1.4 Relazioni tra bacini sedimentari e province … dall’atmosfera e dall’idrosfera, che sono...

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VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO 1.4.1 Tettonica delle placche La tettonica delle placche è la teoria, corroborata da numerosissimi dati osservativi, che spiega l’evoluzio- ne del guscio più esterno della Terra, la litosfera, fram- mentato in una serie di elementi minori, le placche, che si muovono l’una rispetto all’altra. L’espressione tetto- nica delle placche indica anche il settore disciplinare delle scienze geologiche che studia la morfologia e gli spostamenti delle placche, come pure, e talvolta in con- creto, i vari fenomeni che riguardano le placche mede- sime. Questa frammentazione e questo movimento sono responsabili dell’attuale configurazione della crosta ter- restre, generano i fenomeni sismici e sono alla base, tra l’altro, della formazione dei bacini sedimentari che con- tengono la quasi totalità delle rocce madre e serbatoio dei giacimenti di idrocarburi. La vita sulla Terra è per- messa dall’atmosfera e dall’idrosfera, che sono state prodotte e continuano a essere alimentate principal- mente dal degassamento del mantello, attraverso il vul- canismo e altri fenomeni che sono una diretta conse- guenza della tettonica delle placche. I movimenti delle placche sono quindi, in un certo senso, anche alla base della vita sulla Terra. Gli aspetti essenziali della tettonica delle placche saranno trattati nel seguito, innanzi tutto descrivendo la struttura della litosfera e successivamente analizzando le informazioni attualmente disponibili sui movimenti delle placche (cioè sulla loro cinematica) sulla base di metodiche geologiche, sismologiche e di geodesia spa- ziale. Verranno poi descritti i tre tipi principali di mar- gini di placca: divergente (o di rifting), trasforme (per movimento laterale), convergente (o di subduzione). I bacini sedimentari saranno trattati schematicamente in funzione del loro ambiente geodinamico e quindi della loro natura e origine. Infine verranno vagliate le ipote- si sulla dinamica e le fonti di energia che determinano il movimento delle placche. Litosfera La litosfera è costituita dalla crosta e dal mantello litosferico; poiché la crosta è differenziabile in oceani- ca e continentale (fig. 1), anche la litosfera viene suddi- visa allo stesso modo. La crosta e il mantello litosferico sono separati dalla discontinuità Moho, al di sotto della quale, cioè nel mantello, la velocità di propagazione delle onde sismiche P (longitudinali) accelera bruscamente da circa 6,8-7 km/s a circa 8-8,2 km/s e quella delle onde S (trasversali) passa da 3,9 km/s a 4,5 km/s. I dati in nostro possesso non sono sufficienti per conoscere quan- to il mantello litosferico oceanico sia diverso da quello continentale; di conseguenza viene in genere assunta per entrambi una composizione peridotitica, con densità di 117 1.4 Relazioni tra bacini sedimentari e province petrolifere Moho (30-40 km) litosfera mantello superiore continente oceano ASTENOSFERA mantello litosferico l.m. margine passivo copertura sedimentaria basamento crosta inf.stratificata crosta 3,3 g/cm 3 3,0 g/cm 3 2,8 g/cm 3 3,4 g/cm 3 fig. 1. Stratigrafia schematica della crosta e della litosfera continentale e oceanica.

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VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

1.4.1 Tettonica delle placche

La tettonica delle placche è la teoria, corroborata danumerosissimi dati osservativi, che spiega l’evoluzio-ne del guscio più esterno della Terra, la litosfera, fram-mentato in una serie di elementi minori, le placche, chesi muovono l’una rispetto all’altra. L’espressione tetto-nica delle placche indica anche il settore disciplinaredelle scienze geologiche che studia la morfologia e glispostamenti delle placche, come pure, e talvolta in con-creto, i vari fenomeni che riguardano le placche mede-sime. Questa frammentazione e questo movimento sonoresponsabili dell’attuale configurazione della crosta ter-restre, generano i fenomeni sismici e sono alla base, tral’altro, della formazione dei bacini sedimentari che con-tengono la quasi totalità delle rocce madre e serbatoiodei giacimenti di idrocarburi. La vita sulla Terra è per-messa dall’atmosfera e dall’idrosfera, che sono stateprodotte e continuano a essere alimentate principal-mente dal degassamento del mantello, attraverso il vul-canismo e altri fenomeni che sono una diretta conse-guenza della tettonica delle placche. I movimenti delleplacche sono quindi, in un certo senso, anche alla basedella vita sulla Terra.

Gli aspetti essenziali della tettonica delle placchesaranno trattati nel seguito, innanzi tutto descrivendo lastruttura della litosfera e successivamente analizzandole informazioni attualmente disponibili sui movimentidelle placche (cioè sulla loro cinematica) sulla base dimetodiche geologiche, sismologiche e di geodesia spa-ziale. Verranno poi descritti i tre tipi principali di mar-gini di placca: divergente (o di rifting), trasforme (permovimento laterale), convergente (o di subduzione). Ibacini sedimentari saranno trattati schematicamente infunzione del loro ambiente geodinamico e quindi dellaloro natura e origine. Infine verranno vagliate le ipote-si sulla dinamica e le fonti di energia che determinanoil movimento delle placche.

LitosferaLa litosfera è costituita dalla crosta e dal mantello

litosferico; poiché la crosta è differenziabile in oceani-ca e continentale (fig. 1), anche la litosfera viene suddi-visa allo stesso modo. La crosta e il mantello litosfericosono separati dalla discontinuità Moho, al di sotto dellaquale, cioè nel mantello, la velocità di propagazione delleonde sismiche P (longitudinali) accelera bruscamente dacirca 6,8-7 km/s a circa 8-8,2 km/s e quella delle ondeS (trasversali) passa da 3,9 km/s a 4,5 km/s. I dati innostro possesso non sono sufficienti per conoscere quan-to il mantello litosferico oceanico sia diverso da quellocontinentale; di conseguenza viene in genere assunta perentrambi una composizione peridotitica, con densità di

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Relazioni tra bacini sedimentarie province petrolifere

Moho(30-40 km)

lito

sfer

a

ma

nte

llo

su

peri

ore

continente

oceano

ASTENOSFERA

ma

nte

llo

lit

osf

eric

o

l.m.margine passivocopertura sedimentaria

basamento

crosta inf.stratificata

cro

sta

3,3 g/cm3

3,0 g/cm3

2,8 g/cm3

3,4 g/cm3

fig. 1. Stratigrafia schematica della crosta e della litosfera continentale e oceanica.

circa 3,3 g/cm3. La litosfera parte quindi dalla superfi-cie terrestre e arriva in profondità fino all’isoterma dicirca 1.300 °C; oltre questa temperatura, il mantello ini-zia a fondere parzialmente. Qui comincia la regione chia-mata astenosfera (dal greco astenØj «debole»), o ‘cana-le a bassa velocità’, dove, per effetto della fusione par-ziale del mantello, le onde P e S rallentano rispettivamentealle velocità di 7,9 km/s e 4,4 km/s. La base della lito-sfera è quindi interpretata non tanto come una variazio-ne chimica, ma principalmente come un cambiamentodi fase (fig. 2).

La litosfera oceanica ha spessori minimi in prossimi-tà delle dorsali (circa 10 km) e si ispessisce allontanan-dosene fino a circa 100 km, distanza che corrisponde a

un aumento della profondità dell’oceano. Quanto più èvecchia la crosta oceanica, tanto più il fondo marino èprofondo. Si pensa quindi che l’isoterma corrisponden-te a 1.300 °C, che costituisce la base della litosfera ocea-nica, si abbassi a mano a mano che la litosfera si raf-fredda, spostandosi dalla dorsale. Di conseguenza ancheil fondo marino si approfonda, a causa della maggioredensità della litosfera. Nei primi 10 Ma (milioni di anni)dalla sua formazione, il fondo marino allontanandosidalla dorsale ha una subsidenza di circa 1.000 m; nei suc-cessivi 26 Ma ha una subsidenza di altri 1.000 m. Que-sta variazione è descritta dalla semplice formula z�k��E,dove z è la differenza di profondità in metri tra la dorsa-le e il fondo marino, k è una costante pari a circa 320 ed

118 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

Oceano Pacifico

Ande

AmericaMeridionale

AfricaAsia

bacinodi retroarco

astenosfera

Oceano Pacifico

Hawaiipunto caldo

Mar RossoZagros

LITOSFERA continentaledensità 2,3-3,3 g/cm3

70-200 km

LITOSFERA oceanicadensità 2,7-3,3 g/cm3

30-90 km

subduzione

alta velocità

bassa velocità

subduzionedelle IsoleMarianne

OceanoAtlantico

6.500 ° Cdensità 13 g/cm3

NUCLEOINTERNOSOLIDO6.371 km

MANTELLO SUPERIORE

MANTELLO INFERIOREdensità 4-5 g/cm3

NUCLEO ESTERNO LIQUIDOdensità 10-12 g/cm3

2.890 km

3.000-4.000 ° C

1.300 ° C

400 km

670 km

5.150 km

fig. 2. Modello della Terra in cui i vari gusci corrispondono a discontinuità fisiche che facilitano uno scorrimento relativo comequello tra nucleo esterno fuso e nucleo interno che, per la rotazione differenziale, genera il campo magnetico terrestre. La litosfera si comporta in modo elastico, mentre il mantello ha un comportamento viscoelastico, per cui è in grado di fluire sesottoposto a uno sforzo di lunga durata. I movimenti convettivi ipotizzati nel mantello avvengono quindi allo stato solido. Vi sono due grandi aree nel mantello inferiore che evidenziano velocità sismiche relativamente minori al di sotto del Pacificocentrale e dell’Africa.

E è l’età della crosta oceanica espressa in Ma. Questaimportante relazione, detta di Sclater, permette di calco-lare la profondità del mare al di sotto di una dorsale finoall’età di circa 60-80 milioni di anni. Oltre questa età, ifondi marini non sembrano più approfondarsi per effet-to termico. Allontanandosi dalla dorsale oceanica, dimi-nuisce il flusso di calore (Stein, 1995) e aumenta la velo-cità delle onde sismiche S, elementi che indicano unadiminuzione di ‘fuso’ nel sottostante mantello.

La crosta oceanica ha uno spessore di circa 5-8 km euna densità media di 2,9-3 g/cm3 ed è costituita da tre livel-li, non sempre presenti, che, partendo dal basso verso l’al-to, sono: un livello a gabbri, un livello a dicchi e un livel-lo superiore a lave, lave a cuscini e sedimenti oceanici.

La crosta continentale, data la sua minore densità,pari a circa 2,7-2,8 g/cm3, ha invece uno spessore mag-giore di quella oceanica, con la Moho a profondità mediadi circa 30-40 km e con ispessimenti al di sotto dei cra-toni e degli orogeni, fino a circa 70 km, e assottiglia-menti nei margini continentali passivi, fino a circa 15km. La crosta continentale è costituita dal basso versol’alto da: una crosta inferiore femica, in genere stratifi-cata da processi magmatici e metamorfici; una crostasuperiore, per lo più costituita da rocce di vario gradometamorfico e intrusioni granitiche dovute a preceden-ti orogenesi; una copertura sedimentaria di spessorevariabile tra 0 e 15 km. Quest’ultima è costituita da sedi-menti deposti durante innalzamenti eustatici o subsi-denza epirogenica all’interno dei cratoni, oppure da sedi-menti sin-rift, sia intraplacca sia di margine continen-tale passivo. In prossimità di orogeni, la parte superioredella copertura è composta da sedimenti di avanfossa(flysch e molasse).

La crosta oceanica ha un’età variabile tra 0 e 180 Ma(fig. 3), mentre la crosta continentale può superare i3.900 Ma. Questo è dovuto all’estrema mobilità della cro-sta oceanica che si forma rapidamente nelle zone di dor-sale e che, essendo più densa, scompare altrettanto rapida-mente nelle zone di subduzione. La crosta continentale

invece, più leggera, sottoscorre più difficilmente nel man-tello, quindi rimane galleggiante sulla superficie e cre-sce lentamente aumentando le dimensioni areali dellalitosfera continentale, che ha uno spessore medio di circa100-150 km fino a massimi di circa 200-250 km sotto iprincipali cratoni (Windley, 1995; Gung et al., 2003).

La litosfera è suddivisa in placche; una placca è unelemento di litosfera caratterizzato da un suo moto indi-pendente rispetto alla litosfera adiacente. Le placche prin-cipali sono: nordamericana, sudamericana, europea, afri-cana, araba, indiana, australiana, antartica, pacifica, diNazca; ve ne sono altre di minori dimensioni, come peresempio la placca filippina, quella di Cocos e quella diJuan de Fuca. La tettonica delle placche è generata dadifferenze di velocità tra le placche. L’avvicinamento ol’allontanamento delle placche sono controllati dalla rela-zione, o grado di accoppiamento, della litosfera con ilmantello sottostante. La sismicità terrestre si manifestasolo all’interno della litosfera e scompare alla profon-dità di 670 km (che è la profondità massima di rilevabi-lità delle zone di subduzione), ossia al passaggio tra man-tello superiore e mantello inferiore.

Cinematica delle placcheUn obiettivo fondamentale della tettonica è la deter-

minazione della profondità dei piani (o superfici) di scol-lamento. Lungo i piani di scollamento avviene uno scor-rimento relativo tra la parte sovrastante e quella sotto-stante. Il piano di scollamento principale, nella tettonicadelle placche, si trova alla base del mantello litosferico,in corrispondenza dell’astenosfera. Questa è la parte delmantello in cui la viscosità media è minore, solitamen-te tra 1017 e 1019 Pa ⋅ s e localmente, in caso di asteno-sfera idrata, anche 1015 Pa⋅ s. Nello scollamento dell’a-stenosfera vi sono diverse entità che possono spiegare ledifferenze di velocità delle placche sovrastanti, cioè ilmoto relativo delle placche.

Le faglie sono superfici di rottura e movimento dellaparte fragile, cioè con comportamento principalmente

119VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

fig. 3. Carta delle età della crosta oceanica. Le aree blu di crosta oceanicapiù antica (giurassica) sono localizzate nel Pacificooccidentale, nell’Atlanticocentrale e nell’Oceano Indiano occidentale (Müller et al., 1997). et

à (M

a)

180,0

154,3147,7139,6131,9126,7120,4

83,5

67,7

55,947,940,133,1

20,19,70,0

elastico, della crosta. Possono essere orizzontali (cioèpiani di scollamento), oppure inclinate fino a 90°. Laparte di roccia sovrastante una faglia è detta tetto(hangingwall), mentre la parte sottostante è definita letto(footwall). Quando il tetto si innalza rispetto al letto, lafaglia è detta inversa ed è definita come un sovrascorri-mento (thrust) se ha inclinazione media di circa 30°. Seinvece il tetto si abbassa rispetto al letto, la faglia è dettadistensiva o normale (normal fault) e ha inclinazionemedia di 60°. Quando tetto e letto sono indistinguibiliperché la faglia è verticale e il movimento è orizzonta-le puro, si parla di faglia trascorrente (strike-slip fault).A livelli della crosta, la profondità del piano di scolla-mento determina la spaziatura tra le faglie: per esempio,quanto più il piano di scollamento è superficiale, tantopiù le faglie sono ravvicinate e viceversa.

Nelle zone di subduzione, nelle quali una placcasprofonda al di sotto di quella immediatamente adia-cente, si formano i prismi di accrezione, che sono per lopiù associazioni di sovrascorrimenti e pieghe, che impi-lano e deformano le rocce della placca sovrastante (atetto) e sottostante (a letto) il piano di subduzione. I pri-smi di accrezione si ispessiscono nel verso della subdu-zione, assumendo una forma a cuneo; per questo moti-vo vengono anche chiamati accretionary wedges. Mag-giore è la profondità del piano di scollamento basale,maggiori sono i volumi coinvolti nel prisma di accre-zione. Il termine accrezione indica il trasferimento dirocce dalla placca a letto a quella a tetto in cui è posi-

zionato il prisma stesso; con l’espressione erosione tet-tonica si indica invece il caso in cui il piano di scolla-mento si sposti nella placca a tetto, portando tempora-neamente in subduzione frammenti della placca a letto:in questo caso non vi è accrezione; questo tipo di mec-canismo è stato proposto per alcuni settori della subdu-zione andina.

Anche nelle zone di allontanamento tra le placche (ozone di rifting) l’astenosfera sembra essere il piano discollamento basale principale.

Movimenti delle placcheIl movimento delle placche è evidente sia dalle strut-

ture tettoniche (fig. 4), sia dalla sismicità e dalle misuregeodetiche (fig. 5). La geodesia spaziale ha confermatoche il movimento relativo tra le placche è spesso distri-buito in una zona al margine, variabile da 10 km fino avarie centinaia di km, attraverso numerose faglie attiveche assorbono la deformazione. Tendenzialmente i mar-gini trasformi sono più ristretti di quelli convergenti. Imovimenti passati sono registrati dalla formazione degliorogeni lungo le zone di subduzione, che testimonianol’avvicinamento tra placche, e dalla specularità delle ano-malie magnetiche dei rift oceanici. I movimenti delleplacche possono essere analizzati in termini relativi, tracoppie di placche, ma è possibile tentare di esaminarlianche in termini di movimenti assoluti, cioè in sistemidi riferimento indipendenti come i punti caldi, le stellefisse o il centro di massa della Terra.

120 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

fig. 4. Unendo i vettori di movimento delle placche ricavati sulla base strutturale degli ultimi 50 Ma, si ottiene un flusso che descrive una sorta di equatore tettonico. Carta morfologica di base del National Geophysical Data Center.

Il movimento tra due placche può avvenire con unangolo qualsiasi, determinando ogni tipo di ambiente tet-tonico, cioè compressivo, trascorrente o estensionale, eanche con tutte le situazioni intermedie in cui le placcheconvergono con una componente laterale o trascorrente(ambienti transpressivi), oppure divergono con una com-ponente trascorrente (ambienti transtensivi). I movimentiattualmente misurati tramite la geodesia spaziale sonodello stesso ordine di grandezza di quelli ricavabili, peril passato geologico, dallo studio delle anomalie magne-tiche della crosta oceanica; per questo motivo, pur veri-ficandosi leggere oscillazioni di velocità di grande lun-ghezza d’onda, i movimenti delle placche possono esse-re considerati stabili nel tempo. Rimane il fatto che imargini di placca nascono e muoiono, modificando oannullando in questo caso i gradienti di velocità.

Poiché le placche si muovono su una sfera, il movi-mento relativo tra due placche può essere descritto conil teorema di Eulero del punto fisso (secondo il quale ilmovimento su una superficie sferica di una sua porzio-ne è riconducibile a un’unica rotazione attorno a un puntofisso); in particolare, mediante l’individuazione del polodi rotazione del movimento relativo, è possibile calco-lare l’aumento della velocità lineare al crescere delladistanza dal polo (Fowler, 1990). Tuttavia, in natura, dueplacche possono avere un polo di rotazione non fisso,particolarmente quando una delle due placche ha ancheuna sua subrotazione indipendente.

Considerando gli spostamenti delle placche, che pos-sono essere ricavati almeno per gli ultimi 50 Ma dai datistrutturali, come zone di rift, zone trasformi e orogeni,si ricava che esse non si muovono in modo caotico, ma

seguono un flusso globale. Il flusso ha un’ondulazionegenerale (v. ancora fig. 4) tale da descrivere una sorta diequatore tettonico, anche se questo sembra rappresenta-re non un cerchio massimo ma piuttosto una sinusoide.Le linee di flusso rappresentano la direzione media dimovimento delle placche. Lungo margini di placca obli-qui (ambienti transtensivi o transpressivi) il campo distress viene deviato e non è parallelo né al movimentorelativo, né al movimento assoluto delle placche. Peresempio, la placca araba si muove in direzione nordest-sudovest, il rifting del Mar Rosso è una transtensionesinistra e il Golfo di Aden una transtensione destra.

Il flusso viene caratterizzato da un cambiamento gra-duale di direzione dei movimenti delle placche da ove-stnordovest-estsudest nel Pacifico a est-ovest nell’A-tlantico, per poi rimontare a una direzione sudovest-nor-dest attraverso Africa, India ed Europa; successivamenteripiega di nuovo verso la direzione pacifica. La partepreponderante della litosfera continentale (Eurasia) èconcentrata dove il flusso tende a flettere verso il Paci-fico. Il flusso delle placche ricavato su basi tettonicheè confermato dalla geodesia spaziale nella carta rias-suntiva delle stazioni GPS (Global Positioning System)realizzata dalla NASA (National Aeronautics and SpaceAdministration; v. ancora fig. 5). I vettori, in particola-re, confermano il movimento sudovest-nordest sia del-l’Africa sia dell’Europa. In tale carta, i movimenti delleplacche sono riferiti al centro di massa della Terra, con-siderato convenzionalmente solidale con la costellazio-ne dei satelliti GPS. Questo è il sistema di riferimento,detto ITRF (International Terrestrial Reference Frame),nel quale si assume che non vi sia una rotazione netta

121VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

5 cm/a

fig. 5. Movimenti attuali delle placche ricavati dalla geodesia spaziale,ipotizzando l’assenza di una rotazione differenziale della litosferarispetto al mantello. I dati satellitari confermano in buona parte il flusso ondulato, interpretato su base tettonica.

della litosfera rispetto al sottostante interno della Terra(no-net-rotation).

In realtà, analizzando i movimenti delle placche inaltri sistemi di riferimento, come rispetto ai punti caldioppure all’Antartide, la litosfera ha una rotazione nettarispetto al mantello, mediamente orientata verso ovest.Questo è particolarmente evidente considerando la velo-cità del Pacifico verso ovest-nordovest, che è talmentealta da far sì che la somma dei movimenti di tutte le altreplacche non riesca a compensarla, determinando un resi-duo di movimento verso occidente.

Il movimento delle placche è più veloce nelle fasceequatoriali e tropicali, come indicato dalla geodesia spa-ziale, dai terremoti e dalle anomalie magnetiche per imovimenti passati. Il flusso delle placche, la sua pola-rizzazione verso ovest e le maggiori velocità delle plac-che alle basse latitudini suggeriscono che la tettonicadelle placche sia influenzata dalla rotazione terrestre. Asupporto di ciò sembra essere anche la concentrazionedel mantello, più freddo e più pesante nelle fasce equa-toriali. La deriva verso ovest, o più precisamente lungol’equatore tettonico, è anche resa evidente dalla geolo-gia di superficie, come nei casi dell’asimmetria dellecatene ai margini occidentale e orientale del Pacifico (v.ancora fig. 4), degli archi della subduzione immergentia ovest, che indicano la presenza di ostacoli a un flussoin senso opposto, e dell’asimmetria delle zone di rifting.

Punti caldiI punti caldi sono importanti per capire la dinamica

interna terrestre e risultano in particolare utilissimi permisurare i movimenti delle placche rispetto al sistema diriferimento che essi stessi costituiscono. Vi sono aree congrandi emissioni laviche, sia sulla litosfera continentalesia su quella oceanica, dove sono stati eruttati in pochimilioni di anni svariati milioni di metri cubi di basalti,come i trap basaltici del Paranà in Brasile, del Deccan inIndia o l’Ontong-Java Plateau del Pacifico sudoccidenta-le (LIP, Large Igneous Provinces). Non ne è ancora chia-ra l’origine, per quanto riguarda sia la profondità dellasorgente, sia la dinamica del processo. Vi sono inoltremanifestazioni magmatiche che descrivono sulla superfi-cie terrestre tracce lineari, sia sottomarine sia subaeree,che diventano più recenti in una data direzione. Questelinee sono dette punti caldi (hotspot) e si possono trova-re all’interno di una placca oppure ai suoi margini. I piùclassici esempi di punti caldi intraplacca sono la catenadell’Emperor-Hawaii – che va da oltre 70 Ma all’attualevulcanismo attivo del Mauna Loa, con un flesso inter-medio nella migrazione a circa 47 Ma –, oppure quellidelle isole Luisville e MacDonald, sempre all’internodella placca pacifica. Altri esempi tipici di punti caldi chehanno formato catene di vulcani via via più giovani e sta-bilmente posizionati nei pressi di margini di placca sonol’Islanda, le isole Ascension e Tristan da Cuna lungo la

dorsale oceanica atlantica o l’Isola di Pasqua nei pres-si della dorsale pacifica. Vi sono diversi orientamentirelativamente all’origine dei punti caldi, ovvero chesiano alimentati dal mantello profondo, oppure da quel-lo più superficiale. Qualunque sia la profondità dellasorgente, i punti caldi indicano l’esistenza di un movi-mento relativo tra litosfera e astenosfera. Secondo altristudi, l’origine dei punti caldi va interpretata come uneccesso di calore prodotto dal decadimento radioattivooppure dalla possibilità di migrazione verso l’alto, lungovie preferenziali, del calore del nucleo terrestre. Un’al-tra possibilità è una maggiore presenza di fluidi, cheabbassa la temperatura di fusione e quindi genera mag-giore magmatismo a minore temperatura. In quest’ul-timo caso i punti caldi sono detti anche punti bagnati(wetspot), perché il mantello non sarebbe più caldo delnormale ma presenterebbe solo un contenuto maggio-re di acqua. Questo modello potrebbe spiegare concre-tamente, per esempio, i punti caldi localizzati lungo ledorsali oceaniche. Un’interpretazione dei punti caldiintraplacca consiste nell’ipotesi che il magmatismo siagenerato dal calore di frizione viscosa nel piano di scol-lamento dell’astenosfera, tra litosfera e mantello suba-stenosferico.

I punti caldi forniscono quindi un importante siste-ma di riferimento per lo studio dei movimenti delle plac-che. In particolare, i punti caldi all’interno della placcapacifica sono rimasti fermi gli uni rispetto agli altri daalmeno 5 Ma. Ciò permette di avere un riferimento nelmantello per lo studio del movimento relativo della lito-sfera; i movimenti relativi tra le placche possono veni-re ricalcolati rispetto a questo sistema di riferimento,per il quale non viene ipotizzata convenzionalmente l’as-senza di una rotazione differenziale tra litosfera e man-tello. Tramite il sistema di riferimento dei punti caldi,Gripp e Gordon (2002) hanno notato come la litosferaabbia una rotazione verso ovest netta di circa 50 mm/arispetto al mantello, con un polo di rotazione a 56°S e70°E. In questo calcolo sono però usati punti caldi loca-lizzati anche ai margini delle placche, ipotizzando cheessi siano alimentati dal mantello profondo. Utilizzan-do solo i punti caldi interni alla placca pacifica, e assu-mendo che la sorgente del magmatismo sia localizzatanel piano di scollamento per calore di frizione, la deri-va verso ovest della litosfera rispetto al mantello divie-ne molto più alta, circa il doppio. Ciò significa che ilflusso delle placche di fig. 4 è mediamente indirizzatoverso ovest, cioè che tutte le placche si muoverebberolungo le direzioni del flusso sinusoidale, ma a velocitàdiverse. I gradienti di velocità, controllati dal grado discollamento con il mantello, genererebbero i diversi tipidi margine e di tettonica tra le placche. Meno l’asteno-sfera è viscosa, più la sovrastante placca si muove rapi-damente verso ovest. Infatti sotto al Pacifico l’asteno-sfera ha i più bassi valori di viscosità (5 ⋅ 1017 Pa ⋅ s) e la

122 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

placca pacifica è la più veloce verso ovest-nordovest(>100 mm/a); cioè variazioni laterali nella viscosità del-l’astenosfera, nonché variazioni dello spessore sia del-l’astenosfera sia della litosfera, possono controllare lediverse velocità delle placche. Quando una placca simuove verso ovest più velocemente rispetto a quellaposizionata a est, il margine di placca è estensionale; seinvece la placca si muove più lentamente, il margine èconvergente.

Zone di riftingLe zone di rifting sono le aree in cui la litosfera si

separa in due placche che si allontanano l’una dall’altra.Lo stadio di rifting continentale è molto lento, con tassidi estensione orizzontale dell’ordine di 0,1-0,3 mm/a, epuò durare lunghi periodi (30-50 Ma o più). Il proces-so estensionale (rifting) prevede inizialmente un allun-gamento e un appiattimento della litosfera continenta-le; questo processo può venire quantificato dividendol’iniziale spessore della litosfera per lo spessore finaledell’assottigliamento, rapporto che viene chiamato fat-tore b (McKenzie, 1978). Per esempio, per una litosfe-ra di 100 km di spessore sottoposta a tensione e ridottaa 20 km di spessore, il fattore b è 5. È implicito che piùalto è b, maggiori sono l’assottigliamento e la risalitadelle isoterme e, di conseguenza, del flusso di calore.

Lo stadio di rifting continentale è accompagnato dauna sedimentazione di crescita, con la tipica successione

tripartita, dal basso verso l’alto: arenarie fluviali, depo-siti evaporitici e sedimenti carbonatici. Questa succes-sione testimonia il graduale ingresso del mare nelle areedi litosfera continentale assottigliata; la subsidenza è quin-di generata dalla contemporanea risalita dal basso del-l’astenosfera, più densa.

I modelli di estensione della litosfera si dividono inmodelli a taglio puro, a taglio semplice e a delaminazio-ne (fig. 6). Nel taglio puro la litosfera è assottigliata istan-taneamente in modo simmetrico e subisce in seguito un raf-freddamento termico con relativa subsidenza (McKenzie,1978). Nel taglio semplice la litosfera è tagliata da unpiano principale di movimento distensivo a basso angolo,in cui si creano una placca a tetto e una a letto della disten-sione, dando luogo a una forte componente asimmetricadel rifting (Wernicke, 1985). Vengono ipotizzati un innal-zamento isostatico del letto e un disassamento tra esten-sione superficiale e sollevamento del mantello sottostante.Altri modelli combinano i due menzionati (Buck et al.,1988), oppure prevedono una delaminazione (Lister etal., 1986), in cui la zona di taglio presenta piani di scol-lamento tra la crosta fragile superficiale e quella duttilesottostante e tra quest’ultima e il mantello litosferico.

I rifting possono non evolvere in rifting oceanico,cioè possono abortire e addirittura venire ricompressidando origine a strutture di inversione tettonica (per esem-pio nel Mare del Nord), oppure possono arrivare allacompleta lacerazione della litosfera continentale e per-mettere la nuova formazione di crosta oceanica; per que-sto motivo i margini divergenti sono anche chiamati mar-gini in accrescimento. In quest’ultimo caso si formanoi margini continentali passivi, che possono svilupparsicontemporaneamente a estese manifestazioni magmati-che, oppure crescere in quasi totale assenza di vulcani-smo; perciò si parla di margini continentali vulcanici enon vulcanici. Per esempio, i margini atlantici del Bra-sile e della Groenlandia sono classici margini vulcanici,poiché durante il Cretaceo e il Cenozoico il rifting è statoaccompagnato da estese emissioni magmatiche. Diver-se produzioni magmatiche sin-rift possono essere dovu-te a eterogeneità chimiche e termiche del mantello o allapresenza variabile di acqua, la cui abbondanza determi-na un abbassamento di temperatura di fusione nelle roccedel mantello e quindi una maggiore produzione di lave.

Nel punto in cui due placche si stanno separando, ilmantello sottostante risale a compensare isostaticamen-te il deficit di massa (fig. 7). La risalita, considerata adia-batica, porta il mantello a condizioni di pressione infe-riore che gli permettono di fondere. I magmi delle zonedi rifting hanno caratteri da alcalini a tholeitici.

La transizione da rifting continentale a rifting oceani-co è chiamata anche breakup. La sedimentazione all’in-terno del margine continentale passivo è marcata appun-to dalla breakup unconformity, discordanza che seppel-lisce le principali strutture distensive di crescita e che

123VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

a

b

c

faglia listrica

bacino

astenosferamagma

magmamantello

crosta duttile crosta fragile

crosta fragile superficiale

crosta fragile superficiale

crosta duttile

crosta duttile

mohomoho

mohomoho

mohomoho

stiramento

mantello caldo

mantello

fig. 6. Modelli di rifting a confronto: A, taglio puro (McKenzie, 1978); B, taglio semplice (Wernicke, 1985); C, delaminazione (Lister et al., 1986).

A

B

C

testimonia e data non solo la nascita del nuovo oceano, maanche la transizione da subsidenza tettonica a subsidenzatermica del margine continentale passivo, il quale passacosì dalla condizione di rifting a quella di drifting, o deri-va. La subsidenza tettonica e termica del margine presen-tano in ogni modo tassi di subsidenza ridotti (0,1 mm/a).

Il passaggio da rifting continentale a oceanico deter-mina una fortissima accelerazione (100-1.000 volte) dellavelocità di estensione, passando da tassi di estensionecontinentale di 0,1 mm/a a velocità di espansione ocea-nica di 10-100 mm/a.

La creazione di nuova crosta oceanica avviene comeuna sorta di ‘nuova pelle’ che il mantello genera nelmomento in cui si avvicina alla superficie. Le dorsalioceaniche sono diversificate in tre tipi, in funzione dellaloro velocità: lente (dorsale atlantica, 20 mm/a), inter-medie (dorsale indiana, 30-50 mm/a) e veloci (dorsale

pacifica, �100 mm/a). Le dorsali lente generano una riftvalley e una topografia più elevata e più acuminata, men-tre le dorsali veloci mancano della rift valley, sono menoelevate e hanno una morfologia più dolce. La rift valleyatlantica inoltre presenta una morfologia più irregolareed è caratterizzata dalla presenza di numerose fagliedistensive.

Diversi bacini oceanici si sono aperti lungo ispessi-menti della litosfera generati da orogeni precedenti. Peresempio, l’Atlantico centro-settentrionale si è inseritodove prima si era sviluppata la catena paleozoica appala-chiana. Gli oceani si sono poi chiusi, completando il ciclodi Wilson, che postula che i rift si creino dove erano lezone di subduzione e che le catene orogenetiche richiu-dano le precedenti zone di rifting. Ciò indica che le zonedi rift sono determinate dalle eterogeneità della litosferae dalle loro interazioni con la sottostante astenosfera, appa-rentemente slegate dai processi del mantello inferiore.

Si possono distinguere vari tipi di rifting sulla Terra,oltre a quelli lineari che producono i principali bacinioceanici, come per esempio i bacini di retroarco a tettodelle subduzioni dirette a ovest, caratterizzati da alti tassidi subsidenza (0,6 mm/a); essi sono associati all’arretra-mento verso est del piano di subduzione. Esempi sono iCaraibi, il Mediterraneo occidentale, il Bacino Pannoni-co e il Mar del Giappone.

Episodi di tettonica estensionale si verificano taloraanche sui prismi di accrezione quando viene superato l’an-golo critico di riposo. Queste faglie distensive hanno tut-tavia piano di scollamento superficiale (nei primi km),mentre le faglie distensive dei rift classici hanno piani discollamento in regime fragile nella crosta superiore e dut-tile in quella inferiore e raggiungono la base della lito-sfera, all’interfaccia con l’astenosfera.

Nei margini continentali e nei bacini di retroarco sem-bra essere presente una spaziatura regolare tra le fa-glie principali, con due massimi di spaziatura media tra25-30 km e 4-6 km. I rifting possono essere concentratiin pochi km (per esempio il rift estafricano, che attraver-sa in lunghezza tutta l’Africa orientale, ma è largo media-mente alcune decine di km), oppure possono avere lar-ghezze di varie centinaia di km (come la Basin and Rangenell’Ovest degli Stati Uniti).

Studi sulle ofioliti, che sono brandelli di crosta ocea-nica inglobati negli orogeni, e sulla polarizzazione delleonde sismiche S nel mantello indicano che i cristalli diolivina tendono ad allungarsi parallelamente alla dire-zione di estensione. Ciò conferma l’ipotesi che vi sia unoscollamento importante tra litosfera e astenosfera, chedetermina una isorientazione dei cristalli, come è dimo-strato anche da xenoliti di mantello astenosferico defor-mati, rinvenuti in lave.

Un’asimmetria riconducibile alla polarità geograficaavviene anche per le zone di rifting, dove il lato orientaleè mediamente più elevato di 100-300 m rispetto a quello

124 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

movimento relativo tra le placche

velocità dorsale�(A�B)/2

velocità relative all’astenosfera

t2 litosfera

astenosfera

t3

fianco menoprofondo

migrazione dell’astenosfera meno densa

sollevamento

anomalia negativa di densità

Ovest Est

At1

5 cm/a 4 cm/a 3 cm/a

B

2 cm/a

fig. 7. Modello di un rift oceanico. La placca a sinistra ha uno scollamentomaggiore rispetto all’astenosfera, per cui sisposta verso ovest più rapidamente di quella a destra, determinando il rifting. La dorsale mediana si sposta relativamenteverso ovest. La risalita dell’astenosferacompensa la separazione tra le placche.Sollevandosi e trovandosi a minore pressione,l’astenosfera fonde producendo nuova crosta-litosfera oceanica. L’astenosfera residua è piùleggera e nel suo moto verso oriente genera un deficit di massa che determina la minoreprofondità del lato orientale della dorsale e successivamente anche un sollevamentodella litosfera continentale a destra (Doglioni et al., 2003).

opposto, sia in ambiente sottomarino sia subaereo. Laspiegazione data a questa asimmetria è che il mantelloche fonde sotto una dorsale s’impoverisce di ferro e altrielementi che fondono per primi. Il mantello residualediviene così più leggero di circa 20-60 kg/m3, passandoper esempio da 3.400 kg/m3 a 3.360 kg/m3 e spostando-si verso est sotto la litosfera. La presenza di un mantel-lo meno denso sotto il lato orientale di un rift pone inevidenza un deficit di massa compensato da un relativosollevamento che, nel caso del fianco di una dorsale ocea-nica, diminuisce leggermente la subsidenza termica. Unmantello astenosferico alleggerito dalla fusione parzia-le sotto una dorsale, in transito sotto un continente doveva a sostituire un’astenosfera più densa, determina unsollevamento isostatico. Questo meccanismo potrebbeper esempio spiegare il sollevamento dell’Africa, dellaFrancia o dell’India per effetto del passaggio al di sottodella litosfera continentale di un’astenosfera più legge-ra, impoveritasi lungo la dorsale atlantica o indiana (v.ancora fig. 7).

Zone trasformiI margini di placca che hanno direzione all’incirca

parallela al movimento relativo tra due placche sono con-siderati margini trasformi, in cui la tettonica prevalenteè trascorrente. Questi margini sono molto probabilmen-te scollati alla base della litosfera. Le faglie trasformi,anche dette margini trascorrenti o conservativi, possonosvilupparsi in litosfera sia continentale sia oceanica. Unesempio tipico continentale è la faglia trascorrente sini-stra del Mar Morto che separa la placca araba da quellaafricana. Esempi oceanici sono le trasformi Romanchee Vema nell’Atlantico centrale, con trascorrenza destra,che separano la placca africana a nord dalla placca suda-mericana a sud. Le faglie trasformi oceaniche sono trale strutture tettoniche più lunghe esistenti sulla Terra:possono infatti superare le migliaia di km. A causa del-l’avvicinamento di litosfere di età diversa, e quindi constato termico e batimetria variabili, lungo le faglie tra-sformi si possono generare differenze batimetriche di 2-4 km tra i due lembi della faglia. Lungo queste scarpa-te sottomarine possono venire esposte sezioni completedi crosta oceanica, con relativa Moho basale e transi-zione al mantello sottostante (Bonatti et al., 2003).

Le faglie trasformi oceaniche sono in alcuni casi strut-ture ereditate dalla irregolare propagazione del riftingcontinentale, che segue le zone più deboli della lito-sfera; ciò avviene, per esempio, nella faglia trasformeRomanche, che riflette la grande ondulazione del riftatlantico, esemplificata dal grande promontorio dell’A-frica nordoccidentale. Altre faglie trasformi di minoridimensioni si formano in prossimità delle dorsali, senzache vi siano ondulazioni corrispondenti sui margini con-tinentali; l’origine di tali faglie sembra legata soprattut-to alla dinamica intrinseca dei rift oceanici.

Ondulazioni lungo una faglia trascorrente determi-nano locali depressioni transtensive, come i bacini dipull-apart, oppure sollevamenti in zone transpressive,come i push-up. È stato notato come i tassi di produzio-ne magmatica nelle zone di rifting siano proporzionalialla velocità di espansione. A mano a mano che una dor-sale forma un angolo minore rispetto al movimento delleplacche, sino a innestarsi parallelamente in una zona tra-sforme, il magmatismo diminuisce fino a scomparire,perché il tasso di espansione in una trasforme pura èuguale a zero.

In termini di energia, le faglie trasformi sono strut-ture passive che apparentemente non contribuisconopositivamente alla tettonica delle placche, come i feno-meni di ridge push per le dorsali e di slab pull per le zonedi subduzione.

La faglia di San Andreas, in California, è comune-mente considerata l’archetipo delle faglie trasformi e tra-scorrenti. Tuttavia questa faglia ha una situazione geo-dinamica unica e peculiare rispetto alle trasformi tipichee non può essere considerata un esempio classico di zonatrascorrente; infatti essa, con il sistema di faglie annes-se, costituisce la fascia dove la placca nordamericanainteragisce con la placca pacifica, lungo la zona di tra-sferimento della dorsale pacifica dal rift di Juan de Fucaa nord-ovest (trasforme di Mendocino) al rift dell’estpacifico, a sud-est.

Questo limite di placca è notoriamente una zona ditranspressione destra, dove avvengono contestualmentesia movimenti trascorrenti destri, sia sovrascorrimentiparalleli alla trascorrenza, come indicano i dati della geo-logia e i meccanismi focali dei terremoti.

La placca pacifica si muove in direzione 300°, for-mando un angolo di circa 25° con la faglia di San Andreas,che ha direzione 325°. Poiché la placca pacifica si muoveverso ovest-nordovest più velocemente della placca nor-damericana, l’angolo tra la faglia e la direzione pacifi-ca dovrebbe generare una transtensione destra anzichéuna transpressione. Tuttavia la zona di trasferimentodella dorsale pacifica da Juan de Fuca alla dorsale paci-fica est, nel Golfo di California, si muove verso ovest-nordovest più lentamente della placca nordamericana,che è così in grado di sovrascorrere obliquamente versoovest sulla placca pacifica, con una componente tran-spressiva sinistra.

Quindi la tettonica transpressiva destra del sistemadella San Andreas può essere suddivisa in due com-ponenti: transpressione sinistra lungo il margine occi-dentale obliquo della placca nordamericana, respon-sabile di gran parte dei terremoti compressivi, e sovra-scorrimento della placca nordamericana sulla zona ditrasferimento transtensiva destra della dorsale pacifi-ca. Poiché la transtensione destra è più veloce dellatranspressione sinistra, il movimento dominante èdestro. Questa particolare situazione è dovuta alla

125VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

direzione obliqua dei margini delle placche pacifica enordamericana rispetto al loro movimento assoluto ealla diversa velocità dei tre elementi in gioco: placcapacifica, zona di trasferimento della dorsale pacificae placca nordamericana.

La geodinamica californiana è dunque caratterizza-ta da una subduzione particolare in cui, in contrasto conle zone di subduzione normali, in sezione est-ovest illetto della subduzione diverge dalla placca a tetto, men-tre letto e tetto convergono, seppure più lentamente, indirezione nordest-sudovest. La divergenza est-ovest èassorbita dalla distensione nella Basin and Range, men-tre la componente compressiva nordest-sudovest si espri-me principalmente nei sovrascorrimenti e nella tran-spressione delle Coast Ranges e dell’offshore califor-niano. Ciò implica che la compressione perpendicolarealla faglia di San Andreas non è una condizione natura-le di un movimento trascorrente ma è un fattore tettoni-co indipendente, dimostrando così che in una stessa areapossono coesistere stili tettonici differenti, ma soprat-tutto cause geodinamiche indipendenti come, nel casospecifico, la transpressione sinistra e la più veloce tran-stensione destra.

Zone di subduzione e orogeniI margini convergenti, o distruttivi, si creano quan-

do una placca entra nel mantello, cioè sottoscorre. Laparte di litosfera che sottoscorre è detta slab. In asso-ciazione alle zone di subduzione si formano gli oro-geni, o prismi di accrezione (Bally, 1983), che sonocontraddistinti da una serie di parametri quali la dimen-sione della catena, i tassi di sollevamento e di accor-ciamento, l’entità dell’erosione, ecc. Un esempio di

fronte di catena è il prisma di accrezione dell’Appen-nino, localizzato sulla cerniera della subduzione omo-nima (fig. 8). In genere le subduzioni si formano quan-do due placche convergono e la più pesante delle due,per lo più oceanica, inizia a penetrare nell’astenosfera(fig. 9). Secondo la classificazione di Bally et al. (1985),si parla di subduzione B per la litosfera oceanica (dainomi degli scopritori H. Benioff e K. Wadati) e di sub-duzione A per la litosfera continentale (dal nome delloscopritore O. Ampferer). Lungo le zone di subduzio-ne viene rilasciata la maggiore quantità di energiasismica terrestre (�90%); per esempio i dieci più gran-di terremoti del 20° secolo sono avvenuti nelle zonedi subduzione circumpacifiche (otto) e nelle subdu-zioni himalayana e indonesiana (due). Il più forte ter-remoto mai registrato è avvenuto lungo la subduzio-ne cilena nel 1960, con magnitudo 9,5. Ciò è dovutoal fatto che infrangere le rocce in compressione richie-de molta più energia che non in tensione. Inoltre lezone di subduzione, al contrario dei rift, sono zonefredde, dove la litosfera ha un comportamento fragilemaggiore e quindi una più forte resistenza alla defor-mazione.

Attualmente le subduzioni hanno velocità di conver-genza che possono variare da 1 a 120 mm/a. Vi sono peròanche subduzioni attive in assenza di convergenza; ciòsignifica che lo slab arretra ugualmente, ma solo in sub-duzioni dirette verso ovest (per esempio, Appennini eCarpazi).

Le zone in profondità in cui la subduzione è rottaoppure assente, sia in orizzontale sia in verticale, sonodette finestre dello slab (slab windows). Queste zone pos-sono formarsi per l’allungamento dello slab durante

126 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

01234

01234

01234

01234

TWT (s) TWT (s)

TWT (s)

SO NEoffshore Calabria Fossa di Taranto Alto puglieseMar Ionio

10 km

100 km

Italia

M5

tettonica estensionalediscordanza Messiniana

Plio-Pleistocenefronte prisma accrezione

attuale avanfossaPlio-Pleistocene

monoclinale regionale avampaese

anticlinale crostale in avampaese

Piattaforma carbonaticaMesozoica Apula

rift Mesozoico inf.

Mar Ionio

fig. 8. Sezione sismica a riflessione Crop M5 del Mar Ionio attraverso il prisma di accrezione appenninico, come esempio di fronte di catena (Crop è la denominazione del progetto italiano per lo studio della crosta profonda). La scala verticale è il tempo di andata e ritorno (TWT, Two Way Time) in secondi delle onde sismiche. Si notino le strutture retrovergenti, che danno luogo a geometrie a triangolo, e la tettonica distensiva a sud-ovest che segue a ruota il fronte compressivo, in migrazione verso nord-est. Il prisma è meno elevato dell’avampaese (Merlini et al., 2000).

l’inarcamento della subduzione stessa, oppure per velo-cità di subduzione diversa di due placche a letto. Un’al-tra interpretazione spiega il distacco dello slab (slabdetachment) con il suo peso.

Le subduzioni hanno una cerniera che arretra, la cuivelocità può essere maggiore o minore della velocità diconvergenza tra le due placche a tetto e a letto della sub-duzione. Se la placca a tetto ha velocità di convergen-za minore dell’arretramento dello slab, si forma un baci-no di retroarco (per esempio il Mar del Giappone comeretroarco della subduzione omonima, il Mar Tirreno etutto il Mediterraneo occidentale come retroarco della

catena Appennini-Magrebidi, il Bacino Pannonico peri Carpazi); anche questa è una situazione che sembra for-marsi solo per le subduzioni verso ovest. Se invece siverifica il caso, peraltro frequente, in cui la convergen-za è maggiore dell’arretramento dello slab, si forma unorogene molto più elevato e a doppia vergenza (per esem-pio le Alpi). Nel primo caso il prisma di accrezione siforma portandosi dietro un’onda di tettonica distensiva,in grado di determinare il rifting del retroarco (fig. 10).La coppia compressione-distensione delle subduzioniverso ovest è sostituita da una coppia compressione-com-pressione nelle catene dovute a subduzioni verso est o

127VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

fig. 10. Le catene che si formano al di sopra delle subduzioni verso ovest sono costituite soprattutto da copertura sedimentaria; l’area emersa della catena è sempre inferiore all’area dell’avanfossa; la monoclinale regionale è inclinata con angoli di 4-10°; l’astenosfera e una Moho di neoformazione si trovano a bassa profondità sotto la parte occidentale della catena: ne sono esempio gli Appennini. Le catene legate a subduzioni opposte hanno sempre il basamento cristallinoestesamente coinvolto; l’area della catena emersa è sempre maggiore dell’area delle due avanfosse; le monoclinali regionali hanno valori minori (2-5°); la crosta è ispessita dalla sovrapposizione di due Moho precedenti alla subduzione: ne sono esempio le Alpi.

bacino di retroarco-bassa elevazioneunica vergenza a est-1 avanfossa profonda

alta elevazione morfologica e strutturaledoppia vergenza-2 avanfosse

bacino di retroarcoE-NEO

litosfera

670 km

movimento relativo del mantello

perdita dilitosfera nel mantello

ispessimentodella litosfera

O

bacino di retroarco

cuneoastenosferico

catena frontale catena frontale

crosta

Moho

MANTELLO LITOSFERICO

retrocatena

COPERTURA SEDIMENTARIA BASAMENTO E-NE

0 30 km

fig. 9. Differenze tra le zone di subduzione immergenti a ovest e quelle immergenti a est o nord-est e comparazione dei relativiorogeni. Le subduzioni verso ovest sono più ripide e più profonde. Il loro piano di scollamento basale si inflette e sottoscorre. Nelle subduzioni opposte, dove il tasso di convergenza è superiore alla velocità di arretramento dello slab, il piano di scollamentodella placca a tetto sale verso la superficie ed è così in grado di sollevare l’intera crosta nel prisma di accrezione. Questa asimmetria può essere interpretata con la deriva verso ovest della litosfera rispetto al mantello (Doglioni et al., 1999).

nord-est, dove si creano i tipici orogeni a doppia ver-genza. Una tettonica distensiva può modellare la partealta di queste catene quando viene superato l’angolocritico di stabilità.

Se la placca a tetto è continentale e vi sono due plac-che che convergono, il passaggio dalla subduzione ocea-nica a quella continentale è detto fase collisionale. Imagmi delle zone di subduzione hanno caratteri da cal-coalcalini a shoshonitici. Il magmatismo si trova inproiezione verticale dell’isobata di circa 100-130 kmdel piano di subduzione e si pensa sia generato dai flui-di rilasciati dal piano di subduzione che porta in fusio-ne parziale il mantello a tetto. Il numero di vulcani e ilvolume dei magmi eruttati sono proporzionali alla velo-cità della subduzione. Questo potrebbe far supporre uncontributo nella produzione dei magmi anche da partedel calore di frizione. Il magmatismo è condizionatodalla composizione della litosfera in subduzione, dallostato termico dello slab, dalla sua inclinazione e dal suospessore.

Le subduzioni verso ovest sono mediamente piùrecenti di 50 Ma, mentre le subduzioni opposte posso-no avere età anche maggiori di 100 Ma. Le subduzioniverso ovest hanno a tetto una litosfera sottile (20-40 km),mentre la placca a letto ha spessori sempre maggiori (v.ancora fig. 10). La Moho della placca a tetto è in gene-re di neoformazione, migrante verso est, e si sviluppadurante la crescita del bacino di retroarco. La crosta dellaplacca a tetto si assottiglia e ha profondità di 10-25 km.La Moho della placca a letto è invece una Moho pre-esistente, di età variabile. Nelle catene legate a subdu-zioni verso est o nord-est invece, sotto l’orogene, leMoho preesistenti delle due placche si sovrappongono(v. ancora fig. 10) e lo spessore della crosta raggiungei suoi massimi valori (55-70 km).

Le subduzioni verso ovest si enucleano lungo le retro-catene di subduzioni verso est o nord-est quando nel-l’avampaese della retrocatena è presente litosfera, ocea-nica o continentale, sottile. Per esempio, l’arco dellePiccole Antille ha preso il via lungo la retrocatena delleAnde dell’America Centrale ed è migrato verso est solodove i continenti nordamericano e sudamericano si rastre-mano; al fronte della retrocatena dell’orogene centroa-mericano era presente litosfera oceanica atlantica.

Una interpretazione simile può essere avanzata pergli Appennini, che hanno avuto origine lungo la retro-catena delle Alpi, nel cui avampaese vi era un ramo relit-to dell’Oceano Tetideo Mesozoico. Queste ‘paleo-Alpi’sarebbero ora sepolte e stirate sotto l’Appennino occi-dentale e il Mar Tirreno, che è il retroarco della subdu-zione appenninica. Un simile rapporto potrebbe essereapplicato per la subduzione dei Carpazi, innescatasilungo la retrocatena delle Dinaridi. Nei bacini di retroar-co si attua un assottigliamento rapido e irregolare, conaree dove si sviluppa nuova crosta oceanica oppure aree

dove rimangono relitti più spessi di litosfera continen-tale. Si crea così un fenomeno di budinaggio, cioè unasituazione in cui, durante l’estensione, si isolano bloc-chi più competenti inclusi in una matrice meno visco-sa, che fluisce nelle aree di assottigliamento (necks). Gliarchi delle subduzioni verso ovest hanno lunghezze di1.500-2.000 km.

Le subduzioni verso ovest sono in media più profon-de, fino a 670 km, e più inclinate (45°-90°) di quelleopposte dirette verso est o nord-est (v. ancora fig. 9),nelle quali generalmente la maggior parte della sismi-cità scompare a 300 km e le inclinazioni sono minori(15°-60°). La deriva verso ovest della litosfera rispettoal mantello sottostante può spiegare questa diversa pen-denza, che in passato era stata attribuita solamente alladiversa età della litosfera oceanica in subduzione, cioèa un effetto del peso della litosfera oceanica fredda. Visono invece esempi in cui la stessa litosfera sottoscor-re nelle due direzioni opposte, mantenendo l’asimme-tria; inoltre si riscontrano subduzioni verso ovest moltoinclinate e con le caratteristiche già descritte, sia di lito-sfera oceanica giovane (per esempio l’arco delle IsoleSandwich nel sud-ovest atlantico), sia addirittura di lito-sfera continentale (gli Appennini centrosettentrionali, iCarpazi, l’Arco di Banda). Nelle subduzioni verso ovest,il piano di scollamento basale della placca a letto è pie-gato e scende in subduzione e il prisma di accrezionecoinvolge solo la pellicola superiore della placca a letto.Nelle subduzioni opposte, il piano di scollamento basa-le della placca a tetto riesce attivamente a portare versol’alto elementi sia della placca a letto sia della placca atetto, ispessendo la crosta e il relativo orogene (v. anco-ra fig. 9). Questo diverso comportamento dei piani discollamento nelle due opposte subduzioni spieghereb-be perché i prismi di accrezione delle subduzioni versoovest siano costituiti per lo più da copertura sedimen-taria, mentre gli orogeni delle subduzioni opposte abbia-no l’intera crosta coinvolta nella deformazione, deter-minando maggiore elevazione strutturale della catenaed estesi affioramenti di basamento cristallino (v. anco-ra fig. 10). I due diversi comportamenti dei piani di scol-lamento nei due tipi di subduzione determinano anchepercorsi variabili della pressione e della temperaturacui sono sottoposte le rocce dei prismi di accrezione,generando metamorfismi peculiari. Per esempio, unmetamorfismo di alta pressione e bassa temperatura èpiù frequente nelle catene associate a subduzione versoest o nord-est, mentre un metamorfismo di alta tempe-ratura e bassa pressione è più facilmente rinvenibile atetto delle subduzioni dirette verso ovest, dove l’aste-nosfera rimpiazza lo slab a bassa profondità nel bacinodi retroarco.

Le evidenze più forti della deriva verso ovest della li-tosfera, e quindi di un sottostante mantello che ruotereb-be in senso opposto, vengono dalle persistenti asimmetrie

128 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

tra le zone di subduzione dirette verso ovest e quelledirette verso est o nord-est. Gli orogeni associati allezone di subduzione verso ovest presentano un rilievotopografico e strutturale inferiore rispetto alle cateneassociate alle subduzioni opposte, come si vede com-parando le subduzioni del Pacifico occidentale con quel-le del Pacifico orientale, per esempio le Isole Marian-ne e le Ande (v. ancora fig. 4).

Nel primo caso si forma un bacino di retroarco e lafossa della subduzione è molto profonda, mediamenteoltre i 4.000 m; il prisma di accrezione coinvolge i livel-li più alti della crosta in subduzione, generalmente lacopertura sedimentaria. Il rilievo medio dei prismi diqueste subduzioni è sotto il livello del mare, come nelleisole Fiji, Marianne e Barbados. Le catene più elevatedi questo tipo di subduzione sono gli Appennini, i Car-pazi e i rilievi del Giappone, che hanno piani di scol-lamento basale del prisma di accrezione più profondie quindi volumi maggiori coinvolti a tetto della subdu-zione. Le anomalie gravimetriche nelle subduzioni versoovest sono molto più pronunciate di quelle nelle sub-duzioni opposte, avendo un massimo negativo nella zo-na di avanfossa e un massimo positivo nel bacino di retro-arco, dove l’astenosfera si trova infatti a livelli moltosuperficiali. Un andamento simile hanno le variazionidel flusso di calore, minimo in avanfossa e massimo nelbacino di retroarco.

Nelle subduzioni verso est o nord-est, come le Andeo l’Himalaya, non si forma il bacino di retroarco e lacatena ha una doppia vergenza e quindi due avanfosse,una davanti alla catena frontale e una di fronte alla retro-catena (v. ancora fig. 10). L’altezza media di questecatene è sopra il livello del mare e le avanfosse hanno

profondità medie intorno a 3.000 m in subduzioni ocea-niche, mentre sono spesso sopra il livello del mare insubduzioni continentali, al fronte sia della catena ante-riore sia della retrocatena. La catena ha piani di scol-lamento che entrano nel mantello, l’accrezione coin-volge tutta la crosta e quindi le rocce affioranti posso-no coprire l’intero spettro delle rocce metamorfiche eintrusive del basamento.

La topografia e le anomalie in aria libera (free-airanomalies) attraverso le zone di subduzione confer-mano la presenza di due marcature distinte (fig. 11).Una media topografica bassa (�1.250 m) e anomaliegravimetriche pronunciate caratterizzano le catene dellesubduzioni verso ovest. Una media topografica più ele-vata (1.200 m) e anomalie gravimetriche più smussatesono tipiche degli orogeni delle subduzioni verso est enord-est. Questa contrapposizione è particolarmenteevidente lungo i margini pacifici, ma persiste anchelungo altre zone di subduzione del mondo: in Atlanti-co, nel Mediterraneo, nell’Himalaya e in Indonesia.Quindi la topografia e la gravimetria confermano l’e-sistenza di due classi separate di zone di subduzione,in buona parte indipendenti dall’età e dalla natura dellalitosfera in subduzione.

AvanfosseLe avanfosse sono i bacini sedimentari localizzati ai

fronti delle catene montuose, o prismi di accrezione.Anche le caratteristiche delle avanfosse confermano ledifferenze tra le zone di subduzione. Le subduzioni versoovest hanno avanfosse molto profonde e in rapida migra-zione verso est, con tassi di subsidenza �1,2 mm/a. Lasubsidenza è così forte che le anticlinali del prisma di

129VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

Osubduzione verso ovest subduzione verso est-nordest

topografia-batimetria topografia-batimetria

gravità gravità

0

�2.000

�4.000

�6.000

100

0

�100

E-NE2.000

0

�2.000

�4.000

100

0

�100

0 400 km

mm

mGalmGal

fig. 11. Profili medi della topografia-batimetria e gravimetria in aria libera delle zone di subduzione. Si notino la maggioreelevazione e la minore ampiezza delle anomalie gravimetriche nelle subduzioni verso est e nord-est rispetto alle subduzionidirette a ovest. Nelle subduzioni verso ovest non vi è poi corrispondenza tra il minimo gravimetrico e il minimo batimetrico(Harabaglia e Doglioni, 1998).

accrezione possono avere tassi di sollevamento negati-vi; per questo motivo le anticlinali possono talvolta esse-re in subsidenza anche mentre si innalzano (fig. 12).Esempi sono presenti al fronte del prisma appenninico,nei Carpazi e nell’Arco di Banda. La forte subsidenzaappare generata dall’arretramento dello slab ed è cosìprevalente che il prisma di accrezione si può addirittu-ra trovare in condizioni di maggiore profondità dell’a-vampaese (v. ancora fig. 8). Sempre nelle avanfosse chesi trovano al fronte di catene sopra subduzioni diretteverso ovest, il prisma di accrezione, in sezione, ha un’areache è mediamente minore dell’area dell’avanfossa stes-sa, cioè in un rapporto minore di 1 (v. ancora fig. 10).Ne sono esempi il prisma a tetto e la relativa fossa delleMarianne, o la catena degli Appennini e l’avanfossa pa-dano-adriatica, dove talora si sono accumulati oltre 8 kmdi sedimenti in 5 Ma. In questo tipo di avanfosse i tassidi subsidenza sono così elevati e la catena adiacenteè così poco sollevata (cioè con erosione limitata) da la-sciare l’avanfossa in condizioni di sottoalimentazione(v. ancora fig. 12).

Viceversa, le catene legate alle subduzioni verso esto nord-est hanno due avanfosse: al fronte e lungo la retro-catena dell’orogene. I tassi di subsidenza sono relativa-mente bassi (�0,2 mm/a) e gli spessori dei sedimentisono pari a circa 3 km deposti in circa 20 Ma, come, peresempio, nel caso del fronte delle Alpi settentrionali. Leanticlinali e il prisma di accrezione sono sempre più ele-vati dell’avampaese (v. ancora fig. 12). Il rapporto tra areain sezione della catena e area totale delle due avanfosse

è paradossalmente sempre maggiore di 1: nonostante lacatena sia molto elevata, le due avanfosse sono di dimen-sioni inferiori (v. ancora fig. 10). Per questo tipo di cate-ne (Montagne Rocciose, Alpi, Himalaya) l’erosione ècosì elevata e lo spazio di accomodamento nei due baci-ni così ridotto che le avanfosse sono sovralimentate epassano rapidamente dalle facies di flysch a quelle dimolassa, fino a colmarsi e a generare il by-pass dei sedi-menti provenienti dagli orogeni, che vengono così tra-sportati in delta remoti. Un esempio sono i grandi deltadel Gange e del Brahmaputra, dove si accumula il mate-riale eroso dalla catena himalayana che non trova piùspazio per deporsi nell’avanfossa.

Adottando la deriva verso ovest della litosfera, le sub-duzioni verso ovest sarebbero generate primariamentedalla flessione indotta dal mantello che avrebbe un motorelativo verso est; in questo caso l’avanfossa è localiz-zata sulla cerniera della subduzione e la sua subsidenzacoincide con l’arretramento dello slab. Nelle subduzio-ni verso est o nord-est, cioè dirette nel senso del flussodel mantello, quest’ultimo sosterrebbe dal basso la lito-sfera, contrapponendosi in parte al carico della catena,che in questi ambienti geodinamici è il maggior respon-sabile della flessione dell’avanfossa. Quando la subsi-denza dell’avanfossa è maggiore del sollevamento delprisma, il sollevamento totale delle anticlinali è negati-vo, viceversa è sempre positivo (v. ancora fig. 12).

Queste asimmetrie sono coerenti con l’ipotesi di uncontributo della deriva verso ovest della litosfera rispet-to al mantello che, con il suo moto relativo verso est,

130 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

10 km0

0

10

20

30

40

50

100 km

Pliocene-Pleistocene

Pleistocene

M

SO E-NETWT (s)

fronteappennino

direzioni subduzioni

fronteellenidi

sollevamento totalepiega negativo

sollevamento totalepiega positivo

Canale d’Otranto

Piattaforma carbonatica Apula

subsidenza regionale �sollevamento anticlinale subsidenza regionale �sollevamento anticlinale

Italia

Mar Ionio

fig. 12. Confronto tra i fronti appenninico e dinarico-ellenico, legati a due subduzioni con polarità opposta. Si notano unamaggiore profondità dell’avanfossa appenninica e una maggiore elevazione del fronte ellenico. Il fronte appenninico è addirittura più basso dell’avampaese (il sollevamento totale di una piega è dato dal sollevamento della piega meno la subsidenza dell’avanfossa) e la piega frontale della catena appenninica ha un sollevamento totale negativo; al contrario, il sollevamento della catena ellenica è positivo. M, Messiniano; scala verticale in secondi, tempo di andata e ritorno delle onde P(Doglioni et al., 1999).

inclina maggiormente le subduzioni verso ovest, facen-dole arretrare e generando le forme arcuate tipiche diPiccole Antille, Sandwich, Appennini, Carpazi, Marian-ne, Giappone, Banda, ecc. In queste subduzioni la lito-sfera viene per la maggior parte dispersa nel mantello(v. ancora fig. 9). Nelle subduzioni opposte verso est onord-est, che invece immergono nel senso del movimentorelativo del mantello sottostante, la litosfera è sostenutadal flusso e viene ispessita.

Vi sono orogeni che non seguono il flusso mostratoin fig. 4, come per esempio la parte settentrionale del-l’America Meridionale e i Pirenei. Questi orogeni sonolegati a subduzioni generate dalla subrotazione delle plac-che sudamericana e iberica e presentano caratteristichesimili a quelle degli orogeni associati alle subduzionidirette a est, cioè doppia vergenza, assenza di estensio-ne di retroarco, alta elevazione morfologica e struttura-le, avanfosse con bassi tassi di subsidenza.

Bacini sedimentariI bacini sedimentari nei quali si accumula sostanza

organica che può generare idrocarburi sono una diret-ta conseguenza della tettonica delle placche. Essi si for-mano sia all’interno sia ai margini delle placche per treprincipali processi di subsidenza: assottigliamento dellalitosfera, cioè tettonica distensiva o transtensiva; raf-freddamento termico della litosfera oceanica e conti-nentale nei margini passivi; piegamento della litosferanelle cerniere delle zone di subduzione per arretramentodello slab, o per flessione generata dal carico di unacatena montuosa o di un delta su un margine conti-nentale (fig. 13).

I bacini sedimentari si formano dove la crosta va insubsidenza oppure vi è un preesistente bacino vuoto,

in grado di essere colmato da sedimenti. Il peso deisedimenti genera comunque un ulteriore carico che flet-te la litosfera. La compattazione dei sedimenti causa-ta dal carico litostatico (pari a rgz, dove r è la densi-tà della colonna di rocce, g l’accelerazione di gravità ez lo spessore della colonna di rocce) produce una dimi-nuzione della porosità delle rocce e un’espulsione deifluidi dai pori e determina quindi un’ulteriore subsi-denza. Il carico litostatico produce anche diminuzionedi volume causata da dissoluzione per pressione e quin-di ulteriore subsidenza.

La subsidenza in un’area in distensione è funzionedel tasso di estensione e dell’inclinazione delle fagliedistensive. Infatti, a parità di estensione, faglie più incli-nate permettono una subsidenza più rapida.

Bacini estensionali intraplacca determinano un inde-bolimento della crosta e della litosfera per cui, in casodi modifica del campo di sforzo, sono le prime aree asubire un’inversione tettonica. Esempio classico è lacatena dell’Atlante, generatasi per transtensione sini-stra e distensione en échelon (a gradini) nel Mesozoi-co, successivamente invertita in transpressione destra.

La subsidenza termica della crosta oceanica, tratta-ta precedentemente, si attua anche ai margini conti-nentali passivi se la crosta oceanica adiacente non hasuperato i 60 Ma.

Le avanfosse sono tipici bacini legati al piegamen-to o alla flessurazione della litosfera e si formano peril carico della catena e dei suoi sedimenti, o per arre-tramento della subduzione. La pendenza del basamen-to sotto l’avanfossa, verso l’interno della catena, è dettamonoclinale regionale dell’avampaese ed è meno incli-nata (2-5°) per le catene dove è il carico a generare lasubsidenza, mentre raggiunge valori più alti (4-10°) perle avanfosse in cui vi è l’arretramento verso est dellacerniera delle subduzioni dirette verso ovest (v. anco-ra fig. 10).

Coerentemente con i valori di subsidenza dei prin-cipali ambienti tettonici, le avanfosse legate a subdu-zioni verso ovest sono quelle che hanno mediamente ivalori più alti.

Vi sono aree della Terra dove possono coesisterenello stesso tempo più fattori geodinamici che con-trollano l’evoluzione di un bacino. Per esempio, nelCanale di Sicilia vi è una distensione attiva con fagliedistensive orientate nordovest-sudest che sta separan-do la Sicilia dall’Africa; contemporaneamente i sovra-scorrimenti della catena appenninica-magrebide, orien-tati circa est-ovest, avanzano verso sud-est tagliandole faglie normali, che però a loro volta tagliano i sovra-scorrimenti. La pianura del Nord-Est italiano rappre-senta l’avampaese della retrocatena alpina, della ca-tena frontale dinarica e della catena appenninica; vi èquindi l’effetto combinato di tre diverse catene che, conmeccanismi, velocità e direzioni diversi, danno origine

131VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

33 km

0 200 km

crostacontinentale crosta oceanica

sedimenti

fig. 13. Modello di subsidenza in un marginecontinentale passivo dovuto al carico dei sedimenti che sostituisconol’acqua, più leggera, esercitando un peso che genera uno spazio di accomodamentoper depositi di piana costiera e di scarpata, i quali producono un’ulteriore flessionedella crosta e della litosfera (Bott, 1979).

a subsidenza nella stessa area. La faglia di San Andreas èun ulteriore esempio di transpressione sinistra nordest-sudovest sovrapposta a una più veloce transtensionedestra orientata ovestnordovest-estsudest.

Dinamica delle placcheNonostante i notevoli progressi compiuti dalle scien-

ze della Terra, non vi è ancora una teoria completa suimeccanismi che muovono le placche che possa conci-liare la cinematica superficiale con i supposti movi-menti interni al pianeta. Le forze che agiscono sullalitosfera sono di diverso tipo: il trascinamento operatodai movimenti convettivi del mantello sottostante; ilridge push, cioè il peso delle dorsali; lo slab pull, cioèil peso dei piani di subduzione; le forze esterne al pia-neta, come per esempio le forze responsabili degli effet-ti di marea (Bostrom, 2000). I movimenti delle placchesono talmente lenti che le relative forze inerziali sonotrascurabili.

Convezione del mantelloLa risalita di mantello nelle zone di rifting e la disce-

sa di litosfera nelle subduzioni sono già di per sé un’e-videnza della convezione che ha luogo nel mantello. Allascala dei tempi geologici, il mantello terrestre, pur appa-rentemente solido, può essere considerato un fluido estre-mamente viscoso (con viscosità maggiore di 1022 Pa ⋅ s).Un fluido scaldato al di sotto e raffreddato al di soprapuò trasferire calore attraverso il suo spessore in duemodi: conduzione o convezione. Il mantello ha un gra-diente interno di temperatura minore di 1 °C/km. Il nume-ro di Rayleigh (Ra) misura l’attitudine di un fluido a tra-smettere calore per convezione. La litosfera trasmettecalore sia tramite la conduzione, sia tramite moti con-vettivi nei fluidi che la attraversano.

Il numero di Rayleigh di un livello di spessore h contemperature costanti T0 e T1 al di sopra e al di sotto èdato da:

Ra�r2gcpa(T1�T0 )h3�mk

dove r è la densità, g l’accelerazione di gravità, cp ilcalore specifico, a il coefficiente di dilatazione termi-ca, m la viscosità e k la diffusività termica (data dal rap-porto k/rcv, con k conducibilità termica). Al numerato-re compaiono grandezze che favoriscono la convezio-ne, mentre al denominatore, oltre alla viscosità che larallenta, compare la diffusività e dunque la conducibi-lità termica. Quindi, in presenza di un alto numero diRayleigh è prevalente la convezione, mentre un bassovalore indica che predomina la conduzione. La transi-zione tra i due regimi si ha in corrispondenza del cosid-detto numero di Rayleigh critico. Si ritiene che circa il90% del calore del mantello provenga dai decadimentiradioattivi che hanno luogo al suo interno, mentre soloil 10% proverrebbe dal nucleo sottostante. Il valore del

numero di Rayleigh necessario per rendere un mantellosferico convettivo è pari a circa 3⋅ 103, ma in realtà, assu-mendo i valori stimati dal PREM (Preliminary ReferenceEarth Model; Anderson, 1989), il valore calco-lato di Ra per il mantello è pari a circa 9 ⋅ 106. Ciò si-gnifica che nel mantello devono essere presenti moticonvettivi, dei quali però non si conosce la cinematica(andamento delle linee di flusso e velocità); è scono-sciuto anche il modo in cui tali movimenti interni si con-ciliano con la cinematica delle placche, che è molto piùsemplice di quella delle celle convettive ricavabili daimodelli.

La parte del mantello che dovrebbe dar luogo a feno-meni convettivi più accentuati è quella superiore, doveil numero di Rayleigh è più alto perché la viscosità èpiù bassa, la conduzione termica è minore perché que-sta zona contiene meno ferro del mantello inferiore, eil gradiente termico è più alto che nel mantello inferio-re. In quest’ultimo infatti la temperatura aumenta dimeno di un grado per km, mentre nel mantello supe-riore può aumentare di qualche grado per km.

Vi sono due grandi aree dove è ipotizzabile una risa-lita del mantello inferiore, identificate dalla tomogra-fia sismica come volumi caratterizzati da una minorevelocità di propagazione delle onde sismiche: una nelPacifico centrale e una nell’Africa centromeridionale(Romanowicz e Gung, 2002). Le previsioni legate allaconvezione si scontrano spesso con evidenze rilevabiliin superficie: per esempio, la composizione del man-tello viene assunta omogenea, mentre è ben noto chetutta la Terra è intensamente stratificata. Se il mantel-lo fosse omogeneo e i movimenti fossero guidati soloda gradienti termici, ci si dovrebbe aspettare che por-zioni di mantello litosferico si stacchino e sprofondinonel mantello sottostante. Tale fenomeno è invece almomento sconosciuto; qualora fosse presente, dovreb-be inoltre generare un sollevamento della litosfera resi-dua sovrastante.

Nei modelli di convezione le risalite del mantellosono associate a ridiscese laterali, ma i rifting atlantico,estafricano e indiano si sono sviluppati senza nessunasubduzione intermedia. Vi sono anche casi di subduzio-ni vicine appaiate senza rifting interposto. Nei modelliconvettivi, le correnti in risalita e in discesa sono sta-zionarie, mentre in natura tutti i margini di placca, rif-ting, subduzioni e zone trasformi, migrano. Le celle con-vettive dei modelli hanno forme poligonali, mentre i mar-gini di placca reali hanno forme lineari, come per esempionella dorsale atlantica.

Quindi la convezione nel mantello non può essereconsiderata come un ‘rullo trasportatore’ delle placche(mantle drag) a causa dell’apparente incompatibilità trala convezione e la cinematica superficiale. Inoltre la lito-sfera è scollata rispetto al mantello, come indicato peresempio dal punto caldo delle Hawaii, la cui sorgente

132 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

nel mantello si sposta verso est-sudest rispetto alla lito-sfera sovrastante. Le dorsali atlantica e indiana duran-te il loro sviluppo si sono allontanate dall’Africa, quin-di sono in movimento relativo tra loro: ciò comportache una risalita attiva di mantello stabile sotto le duedorsali non è compatibile con la cinematica delle plac-che, e che i rifting sono strutture passive, scollate e inmovimento relativo rispetto al mantello. Un movimen-to laterale delle dorsali può spiegare perché queste sianosempre alimentate da un mantello ancora produttivo,mentre una loro staticità sul mantello dovrebbe com-portare un impoverimento graduale della sorgente. Latomografia sismica ha confermato la presenza di bassevelocità di propagazione delle onde sismiche solo finoa 100-200 km sotto le dorsali oceaniche, probabilmen-te indicante una fusione parziale, mentre il sottostantemantello ha frequentemente velocità sismiche relativa-mente maggiori, suggerendo la presenza di un mantel-lo freddo e quindi l’assenza di un’alimentazione profon-da delle dorsali.

Ridge push. L’elevazione di una dorsale oceanicacausa un aumento dell’energia potenziale gravitaziona-le, cioè una ‘spinta della dorsale’ (ridge push). Nonessendo la spinta legata all’inserimento del magma lungola dorsale, viene considerato solo il maggior peso deter-minato dalla maggiore elevazione della dorsale. Unasemplice espressione del ridge push (Frp) per unità dilunghezza (della dorsale) è la seguente: Frp=grm �hdx�gpw�w dx dove g è l’accelerazione di gravità, rm ladensità del mantello, h l’elevazione della dorsale rispet-to al fondo marino, x la larghezza in orizzontale dei fian-chi della dorsale, w la profondità del fondo marino rispet-to alla dorsale e rw la densità dell’acqua. Il valore delridge push ottenuto considerando anche l’effetto del raf-freddamento della litosfera e il peso dell’acqua è pari acirca 3,9 ⋅ 1012 Nm�1 (Turcotte e Schubert, 2002).

Slab pull. Lo slab pull (trazione verso il basso dellasubduzione) è l’azione meccanica riconducibile alla mi-nore temperatura dello slab in subduzione rispetto almantello circostante più caldo. I basalti oceanici, andan-do in subduzione, si possono trasformare, a causa del-l’altissima pressione, in eclogiti, rocce di alta densità,generando un gradiente negativo di densità del piano disubduzione rispetto al mantello superiore che lo contie-ne. L’espressione più semplice dello slab pull (Fsp) perunità di lunghezza, assumendo che litosfera e mantelloabbiano la stessa composizione e vi sia solo una strati-ficazione termica, è: Fsp�gz(rl�rm )d, dove g è l’accelera-zione di gravità, z la profondità del piano di subduzio-ne, rl la densità della litosfera, rm la densità del mantel-lo e d lo spessore della litosfera in subduzione. Assumendovalori di 10 ms�2 per g, 660 km per la profondità delloslab z, 100 km per d e 3.300 kg/m3 e 3.220 kg/m3 rispet-tivamente per le densità della litosfera e del mantello siottiene uno slab pull di circa 5,2 ⋅ 1013 Nm�1. Tuttavia lo

spessore della litosfera in subduzione è sovente più sot-tile e soprattutto il mantello superiore ha densità bensuperiori a 3.220 kg/m3, anche perché molto probabil-mente il mantello superiore ha stratificazioni chimico-mineralogiche con un graduale aumento della densitàdall’alto verso il basso. Turcotte e Schubert (2002) cal-colano uno slab pull di circa 3,3 ⋅ 1013 Nm�1. Il PREMpropone per esempio una densità di 3.970 kg/m3 per ilmantello a 600 km di profondità.

L’olivina nel mantello, oltre alla trasformazione oli-vina/spinello a circa 400 km di profondità che ne aumen-ta la densità, può trasformarsi da olivina magnesiaca(forsterite) a olivina ferrifera (fayalite) determinando unaumento di densità e una diminuzione di volume. Per que-sto il valore dello slab pull è probabilmente sovrasti-mato. Inoltre a sfavore dello slab pull vi è il fatto che imeccanismi focali dei terremoti indicano per lo più chei piani di subduzione sono sottoposti a una compres-sione interna parallela allo slab mentre, se agisse lo slabpull, lo slab dovrebbe essere in trazione. Ciononostan-te, lo slab pull è al momento considerato la maggioreforza operante sulla litosfera, essendo di un ordine digrandezza maggiore del ridge push.

Vi sono evidenze geologiche e tomografiche del fattoche anche la litosfera continentale vada in subduzione.Otto Ampferer, geologo austriaco dei primi del Nove-cento, aveva ipotizzato una subduzione continentale sottole Alpi, basata sull’impilamento delle falde alpine. I pri-smi di accrezione nei quali si vedono impilati sedimen-ti di margine continentale passivo indicano che la lito-sfera su cui erano appoggiati è scomparsa in subdu-zione. Non vi sono dati sulla profondità cui la litosferacontinentale, nonostante la sua minore densità, riesca ascendere in subduzione, facilitata da trasformazioni chel’appesantiscano. Nell’Appennino centro-settentrionalevi è subduzione continentale fino ad almeno 100-150 km.Questo dimostra che non può essere solo il peso dellalitosfera fredda oceanica a muovere le placche tramitelo slab pull, perché altrimenti la litosfera continentalenon potrebbe sottoscorrere. Un flusso di mantello versoest contribuirebbe invece a fare arretrare e sottoscorre-re la litosfera.

Un’altra possibile forza agente sulla litosfera è iltrench suction (‘tiro della fossa’). Una zona di subduzio-ne, arretrando, tira la placca a tetto verso la zona di cer-niera dello slab, spostandola verso la subduzione stessae/o provocandone l’assottigliamento del margine. Anchequesto meccanismo diviene comunque secondario se ilmotore della dinamica delle placche non risiede nelloslab pull.

Effetti della rotazione terrestreLa tettonica delle placche è finora stata attribuita solo

a fenomeni endogeni di raffreddamento del pianeta e diconvezione termica. È stato tuttavia dimostrato che i

133VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

movimenti del mantello e delle placche perturbano larotazione terrestre, provocando oscillazioni dell’asse dirotazione. La deriva verso ovest della litosfera rispettoal mantello e tutte le sue implicazioni tettoniche indica-no a loro volta un contributo della rotazione terrestre alladinamica delle placche, sia in termini di direzione dimovimento sia, soprattutto, energetici.

L’attrazione Luna-Sole genera sulla Terra le mareesia fluide, sia solide, che determinano un trascinamen-to permanente verso ovest della litosfera e che nel con-tempo rallentano la velocità di rotazione terrestre. Infat-ti è stato misurato un aumento della durata del giornodi circa 1,79 ms/secolo. Per esempio, grazie agli studisulle stromatoliti e i depositi tidali, è stato possibile sta-bilire che 700 milioni di anni fa un anno era compostodi circa 400-430 giorni, cioè che la lunghezza del gior-no era circa di 21-20 h, a causa di una maggiore velo-cità di rotazione della Terra (Denis et al., 2002). Que-sta maggiore velocità di rotazione causava anche unmaggiore schiacciamento dei poli terrestri; da circa 2,5miliardi di anni a oggi, lo schiacciamento dei poli rispet-to all’equatore è diminuito da 0,005 a 0,003.

Il baricentro tra Luna e Terra si trova all’interno delmantello e Bostrom (2000) ha mostrato come, conside-rando il sistema Terra-Luna un pianeta doppio, la gravi-tà alla superficie della Terra sia leggermente inclinata(0,38°) per effetto della gravitazione lunare. Tale incli-nazione genererebbe un’asimmetria anche nella conve-zione del mantello.

Il nucleo interno solido terrestre non esisteva primadi 2 miliardi di anni fa e secondo alcuni autori avrebbeaddirittura cominciato a solidificarsi negli ultimi 500 Ma.Anche il mantello inferiore presenta un accumulo dimateriale più denso nelle sue parti più interne, materia-le che non è più in grado di risalire per le altissime pres-sioni presenti a circa 2.800-2.900 km di profondità. Ciòsignifica che gli elementi più densi si starebbero lenta-mente accumulando nelle parti inferiori sia del nucleosia del mantello, provocando una diminuzione del momen-to d’inerzia terrestre, con conseguente aumento dellavelocità di rotazione, non sufficiente però a compensa-re il rallentamento dovuto alle maree. La combinazionedegli effetti tidali e della discesa verso il basso delle partipiù dense della Terra determina una coppia di forze agen-te sull’astenosfera, il livello con minore resistenza, chepotrebbe spiegare il movimento medio della litosferaverso ovest. In questo modello, la tettonica delle plac-che sarebbe una combinazione di effetti rotazionali emoti convettivi del mantello (Scoppola et al., 2003).

Se venisse confermato che i magmi OIB (OceanIsland Basalts) dei punti caldi sono alimentati dall’aste-nosfera, come lo sono anche i MORB (Middle OceanicRidge Basalts) delle dorsali e gli IAB (Island Arc Basalts)delle zone di subduzione, alimentati da profondità di100-150 km, vi sarebbero molte indicazioni che la

grande maggioranza dei magmi terrestri provenga dallaparte alta del mantello superiore. Pertanto, in assenzadi informazioni petrologiche dirette sulla composizio-ne del mantello inferiore, quest’ultimo potrebbe esserepiù ricco in ferro, e dunque più denso, di quanto fino-ra ipotizzato. In questo caso l’effetto dello slab pullsarebbe ancora più basso di quanto sopra stimato, e nonpiù in grado di attivare la dinamica delle placche. Lacombinazione degli effetti astronomici con quelli con-vettivi potrebbe quindi meglio spiegare la geodinamicaterrestre.

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Carlo DoglioniDipartimento di Scienze della Terra

Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’Roma, Italia

135VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

1.4.2 Bacini sedimentari

I bacini sedimentari sono depressioni strutturali della cro-sta terrestre riempite da sedimenti con uno spessore supe-riore a 1 km. Generalmente essi poggiano su un basamentopeneplanato e fortemente deformato, magmatico e/o meta-morfico, di scarso interesse per la geologia del petrolio,chiamato economic basement.

Sono state proposte molte classificazioni dei bacinisedimentari; la maggior parte degli studi riguardanti taleargomento si può trovare in Foster e Beaumont (1987) oin Busby e Ingersoll (1998). Tutte queste classificazio-ni sono semplificazioni volte a fornire solamente unavisione d’insieme di una realtà geologica complessa evariabile. Anche se alcuni tipi di bacino (per esempio ibacini di avanfossa) contengono la maggior parte delle

ultime riserve di idrocarburi della Terra, le classifica-zioni non sono sufficienti a permettere di effettuare unaprevisione realistica delle riserve di idrocarburi futurein bacini di tipo analogo. Per ogni bacino di un certo tiporicco di idrocarburi, ve ne sarà sempre, altrove, un altrosimile ma povero di idrocarburi.

I presupposti della tettonica delle placche (v. par. 1.4.1)offrono un quadro di riferimento prezioso per la classifi-cazione dei bacini sedimentari (Bally e Snelson, 1980;Busby e Ingersoll, 1998). Una mappa molto semplificatadella tettonica delle placche a livello mondiale (fig. 1)mostra che, a partire dal Giurassico inferiore, l’espan-sione degli oceani diede luogo alla formazione dell’at-tuale crosta oceanica, relativamente rigida, che occupa idue terzi della superficie terrestre. Le cinture orogeni-che, chiamate megasuture, registrano i complessi processi

136 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

Giurassico

Cretaceo non datato subduzione B

subduzione A margine conintrusione felsica

Ceno-Mesozoico

Paleozoico

PrecambrianoTerziario

MEGASUTURE MARGINI CENO-MESOZOICICROSTA OCEANICA

fig. 1. Mappa mondiale semplificata della tettonica delle placche. I margini trascorrenti, come la Faglia di San Andreas e l’Alpine Fault in Nuova Zelanda, sono difficilmente rappresentabili a questa scala.

geologici che avvengono ai margini di placca compressi-vi, i quali hanno suturato elementi di litosfera continen-tale più stabile. Bally e Snelson (1980) hanno differen-ziato quattro tipi di margini:• margine di subduzione di tipo B, associato a subdu-

zione di litosfera oceanica;• margine di subduzione di tipo A, associato a una sub-

duzione più limitata di litosfera continentale;• margini dominati da faglie trasformi o trascorrenti;• un margine in Asia centrale caratterizzato dall’am-

pio inviluppo attorno a intrusioni ignee mesozoichee cenozoiche; questo tipo di margine è caratterizza-to anche da una cospicua deformazione intraplacca.Le megasuture meso-cenozoiche presentano tutti que-

sti tipi di margini. Le megasuture paleozoiche rappresen-tano una serie di collisioni continentali che si sono con-cluse con la formazione del supercontinente Pangea e sonoquindi dominate da un margine costituito da subduzionedi tipo A. Diversi sistemi orogenici complessi precam-briani sono responsabili dell’accorpamento di spessi bloc-chi litosferici di età precambriana. La fig. 1 è utile, inprima approssimazione, per stabilire l’età dell’economicbasement di quasi tutti i bacini sedimentari fanerozoici.

Artemieva e Mooney (2002) hanno riconosciuto unadistribuzione dello spessore litosferico con valori tra 350e 220 km per la litosfera archeana, di circa 200 km perquella del Proterozoico inferiore, intorno a 140 km per

quella del medio e tardo Proterozoico e di circa 100 kmper quella paleozoica. La litosfera continentale più anti-ca e spessa è più facilmente preservata e costituisce unapiattaforma relativamente stabile per i bacini sedimenta-ri. La litosfera continentale di età paleozoica e mesozoi-ca è il risultato di processi orogenetici più recenti ed è rela-tivamente meno stabile, permettendo la formazione deibacini sedimentari più giovani.

Come delineato in questo articolo, i bacini sedimen-tari hanno subito soltanto una deformazione tettonica limi-tata e sono, dal punto di vista strutturale, relativamenteintatti. Questa definizione contrasta con quella di geosin-clinale fatta dai primi studiosi, che vedevano queste strut-ture come ipotetici bacini ampi e spesso allungati, carat-terizzati da una notevole subsidenza. Le geosinclinali eranoricostruzioni geologiche ipotetiche e semplificate di cate-ne orogeniche, basate su un lavoro di campagna approfon-dito ma su conoscenze geofisiche inadeguate. Oggi que-sta nomenclatura delle geosinclinali è obsoleta; comun-que, alcune delle prime nomenclature verranno brevementemenzionate in seguito, solo per indicare un’approssima-tiva equivalenza. Ciò permetterà di apprezzare alcunedelle prime, e spesso molto dettagliate, osservazioni nelmoderno contesto di studio dei bacini. Le sequenze sedi-mentarie fortemente deformate si trovano all’interno dicatene orogeniche, come i prismi di accrezione associa-ti alla subduzione di litosfera oceanica e le catene a falde

137VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

0

1T

WT

(s)

TW

T (

s)T

WT

(s)

2

0

1

2

0

1

2

3

4

5

65 km

0 4 kma

b

basamento

basamento

Top Oligocene

Top Cretaceo

Top Cretaceo inferioreTop Turoniano

Magnus Sand

Top Giurassico medio

Top Giurassico medio

Top Devoniano

Top Devoniano

Top Triassico

NO SE

fig. 2. Riempimenticontinentali di sin-rift: A, Goshute Valley, Nevada; B, Bacino Shetland, Mare del Nord.

A

B

di ricoprimento di avampaese (v. oltre) associate alla limi-tata subduzione di litosfera continentale.

La formazione dei bacini sedimentari di regola impli-ca molteplici processi e stadi evolutivi; quindi attribuireun bacino a una determinata categoria può risultare spes-so arbitrario. Tuttavia, nello studio dei sistemi petroliferi,è spesso utile usare gli stadi più giovani dell’evoluzionedi un bacino come criterio chiave di classificazione, sic-come tali sistemi tendono a svilupparsi in ogni bacinodurante gli ultimi stadi della sua evoluzione. La modernae dettagliata tecnica di analisi delle sequenze stratigrafi-che è uno strumento fondamentale per la valutazione eco-nomica di un bacino. Alcuni autori definiscono i limiti diuna sequenza stratigrafica come una serie di superfici didiscordanza regionali (unconformity) rispetto alla loro nor-male continuità, mentre altri autori preferiscono focaliz-zare l’attenzione sui cicli di trasgressione/regressione (T�Rcycles). In ogni caso, le megasequenze tettonico-strati-grafiche a cui si fa riferimento in questo articolo sono lasuddivisione più ampia per correlare la risposta stratigra-fica all’evoluzione strutturale di un bacino (Sharland etal., 2001). Comunemente, le superfici di discontinuità ditali megasequenze coincidono con cambiamenti globalida un regime tettonico a un altro e quindi possono anchecorrispondere a superfici di discontinuità stratigrafica deicicli di secondo ordine delle sequenze stratigrafiche.

Tipi di bacini sedimentari

Bacini dominati da estensione localizzati su litosfera rigida

Fosse tettoniche. Queste fosse allungate bordate dafaglie dirette sono caratterizzate principalmente dalla pre-senza di sistemi di fosse asimmetriche (semi-graben)interrotti da diversi tipi di zone di trasferimento. Una sin-gola struttura di semi-graben può dominare e/o essereparte di un sistema triplo, cioè di una configurazione aforma di stella spesso chiamata ‘giunzione tripla’ (peresempio la terminazione settentrionale della fossa delReno). Il basamento sottostante è sempre coinvolto nellaformazione dei rift, che sono comunemente, ma non sem-pre, associati a litosfera continentale in tensione e assot-tigliata (v. par. 1.4.1).

L’inventario e la classificazione dei rift attentamenterealizzati da Sengör e Natal’in (2001) sono qui molto sem-plificati per differenziare i rift intraplacca associati alla pre-senza di punti caldi (hot spots) dai bacini transtensivi asso-ciati alla presenza di margini di placca trascorrenti e dairift associati ai margini di placca orogenetici compressivie alle relative aree di avampaese. È chiaro che i rift si tro-vano in un’ampia varietà di ambienti tettonici e di bacini;quelli attivi sono caratterizzati da elevata sismicità, altoflusso di calore e vulcanismo. Molti rift di età cenozoica

138 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

margini di tipo atlantico bacini cratonici megasuture meso-cenozoiche

fig. 3. Bacini su litosfera rigida; la mappa mostra sia i margini passivi che i bacini cratonici. I sistemi di rift sono stati omessi perché non verrebbero rappresentati appropriatamente a questa scala.

mantengono la loro individualità; tuttavia, i più antichi riftprecambriani e mesozoici e alcuni rift cenozoici sono staticoinvolti da eventi tettonici post-rifting; essi sono spessosepolti sotto un consistente spessore di sedimenti depostinel corso dell’evoluzione di diversi tipi di bacini.

Nelle regioni soggette a processi di distensione, lastruttura interna del basamento cristallino e l’assetto strut-turale delle megasequenze pre-rift rivestono un ruolofondamentale, in quanto strutture più antiche possonoessere riattivate durante o dopo i processi di rifting. Lemegasequenze pre-rift si depositano in discordanza sulbasamento e sono a loro volta ricoperte da una o piùmegasequenze sin-rift e da diverse megasequenze post-rift. Ciascuna di queste megasequenze può contenererocce serbatoio e rocce madri, formando un sistema petro-lifero limitato a una singola megasequenza oppure con-diviso da megasequenze sovrastanti e sottostanti.

I depositi sin-rift di riempimento di bacino includonosedimenti sia continentali che marini, come pure di ori-gine vulcanica.

I sedimenti continentali di sin-rift sono comunemen-te depositi clastici fluviali, ma sono gli orizzonti di ambien-te lacustre a essere rocce madri prolifiche per l’accumu-lo di idrocarburi nei serbatoi adiacenti o sovrastanti (peresempio i bacini di Reconcavo e Tucano in Brasile). Neisistemi di rift in ambiente marino le rocce madri possonoessere fiancheggiate da scogliere localizzate su alti strut-turali sia a letto sia a tetto delle faglie distensive, solleva-menti generati da strutture a domino o da faglie rotazio-nali o da sollevamenti isostatici del letto. Occasionalmente,depositi vulcanici di sin-rift possono contenere importantiserbatoi. Infine, depositi evaporitici di sin-rift sono asso-ciati a trappole che formano strutture diapiriche che influen-zano le formazioni di sin-rift e di post-rift.

I depositi di sin-rift spesso mostrano geometrie di cre-scita sintettoniche, ossia divergenza e ispessimento deglistrati, avvicinandosi al piano di faglia, sul blocco di tetto,e diminuzione dello spessore, o talvolta assenza, dei mede-simi sedimenti sul blocco di letto (fig. 2 A). Tuttavia, conalti tassi di distensione, strati orizzontali poggiano sulblocco che immerge verso la faglia, oltre che sulla scar-pata di faglia stessa del blocco di letto (fig. 2 B). A rigordi termini, tali riempimenti potrebbero essere accorpatiai depositi di post-rift, ma l’effetto della sedimentazioneè tale da attenuare queste geometrie a beneficio di unaccorpamento nelle megasequenze di sin-rift.

L’evoluzione che segue le fasi di rifting dei bacinivaria in maniera considerevole, oscillando dal tardo sol-levamento sin-rift e post-rift dei margini del rift stessofino al sollevamento e alla parziale erosione di tutto ilsistema ma, soprattutto, determinando anche l’ampiatipologia di bacini descritti successivamente. I bacini chesi instaurano immediatamente sopra le zone di rift sonoanche chiamati sag basins (bacini di avvallamento), men-tre alcuni autori chiamano la combinazione dei bacini di

rift e di avvallamento con l’espressione steer’s head typebasins (bacini a testa di bue). Rift più antichi, che dannoinizio alla formazione di bacini molto più complessi, ver-ranno menzionati più avanti. Per una discussione piùapprofondita e specifica, si rimanda a Landon (1994).

Margini passivi. I margini passivi, chiamati anchemargini divergenti o di tipo atlantico, sono di normaconiugati e/o direttamente relazionabili all’espansionedegli oceani. Essi giacciono a cavallo tra la parte versomare del basamento continentale e il lato verso terra delbasamento oceanico, su un limite oceano-continente spes-so mal definito dal punto di vista geologico. La fig. 3mostra la distribuzione dei margini passivi e dei bacinicratonici, mentre la fig. 4 schematizza lo sviluppo di un

139VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

0 200 km

a

??

?

?

??

?

? ?

?? ?

?

?? ?

crosta sialica

mantello superiore o litosfera inferiore

sedimenti

sale

crosta oceanica

sollevamento termico della Mohosotto la crosta assottigliata

I) sollevamento e rifting

II) espansione del rifting

III) separazione iniziale del margine passivo neoformato

V) margine passivo antico

IV) spostamento del centro di separazionedel margine passivo neoformato

km 80

0

base della litosfera o tetto dell’astenosfera

sedimenti di post-rift; carbonati (a)

?

duomo salino

fig. 4. Evoluzione da un margine soggetto a rift a un margine passivo.

margine passivo. In margini passivi i sistemi di rift sot-tostanti sono generalmente disposti parallelamente allalinea di costa, ma in alcuni importanti casi si dispongo-no sui rami abortiti, perpendicolari od obliqui, di giun-zioni triple (per esempio la Fossa del Benue in Nigeria).Tutti i margini passivi sono associati alla frammenta-zione post-permiana del Pangea.

A partire dal Proterozoico, i margini passivi di tuttele età sono stati coinvolti nella deformazione di fasceorogeniche e in particolare nelle catene a falde e pieghed’avampaese e nelle avanfosse associate. È lecito com-parare e, in prima approssimazione, considerare allo stes-so modo il termine obsoleto miogeosinclinale (o mio-clinale) dei primi autori con il termine oggi in uso di mar-gine passivo, sempre tenendo presente che la vecchiaterminologia era concettuale e basata su un’inadeguataricostruzione delle catene orogeniche.

Secondo studi recenti i margini passivi sono stati sud-divisi in:• margini legati a rift, che giacciono su crosta forte-

mente interessata da tettonica distensionale e da siste-mi di rift associati. I depositi di riempimento di sin-rift possono essere di tipo continentale e/o marino;

• margini vulcanici, che si trovano su uno spesso cuneodi depositi vulcanici e sono caratterizzati (fig. 5) dallapresenza, nei profili sismici, di riflettori divergentiverso mare (SDR, Seaward Dipping Reflectors). Inalcune occasioni i geologi del petrolio hanno con-fuso questi riflettori con sedimenti di sin-rift, por-tando alla perforazione di alcuni pozzi secchi;

• margini trasformi, divisi in margini transtensivi, carat-terizzati da semi-graben transtensivi (per esempio lacosta meridionale dell’Africa meridionale) e marginitranspressivi, caratterizzati da pieghe formate in regi-me transpressivo (per esempio l’offshore del Ghana).Lo sviluppo di tutti i tipi di margini passivi può esse-

re riassunto sulla base del comune sviluppo delle mega-sequenze, modificato solo nel caso di specifiche diffe-renze di ciascun tipo di margine. In questo modo una

megasequenza di sin-rift su un margine in rifting è sosti-tuita e/o inclusa, su un margine vulcanico, da uno spes-so cuneo di vulcaniti inclinato verso mare (v. ancora fig.5). I modelli numerici suggeriscono che la subsidenzanei margini passivi è guidata dall’effetto combinato delraffreddamento del margine vulcanico/di rift, conseguenteal movimento della crosta oceanica che si allontana dalladorsale medio-oceanica più calda, e del carico sedi-mentario. I sistemi di fosse asimmetriche (semi-graben)legate alla transtensione comunemente si formano neiprimi stadi evolutivi di un margine trasforme. Comun-que, negli stadi evolutivi più avanzati dei margini tra-sformi si instaurano sforzi transpressivi caratterizzati dafaglie inverse e, in misura minore, da flessurazione dellesequenze di bacino. La maggior parte dei margini pas-sivi mostra una più o meno evidente superficie di discor-danza regionale che separa i sottostanti depositi di sin-rift (e/o megasequenze vulcaniche) dalle megasequenzepost-rift (o post-vulcaniche) sovrastanti. Alcuni autoridefiniscono questa superficie come break-up unconform-ity e la considerano come il punto che segna l’inizio del-l’espansione oceanica e dell’associata subsidenza ter-mica passiva del margine continente-oceano (v. par. 1.4.1).La sua età, in prima approssimazione, è la stessa del piùantico basamento oceanico adiacente. Sui margini vul-canici risulta talvolta difficile differenziare il basamen-to vulcanico dal normale fondale oceanico.

La presenza o l’assenza di depositi evaporitici, e inparticolare di sale, è importante per la valutazione eco-nomica di margini passivi. Il sale può formare parte deidepositi di riempimento di sin-rift ma, più comunemen-te, si deposita in bacini di avvallamento post-rift più vasti.La distribuzione originaria del sale stabilisce esattamentela portata della tettonica salina; più è ampia l’estensio-ne areale del sale nel bacino, più è complessa la tettoni-ca salina e maggiore è la probabilità di trovare trappoledi idrocarburi associate al sale.

Sulla base del regime sedimentario dominante nellefasi di post-rift, i margini passivi sono differenziati in

140 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

�30 km km 30km 20km 10

50 km0

livello del mare

faglia trasforme

faglia listrica normale

crosta continentale

mantello

crosta inferiore duttile,mantello e astenosfera

riflettori di complessovulcanico divergenteverso il futuro oceano

fig. 5. Collocazione dei riflettori divergenti in un margine vulcanico (linee più spesse), prima della rottura di un oceano. Per contro, si noti il margine soggetto a rift nella parte opposta della faglia trasforme.

margini dominati da sedimenti clastici e margini misticarbonatico-clastici. La produzione di idrocarburi daimargini passivi carbonatici relativamente intatti è piut-tosto limitata, mentre è maggiore dai margini in cui pre-valgono depositi clastici. Le piattaforme carbonatichepiù esterne, come quelle di Bahamas e Maldive, giac-ciono per lo più su crosta oceanica e quindi non sonoincluse nei margini passivi convenzionali.

I megadelta e le corrispondenti conoidi di mareprofondo costituiscono i termini estremi dei margini cla-stici che contengono alcune delle province petroliferepiù prolifiche del mondo, come il Golfo del Messico, ilDelta del Niger e il Delta del Nilo. Altri megadelta, comequelli del Rio delle Amazzoni, dello Zambesi e del Ben-gala, sono tuttora inesplorati. L’interesse dei megadeltaè messo in risalto dalla presenza comune di rocce madridi origine marina e di grandi sistemi di faglie dirette dicrescita sin-sedimentarie (growth faults), dovute al col-lasso gravitazionale associato alla migrazione dei depo-centri deltizi. I depositi sabbiosi di delta e di acque piùo meno profonde costituiscono buoni serbatoi per l’ac-cumulo di idrocarburi se opportunamente coperti. L’im-portanza dell’esistenza di depositi argillosi e di tettoni-ca salina nei megadelta è discussa in una serie di artico-li di Edwards e Santogrossi (1990), Jackson et al. (1995),Cameron et al. (1999), Mohriak e Talwani (2000) e Arthuret al. (2003).

Bacini oceanici. A rigore di logica, qualunque trat-tazione sui bacini dovrebbe includere una sezione dedi-cata ai grandi bacini oceanici del mondo, della cui ori-gine si è già brevemente accennato nell’introduzione. Aeccezione dei margini passivi, tali bacini sono di scarsointeresse economico per la geologia del petrolio. La cro-sta oceanica è solitamente ricoperta da uno strato relati-vamente sottile di fanghi che possono contenere livelliricchi di sostanza organica, generalmente immatura, e,all’aumentare della distanza dal margine continentale,alcuni serbatoi arenacei significativi.

Bacini cratonici. I bacini cratonici o intracratonici(le sineclisi degli autori russi) si formano su litosferacontinentale o in aree cratoniche (v. ancora fig. 3). Essisono apparentemente semplici, ma le opinioni circa laloro origine variano ampiamente, riflettendo le diffe-renti scuole di pensiero. Il termine cratone implica lastabilità di ampie piattaforme continentali. Si pensa cheprovince di età precambriana particolarmente stabilipossano essere associate a radici cratoniche galleggianti,stabili e profonde; tuttavia i bacini cratonici e gli adia-centi archi cratonici (le anteclisi degli autori russi) regi-strano ancora un significativo grado di instabilità. Alcu-ni fattori che influenzano questa instabilità includonofenomeni di risalita astenosferica, di estensione/riftingassociati ad assottigliamento crostale e compressioneintraplacca. La litosfera paleozoica e mesozoica è piùsottile e più debole di quella precambriana (v. sopra) e

ciò distingue i bacini cratonici che giacciono su litosferaprecambriana da quelli che giacciono su litosfera paleo-zoica o più giovane. Gli scudi precambriani sono vastiaffioramenti di basamento cratonico in cui sono esposterocce, in prevalenza ignee e metamorfiche, fortementedeformate (v. ancora fig. 1). Tutti i depositi sedimenta-ri sovrastanti sono separati da superfici di discordanzache hanno un’estensione regionale. Occasionalmente, iresidui di alcuni bacini proterozoici si trovano sotto que-ste superfici di discordanza. Le megasequenze paleo-zoiche e mesozoiche sovrastanti sono di interesse esplo-rativo in quanto contengono spesso rocce madri, rocceserbatoio e rocce di copertura. L’idea di megasequenzecratoniche correlabili su scala globale è stata sviluppa-ta in origine da Sloss (1963, 1988), alle quali attribuì inomi di tribù indiane. Anche se l’effettiva correlabilitàsu larga scala delle megasequenze non può essere messain discussione, rimane tuttavia aperto un dibattito sullaloro relazione con eventi tettonici globali e/o con cam-biamenti locali del regime strutturale o ancora con varia-zioni eustatiche del livello marino o, più verosimilmente,con la combinazione di tutti questi fattori. Le megase-quenze cratoniche in generale corrispondono ai cicli disecondo ordine identificati dagli studiosi di stratigrafiadelle sequenze deposizionali; ciò indica che i loro limi-ti possono corrispondere alla riorganizzazione su scalaglobale delle maggiori placche tettoniche.

I bacini cratonici paleozoici dovrebbero essere vistinel contesto permo-triassico del Pangea, il quale mostrache, a eccezione del margine che si estende dall’Afri-ca settentrionale all’Australia nord-occidentale, il super-continente Pangea era circondato in larga parte da mar-gini paleozoici attivi che hanno indebolito i margini deicratoni precambriani adiacenti a queste catene oroge-niche (Bally e Snelson, 1980). In particolare per l’Ame-rica Settentrionale e Meridionale può essere logico de-sumere che, oltre ai processi di rifting proterozoici, nelPaleozoico sforzi compressivi intraplacca possano averecontribuito in maniera significativa alla formazione deibacini e degli archi cratonici. Questa situazione puòessere comparata con quella dell’Africa durante il Meso-zoico, circondata da dorsali oceaniche in espansioneassociate alla frammentazione del Pangea, che ha por-tato alla formazione di diffusi sistemi di rift cratonici(Arthur et al., 2003). Molti bacini cratonici dell’Euro-pa centrale e occidentale (Ziegler, 1990; Baldschuhn etal., 2001) e della Siberia occidentale giacciono su unalitosfera paleozoica relativamente assottigliata e insta-bile, facilitando la riattivazione, sia in distensione chein compressione, delle strutture sepolte del basamento.Un certo numero di bacini cratonici è inoltre caratte-rizzato da colate basaltiche largamente diffuse, forsedovute alla presenza in profondità di un hot spot (peresempio, la Piattaforma Siberiana e il Bacino Siberia-no occidentale). Sulla base dell’età di messa in posto e

141VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

della distribuzione, ciò può influenzare l’evoluzionetermica del bacino. L’apparente semplicità dei bacinicratonici nasconde molte complessità dovute all’inte-razione della tettonica locale con la tettonica regiona-le che determina, a sua volta, l’evoluzione stratigrafi-ca di questi bacini. Non è ragionevole, quindi, svilup-pare un solo semplice modello idealizzato per i bacinicratonici o per i complementari archi cratonici. La dif-ferenziazione in megasequenze e/o in sequenze crato-niche di tipo Sloss (v. sopra) è utile per descrivere isistemi petroliferi dei bacini cratonici. Comunque, èinteressante notare che alcuni di questi bacini condivi-dono le stesse rocce madri dei confinanti bacini di avam-paese (per esempio alcune rocce madri paleozoiche del-l’America Settentrionale), mentre altri bacini cratoni-ci sviluppano essi stessi rocce madri (per esempio lerocce madri Bazhenov di età neocomiana, in Siberiaoccidentale).

Tre bacini cratonici particolarmente ben documen-tati ed esplorati sono il Bacino dell’Illinois (Leightonet al., 1990), il Bacino di Parigi (Mégnien, 1980) e ilBacino della Germania nord-occidentale (Baldschuhnet al., 2001).

Bacini perisuturaliFosse oceaniche di mare profondo (deep sea trench-

es). Le fosse oceaniche di mare profondo (fig. 6) sono

depressioni allungate immediatamente adiacenti ai prismidi accrezione e costituiscono la manifestazione direttadella subduzione di litosfera oceanica. Sono parzialmen-te riempite da sedimenti pelagici di mare profondo e dadepositi torbiditici che stanno per essere incorporati nel-l’adiacente prisma di accrezione attivo. Queste fosse nonsono di particolare interesse nella ricerca di idrocarburi;sono state invece prese in considerazione come depositia lungo termine per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi.

Avanfosse ( foredeeps) o bacini di avampaese ( fore-land basins) su litosfera rigida. La transizione da sub-duzione oceanica a subduzione continentale si sviluppain stadi graduali. Dapprima viene subdotta la crosta con-tinentale assottigliata dei margini passivi, che prean-nuncia l’inizio della collisione continentale; segue un’e-voluzione progressiva da fossa oceanica a uno stadio dibacino oceanico residuo, colmato da sedimenti clasticidi acqua profonda, quindi a bacino di avampaese oavanfossa che a sua volta può, almeno in parte, essereincorporato nell’adiacente catena orogenica di avam-paese ( foreland folded belt) o essere frammentato in sub-bacini più piccoli a seguito del sollevamento del basa-mento nei settori di avampaese del cratone.

I bacini di avampaese sono in prima approssima-zione equivalenti alle exogeosinclinali dei primi autori,anche se molti di essi limitavano il termine esclusiva-mente al cuneo clastico che giace sopra le megasequenze

142 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

fosse avanfosse bacini di tipo cinese subduzione A in relazionea catene orogeniche megasuture meso-cenozoiche

fig. 6. Bacini perisuturali.

di piattaforma del margine passivo. In questo capitolo,le sottostanti megasequenze di piattaforma sono rag-gruppate in un’unica unità con le soprastanti megase-quenze clastiche di avampaese. Ciò è preferibile in quan-to nei bacini di avampaese i sistemi petroliferi coinvol-gono completamente la successione sedimentaria delbacino stesso. Per la distribuzione dei bacini di avam-paese, v. ancora fig. 6.

Bacini oceanici residuali. Sono bacini di transizio-ne che si formano solitamente su crosta oceanica adia-cente alle catene orogeniche. Un valido esempio è costi-tuito dal Delta del Gange, sia nella parte su terra sia inquella in mare aperto. Questo delta è ancora poco esplo-rato e può avere un importante potenziale di accumulodi idrocarburi. Anche il Mar Nero può essere conside-rato un ulteriore esempio di bacino oceanico residuale.

Bacini di avampaese o avanfosse. La formazione diquesti bacini asimmetrici di flessurazione è dovuta al pe-so delle catene orogeniche adiacenti e/o alla trazione ver-so il basso (slab pull) indotta dalla parziale subduzione

dell’avampaese (fig. 7). Uno schema idealizzato di unbacino di avampaese (fig. 8) illustra alcune megasequenzesignificative che caratterizzano questi bacini. Il basa-mento può essere costituito da residui di catene mon-tuose precambriane o paleozoiche peneplanate che oggiformano un cratone rigido ma inarcato. Esso è per lo piùcostituito da rocce intensamente deformate, in generesedimenti soggetti a metamorfismo e intrusioni mag-matiche. Il basamento può aver subito in fase inizialeprocessi di rifting che hanno portato alla formazione diun margine passivo, il quale attualmente costituisce unao più megasequenze di piattaforma.

Nella maggior parte delle avanfosse le megasequen-ze di ambiente di piattaforma sono residui preservati dipiattaforme prossimali di margine passivo, a sedimenta-zione sia carbonatica che clastica. Spesso queste mega-sequenze contengono trappole stratigrafiche o stratigra-fico-strutturali per l’accumulo di idrocarburi. Anche l’an-damento delle isopache di piattaforma e la distribuzionedelle facies sono spesso obliqui rispetto alla direzione

143VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

fig. 7. Tipico bacino di avanfossa o avampaese (notare l’esagerazione verticale del profilo): Bacino del Canada occidentale, un’avanfossa mesozoica.

10

8

6

4

2

2

avanfossa nellostadio finaleavanfossa nellostadio iniziale

arenarie

evaporiti carbonati

depositi clastici

sequenzadi piattaformasequenza inizialedi piattaforma

basamento precambricocoinvolto

basamento precambrico

livello ipotetico della superficie di erosione oligocenicasecondo Alden, 1932

faglie normali e/o trascorrentipostorogenetiche

l. m.

km

bc a

alluvionale-costiero

progradazione

acqua profonda

piattaforma

rift

basamento

c discordanza basale dell’avanfossab discordanza basale del post-rift della piattaformaa discordanza pre-rift

discordanze

avanfossa schematizzata

fig. 8. Diagrammaidealizzato di un bacino di avampaese.

144 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

della catena adiacente; ciò permette di osservare negliaffioramenti della catena orogenica emersa le variazionistratigrafiche dei depositi di piattaforma. I carbonati dipiattaforma e i depositi di scogliera delle avanfosse spes-so contengono accumuli di idrocarburi prolifici. A causadell’intrappolamento differenziale, nei bacini di avam-paese i giacimenti di petrolio tendono a concentrarsi versol’alto e quelli di gas verso il basso. I depositi clastici all’in-terno di sequenze di piattaforma derivano generalmentedai cratoni adiacenti, come evidenziato dalla prograda-zione verso le aree montuose. Di regola, le superfici didiscordanza angolare che limitano le megasequenze dipiattaforma e i limiti di megasequenze sviluppate nellearee cratoniche limitrofe sono coeve.

L’importante superficie di discordanza regionale allabase delle avanfosse (basal foredeep unconformity) siforma inizialmente quando i sedimenti di mare profon-do si sovrappongono in onlap sottomarino sul marginecontinentale esterno inarcato e subdotto. Al procederedella subduzione continentale, un basso rialzo periferi-co associato all’inarcamento della zona in subduzioneinduce un leggero sollevamento dei settori progressiva-mente più esterni. La migrazione del sollevamento creauna superficie di discordanza dinamica. Queste super-fici di discordanza sono inclinate e troncano gli stratidella piattaforma sottostante; in presenza di rocce dicopertura, alla base del cuneo clastico soprastante, pos-sono quindi dare luogo alla formazione di eccellenti trap-pole paleomorfologiche.

I depositi silicoclastici del cuneo clastico sono statitrasportati da sistemi fluviali originatisi nelle aree dicatena emersa. Raggiunto il settore di avampaese, il siste-ma fluviale si riorganizza spesso in sistemi di drenag-gio a decorso longitudinale che ridistribuiscono i sedi-menti clastici lungo l’asse dell’avanfossa (per esempioil sistema del fiume Gange nell’India settentrionale).Nello schema rappresentato nella fig. 8 la sedimenta-zione nell’avampaese inizia con la deposizione di sequen-ze torbiditiche argillose di mare profondo che poggianoin onlap sulla superficie di discordanza basale dell’a-vanfossa. Nella terminologia classica questi depositierano chiamati Flysch. Nel corso dell’evoluzione di un’a-vanfossa, ai depositi di mare profondo si sostituisconosequenze di mare poco profondo costituite da depositideltizi, sabbie di prodelta e sedimenti clastici grossola-ni, corrispondenti ai depositi di Molasse della termino-logia classica.

Le avanfosse sono riempite prevalentemente da fram-menti litici sabbiosi che derivano dallo smantellamentodella vicina catena montuosa in sollevamento; le trappo-le di idrocarburi sono spesso associate all’assottiglia-mento progressivo (pinchout) di questi strati sabbiosi. Vipossono comunque essere anche trappole stratigrafichecostituite da depositi di sabbie quarzose ben sciacquate,di derivazione cratonica.

La strutturazione di catene orogeniche spesso coin-volge le adiacenti megasequenze di avanfossa e le sotto-stanti sequenze di piattaforma e, occasionalmente, il basa-mento (v. ancora fig. 7). Le sequenze di avanfossa ven-gono così incorporate nella catena a pieghe. In alternativa,parte delle sequenze clastiche di avanfossa può comun-que depositarsi in trasgressione sui settori di catena adia-centi (per esempio il Bacino di Veracruz in Messico). Inquesto contesto, gli studi di De Celles e Giles (1996)hanno proposto un quadro più articolato di un sistemapiù ampio di bacino avampaese che include i bacini diwedgetop, le avanfosse e i depocentri che si sviluppanoa tergo del rialzo periferico. I bacini di avampaese che siformano ai margini della catena a pieghe possono averediverse configurazioni. I bacini di wedgetop (detti anchepiggy-back o bacini satellite) si formano sulla cresta difronti di accavallamento attivi durante la strutturazionedella catena a pieghe e sono connessi con l’avanfossaadiacente. Poiché questi piccoli bacini alloctoni costitui-scono parte del sistema petrolifero della catena a pieghedi avampaese, non saranno discussi in questo paragrafo.Sul lato dell’inarcamento periferico che volge verso ilcratone si può formare un ampio depocentro; in base allasua posizione questo depocentro può sia essere parte deisistemi petroliferi dei bacini di avampaese, sia rientrarenel sistema petrolifero dei bacini cratonici adiacenti.

Le avanfosse comprendono gli accumuli di idrocar-buri più prolifici del mondo, inclusi molti dei bacini delMedio Oriente. Rocce madri molto ricche in sostanza orga-nica si trovano sia nelle sottostanti megasequenze di piat-taforma, sia nelle soprastanti sequenze bacinali di avanfos-sa. Va evidenziato il fatto che, mentre in Medio Orientele trappole di idrocarburi si trovano in carbonati meso-zoici e cenozoici, nelle avanfosse distali in Venezuela e inCanada riserve delle stesse dimensioni sono contenute intrappole di sabbie bituminose (Tar Sands) e di oli pesan-ti (Heavy Oil). I sistemi petroliferi di avanfossa possonoessere limitati a specifiche megasequenze di piattaformao di avanfossa; tuttavia, spesso gli idrocarburi migranodalla piattaforma sottostante attraverso la superficie didiscordanza basale nei soprastanti depositi clastici, comenel caso precedentemente menzionato delle Tar Sands.

L’abbondanza di idrocarburi nelle avanfosse si spie-ga facilmente con l’asimmetria e le dimensioni di questibacini, i quali, data la presenza di buone rocce madri, for-niscono estesi tratti di portata per la maturazione dellasostanza organica e l’accumulo di idrocarburi. In aggiun-ta agli idrocarburi convenzionali, i bacini di avampaesee i loro equivalenti bacini incorporati in catene a pieghecontengono la maggior parte delle riserve di carbone delmondo, cui va aggiunto il potenziale di generazione digas naturale a partire dai depositi di carbone.

Sintesi ben documentate sulle avanfosse sono dispo-nibili per il Medio Oriente (Sharland et al., 2001), per ibacini di avampaese d’Europa (Mascle et al., 1998) e per

i bacini del Canada occidentale (McQueen e Leckie, 1992;Mossop e Shetsen, 1994).

Bacini di avampaese o avanfosse smembrati dal sol-levamento del basamento. Alcune avanfosse vengonodistrutte dal sollevamento del basamento di avampaesea seguito del loro coinvolgimento nei processi orogeni-ci. Le sequenze di piattaforma e il cuneo clastico diavanfossa soprastante vengono preservati nei bacini sola-mente tra le fasi di sollevamento. Tuttavia, un’ulterioremegasequenza si depositerà nei bacini residui e sui lorofianchi deformati. Per la maggior parte, questi deposi-ti sono verosimilmente di tipo alluvionale, fluviale elacustre, e spesso forniscono rocce madri di origine lacu-stre particolarmente ricche di idrocarburi, come le GreenRiver Shales delle Montagne Rocciose negli Stati Uniti.Questa classe di bacini non solo eredita il contenutopetrolifero dei bacini da cui ha preso origine, ma pos-siede inoltre un sistema petrolifero di neoformazionespesso molto produttivo. Buoni esempi di questi bacinisono il Green River Basin e lo Uinta Basin nelle Mon-tagne Rocciose (Stati Uniti) e il Bacino di Maracaiboin Venezuela.

Bacini dell’Asia centrale. Nei paragrafi precedenti sisono elencati i diversi tipi di margini nei sistemi orogeni-ci che illustrano come in Asia centrale il margine sia datodall’irregolare inviluppo di intrusioni di età mesozoica e

cenozoica. Questa regione è anche caratterizzata dalla pre-senza di sollevamenti in regime transtensivo e transpres-sivo quali il Tien Shan e il Kuen Lu Shan e i bacini sedi-mentari di flessurazione a essi associati. Durante l’as-sembramento del Pangea una vasta porzione dell’Asiacentrale costituiva un margine attivo, dove molti sistemidi arco insulare e alcuni cratoni continentali minori siaggregavano a formare il basamento di numerosi bacinisedimentari. Il processo di accrezione, continuando versosud nel Mesozoico, culminò nel Cenozoico con la colli-sione dell’India con l’Eurasia e con il sollevamento del-l’altopiano tibetano. A nord di questo altopiano, in rispo-sta alla continua compressione e all’impatto a lunga distan-za tra India ed Eurasia, si formarono dorsali montuose ebacini sedimentari. I depositi di riempimento mesozoicie cenozoici di questi bacini sono esclusivamente di tipocontinentale e comprendono rocce madri di origine lacu-stre. I serbatoi clastici derivano principalmente dallo sman-tellamento delle montagne vicine (Li Desheng, 1991).

Bacini episuturaliBacini associati a subduzione oceanica e ad archi

insulari. Nella fig. 9 è illustrata la distribuzione di alcu-ni di questi bacini.

Bacini di avanarco (forearc basin). Questi bacini si tro-vano tra il prisma di accrezione associato alla subduzione

145VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

bacini di avanarco,retroarco e di tipoCalifornia

bacini di tipo pannonico

crosta oceanicacoperta disedimenti

mari marginali crosta continentaleprecambriana-paleozoica

megasuturameso-cenozoica

fig. 9. Bacini episuturali.

di crosta oceanica e l’arco vulcanico insulare (fig. 10).La maggior parte di questi bacini, avendo subito alme-no in parte una compressione tettonica, fornisce anticli-nali che costituiscono buone trappole per gli idrocarbu-ri. I bacini di avanarco comprendono diverse megase-quenze, delle quali quella situata più in basso fornisce,probabilmente, le rocce madri e quella più in alto con-tiene le rocce serbatoio. Una produzione commercialeda questo tipo di bacini è conosciuta per il Bacino diTalara (Perù) e per il Cook Inlet (Alaska). Alcuni baci-ni di avanarco possono essere dominati da strutture esten-sionali, altri sono interessati da fagliatura trascorrente.

Bacini di retroarco circumpacifici. Molti bacini diretroarco sono pavimentati da crosta oceanica intrappo-lata oppure prodotta a seguito dell’apertura del retroar-co (v. ancora fig. 10). In Giappone è nota un’insolita pro-duzione di idrocarburi, dalla parte dell’arco vulcanico,in strutture a serbatoi clastici o di origine vulcanica, men-tre è noto che una produzione molto consistente dallaparte del continente si trova in strutture in mare apertoin Indonesia, Vietnam, Cina meridionale e Sakhalin.

Le regioni di retroarco dell’Indonesia, della Malesiae del Golfo di Thailandia sono di maggiore interesseesplorativo (Hall e Blundell, 1996). Queste regioni sisono formate a seguito dell’azione reciproca di apertu-ra del bacino del Mare della Cina meridionale e di sub-duzione della placca oceanica indiana. Il basamento diquesti bacini, generalmente peneplanato, è costituito dasistemi di arco insulare più antichi. Seguono una o piùmegasequenze di sin-rift, prevalentemente continentali,che possono contenere orizzonti ricchi di sostanza orga-nica di origine lacustre.

Su questi depositi di sin-rift si instaura la deposizio-ne di una o più megasequenze di tipo marino e/o conti-nentale, le quali forniscono ottimi serbatoi carbonatici e

clastici e, occasionalmente, rocce madri. Sforzi com-pressivi prolungati nel tempo possono portare all’inver-sione selettiva delle vecchie strutture di rift e alla for-mazione di catene più piccole, vergenti verso il bacinodi retroarco; di conseguenza, alcuni bacini di retroarcospesso finiscono per essere bacini allungati flessuratitanto da rendere difficile separare la subsidenza dovutaal raffreddamento successivo alle prime fasi di riftingdalla subsidenza associata all’inarcamento del bacinoverso l’arco, che può essere dovuta al flusso del man-tello sottostante la regione di retroarco e/o al peso del-l’arco vulcanico (v. par. 1.4.1).

Bacini di retroarco associati a collisione continen-tale o bacini di collasso postorogenico. Questi bacinioscillano da bacini generalmente oceanici a bacini tran-sizionali e continentali, in funzione della natura del lorobasamento e del grado di distensione a cui sono stati sot-toposti. Soltanto i bacini di retroarco continentale pre-sentano finora qualche interesse esplorativo per la geo-logia degli idrocarburi. Questi bacini si trovano a ridos-so delle catene orogeniche e si sviluppano durante gliultimi stadi evolutivi della catena. Il loro basamento ècostituito da rocce sedimentarie e metamorfiche forte-mente deformate, appartenenti alla catena a pieghe sepol-ta. A volte le megasequenze marine e continentali deiprimi stadi di sin-rift possono fornire rocce madri; a que-ste megasequenze si sovrappongono quelle di post-rift,che possono contenere buoni serbatoi. Stadi tardivi com-pressivi possono portare alla parziale inversione di alcu-ne strutture di rift che giacciono sotto questi bacini.

Un ottimo esempio per questa classe di bacini è costi-tuito dal bacino pannonico-transilvaniano in Ungheria-Romania, associato alla collisione continentale alpina(Durand et al., 1999). Qui il basamento è costituito prin-cipalmente dall’impilamento di falde di sovrascorrimento

146 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

km

MOHO

0102030405060708090

100110120130140150

crostacontinentale

crosta ditransizione

‘crostaoceanica’dorsale

vulcanicarelitta

crostaoceanicastrato II

dorsalevulcanica

attivazona

frontalecomplesso diaccrezione fossa

sedimenti

complesso di accrezione

crosta continentale

crosta intermedia

vulcaniti

zona di fusione

LITOSFERA

ASTENOSFERAASTENOSFERA

crostaoceanica strato III

fig. 10. Diagramma idealizzato attraverso un arco insulare.

alpine, estruse lungo complessi sistemi di faglie tra-scorrenti verso nord e verso est. Le strutture estensionalie transtensive presenti in questo bacino vengono gene-ralmente messe in relazione all’arretramento della zonain subduzione (v. par. 1.4.1). Il sistema petrolifero è costi-tuito da rocce madri, serbatoi e rocce impermeabili dicopertura, contenuti nei successivi depositi neogenici diriempimento del bacino.

Una variante di bacino simile (v. ancora fig. 2A), main ambiente di cordigliera, è costituita dal Great Basinnegli Stati Uniti occidentali che, in termini semplici, puòessere visto come un diffuso sistema di rifting in regimetranstensionale (Basin and Range), ubicato tra due zonedi taglio regionali (la Faglia di San Andreas in Californiae la Fossa delle Montagne Rocciose in Canada). I sistemipetroliferi nel Great Basin sono molto complessi in quan-to rocce madri ricche in idrocarburi si sono formate siadurante il riempimento del bacino in eventi distensivi, siain depositi sepolti nella sottostante catena a pieghe di avam-paese. I serbatoi clastici dovrebbero derivare dallo sman-tellamento di dorsali limitrofe in sollevamento.

Bacini associati a grandi sistemi di faglie trascor-renti. I maggiori sistemi di faglie trascorrenti sono spes-so associati ai limiti di placca trasforme, come la Fagliadi San Andreas (California), la Alpine Fault (Nuova Zelan-da) e la El Pilar Fault (Venezuela). I bacini sedimentaria essi associati sono relativamente piccoli e spesso moltocomplessi e comprendono bacini transtensivi di pull-apart (o rombocasmi) e bacini transpressivi che inclu-dono l’inversione di vecchie strutture transtensive.

L’economic basement di questi bacini è costituito inprevalenza da prismi di accrezione, complessi di arcovulcanico e intrusioni. In alcuni casi i bacini giaccionosu vecchie megaseguenze di avanarco, a cui fanno segui-to una o più megasequenze transtensive e/o transpressi-ve. Gli elementi strutturali in molti di questi bacini sonotuttora attivi, come mostrano la continua attività sismi-ca regionale e la convergenza degli strati sui fianchi dianticlinali in crescita nei depositi di età plio-pleistoceni-ca (Ingersoll e Ernst, 1987; Scholl et al., 1987; Biddle,1991; Busby e Ingersoll, 1998).

Le rocce madri dei sistemi petroliferi nei bacini asso-ciati a zone di trascorrenza si trovano sia nelle primesequenze bacinali di avanarco, sia nei bacini tardivi tran-stensivi e transpressivi. Un’unica roccia madre, depostain ambiente costiero soggetto a forte risalita verso lasuperficie di acque oceaniche fredde, può essere condi-visa da molti bacini e sub-bacini, come nel caso dellaFormazione di Monterey nella California meridionale.In questi bacini le rocce serbatoio sono prevalentemen-te di tipo clastico, derivate dallo smantellamento degliadiacenti complessi di rocce di arco vulcanico, e la defor-mazione fragile promuove sistemi di fratturazione cheaumentano le potenzialità di accumulo di idrocarburi neiserbatoi.

ConclusioniIl raggruppamento in classi dei bacini sedimentari

dovrebbe essere incentivato dalla necessità di estrapo-lare generalizzazioni utili per lo studio dei bacini menoesplorati, basate sulle esperienze effettuate in altri con-testi simili. I geologi sanno che l’uso delle analogie haqualche fondamento. Tuttavia, vi sono forti restrizioninell’impiego della statistica esplorativa e produttiva,derivante da bacini apparentemente simili, a supportodi previsioni di carattere economico in bacini menoesplorati. È facile dimostrare che la ricchezza (ossia leriserve effettive di idrocarburi o il volume di sedimen-to per unità di area) di un dato tipo di bacino può varia-re moltissimo anche nel caso di bacini che ricadononella stessa classe. Alcuni dei più ricchi bacini delmondo, come i bacini di Los Angeles, di Ardmore, diMaracaibo e di Sumatra, presentano una combinazio-ne del tutto unica di rocce madri, rocce serbatoio e roccedi copertura e un’evoluzione che nell’insieme non puòessere replicata altrove in maniera soddisfacente (Ballye Snelson, 1980).

I geologi del petrolio continuano tuttavia a compa-rare e analizzare i bacini sedimentari per scoprire e/ocomprendere i sistemi petroliferi. Le rocce madri e iserbatoi in bacini poco o del tutto inesplorati sono scar-samente conosciuti, ma spesso lo studio di situazionianaloghe in bacini simili può essere utile per supporta-re un play non ancora verificato, ossia il modello di par-tenza. L’utilizzo delle analogie resta tuttavia molto limi-tato, come si evince dalla generale osservazione chenuovi play, spesso determinati dalla scoperta di grandigiacimenti, sorprendentemente non combaciano connessun altro. Questo è particolarmente vero per le trap-pole stratigrafiche poco definite e per le trappole com-binate stratigrafico-strutturali. D’altra parte, a seguitodella scoperta di un nuovo play è sicuramente logicousare i parametri di indagini precedenti per ridurre irischi dell’esplorazione.

In realtà, su scala mondiale, la maggior parte delleprincipali riserve di idrocarburi, a terra e in prossi-mità della costa, è stata trovata in settori prossimi (inun raggio di circa 200 km) alle manifestazioni di oliodi superficie già note nel 20° secolo (Höfer, 1909).Nel corso degli anni, tecnologie sempre più sofisti-cate hanno reso migliore la definizione degli obietti-vi strutturali più importanti. Solo negli ultimi decen-ni si è verificata una spinta sempre maggiore verso lacomprensione del contesto in cui i bacini sedimenta-ri si sviluppano nella loro globalità (Mégnien, 1980;Mossop e Shetsen, 1994). Per il geologo degli idro-carburi l’analisi di un bacino dovrebbe, in definitiva,sempre e in primo luogo essere basata sulla migliorerisoluzione sismica possibile, la quale sarà partico-larmente utile nella definizione di nuovi tipi di trap-pole stratigrafiche.

147VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

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Albert BallyDepartment of Earth Science

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148 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

1.4.3 Formazione e distribuzionedelle rocce madri

Possiamo definire sistema petrolifero un bacino sedi-mentario, o una sua parte, in cui si combinano tutti gli ele-menti e i processi che contribuiscono alla formazione diaccumuli di olio e di gas (Magoon e Dow, 1994). Tra glielementi necessari figurano le rocce madri, le vie di migra-zione, le rocce serbatoio, le rocce di copertura imper-meabili e le trappole. I processi coinvolti comprendono laformazione di idrocarburi, come risultato di una partico-lare storia di seppellimento e di variazioni termiche dellaroccia madre, la migrazione efficiente dei prodotti gene-rati attraverso rocce serbatoio e vie di migrazione per-meabili, quali unità sedimentarie porose, rocce fratturateo faglie, la concentrazione del flusso di idrocarburi versoelementi strutturali o stratigrafici che funzionino cometrappole in cui gli idrocarburi si accumulano, e infine imeccanismi di conservazione e/o alterazione degli idro-carburi nei reservoir nel corso delle ere geologiche, dalloro accumulo fino a oggi.

In questo quadro, la roccia madre rappresenta di fattoun elemento chiave, essendo l’agente geologico che intro-duce nel sistema l’olio e il gas che genereranno gli accu-muli di idrocarburi. Da questo punto di vista, la naturadella roccia madre è un fattore critico nell’analisi del rischiodelle campagne di esplorazione. Di conseguenza, la geo-logia e la geochimica delle rocce madri sono state ogget-to di grande interesse e attività di ricerca, allo scopo difornire agli esperti di esplorazione dati il più possibileattendibili, in modo da ridurre al minimo le incertezzecirca la presenza, la collocazione stratigrafica, la distri-buzione spaziale e lo spessore delle rocce madri e di deter-minarne il potenziale petrolifero all’interno di un’area daesplorare. Le conoscenze risultanti costituiscono una baseimportante per qualsiasi tentativo plausibile di analisi dirischio e di valutazione economica di una ricerca.

Questo paragrafo intende esaminare la nozione di roc-cia madre attraverso una disamina della formazione, del-l’ambiente di deposizione, dell’ambiente naturale e delladistribuzione stratigrafica di questo tipo di rocce.

Formazione delle rocce madriUna roccia madre è una unità sedimentaria che ospi-

ta una quantità notevole di materia organica fossilizza-ta, incorporata nel sedimento all’epoca della deposizio-ne. Con il seppellimento, e la successiva storia termica,

questa materia sedimentaria organica subisce poi pro-cessi di cracking termico e genera olio e gas (Hunt, 1995;Tissot e Welte, 1984). La materia organica sedimentariaderiva principalmente da alghe, batteri e piante superio-ri, che nel loro insieme formano la maggior parte dellabiomassa del nostro pianeta (Tyson, 1995). Affinché unaroccia si possa definire roccia madre, il suo contenutoin materia organica deve rappresentare almeno l’1-2%del peso della roccia stessa (Bordenave, 1993). Questotipo di roccia è tutt’altro che comune e la sua formazio-ne richiede condizioni molto particolari. Tali condizio-ni, sulle quali si è molto discusso negli ultimi decenni,comprendono sia la produttività della biomassa, in quelluogo, e la conservazione dei residui organici, molto favo-rita in regimi anossici, sia la modalità del trasporto dellamateria organica dal luogo di produzione biologica aldeposito sedimentario, e la distanza coperta. Una dellequestioni più controverse è centrata sull’importanza rela-tiva attribuita alla produttività primaria rispetto all’as-senza di ossigeno.

Una scuola di pensiero ha sostenuto che l’accumulo dimateria organica in ambiente marino è legato alla elevataproduttività organica nella zona eufotica (per esempio, nellezone di correnti marine ascendenti), e che l’assenza di ossi-geno nelle acque profonde sia in effetti una conseguenzadi questa produttività (Calvert e Pedersen, 1992).

Altri autori hanno preso in considerazione il fatto cheil principale fattore che controlla l’accumulo organico èla presenza di acqua di fondo priva di ossigeno, che favo-risce la conservazione della materia organica, indipen-dentemente dalla produttività (Demaison e Moore, 1980;Tyson, 1995).

Attualmente sta emergendo da questa controversia unavisione più condivisa, in cui si riconosce che entrambe lesituazioni possono contribuire al fenomeno e che, cosapiù importante, esse sono spesso interdipendenti. È statainoltre avanzata l’ipotesi che altri fattori possano influen-zare il processo di formazione di sedimenti ad alto con-tenuto di materia organica, quali:• il ruolo dei biopolimeri ad alta resistenza, derivati sia

da alghe (Largeau et al. 1990) sia da piante superiori(De Leeuw e Largeau, 1993). La materia organica vieneconservata meglio nel caso in cui derivi da popolazionispecifiche di bio-organismi che contengono grandiquantità di queste sostanze. Esempi estremi di questiprocessi sono rappresentati dalle rocce organiche com-patte come torbanites, costituite esclusivamente dai

149

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

resti resistenti fossilizzati di alghe Clorococcali (Botryo-coccus), e dal carbone fossile bituminoso, formato sol-tanto da resti di spore;

• la protezione dei composti organici attraverso l’as-sorbimento in argilla, che comporta un impedimentosterico che non permette la degradazione della mate-ria organica associata al minerale (Hedges et al., 2001).Produttività organica. Affinché si possano accumu-

lare in un sedimento quantità significative di materiaorganica, l’ambiente in cui ha luogo la deposizione deveessere associato a un ecosistema che produca una quan-tità sufficiente di biomassa (Pedersen e Calvert, 1990).In effetti, è ben documentato che, negli oceani, la attua-le distribuzione di sedimenti recenti ad alto contenutoorganico corrisponde alle aree di elevata produzione diplancton (Huc, 1988b). La produzione di materia orga-nica primaria si basa principalmente sulla fotosintesi cheha luogo sulla terraferma e all’interno dello strato eufo-tico delle masse d’acqua (fino a �100 m di profondità).In generale, una piccola percentuale della materia orga-nica prodotta attualmente sulla superficie terrestre(�0,5%) sfugge al ciclo biologico nella terraferma e fini-sce in mare, dove una parte può infine accumularsi inambienti costieri. Di conseguenza, è più probabile tro-vare accumuli di materia organica terrestre alle foci deifiumi; in particolari condizioni sedimentarie e climati-che, il delta dei fiumi rappresenta un ambiente unico,poiché vi si può accumulare una grande quantità di argil-le ricche in contenuto organico e carboni come risulta-to della produzione in situ (o in aree prossimali) di bio-massa. Sulla terraferma, si trovano alte produttività inregioni molto piovose, per cui la distribuzione geogra-fica del carbone è stata posta in relazione con la distri-buzione della piovosità (McCabe e Parrish, 1992). Unatale situazione favorisce anche un intenso deflusso super-ficiale e un incremento dell’apporto di materia organi-ca di origine terrestre verso i mari e i laghi adiacenti.

La fotosintesi acquatica è controllata principalmen-te dalla disponibilità locale di sostanze nutrienti, quali ifosfati e i nitrati, e/o di micronutrienti come il ferro nellazona fotica. La crescita del fitoplancton porta a un rapi-do impoverimento di sostanze nutrienti nelle acque super-ficiali. Le sostanze nutrienti vengono esportate verso leacque sottostanti a causa del loro rilascio durante ladecomposizione della materia organica in via di deposi-zione. Una produttività elevata di plancton si ha quindisolo in zone specifiche in cui queste sostanze nutrientipossono essere rimpiazzate abbastanza velocemente.Questo tipo di situazione si può incontrare nei mari e neilaghi intracratonici, o in zone prossime alla costa, dovei fiumi possono fornire le sostanze nutrienti originatedal deflusso superficiale continentale, convogliando iprodotti della disgregazione chimica delle rocce. Si ha unaelevata produttività anche in aree in cui la risalita di cor-renti profonde oceaniche (upwelling) consente il ritorno

dei nutrienti alla zona fotica. Per esempio, una produtti-vità elevata viene stimolata da correnti di risalita in pros-simità delle coste, in zone in cui le acque superficialipovere di sostanze nutrienti vengono spinte al largo dalvento e dalle correnti, consentendo la loro sostituzionecon acque di provenienza profonda ricche di sostanzenutrienti. È noto che sedimenti recenti deposti in pre-senza di correnti ascendenti prossime alla costa moltoattive (per esempio al largo della Namibia e del Perù)sono ricchi di materia organica. La Formazione di Mon-terey (Miocene della California) e la Formazione dellaFosforia (Permiano degli Stati Uniti centro-occidentali)sono esempi di rocce madri deposte in paleoambienticaratterizzati da correnti di risalita.

Conservazione della materia organica. I tessuti viven-ti sono formati dall’assemblaggio di biomolecole, che sonotermodinamicamente instabili. Appena tali molecole ces-sano di essere coinvolte nei processi legati alla vita, quan-do cioè sono secrete o espulse, o dopo la morte dell’or-ganismo, tendono a perdere la loro integrità e possono allafine trasformarsi in composti semplici e più stabili, co-me CO2, H2O, CH4, NH4

�, ecc. Questa degradazione puòdipendere da processi fisico-chimici (ossidazione, fotoli-si, ecc.), ma è prodotta principalmente attraverso proces-si biologici.

La materia organica è in effetti una sorgente fonda-mentale di sostanze nutrienti e di energia per gli organi-smi viventi eterotrofi, inclusi i consumatori (zooplancton,necton, zoobenthos, animali terrestri, insetti e animali fos-sori) e i decompositori (comunità microbiche). I proces-si che presiedono alle modificazioni e la loro efficienza,come anche i prodotti finali derivanti dalla decomposi-zione della materia organica, sono controllati in gran partedalla disponibilità di accettori di elettroni. La presenza diun’adeguata concentrazione di ossigeno (atmosferico odisciolto in acqua) garantisce un ambiente adatto alla vitaa moltissimi organismi, dai microbi aerobi agli animalisuperiori. In questa situazione, l’intero processo di decom-posizione corrisponde a una ossidazione in cui l’ossige-no molecolare funge da accettore di elettroni.

In assenza di ossigeno molecolare, i microrganismianaerobi utilizzano i nitrati, e successivamente i solfati,come sorgente di ossigeno per ossidare la materia orga-nica. Alla fine, quando l’ambiente è completamente privodi ossidanti (O2, NO3

�, SO42�), ha luogo una degradazio-

ne fermentativa, che utilizza la materia organica stessacome accettore di elettroni; nello stesso tempo si verifi-ca una produzione di metano attraverso riduzione di CO2e acetato.

La degradazione provocata da organismi aerobi è digran lunga il processo più efficiente per la decomposi-zione della materia organica e risulta intensificata dalladecomposizione meccanica ed enzimatica dei tessuti,dovuta al consumo e alla digestione da parte di organismisuperiori. Per il sostentamento di meio- e macrobenthos

150 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

è necessaria una concentrazione minima di ossigeno disciol-to, pari a 0,1 ml�l (Savrda et al., 1984).

Negli ambienti di fondo oceanico ossigenati, una per-centuale significativa di materia organica viene consu-mata dalla fauna bentonica sul fondale e dagli organi-smi fossori nei sedimenti prossimi alla superficie. Inol-tre, l’attività degli animali che vivono sui fondali dà luogoa un rimescolamento dello strato superiore del sedimento(bioturbazione) che aumenta significativamente il tempodi esposizione ai processi di decomposizione. L’attivitàdi scavo mantiene inoltre attiva una circolazione d’ac-qua che rifornisce di accettori di elettroni (ossigenodisciolto, solfati) i pori del sedimento, alimentando così

la degradazione batterica ossidativa della materia orga-nica (fig. 1).

Questi ultimi processi non hanno luogo negli ambien-ti privi di ossigeno (anossici) poiché, appena si esauriscela disponibilità di ossigeno molecolare, nessun organismosuperiore ai batteri può sopravvivere (Savrda et al., 1984).Le condizioni di assenza di ossigeno sono tossiche per lafauna del meio- e macrobenthos, compresi gli organismifossori; ciò comporta la formazione di sedimenti lamina-ti indisturbati in cui la circolazione d’acqua è molto limi-tata (v. ancora fig. 1). In questo genere di ambiente, la con-servazione organica viene incrementata dall’assenza diorganismi bentonici che si cibano di rifiuti e dalla limita-ta disponibilità di accettori di elettroni nel sedimento(Demaison e Moore, 1980). La durata dell’esposizione aun ambiente ossigenato è stata riconosciuta come fattoredella massima importanza per la preservazione della mate-ria organica nella sequenza sedimentaria e ha dato luogoalla definizione del concetto di ‘tempo di esposizioneall’ossigeno’ (Van Mooy et al., 2002).

È importante notare, però, come la carenza di ossi-geno non definisca di per sé un ambiente di deposizio-ne, ma costituisca piuttosto il risultato dello squilibrio trail consumo e l’apporto di ossigeno molecolare. Il consu-mo è controllato dall’ossidazione della materia organicada parte degli organismi aerobi, mentre l’apporto è con-trollato dall’efficienza del trasferimento all’ambiente inquestione, mediante diffusione o convezione, dell’ossi-geno atmosferico, che rappresenta l’unica sorgente di os-sigeno molecolare.

Gli ambienti deposizionali soggetti ad anossia corri-spondono sia ad aree di elevata produttività, nelle quali larichiesta di ossigeno è alta a causa dell’ossidazione digrandi quantità di materia organica in via di seppellimento,sia a situazioni caratterizzate da una circolazione limita-ta di acque superficiali ricche di ossigeno (in contatto conl’atmosfera) verso il fondo, a causa di caratteristiche geo-morfologiche come bacini a circolazione ristretta (silledbasins), bacini profondi e stretti o stratificazioni d’acqua.Queste ultime derivano dalla presenza di diverse massed’acqua con contrasti di densità molto netti (acqua dolcesovrastante acqua salata più densa o acqua calda sovra-stante acqua fredda più densa).

I sistemi caratterizzati da correnti fredde che risalgo-no verso la superficie forniscono esempi di condizionianossiche causate dalla produttività. Il livello elevato diproduzione organica favorisce la formazione di un nucleosottostante anossico, che con il tempo genera sulla piat-taforma continentale una situazione particolarmente favo-revole alla deposizione di rocce madri. In queste zone,l’ingresso di grandi masse di materiali organici biosinte-tizzati si accompagna alla loro conservazione in acqueprofonde prive di ossigeno (Demaison e Moore, 1980).

Bacini a circolazione ristretta intracratonici, depres-sioni su piattaforme carbonatiche, bacini lunghi e stretti

151VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

produttività

zona eufotica

profondità dell’acqua

acqua di fondoricca di O2

acqua di fondopovera di O2

fig. 1. Visione schematica degli ambientideposizionali in cui sono evidenziati i principali fattori di controllo del processodi formazione di sedimenti ricchi dimateria organica: produttività primaria,profondità dell’acqua e ricchezza o carenzadi ossigeno dell’acqua in profondità.

e bacini di rift lunghi e profondi sono esempi di contestigeomorfologici che determinano circolazioni d’acqua sta-gnanti. Questo tipo di situazione limita il rilascio di ossi-geno molecolare all’interno della massa d’acqua.

Il Mar Nero è l’esempio di una situazione in cui acquadolce di bassa densità, proveniente dai fiumi, giace sopraad acqua di mare salata, più densa. Ciò provoca una stra-tificazione di densità che ostacola il rinnovamento di ossi-geno nelle acque profonde e che determina anossia. Acausa dei loro regimi climatici, i laghi che si trovano abasse altitudini mostrano spesso stratificazioni d’acquadovute alle differenze di temperatura tra le acque super-ficiali calde e quelle profonde fredde.

Su scala globale, specifici intervalli temporali noticome eventi oceanici di anossia (OAE) corrispondonoa episodi rilevanti per la deposizione su grandi esten-sioni di sedimenti ricchi di materiali organici (Arthure Schlanger, 1979). Per esempio, alcuni OAE risultanoben definiti e identificabili durante il Cretaceo: OAE 1a(Aptiano inferiore), OAE 1b (Aptiano superiore-Albia-no inferiore), OAE 1c (Albiano superiore) e OAE 2 (limi-te Cenomaniano-Turoniano). Si ipotizza che questi even-ti siano connessi alla stratificazione estensiva delle acqueoceaniche; a essi si devono la ridotta aerazione e lo svi-luppo di condizioni di scarsa ossigenazione o di assenzatotale di ossigeno in zone situate lungo i margini conti-nentali della Tetide tropicale, in mari ristretti intracrato-nici e nei bacini dell’Oceano Atlantico in espansione. Talicondizioni diedero luogo alla deposizione regionale dirocce madri ricche di materia organica. La FormazioneIabe al largo del Congo e la Formazione La Luna in Vene-zuela sono esempi di rocce madri prolifiche associate aquesti episodi di anossia del periodo Cretaceo.

Trasporto di materia organica. Un aspetto importantedella formazione di sedimenti con alto contenuto in sostan-za organica è il trasporto della materia organica dal sitodi bioproduzione a quello di sedimentazione. A scala dibacino, il trasporto è un fattore determinante per quan-to riguarda la conservazione e la distribuzione. La rile-vanza del trasporto ai fini della conservazione si colle-ga direttamente a un’estensione del concetto di ‘tempodi esposizione agli agenti ossidanti’ (compresa l’esposi-zione all’ossigeno e ad altri ossidanti come i solfati).

In ambiente acquatico, i nuovi composti organici,generati per produzione primaria e trasportati al di sottodella base della zona fotica, sono altamente reattivi e sonocandidati, con elevata probabilità, a essere degradati inmodo intensivo dagli organismi eterotrofi. In effetti, sem-plici calcoli di bilancio di massa (la produzione organi-ca rispetto alla quantità di materia organica effettivamenteincorporata nei sedimenti sottostanti) suggeriscono l’ipo-tesi che la degradazione dei detriti di materia organicaavvenga in gran parte all’interno della colonna d’acqua.Tale ipotesi risulta sostenuta da esperimenti relativi aitassi di sedimentazione, che mostrano la distruzione quasi

esponenziale di materia organica in funzione del rap-porto tra la profondità dell’acqua e il tempo di perma-nenza (Suess, 1980).

È improbabile che i detriti di materia organica a bassadensità (1-1,7 g�ml), presi singolarmente, possano avereun ruolo significativo nel flusso verticale di materia, acausa del lungo tempo di permanenza nella colonna d’ac-qua. D’altra parte, la riorganizzazione dei detriti orga-nici e delle particelle di piccole dimensioni, per mezzodi processi fisico-chimici (come la flocculazione) e bio-logici, produce particelle organo-minerali di grandi dimen-sioni (pellet fecali, ‘neve marina’ e aggregati vari) chesi depositano più rapidamente e che possono fungere daefficienti portatori di materia organica. Si è dimostratoche una densità e una velocità di deposizione maggioridi queste particelle sono connesse a un’elevata produt-tività biologica primaria (Dagg e Walser, 1986). Vale lapena di sottolineare ancora che l’elevata produttività nonsolo provoca il rilascio di grandi quantità di materia orga-nica ma favorisce anche una sua migliore conservazio-ne (richiesta di ossigeno e riorganizzazione dei detritiorganici), incrementando l’efficienza del trasporto versoi sedimenti sottostanti. Dunque, la migliore conserva-zione e la maggiore velocità di deposizione connesse allaelevata produttività spiegano probabilmente la deposi-zione di sedimenti ad alto contenuto organico in speci-fici ambienti di acqua profonda, come è stato osservatoal largo della Namibia per i sedimenti deposti a partiredal tardo Miocene (Huc et al., 2001).

Insieme alla velocità di deposizione delle particelleorganiche, la profondità dell’acqua è un parametro cru-ciale che controlla il destino della materia organica negliambienti sedimentari. In condizioni favorevoli (produt-tività, assenza di ossigeno, ecc.), gli ambienti con acquebasse rappresentano probabilmente un contesto ottima-le per l’accumulo di quantità rilevanti di materia orga-nica. Ciò accade appena il piano del sedimento si vienea trovare al di sotto della zona perturbata dal moto ondo-so. Al crescere della profondità, la prolungata esposi-zione delle particelle organiche all’interno della colon-na d’acqua ne favorisce la continua degradazione. Lacomprensione del ruolo della profondità dell’acqua con-sente di ampliare le conoscenze sulla distribuzione dellerocce madri dal punto di vista della stratigrafia sequen-ziale. In un bacino, i processi sedimentari determinanola distribuzione orizzontale della materia organica. Esi-ste un’ampia documentazione riguardante una correla-zione inversa tra il contenuto organico e la dimensionedei granuli del sedimento (Hunt, 1995); questo fenome-no può derivare da un comportamento idraulico equiva-lente delle particelle organiche e dei sedimenti a granafine e dall’assorbimento della materia organica in argil-la (Ransom et al., 1998; Hedges et al. 2001). La mate-ria organica tende comunque a separarsi, accumulando-si in centri deposizionali caratterizzati da minore energia

152 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

idraulica. Su scala regionale, in mari epicontinentali,questi centri deposizionali tendono a presentarsi nei mini-mi batimetrici dei bacini; ciò produce una configura-zione concentrica, con un aumento centripeto progres-sivo del contenuto organico dei sedimenti (fig. 2). Vi sonoprove di questa configurazione ‘a occhio di bue’ sia inambienti recenti, come il Mar Caspio, il Mar Nero, ilLago Bogaria in Kenya, ecc., sia nella sequenza sedi-mentaria, come la Formazione Bazhenov del Giurassi-co superiore della Siberia occidentale, il Lias del Baci-no di Parigi, la Depressione Dongying dell’Oligocene inCina, le formazioni del Giurassico inferiore nel Mare delNord settentrionale, ecc. (Huc, 1988a).

Tipologie di materia organicaLe rocce madri sono caratterizzate dalla natura della

materia organica contenuta, proveniente dalla fossiliz-zazione dei resti organici di organismi viventi. Secondola definizione comune (Durand, 1980), il kerogene è laparte di questa materia organica che non è solubile insolventi organici (come il cloroformio o il cloruro dimetilene). Nei sedimenti termicamente immaturi il kero-gene costituisce quasi tutta la materia organica presente;quest’ultima può essere più o meno alterata e deriva diret-tamente dai biopolimeri che formano tessuti e prodot-ti dei precursori biologici (parte ereditata). Il kerogene

contiene anche altri prodotti della policondensazionecasuale di componenti intermedi che provengono dalladecomposizione di quei biopolimeri (parte neoformata).

Come già accennato, i principali precursori di questiresti organici sono in prevalenza alghe, batteri e piantesuperiori. Il contributo relativo di questi precursori e il lo-ro grado di alterazione variano in funzione dell’ambien-te deposizionale, che costituisce il fattore principale nelladeterminazione delle proprietà del kerogene.

Gli organismi viventi sono costituiti da biopolimeri,tra cui proteine, carboidrati (come la cellulosa), lipidi elignina, quest’ultima presente solo nei tessuti delle pian-te superiori terrestri. L’idrogeno è l’atomo più abbon-dante nei composti del petrolio, seguito dal carbonio, ele stesse molecole degli idrocarburi sono composte sol-tanto da questi due atomi. A questo riguardo, i kerogenipiù produttivi in termini di generazione di petrolio sonoquelli che presentano la massima concentrazione di idro-geno e la minima di ossigeno. La maggior parte delleproteine e molti carboidrati vengono distrutti nella dia-genesi precoce (tra poche decine e un centinaio di metridi seppellimento). Riguardo ai carboidrati, però, dobbia-mo sottolineare il fatto che la cellulosa costituisce un’im-portante eccezione: essendo infatti meno soggetta adecomposizione, può in qualche misura ‘sopravvivere’alla diagenesi, senza subire sostanziali modifiche. Ingenerale i composti derivanti da lipidi (molto ricchi diidrogeno), lignina (povera di idrogeno a causa della natu-ra aromatica) e cellulosa (ricca di ossigeno), che sono ipiù resistenti, sono favoriti nella conservazione e com-paiono a concentrazioni relativamente elevate nella mate-ria organica fossilizzata finale. Il kerogene, in parte neo-formato e in parte ereditato, mantiene quindi una trac-cia chimica, più o meno alterata, dei suoi precursori.

Negli ambienti detritici (per esempio, deltizi) il con-tributo delle piante superiori terrestri porta a una pre-senza preferenziale di materiale ligneo-cellulosico (fram-menti di legno, ecc.), caratterizzato da un basso rappor-to atomico H/C e da un elevato contenuto di ossigeno.Ciò dà luogo a un kerogene meno prolifico in termini digenerazione di idrocarburi rispetto a quello derivante daalghe (per esempio, fitoplancton) o da materiale batte-rico. Nessuno di questi ultimi tipi di organismi contieneinfatti lignina: le alghe sono più povere di cellulosa (pre-sente soprattutto nelle membrane cellulari) rispetto allepiante superiori e i batteri ne sono del tutto privi.

I rapporti atomici H�C e O�C del kerogene vengonoconvenzionalmente utilizzati per classificare la materiaorganica dei sedimenti in tre ‘tipologie’classiche princi-pali, legate schematicamente ai tre principali ambientideposizionali (fig. 3): Tipo I (H�C�1,6; O�C�0,1), in am-bienti lacustri; Tipo II (1,2�H�C�1,6; 0,1�O�C�0,2),in ambienti marini; Tipo III (H�C�1,2; O�C�0,2), inambienti detritici continentali o marini (come i deltadei fiumi).

153VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

Novosibirsk

Ob

TOC (%)

<1

1-3

3-7

7-10

>10

0 500 km

OCEANO ARTICO

fig. 2. Distribuzione regionale del contenuto in carbonio di origine organica nella Formazione Bazhenov nella Siberiaoccidentale (Kontorovich, 1984).

Lungi dall’essere una rigida classificazione genetica,questa suddivisione dà semplicemente un’idea dei valo-ri dei parametri H�C e O�C, che a loro volta fornisconoinformazioni sul potenziale petrolifero iniziale della mate-ria organica (Durand, 1980).

I seguenti valori (percentuale del kerogene in peso)sono indicativi della quantità di componenti affini al petro-lio potenzialmente rilasciati dai diversi tipi di kerogenedurante l’evoluzione termica: Tipo I: �60-70%; Tipo II:�40-60%; Tipo III: �15-25%.

Storicamente la definizione di queste tipologie è stataadottata in relazione a serie di riferimento specifiche(Tissot e Welte, 1984; Vandenbroucke e Largeau, in corsodi stampa), tra le quali: Tipo I: Eocene, formazione discisti del Green River (Utah, Stati Uniti); Tipo II: scistidel Toarciano inferiore, Europa occidentale (vi appar-tengono gli Schistes Carton del Bacino di Parigi e il Posi-donian Schieffer in Germania); Tipo III: Cretaceo supe-riore dal Bacino Douala (Camerun) e Miocene del deltadel Mahakam (Kalimantan, Borneo, Indonesia).

Una differenza importante tra la materia organicaaccumulata in ambienti marini e lacustri è costituita dalfatto che la degradazione anaerobia avviene in presenzadi solfati in ambiente marino e generalmente in assenzadi questi nei laghi. Ne consegue che la degradazioneanaerobia della materia organica in ambiente marino cor-risponde a una ossidazione (i solfati giocano il ruolo diaccettori di elettroni), producendo H2S. La degradazio-ne anaerobia della materia organica in acqua dolce cor-risponde invece a una fermentazione, alla quale può asso-ciarsi un’attività di metanogenesi che dà luogo alla for-mazione di metano (come il gas delle paludi).

Un’altra caratteristica della composizione del kero-gene è il suo contenuto in zolfo. Oltre a essere un fattoredeterminante per la qualità degli idrocarburi generati

(oli ricchi di zolfo rispetto a oli non solforosi o ‘dolci’),lo zolfo influisce anche sul comportamento cinetico delkerogene durante le trasformazioni termiche ed è un com-ponente secondario dei tessuti viventi. Il contenuto dizolfo di un determinato kerogene viene acquisito di fattoper incorporazione, durante le primissime fasi della suaevoluzione geologica (diagenesi precoce). È probabileche un kerogene sia ricco di zolfo se si è depositato inambiente marino (a causa della presenza di solfati), incondizioni di assenza di ossigeno (formazione anaero-bia di H2S e di composti polisolfati) e di impoverimen-to di ferro. In questa situazione i composti inorganicidello zolfo interagiscono con quelli organici e vengonoincorporati nel kerogene come componenti organici solfo-rati. Un kerogene ricco di zolfo si associa quindi spessoad ambienti ricchi di carbonati e di silice; il ferro, quan-do è presente, ha la proprietà di purificare in modo par-ticolare i composti dello zolfo e forma precursori dellapirite. Tali condizioni, che generalmente si accompa-gnano ad ambienti silicoclastici, favoriscono la forma-zione di materia organica più povera di zolfo (v. ancorafig. 3). I kerogeni marini ricchi di zolfo sono stati clas-sificati in un sottotipo particolare, denominato Tipo IIS.

Distribuzione spaziale e temporale delle rocce madri

Principali habitat delle rocce madri. La maggior partedelle rocce a contenuto organico si deposita in condizio-ni geologiche, oceanografiche e climatiche specifiche,come per esempio:• depressioni intracratoniche sommerse durante perio-

di caratterizzati da livelli elevati del mare, spessoseparate dal mare aperto da soglie sottomarine e quin-di soggette a diventare anossiche. Il rifornimento disostanze nutrienti per la produttività acquatica è assi-curato dai territori continentali circostanti. Tra gliesempi documentati di questi scenari si annoveranola Formazione Bazhenov del Giurassico superioredella Siberia occidentale, il Mare Interno occidenta-le del Cretaceo inferiore negli Stati Uniti e il Liasinferiore del Bacino di Parigi e del Bacino Tedesco;

• bacini marginali associati a depressioni all’interno dicomplessi di piattaforma carbonatica. Ne sono esem-pi le rocce madri depositate nel Golfo Persico duran-te il Giurassico superiore e il Cretaceo: formazioniHanı̄fa, Shilaif, Shuaiba, Kahzdumi, ecc.;

• piattaforme e scarpate continentali, associate a cor-renti fredde di risalita. Una situazione di questo tiposi incontra nella Formazione Monterey del Miocenedella California;

• rift all’interno dei quali tendono a svilupparsi roccemadri lacustri in climi umidi. Negli ambienti attualivi sono molti esempi di laghi con sedimenti partico-larmente ricchi di materia organica, come il Lago Kivue il Lago Tanganica; lo stesso si verifica nel contesto

154 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

H/C

S/C�100 O/C�100

0,5

1,0

1,5

2 046 10 20 30

Tipo ITipo I

Tipo IITipo II

Tipo III Tipo III

Tipo IIS

fig. 3. Confronto tra la composizione in elementi dei diversi tipi di kerogene termicamenteimmaturo. La composizione viene espressamediante un diagramma che mostra l’intervallodei rapporti atomici H/C rispetto a O/C, e H/C rispetto a S/C, per kerogeni appartenenti ai Tipi I, II, IIS e III.

geologico, come nel Cretaceo inferiore del marginetra Africa e America Meridionale, formazioni Buca-mazi e lago Feia del Brasile e nell’Eocene-Oligocenedella formazione Pematang di Sumatra;

• bacini lunghi e stretti connessi alle prime fasi dell’a-pertura degli oceani, che tendono a sviluppare condi-zioni di anossia una volta invasi dalle acque marine,come nei casi della Formazione Kimmeridge Clay del

Giurassico superiore del Mare del Nord e delle roccemadri del Cretaceo dell’Atlantico meridionale;

• delta fluviali che contengono spessi depositi di argillericche di materia organica e carbone, come, per esem-pio, il delta del Mahakam del Miocene del Kalimantan,in Indonesia, e il delta del Niger del Terziario.Distribuzione stratigrafica delle rocce madri. È noto

che il contenuto medio di materia organica nelle roccesedimentarie varia in modo notevole: da scarso (menodello 0,5%) a medio (dal 5% al 40%, nelle argille) finoad abbondante (quasi il 100%, nei carboni originati daalghe e humus). Su scala globale la distribuzione crono-stratigrafica di questi sedimenti è irregolare: sembranoesservi accumuli rilevanti di materia organica sedimenta-ria, e quindi di possibili rocce madri, concentrati in unnumero limitato di intervalli stratigrafici specifici, men-tre si stima che l’abbondanza di rocce madri in periodigeologici differenti sia molto inferiore (Bois et al., 1982;Klemme e Ulmishek, 1991).

Secondo vari studi, i sei intervalli temporali più impor-tanti per quanto riguarda il contributo relativo di roccemadri sono: Siluriano (450-420 Ma), 18-20%; Devonianosuperiore-Carbonifero inferiore (380-340 Ma), 14-18%;Carbonifero superiore-Permiano inferiore (310-280 Ma),13-18%; Giurassico superiore (170-150 Ma), 15-17%; Cre-taceo medio-superiore (110-90 Ma), 17-24%; Oligocene-Miocene (40-5 Ma), 7-14% (Klemme e Ulmishek, 1991;Huc et al., in corso di stampa).

La fig. 4 mostra un grafico del seppellimento globaledi carbonio organico durante il Fanerozoico (545-0 Ma),basato sulle misurazioni isotopiche del carbonio (Berner,2003), e il suo confronto con la curva della velocità diaccumulo di materia organica nelle rocce madri (sedimenticon TOC, Total Organic Carbon, �3%; Huc et al., in corsodi stampa) e con la curva dell’intensità di degassificazio-ne tettonica, normalizzata al valore attuale (Berner e Kotha-vala, 2001). Il diagramma mostra che i picchi di degassi-ficazione di CO2 sono in fase con l’accumulo globale dimateria organica nei sedimenti e con la formazione diquantità significative di rocce madri.

Si può tentare di interpretare questa relazione attra-verso il ciclo biogeochimico del carbonio (Holland, 1978;Westbroek, 1992) e i risultati degli studi di modellizza-zione di Robert A. Berner (Berner e Kothavala, 2001). Imodelli utilizzati indicano che l’incremento di pressioneparziale di CO2 nell’atmosfera (PCO2

) favorisce un aumen-to della disgregazione chimica delle rocce, influenzatoprincipalmente dalle piante che rompono e distruggonochimicamente gli strati rocciosi più superficiali median-te l’azione delle radici e dei microrganismi a esse asso-ciati, a livello della rizosfera. Tali microrganismi produ-cono acidi aggressivi allo scopo di estrarre dai mineralile sostanze nutrienti, i metalli e gli oligoelementi neces-sari alla loro crescita. La disgregazione chimica sulle massecontinentali produce forme ioniche come Ca2�, HCO3

� e

155VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

90

60

30

1.500

1.000

500

0

300

200

100

0

2,0

1,5

1,0

600 500 400 300 200 100 0

accumuli di carbone

seppellimento di kerogene nella roccia madre

seppellimento totale di materia organica

109

t/ M

a10

9 t/

Ma

1012

t / M

a10

14 t /

Ma

degassificazione di CO2

tempo (Ma)

fig. 4. Confronto tra la degassificazione secolare di CO2 e l’accumulo di materia organica fossiledurante il Fanerozoico: A, degassificazione di CO2 della Terra (Berner e Kothavala, 2001), ipotizzando che la percentuale di CO2 nelle sostanze volatili prodotte dalla degassificazione della Terra sia rimasta costante durante tutto il Fanerozoico; B, seppellimento totale di materia organica (Berner, 2003), ipotizzando che il contenuto medio in carbonio della materia organica sedimentaria sia dell’80%; C, seppellimento del kerogene; questo grafico prendein considerazione soltanto il kerogene derivante da rocce madri ricche di materia organica, con TOC �3% (Huc et al., in corso di stampa); D, accumuli di carbone, sulla base delle riserve attuali (Ronov et al., 1980).

A

B

C

D

le sostanze nutrienti che penetrano nella superficie ter-restre e nelle acque sotterranee. Gli ioni Ca2� e HCO3

disciolti vengono trasportati verso il mare, dove precipi-tano come carbonati, principalmente attraverso processibiologici. Questi depositi di carbonati finiscono per agirecome un bacino di ricezione di CO2 atmosferico.

Si può notare che, con l’eccezione del Siluriano, i perio-di di incremento di accumulo di materia organica corri-spondono agli intervalli di maggiore accumulo di carbo-nati (Ronov et al., 1980). Entrambi i fenomeni portano auna sequestrazione naturale di CO2 durante periodi diaumento di CO2 atmosferico. L’aumento della PCO2

indu-ce un fenomeno di feedback negativo che finisce per ridur-re il CO2 atmosferico, che si deposita sotto forma di car-bonati. Questi depositi rappresentano la maggiore riservadi carbonio nella crosta terrestre (75%), mentre la per-centuale rimanente (25%) è rappresentata dalla materiaorganica sedimentaria (Hayes et al., 1999).

Il processo di fotosintesi controlla l’intensità delladisgregazione chimica. Quando l’attività fotosinteticaaumenta, si intensifica anche la formazione del suolo, chediventa più profondo a mano a mano che le piante terre-stri assorbono la quantità necessaria di sostanze nutrientidi origine minerale. Tali sostanze nutrienti, attivamentericiclate dalle piante terrestri, finiscono poi per essere tra-sportate, insieme agli ioni Ca2� e HCO3

�, verso i laghi eil mare, incrementando così la produttività del plancton,per il quale la disponibilità di sostanze nutrienti è il prin-cipale fattore limitante (Holland, 1978). Di conseguenzaun aumento dei livelli di PCO2

si può considerare come unelemento potenzialmente molto importante per l’incre-mento dell’accumulo di materia organica. Se si conside-rano costanti tutti gli altri parametri, un aumento di PCO2è stato in effetti considerato responsabile di un sostanzia-le incremento (fertilizzazione a mezzo di CO2) della pro-duttività primaria delle piante terrestri (Mellilo et al.,1993). Questo aumento favorisce anche la disgregazionechimica e l’ingresso di sostanze nutrienti nel terreno, neicorsi d’acqua e, infine, nei mari e negli oceani. Si puòquindi ipotizzare che l’aumento secolare di CO2 atmo-sferico (cicli di primo e secondo ordine), sebbene agiscain modo indiretto, rappresenti un fattore chiave per la depo-sizione di rocce madri all’interno di determinati livellistratigrafici, su scala globale. La fertilizzazione da CO2della biomassa terrestre comporta un’accelerazione nellaformazione di suoli più profondi, associata a un aumentodella disgregazione chimica. Tale aumento della disponi-bilità di sostanze nutrienti su scala globale favorisce quin-di la produttività in ambienti legati all’acqua e l’accumu-lo di materia organica nei sedimenti.

Il modello dà un grande rilievo al ruolo della produt-tività primaria nella formazione di sedimenti ricchi dimateria organica su scala globale e a lungo termine (ciclidi primo e secondo ordine). Nello stesso tempo si conci-lia con la correlazione osservata tra gli intervalli di tempo

geologico in cui si generano grandi quantità di rocce madrie gli episodi di aumento di CO2 atmosferico dovuti a unincremento dell’attività tettonica. D’altra parte, questiperiodi caratterizzati da maggiori velocità di subduzione,metamorfismo e vulcanismo, che immettono CO2 nel-l’atmosfera, sono anche periodi in cui il livello dei mari èalto. In queste epoche ampie regioni della piattaforma con-tinentale sono sommerse: si generano così diffusamentemari intracratonici che forniscono le condizioni, su scalaglobale, per una migliore conservazione della materia orga-nica di provenienza biologica (Tissot e Welte, 1984). Lamaggior parte di questi periodi è inoltre caratterizzata daestesa deposizione di carbonati (v. sopra) sui margini con-tinentali, deposizione che spesso forma ampie piattafor-me ospitanti bacini interni poco profondi. Questi scenarideposizionali, che comprendono mari epicontinentali ebacini interni alla piattaforma, favoriscono la formazionedi ambienti deposizionali in bacini poco profondi, isolatio ristretti, in cui la massa d’acqua è soggetta allo svilup-po di condizioni di assenza di ossigeno sui fondali a causadel mancato rinnovamento dell’ossigeno disciolto. Inol-tre la materia organica in fase di deposizione ha un tempodi permanenza limitato all’interno di una colonna d’ac-qua di scarso spessore. I due fattori insieme determinanouna diminuzione del ‘tempo di esposizione all’ossigeno’per la materia organica in via di accumulazione e ciòaumenta le sue possibilità di conservazione (Van Mooy etal., 2002). L’intero processo si può definire come unaeutrofizzazione indotta da CO2.

Sebbene, a partire dal tardo Proterozoico, vi sia un’am-pia documentazione di depositi ricchi di materia organi-ca che si comportano come rocce madri, la prima com-parsa generalizzata di vere e proprie rocce madri su scalaglobale corrisponde all’avvento delle piante terrestri duran-te il Siluriano. Questa circostanza è importante, in quan-to le piante terrestri contribuiscono alla formazione delsuolo e alla disgregazione chimica. Prima del Silurianomedio la superficie della terraferma era probabilmenteformata da rocce in affioramento oppure era coperta dasottili protosuoli microbici (Algeo et al., 2001).

Quando si considera la distribuzione a una scala diprimo ordine, si può notare un evidente scarto tra i tempidi massimo accumulo di masse di materia organica nellerocce madri e i tempi di maggiore presenza di carbone edi rocce madri di Tipo III (Ronov et al., 1980; Bois et al.,1982; Klemme e Ulmishek, 1991), come si vede dal cam-biamento del rapporto tra carbone � Tipo III e totale dellerocce madri (Berner, 2003). Questo caratterizza sia il mega-ciclo del Paleozoico sia quello del Mesozoico (v. ancorafig. 4; fig. 5). I giacimenti di carbone e rocce madri di TipoIII sono scarsi durante l’intervallo Devoniano superiore-Carbonifero inferiore, ricco di depositi organici, mentrediventano abbondanti durante il successivo intervallo Car-bonifero superiore-Permiano inferiore, che tende a un ul-teriore aumento dei depositi organici. Analogamente, i

156 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

giacimenti di carbone risultano limitati durante il Giuras-sico superiore, che pure presenta una certa ricchezza didepositi organici, ma diventano più abbondanti durantegli intervalli del Cretaceo medio-tardo e dell’Oligo-Mio-cene, verso la fine del megaciclo mesozoico. L’evoluzio-ne biologica naturale della biomassa terrestre, causata dallaprogressiva colonizzazione dei continenti da parte dellepiante terrestri, potrebbe spiegare lo spostamento delladistribuzione di carboni e rocce madri di Tipo III verso lafine del megaciclo paleozoico.

Tuttavia è necessario fornire un altro modello per spie-gare questo ricorrente slittamento temporale nel caso delsecondo megaciclo. Vi è accordo sul fatto che l’accumu-lo di strati di carbone richieda un equilibrio tra l’appor-to di materiale sedimentario e lo spazio disponibile perl’accumulo. Lo scenario più favorevole per grossi accu-muli di carbone corrisponde a un regime deposizionaledi accatastamento verticale, accompagnato da una mode-rata velocità di cambiamento del livello di base, in unsistema caratterizzato da subsidenza continua e regolare(Diessel, 1992; McCabe e Parrish, 1992; Bohacs e Suter,1997). Su scala planetaria si può immaginare che una talecondizione si sia determinata alla fine delle principali fasiorogeniche, grazie al rilassamento globale dello stato ten-sionale accumulato nell’attività tettonica (Dewey, 1988).In ambito continentale questo modello si applica ai princi-pali bacini di avampaese, collocazioni tipiche per i giaci-menti di carbone, come la serie di carboni del Carbonifero

dell’Europa settentrionale e degli Appalachi, i giacimen-ti di carbone associati al Mare interno occidentale delCretaceo inferiore dell’America Settentrionale e gli stra-ti di carboni del Terziario di Guaduas, in Colombia. Ana-logamente, in ambiente oceanico, il progressivo raffred-damento della crosta oceanica in via di invecchiamentosui margini continentali passivi rappresenta un altro sce-nario che prevede la possibilità di creare uno spazio con-siderevole per l’accumulo di importanti sistemi deltizi,come quelli del Terziario dei margini dell’Atlantico meri-dionale. In questo contesto la rara presenza di depositi dicarbone e rocce madri di Tipo III all’inizio e al culminedei megacicli di primo ordine, e la loro abbondanza neiperiodi appena successivi, possono essere spiegati con laconstatazione che le condizioni tettoniche globali sonomolto più favorevoli all’accumulo di carbone al terminedelle principali fasi orogenetiche.

Su scala regionale si osserva spesso una presenzasimultanea di materia organica di Tipo III (compresi depo-siti di carbone) e di rocce madri lacustri di Tipo I nei seiintervalli temporali considerati (v. ancora fig. 5). Questopotrebbe essere connesso a condizioni climatiche favo-revoli all’accumulo di materia organica nei laghi e allaformazione di vasti giacimenti di carbone. Ciò potrebbeanche dipendere dal fatto che le masse d’acqua dei cor-rispondenti paleolaghi avrebbero beneficiato della vici-nanza di vegetazione terrestre che forniva sostanze nutrien-ti, dando luogo a un’elevata produttività acquatica.

157VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

RELAZIONI TRA BACINI SEDIMENTARI E PROVINCE PETROLIFERE

IDROCARBURI

a

b

c

d

e

f

Pantalassa

Proto-Tetide

Neo-Tetide

Neo-Tetide

PantalassaPaleo-Tetide

Tipo I Tipo II Tipo III carbone

fig. 5. Distribuzioneschematica delleprincipali rocce madri:A, Siluriano (450-420 Ma); B, Devoniano superiore-Carbonifero inferiore(380-340 Ma); C, Carboniferosuperiore-Permianoinferiore (310-280 Ma);D, tardo Giurassico(170-150 Ma); E, Cretaceo medio-superiore (110-90 Ma);F, Oligocene-Miocene(40-5 Ma).

A

B

C

D

E

F

Le rocce madri nel quadro della stratigrafia sequen-ziale. In base ai concetti di stratigrafia sequenziale, alcu-ni autori hanno notato una possibile relazione tra i prin-cipali periodi di accumulo di materia organica nelle roccee l’aumento di primo e secondo ordine del livello deimari controllato da riaggiustamenti tettonici crostali(Tissot e Welte, 1984; Huc, 1991). Ciò ha portato a ipo-tizzare che le situazioni stratigrafiche più favorevoli allosviluppo delle rocce madri corrispondano a superfici didownlap (terminazione basale di strati a geometria sig-moidale su una superficie suborizzontale) a scala glo-bale connesse a importanti cicli di ingressione marinasui continenti (Duval et al., 1998). Questa relazione valeanche per le variazioni eustatiche rapide e a breve ter-mine dei cicli di terzo e quarto ordine. Gli intervalli carat-terizzati da ricchezza di materia organica sono di solitoassociati alla cosiddetta maximum flooding surface e piùin generale alla fine della retrogradazione dei sistemideposizionali verso le aree costiere e all’inizio della pro-gradazione dei sistemi deposizionali verso il mare aper-to, cioè fino a quando la deposizione avviene al di sottodella zona perturbata dal moto ondoso (Pasley et al.,1991). Questa collocazione stratigrafica è ben documen-tata per il Kimmeridgiano-Titoniano dell’Europa nord-occidentale, per il Lias del Bacino di Parigi, per la For-mazione Paradox (Carbonifero superiore) degli Stati Unitioccidentali e per la Formazione Natih (Cenomaniano-Turoniano) dell’Oman settentrionale.

Un simile scenario può essere spiegato con la presen-za, contemporanea o meno, di diverse condizioni favore-voli alla sedimentazione di rocce madri che si verificanodurante lo sviluppo dei sistemi deposizionali, tra cui:• la presenza di mari intracratonici estesi, favoriti dallo

stazionamento alto del livello del mare, nei quali l’ele-vata concentrazione di materia organica può esseredeterminata dall’immissione di sostanze nutrientiportate dai fiumi che drenano i prodotti della disgre-gazione chimica delle superfici continentali circo-stanti, o dall’immissione di sostanze nutrienti pro-venienti da livelli del suolo precedentemente espo-sti, a causa dell’erosione dovuta all’inondazioneprogressiva delle aree costiere (Katz, 1994);

• la presenza di bacini poco profondi, isolati e a cir-colazione ristretta, che favoriscono la formazione dicondizioni di anossia sui fondali, dovute alla man-cata sostituzione dell’ossigeno disciolto (Demaisone Moore, 1980). Questo implica, inoltre, la presenzadi una colonna d’acqua di spessore limitato, che ridu-ce il tempo di permanenza della materia organicadurante la deposizione;

• l’aumento della concentrazione della materia orga-nica in bacino dovuta essenzialmente alla ridotta dilui-zione con apporti clastici/carbonatici rimasti intrap-polati in aree più marginali. In alcuni casi questo por-ta le rocce madri a essere rappresentate da sezioni

condensate (Creaney e Passey, 1993; van Buchem etal., in corso di stampa).

ConclusioniLe rocce madri hanno un ruolo chiave nella forma-

zione di accumuli di olio e di gas nei sistemi petroliferi.Le condizioni specifiche della loro formazione, i fattoriche determinano il loro contenuto in materia organica ela loro qualità, come anche l’origine della loro distribu-zione geografica e stratigrafica, sono stati oggetto, negliultimi decenni, di molti studi. I concetti elaborati vengo-no oggi ampiamente utilizzati, insieme alle sezioni sismi-che (v. cap. 2.3), ai wireline logs e ai dati raccolti in pozzo,attraverso una serie di approcci analitici che consentonola determinazione delle caratteristiche delle rocce madri(tipo e contenuto organico) alla scala del campione. Imodelli che ne derivano possono essere utilizzati comeguida per valutare la presenza, la qualità, lo spessore, ladistribuzione stratigrafica e le dimensioni laterali deglistrati di roccia madre nei bacini sedimentari, e fornisco-no dati migliori da inserire nei modelli numerici elabora-ti per descrivere l’evoluzione dei bacini e dei sistemi petro-liferi associati (v. cap. 2.4).

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