiche che consentono di ge-nerare olio microbico da rifiu-ti di biomassa lignocellulosi-ca (per esempio dalla pagliadi grano o da quella del mais).

Operando lungo tutta la fi-liera dell’economia circolare,dal 2018 Eni, attraverso Eni

Rewind, è impegnata nel recu-perodei rifiuti organici prove-nienti dagli scarti agroalimen-tari e dai residui di cibo attra-verso la tecnologia Waste toFuel, che trasforma la Forsu(acronimo di Frazione Orga-nica dei Rifiuti Solidi Urbani)in bio-olio e bio-metano, con-sentendo anche il recuperodell’acqua naturalmente con-tenuta nella Forsu. Un circolovirtuoso avviato con l’impian-to pilota a Gela, cui seguiran-

no altri impianti industriali.Da 100 kg di rifiuti organici

urbani si possono ottenere fi-noa14 kgdi bio-olio. La tecno-logia Waste to Fuel contribui-sce a ridurrel’impatto ambien-tale ed economico nella gestio-ne dei rifiuti organici perchéha una resa energetica elevata(70-80%) e un tempo di tratta-mento ridotto (2-3 ore). Gliodori rimangono confinatinell’impianto, si riduce il con-

sumo di suolo rispetto agli im-pianti di biogas o compostag-gio (meno di 0,3 metri quadriper ogni tonnellata di rifiuti),si minimizzano le emissioni diCO2 (-70%) rispettoalla produ-zione di olio combustibile dafonte fossile. L’acqua recupera-ta dal trattamento, infine, puòessere destinata a uso irriguo oindustriale.

I progetti di trasformazionedei rifiuti in energia fanno par-te della più ampia strategia didecarbonizzazione di Eni perraggiungere, entro il 2030, lezero emissioni nette dell’up-stream, l’insieme dei processi operativi da cui ha origine l’at-tività di produzione di gas na-turale, olio combustibile e pe-trolio. La compagnia conta di conseguire questo target at-traverso interventi miratiall’aumento di efficienza, perminimizzare le emissioni di-rette di CO2. Previsti ancheprogetti di conservazione del-le foreste primarie e seconda-rie,cheandranno a compensa-re le emissioni residue. Altrielementi della strategia sonola crescita delle fonti low car-bon e un aumento delle fontia zero emissioni come il sola-re, l’eolico e i sistemi ibridi. —

Realizzare progetti di sviluppo delle economie locali at-traverso l’applica-zione di tecniche agricole innovati-

ve e sostenibili, nel rispetto degli ecosistemi. Questol’ambizioso obiettivo del Pro-getto Ghana, iniziativa pilo-ta che Eni ha avviato in Afri-ca e che intende diffondere in altri Paesi assieme a Col-

diretti e Bonifiche Ferrare-si S.p.A. La cooperazione tra le tre realtà italiane è stata siglata qualche gior-no fa a Cernobbio da Ettore Prandini, presidente di Col-diretti, Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, e Federico Vecchioni, ad di Bf S.p.A.

I settori coinvolti coprono un’ampio spettro dell’econo-mia green e spaziano dal campo energetico a quello agricolo, dall’agroalimenta-re allo zootecnico: saranno concretizzati attraverso l’in-dividuazione di specifiche

iniziative locali. Si parte, ap-punto, dal Ghana: qui Eni, in partnership con il governo, ha già avviato una serie di azioni per creare uno svilup-po duraturo in aree depres-se, attraverso la realizzazio-ne di un centro di formazio-ne per lo sviluppo agricolo e di realtà imprenditoriali in cui inserire successivamente le risorse formate. L’orizzon-te è la creazione di un tessuto

economico legato alle attivi-tà agricole. Il progetto preve-de l’assegnazione di un’in-dennità giornaliera agli stu-denti per l’intero periodo di formazione, con obbligo di frequenza. Specifici indicato-ri consentiranno la replicabi-lità dell’iniziativa su più am-pia scala in altre regioni del Ghana e in altri Paesi dell’A-frica sub-sahariana, per ten-tare di costituire un modello

di sviluppo che faccia leva sulle potenzialità dell’impre-sa familiare e sostenga i pic-coli produttori locali.

Nell’ambito dell’accordo di Cernobbio, Bonifiche Fer-raresi metterà a disposizio-ne la propria capacità di ge-nerare valore e qualificare i territori tramite le proprie aziende attive nel comparto sementiero, della tecnolo-gia applicata, e della produ-zione di cibo di qualità. Eni condividerà la propria espe-rienza nella realizzazione di progetti di sviluppo sosteni-bile delle comunità locali, nell’ambito dell’economia circolare e delle energie rin-novabili, favorendo il trasfe-rimento di conoscenze e sti-molando lo sviluppo di siste-mi imprenditoriali.

«Grazie a questa nuova partnership - dichiara Descal-zi - abbiamo costituito un mo-dello di cooperazione che at-traverso le competenze e la tecnologia risponde a due esi-genze imprescindibili per il nostro tempo: la necessità di contribuire in modo sosteni-bile allo sviluppo sociale ed economico delle comunità lo-cali dei Paesi in via di svilup-po, e, nel contempo, alla pro-mozione di un sistema di pro-duzione di energia sempre più sostenibile e improntato alla decarbonizzazione». Te-mi vitali per il pianeta, sfide epocali, nelle quali il contri-buto di Eni diventerà sempre più significativo, «per favori-re l’affermarsi di un sistema economico più efficiente e circolare». —

18I milioni di africani

che hanno beneficiatodi queste nuove

utenze domestiche

L ’A M M I N I S T R A T O R E D E L E G A T O D E L L ’ E N I : L A T R A N S I Z I O N E È G I À A V V I A T A E L ’ I T A L I A S I P O N E A L L ’A V A N G U A R D I A

Descalzi: “Il modello di sviluppo va cambiatoFra dieci anni zero carbone e zero petrolio”

L’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, e la presidente del Maxxi, Giovanna Melandri

1 GWL’energia (gas e luce)

che Eni ha portatonelle case di Ghana,

Egitto e Libia

Qui sopra una piattaforma petrolifera dell’Eni nell’offshore di Ravenna

SPECIALE ECONOMIA CIRCOLARE

E N I A S S I E M E A C O L D I R E T T I E B O N I F I C H E F E R R A R E S I

Progetto Africa in agricolturaIl Ghana fa da battistradaa un’intesa di crescita sostenibile

Formare imprenditoriper far nascere

un sistema favorevole all’ambiente

Da 100 kg di materialesi possono ottenere

fino a 14 chilogrammidi bio-olio

SPECIALE ECONOMIA CIRCOLARE

A V E N E Z I A L A P R I M A C O N V E R S I O N E D I U N I M P I A N T O T R A D I Z I O N A L E , A G E L A U N O S T A B I L I M E N T O C H E T R A T T A G L I S C A R T I U R B A N I

Bioraffinerie, così i rifiuti diventano energia

La bioraffineria di Gela inaugurata lo scorso settembre

SABATO 2 NOVEMBRE 2019 SPECIALELASTAMPA 17

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• Ismea, per operatori del settore cerealicolo contratti difiliera da incentivareIl censimento sui centri di stoccaggio di Ismea contiene anche un’indagine qualitativa da cui emerge unquadro articolato del settore cerealicolo italiano. L’industria mantiene salda la leadership mentre le aziendeagricole arrancano sotto i colpi della concorrenza estera; sul prodotto nazionale si consuma uno scontro divisioni tra chi non vede nell’origine un valore aggiunto e chi invece difende i cereali coltivati sul territorio. Dalsettore arriva però un vasto apprezzamento per i contratti di filiera. Le note dolenti riguardano infine i centridi stoccaggio, con strutture tendenzialmente arretrate, bisognose di innovazione e in molti casi a rischio disparizione. La parte qualitativa del Censimento di Ismea è stata realizzata coinvolgendo quindici aziende delsettore rilevanti per volumi di prodotto stoccato e per le attività condotte: centri di stoccaggio afferenti aconsorzi agrari, aziende agricole, società di commercializzazione di cereali, importatori, molini, sementifici,pastifici, mangimifici, stoccatori e magazzini di custodia.

Contratti di filiera Dall’indagine è emerso un apprezzamento dei contratti di filiera. Gli operatori hannoinfatti espresso “la speranza in una loro sempre maggiore incentivazione”. Questi strumenti riescono infatti atenere insieme tutti gli attori del comparto, a fare sistema, una delle poche leve che l’agricoltura italiana puòsfruttare per competere sui mercati internazionali.

Cereali nazionali L’industria, che si è affermata in una posizione primaria, richiede un prodotto di qualità e inquantità adeguate. Quello che conta è un insieme di parametri (dall’assenza di micotossine al peso specifico, alvalore proteico) in base ai quali valutare la qualità dei cereali e accanto ai quali non trova spazio l’origine.Qualitativamente il prodotto estero è “almeno pari, in alcuni casi superiore, al prodotto nazionale”, si legge nelreport. Anche sulla quantità la bilancia pende a favore dei Paesi esteri, soprattutto extra-Ue: questi godono disuperfici molto più estese, possono assicurare la fornitura del prodotto e una continuità dei prezzi, sostengonocosti di produzione molto più bassi, possono investire e poi operare all’interno di normative di produzione estoccaggio percepite come meno stringenti. In questo quadro gli agricoltori italiani, l’anello debole delcomparto, non riescono a competere. Critici sull’origine del frumento sono proprio gli stoccatori, chesollevano dubbi sulla produzione del cereale all’estero (glifosato/prodotti fitosanitari), sulle modalità distoccaggio e sul fatto che l’applicazione dei vincoli normativi italiani non può essere verificata sul granoestero. Infine non sembra esserci una vera volontà politica di difendere il prodotto nazionale e quindi dovrebbeessere il consumatore finale a fare pressione sull’industria per avere prodotti con materie prime 100% italiane.Chi invece stocca e commercia frumento estero punta il dito contro la sua demonizzazione: il frumento italianoè insufficiente a soddisfare la domanda dell’industria e inoltre all’estero è possibile reperire anche del grano diqualità superiore.

Lo scenario di domani Molti centri di stoccaggio sono obsoleti e necessitano di ammodernamento. Tuttavia,dal momento che per gli agricoltori e di conseguenza per gli stoccatori i margini sono sempre più scarsi, non èeconomicamente remunerativo investire sul miglioramento delle strutture. Si preferisce invece la“manutenzione dell'esistente”. La prospettiva dell’innovazione è prossima solo per le grandi realtà:“Ammodernare, ristrutturare, ampliare è un obbligo per stare sul mercato ma non una scelta per differenziarsipositivamente dalla concorrenza. In questo quadro evidentemente appaiono in sofferenza soprattutto lestrutture di piccole e medie dimensioni che manifestano incertezze e timori riguardo il futuro delle loroattività”. Probabilmente le uniche realtà che potranno sopravvivere nel tempo sono i grandi consorzi e lecooperative. Per queste l’ammodernamento sarà una necessità per non fare la stessa fine delle picole realtàche tenderanno invece a sparire. Cambierà anche il modo di fare stoccaggio. I grandi silos saranno affiancatida altre strutture per contenere prodotti sempre più differenziati. Inoltre sembra non più rinviabile lastandardizzazione dello stoccaggio, in particolare riguardo le tecnologie di conservazione, le norme disicurezza e le garanzie di tipo igienico-sanitario. A pesare sulla sopravvivenza delle realtà dello stoccaggiosarà anche la possibilità di accedere ai fondi regionali e/o comunitari.