11 Charles Mingus

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1 IL JAZZ: storia di eroi 11 -Charles Mingus Jr.- Nogales (Arizona), 22 aprile 1922 Cuernavaca (Messico), 5 gennaio 1979 Forse più di qualunque altro jazzista, per Mingus si può dire che la sua musica è assolutamente e completamente autobiografica. Le componenti caratteriali, passionali e il suo orgoglio negro, sono la sua musa ispiratrice: densa di una passione istintiva, primordiale, quasi animalesca. Uomo dalle passioni estreme, ha consegnato al suo fare musica, la missione del riscatto personale, di una razza, dell’artista ghettizzato e incompreso, in uno slancio perennemente al limite della paranoia e dell’esagerazione estrema. Il suo caro amico e sodale dal punto di vista culturale e intellettuale, Max Roach ha detto di lui (a ragione) che aveva attitudine al “drammatico”. Charles Mingus non era un maestro di diplomazia, mai ha rinunciato a dire quello che pensava e all’agire di conseguenza. Non metteva in conto le perdite che potevano derivarne, sia in termini professionali (i contratti stracciati, l’aperto boicottaggio degli impresari musicali, le liti furibonde con i suoi stessi musicisti), sia nelle relazioni personali anche se, la sua profonda umanità non lo ha mai veramente allontanato da nessuno, anzi. Mingus uomo e musicista è stata una contraddizione vivente, un coacervo di personalità che va oltre una “normale doppiezza”.

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IL JAZZ: storia di eroi

11 -Charles Mingus Jr.-

Nogales (Arizona), 22 aprile

1922 – Cuernavaca

(Messico), 5 gennaio 1979

Forse più di qualunque

altro jazzista, per Mingus si può

dire che la sua musica è

assolutamente e

completamente autobiografica.

Le componenti caratteriali,

passionali e il suo orgoglio

negro, sono la sua musa

ispiratrice: densa di una

passione istintiva, primordiale, quasi animalesca.

Uomo dalle passioni estreme, ha consegnato al suo fare musica, la

missione del riscatto personale, di una razza, dell’artista ghettizzato e

incompreso, in uno slancio perennemente al limite della paranoia e

dell’esagerazione estrema. Il suo caro amico e sodale dal punto di

vista culturale e intellettuale, Max Roach ha detto di lui (a ragione)

che aveva attitudine al “drammatico”.

Charles Mingus non era un maestro di diplomazia, mai ha rinunciato a

dire quello che pensava e all’agire di conseguenza. Non metteva in

conto le perdite che potevano derivarne, sia in termini professionali (i

contratti stracciati, l’aperto boicottaggio degli impresari musicali, le

liti furibonde con i suoi stessi musicisti), sia nelle relazioni personali

anche se, la sua profonda umanità non lo ha mai veramente

allontanato da nessuno, anzi. Mingus uomo e musicista è stata una

contraddizione vivente, un coacervo di personalità che va oltre una

“normale doppiezza”.

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E’ lui stesso che lo racconta nella propria autobiografia, in una seduta

con lo psicologo. -In altre parole io sono tre. Il primo, sempre nel

mezzo, osserva tutto con fare tranquillo, impassibile, e aspetta di

poterlo raccontare agli altri due. Il secondo è come un animale

spaventato che attacca per paura di essere attaccato. Il terzo infine è

una persona gentile, traboccante d’amore che lascia entrare gli altri

nel sancta sanctorum del proprio essere e si fa insultare e si fida di

tutti e firma contratti senza leggerli e accetta di lavorare per pochi

soldi o anche gratis, e quando si accorge di cosa gli hanno fatto gli

viene voglia di uccidere e distrugge tutto quello che gli sta intorno

compreso se stesso per punirsi per essere stato così stupido (1).

Mingus parrebbe essere uno dei pochi cognomi di discendenza

africana, anche se potrebbe essere quello ereditato da suo nonno

Daniel (questo succedeva a tutti gli schiavi neri) direttamente dai

padroni bianchi di origine tedesca ai primi dell’ottocento (Stefano

Zenni in- Charles Mingus -Stampa Alternativa 2002). Comunque

anche a prescindere da una ipotetica purezza del nome, certo è che

non corrispondeva la purezza della razza. Il padre Charles Mingus Sr.

-era infatti figlio di un nero e di una svedese, ed era grigio come il

caucasico più pallido dagli occhi nocciola e i capelli color sabbia. La

madre, invece, era di sangue cinese e pellerossa. Cosicché Mingus

era un mulatto, un negro pallido tendente al giallo, risultato dei

molteplici incroci. Una posizione decisamente infelice nella società

americana di allora (2). Il giovane Mingus ebbe testimonianza diretta

di questa sua difficile posizione quando si sentì apostrofare da alcuni

ragazzini messicani con il termine “negro”; ancor di più qualche anno

dopo quando, con il violoncello sottobraccio uscendo dalle prove, un

gruppo di adolescenti neri lo apostrofò chiamandolo con disprezzo

“negro, mezzo-giallo color merda”.

In questo periodo, siamo intorno al 1933-34, nel sobborgo nero di

Los Angeles, Watts, dove abitava Charles, gli episodi di razzismo

erano all’ordine del giorno, era la normalità, brutale e quotidiana. Era

anche l’incubazione di una sorta di bomba sociale innescata, che

culminerà nel 1965 con la rivolta del ghetto nero e la conseguente

repressione della polizia, tra le più violente mai verificatesi in

America.

Tra gli elementi che peseranno sulla personalità di Mingus, la

formazione adolescenziale avrà un posto determinante. Egli, per la

condizione della sua pelle, vivrà una duplice esclusione sociale. Se da

un lato la comunità bianca, a cui il padre despota spingeva i figli, lo

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rifiutava in quanto nero (basta un solo avo nero) anche se di pelle

chiara; la comunità nera del ghetto lo scansava perché borghese e

per la pelle chiara.

Non per nulla il titolo della sua autobiografia, “Peggio di un bastardo”,

riassumerà al contempo una condizione e un celato senso di

frustrazione di una persona di grandissima umanità e genialità

artistica, che si sente sola e quasi inascoltata. Certo rispetto ai fatti

descritti, l’alone paranoico e vittimistico che si costruisce attorno

Charles Mingus, abbonda sul piano dei fatti che vi si narrano, ma

sicuramente si può dire che sul piano emotivo la realtà fosse proprio

quella.

Crescendo e anche affermandosi sul piano artistico, Mingus reagì a

questa sua condizione, come abbiamo accennato, con impeti di rabbia

violenta e autodistruttiva e con gesti clamorosi. Sono innumerevoli i

fatti che lo vedono protagonista di alterchi sul palcoscenico con

qualche suo musicista che non suonava come lui voleva. E’ capitato

che addirittura interrompesse il brano a metà e lasciasse il palco, non

senza aver apostrofato il malcapitato di turno. Oppure le sue violente

liti con i proprietari dei locali che pretendevano una musica a

“misura” dei loro clienti, o che con una scusa qualsiasi “tiravano” il

prezzo concordato; non si faceva intimorire Mingus e parte degli

arredi del club andavano immediatamente fuori uso.

Anche chi, come Leonard Feather critico musicale e organizzatore,

conosceva e apprezzava le sue capacità artistiche, si dovette

arrendere al carattere rissoso e paranoico di Mingus, rifiutandosi ad

un certo punto di interessarsi della sua musica e di organizzargli i

concerti. Ma Charles Mingus era anche uomo profondamente solo e di

questa sua grande solitudine aveva molta paura. Continuamente alla

ricerca di chi sapesse ascoltarlo e gli mostrasse comprensione, trovò

in Nat Hentoff, anche lui come Feather grande critico musicale, una

sponda amicale sincera e profonda, a cui Mingus restò legato per

lungo tempo. Sapeva essere generoso Charles con quanti sentiva che

poteva fidarsi e onestamente sapevano comprenderlo sino in fondo.

Uno dei pochi musicisti a cui si legò (l’altro fu Dannie Richmond) in

modo profondo e denso di ammirazione anche per la statura umana

dell’uomo, fu Eric Dolphy, straordinario sassofonista e clarinettista,

morto giovanissimo (36 anni) di diabete. Dolphy fu personaggio

schivo e austero, dotato di una straordinaria tecnica strumentale e di

qualità compositiva di non poco rilievo, fu a fianco di Mingus in tante

indimenticabili performance concertistiche in America e soprattutto in

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Europa. Per certi versi restano indimenticabili le loro esibizioni al

Festival Jazz di Juan les Pins ad Antibes e poi a Parigi nel 1964.

Charles Mingus come lo era nella vita, un originale, lo è stato

anche nella sua arte. La sua musica non ha fatto scuola, perché era

inimitabile, pur essendo riconoscibilissima la fonte a cui Mingus si

rifaceva. In musica è stato uno straordinario conservatore-

rivoluzionario, se l’ossimoro non spaventa, ma è difficile trovare un

altro termine per dire della caratteristica di fondo della sua musica. Il

blues, la tradizione di New Orleans e della Chiesa negra,

l’ammirazione mai cessata per Duke Ellington, la folgorazione del

genio Parkeriano, furono i suoi costanti riferimenti di fondo.

Eppure tutto quello che ha composto è riconoscibilissimo per

originalità e caratteristiche uniche; non ricalca Mingus, elabora con

passione e con intenti di fondo che si spingono ben oltre la musica

stessa. Quasi non esiste una composizione di Charles Mingus, che

non abbia un suo substrato politico e sociale, ma anche psicologico. Il

contrabbassista e l’uomo Mingus sono inscindibili e quando non è

direttamente lui a intervenire nelle note di copertina, demanda il

compito al suo psicologo, dottor Pollock. Ma Charles Mingus non si

limita ad esplicitare il suo pensiero militante con le note e le poesie

che accompagnano i suoi dischi. La sua rabbia esplode nelle

composizioni, nell’inventiva ironica e tagliente contro il governatore

razzista dell’Arkansas Faubus. Il suo riflettere sulle condizioni

dell’uomo moderno, le ritroviamo nel brano Pithecanthropus Erectus,

che poi da il titolo all’album stesso, composto quasi fosse una breve

suite, descrive in quattro movimenti -in cui si ripercorrono le tappe

dell’evoluzione dell’uomo, condannato a un ineluttabile declino dalla

sua superbia: il complesso di superiorità che si impadronì di lui dal

momento in cui egli assunse, in mezzo agli altri animali, la posizione

eretta-(3). Evolution/Superiority-Complex/Decline/Destruction.

Charles Mingus rimase estraneo alla influenza del Free,

nonostante ne anticipò, per certi versi, alcune caratteristiche come

l’amore per le improvvisazioni collettive e ancor di più per quella

musica quasi gridata e densa di una feroce invettiva sociale. Il suo

Pithecantrhopus Erectus è del 1956, Ornette Coleman arriva con

l’album manifesto Free Jazz nel 1960; mentre per il Bop, Mingus

arrivò quasi alla fine. Fu uno dei protagonisti di quell’evento, che nel

1953 a Toronto, fu da tutti concordemente considerato il canto del

cigno del Be Bop. Quindi Mingus si propone come musicista che

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difficilmente può essere confinato nella cerchia di un genere o di un

movimento jazzistico definito.

Si potrebbe dire, con una qualche forzatura, che dal punto di vista

filologico, la sua opera si pone come cerniera tra il Bop e il Free, ma

distinguendosi con una propria peculiare originalità.

La sua personalità difficile, scontrosa e al limite dell’aggressività, dai

modi irruenti e quasi violenti, era un tutt’uno con l’altra generosa e

dolcissima, bisognosa d’amore e di considerazione, lo portò a

sperimentare con audacia e genialità una sua personale ricerca

musicale, un suo modo di comporre e concepire la musica quasi come

una sorta di missione.

Anche nella metodologia delle esecuzioni, Charles Mingus aveva una

sua particolare forma: acquisita una piena consapevolezza di

bandleader e compositore, Mingus si limitava ad una informazione

generale sulle caratteristiche fondamentale della sua composizione.

Ne delineava il tema al pianoforte, lasciando ampio spazio per

l’improvvisazione dei suoi musicisti. La questione fondamentale per

lui rimaneva quella, si potrebbe dire, dell’animus del brano stesso,

del “sentimento” che diventava il collante per le individualità dei

componenti del gruppo stesso. Mingus lasciava totale libertà ai suoi

musicisti, nel senso che ognuno poteva esprimersi al massimo delle

proprie capacità e al contempo sentirsi interprete di un disegno

artistico totalmente svincolato dalle classiche convenzioni stabilite a

priori.

Il valore di Charles Mingus compositore e innovatore lo ritroviamo a

metà degli anni cinquanta quando nel già citato Pithecantropus

Erectus, racconta il cammino evolutivo dell’uomo, concependo il

brano con tinte fortemente espressioniste, dove le atmosfere

melodiche cambiano bruscamente e la libertà espressiva del gruppo

anticipa alcuni tratti caratteristici del Free Jazz. Ancora di quel

periodo è la trasfigurazione in chiave descrittiva, che rimanda alle

suggestioni del “caos” metropolitano, della romantica canzone A

foggy day di Gershwin. Le sirene dei battelli, i fischietti dei poliziotti,

rumori di ogni genere che il passante incontra quotidianamente nella

grande metropoli avvolta dalla nebbia, sono i componenti di un

quadro musicale modernissimo che raffigura la San Francisco vista

dagli occhi visionari e futuristi di Charles Mingus.

Per certi versi si può dire che Charles Mingus affidava al suo

fare musica un compito che andava ben oltre le cose terrene, per

spingersi in un territorio esoterico e mistico, quasi si sentisse

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investito di una missione spirituale. Più chiaramente Mingus,

attraverso la sua musica, praticava una sorta di rivalsa artistica

verso quelle che a lui parevano forme di ingiustizia perpetuate

dall’uomo bianco, di cui si sentiva vittima.

In verità Charles Mingus era uomo di acuta intelligenza e di fine

intelletto a cui non sfuggiva la propria condizione di dissociato, e

proprio per questa sua amara consapevolezza, anche quando nessuno

più metteva in discussione la sua statura di musicista, ebbe la

necessità di capire, conoscere e tentare di guarire da una sorte di

perenne angoscia esistenziale che lo accompagnava sino da bambino.

Non può spiegarsi altrimenti il suo volontario ricovero nell’ospedale

psichiatrico di New York, permeata certo da un –impudico

esibizionismo che gli era caratteristico, ha voluto lui stesso fornire al

largo pubblico la chiave per penetrare nella sua psiche turbata -(4).

Charles Mingus nasce a

Nogales, nell’Arizona, il 22 aprile

del 1922. Sua madre Hariett,

muore qualche mese dopo, il

padre si risposa abbastanza

presto e il giovane Charles

crescerà con la matrigna che

chiamerà sempre “mama”.

Non ha ancora un anno Charles

quando il padre, che faceva il

capomastro, trovato un impiego

presso l’ufficio postale di Los

Angeles, si trasferisce con tutta la

famiglia nel ghetto nero di Watts

di quella grande città. Charles ha due sorelle maggiori, Vivian e Grace

e un fratellastro, Odell Carson, tutti e tre sono musicisti: Vivian suona

il pianoforte, Grace il violino e Odell, la chitarra. Ebbe quindi la

fortuna, il piccolo Charles di ritrovarsi circondato dalla musica sin

dalla più piccola età. Questo era dovuto al fatto che il padre, aveva

inculcato nei figli che una sana educazione borghese attraverso la

musica, naturalmente quella classica, fosse il giusto viatico per

l’accettazione sociale nella comunità bianca. Per Charles fu scelto il

trombone, ma dopo svariati tentativi di approccio, vuoi per la

grossolanità, per un bambino piccolo, di quello strumento, sia per

altrettanti equivoci con il suo insegnante, viene abbandonato e al suo

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posto subentra il violoncello. Dopo un qualche periodo in cui imparò a

strimpellare qualcosa con quel nuovo strumento, assieme alle sorelle

costituisce un trio che accompagna le funzioni religiose che si

tenevano nella chiesa metodista del quartiere.

In quel periodo la radio era il mezzo con cui oltre alle notizie generali,

si poteva sentire anche la musica. Il giovane Charles una sera sentì

attraverso quello strumento, una musica particolare, a suonarla una

grande orchestra: era jazz, l’orchestra quella di Duke Ellington.

Rimase folgorato Mingus, per lui una sorta di rivelazione, che nel

tempo si trasformerà in ammirazione e ispirazione artistica continua.

Ma la musica “nera” in qualche modo faceva già parte del mondo del

giovane Mingus, egli aveva avuto occasione con la matrigna, di

frequentare anche la Holiness Church, dove per la prima volta egli

ebbe modo di incontrare i gospel e il blues e quindi rimanere colpito

da quel trasporto quasi primitivo e selvaggio con cui la comunità

seguiva gli incitamenti del predicatore di turno.

Ricordi forti per il giovane Charles, mai scorderà quella atmosfera e il

corale sentimento che pervadeva la comunità di credenti; più di una

sua composizione, anche tra le più notevoli, valga per tutte la

straordinaria Better giti t in your soul, riprenderà quel mistico clima di

passione e preghiera.

Quando, all’età di quindici anni, Charles si iscrive alla Jordan

High School, trova subito posto nell’orchestra sinfonica, dove nella

sezione violini, già suona la sorella Grace. Non sarà un buon periodo

questo per il giovane Mingus: conoscerà ancora una volta il clima di

emarginazione e di scherno ad opera dei compagni più grandi di lui.

Non veniva accettato per il colore “non deciso” della sua pelle: non

completamente bianco, né totalmente nero. Pervaso da un forte

sentimento di frustrazione, il giovane Charles arrivò persino a lisciarsi

i capelli come fosse un bianco e ad arricciarli per essere un vero

negro, ma ugualmente nessuno se lo filava. - Ogni volta che,

guardandosi allo specchio, si chiedeva: “Cosa sono io?” gli sembrava

di vedere una serie di etnie -indiana, africana, messicana, asiatica e

una certa percentuale bianca, di cui suo padre si era sempre vantato.

Lui voleva essere una cosa o l’altra, e invece era un po’ di tutto,

senza essere niente di preciso: senza una razza, un Paese, una

patria, degli amici- (5). Tra tanta avversità, un raggio di sole. In

quella scuola Charles Mingus, dopo qualche anno, incontra Buddy

Collette, diciottenne e quindi di un anno più grande di lui. Buddy era

già in quel periodo un più che promettente sassofonista e soprattutto

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un ottimo flautista jazz, divennero subito amici, lo rimarranno per

sempre. Fu proprio Buddy Collette a convincere il giovane Mingus a

lasciare il violoncello con argomentazioni forti che toccarono il cuore

sensibile di Mingus. L’incontro non avvenne a scuola, bensì in strada,

precisamente sul luogo di lavoro di Charles. Egli infatti, d’estate per

mettere da parte qualche soldo, faceva il lustrascarpe sulla 103a.

strada; Buddy e i suoi amici musicisti lo avvicinarono e lo convinsero

a lasciare quello strumento (il violoncello) da bianchi e a entrare nel

loro gruppo come contrabbassista, quello si (il contrabbasso) che era

uno strumento, certo meno aristocratico, ma da vero negro! Fu

tramite il suo vecchio amico trombonista Britt Woodman che incontrò

come primo insegnante il bassista Red Callender e successivamente

Herman Reinschagen primo contrabbasso della Filarmonica di New

York. Nonostante Callender fosse più vecchio di lui di soli due anni,

aveva già sviluppato un’ottima tecnica strumentale e riuscì a iniziare

Mingus ai fondamentali del contrabbasso. Essendo i due quasi

coetanei nacque anche una profonda amicizia, nel tempo mai

interrotta e quei due dollari a lezione che Mingus pretese di pagare,

pare che si trasformassero, per i due amici musicisti, in gelati e uscite

al cinema.

Fu un periodo intenso e ricco di soddisfazioni per Mingus, c’era ancora

l’orchestra della scuola, poi la piccola band di Collette, il tempo che

gli rimaneva lo spendeva nelle esercitazioni casalinghe, dove

incominciava anche a sviluppare una certa tendenza alla

composizione.

Ma fu durante la frequentazione del conservatorio privato del maestro

Lloyd Reese, che Charles Mingus prese le vere e importanti lezioni di

armonia e composizione. Reese, borghese colto e raffinato aprì la sua

scuola a molti musicisti che poi diventarono grandi jazzisti, tra gli altri

è d’obbligo ricordare, oltre Buddy collette, Eddie Davis, Dexter

Gordon, lo stesso Ben Webster e poi un ragazzo di colore che, per

pagarsi la retta, tagliava le siepi e rasava l’erba dei vicini di casa.

Quel ragazzo si chiamava Eric Dolphy e, anche se con Mingus, non

stabilirono una speciale amicizia allora, i loro destini si sarebbero

incrociati circa venti anni dopo, dando vita ad un sodalizio artistico e

umano di grande spessore.

Quindi alla scuola di Reese, Mingus apprese non solo le basi di

composizione e arrangiamento, ma tramite quel grande maestro

aveva acquisito una grande fiducia nella possibilità che la

combinazione prodotta da più suoni da un numero imprecisato di

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musicisti, può essere annotata e che quindi anche al contrario, un

una serie di suoni prodotta (pensata) nella testa di un singolo, può

essere scritta e conseguentemente riprodotta da diversi musicisti.

Convinzione che resterà in Mingus per molti anni e lo spingerà quasi

da subito a dedicarsi alla composizione.

Charles Mingus crescendo aveva compiuto passi in avanti anche

rispetto alla sua personalità, sempre in bilico tra un senso di

frustrazione, dato dal suo sentirsi un emarginato, e gli scatti di aperta

ribellione che ne conseguivano. L’incontro con Buddy Collette, far

parte di una band che qualche ingaggio lo conquistava, la

frequentazione del padre di Buddy, lo “irrobustirono” anche dal punto

di vista dell’educazione sentimentale. Il mai sopito amore infantile per

Lee-Marie sfocia in un rapimento e la conseguente fuga avventurosa

in Messico. Il padre di lei era così ostile al giovane Charles che arrivò

persino a sparargli mandandolo all’ospedale, picchiò anche la figlia

che perse il bambino, e allontanò da Charles Lee-Marie, mandandola

all’estero.

Abbastanza sconvolto da quegli avvenimenti, Charles Mingus lascia il

ghetto di Los Angeles e si reca a S. Francisco. Qui ha delle occasioni

per mettersi in mostra anche in una grande orchestra, ma per tirare

avanti dovette inventarsi altri lavori tra cui anche il postino. Pare che

sia di quel periodo, siamo intorno al 1939, che nasce una sua

composizione orchestrale dal titolo Half-Mast Inibition, registrata poi

solo nel 1960.

Finita quell’esperienza il giovane Charles rientra a Watts, ma trova

dei cambiamenti in famiglia, dove al padre avevano amputato una

gamba e aveva anche lasciato la moglie per andare a vivere con

un’altra donna. Questi avvenimenti, seppur dolorosi, permisero a

padre e figlio di ritrovarsi e avviare una comunicazione sincera e

confidenziale come mai lo era stata. Intanto anche la sua vecchia

band si era smembrata, chi era partito per il servizio militare, altri

che suonavano altrove, chi, i più fortunati, a proseguire l’avventura a

New York.

Nel 1940 Mingus, si sposa con Canilla Jones Gross una ragazza

di colore, che nell’autobiografia si chiamerà Barbara Jane Parker,

presto il rapporto coniugale si fece difficile. Anche Mingus, come molti

musicisti, un po’ per la vita da girovaghi e la frequentazione dei locali

dove le opportunità non mancavano di certo, si lasciò andare a diversi

incontri extraconiugali. Suonò ancora con gli amici di sempre Collette

e Woodman e si impegnò moltissimo con lo strumento acquisendo

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abilità tecnica e velocità di esecuzione, non trascurando l’esercizio

anche al pianoforte. E‘ anche il periodo che impegnandosi a fondo con

il contrabbasso, per diventare “il più bravo” di tutti, scopre poi che lo

strumento non è il fine ultimo e che è la sua persona che orienta la

musica che si sente dentro. Pensiamo che sia di questo periodo una

sorta di presa di coscienza di quello che poi diventerà la sua mission

artistica: comporre e suonare sotto dettatura della sua passione, dei

suoi sentimenti più profondi ed estremi.

In quello stesso anno, le sue esperienze di musicista si fanno

notevoli, conosce tramite Red Callender i fratelli Young, Lester il

grande sassofonista e Lee batterista, entrando a far parte del loro

complesso con cui suona sino al 1941. Proprio Lee lo mise in contatto

con il grande pianista cieco Art Tatum che aveva intenzione di

formare un duo e cercava un contrabbassista; dopo varie prove

anche positive a casa del pianista, non si riuscì a trovare alcun

ingaggio per il duo, ma Charles Mingus rese pubblico ringraziamento

al pianista per quanto, quel seppur breve periodo, fu importante per

la sua crescita artistica.

Ha poco più di venti anni Charles Mingus, quando nel 1943

entra a far parte dell’orchestra del grande Louis Armstrong, che

lascerà spontaneamente dopo alcuni mesi quando viene a sapere di

una tournée da fare nel Sud degli Stati Uniti. Non aveva nessuna

intenzione Mingus di prendersi insulti e scherni di stampo razzistico -

Non avevo proprio nessuna intenzione di andare in quella merda di un

posto, a prendermi merda da qualcuno del Sud. Così Louis decise che

sarebbe stato meglio se avessi lasciato l’orchestra-(6).

Quando qualche tempo più tardi l’ex clarinettista di Duke Ellington,

Barney Bygard mette su in California una propria orchestra, Mingus è

chiamato a farne parte e tra le altre cose avrà poi, in seno a quella

Big Band, l’occasione di suonare a fianco del grande Kid Ory, mitica

figura del jazz di New Orleans.

Con i fratelli Jacquet (Illinois e Russel), Charlie entrò per la prima

volta in studio di registrazione e sempre in California, nel 1945,

collabora con il trombettista bop Edward McGhee, arrivato laggiù

qualche tempo prima con il gruppo di Coleman Hawkins. Fu proprio

tra la fine di quell’anno e i primi del 1946 che il Be Bop sbarca in

California con il gruppo di Dizzy Gillespie, dove svettava la

carismatica figura di Charlie Parker. Fu quindi al club Billie’s Berg di

Hollywood che Mingus vide e sentì per la prima volta Bird e questa,

dopo Ellington fu la seconda folgorazione. Testimone di quella grande

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ammirazione fu Miles Davis che nella sua autobiografia afferma che

Mingus non mancò una sola serata al club per sentire Charlie Parker.

Non solo Davis disse dell’ammirazione di Mingus per Bird ma, in

occasione di alcune jam session dove Mingus si esibì al contrabbasso,

affermò anche delle grandi capacità del musicista di Nogales e che già

allora si intravedeva quel grande genio che poi sarebbe diventato.

E’ importante sottolineare come in questo periodo, lo spessore

artistico e soprattutto la vena di compositore di Mingus si affacciano

in modo preciso e sicuro agli occhi di musicisti già affermati e con

notevoli esperienze già consumate. Sta di fatto che, quando per le

tragiche e note vicende, Charlie Parker viene ricoverato al Camarillo,

Mingus si unì a Miles Davis e Lucky Thompson, e con loro oltre che

fare dei concerti scriveva dei pezzi che sottoponeva agli altri musicisti

con piglio sicuro, quasi già esercitandosi a essere quel grande leader

che diverrà non molto tempo dopo; riportiamo la testimonianza dello

stesso Miles Davis -...Lui scriveva dei pezzi che provavamo assieme,

Lucky, io e lui....Io gli contestavo spesso il fatto che amasse tanto

questi cambiamenti di accordi bruschissimi nei suoi pezzi...lui

sorrideva e diceva: “Miles, limitati a suonare le stronzate che ho

scritto, come le ho scritte”- E io lo facevo....Mingus suonava qualcosa

di veramente diverso...Allora io lo prendevo per i fondelli: “Mingus

perché stai suonando in questo modo?”... Ma lui sorrideva con quel

sorriso così dolce, e continuava a fare quello che stava facendo.

Mingus era veramente diverso da tutti gli altri, era un genio puro (7).

In quel 1946 Mingus svolse una

grande attività come strumentista.

Abbiamo detto del suo incontro con i

Boppers e poi anche come membro di

un’orchestra di undici elementi tra cui

spiccavano i nomi di Lee Young alla

batteria e Lucky Thompson al

sassofono. Ci fu anche un tentativo da

parte di Charles Mingus di formare un

proprio gruppo insieme al suo amico

Woodman, Buddy Collette e lo stesso

Thompson, ma la mancanza di ingaggi

fece naufragare il progetto.

I maggiori riferimenti di Mingus contrabbassista erano in quel periodo

Oscar Pettiford, uno dei primissimi boppers, suo coetaneo che

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suonava anche il violoncello con la tecnica del pizzicato dove era un

maestro. Altro riferimento importante per il musicista Mingus fu il

grande contrabbassista Jimmy Blanton che, arrivato giovanissimo (19

anni) nell’orchestra di Duke Ellington, rivoluzionò attraverso una

tecnica prodigiosa, non solo l’uso dello strumento, ma ne indicò un

ruolo da protagonista nell’ambito del Jazz, imponendolo a livello

solistico oltre che ritmico, Blanton morì a soli 34 anni per una

polmonite.

Naturalmente si faceva sentire l’influenza del Duca che soprattutto sul

piano della composizione spingeva il giovane Mingus alla perfezione

formale, tipica della West Coast e alle ardite sperimentazioni che

tendevano alla combinazione del linguaggio jazzistico con le tendenze

classiche, soprattutto degli impressionisti francesi, Debussy in primo

luogo.

Se si può affermare che questi anni sono, dal punto di vista

della crescita e dell’affermazione di un proprio linguaggio musicale,

piuttosto rilevanti per Charles Mingus, lo stesso non si può dire per la

sua vita privata.

Il matrimonio con Canilla si concluse e Charles lasciò Los Angeles per

recarsi a San Francisco dove si sistemò in una pensione per cercarsi

poi un lavoro come autista di taxi, ma la sua giovane età (non aveva

ancora compiuto i 25 anni) gli impedì di farlo, trovò un impiego come

postino e si arrangiava a suonare qualche volta la sera. Nel tentativo

di regolarizzare la sua iscrizione al sindacato dei musicisti, Mingus

incorse in qualche problema che in sostanza lo lasciò isolato e senza

la possibilità di avere un minimo di proposte professionali. Quando

capì che da lì a qualche settimana non avrebbe più avuto i soldi

neanche per pagarsi la pensione, tornò a Los Angeles.

Qui ebbe la fortuna di rincontrare i suoi amici Woodman e Joe Confort

che ormai da un po’ suonavano nell’orchestra del grande Lionel

Hampton che proprio in quel momento doveva sostituire uno dei

contrabbassisti. Hampton fu pienamente soddisfatto dall’audizione

fatta da Mingus e quindi trovò un ottimo impiego come musicista ma

anche un buon rapporto professionale con Hampton che sarebbe

durato un qualche anno. Mingus ebbe l’occasione di farsi notare

anche come compositore e un suo brano, Mingus Fingers fu

apprezzato dallo stesso Hampton che non esitò ad inserirla nel

repertorio dell’orchestra.

Il brano venne poi anche inciso ma a Mingus non arrivò nessun

beneficio economico perché la moglie di Hampton pretese la

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13

pubblicazione a nome del solo marito; la pubblicazione era

importante per Mingus e quindi, malvolentieri dovette sottostare a

quella sorta di ricatto.

Fu con quell’orchestra che Charles Mingus arrivò per la prima volta a

New York, fu proprio alla fine del 1947 e in quell’occasione incontra

anche Fats Navarro da poco chiamato a far parte della banda. Tra

Mingus e il giovane trombettista della Florida si stabilì un grande

rapporto di amicizia e di affinità culturali intensissimo che finì solo

quando l’ancor giovane Fats morì solo tre anni dopo, stroncato da una

forma di tubercolosi a causa della sua forte dipendenza dall’eroina. In

tema di razzismo e di “avversità verso l’uomo bianco” parlavano la

stessa lingua. Fats e Charles e la camera che dividevano da buoni

fratelli diventava quasi tutte le sere a fine lavoro, il luogo amaro delle

riflessioni di due giovani musicisti neri altamente consapevoli del

mondo in cui erano costretti a sopravvivere. -“ Accidenti, siamo loro

proprietà Mingus, se non siamo loro proprietà ci spingono fuori scena.

Per l’uomo bianco il jazz è un grosso affare, e tu non ti puoi muovere

senza di lui. Noi siamo solo le formiche operaie. Lui ha i giornali, le

agenzie, le compagnie discografiche e tutti i posti che vendono jazz al

pubblico. Se tu non sei disposto a venderti e cerchi di combattere,

non ti assumono e trasmettono una cattiva immagine di te con quella

falsa pubblicità...” -(8).

Altro incontro importante, durante l’estate del 1948 per Mingus, fu

quello con Billie Holiday che, anch’essa artista sublime ma schiava

della droga, soffriva per una esistenza difficile ed infelice, non lontana

quindi dalla sensibilità perennemente offesa dello stesso Charles e

per i loro bruschi caratteri. Per lei Mingus scrisse anche una canzone

che Billie però non incise mai, Eclipse.

Nel 1949, dopo essere rientrato a Los Angeles e conclusa la sua

esperienza con Hampton, Mingus incontra Donna Parker, una

bellissima ragazza bianca che stando a quanto riportato nella sua

biografia, si dichiara disposta a prostituirsi per lui, in modo che possa

realizzarsi come musicista. Dando ampio credito a Mingus, quindi lo

ritroviamo non solo con una donna, bensì con due, pronte a

“sacrificarsi” per l’artista e la sua carriera. La seconda è addirittura il

suo primo amore Marie-Lee che ritrova a Sausalito, vicino a San

Francisco e che sostanzialmente, stando sempre al suo raccontare, lui

e il cugino Billy rapiscono, e, lei dimostrandosi felicissima, “entra in

società” con Donna per la stessa causa. La premiata ditta Donna-Lee

quindi “si venderà” perché Mingus possa ritornare a New York, dove

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le opportunità per un jazzista sono molte di più di quanto non possa

offrire la West Coast. Sulla veridicità o meno di questa vicenda

Mingus, in un colloquio con il grande critico Arrigo Polillo che, non

perfettamente convinto volle sincerarsi alla fonte, con una certa

solennità disse che era tutto vero (pag. 697 Jazz di A. Polillo).

Ma il ritorno di Mingus a New York non fu per nulla facile, certo

riprese contatti con i musicisti che aveva conosciuto durante la

permanenza con l’orchestra di Hampton e ne incontrò di nuovi, tra cui

i pianisti Lennie Tristano e Thelonious Monk e il batterista Max Roach,

con cui poi stringerà una solida e duratura amicizia. Ma gli ingaggi

scarseggiavano e Mingus mal sopportava le condizioni da

“mantenuto” che gli derivava dal “lavoro” delle due donne, o meglio

l’abito del magnaccia non poteva essere vestito da uno come lui, non

era nel suo animo: non poteva perdere ogni tipo di sentimento, né di

sensibilità. Scappò Mingus da New York, vergognandosi di quello che

stava diventando, delle serate sprecate a bere e a “vendere” le sue

donne, delle risse scatenate in quei locali frequentati dai bianchi. Ma

alla fine del 1949 Charles Mingus viene chiamato dal vibrafonista Red

Norvo per far parte del suo trio insieme al chitarrista Tal Farlow, due

musicisti bianchi e, soprattutto Norvo sicuramente noto e apprezzato

dal pubblico e dalla critica. Già nell’orchestra di Woody Hermann e poi

con Benny Goodman, Red Norvo offrì a Mingus l’opportunità di farsi

conoscere in gran parte degli Stati Uniti, sia per i numerosi dischi

incisi in quel periodo, sia per i tanti concerti in altrettante città. Agli

inizi del 1951 il trio di Norvo arriva a New York dove si esibisce con

successo in molti club, ma quando al “Rosso” viene proposto uno

special a colori in televisione, comunicò a Mingus che per la TV gli

serviva un contrabbassista bianco! Figuriamoci Charles, lo sotterrò di

urla e di insulti e naturalmente se ne andò arricchendo ancora di tristi

episodi il suo rapporto con “i bianchi”. Pare che la ragione per cui

Mingus non poteva andare in televisione fosse dovuta anche alla sua

mancata iscrizione al sindacato dei musicisti di New York. Certo era

comunque che in quel periodo, la preoccupazione degli inserzionisti

pubblicitari in tv era rivolta proprio al pubblico del Sud, sicuramente

razzista e segregazionista al massimo. Era comunque difficile far

ragionare uno come Charles Mingus che, già allora iniziava a

manifestare una sorte di turbe ossessiva e nevrotica rispetto a ogni

questione che minimamente implicasse il colore della sua pelle; anche

avendo mille ragioni, Mingus non riusciva a contenersi e gli effetti

della sua collera erano uguali a quelli di una bomba a grappolo.

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15

Volle comunque restare a New York dove, dopo un breve rientro in

California per un precedente impegno contrattuale con Norvo, a

settembre del 1951 lo troviamo al Birdland. Suona in quel club con

Miles Davis, Art Blakey, Eddie "Lockjaw" Davis, Big Nick Nicholas e

Billy Taylor al piano, sarà sempre con il pianista Taylor in novembre

allo Storyville di Boston in trio con il batterista Marquis Foster e

quindi a dicembre, il 18, in studio di registrazione nuovamente a New

York con il Melvin Moore septet.

Mingus ebbe occasione di suonare di nuovo con Charlie Parker che lo

aiutò molto nella decisione di restare a New York. Bird incoraggiò

Mingus a non mollare del tutto la musica, quando per poter

sopravvivere in città questi fu costretto a svolgere altri lavori, tra cui

anche fare le consegne di Pepsi Cola con un camioncino e poi di

nuovo il postino. Fu proprio Parker che riuscì a convincerlo a mollare

il lavoro alle poste e dedicarsi completamente alla musica, soprattutto

alla composizione, capacità che Bird ammirava molto in Charles

Mingus.

Intanto nello stesso 1951 Charles si sposa per la seconda volta, la

consorte si chiama Celia Nielson, il matrimonio durerà sino al 1957,

ma Celia avrà un ruolo molto importante nella gestione economica e

commerciale della casa discografica che il marito metterà in piedi l’

anno successivo.

Un altro fatto importante, per la carriera di Mingus, nel 1951 è

l’incontro e la relativa frequentazione con Lennie Tristano, il pianista

reso cieco da una forma terribile di influenza, di origini italiane. In

quel periodo Tristano si stava ritirando dalla scena concertistica per

dedicarsi esclusivamente all’insegnamento. Frequentò quindi Mingus,

la casa di Tristano insieme ad altri musicisti che poi diventarono

piuttosto noti, proprio per l’influenza del grande pianista bianco che

fu un profondo innovatore e sperimentatore: lezione che Mingus

ricorderà negli anni successivi della sua carriera.

Nel 1952 assieme al batterista Max Roach e con l’aiuto di un

amico dello stesso, fonda una casa discografica, la Debut, una

impresa lodevole ma piena di rischi e che in definitiva non ebbe una

grande fortuna. I due musicisti svilupparono un’amicizia profonda e

una solida intesa sul piano culturale e politico rispetto alla condizione

dei neri d’America. L’impresa era coraggiosa, soprattutto per due

musicisti di colore che in questo modo concreto davano battaglia alle

grandi case discografiche dominate dai bianchi. Tentavano in questo

modo di porre la questione dell’indipendenza artistica e commerciale

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della loro musica, Mingus poi storicamente non riuscì ad avere, in

tutta la sua carriera un buon rapporto con le majors discografiche.

Aperta sfida quindi, più tardi Max Roach realizzò con la Debut la

famosa Freedom Now Suite, autentico manifesto politico musicale

militante da cui deriverà anche il nome il movimento politico

“Freedom now” (Libertà subito). Con la Debut registrarono, nei suoi

cinque anni di vita, non solo Mingus e Roach, ma giovani talenti (non

solo neri) tenuti ai margini dal mercato e musicisti non più

giovanissimi che venivano trascurati dal mercato discografico

ufficiale. La seduta di inaugurazione avvenne nello studio di Lennie

Tristano al 317 East 32nd Street di Manhattanil 12 aprile del 1952 e

tra gli altri, oltre Mingus parteciparono il batterista Al Levitt, il

sassofonista Lee Konitz. Ancora a settembre Mingus registra, sempre

nello studio di Tristano, con un quintetto a suo nome, di cui fa parte

anche Max Roach, ma l’attività di Mingus musicista non si ferma alla

propria casa discografica.

A gennaio del 1953 si avvera un suo grande sogno: entra

nell’orchestra di Duke Ellington. Non ci resta molto, appena due mesi:

litiga in modo furibondo con l’arrangiatore portoricano del Duca, Juan

Tizol, si minacciano a vicenda per una questione di interpretazione di

un accordo di basso, spunta fuori un coltello poi un’ascia che spacca

una sedia. Per il compassato Ellington è troppo, con molto garbo e

con il sorriso sulle labbra ottiene le dimissioni di Mingus: grazie

Charles ma di attaccabrighe in orchestra ne basta uno.

Per la Prestige registrerà con il quartetto del pianista George

Wallington, con alla batteria il fido Roach. Ancora in duo con il

pianista John Mehegan realizza l’album From Barrelhouse To Bop (A

History of Jazz Piano); a dicembre del 1952 è ancora con Charlie

Parker in sestetto in studio a Boston e poi in trio, al "Birdland" di New

York il 23 marzo del 1953, con Bud Powell e Roy Haynes e al "Club

Kavakos" di Washington il 5 aprile successivo.

Forse l’album più conosciuto, insieme al Freedom now Suite di Max

Roach, della Debut fu quello che registrò il famoso concerto alla

Massey Hall di Toronto del 15 maggio del 1953, che lo stesso Mingus

organizzò per conto della società del jazz di Toronto. Concerto per

certi versi storico perché chiudeva il capitolo glorioso del Bop e per gli

stessi musicisti protagonisti di quella leggendaria serata. Infatti, pur

con tutte le problematiche e le incognite che quell’ensemble si

portava dietro, Parker, Gillespie, Powell, Roach e Mingus diedero il

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17

massimo e regalarono una registrazione che rimarrà negli annali del

jazz.

Dopo solo quattro giorni da quel concerto, Mingus è di nuovo in

studio questa volta con Miles Davis, in quel maggio del 1953 l’attività

di registrazione di Mingus si può dire frenetica e suona con i più

grandi: Charlie Parker, Gillespie, con l’orchestra di Gil Evans, in trio

con Bud Powell e in seguito con Bill Taylor.

Registra quindi per la Debut, un interessante album da titolo Four

Trombones. Mingus riunisce, al "Putnam Central Club" a Brooklyn, il

18 settembre del 1953, un gruppo di musicisti composto da: J.J.

Johnson, Willie Dennis, Bennie Green e Kai Winding ai tromboni, John

Lewis al piano e Art Taylor alla batteria. Nel generale senso di

sperimentazione che Mingus dà a questa registrazione, si coglie un

particolare impasto timbrico, dato dalla presenza di quattro eccellenti

trombonisti e il gusto per una musica rarefatta con richiami a quella

classica, al cool di Tristano e Mulligan.

Sono le prime uscite del suo “Jazz Workshop”, il laboratorio

musicale che raccoglie musicisti di talento, all’avanguardia e senza

riferimenti di genere, bianchi e neri. Mingus mette in mostra la sua

audacia compositiva e il suo talento di sperimentatore, nonché la sua

grandissima padronanza dello strumento, descritta benissimo dal

musicologo Frank Ténot -”Egli pizzica le corde con una potenza e una

velocità incredibili e con dita così agili che a volte sembra di sentire

un chitarrista. Fa sprigionare dal suo strumento uno swing vulcanico

e improvvisa con un’immaginazione sorprendente lunghi assolo che

rimbombano come un temporale” -(9).

A quell’impresa, che più tardi muterà il nome in Composers’

Workshop e ancora poi in Jazz Composers Workshop, parteciperanno

i sassofonisti John La Porta, Teo Macero e il pianista Wally Cirillo,

sono tre italo-americani provenienti dalla scuola di Tristano e che

contribuirono anche con delle proprie composizioni. Macero vestirà

più tardi l’abito di produttore per la Columbia Records, lavorando

anche per Thelonious Monk e Miles Davis e lo stesso Mingus.

In questo laboratorio musicale le idee compositive di Mingus furono

pensate e scritte sempre in modo compiuto prima della esecuzione.

Poco margine, o meglio nessuna possibilità di improvvisazione. Pur

essendo della buona musica, a tratti originale e certamente audace

nella ricerca e nella sperimentazione, lo stesso Charles Mingus

faticava molto a definire il tutto come jazz. Lo confessò apertamente

poi nelle note di copertina del suo album Pithecanthropus Erectus,

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18

scrivendo:” ...il jazz, per definizione, non può essere eseguito, se ci si

attiene a una parte scritta, con quel feeling che si può trovare solo se

si suona liberamente”.

Questo periodo può essere ancora definito di formazione, ma proprio

nell’audacia di sperimentatore Mingus indica con precisione alcune

caratteristiche che esploderanno nel periodo “maturo”. E’ nelle

composizioni che tratteggiano il cool di Tristano e nelle venature

derivanti dai boppers che fa capolino quella caratteristica polifonia

aggressiva e libera da convenzioni stabilite che sarà una sorta di

marchio di fabbrica della musica di Mingus. La critica non potrà fare a

meno di tributargli i giusti meriti quando uscirà l’album, per la

prestigiosa Atlantic, Pithecanthropus Erectus, indicandolo come il

primo capolavoro e summa del percorso coraggioso seguito sino ad

allora. In qualche modo di questo splendido album, abbiamo già

detto, si può aggiungere a titolo informativo che pur essendo un

organico relativamente ridotto, basso, batteria, sax e piano, ma con

qualche sovraincisione in fase di post produzione, il gruppo

impressiona per la tensione e una polifonia complessiva, tale da

sembrare un’orchestra. Nel complesso, il brano di apertura

(Pithecanthropus Erectus) è un tema inizialmente sommesso, poi

agitato da uno stridente sax quasi impazzito, e infine con variazioni di

tempo esplode nell’improvvisazione collettiva sino a produrre un

crescendo di tensione e dissonanze prefiguranti il Free jazz.

Il preludio di questo album, o parte di esso, lo abbiamo comunque

nelle esibizioni e quindi nelle registrazioni effettuate al Café Bohemia

di New York sul finire di dicembre del 1955. Con un gruppo

completamente nuovo rispetto ai precedenti del Workshop, che vede

Mal Waldron al piano, George Barrow al sax tenore, alla batteria si

alternano Max Roach e Willie Jones. Il repertorio di Mingus viene

arricchito da nuove composizioni: Haitian Fight Song, Love Chant, in

duo con Roach la storica Percussion Discussion. E poi ci saranno delle

travolgenti rivisitazioni di alcuni standard quali, All The Things You

Are, I’ll Remember April e A Foggy Day; quest’ultima stravolta

rispetto all’originale e romantica versione di Gershwin, comparirà

unitamente a Love Chant, in Pithecanthropus Erectus. Per quella

registrazione la sezione ritmica sarà la stessa del Café Bohemia ma

cambiarono i fiati, sono infatti Jack McLean al sax alto e J. R.

Monterose al sax tenore.

L’eclettismo di Charles Mingus riesce a fondere in un linguaggio

musicale originale e coraggioso quale il suo, le radici del jazz

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19

romantico di New Orleans, la lezione di Ellington, l’audace rivoluzione

Parkeriana, l’influenza degli impressionisti classici e il cool di Tristano.

L’equilibrio finale è dato, non solo dal genio artistico, ma anche

dall’essere irrequieto, passionale estremo e lungimirante che fu

Charles Mingus. Da una miscela razziale di cui era impastato l’uomo

Mingus, il musicista che è in lui diventa catalizzatore di molteplici

linguaggi musicali, dando loro unicità e spessore comunicativo come

pochi altri hanno saputo fare.

E’ di questo periodo la decisione di Charles Mingus di liberarsi,

nell’esecuzione della sua musica, dalla “schiavitù” degli arrangiamenti

scritti. D’ora in poi egli comporrà i suoi pezzi su una “carta mentale”,

spiegando ai suoi musicisti il pezzo da eseguire nella linee

fondamentali e soprattutto nel ”sentimento” che lo anima, lasciando

loro una perfetta libertà di esecuzione e improvvisazione. Mingus

tradurrà questa caratteristica del sentimento che anima il brano,

incitando anche vocalmente i suoi uomini durante l’esecuzione a dare

il meglio di sé; allo stesso modo accentuerà il suo carattere

“dominante” all’interno del gruppo: non solo incitazioni ma anche

rimproveri pubblici, sino ad interrompere la stessa esecuzione per

ripartire da capo.

In questo felicissimo 1956, numerose sono le apparizioni di Mingus e

del suo gruppo in varie città degli States, come è frequente la sua

presenza in studio di registrazione con gruppi a suo nome e come

strumentista in altri. Sono da ricordare in particolare quella del 18

giugno con un gruppo denominato Metronome All Stars e alla fine

dell’anno quelle effettuate con il giovane arrangiatore Quincy Jones, e

quindi con il quartetto del vibrafonista Teddy Charles il 12 novembre

del 1956. Ebbe quindi occasione Mingus di suonare con musicisti in

via di formazione (Quincy Jones, Phil Woods, Zoot Sims), ma anche

con veterani del calibro di Milt Jackson, Lucky Thompson e il pianista

e arrangiatore Hall Overton.

Mingus dà dimostrazione della sua versatilità d’artista e di leader

incidendo anche in trio e con notevoli compagni. E’ in studio di

registrazione a New York nel luglio del 1957 con il grande pianista

Hampton Hawes e il fido Richmond alla batteria per l’album Mingus

Three; ancora in quell’anno, Mingus registra due album importanti,

The Clown e Tijuana Moods. Dalla fine del 1956 è entrato a far parte

del suo gruppo il batterista Dannie Richmond che presto diventerà

oltre che un elemento fisso nei suoi gruppi, anche un amico fidato. Fu

proprio con l’amico Dannie, che per sfuggire ad una forte depressione

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20

in seguito al fallimento del suo matrimonio con Celia Nielson, Mingus

se ne andò in Messico nella permissiva cittadina di confine di Tijuana

alla ricerca di divertimento e, dove tutto è lecito ed estremo: dalle

disponibilità di fanciulle che non “non chiedevano” più di tanto, ai

fiumi di tequila. L’irrequieto e vulcanico Charles da quella sbornia di

eccessi riuscì a ricavarne spunto per una composizione che, con

genialità e intensità espressiva ne riproponeva clima, situazioni

emozionali ed eccessi (anche di carattere orgiastico). Dentro una

cornice musicale a tratti riecheggiante elementi del folk spagnolo

(Ysabel’s table dance), chiaro riferimento all’atmosfera di un locale

notturno, con suoni di nacchere, vociare di avventori e il

contrabbasso che richiama echi di flamenco. Con il brano Los

Mariachis vengono recuperate le tipiche sonorità dei musicisti da

strada alternandole a stacchi tipicamente jazzistici. Disco

pregevolissimo che sottolinea, se ce ne fosse ancora bisogno, di

quanto la complessa ed eterogenea personalità dell’uomo di Nogales,

sfociasse in genialità musicale unica nel panorama del jazz. Stesso

discorso vale per The Clown, album che descrive con con toni

fortemente espressionisti, con la voce recitante del poeta Jean

Shephred in evidenza, la storia di un clown che fa di tutto per piacere

al pubblico, ma che non riesce a far ridere nessuno se non dopo il suo

suicidio. Storia drammatica e patetica ma, evocativa anche di certe

situazioni umane non del tutto estranee al mondo del jazz. In questo

album anche un omaggio a Charlie Parker (non sarà l’unico di

Mingus), intitolato Reincarnation Of love Bird.

Ultima notazione su questi due album: entrambi di notevole spessore

furono pubblicati molti anni dopo la loro registrazione. The Clown

registrato tra il febbraio e il marzo del 1957 fu pubblicato dall’Atlantic

solo quattro anni dopo, nel 1961. Stessa sorte per Tijuana Moods, in

sala di registrazione per la RCA, uscirà solo nel 1962 e dopo una

petizione scritta degli ammiratori di Charles Mingus.

Intanto nel suo gruppo si alternavano diversi musicisti, anche se

bisogna dire che in questo periodo, oltre il batterista Dannie

Richmond, almeno altri due musicisti di spessore si ritroveranno

spesso, per un po’ di anni, in molti lavori di Charles Mingus, sono il

trombonista e arrangiatore Jimmy Knepper e il pianista Horace

Parlan. Nel 1959 Mingus a febbraio registra per la Atlantic l’album

Blues & Roots, un esplicito omaggio alla musica che Mingus predilige,

a quella delle origini, alle radici: il blues e la spiritualità della musica

della chiesa negra. Nel brano iniziale, Wednesday Night Prayer

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21

Meeting, Mingus incita con grida ed esortazione i propri musicisti,

come nelle febbrili funzioni faceva il predicatore con i propri fedeli.

In questo album ci

sono due sax, al tenore di

Booker Ervin si è aggiunto

l’alto di Jack McLean, che

torna con Mingus dopo

Pithecanthropus Ercectus.

Tra il 5 e il 12 maggio di

quell’anno, Mingus registra

l’album Mingus Ah Um,

uscirà a settembre. E’ un

altro capolavoro del

musicista di Nogales, è

anche un album dove si fa esplicito l’omaggio verso i musicisti che

ammira, della cui influenza non ha mai nascosto. I partners che

accompagnano Mingus in questo album sono di prim’ordine e si può

dire con certezza, anche piuttosto “allenati” alla collaborazione con il

contrabbassista. Tornano i due sax, ma al posto di McLean c’è John

Handy che suona anche il clarinetto, come l’altro tenore Porter (Shafi

Hadi), al piano Horace Parlan, al trombone Knepper si alterna con

Willie Dannis, e naturalmente Richmond alla batteria.

Molti brani contenuti nell’album sono una dedica amorosa, abbiamo

detto, a musicisti cari a Mingus: Goodbye Pork Pie Hat (Lester

Young), Open Letter To Duke (Duke Ellington), Bird Calls (Charlie

Parker), Jelly Roll (Jelly Roll Morton). Il pezzo che apre l’album,

Better Git In your Soul si ispira direttamente ai ricordi di Mingus

bambino quando seguiva la madre nelle liturgie della Holiness Church

a Watts. Notevole, nell’apertura di questo brano,- l’abilità strumentale

di Mingus, decisiva per il successo di ogni brano dell’opera, come

venga brevemente al proscenio, provocando quasi subito le risposte

del pianoforte di Horace Parlan e del trombone di Jimmy Knepper,

seguite dall’intervento della congregazione al gran completo...in una

sorta di valzer-gospel dalla folle velocità...-(10).

Il brano numero sette, Fables of Faubus è un’autentica, ironica e

inesorabile frustata che l’artista Charlie Mingus infligge al governatore

razzista dell’Arkansas Orval E. Faubus. Questo governatore si rese

famoso per un fatto successo a Little Rock, in Arkansas nel 1957,

quando dei bianchi impedirono a degli studenti di colore l’accesso alla

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scuola pubblica, con la connivenza della polizia locale. Faubus si

opponeva alla storica decisione della Suprema Corte che intimava agli

Stati di integrare gli studenti afro-americani nelle scuole pubbliche. Il

braccio di ferro con il governo federale ed il dipartimento di giustizia

si concluse con la sconfitta di Faubus e dei suprematisti bianchi: il 24

settembre, il presidente Eisenhower federalizza la guardia nazionale

dell'Arkansas e manda i soldati a scortare gli alunni di colore che

finalmente vengono ammessi alle lezioni.

Mingus, nel brano inveisce ironicamente contro il governatore in

duetto con Richmond, ma questa parte (politicamente rilevante e

importante per Mingus) non viene pubblicata dalla Columbia, restia a

diffondere testi che avrebbero potuto respingere un certo numero di

potenziali clienti.

In seguito Dannie Richmond stesso disse che nella registrazione

originale le inventive parlate, non erano così prevalenti, ma che le

stesse vennero inserite per lo più durante i concerti dal vivo. Resta il

fatto comunque che nell’ottobre del 1960 Mingus registra per la

Candid l’album Charles Mingus Presents Charles Mingus, dove spicca

un brano che si intitola Original Faubus Fables, e qui le urla e le

inventive contro il governatore ci sono, eccome! Da segnalare in

questo album la presenza di Eric Dolphy, arrivato da poco a New York

da Los Angeles.

A novembre del 1959 Mingus registra, l’album Mingus Dinasty, il

musicista si vede ancora una volta tagliare dalla Columbia gli assolo

di contrabbasso, riducendo così la durata di molti brani, unica

consolazione per Mingus è che alla Columbia ritrova Teo Macero,

vecchio compagno dei primi Workshop e delle serate con Lennie

Tristano, ora in veste di produttore. In questo album non mancano i

consueti tributi a Ellington con una notevole versione di Mood

Indingo.

Con l’intervento “politico” nel brano Fables of Faubus, Charlie

Mingus non si nasconde più nell’evidenziare i suoi profondi sentimenti

di negro americano e si profonde in una protesta sempre più forte e

appassionata contro la segregazione razziale. Pur avendo ormai colto

il pieno successo artistico, il riconoscimento aperto da parte della

critica e un grande numero di sinceri ammiratori, l’uomo è irrequieto

più che mai. Mingus si fa risucchiare da un vortice che è un misto di

insicurezza e di vera propria ossessione nevrotica rispetto ai problemi

razziali, di cui comunque si sente vittima.-”Ero stanco, teso, non

riuscivo a pensare chi ero, volevo solo sdraiarmi e dormire. Ero come

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un bambino perduto con tanta gente che si accalcava intorno a me e

nessuno che mi amasse-(11).

Questa situazione lo portò dritto in ospedale psichiatrico: fu una

notte, in preda ad una sconquassante crisi di nervi, che bussò ai

cancelli del Bellevue Hospital di New York per chiedere di essere

trattenuto perché bisognoso di cure. Questa iniziativa personale

sottolinea la grande consapevolezza che, in fondo, aveva Charles

Mingus di se stesso e delle sue incongruenze e sofferenze caratteriali.

Troverà in un bianco l’amico vero e disinteressato, un giornalista,

grande critico musicale e un uomo sensibile, sarà appunto Nat

Hentoff a rendere quel soggiorno volontario prodigo di un relativo

beneficio per Charles, a renderlo per un certo periodo più

“mansueto”. Sarà la nascita della piccola casa discografica, la Candid

un motivo in più per Mingus per godersi un minimo di serenità e

sentirsi importante. Hentoff, quale direttore artistico lo chiamerà ad

un’attiva collaborazione, a cui Charles si dedicò con sincera passione.

Comprensione e aiuto che non ottenne da un altro grande critico e

produttore musicale, Leonard Feather.

Con Feather Mingus lavorò per l’album Weary Blues, poi chiamato

ancora all’inizio del 1960 per incidere un album tutto a suo nome per

la Mercury, la rottura. Troppi i musicisti chiamati da Mingus per

quell’occasione, con in testa l’idea di registrare le sue esperienze

precedenti l’incontro con Charlie Parker e i boppers, Mingus contattò

un’intera orchestra diretta da Gunther Schuller e alla Mercury arrivò

un conto salatissimo. Mingus recitò la solita scena drammatica e

penosa, inventandosi pure un cancro inesistente, non se ne fece

nulla! Feather chiuse definitivamente i rapporti con il contrabbassista.

L’album uscì comunque e risultò anche interessante, trovò persino

posto il brano scritto a suo tempo per Billie Hloday, Eclipse,

l’ennesimo omaggio a Ellington con Take the ‘A’ train, un suo vecchio

pezzo degli anni quaranta, Half-Mast-Inibition e non poteva mancare

il brano politico, Prayer For Passive Resistance, direttamente ispirato

ai sit-in tenuti dai gruppi neri non violenti di Martin Luther King.

L’album si chiamava Pre Bird e vi partecipò anche Eric Dolphy, con cui

ormai Mingus suonava da alcuni mesi allo Showplace, un club del

Village a New York.

A luglio del 1960, insieme al suo amico Max Roach, Mingus organizza

il contro festival di Newport per protestare contro le scelte musicali

commerciali degli organizzatori e in difesa della miglior musica afro

americana. Aderirono all’iniziativa diversi musicisti, tra cui è doveroso

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24

ricordare il grande Coleman Hawkins, Roy Eldridge e Jo Jones, oltre

quelli della nuova generazione, primo fra tutti Ornette Coleman e il

suo gruppo free. Furono gli stessi musicisti a occuparsi di tutta

l’organizzazione, lo stesso Mingus si occupò della biglietteria,

andando in giro con il cappello a raccogliere i soldi degli spettatori.

Questo contro festival si tenne in un luogo chiamato Cliff Walk Manor,

tutti musicisti che aderirono a tale protesta si diedero il nome di

Newport Rebels. Proprio con questo titolo, in seguito venne inciso

l’album omonimo per la Candid a cui parteciparono Dolphy, Max

Roach, Booker Little, Julian Priester e altri. Memorabile resta il blues

di Roy Eldridge a chiusura dell’album, dove il decano del jazz con il

ruggito della sua tromba dà segno della sua rabbia contro il potere

dei bianchi e la loro arroganza nell’appropriarsi di una musica che

non è la loro.

Nel luglio del 1960 Mingus viene chiamato in Francia al Festival jazz

di Juan Les Pins, e la sua esibizione sbalordisce positivamente sia la

critica che il pubblico di appassionati. Memorabile resta la

performance dove Bud Powell (allora residente in Francia) suonerà il

piano a fianco dello stesso Mingus, Eric Dolphy, Ted Curson, Booker

Ervin e l’immancabile Richmond. Quello storico e memorabile

concerto sarà pubblicato dall’Atlantic, con il titolo Mingus at Antibes,

solo sedici anni dopo, nel 1976!

Charles Mingus è ormai da cinque anni che, con composizioni di

altissimo livello, esibizioni dal vivo con musicisti di prim’ordine e

iniziative pubbliche di grande impegno civile, è all’attenzione della

critica e del pubblico. Pochi sono i musicisti di jazz che, in così poco

tempo, sono riusciti a produrre tanti capolavori. E questa “striscia” di

successi sembra non aver termine. E’ del 1961 un altro grande brano,

Passions Of A Man, contenuto in un album ancora per l’Atlantic, dal

titolo Oh Yeah, dove segnaliamo la partecipazione del grande

polistrumentista Roland Kirk. In Passions of a Man, Mingus dà ancora

fondo, con grande lucidità al suo coraggio di innovatore e

sperimentatore. Si evocano nei contenuti i grandi tormenti dell’uomo:

la lotta tra la vita e la morte, il piacere e il senso di frustrazione sono

evocati dentro un quadro non solo musicale, ma poetico recitativo e

teatrale.

Nel 1962, con una parentesi affettuosa e di profonda ammirazione,

insieme all’amico batterista Max Roach incide un album con il suo

grande “padre” Duke Ellington dal titolo Money Jungle. Si esibisce

spesso al Birdland di New Yok e i suoi concerti sono trasmessi dalla

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radio. E’ di questo periodo l’ingresso nella band di Mingus di Jaki

Byard, con lui, sembra appagare il desiderio di avere un pianista in

sintonia con la sua musica.

Solo un anno dopo siamo all’ennesimo capolavoro: per l’etichetta

Impulse esce The Black Saint and the Inner Lady. Questo lavoro, una

suite in sei movimenti è dedicato, nei contenuti, ancora una volta alla

problematica razziale e concepita per un balletto. La vicinanza a

Ellington si fa notevolmente sentire anche in questo disco, non solo

per il tema evocato che è identico a quello di Black, Brown And Beige,

capolavoro del Duca, ma anche in senso timbrico. La presenza stessa

del trombonista Quentin Jackson, già con Ellington, con la sordina

Wha-Wha, e del sassofonista Charlie Mariano che richiama il grande

Johnny Hodges, garantiscono quel suono Jungle, tipico dell’orchestra

di Duke Ellington.

Bisogna aggiungere che la realizzazione di questo capolavoro di

Mingus, non è stata per nulla lineare, ma alquanto faticosa nella la

stessa registrazione. E’ un collage di frammenti messi a punto dal

produttore stesso Bob Thiele, con un Mingus non particolarmente

paziente e comprensivo, comunque alla fine l’equilibrio tra le sue

parti e l’unità complessiva dell’opera risultano ammirevoli.

L’atmosfera primitiva e selvaggia, carica di tensione emotiva data dal

vulcanico Mingus, sono rese al massimo e un grande merito di

questo è da attribuire alla formidabile ed efficacissima collaborazione

dei solisti.

L’anno successivo, il 1964 vedrà Charlie Mingus e il suo gruppo girare

in lungo e in largo l’Europa, ritorna per l’occasione anche Eric Dolphy,

al sax tenore Clifford Jordan, il trombettista Johnny Coles e gli ormai

fidi Jaki Byard al piano e Dannie Richmond alla batteria. Di questa

felicissima tournée, è obbligo ricordare il grande concerto del 19

aprile a Parigi (Midnight at the Champs-Elysées), registrato dal vivo

in un bellissimo album dal titolo The Great Concert of Charles Mingus.

Numerose furono le esibizioni in altrettanti capitali d’Europa, tra cui

Stoccarda, Berlino e anche Milano, qui il nostro Arrigo Polillo

organizzò due concerti dove si ebbe occasione di sentire dell’ottima

musica. Quando Mingus si esibisce e propone la sua musica, non c’è

alcun dubbio sulla qualità, l’impegno professionale e la perfezione

delle sue composizioni e del contributo di quegli straordinari musicisti

che compongono i suoi gruppi.

Ma con Mingus senza contrabbasso le sorprese sono sempre in

agguato, annotò allora il critico tedesco Joachim E. Berendt sulla

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rivista Down Beat del 18 giugno 1964 -”Mingus al basso, ha

trasmesso al pubblico il suo messaggio nel modo più travolgente e

convincente. Ma cessa di essere convincente quando smette di

suonare. Egli può esprimere il suo odio verso la gente nella sua

musica e, se lo fa in modo così grande, niente da dire. Ma se il suo

odio si esprime nel suo comportamento, allora non è più grande: è

solo penoso e imbarazzante. E, se si considera quale sia lo status di

Mingus nel jazz, è una tragedia” -(12).

Anche Polillo durante quelle due serate a Milano, visse alcuni

momenti di tensione per le stravaganti iniziative del suo scritturato

ma concluse che questi episodi, seppur spiacevoli, furono

ampiamente compensati ascoltando lui e il suo gruppo proporre una

splendida musica.

Quindi una tournée, quella europea a tinte contrastanti, si potrebbe

dire. Da una parte il Mingus personaggio volubile e bizzarro,

perennemente “contro” e difficilmente gestibile per le sue paranoie

caratteriali e psicologiche. Da l’altra il genio musicale che incantava

pubblico e critica con la sua sublime arte e che in buona parte

riusciva a compensare l’altra disastrosa parte di sé. E proprio dal

punto di vista musicale, Mingus fu prodigo anche di novità

compositive e di rifacimenti di suoi brani. Tra i brani presentati in

quei concerti figura una versione esclusivamente strumentale di

Fables of Faubus, il pregiato e trascinante So Long Eric (un invito a

Dolphy a non stare troppo a lungo lontano dal gruppo), e poi una

suite, Meditations, dove prevaleva un’atmosfera dedicata alle vicende

del popolo negro trapiantato con la forza in America, dove la

denuncia per le condizioni dei suoi fratelli si fa ruvida e feroce.

Rientrato a fine aprile del 1964 a New York, Mingus suona al Five

Spot e proprio lì, il 29 giugno lo raggiunge la notizia della morte di

Eric Dolphy che era rimasto in Europa per una serie di concerti e per

alcuni dischi.

La reazione di Mingus è estrema, violenta, butta a terra il suo

nuovissimo contrabbasso, lo calpesta fino a ridurlo a pezzi, non è

esibizionismo il suo: è un mix di rabbia e dolore veri per la scomparsa

dell’amato amico. Al funerale che si tenne a Los Angeles, pianse e si

agitò tantissimo fino al punto di cadere vicino alla tomba; il suo sesto

figlio che nascerà a luglio, si chiamerà Eric Dolphy Mingus.

Invitato a settembre al festival jazz di Monterey, si esibì con un

gruppo composto da dodici elementi ottenendo un successo

strepitoso davanti ad un pubblico di cinquemila persone. In

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quell’occasione presentò il brano Meditations adattandolo in una

versione orchestrale e più addolcita e intitolandolo definitivamente

Meditations On Integration. Deciderà Charlie Mingus di produrre in

proprio l’album di questa straordinaria esibizione al Festival di

Monterey, investendo nuovamente nella scommessa di una casa

discografica indipendente. Onore al coraggio e soprattutto alla

cocciutaggine del genio di Nogales nel voler sfidare il business

musicale e commerciale dei bianchi. Lo aiuterà in questa nuova

impresa la sua nuova donna, la giornalista Susan (Sue) Graham, una

bianca con i capelli biondi che, solo undici anni dopo diverrà la sua

quarta moglie. Sperimentò la vendita per corrispondenza di opere

solo sue, ma nonostante l’incoraggiamento e il sostegno di parte della

stampa e dell’amico Hentoff, dopo un anno dovette porre fine a

quell’impresa rimettendoci anche parecchi soldi.

Per rifarsi da questo fallimento Mingus prova a trasformare il

locale dove abita in una sorta di scuola di musica, ma dopo un po’

ricevette lo sfratto. Mingus esasperato, tenta di montare un caso

buttandolo sul musicista nero perseguitato richiamando l’attenzione di

giornali e televisione, pare anche scrivendo direttamente al Papa! Era

l’evidente segno di un malessere psichico che andava montando:

pieno di debiti e senza alcun bene materiale, si fece di nuovo

ricoverare in ospedale psichiatrico, di seguito scomparve in California

e per quattro anni pare, sembrò quasi che la terra lo avesse

inghiottito. Solo nel maggio del 1967, a New York il nostro Arrigo

Polillo lo ascoltò al Porkie’s Pub esibirsi con un gruppo ridotto, ma

l’uomo era malfermo in salute e notevolmente ingrassato.

Quando si ripresentò sulle scene, tra il 1969 e il 1970, i molti

appassionati che ebbero l’opportunità di incontrarlo e sentire le sue

esibizioni, si trovarono di fronte un uomo molto diverso, per certi

versi irriconoscibile rispetto dal Mingus di un tempo. Le cure

psichiatriche e gli abbondanti tranquillanti avevano restituito forse un

uomo “più tranquillo”, quasi atipico e senza alcun mordente. La sua

stessa musica pareva svuotata di quello smalto scintillante di un

tempo, priva di qualunque tensione emotiva e della grinta che la

faceva unica nel mondo del jazz. Nel 1970 affronta una nuova

spedizione in Europa, nel gruppo rientra il pianista Jaki Byard ma non

basta, Mingus appare stanco e silente, forse anche imbottito di

tranquillanti si esibisce quasi di malavoglia.

In questo periodo Mingus pubblica la sua autobiografia, il libro

Beneath the underdog (peggio di un bastardo), che comunque riportò

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il nome del musicista sulle prime pagine dei giornali, suscitando

anche l’interesse della critica- C’è almeno un pizzico di tutti i Mingus.

E’ brutale, e sudicio e amaro. E’ sentimentale e autocommiseratore.

Rude e, qua e là, ingiusto...E’ faceto e comico...-(13).

Si avverò anche un suo sogno di sempre, quando al City Center di

New York la celebre compagnia di Alvin Aily mette in scena un

balletto basato su pezzi scritti da lui intitolandolo The Mingus Dances.

In quel periodo furono riediti alcuni dei suoi dischi migliori e alcuni

nuovi i cui brani furono registrati parecchi anni primi. Tra questi è

degno di segnalazione “Let my children hear music” prodotto dalla

Columbia, i cui brani furono eseguiti da un’orchestra di trentatré

persone e con lui al contrabbasso. Nel 1971 la Fondazione

Guggenheim assegnò a Mingus in qualità di compositore una borsa di

studio di 15.000 dollari.

Nel 1973 Charles Mingus rientra in studio per registrare un nuovo

album per l’Atlantic, Mingus Moves. In questa occasione rientra nel

gruppo il batterista Dannie Richmond, allontanatosi nel periodo buio

perché aveva trovato lavoro da altre parti. Ma le novità sono quelle

dell’ingresso nel gruppo di Mingus di alcuni notevoli solisti quali il sax

tenore George Adams e il pianista Don Pullen. Con questa nuova linfa

si potrà sentire di nuovo il Mingus di una volta: tra il 1974 e il 1975 si

esibisce spesso in Italia con dei concerti a cui parteciparono migliaia

di giovani entusiasti, Pescara, il festival jazz di Bergamo al Palazzo

dello Sport gremito di 10.000 persone, identico entusiasmo a Umbria

Jazz. La ritrovata energia e la sua splendida musica di questo

periodo, si accompagnò ad un comportamento corretto e in generale

lontano dalle stramberie e dagli eccessi che lo avevano sempre

contraddistinto. Quasi una nuova rinascita per il vulcanico e

combattente musicista di Nogales, a testimonianza di questo felice

periodo, delle luci che si riaccendono sulla sua grande figura di

jazzista, due nuovi album per l’Atlantic: Changes One e Changes Two.

Tra i pezzi composti da Mingus in questi dischi è obbligo ricordare le

due lunghe suites Sue’s Change e Duke Ellington’s Sound of Love;

non mancano, l’uomo è sempre sulle barricate, alcuni brani del filone

di protesta, ora sul versante del sistema carcerario USA, quali Free

Cell BlockF, Tis Nazi Usa e Rembember Rockefeller At Attica.

Nel 1976 Charlie Mingus fu chiamato a Roma dal regista italiano Elio

Petri per registrare le musiche del suo film Todo Modo. Mingus portò

circa quarantacinque minuti di composizione e si rese disponibile, da

professionista quale era, ad eventuali modifiche; ma alla fine Petri

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pieno di dubbi decise che quella musica non andava bene, scelse

Ennio Morricone.

Mingus questa volta se ne uscì in modo signorile, rispose

semplicemente pubblicando quelle musiche in un album da titolo

Cumbia & Jazz Fusion ottenendo un ottima risposta di critica e nelle

vendite. Adattò in questa occasione quelle musiche ad un altro film

che raccontava delle vicende dei contadini diseredati della Colombia e

dei trafficanti di droga. La “cumbia” è infatti una danza di quel Paese

e il termine jazz & fusion vuole indicare la fusione dei ritmi sud

americani con il jazz.

Siamo agli ultimi fuochi del grande Charles Mingus. Registra, in

quella primavera del 1977, per l’Atlantic l’album Three Or Four

Shades Of Blues più per esigenze di mercato della casa discografica

che non per sue necessità espressive. La riprova è che Mingus appare

molto defilato in un gruppo di dodici musicisti, dove ci sono altri due

contrabbassisti, uno è Ron Carter, l’altro Geroge Mraz, ma la sua

presenza è quasi superflua anche come arrangiatore della sua stessa

musica. Ma ormai l’uomo era provato fisicamente, sempre affaticato,

quasi pareva trascinarsi il fantasma di quel vulcanico, collerico

personaggio che è stato. La “caldaia di emozioni”, così l’aveva definito

l’amico Nat Hentoff, ormai si stava piano piano spegnendo.

Alla fine del 1977 i medici comunicarono alla famiglia di Charles

Mingus che il loro caro era affetto da sclerosi amiotropica laterale,

una malattia incurabile, detta anche “morbo di Gehrig”, dal nome di

un campione di baseball, Lou Gehrig ucciso appunto da questa

malattia. Gli toccò la sedia a rotelle, lui che balzava sul palco come un

felino, nonostante il corpo non filiforme e, quando spesso era in

collera si portava appresso anche lo strumento, che proprio tascabile

non era.

Nell’estate del 1978 il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, volle

festeggiare alla Casa bianca il venticinquesimo anniversario del

Festival di Newport. Mingus, in sedie a rotelle, era tra gli invitati e

quando George Wein, l’organizzatore del ricevimento, lo invitò sul

palco, il leone ormai dalla criniera arruffata, ricevette una lunghissima

ovazione dai numerosi invitati. Il Presidente lo volle abbracciare e

Mingus pianse.

Jerry Mulligan parlò alla moglie Sue di una guaritrice messicana che

aveva salvato una sua amica dal cancro. L’affettuosa e straordinaria

moglie di Charles Mingus decise di partire per Cuernavaca con il

marito e con uno dei figli per essere a disposizione di questa strana

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vecchia che di nome faceva Pachita e usava il voodoo, la psicologia e

svariati infusi come uniche medicine. In quella località dal clima mite

non lontana da Città del Messico, Charles Mingus si sottopose

paziente a tutte quelle cure, non rinunciando comunque, anche a

causa dall’insonnia a farsi trasportare nei locali notturni lì vicino.

Nonostante le molteplici attenzioni, Mingus faceva anche bagni

termali e fangature, il male ebbe ragione dell’uomo. Charles Mingus

morì, stroncato da un collasso cardiaco il 5 gennaio 1979.

Contrariamente a quanto si potesse aspettare da un uomo che nella

vita è stato sempre bisognoso di circondarsi dell’affetto delle persone,

nelle sue ultime volontà Mingus dettò che non voleva un classico

funerale con corteo e folla piangente. Sue Mingus cremò il corpo del

marito e portò le ceneri di Charles Mingus a disperdersi nel Gange, a

testimonianza della grande fede dello stesso nella reincarnazione. Fu

solo una coincidenza, ma lo stesso giorno in cui morì Mingus furono

trovate morte spiaggiate cinquantasei balene, come cinquantasei era

il numero degli anni di Charles Mingus.

Il mondo del jazz restò piuttosto impressionato da questi

avvenimenti, così come per certi fatti, apparentemente fuori dalla

portata di una qualsiasi spiegazione razionale, successi dopo la morte

di Charlie Parker. Tutto questo, altro non era, se non il segno che

anche Charles Mingus ormai faceva parte dei mitologici eroi della

musica afro americana.

Note bibliografiche

1-5-11- Charles Mingus -Peggio di un bastardo -Baldini Castoldi Dalai -2005

2-7-8 - Marco Piccardi -Charles Mingus, l’uomo, la poesia, le passioni, la

musica -Stampa Alternativa Nuovi Equilibri - 1992

3-4-12-13- Arrigo Polillo - Jazz, La vicenda e i protagonisti della musica afro

americana- Mondadori 1975

6- Mario Luzi - Charles Mingus - Lato Side- 1983

9- Pino Candini - I grandi del jazz, Charles Mingus -Fabbri Editori 1979

10 -Brian Prestley in Musica Jazz agosto 2009

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Better Git It In Your Soul "http://www.youtube.com/embed/SPoK1lryfh4"

Original Faubus Fables"http://www.youtube.com/embed/QT2-iobVcdw

So Long Eric "http://www.youtube.com/embed/iY8jWn6porM