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Fabio Giunta SAGGI E STRUMENTI LETTERATURA ITALIANA FrancoAngeli Un’eloquenza militante per la Controriforma Francesco Panigarola tra politica e religione

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Il rinnovamento dell’omiletica cattolica promosso dal Concilio di Trento rappresen-ta uno degli aspetti più significativi della risposta dottrinale e politica della Chiesa Ro-mana alla dilagante minaccia protestante. Gli studi raccolti in questo volume affronta-no le diverse forme in cui l’elaborazione di una nuova retorica militante al servizio del-la Chiesa controriformista prende corpo nelle opere e nell’attività di Francesco Pani-garola, esplorando non solo i testi più noti e fortunati del predicatore, ma anche quellimeno conosciuti del controversista e del teologo, come le Lezioni calviniche pronun-ciate a Torino nel 1582 o le prediche recitate a Parigi nel 1590, durante la resistenza al-l’assedio di Enrico IV. In un’epoca in cui lo scontro religioso è anche un conflitto poli-tico, la retorica diviene un’arma formidabile e, attraverso la difesa di un’eloquenza ric-ca e magniloquente, l’opera del Panigarola è volta a contrastare con ogni mezzo la“rozza semplicità” dell’“eresia” calvinista, come prova anche il trattato sul Modo dicomporre una predica, molto noto nel Cinquecento, qui pubblicato in quanto testimo-nianza tra le più significative delle istanze politiche della retorica postridentina.

Fabio Giunta svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Filologia Classicae Italianistica dell’Università di Bologna. Si occupa prevalentemente di letteratura ita-liana di Cinque e Seicento. Ha pubblicato saggi su retorica, magia e letteratura sacra,e in particolare su Torquato Tasso, Francesco Panigarola, Giambattista Marino in ri-viste specializzate, e i volumi Francesco Panigarola, Vita scritta da lui stesso, edi-zione critica e commento (Il Mulino, 2008); Magia e storia in Torquato Tasso (Uni-copli, 2012).

Fabio Giunta

Un’eloquenza militanteper la Controriforma

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LETTERATURA ITALIANA

1051.38 F. Giunta

UN’ELOQUENZA M

ILITANTE PER LA CONTRORIFORMA

FrancoAngeli

FrancoAngeliLa passione per le conoscenze

Un’eloquenza militanteper la Controriforma

Francesco Panigarola tra politica e religione

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Letteratura Italiana Saggi e strumenti

Collana diretta daGian Mario Anselmi, Pasquale Guaragnella e Francesco Spera

La Collana intende presentare saggi e strumenti critici sulla letteratura italiana dalDuecento ai giorni nostri. Il progetto nasce dall’esigenza di rivendicare il valore e lavitalità della critica letteraria, intesa nella sua feconda varietà di metodi, come anali-si rigorosa dei testi, approfondito studio del contesto culturale e interpretazione deisignificati delle opere. A tal fine si propongono monografie sulla ricca galleria di au-tori e sui molteplici filoni della nostra tradizione, ma anche studi innovativi per son-dare spazi inesplorati e allargare le possibilità della ricerca. I saggi e gli strumentidella Collana mirano a offrire al lettore una conoscenza autentica delle opere e degliscrittori, permettendogli così una fondamentale esperienza intellettuale ed esteticache esalti il piacere di leggere e interpretare. La libera voce della critica, anche inun’età difficile e problematica, può indicare nuovi percorsi e suggerire letture alter-native, ravvivando la circolazione delle idee e riconfermando l’alto valore della no-stra civiltà letteraria.

Comitato scientifico: Giorgio Barberi Squarotti, Jean-Jacques Marchand, Nicolò Mi-neo, Emilio Pasquini, Vitilio Masiello, Francisco Rico.

Tutti i testi pubblicati nella collana sono sottoposti a un processo di peer review chene attesta la validità scientifica

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Fabio Giunta

Un’eloquenza militante

per la Controriforma

Francesco Panigarola tra politica e religione

FrancoAngeli

LETTERATURA ITALIANA

SAGGI E STRUMENTI

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Il volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.

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Indice

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Premessa

I. L’eloquenza sacra dopo il Concilio di Trento

II. La trattatistica retorica del Panigarola1. Modo di comporre una predica2. Trattato della memoria locale3. Il predicatore

3.1. Le traduzioni latine del Perì hermeneias dello pseudo-Demetrio nel Cinquecento

3.2. Struttura dell’opera e teoria dei quattro stili4. Questioni intorno alla favella del predicatore italiano

III. Panigarola e l’“eresia” calvinista1. I viaggi a Parigi 2. Le Calviniche3. L’Antipanigarole4. Eloquenza e semplicità

IV. Appendice Modo di comporre una predica: edizione commentata

1. Introduzione2. Criteri di trascrizione3. Testo

Indice dei nomi

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Premessa

In un saggio del 1995 Carlo Delcorno osservava che, secondo il Paniga-rola, «il genere oratorio giudiziale [...] ha per contenuto, in età moderna, la confutazione dell’eresia»1. Gli studi raccolti in questo volume affrontano le diverse forme in cui l’elaborazione di una nuova retorica militante al ser-vizio della Chiesa controriformista prende corpo nelle opere e nell’attività di Francesco Panigarola, esplorando non solo i testi più noti e fortunati del predicatore, ma anche quelli meno conosciuti del controversista e del teologo. Nel solco del rinnovamento dell’omiletica promosso dal Concilio di Trento, la predicazione del Panigarola, nella prassi come nella teoria, privilegia la di-mensione apologetica, agonistica e politica in risposta alla dilagante minaccia protestante. Anche l’oratoria risulta così un’arma formidabile, in un confl itto in cui le posizioni teologiche e dottrinali hanno un equivalente preciso sul versante retorico ed espressivo: lo stile della predicazione diventa anzi uno dei contrassegni più signifi cativi che rivelano la cifra delle diverse correnti religiose del Cinquecento. E da questo punto di vista il caso del Panigarola, attivissimo censore delle tesi luterane e calviniste, ma a sua volta bersaglio autorevole di confutazioni dogmatiche da parte degli avversari, costituisce un esempio paradigmatico.

Attraverso la difesa di un’eloquenza ricca e magniloquente, l’opera del Panigarola è volta a contrastare con ogni mezzo la ruvida semplicità del-l’“eresia” calvinista. Nei suoi trattati egli mira a defi nire uno stile magnifi -co che, anche avvalendosi dei principi del movere e del delectare, rispecchi l’idea di una Chiesa trionfante differenziandosi dalla “rozzezza” dei teologi protestanti (quali Giovani Calvino, Georges Pacard, Giacomo Picenino); ma è

1. C. Delcorno, Forme della predicazione cattolica fra Cinque e Seicento, in Cultura d’élite e cultura popolare, a cura di O. Besomi e C. Caruso, Basel, Birkhäuser, 1995, pp. 275-301: 292. Si veda poi oggi anche G. Caravale, Predicazione e Inquisizione nell’Italia del Cinquecento. Ippolito Chizzola tra eresia e controversia antiprotestante, Bologna, il Mulino, 2012.

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l’omiletica a svolgere un ruolo decisivo nella lotta antiereticale: basti pensare, ad esempio, alle prediche tenute a Parigi nel 1572, in presenza di Caterina de’ Medici e del re Carlo IX all’indomani della strage di San Bartolomeo, nel 1579, ancora con Caterina e il re Enrico III, e nel 1590, in occasione del lun-go assedio della capitale francese ad opera dell’«eretico e relapso» re Enrico IV; o ancora allo straordinario ciclo contro Calvino del 1582 a Torino e alle successive predicazioni, al fi anco del cardinale Carlo Borromeo, in Valtellina e nei Grigioni. E accanto alla teoria elaborata nei trattati e alla prassi concreta delle predicazione, occorre collocare anche l’autobiografi a del Panigarola2, scritta negli ultimi anni di vita, con la prospettiva interna di una rhetorica in-sieme docens e utens, poiché vi si raffi gura, in una cornice profi lata dai decreti del Concilio di Trento e ispirata dalle Instructiones praedicationis Verbi Dei di Carlo Borromeo, la vita esemplare del predicatore e il modello di vescovo della Controriforma. In questo modo lo splendore e l’artifi cio della predica-zione del Panigarola diventano uno strumento fondamentale per riaffermare la gloria di Roma attraverso la rinascita di una nuova eloquenza sacra consona alle ambizioni spirituali e temporali della monarchia pontifi cia.

I capitoli di questo studio aggiornano e approfondiscono variamente alcu-ni lavori precedenti. Più in particolare, nei primi tre capitoli sono stati rifusi e ampliati i seguenti interventi: Panigarola e la Francia. Note sulla Vita e teoria della predicazione, in «Lettere italiane», Firenze, Olschki, LIX, 3, 2007, pp. 331-351; Francesco Panigarola e la Scrittura come modello retorico: «la sim-plicità contra l’eloquenza», in Sotto il cielo delle Scritture. Bibbia, retorica e letteratura religiosa (secc. XIII-XVI), a cura di C. Delcorno e G. Baffetti, Firenze, Olschki, 2009, pp. 139-151; Calvino e Panigarola, in Calvin insolite, études réunies par Franco Giacone, Paris, Garnier, 2012, pp. 463-485; Fran-cesco Panigarola and «i frutti delle prediche», in M.G. Muzzarelli (edited by), From Words to Deeds. The Effectiveness of Preaching in the late Middle Ages, Turnhout, Brepols, 2014, pp. 237-246.  In appendice  viene  pubblica-ta l’edizione commentata del Modo di comporre una predica (Roma, 1584).

2. Per la biografi a del Panigarola mi permetto di rinviare a F. Panigarola, Vita scritta da lui medesimo. Edizione critica, introduzione e note a cura di Fabio Giunta, Bologna, il Mulino, 2008. Si vedano inoltre la voce Panigarola Girolamo, a cura di V. Lavenia, in Dizionario Biografi co degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2014, vol. 80, pp. 773-777; e soprat-tutto U. Benzi, Francesco Panigarola (1548-1594). L’éloquence sacrée au service de la Contre-Réforme, Genève, Droz, 2015.

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IL’eloquenza sacra

dopo il Concilio di Trento

Con l’avvio del Concilio di Trento la Chiesa romana iniziava a costruire una nuova e più compatta unità politico-religiosa1. A vincere era la linea, già fortemente sostenuta dal cardinale Gian Pietro Carafa (poi papa Paolo IV), che vedeva nel contrasto della riforma protestante2 e nel rafforzamento della riorga-nizzazione disciplinare e dottrinale della Chiesa e del clero, le premesse di una riforma cattolica3. Concluso il Concilio occorreva dunque ridefi nire e diffonde-re la dottrina rinnovata avvalendosi di nuovi strumenti quali la revisione della Vulgata, la messa a punto del Catechismo, del Breviario e del Messale romano, la creazione di seminari e collegi e lo sviluppo della “seconda scolastica” at-traverso un rinnovato interesse per la teologia rispettivamente di San Tommaso per l’ordine dei Domenicani e Duns Scoto per i Francescani (sebbene i cappuc-cini preferiscano tendenzialmente san Bonaventura). Per quanto riguarda la for-tuna dello scotismo4 in particolare si assiste a una straordinaria proliferazione

1. Della vasta bibliografi a sul Concilio di Trento, oltre al fondamentale H. Jedin, Storia del Concilio di Trento (1949-1975), 5 voll., Brescia, Morcelliana, 1949-1981, si ricordano qui sola-mente J.W. O’Malley, Trento. Il racconto del Concilio (2012), Milano, Vita e Pensiero, 2013; A. Prosperi, Il Concilio di Trento: una introduzione storica, Torino, Einaudi, 2001; A. Tallon, Il con-cilio di Trento (2000), Cinisello Balsamo, San Paolo, 2004; R. Po-Chia Hsia; La Controriforma. Il mondo del rinnovamento cattolico (1540-1770) (1998), Bologna, il Mulino, 2001; P. Prodi e W. Reinhard, Il concilio di Trento e il moderno, Bologna, il Mulino, 1996; A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996; M. Firpo, Inquisizione romana e Controriforma, 1992; H. Jedin e P. Prodi, Il Concilio di Trento come crocevia della politica europea, Bologna, il Mulino, 1979.

2. Sull’argomento si veda La Réforme en France et en Italie. Contacts, comparaisons et contrastes, études réunies par P. Benedict, S. Seidel Menchi et A. Tallon, Roma, École Française de Rome, 2007.

3. Andrzej Kakareko ricorda che «i decreti della riforma tridentina non furono soltanto la causa della riforma cattolica, ma anche l’espressione e l’effetto di essa», in A. Kakareko, La riforma della vita del clero nella diocesi di Vilna dopo il Concilio di Trento (1564-1796), Roma, Editrice Pontifi cia Università Gregoriana, 1996, pp. 32-33.

4. Ovvero una «interpretazione agostinistica dell’aristotelismo» che «inserendosi più espli-

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di studia in Italia, Spagna, Francia, Germania, Austria proprio fra il XVI e il XVII secolo. La riforma cattolica benché avesse comunque rafforzato il potere del papa e l’autorità dei vescovi, iniziava a preoccuparsi, e quindi a impegnarsi, maggiormente per la cura animarum, l’istruzione dei fedeli e la formazione del clero nei seminari diocesani. Sulla formazione del clero il secondo decreto del-la quinta sessione degli atti conciliari (Super lectione et praedicatione) puntava sulla valorizzazione del “tesoro celeste dei libri sacri”:

Eadem sacrosancta synodus, piis summorum pontifi cum et probatorum conciliorum constitutionibus inhaerens easque amplectens et illis adiiciens, ne coelestis ille sacrorum librorum thesaurus, quem Spiritus sanctus summa liberalitate hominibus tradidit, neglectus iaceat, statuit ac decrevit, quod in illis ecclesiis, in quibus praebenda aut praestimonium seu aliud quovis nomine nuncupatum stipendium pro lectoribus sacrae theologiae deputatum reperitur, episcopi, archiepiscopi, primates et alii locorum ordinarii eos, qui praebendam aut praestimonium seu stipendium huiusmodi obtinent, ad ipsius sacrae scripturae expositionem et interpretationem per se ipsos, si idonei fuerint, alioqui per idoneum substitutum, ab ipsis episcopis, archiepiscopis, primatibus et aliis locorum ordinariis eligendum, etiam per subtractionem fructuum, cogant et compellant. De cetero vero praebenda, praestimonium aut stipendium huiusmodi nonnisi personis idoneis et qui per se ipsos id munus explicare possint, conferantur. Et aliter facta provisio nulla sit et invalida5.

Un ruolo decisivo spettava alla predicazione, ovvero, lo straordinario ed ef-fi cacissimo medium di persuasione attraverso il quale il nuovo spirito conciliare si misurava con i fedeli di qualunque ceto sociale. La storia della Chiesa cat-tolica del Cinquecento non si riduce quindi esclusivamente alle iniziative della Controriforma6 poiché, anche per impulso dei nuovi ordini che nel frattempo erano sorti, vengono introdotte o intensifi cate «nuove forme di devozione o

citamente [del tomismo] nella tradizione cristiana, sembrava assicurare meglio l’armonia e la compenetrazione tra fi losofi a e teologia», in C. Giacon, La seconda scolastica, Milano, Fratelli Bocca, 1944, vol. I, p. 17. Lo studio di Scoto per gli ordini francescani del secondo Cinquecento ricevette uno straordinario impulso anche grazie a una rinnovata attenzione per la Scolastica, sol-lecitata soprattutto dai papi Pio V e Sisto V, che diede vita alla cosiddetta Seconda Scolastica. Dal 1520, per opera del ministro generale dell’Ordine Francesco Licheto, che dettava la norma per la regolare Osservanza, ai francescani viene prescritto di insegnare soltanto il pensiero di Duns Scoto. Nello stesso anno, a Parigi, per il convento locale e per i francescani della Sorbona, emanò un regolamento per gli studi che raccomandava di approfondire la dottrina di Scoto e l’Opus Oxo-niense. Il capitolo generale di Valladolid del 1593 sancirà che la fi losofi a e la teologia andranno spiegate solamente attraverso il pensiero di Duns Scoto. Si vedano in proposito P. Di Vona, Studi sulla Scolastica della Controriforma. L’esistenza e la sua distinzione metafi sica dell’essenza, Firenze, La Nuova Italia, 1968; e soprattutto C. Giacon, La seconda scolastica, 3 voll., Milano, Fratelli Bocca, 1944-1950.

5. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo, G.L. Dossetti, P.-P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, H. Jedin, Bologna, Edizioni Dehoniane Bologna, 2013, Sessio V, Decretum secundum, art. 1, pp. 667-668.

6. Si vedano il fondamentale volume di H. Jedin, Riforma cattolica o Controriforma? Tentati-vo di chiarimento dei concetti con rifl essioni sul Concilio di Trento (1946), Brescia, Morcelliana, 1995 e P. Prodi, Controriforma e/o Riforma cattolica: superamento di vecchi schemi nei nuovi panorami storiografi ci, in «Römiche Historische Mitteilungen», XXXI, 1989, pp. 227-237.

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di pietà più sentite dalla popolazione: anche se, esse pure, scelte per il loro orientamento anti-protestante»7. Tuttavia, tra i compiti più diffi cili della predi-cazione postridentina vi era quello di conciliare la nuova dottrina catechistica con l’«antica tradizione oratoria, classica e patristica»8. Si rendeva quindi ne-cessario riformare lo statuto dell’omiletica insieme a quello delle funzioni del vescovo, come in parte stava già avvenendo grazie agli articoli 9, 10 e 11 della citata sessione Super lectione et praedicatione discusso nel 1546 (e successiva-mente confermato nel 1563):

9. Quia vero christianae rei publicae non minus necessaria est praedicatio Evangelii quam lectio, et hoc est praecipuum episcoporum munus: statuit et decrevit eadem sancta synodus, omnes episcopos, archiepiscopos, primates et omnes alios ecclesiarum praelatos teneri per se ipsos, si legitime impediti non fuerint, ad praedicandum sanctum Iesu Christi evangelium.10. Si vero contigerit, episcopos et alios praedictos legitimo detineri impedimento, iuxtaformam generalis concilii viros idoneos assumere teneantur ad huiusmodi praedicationis offi cium salubriter exequendum. Si quis autem hoc adimplere contempserit, districtae subiaceat ultioni. 11. Archipresbyteri quoque, plebani et quicunque parochiales vel alias, curam animarum habentes, ecclesias quocunque modo obtinent, per se vel alios idoneos, si legitime impediti fuerint, diebus saltem dominicis et festis solemnibus plebes sibi commissas pro sua et earum capacitte pascant salutaribus verbis, docendo ea, quae scire omnibus necessarium est ad salutem, annuntiandoque eis cum brevitate et facilitate sermonis vitia, quae eos declinare, et virtutes, quas sectri oporteat, ut poenam aeternam evadere et coelestem gloriam consequi valeant9.

Si trattava di una vera e propria «restaurazione dell’autorità episcopale» e al contempo della nascita del «tipo ideale di vescovo»10 che dai cardinali Gian Matteo Giberti11 e Girolamo Seripando12 si esemplava nei modelli di Gabriele

7. R. Rusconi, Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Con-troriforma, Torino, Loescher, 1981, p. 286.

8. C. Delcorno, La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento, in V. Criscuolo (a cura di), Girolamo Mautini da Narni e l’ordine dei Cappuccini fra ’500 e ’600, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1998, pp. 119-148: 122.

9. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, cit., Sessio V, Decretum secundum, artt. 9-11, p. 669. E per le relative disposizioni conciliari si veda H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, cit., II, pp. 119-146.

10. «[…] durante l’età della Riforma cattolica, il tipo ideale di vescovo, l’idea viva del vesco-vo esemplare non fu una semplice creazione letteraria, e nemmeno una mera esigenza teologico-morale od ascetica; essa si ispirò invece a modelli viventi ed agì a sua volta sulla vita», in M. Petrocchi, L’«idea del vescovo» nel Panigarola, in «Rivista di Storia della Chiesa Italiana», VIII, 1954, pp. 93-95. Ma si vedano soprattutto G. Alberigo, Carlo Borromeo come modello di vescovo nella Chiesa post-tridentina, in «Rivista storica italiana», 79, IV, 1967, pp. 1031-1052 e il fon-damentale H. Jedin, Il tipo ideale di vescovo secondo la riforma cattolica, Brescia, Morcelliana, 1950.

11. Sulla fi gura di Gian Matteo Giberti e sul suo modello di comportamento per i sacerdoti in cura di anime si veda l’importante studio di A. Prosperi, Tra Evangelismo e Controriforma. G.M. Giberti (1495-1543), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1969.

12. Si veda H. Jedin, Girolamo Seripando. La sua vita e il suo pensiero nel fermento spiri-

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Paleotti e Carlo Borromeo13, indefessamente impegnati a far rispettare ai ve-scovi l’obbligo di residenza14 nelle località in cui dovevano esercitare il proprio ministero pastorale e a ricondurre l’istituto della predicazione sotto il loro con-trollo nelle singole diocesi (il «praecipuum episcoporum munus»)15, sottraen-dolo così ai religiosi degli ordini mendicanti16. Il nesso tra l’azione episcopale e la predicazione viene inoltre ripreso nel primo capitolo della sessione XXV dei decreti potridentini laddove la conformità delle abitudini e dei comportamenti del vescovo diviene una sorta di “predica perpetua”17. Questa spinta riformista

turale del XVI secolo (1937), 2 voll., Roma-Brescia, Centro culturale agostiniano-Morcelliana, 2016.

13. Si veda P. Prodi, San Carlo Borromeo e il cardinale Gabriele Paleotti: due vescovi della Riforma cattolica, in «Critica storica», III, 1964, pp. 135-151.

14. Il Concilio di Trento aveva defi nito l’obbligo di residenza dei vescovi nel primo capitolo della sesta sessione (13 gennaio 1547): «[…] Implere autem illud se nequaquam posse sciant si greges sibi commissos mercenariorum more deserant atque ovium suarum quarum sanguis de eorum est manibus a supremo iudice requirendus custodiae minime incumbant cum certissimum sit non admitti pastoris excusationem si lupus oves comedit et pastor nescit. Ac nihilominus quia nonnulli (quod vehementer dolendum est) hoc tempore reperiuntur qui propriae etiam salutis immemores terrena que coelestibus ac divinis humana praeferentes in diversis curiis vagantur aut in negotiorum temporalium sollicitudine (ovili derelicto atque ovium sibi commissarum cura neglecta) se detinent occupatos: placuit sacrosanctae Synodo antiquos canones (qui temporum atque hominum iniuria paene in dissuetudinem abierunt) adversus non residentes promulgatos innovare quemadmodum virtute praesentis decreti innovat ac ulterius pro fi rmiori eorundem residentia et reformandis in Ecclesia moribus in hunc qui sequitur modum statuere atque sancire: si quis a patriarchali primatiali metropolitana seu cathedrali Ecclesia sibi quocumque titulo causa nomine seu iure commissa quacumque ille dignitate gradu et praeeminentia praefulgeat legitimo impedimento seu iustis et rationabilibus causis cessantibus sex mensibus continuis extra suam dioecesim morando abfuerit quartae partis fructuum unius anni fabricae Ecclesiae et pauperibus loci per superiorem ecclesiasticum applicandorum poenam ipso iure incurrat. Quod si per alios sex menses in huiusmodi absentia perseveraverit aliam quartam partem fructuum similiter applicandam eo ipso amittat. Crescente vero contumacia ut severiori sacrorum canonum censurae subiiciatur metropolitanus suffraganeos episcopos absentes metropolitanum vero absentem suffraganeus episcopus antiquior residens sub poena interdicti ingressus Ecclesiae eo ipso incurrenda infra tres menses per litteras seu nuntium Romano Pontifi ci denuntiare teneatur qui in ipsos absentes prout cuiusque maior aut minor contumacia exegerit suae supremae sedis auctoritate animadvertere et ecclesiis ipsis de pastoribus utilioribus providere poterit sicut in Domino noverit salubriter expedire», in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, cit., Sessio VI, Decretum de residentia episcoporum et aliorum inferiorum, art. 1, p. 682.

15. Si veda J.W. O’Malley, San Carlo Borromeo ed il «praecipuum episcoporum munus» (1988), in Carlo Borromeo e l’opera della «grande riforma». Cultura, religione e arti del go-verno nella Milano del pieno Cinquecento, a cura di F. Buzzi e D. Zardin, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 1997, pp. 59-68.

16. Si veda R. Rusconi, Predicatori e predicazione (secoli IX-XVIII), in Storia d’Italia, a cura di C. Vivanti, 4, Intellettuali e potere, Torino, Einaudi, 1981, pp. 949-1035.

17. «Optandum est ut ii qui episcopale ministerium suscipiunt quae suae sint partes agnoscant ac se non ad propria commoda non ad divitias aut luxum sed ad labores et sollicitudines pro Dei gloria vocatos esse intelligant. Nec enim dubitandum est et fi deles reliquos ad religionem innocentiam que facilius infl ammandos si praepositos suos viderint non ea quae mundi sunt sed animarum salutem ac coelestem patriam cogitantes. Haec cum ad restituendam ecclesiasticam

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veniva inoltre divulgata e applicata dalla consistente trattatistica di retorica ec-clesiastica che si diffondeva parallelamente e in supporto alla pratica della pre-dicazione18. Basterà qui ricordare, per rimanere ai trattati più celebri, l’Arte del predicare di Luca Baglioni (1562), la Rhetorica ecclesiastica di Luis di Grana-da (1575), il De formandis sacris concionibus di Lorenzo Villavicente (1565-1575), il Perfecto predicador di Luis de León (1579), il Thesaurus concionato-rum di Tomás de Trujillo (1578), la Rhetorica christiana di Diego Valade (1579),

disciplinam praecipua esse sancta Synodus animadvertat: admonet episcopos omnes ut se cum ea saepe meditantes factis etiam ipsis ac vitae actionibus quod est veluti perpetuum quoddam praedicandi genus se muneri suo conformes ostendant. In primis vero ita mores suos omnes componant ut reliqui ab eis frugalitatis modestiae continentiae ac quae nos tantopere commendat Deo sanctae humilitatis exempla petere possint. Quapropter exemplo patrum nostrorum in concilio Carthaginensi non solum iubet ut episcopi modesta suppellectili et mensa ac frugali victu contenti sint verum etiam in reliquo vitae genere ac tota eius domo caveant ne quid appareat quod a sancto hoc instituto sit alienum quodque non simplicitatem Dei zelum ac vanitatum contemptum prae se ferat. Omnino vero eis interdicit ne ex reditibus Ecclesiae consanguineos familiares ve suos augere studeant cum et apostolorum canones prohibeant ne res ecclesiasticas quae Dei sunt consanguineis donent sed si pauperes sint iis ut pauperibus distribuant eas autem non distrahant nec dissipent illorum causa. Immo quam maxime potest eos sancta Synodus monet ut omnem humanum hunc erga fratres nepotes propinquos que carnis affectum unde multorum malorum in Ecclesia seminarium exstat penitus deponant. Quae vero de episcopis dicta sunt eadem», in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, cit., Sessio XXV, Decretum de reformatione generali, caput I, p. 784.

18. Sul rapporto tra retorica e predicazione postridentina si vedano almeno G. Baffetti, Retorica e cultura tridentina, in «Intersezioni», 2, XXII, 2002, pp. 207-219; M. Fumaroli, L’età dell’eloquenza. Retorica e «rers literaria» dal Rinascimento alle soglie dell’epoca classica (1980), Milano, Adelphi, 2002; S. Giombi, Libri e pulpiti. Letteratura, sapienza e storia religiosa nel Rinascimento, Roma, Carocci, 2001; Ch. Mouchel, Les rhétoriques post-tridentines (1570-1600): la fabrique d’une société chrétienne, in Histoire de la rhétorique dans l’Europe moderne: 1450-1950, publié sous la direction de Marc Fumaroli, Paris, Presses Universitaires de France, 1999, pp. 431-497; C. Delcorno, La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento, cit.; R. Rusconi, Rhetorica ecclesiastica. La predicazione nell’età post-tridentina fra pulpito e biblioteca, ivi, pp. 15-46; C. Delcorno, Forme della predicazione cattolica fra Cinque e Seicento, cit.; M. Miele, Attese e direttive sulla predicazione in Italia tra Cinquecento e Settecento, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento tra Cinquecento e Settecento, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento tra Cinquecento e Settecento. Atti del X Convegno di Studio dell’Associazione italiana dei Professori di Storia della Chiesa. Napoli, 6-9 settembre 1994, a cura di G. Martina e U. Dovere, Roma, Edizioni Dehoniane, 1996, pp. 83-109; F.J. McGinness, Right Thinking and Sacred Oratory in Counter-Reformation Rome, Princeton, Princeton University Press, 1995; C. Delcorno, Forme della predicazione cattolica fra Cinque e Seicento, cit.; C. Delcorno, Dal «sermo modernus» alla retorica «borromea», in «Lettere Italiane», XXIX, 4, 1987, pp. 465-483; L. Bolzoni, Oratoria e prediche, in Letteratura italiana, diretta da Asor Rosa, 3 Le forme del testo, II La prosa, Torino, Einaudi, 1984, pp. 1041-1074; V. Coletti, Parole dal pulpito. Chiesa e movimenti religiosi tra latino e volgare nell’Italia del Medioevo e del Rinascimento, Casale Monferrato, Marietti, 1983, in particolare i capitoli X (Il volgare al Concilio di Trento) e XI (Il volgare nella predicazione), pp. 189-224; P. Bayley, French Pulpit Oratory, 1598-1650. A Study in Themes and Styles, with a Descriptive Catalogue of Printed Texts, Cambridge, Cambridge University Press, 1980; G. Pozzi, Saggio sullo stile dell’oratoria sacra nel Seicento esemplifi cata sul P. Emmanuele Orchi, Roma, Istituto Storico dei Frati Minori Cappuccini, 1954.

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il Divinus orator di Lodovico Carbone di Costaciaro (1595), il De christiano oratore di Pietro Ridolfi (1591). Grazie a un sguardo retrospettivo, «i trattatisti d’oratoria del Seicento (primo fra essi il Tesauro)», scrive Paolo Prodi, «ricor-davano degli oratori sacri del Cinquecento solo il Musso e il Panigarola»19 ma, continua lo storico, «ci sembra che questa visione parziale dei secentisti sia sta-ta accettata quasi supinamente dalla critica letteraria posteriore20 sino ai nostri giorni senza che sia stata messa in discussione la possibilità della compresenza di diverse tendenze e movimenti nel tentativo di riforma della predicazione che si è operato intorno al Tridentino»21. Ma in seguito, grazie ai decisivi contributi degli ultimi decenni di numerosi studiosi, fra i quali Giovanni Getto, Carlo Dio-nisotti, Ezio Raimondi, Giovanni Pozzi, Marc Fumaroli, Carlo Delcorno, Lina

19. P. Prodi, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), 2 voll., Roma, 1959-1967, vol. II, pp. 93-94. Qui vale veramente la pena di leggere quanto il Tesauro scriveva nel Cannocchiale circa il Musso e, soprattutto, il Panigarola: «[…] formò C. Musso, detto il Bitonto, un novello stile di Oration sacra, per modo di un rapidissimo torrente di eloquenza più copiosa ch’elaborata: mista di argomenti infi niti, alti e bassi, di dottrine frequentemente più che sottilmente toccate, di citationi più che di Scritture, che di Scritturali, d’interpretationi letterali e piane, più che argute e scabrose: et se pur si servia di simboli e fi gure, delle quali è piena la vecchia e nuova Legge, le applicationi eran savie et sode, più tosto che acute et inopinate; et queste cose con tanta af-fl uenza e tanta opera di memoria che di una predica sola se ne sarian fatte diece; non fi nendo di predicare fi nché non avesse fi nito di evacuare tutta la propria materia. Seguì questa maniera allora stimata miracolo, il Panigarola, suo discepolo quanto all’età ma più perfettionato con lo studio et col talento. Peroché, havendo congiunta un’esquisita dottrina di gran maestro che si vede nella sua Teologia Davidica manoscritta, con un’esquisita peritia delle retoriche, laqual si vede nel suo Demetrio, et sopra tutto, la gratia et leggiadria da cavaliero, l’avvenenza, la facilità, la natural facondia e la dolcezza della lingua formò le sue prediche non men faticose ma più culte, più ordinate et soavi che il suo maestro. Passò questa maniera sempre seria et abbondante ne’ loro ammiratori; et anco al principio di questo secolo ne habbiamo udita la echo nel Castel-fi cardo et nel Montolmo. Ma perché questo più diffuso che luminoso stile per la sua continuata serietà che dal nostro autore si numera tra le cose noievoli et per la prolissità che col soperchio guasta il bello, stancava gli uditori et gli predicatori stessi, i quali con quell’asiatica contentione havean più sudato predicando che se havesser corso per poste un giorno intero», in E. Tesauro, Il cannocchiale aristotelico, Torino, Zavatta, 1670, pp. 501-502. Sul Musso si vedano inoltre M.T. Girardi, L’arte compiuta del vivere bene: l’oratoria sacra di Cornelio Musso (1511-1574), Pisa, ETS, 2012 e C.E. Norman, Humanist Taste and Franciscan Values. Cornelio Musso and Catholic Preaching in Sixteenth-Century Italy, New York, Peter Lang, 1998.

20. Nel noto capitolo I predicatori italiani del Seicento e il gusto spagnuolo di Benedetto Croce si legge: «L’indirizzo alla predicazione, in quel secolo [il Cinquecento], fu dato, special-mente, dal piacentino Cornelio Musso (1511-1574)», detto “il Bitonto” […] e dallo scolaro di lui e perfezionatore del suo stile, il milanese Francesco Panigarola (1548-1594), il “divino” Paniga-rola, che predicò in Italia e fuori e lasciò anche trattati dottrinali sulla sacra eloquenza». Il Croce, dopo aver menzionato anche il Seripando e il Fiamma, aggiunge: «L’eloquenza del Musso era grave, nutrita di cose, contesta di testi scritturali interpetrati [sic] pianamente, e di argomentazio-ni fi losofi che. “Il Panigarola (dice il Tesauro) vi aggiunse la perizia nelle rettoriche, la grazia e la leggiadria da cavaliere (– aveva avuto, da giovane, i bollenti spiriti di padre Cristoforo –), l’av-venenza, la facilità, la natural facondia, e la dolcezza della lingua, formando le sue prediche non men faticose, ma più culte, più ordinate e soavi”», in B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari, Laterza, 1911, p. 172.

21. P. Prodi, Il cardinale Gabriele Paleotti, cit., vol. II p. 94.

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Bolzoni, Maria Luisa Doglio, Carlo Ossola, Carlo Ginzburg, Ottavia Niccoli, John W. O’Malley, Gigliola Fragnito, la pullulante varietà dell’omiletica di età moderna è stata inscritta nell’alveo della retorica e della letteratura. Sono così riemersi sotto questa lente interpretativa i protagonisti della retorica sacra ita-liana postridentina come Cornelio Musso, Gabriele Fiamma, Gabriele Paleotti, Roberto Bellarmino, Antonio Possevino. Ma un ruolo di propulsore straordi-nario è certamente stato quello di Carlo Borromeo cui spetta il merito di aver creato a Milano una “corrente” di retorica ecclesiastica (l’atelier ispano-italico) che si prefi ggeva di applicare concretamente i canoni conciliari. Il Borromeo offre così un effi cace e pragmatico esempio di politica culturale corrispondente alle esigenze del concilio tridentino con la formulazione di una serie di precetti (soprattutto nelle Istructiones Praedicationis Verbi Dei) poi raccolti negli Acta Ecclesiae Mediolanensis, e l’incoraggiamento della produzione di scritti teo-rici22. Carlo Borromeo è senza dubbio uno dei protagonisti più infl uenti della storia dell’eloquenza ecclesiastica nel XVI secolo. Nel 1566 viene nominato arcivescovo di Milano e da Roma, dove presiedeva alle tenzoni di oratoria latina dell’Accademia delle Notti Vaticane23 cui partecipavano personaggi del calibro di Silvio Antoniano, Agostino Valier, Sperone Speroni, Ugo Boncompagni (il futuro papa Gregorio XIII), si trasferisce nella città lombarda per esercitarvi l’uffi cio di vescovo secondo il rinnovato spirito tridentino. Durante gli anni mi-lanesi il Borromeo commissiona e fa pubblicare diversi trattati di retorica sacra (ispirati al IV libro del De doctrina christiana di sant’Agostino) che mutuano, senza tuttavia citarlo, non pochi argomenti dall’Ecclesiastes in cui, secondo da Campagnola, «Erasmo disegnava un oratore sacro che doveva prefi ggersi non tanto di “delectare”, quanto di “docere” e solo subordinatamente di “movere” o “fl ectere”»24. Tesi che comunque si poteva già leggere in un passo del De doctrina christiana di Agostino25. Bisogna tuttavia aggiungere che Delcorno

22. Si vedano il capitolo di M. De Certeau, Charles Borromée (1538-1584), in Id, Le lieu de l’autre. Histoire religieuse et mystique, Gallimard-Seuil, Hautes Études, 2005, pp. 115-134; F. Barbieri, La riforma dell’eloquenza sacra in Lombardia operata da san Carlo Borromeo, in «Archivio storico lombardo», 1911, s. 4, vol. 15, fasc. 30, pp. 231-262.

23. Le “notti vaticane” «si trasformarono da accademia di discussioni umanistiche in cena-colo teologico, nel quale venivano dibattuti problemi di interpretazione della Sacra Scrittura ed erano persino tenuti esercizi di predicazione», in H. Jedin, Carlo Borromeo, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1971, p. 12. Sulle “notti vaticane” si vedano P. Paschini, Il primo soggior-no di S. Carlo Borromeo a Roma (1560-1565), in «Lateranum», nova series, XXIV, 1-4, 1948, pp. 95-177; L. Berra, L’Accademia delle Notti Vaticane fondata da S. Carlo Borromeo, Roma, Bretschneider, 1915.

24. S. da Campagnola, La predicazione fra teologia e letteratura, in Girolamo Mautini da Narni e l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini fra ’500 e ’600, a cura di Vincenzo Criscuolo, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1998, p. 27. Per Marc Fumaroli tali trattati, «patrocinati dall’autorità di Carlo Borromeo, diffusi e studiati in tutta l’Europa cattolica, […] segnano, forse inconsapevolmente, una tappa fondamentale nella storia della retorica umanistica», in M. Fuma-roli, L’età dell’eloquenza, cit., p. 144.

25. Nel De doctrina christiana (IV, XII, 27-28) Agostino, fondandosi su un motivo dell’O-rator di Cicerone, sostiene la preminenza del docere per la sua necessità: «Dixit ergo quidam

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ha fatto riferimento all’opportunità, negli intenti del Borromeo, «che il movere prevalesse sul docere, determinando una sistematica e costante ricerca della tensione patetica, presente in tutte le parti del discorso, come il sangue circo-lante in tutte le membra del corpo»26. E anche Baffetti ha sottolineato questo aspetto quando, a proposito del trattato del Valier, scrive che «sul docere deve però prevalere il movere, perché quella raccomandata dal Valier, in conformità con le convinzioni del Borromeo, è un’eloquenza del cuore in cui l’ispirazione e l’invenzione predominano sull’artifi cio e largo spazio ha il ricorso agli affetti, i quali derivano tutti dall’amore, indicato come il movente più intimo dell’agire umano, che può essere indirizzato verso Dio o verso il male»27. Sempre Delcor-no ha ben osservato che «rispetto alla linea ciceroniana dell’oratoria sacra, che […] unisce il primo Cinquecento alla scuola dei Gesuiti, la trattatistica ispirata dal Borromeo segna un arretramento della retorica, subordinata alle cose sacre, all’utilità dei contenuti. Punto di riferimento non è tanto il De oratore di Cice-rone quanto il De doctrina christiana di Agostino, e subordinatamente l’Eccle-siastes di Erasmo. Eppure l’atteggiamento del Borromeo ha il merito di salvare le ragioni fondamentali della retorica, negate da alcune forme della predicazio-ne cinquecentesca (si pensi a quella dei primi Cappuccini), e disconosciute da più di un trattatista […]»28. Anche ciò ha contribuito a far sì che «uno dei tratti distintivi della predicazione sacra italiana tra la metà del Cinquecento e l’inizio del Seicento» fosse «la conquista di un posto uffi ciale nella repubblica delle lettere»29.

Le retoriche borromiane prendono quindi le distanze dalla tradizione omile-tica medievale e mirano a ricollegarsi all’eloquenza e all’antropologia dei Padri della Chiesa, il cui ideale raggiungerà il suo risultato più alto nel XVII secolo con Jacques-Bénigne Bossuet in Francia e Paolo Segneri in Italia. Giovanni Pozzi nel suo libro su Emanuele Orchi commentava così la crescente eleganza e l’affermazione dell’oratoria sacra del Seicento:

Chiunque osservi il posto che l’eloquenza sacra occupa via via nel corso dei secoli nell’as-sieme della produzione letteraria, noterà di primo acchito, che, mentre in ogni altro tempo le prediche tengono delle posizioni periferiche di fronte alle rispettive iniziative letterarie, nel Seicento invece la prosa di predicazione è l’espressione più genuina e più violenta del movimento specifi co del secolo, il concettismo. Il fatto è certamente da spiegarsi con l’uf-fi cialità mondana, secolare che la predica, soprattutto il panegirico ed il quaresimale, assu-

eloquens, et verum dixit, ita dicere debere eloquentem “ut doceat, ut delectet, ut fl ectat”. Deinde addidit: “Docere necessitatis est, delectare suavitatis, fl ectere victoriae”. […] docere necessitatis est. […] fl ectere necessitatis non est […]. neque delectare necessitatis est», in Sant’Agostino, L’i-struzione cristiana, Roma-Milano, Fondazione Lorenzo Valla-A. Mondadori, 2011, pp. 292, 294.

26. C. Delcorno, La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento, cit. p. 119.27. G. Baffetti, Retorica e cultura tridentina, cit., p. 214.28. C. Delcorno, Dal «sermo modernus» alla retorica «borromea», cit., pp. 472-473.29. G. Pozzi, Intorno alla predicazione del Panigarola, in Problemi di vita religiosa in Italia

nel Cinquecento. Atti del convegno di storia della Chiesa in Italia (Bologna, 2-6 sett. 1958), Pa-dova, Editrice Antenore, 1960, pp. 315-322: 316.

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mono nella vita seicentesca: non per altro è stato possibile un fatto, mai prima verifi catosi nella nostra letteratura, come quello delle Dicerie, simili prediche scritte per puro esercizio letterario dal massimo scrittore del tempo. Che l’eloquenza del pulpito occupasse nella re-pubblica delle lettere un posto uffi ciale, lo provano i sonetti ed epigrammi encomiastici, dovuti a volte a penne famose, che spesso precedono le stampe delle prediche, e, viceversa, la fortuna incontrata dal Marino in quanto fi nto oratore. Certo la predicazione sacra del Sei-cento sarebbe stata concettista anche senza del Marino: e lo fu difatti in Spagna, ed in altro modo in Germania, e perfi no in Francia: ma in Italia, nelle sue manifestazioni più estreme, il concettismo ecclesiastico si tinse di marinismo, accettò e sviluppò, non osiamo dire se con un’insensibilità oppure con un’inconscienza morale, quello che nel Marino era un esercizio letterario non privo di cinismo30.

Queste retoriche hanno inoltre la grande capacità di infl uenzare e formare i predicatori che si rivolgono alla società in tutti in differenti livelli e momenti della sua vita, dal principe al popolo, dai pulpiti alle corti, tra liturgie e cerimo-nie. A questo proposito Delcorno ha opportunamente sottolineato che «anche gli esponenti della linea pastorale, che si ispiravano alla retorica borromaica e tenevano a modello le Conciones di Luis de Granada, un sermon-type, per usare la defi nizione di Jereczek, dal taglio catechistico, si rendevano conto che nel pubblico si era consolidata una percezione estetica della predica, educata in parte dalle raccolte a stampa, sempre più numerose a partire dagli anni Settanta del secolo XVI»31. Ed è così che prediche postridentine diventano sempre ele-ganti, raffi nate e spettacolarei benché sempre connotate dai principi del decoro e della gravità. Vittorio Coletti ha quindi scritto che «[…] il tentativo della miglior tradizione vescovile italiana – dal Giberti al Borromeo al Paleotti – di fare della predicazione un momento di franco e profi cuo contatto con le masse popolari, cui rivolgersi con un linguaggio semplice e calibrato alle possibilità di comprensione, doveva rapidaemnte cedere il passo – in qualche caso nel-la pastorale degli stessi vescovi più aperti – a una diversa via per aggregare, intorno alla parola del predicatore, il consenso popolare. Ben presto, infatti, più dell’umile e narcotizzante predicazione catechistica cominciò a segnalarsi un’oratoria di grande eleganza stilistica, spettacolare e raffi nata, padrona di tut-te le più aggiornate tecniche di fabbricazione del discorso»32. Ma il progetto del

30. G. Pozzi, Saggio sullo stile dell’oratoria sacra nel Seicento esemplifi cata sul P. Emma-nuele Orchi, cit., pp. 13-14.

31. C. Delcorno, Forme della predicazione cattolica, cit., p. 279.32. V. Coletti, Parole dal pulpito, cit., p. 221. E più avanti si legge: «Alla fi ne del ’500 dunque

la Chiesa apre al volgare nella forma più rassicurante e collaudata della oralità nella predicazione. Solo a questo punto essa si incontra con uno dei temi più abusati della questione della lingua: quello di quale volgare debba essere letto come lingua colta. E poiché la sua concessione al volgare è – come già nel Bembo – non tanto in funzione di un allargamento della cultura quanto dello sfruttamento di ulteriori possibilità di consenso, il contrassegno dell’“oralità”, che potrebbe fornire alla lingua della Chiesa una più viva adeguazione alle esigenze linguistiche e intellettuale dei contemporanei, è subito ridotto dentro la regolamentazione della scrittura e specialmente di quella letteraria. In questo modo la predica si priva delle già esigue ambizioni didattiche rinuncia defi nitivamente a foggiare un discorso per la cultura delle moltitudini. Le sue ambizioni saranno

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Borromeo più che in una scuola si concretizzava in un laboratorio da cui scatu-riva non un rigido e conforme stile oratorio ma una varietà di modelli. Occorre quindi sempre distinguere, come ricorda Delcorno, «una linea di predicazione episcopale dall’attività più decisamente professionale del clero regolare. Alcuni dei più acclamati virtuosi del pulpito, come il Panigarola, il Fiamma e il Musso, sono vescovi tratti dagli ordini regolari. Non deve sorprendere che proprio s. Carlo, pur mettendo in opera lo sforzo più tenarce per dare norma alla predica-zione postridentina, si dichiari disponibile a tutte le forme della retorica sacra, purché fi nalizzate al suo programma episcopale»33. Fra i trattati più fedeli allo spirito del Borromeo vi sono il Modus concionandi34 di Diego Estella e gli Ec-clesiasticae rhetoricae libri35 di Luis de Granada; tra gli italiani, il De rhetorica ecclesiastica36 di Agostino Valier («il trattato che per primo ha dato corpo alle idee borromaiche sull’oratoria sacra»)37, il De praedicatore Verbi Dei38 di Gio-vanni Botero (che scrisse quest’opera su commissione del Borromeo) e i trattati di Francesco Panigarola, tra i pochissimi scritti in lingua volgare, che ebbero una notevole infl uenza sulla teoria della predicazione e la retorica ecclesiastica del suo secolo.

Scrive il Rusconi che i quattro trattati del Panigarola, ovvero il Modo di comporre una predica, il Trattato della memoria locale, Il predicatore e le Questioni intorno alla favella del predicatore italiano, furono «estremamente importanti e decisivi nel determinare l’orientamento della predicazione post-tridentina in Italia»39. Il processo di trasformazione dei rapporti tra chierici e

sempre più di ordine estetico e letterario, il suo linguaggio sempre più “scritto”, il suo pubbli-co sempre più selezionato. Anziché aumentare, con la cultura, la lingua della gente, essa gioca col volgare, saggandone la praticabilità in un nuovo esercizio retorico. La predicazione diventa “oratoria sacra” e dal Musso al Panigarola, all’Orchi, sempre più un esercizio letterario, come esemplarmente dimostrato dal Marino delle Dicerie sacre», ibid.

33. C. Delcorno, La predicazione in Italia, cit., p. 121. Delcorno cita poi un passaggio molto interessante tratto da una lettera del Borromeo scritta nel 1580 al vescovo di Rimini Giambattista Castelli: «In questo mi par buona regola il non haver regola certa, né usar sempre la medesima forma», ibid.

34. Modo de Predicar, y Modus concionandi, estudio doctrinal y edicion critica por Pio Sagües Azcona O.F.M., 2 voll., Madrid, Istituto Miguel de Cervantes, 1951.

35. Ecclesiasticae rhetoricae sive de concionando libri sex, nunc primum in lucem editi, Authore R.P.F. Ludovico Granatense […], exc, Antonius Riberius, expensis J. Hispani bibliopolae, Olyssipone, 1576.

36. Augustini Valerii Episcopi Veronae de rhetorica ecclesiastica ad clericos libri tres, Vero-na, Sebastiano e Giovanni dalle Donne, 1574. Si veda, anche per una ridefi nizione dell’espressio-ne “retórica borromea”, M. López Muñoz, La Rhetorica ecclesiastica (1574-1583) de Agostino Valier y el Cardenal Carlos Borromeo, in «Cuadernos de Filología Clásica. Estudios latinos», 32.1, 2012, pp. 173-186.

37. G. Pozzi, L’italiano in chiesa, in Cultura d’élite e cultura popolare, a cura di O. Besomi e C. Caruso, Basel, Birkhäuser, 1995, pp. 303-341.

38. Joannis Boteri Benensis de praedicatore Verbi Dei libri quinque jussu […] Caroli Cardi-nalis Borromaei conscripti, Paris, G. Chaudière, 1585.

39. R. Rusconi, Predicatori e predicazione, cit., p. 1004. Si veda anche S. Giombi, Fran-cesco Panigarola e la trattatistica nella predicazione nel XVI secolo, in Francesco Panigarola.

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laici, prosegue il Rusconi sulla scorta del Dionisotti, quando i secondi giun-gono occasionalmente a vestire gli abiti talari, «ha il suo fulcro negli scritti del Panigarola»40. E Pozzi estende inoltre l’infl uenza del Panigarola a buona parte del secolo successivo. Non solo per l’infl uenza che ebbe sul Marino delle Dicerie sacre41 ma perché «per il predicatore della prima metà del Seicento il Panigarola è, se non sempre il modello diretto, almeno la premessa letteraria in-sostituibile della sua eloquenza»; ma soprattutto, «passando dal contenuto alle forme, è facile scoprire come nel Panigarola ci siano già, in modo abbastanza esplicito, le iniziative linguistiche e stilistiche che formeranno la caratteristica della prosa oratoria sacra del Seicento»42. Grazie al Musso e al Panigarola, scri-ve ancora il Pozzi, i trattatisti dell’oratoria secentesca considerano l’eloquenza sacra «altrettanto e forse più come fatto letterario e retorico che non come stru-mento di edifi cazione religiosa»43. E nel Panigarola, appunto, si sovrappongono entrambe le fi gure: il predicatore e il trattatista.

Predicazione, fi losofi a e teologia nel secondo Cinquecento, a cura di F. Ghia e F. Meroi, Firenze, Olschki, 2013, pp. 3-22

40. Ivi, p. 1005.41. «Il precedente letterario più sicuro della determinazione mariniana va cercato nel succes-

so enorme della predicazione sacra di Francesco Panigarola», in G. Pozzi, Intorno alla predica-zione del Panigarola, cit., p. 318.

42. Ivi, p. 319. E si noti come ormai per Emily Michelson il Panigarola è «perhaps the greatest italian preacher of the Baroque period», in E. Michelson, The Pulpit and the Press in Reformation Italy, Cambridge (Mass.)-London, Harvard University Press, 2013, p. 144. Sulla predicazione del Seicento si vedano anche M.L. Doglio e C. Delcorno, a cura di, La predicazione nel Seicento, Bologna, il Mulino, 2009; Iid., a cura di, Predicare nel Seicento, Bologna, il Muli-no, 2011; Iid., a cura di, Prediche e predicatori nel Seicento, Bologna, il Mulino, 2013.

43. G. Pozzi, Intorno alla predicazione del Panigarola, cit., pp. 318.