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11 27 gennaio è il giorno dedicatoalla commemorazione della ShoahIn questo testo inedito il grandesociologo appena scomparso analizzache cosa significa per le societàe per gli individui ricordare la loro storiaUn processo complesso che Baumanriassume così: "La nostra memoriaseleziona e interpreta, e ciò chedev'essere selezionato e il modoin cui interpretarlo è una questionecontroversa e costantemente contestataE proprio per questo così importante

// ,3 %/'; ttzcl2C Raurnandi .Ifebe Robinson

L'autore eilte ozygmunt Bauman. scomparso

a Leeds all'età di novantuno anni

il 9 gennaio scorso, era nato

a Poznari nel 1925 da genitoriebrei. Fuggì dalla Poloniadurante l'occupazione tedescae si arruolò poi nell'esercitosovietico. Nel 1968 lasciòla cattedra in Polonia anche

a causa della ripresa

dell'antisemitismo e si trasferì

prima in Israele poi in Inghilterra.

Sociologo e filosofo. teorico

della "modernità liquida" ha

analizzato i cambiamenti politici

e culturali dei Novecento

e dei nuovo millennio.

II testo che pubblichiamo

in queste pagine è un estratto

da un saggio inedito che verrà

pubblicato a breve dalla casa

editrice Laterza che raccoglie

gran parte delle sue opere.

Tra i suoi libri tradotti

in italiano: Modernità liquida

(Laterza); Vita liquida (Laterza);

La solitudine dei cittadino globale

(Feltrinelli); Modernità

e Olocausto (Il Mulino)

rima, l'Olocausto era inimmaginabile.Per la maggior parte delle persone resta-va inimmaginabile anche quando era giàin corso. Oggi siamo stati messi tutti in al-larme e l'allarme non è mai stato revoca-to. Che cosa significa vivere in un mondoancora gravido dello stesso genere di or-

rori sintetizzato nella parola " Olocausto"? La sua memo-ria rende il mondo un posto migliore e più sicuro o un po-sto peggiore e più pericoloso?

Ë diventata quasi una banalità affermare che i gruppiche perdono la loro memoria perdono anche la loro iden-tità , che perdere il passato conduce a perdere il presentee il futuro . Se la posta in gioco è la preservazione di ungruppo allora il successo o il fallimento di questo tentati-vo dipende dagli sforzi per tenere viva la memoria.

Questo può essere vero ma non è tutta la verità, per-ché la memoria è un dono ambivalente . Per essere piùprecisi : è un dono e allo stesso tempo una maledizione.Può "tenere vive" molte cose che hanno un valore ben di-verso a seconda dei gruppi.

I morti non hanno nessun potere di guidare - tanto-meno di monitorare e correggere - la condotta dei vivi.Allo stato grezzo , le loro vite non hanno quasi nulla da in-segnare : per diventare lezioni , devono prima essere tra-sformate in storie (Shakespeare questo lo sapeva, a diffe-renza di molti altri narratori e ancor di più dei loro ascol-tatori, quando fa pronunciare ad Amleto morente l'esor-tazione all'amico Orazio a "dire la mia storia"). Il passatonon interferisce direttamente con il presente : ogni inter-ferenza è mediata da una storia . Quale corso finirà conl'assumere quell'interferenza sarà deciso sul campo dibattaglia della memoria , dove le storie sono i soldati e inarratori i comandanti , scaltri o fortunati, delle forze inconflitto.

Dunque il passato è tanti eventi e la memoria non liconserva mai tutti: qualunque cosa conservi o recuperidall'oblio , essa non si riproduce mai nella sua forma "pu-ra" e "originale" (qualsiasi cosa significhi ). Il "passato in-tegrale", il passato così com'è realmente accaduto nonviene mai riafferrato dalla memoria (e se così fosse la me-moria , più che un vantaggio , rappresenterebbe un incon-veniente per l'esistenza ). La memoria seleziona e inter-preta , e ciò che dev'essere selezionato e il modo in cui in-terpretarlo è una questione controversa e costantemen-

te contestata. La risurrezione del passato, tenere vivo ilpassato, è un obiettivo che può essere raggiunto solo me-diante l'opera attiva della memoria, che sceglie, rielabo-ra e ricicla. Ricordare è interpretare il passato; o, più cor-rettamente, raccontare una storia significa prendere po-sizione sul corso degli eventi passati. Lo status della "sto-ria del passato" è ambiguo e destinato a rimanere tale.

La contesa interpretativa in cui il passato viene ricrea-to in contorni visibili e nell'importanza vissuta del pre-sente, e quindi riciclato in progetti per il futuro, si svolge- come ha messo in evidenza Tzvetan Todorov - tra ledue trappole della sacralizzazione e della banalizzazio-ne. Il grado di pericolo che ognuna di queste trappolecontiene dipende da qual è la posta in palio, la memoriaindividuale o la memoria di gruppo. Todorov ammetteche un certo grado di sacralizzazione (operazione chetrasforma un evento passato in un evento unico, conside-rato "differente da qualsiasi evento sperimentato da al-tri", incomparabile con eventi sperimentati da altri e inaltri momenti, e che pertanto condanna come sacrileghetutte le comparazioni del genere) è opportuno, anzi ine-vitabile, se si vuole che la memoria adempia al suo ruolonell'autoaffermazione dell'identità individuale. Contra-riamente a quello che insinuano innumerevoli talkshow televisivi e alle confessioni pubbliche che ispira-no, l'esperienza personale è effettivamente personale ein quanto tale "non trasferibile". Il rifiuto di comunica-re, o almeno un certo grado di reticenza, può essere unacondizione per l'autonomia individuale.

I gruppi, però, non sono "come gli individui, solo piùgrandi". Ragionare per analogie porterebbe a ignorarela distinzione cruciale: a differenza degli individui au-toassertivi, i gruppi vivono attraverso la comunicazione,il dialogo, lo scambio di esperienze. I gruppi si costitui-scono condividendo le memorie, non tenendole nasco-ste e impedendone l'accesso agli estranei. La vera naturadell'esperienza dell'omicidio categoriale (cioè l'annien-tamento fisico di essere umani in quanto appartenenti auna categoria, ndr) tanto dal punto di vista del carneficequanto dal punto di vista della vittima sta nel fatto di es-sere stata un'esperienza condivisa e nel fatto che la suamemoria è programmata per essere condivisa continua->

e trasformata in proprietà comune; in altre parole, nelfatto di essere protetta dal tentativo di sacralizzazione.Infatti, come sostiene Todorov, "la sacralizzazione impe-disce di trarre lezioni generalmente valide da casi parti-colari, e di conseguenza impedisce la comunicazione trail passato e il presente". (...)

La banalizzazione segue apparentemente un percor-so esattamente opposto a quello della sacralizzazione,ma sfocia più o meno negli stessi risultati: confuta, an-che se soltanto indirettamente, qualsiasi originalitàdell'esperienza del gruppo e in questo modo priva a prio-ri il suo messaggio di quel valore unico che può giustifi-care la necessità di un dialogo tra un gruppo e l'altro. Co-me nel caso della sacralizzazione, anche se basandosi suuna ragione teoricamente contraria, la banalizzazionenon offre alcun desiderio o incoraggiamento a sollecita-re, o unirsi, a una conversazione. Se il fenomeno noto aun gruppo grazie alla sua esperienza continua a ripetersicon tediosa monotonia nell'esperienza di quasi chiun-que altro, c'è poco o niente che un gruppo possa appren-dere da un altro gruppo. I casi perdono quella potenza il-luminante che risiede nella loro particolarità. Nella mol-titudine di casi simili o identici, la peculiarità da cui è pos-sibile apprendere qualcosa di autenticamente generalee universalmente importante, proprio grazie alla sua uni-cità, va perduta. Ancora peggio: non c'è nulla che i grup-pi possano imparare dal fatto di condividere le esperien-ze della loro coabitazione, poiché l'ubiquità e la ripetiti-vità dell'esperienza suggeriscono, erroneamente, che leragioni del destino di ogni gruppo possono essere esplo-rate e rivelate fintanto che la ricerca si concentra unica-mente sulle azioni o le omissioni del gruppo stesso. Para-dossalmente, la banalizzazione fa il gioco dei sacralizza-tori. Rafforza la sacralizzazione, ne corrobora la saggez-za e la logica e ispira uno zelo sacralizzatore ancora piùforte.

Sia la sacralizzazione che la banalizzazione, dunque,separano i gruppi e li mettono in contrasto fra loro. En-trambe chiudono l'esperienza al loro interno, perché en-trambe sminuiscono o negano l'importanza, ai fini dellaloro sopravvivenza, del dialogo tra i gruppi e della condi-visione di esperienze di gruppo che normalmente vengo-no vissute separatamente, nonostante i legami recipro-ci. La sacralizzazione procede a braccetto con la banaliz-zazione. Todorov tratta il caso di Richard Holbrooke, ilrappresentante del Dipartimento di Stato americano inJugoslavia, che - citando il precedente di Raul Wallen-berg - accettò di parlare con le autorità di Belgrado, giàaccusate di condurre "un altro olocausto" in Bosnia. Wal-lenberg, sotto il regime nazista, mise da parte il suo inte-resse personale pur di salvare vite umane. Todorov sotto-linea che mentre Wallenberg rischiò la sua vita quandoprese la decisione di aiutare le vittime contrapponendo-si ai potentissimi carnefici, Holbrooke, in nome e perconto della più formidabile iperpotenza del mondo, an-dò a dare ordini, a comandare e costringere alla resa deiconti gente bersagliata quotidianamente con missili ebombe intelligenti. Clinton giustificò l'intervento milita-re in Bosnia citando l'ammonimento di Churchill controla politica di appeasement nei confronti di Hitler. Ma chevalore aveva un simile paragone, domanda Todorov? Mi-logevié era una minaccia per l'Europa comparabile aquella di Hitler?

La banalizzazione torna comoda quando si contemplail ricorso alla coercizione contro un avversario più debo-le, e quando l'esigenza è quella di vendere all'opinionepubblica questa coercizione come nobile sacrificio di sé,invece che come atto di potenza politica. Estendere sot-tilmente l'orrore e la ripugnanza impedisce alla gente diindividuare nella peculiarità perduta del crimine bana-lizzato quei principi di giustizia, quelle regole etiche equegli ideali politici che verrebbero messi in risalto se ta-le crimine fosse ricordato nel modo appropriato. L'occa-sione per trarre principi etici universalmente validi è an-data ormai, con tutta probabilità perduta, tanto che Mo-she Landau, che nel 1961 aveva presieduto al processo aEichmann, ventisei anni dopo, ha potuto presiedere lacommissione che ha legalizzato l'uso della tortura con-tro antisemiti "analoghi": i palestinesi dei Territori Occu-pati.

La banalizzazione sostituisce un'illusoria similaritàdella perfidia del nemico (o, ancora più semplicemente,una similarità dell'inimicizia: tutti i nemici tendono ad"assomigliarsi fra loro", e anche ad agire in modo simil-mente malvagio una volta che sono stati qualificati comenemici) alla similarità che conta davvero se si vuole trar-re una lezione dall'esperienza passata: quella tra i rappor-ti di potere e la moralità (o immoralità) degli atti. Ogni-qualvolta e in qualsiasi luogo una forza onnipotente re-prime la voce dei deboli e degli sventurati invece di darloro ascolto, si mette dal versante sbagliato del fossatoetico che separa il bene dal male: la banalizzazione è untentativo disperato (ma temporaneamente efficace, a pat-to che il forte resti più forte e il debole resti più debole) dinegare questa verità. Solo fondandosi su un'universalitàetica si può condannare il generale francese Paul Aussa-resses per le atrocità che autorizzò e incoraggiò nei con-fronti dei ribelli algerini, o Bob Kerrey (ex senatore statu-nitense e successivamente presidente di un'università),che fu accusato dopo molti anni da un ex commilitone diaver perpetrato in Vietnam, quando si trovava laggiùcon il corpo di spedizione americano, orribili esecuzionidi massa. "Una giustizia che non sia uguale per tutti nonmerita il nome di giustizia", ci ricorda Tzvetan Todorov.E fintanto che non c'è la possibilità di punire i massacra-tori della Cecenia, o gli americani che hanno ispirato,sponsorizzato e foraggiato le violazioni dei diritti umaninel Salvador, in Guatemala, ad Haiti, in Cile o in Iraq, o iresponsabili dei maltrattamenti dei palestinesi, o ancorai dirigenti colpevoli di "aver largamente approvato le tec-niche di interrogatorio più severe mai utilizzate dallaCentral Intelligence Agency", il diritto dello Stato di per-seguitare i propri cittadini o i residenti di territori dipen-denti risulta avallato (e considerato avallato) nel momen-to in cui si attribuiscono alle vittime, a cui non viene con-cessa possibilità di appello, quelle intenzioni malvagieche giustificano e assolvono lo Stato per le cattive azionicommesse, ma soprattutto per quelle che probabilmen-te verranno commesse.

Ahimé, anche il diritto del forte di fare ciò che vuoledel debole è una lezione dell'epoca dei genocidi. Una le-zione cruenta e spaventosa, certo, ma cionondimenoproprio per questo smaniosamente appresa, fatta pro-pria e applicata. (...)

Ryszard Kapusciñski, infaticabile esploratore degliscenari più noti, meno noti e interamente trascurati diconflitti sanguinosi e miseria umana, e anche indagatoreacuto dei conflitti che lacerano l'incipiente umanità delnostro mondo in rapida globalizzazione, così ha riassun-to la sfida con cui tutti dobbiamo fare i conti: "Non essen-dovi alcun tipo di meccanismo, nessuna barriera legale,istituzionale o tecnica in grado di respingere efficace-mente nuovi atti di genocidio, la nostra unica difesa con-tro di essi risiede nell'elevazione morale degli individuie della società. Nella coscienza spiritualmente viva, nellavolontà forte di fare del bene, nel costante e attento ascol-to del comandamento: amerai il prossimo tuo come testesso". A un lettore scettico che dubita dell'efficacia delcomandamento di fronte ai carri armati, agli elicotteri, al-le bombe a orologeria e ai missili intelligenti del mondomoderno, e all'inebriante tentazione che insorge nei lo-ro orgogliosi proprietari, possiamo dire che una lezioneche la storia dell'omicidio categoriale ha insegnato al dilà di ogni ragionevole dubbio è che amare il prossimo eindurre il prossimo ad amarci è - oltre alle altre sue vir-tù, per esempio quelle morali - il solo servizio ragione-vole, efficace e duraturo che singoli individui e gruppipossano rendere al proprio amore per sé.

In un pianeta sempre più globalizzato non esistono so-

luzioni locali a problemi dalle radici globali. La causa del-

la sopravvivenza e quella della giustizia, spesso in contra-

sto fra loro in passato, ora puntano nella stessa direzio-

ne, richiedono strategie analoghe e tendono a confluire

in un'unica causa; e questa causa unificata non può esse-

re perseguita, né tanto meno realizzata, a livello locale emediante sforzi soltanto locali. I problemi globali hannosolo soluzioni globali. In un pianeta in via di globalizza-zione, i problemi umani possono essere affrontati e risol-ti solo ricorrendo a un'umanità solidale. 21TRADUZIONE DI FABIO GALIM BERTI

0 RIPRODUZIONE RISERVATA

Le immaginiIn queste pagine il progetto

Echoes della fotografa

norvegese Hebe Robinson.

Nel 1950, il governo norvegese

offrì, dietro compenso,

alle famiglie di alcuni piccoli

villaggi dei nord della Norvegia

di lasciare le loro case

per trasferirsi in zone più centrali

dei Paese. Robinson, che vive

e lavora a Oslo, ha inserito

vecchie foto ricordo nei luoghi

come si presentano oggi,

per legare passato e presente

BibliografiaSull'Olocausto alcuni classici

come Se questo è un uomo,

di Primo Levi (Einaudi, varie

edizioni), Diario, di Anne Frank

(Einaudi, varie edizioni),

La banalità del male, di Hannah

Arendt (Feltrinelli, varie edizioni).

Tra le ultime novità: Il partigiano

Edmond, di Aharon Appeifeld

(Guanda, 2017), Il farmacista

del ghetto di Cracovia, di Tadeusz

Pankiewicz (Utet, 2016),

L'amico ebreo, di Gian Piero Bona

(Ponte alle Grazie, 2016),

Conforme alla gloria, di Demetrio

Paolin (Voland, 2016).

Sulla guerra civile spagnola

segnaliamo: Per chi suona

la campana, di Ernest

Hemingway (Mondadori,

varie edizioni), Luna da lupi,

di Julio Llamazares (Passigli,

2008), I girasoli ciechi, di Alberto

Méndez (Guanda. 2006).

La lingua delle farfalle. di Manuel

Rivas (Feltrinelli, 2005), Il nome

che ora dico, di Antonio Soler

(Tropea, 2003),

Soldati di Salamina, di Javier

Cercas (Guanda, 2002).

Sul conflitto nella ex Jugoslavia:

La guerra del diecianni, a cura

di A. Marzo Magno (Il Saggiatore,

2015), Come se mangiassi pietre,

di Wojciech Tochman

(Keller, 2010), Balkan Express,

di Slavenka Drakulié

(Il Saggiatore, 1996), Le Marlboro

diSarajevo, di Miljenko Jergovié

(Quodlibet,1995)