A proposito di CORSI NUTRIZIONE, SIMEUP UMBRIA 11_ A proposito di NUTRIZIONE, MALATTIE
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Arte Marinara - Lezione 11
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CORSO DI ARTE MARINARA
Lezione 11 (Aggiornamento settembre 2004)
3.3.3. Stile di vita dell’equipaggio
La precedente lezione può essere sintetizzata affermando “dimmi su che
barca vai e ti dirò chi sei”, come afferma Piero Ottone in un suo gradevolissimo
libro1. Continua Ottone: “Anche le barche parlano (...) A saperlo comprendere,
quel linguaggio dichiara l’età, la provenienza, la destinazione, il carattere, la
maneggevolezza, l’indole, l’affidabilità della barca; e rivela anche i connotati
caratteriali e sociali del proprietario. Come mai un appassionato di barche, non
appena può farlo,
va a passeggiare
lungo i moli di un
porticciolo, va a
guardare a una a
una le barche
ormeggiate,
provocando la
noia di chi lo
accompagna?
L’appassionato,
mentre avanza
passo passo, sta leggendo un libro, osserva il dipanarsi di una storia, anzi di tante
storie diverse.” Consiglio vivamente di leggere questo volumetto, in cui il bravo
giornalista e scrittore ha perfettamente interpretato, con parole da vero marinaio
innamorato del mare e della vela, i sentimenti che animano noi tutti, colpiti
dall’inguaribile passione del navigare.
Dopo aver descritto tipologie di comportamento differenziate per
imbarcazioni a motore o a vela, intendo ora riportare alcune riflessioni ed alcune
indicazioni indirizzate sia a chi imbarchi su uno yacht a motore, sia a chi intenda
navigare su una imbarcazione a vela. A tal proposito mi pregio di fare un’altra
1 “Piccola filosofia di un grande amore: la vela “ Longanesi & C. - 2001
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citazione, riportando uno scritto di Gianfranco Maggiorin2, appassionato di mare
ed istruttore nautico: “Le veloci barche a motore coprono in un lampo distanze che
ai velisti richiedono ore ed ore di attenzione, di cambi di vele, di regolazioni, di…
pazienza. Sono due modi differenti di vivere la navigazione, ma alla base dei quali
vi dovrebbe essere una stessa cultura dell’andar per mare. (…) Ci vuole l’umiltà di
riconoscere i propri limiti, la volontà di voler migliorare e la consapevolezza, che,
per quanto veloce, anche un’imbarcazione a motore può imbattersi nel cattivo
tempo. Che una barca a vela, assai più lenta, possa essere sorpresa dal maltempo,
la stragrande maggioranza dei velisti ne è consapevole. Per questa ragione un
velista e la sua barca sono in genere meglio attrezzati e più preparati per far fronte
alle diverse e talvolta impegnative situazioni di navigazione.”
Pertanto, come già avvenuto in trattazioni precedenti, le mie
raccomandazioni sono dirette a tutti i diportisti nautici, ma risultano più
appropriate ed opportune per l’ambiente velico, ove la vita di bordo richiede più
adattamento per le difficoltà ambientali più rilevanti e per la durata media più
lunga delle navigazioni.
E mi sia concesso d’ora in poi l’uso del vocabolo tribolante, mia espressiva
italianizzazione del vocabolo ispano-portoghese per indicare un membro
dell’equipaggio. Ciò perché la vita a bordo di una imbarcazione da diporto fra i 9
ed i 16 metri è scomoda e non priva di pericoli, se raffrontata agli agi cui sono
abituati gli odierni terragni.
Ma allora la passione per il mare è solo masochismo? Questa è la
convinzione di chi non la condivida e detesti la vita marinara. Ma come mai
l’andar per mare attrae sempre un maggior numero di persone, pur essendo un
modo di vita, rispetto a quello terragno, sicuramente più costretto e disagevole,
sempre faticoso e talvolta spossante, spesso imprevedibile e talora pericoloso?
E’ il mare che strega ed ammalia e l’uomo, facendolo sognare con il suo
fascino dell’ignoto, con le sue memorie di avventure, con il suo senso di
primordiale che ancora oggi, malgrado la tecnologia moderna, riesce pur sempre ad
ispirare una incoercibile passione.
La passione marinara, come ogni passione, è intrisa di irrazionalità, ma trova
il suo sicuro alimento nella razionalità dell’intimo piacere che si gode nel mettersi 2 “Skipper” Mursia -- 1999
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alla prova per mare, navigando
sulla scia di tanti veri marinai,
famosi o ignoti, antichi o
contemporanei. Una passione che
cresce quando, navigando, si
scoprono in sé energie psichiche
e fisiche insperate, si assapora lo
stimolante incanto
dell’isolamento nella navigazione
d’altura, la quiete di una notte
alla fonda in una baia remota,
l’emozione di avvistare la terra
meta di un viaggio. Una passione
che viene messa alla prova
quando si è preda della gelida
trepidazione per il mare in burrasca o quando si contempla, fra improvvisi squarci
di nere nubi, il tramonto infuocato del sole nel mare agitato, seguito dall’ansia per
la notte incombente. Una passione che si rinnova quando si gioisce di un’aurora
rosata, foriera di nuove speranze portate dal pallido sorgere del grande astro da un
lucido mare grigio, che ritrova magicamente il suo orizzonte.
Il diportista che, salendo a bordo di un’imbarcazione spinto dalla passione
per il mare, voglia seguire lo “stile di vita” proprio di un valido membro
dell’equipaggio, deve valorizzare anzitutto alcune qualità indispensabili per un
piacevole e soddisfacente imbarco: il buon senso, l’adattabilità, la disponibilità, il
rispetto per gli altri ed il rispetto per la barca.
Ribadisco quanto già evidenziato nella lezione n. 8, affermando che la vita a
bordo di uno yacht fra i 9 ed i 16 metri, costituisce un validissimo test psicologico
e comportamentale, in particolare su una imbarcazione a vela. Quindi, lo “stile di
vita” ottimale da tenere su piccolo bastimento è un magnifico banco di prova per i
rapporti di convivenza, i cui criteri possono essere applicati in ogni altra situazione
di relazioni interpersonali: in sintesi è un’ottima scuola di vita. Nel microcosmo di
un’imbarcazione da diporto vengono rapidamente a nudo vizi e virtù dei membri
dell’equipaggio, a cominciare dallo skipper armatore. La passione per il mare, per i
sacrifici che esso impone e per le gioie che regala, costituisce il connettivo, il
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liquido amniotico in cui si crea, si sviluppa e matura l’armonia di un equipaggio.
Quando un insieme di persone sulla stessa imbarcazione supera gli individualismi
e diviene un vero equipaggio, si stabilisce un clima solidale che fa superare ogni
difficoltà, crea inscindibili legami di cameratismo, di sostegno, di stima e di fiducia
che si proiettano nella vita ben oltre la durata dell’imbarco, superando censo, età,
abitudini, mestieri. Armonia non significa assemblearismo o, peggio, anarchia, ma
si basa, come detto in precedenti lezioni, sul rispetto dei ruoli e delle naturali
gerarchie, nella sicurezza che ognuno assolva alle proprie mansioni o supporti chi
non sia in grado di farlo.
Ovviamente su un’imbarcazione, oltre ai tribolanti chiamati a concorrere
attivamente alla vita di bordo nel rispetto delle indicazioni riportate in questo
scritto, vi possono essere anche passeggeri veri e propri, il cui “stile di vita” a
bordo è bene che si conformi il più possibile a quello individuato per i membri
dell’equipaggio, affinché essi risultino ospiti gradevoli e graditi.
Confermo che l’ambiente di bordo è scomodo per ogni equipaggio e ne
condiziona lo “stile di vita”. La natura stessa del mezzo nautico comporta difficoltà
e pericolo, essendo per sua struttura di dimensioni limitate, esposto alle intemperie
della bizzarria meteorologica, alle oscillazioni ed agli sbattimenti imposti dai
capricci del mare, alle insidie nascoste nelle acque delle coste e dell’alto mare.
Nonostante ciò i costruttori di imbarcazioni da diporto attirano i clienti
realizzando barche sempre più lussuose ed accessoriate, concepite per la vita di
porto come status symbol e ville sul mare, piuttosto che come mezzi per navigare.
Sono allestite con cuccette matrimoniali inutilizzabili in navigazione, ma sono del
tutto prive dei teli e delle tavolette anitirollio che evitino al tribolante di precipitare
miseramente sui paglioli3 per un’inattesa virata di bolina o per un’alambardata4
improvvisa nel mare agitato. Si è persa la cultura dei tavoli basculanti, muniti di
riquadri per le stoviglie, che consentivano di pranzare decorosamente seduti a
tavola anche in navigazione. Sono quasi scomparse le spondine antirollio (fisse o
mobili) che impediscano agli oggetti di scivolar giù dai piani e dai tavoli, o di
schizzar fuori dagli stipetti improvvidamente aperti sopravento. I cuscini dei sedili
e dei divanetti, non più solidali con i piani di appoggio, volano via ad ogni
movimento, sfuggendo alla tenue presa delle ritenute di velcro. Sono sempre più 3 Pavimento mobile degli ambienti sottocoperta delle imbarcazioni 4 Improvviso cambiamento di direzione della prua generalmente sotto l’azione di forte vento e mare
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rari sottocoperta, e talvolta anche in coperta, i mancorrenti e le maniglie di
agguanto, indispensabili per muoversi in sicurezza quando la barca rolli e
beccheggi.
Al contrario sono aumentati inverosimilmente gli elettrodomestici e gli
ausiliari imbarcati: questi ultimi non sono più ubicati negli appositi vani per i
macchinari, ma hanno invaso ogni spazio in sentina5, rimanendo pericolosamente
esposti a qualunque inopinato ma sempre possibile allagamento, riducendo la
capienza dei serbatoi e privando della possibilità di stivare alcunché. Lo “stile di
vita” dell’equipaggio deve tenere conto del modesto uso che si riesce a fare di tali
ausiliari moderni: il forte assorbimento energetico ed il complesso impiego, di fatto
ne condizionano il godimento alla sola permanenza all’ormeggio con
alimentazione da terra, sempreché non si verifichino deprecabili quanto frequenti
avarie. Rinunciare a questi comodi ausili? Non certo per principio, ma cercando un
giusto compromesso, fra comodità, sicurezza e funzionalità, tenendo sempre
presente che la tradizione e l’esperienza marinara impongono sobrietà ed
essenzialità nell’allestimento di un’imbarcazione da diporto con cui si voglia
veramente navigare.
Ciò che non è molto cambiato con l’avvento delle moderne tecnologie
nautiche, è la presenza a bordo di tante piccole insidie per l’integrità delle mani e
dei piedi degli sprovveduti membri dell’equipaggio, il cui “stile di vita” marinaro
ne è per forza di cose condizionato. L’attrezzatura e la coperta delle imbarcazioni
sembrano realizzate appositamente per tendere trappole infami, essendo cosparse
di incrostazioni, spine, golfari6, bitte7, coppiglie8, gallocce9, strozzascotte10,
verricelli, bozzelli11, pastecche12, lande13, binari, ruvidi tambugi14 e viscidi
boccaporti15. Sottocoperta il peggior pericolo sempre in agguato è costituito dai
paglioli, che divengono quanto di più scivoloso possa esistere, non appena si
bagnino per la condensa dell’umida aria salmastra o, peggio, per lo sciabordio
5 La parte inferiore dello scafo di un’imbarcazione o nave, fra il pagliolato e lo scafo 6 Anelli per fissare le manovre fisse o correnti 7 Forcelle per legare i cavi da ormeggio 8 Spinotti 9 Forcelle per legare le cime 10 Piccole ganasce a molla per bloccare le cime 11 Carrucole chiuse 12 Carrucole apribili 13 Terminali a scafo delle manovre fisse 14 Parte soprelevata della cabina che sporge dal piano della coperta 15 Passo d’uomo in coperta
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dell’acqua di sentina. Ad evitare dolorose contusioni e ferite alle mani ed ai piedi,
delicate appendici estreme dei terragni, è opportuno “stile di vita” calzare i guanti
da lavoro o da vela quando si traffichino cavi, cime e catene, nonché indossare
sempre le scarpe da barca chiuse, a mocassino o allacciate, dotate di suola
antiscivolo chiara e morbida: non usare mai ciabatte o calzature aperte, prive di
protezione per le dita o di agguanto per il piede.
E’ pur vero che i marinai della tradizione velica o piscatoria lavoravano a
bordo scalzi e a mani nude, per “sentire” bene la nave stando in coperta, o per
agguantare con forza il sartiame andando a riva16. Ma avete mai visto quelle mani
e quei piedi marinari, corazzati da robuste callosità e con scimmiesche attitudini
prensili?! I mozzi e gli allievi
ufficiali, appena imbarcati sui
velieri, dovevano subito “farsi le
mani ed i piedi”: non certo
ricorrendo alle cure del pedicure
e del manicure, ma alando
ruvide e taglienti cime di canapa,
camminando su grossi cavi da
ormeggio bagnati e incrostati, arrampicandosi su infide griselle17 per fare numerosi
giri di barra18, e poi ancora trafficando19, serrando20 e mollando21 rigide vele di
tela olona22 più abrasiva della cartavetra.
A fronte di tanti problemi e disagi, ancora una volta sorge spontanea la
domanda sul perché si vada per mare per diporto, inseguendo uno “stile di vita”
che trasformi un insieme di individui in un amalgamato equipaggio marinaro.
Rispondo con le parole di Piero Ottone1: “Forse è ingenuo dirlo, forse anche un pò
ridicolo. Ma attraverso la sofferenza si migliora.”
16 Salire sul sartiame (cavi di ritenuta) dell’alberatura per la manovra delle vele 17 Scalini di corda fissati sulle sartie per salire sull’alberatura 18 Ascesa e discesa dell’alberatura per addestramento 19 Manipolare per far scorrere 20 Chiudere e legare 21 Sciogliere ed aprire 22 Tessuto particolarmente resistente usato per confezionare le vele e le tende