100 anni di Alzheimer

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Quaderni del volontariato

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In copertina: Oltre il deserto di Nello Palloni. L’artista perugino, particolar-mente legato allo stile dell’aeropittura di ascendenza dottoriana, traccia inquest’opera, un percorso che muove dall’aridità della sofferenza verso lasperanza di una realtà in cui una dimensione di luce che ravviva, accompa-gna e rasserena, si diffonde lungo il cammino dell’umana esistenza, allonta-nando abbandono e solitudine.

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100 annidi AlzheimerConoscere per ass is tere

Annalisa LongoUmberto Senin

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Coordinamento editorialeChiara Gagliano

© 2007 CESVOL2007 EFFE Fabrizio Fabbri Editore srl

ISBN: 978-88-89298-41-1

Progetto grafico e videoimpaginazioneStudio Fabbri, Perugia

StampaGraphic Masters, Perugia

Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia

Via Sandro Penna, 104/106Sant’Andrea delle Fratte06132 Perugiatel. 075/5271976 fax: 075/[email protected]@pgcesvol.net

Pubblicazione a cura di

Con il Patrocinio della Regione Umbria

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Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia di Perugia, nell’am-bito delle proprie attività istituzionali, ha definito un piano specifico nell’a-rea della pubblicistica del volontariato.

L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto ai temi diinteresse e di competenza del settore, di valorizzare il patrimonio di espe-rienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato organizzatoed inoltre di favorire e promuovere la circolazione e diffusione di argomentie questioni che possono ritenersi coerenti rispetto a quelli presenti al cen-tro della riflessione regionale o nazionale sulle tematiche sociali.

La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di produzionipubblicistiche selezionate attraverso un invito periodico rivolto alle asso-ciazioni, al fine di realizzare con il tempo una vera e propria collana edito-riale dedicata alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti ed alle azioniportate avanti dall’associazionismo provinciale.

I quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto perchiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale per motivi di studioed approfondimento.

I quaderni del volontariato:un viaggio attraverso un libro nel mondo del sociale

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Capitolo PrimoLa Storia

Capitolo SecondoConoscere la malattia

Cosa vuol dire demenza Non tutto è AlzheimerChe cos’è l’AlzheimerChi colpisceCome si presentaQuali le cause Quanto dura

Capitolo TerzoCome si cura

Farmaci per i disturbi cognitiviFarmaci per i disturbi del comportamentoTerapia non farmacologica

Capitolo QuartoCome si assiste il malato

Conoscere i suoi dirittiConoscere la sua storia Comprendere ed essere compresi L’ambiente in cui viveL’igiene personaleL’utilizzo della toilette Il vestirsi L’alimentazione Il problema del sonno La sessualità La guida di autoveicoli

Capitolo Quinto L’impatto sulla famiglia

Conoscere la sofferenza di chi assisteCome gestire i disturbi del suo comportamento

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Indice

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Capitolo SestoAspetti etici

La comunicazione della diagnosiIl rispetto delle scelte individualiLa ricerca scientifica nei pazienti con demenzaLe decisioni di fine vita

Capitolo SettimoAspetti legali

Lo stato di incapacità del malato di AlzheimerLa responsabilità a carico di chi esercita l’assistenzaLa normativa a tutela del malato

Capitolo Ottavo La rete di servizi

L’assistenza domiciliareIl centro diurnoIl centro clinico espertoL’ospedaleDay Hospital e Day ServiceIl nucleo Alzheimer Il giardino Alzheimer

Capitolo Nono Le Associazioni dei familiari

Capitolo Decimo A.M.A.T.A. Umbria (scheda tecnica)

Capitolo Undicesimo Il centro clinico di riferimento di A.M.A.T.A. Umbria(scheda tecnica)

Le attività per immagini

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“Figlio,

soccorri tuo padre

nella vecchiaia,

non contristarlo

durante la sua vita.

Anche se perdesse il senno,

compatiscilo

e non disprezzarlo,

mentre sei nel pieno vigore.

Poiché

la pietà verso il padre

non sarà dimenticata”.

Libro del Siracide 3, 12-14

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Collaborano costantementeall’attività formativa di A.M.A.T.A. Umbria:

Maria Adelaide AguzziAlessandro AraminiGiuliana CascianiSimonetta CesariniEmanuela CostanziFrancesco DelicatiSara ErcolaniCristina FalomiTiziana IngegniAnna LiscioElena MarianiMartina Pigliautile

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Capitolo Primo

a StoriaL

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La demenza, epidemia silente del terzo millennio, rappre-senta una delle maggiori sfide per la nostra società che sitrova ancora impreparata ed inadeguata a gestire unamalattia devastante non solo per chi ne è direttamente col-pito ma anche per chi è chiamato ad assisterla. Il convinci-mento, ancora molto radicato, è che si tratti di condizioneche non vale la pena curare perché inguaribile, in quantoconseguenza inevitabile dell’invecchiamento, divenendooggi esempio paradigmatico di un radicato, diffuso e incon-fessabile ageismo.

Umberto Senin, 2006

1906. È l’anno in cui uno psichiatra tedesco, AloisAlzheimer, presenta, nell’ambito di un Convegno che siteneva a Tubingen in Svevia (Germania), città sede diuna delle più prestigiose facoltà mediche dell’epoca, ilcaso di Auguste D., una donna di 51 anni, di origineprussiana, ricoverata nell’Ospedale per“insani di mente ed epilettici” di Fran-

coforte (così allora venivano chiamati gli ospedalipsichiatrici!) in quanto affetta da demenza e mortaper setticemia da infezione di piaghe da decubitoinsorte nelle ultime fasi di malattia, quando ormaiera costretta a letto dall’immobilità.

L’importanza di quella presentazione fu nel fatto cheAlois Alzheimer, dopo il decesso della paziente, neaveva potuto studiare il cervello, e quindi di descriver-ne gli elementi più caratteristici. L’aspetto era quello diun organo “raggrinzito”, cioè significativamente ridotto

di volume, cosparso al suo interno di numerose formazioni che, percome si erano presentate al suo microscopio dopo averle colorate conil metodo che allora si utilizzava per mettere in evidenza le cellule

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Capitolo Primo

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nervose (quello della cosiddetta impregnazione argentica, vennerodefinite placche senili (PS) e grovigli neurofibrillari (GNF) datele loro caratteristiche morfologiche. Espressione le prime di agglo-merati di cellule morte e dei loro filamenti immersi in una sostanzaamorfa; le seconde di cellule neuronali degenerate.Alla loro descrizione un contributo signifi-cativo fu dato da un giovane ricercatore ita-liano, Gaetano Perusini, friulano di origi-ne, che attribuì i GNF all’azione “cemen-tante” di una sostanza non meglio precisata.

1910. Viene pubblicata la nuova edizione del più importanteTrattato di Psichiatria dell’epoca, scritto da Emil Kraepelin, studiosoe clinico di rilievo nella storia della neuropsichiatria, nel quale ilcaso di Auguste D. viene per la prima volta riportato con la denomi-nazione di “Malattia di Alzheimer”. Per il contributo dato dalPerusini alla descrizione della malattia, nella letteratura medica ita-liana essa è stata per decenni definita “Malattia di Alzheimer-Perusini”, o addirittura “Malattia di Perusini-Alzheimer”.

Seguono quindi diversi decenni di sostanziale silenzio, durante iquali le conoscenze della malattia non fanno apprezzabili progressi.È solo a partire dagli anni Cinquanta che, a causa di un progressi-vo e significativo aumento del numero di pazienti, comincia ad esse-re sempre più evidente il suo stretto legame con l’invecchiamento eda rendere sempre più labili gli elementi che la differenziavano daun’altra forma di demenza, quella cosiddetta “senile”, ritenuta anco-ra fino a qualche decennio fa malattia a sé stante, convinzione que-sta purtroppo ancora diffusamente presente ai nostri giorni, e nonsolo nel nostro Paese.La malattia di Alzheimer da condizione rara, se non eccezionale,come era ai tempi della sua prima descrizione, propria dell’età adul-ta o giovane-anziana, diventa così malattia tipica dell’età avanzataed ancor più di quella più avanzata.A contribuire significativamente al suo riconoscimento è la messa apunto di protocolli diagnostici sempre più sensibili e specifici, nel-

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PS GNF

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l’ambito dei quali un ruolo preminente viene adessere assunto dall’acquisizione di una nuova e rivo-luzionaria metodologia di indagine la tomografiaassiale computerizzata (TAC) che ha portato i suoiinventori, Godfrey Newbold Housfield (ingegnereinglese) ed Alan McCormack (fisico sudafricano), adessere insigniti nel 1979 del Premio Nobel per la

Medicina. L’importanza di tale strumentazione ai fini della diagnosidi malattia di Alzheimer, così come di quella successiva diRisonanza Magnetica Nucleare (RMN), sta nel fatto che essa for-nisce le immagini del cervello del paziente da vivo, fornendone lecaratteristiche morfo-volumetriche, permettendo così di escluderealtre forme di demenza, come quelle da infarti cerebrali, emorragie,ematomi, tumori, ecc.

1976. Due ricercatori statunitensi, Peter Davies del Dipartimento diPatologia Albert Einstein di New York e David Bowen del Diparti-mento di Medicina dell’Università di Washington (Seattle, USA), for-mulano l’ipotesi colinergica della malattia, sulla base della costata-zione che nel cervello dei pazienti alzheimeriani si documenta unasignificativa carenza di acetilcolina, una sostanza chimica (neurotra-smettitore) che svolge un ruolo centrale nei processi cognitivi e dimemoria. Analogamente pertanto alla carenza di dopamina respon-sabile del morbo di Parkinson. È dall’ipotesi colinergica che prendeil via la ricerca di farmaci in grado di aumentare la disponibilità diacetilcolina nel cervello dei malati e, di conseguenza, migliorare leloro capacità cognitive.

1980. L’Agenzia regolatoria dei farmaci degli Stati Uniti (la Foodand Drug Amministration - FDA), approva l’utilizzo di tacrina per iltrattamento della malattia di Alzheimer, una sostanza che, neglistudi sperimentali, si era dimostrata capace di aumentare il tonocerebrale di acetilcolina inibendo l’acetilcolinesterasi, un enzima dicui il cervello si serve per distruggerla non appena ha svolto il suocompito al fine di mantenere in equilibrio il sistema e, nei pazientiaffetti da Alzheimer, di migliorare i sintomi della demenza.

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1984. Viene formulata l’ipotesi beta-amiloide della malattia daparte di George Glenner e Caine Wong, due ricercatori del Diparti-mento di Patologia dell’Università della California, (San Diego,USA). Essi sostengono che la sostanza “cementante” di Alzheimer ePerusini sia una particolare proteina, detta beta-amiloide, risultatodella modificazione di quella naturalmente prodotta dal cervello (perfinalità solo in parte note) a causa dell’attivarsi di meccanismi chene impediscono lo smaltimento, inducendone un progressivo accu-mulo e la sua trasformazione in sostanza tossica per i neuroni. È daquesta ipotesi che si dà avvio ad una intensa ricerca di farmaci o divaccini in grado di impedire la formazione o ridurre la tossicità dellabeta-amiloide considerato un “killer” per il nostro cervello.

1997-2004. La FDA degli Stati Uniti e il corrispondente organismoeuropeo, l’EMEA, approvano l’impiego clinico di 3 farmaci per iltrattamento della malattia di Alzheimer, ad azione simile a quella ditacrina ma ad assai minore tossicità: donepezil, rivastigmina, galan-tamina.

2000. In Italia, viene attivato dal Ministero della Sanità il ProgettoCRONOS che prevede la prescrizione gratuita dei farmaci donepezil,rivastigmina, galantamina da parte di Centri clinici esperti, attivatidalle Regioni, cui spetta anche l’accertamento della diagnosi ed ilcontrollo periodico del malato: le cosiddette Unità ValutativeAlzheimer, UVA.

2006. Esce sulla rivista scientifica “Nature”, una delle più presti-giose del mondo, un articolo nel quale, sulla base del fatto che negliultimi tre anni la ricerca non ha prodotto nulla di significativamentenuovo per la cura della malattia, che – seppure meglio trattabile egestibile di un tempo rimane tuttavia inguaribile –, si auspica chegli scienziati “invadano” questo campo di nuove idee, che portino asviluppare proposte terapeutiche innovative, veramente capaci, senon di arrestare, almeno di contrastare il progressivo, angoscianteaumento del numero dei malati.

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Capitolo Secondo

onoscere la malattia

C

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Cosa vuol dire demenza

Per demenza si intende una malattia che va a colpire un cervelloprecedentemente sano, determinando progressivamente nel soggettoche ne è colpito la perdita di tutte le facoltà intellettive.

La diagnosi di demenza viene posta sulla base di specifici criteri, dicui i più utilizzati sono quelli proposti da una Commissione di esper-ti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Associazioneamericana di Psichiatria. Secondo tali criteri, per far diagnosi di demenza non basta il sempli-ce disturbo di memoria (amnesia), anche se importante, ma deveessere documentabile almeno un altro dei seguenti disturbi, la cuipresenza deve essere di entità sufficientemente severa da interferiresignificativamente con le attività del vivere quotidiano:

- disturbi del linguaggio scritto e/o verbale (afasia)- difficoltà a compiere azioni finalizzate (aprassia)- difficoltà a riconoscere persone o cose (agnosia)- disturbi delle funzioni esecutive come capacità di astrazione,

giudizio e pianificazione di programmi.

Non tutto è Alzheimer

La malattia di Alzheimer non rappresenta l’unica forma di demenza,anche se è quella di gran lunga più frequente. Esistono altre demenze che vengono classificate, in base alla natu-ra dei danni cerebrali, in: degenerative, vascolari, miste, di altra na-tura.

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“La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che siricorda e come la si ricorda per raccontarla”.

Gabriel Garcìa Màrquez

Capitolo Secondo

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Le demenze degenerative, delle quali a tutt’oggi sono ignote lecause, comprendono:

- la malattia di Alzheimer;

- la demenza fronto-temporale, nella quale prevalgono i disturbidel comportamento su quelli cognitivi, essendo la memoriaalmeno inizialmente meno compromessa;

- la demenza a corpi di Lewy, caratterizzata dalla comparsaprecoce di allucinazioni e parkinsonismo, oltre che da fluttua-zione dei sintomi anche nella stessa giornata;

- le demenze cosiddette sottocorticali (spesso dovute anche acause vascolari), caratterizzate dalla coesistenza di disturbimotori, quali andatura rallentata e incerta, rigidità, ecc.; diesse fa parte la demenza che insorge in circa il 30% dei sog-getti affetti da malattia di Parkinson.

Le demenze vascolari sono quelle che insorgono in soggetti il cuicervello subisce danni causati da infarti o emorragie, uniche o multi-ple.

Le demenze miste devono questa denominazione alla coesistenzanello stesso cervello delle lesioni proprie delle forme degenerative edi quelle vascolari.

Esistono, infine, altre forme di demenza, nelle quali i danni chesubisce il cervello sono secondari all’abuso cronico di alcool o dialtre sostanze tossiche, all’azione lesiva di malattie extracerebrali(ipotiroidismo, insufficienza epatica e renale, ecc.), alla carenza dialcune vitamine importanti per lo stato di salute del cervello, a gravidisturbi della vista e dell’udito e ad altre cause ancora.

Una forma particolare di demenza, di riscontro frequente in etàavanzata, è quella che insorge quando il cervello viene sottoposto adun aumento della pressione liquorale (demenza da idrocefalo occul-

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Come già ricordato, la malattia di Alzheimer è la forma di demenzadescritta da Alois Alzheimer in una donna, Auguste D., di 51 anni,costretta al ricovero in ospedale psichiatrico per crisi di gelosia,paura di essere abbandonata, gravi disturbi della memoria e diso-rientamento sia nel tempo che nello spazio e che presentava a caricodel cervello, una importante atrofia in presenza di particolari lesioni,i grovigli neurofibrillari e le placche senili, da allora ritenute tipichedella malattia.

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Che cos’è l’Alzheimer?

17 settembre 2006, Corriere della Sera, Salute

to). Il liquor è un fluido nel quale il cervello si trova immerso e chescorre anche all’interno di esso; il suo compito è quello sia di pro-teggerlo dagli urti cui è sottoposto dall’essere contenuto in un conte-nitore rigido, la scatola cranica, così come essere mezzo di diffusio-ne di sostanze utili o di eliminazione di quelle dannose.

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Nella prestigiosa rivista scientifica Lancet, pubblicata nel dicembredel 2005, questi sono i dati: 4.6 milioni di nuovi malati di Alzheimerall’anno, uno ogni 7 secondi nel mondo, in totale attualmente 24,3milioni che raddoppieranno ogni 20 anni e saranno 81,1 milioni nel2040.

In Italia, secondo le stime più recenti, i malati di Alzheimer eranonel 2006 circa 520.000, con 80.000 nuovi casi all’anno. Si trattaperò di una stima destinata ad aumentare. Se infatti consideriamol’attuale andamento demografico, che vede la popolazione anziana equella più anziana in continua e veloce crescita, la previsione è chenel 2020 i nuovi casi di demenza saliranno a 213.000 l’anno, di cui113.000 attribuibili all’Alzheimer.

Sono queste cifre e la loro enorme crescita nel tempo che giustifica-no il perché si parli della malattia di Alzheimer in termini di vera epropria epidemia dei nostri giorni, dagli altissimi costi umani, socialied economici.

Per quanto riguarda età e sesso, anche se è vero che può insorgeretra i 40 ed i 90 anni sia nell’uomo che nella donna, sono le donne daun lato e i più anziani tra gli anziani dall’altro ad esserne maggior-mente colpiti.

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Chi colpisce

“Raccogliere il suo smarrimento...raccoglierlo e aggiustar-lo un po’...provare a definirlo, a dargli una concretezza, arimetterlo su un percorso. Adesso che ne conosco bene isegni, vedo che sono tante le persone smarrite. Che diconodal fondo degli occhi un po’ opachi, un po’ stupiti: “Cisono, sai, ci sono ancora, ma non so. Io non so”.

In Smarrirsi: la mente nel labirinto di Maria Sandias

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La malattia, nella sua evoluzione, prevede il passaggio attraverso trefasi successive (Figura 1):- fase precoce (corrisponde allo stadio di malattia di grado lieve):

il paziente presenta difficoltà a ricordare fatti recenti, a trovare laparola giusta, a prestare attenzione, a ricordare il nome di perso-ne meno familiari ed a riconoscerle, ad organizzare e pianificareattività abituali; risulta invece conservata la capacità di ricordareeventi significativi della propria storia personale;

- fase di stato (corrisponde allo stadio di malattia di grado mode-rato e severo): il paziente appare spesso disorientato sia nel tempoche nello spazio, non è in grado di apprendere e ricordare nuoveinformazioni, perde progressivamente la capacità di parlare ecomprendere il linguaggio verbale, necessita di assistenza anchenelle funzioni basilari della vita quotidiana (mangiare, vestirsi,andare in bagno, ecc.); frequenti anche i disturbi del comporta-mento;

- fase terminale (corrisponde all’ultimo stadio della malattia): ilpaziente è gravemente decaduto anche sul piano fisico, confinatotra letto e poltrona, totalmente incapace di controllare urina e

Come si presenta

“Era una persona molto fine, che non aveva mai disturbatonessuno e non riceveva mai visite... Solo che negli ultimitempi era diventata un po’ strana: lei così metodica (tutti igiorni lo stesso giro dei piccoli negozi, l’acquisto di due brio-ches fresche il sabato, la periodica capatina in banca...)stava magari senza uscire per giorni e giorni e poi, all’im-provviso, suonava il campanello alle tre di notte per chiede-re se il fornaio era aperto”.

In La sottoveste sopra la gonna di Giovanni Bigatello

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Figura 1. Storia naturale di un caso paradigmatico di demenza diAlzheimer per una durata di malattia di 10 anni

MMSE: è la sigla del Mini Mental State Examination, strumento utilizzatoin clinica per valutare lo stato delle funzioni cognitive di un soggetto: più ilpunteggio che si ottiene è alto più le sue capacità cognitive sono conservate eviceversa; il punteggio da 27-30 esprime una condizione di sostanziale nor-malità.

feci e di alimentarsi, non più in grado di riconoscere nemmeno ifamiliari più stretti. La morte in genere è dovuta a complicazioniinfettive.

Così come si evince dalla sua storia naturale, la malattia è caratteriz-zata da disturbi cognitivi, cioè delle funzioni più complesse e nobi-li del nostro cervello (vedi Tabella 1), ad andamento inevitabilmenteingravescente, anche se con velocità variabile da individuo ad indi-viduo e da disturbi del comportamento (vedi Tabella 2), varia-mente presenti nel singolo malato, quelli a cui maggiormente si deveil grave carico assistenziale per chi ne ha cura, e la condizione distress psico-fisico che ad essa consegue.

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Disturbi di memoria (amnesia): all’inizio difficoltà a ricordare equindi ad apprendere nuove informazioni; successivamente incapa-cità a ricordare eventi anche recenti e, in fase avanzata, quelli piùlontani, della propria personale, delle conoscenze comuni e delsignificato delle parole.

Deficit di attenzione: all’inizio difficoltà nell’attenzione quando ilsoggetto si trova impegnato in più compiti (come ad es. conversazio-ne tra più persone), in seguito sempre meno attenzione all’ambientecircostante fino al totale estraneamento da esso.

Disturbi nel linguaggio scritto e/o verbale (afasia): all’iniziooccasionali difficoltà a trovare le parole e progressiva semplificazio-ne del linguaggio, che poi diventa ripetitivo e con molti errori, finoad una completa incoerenza con ripetizioni di parti di parole osuoni; in seguito perdita progressiva della capacità di scrivere eleggere e, nelle fasi più avanzate, di comprendere sia il linguaggioscritto che quello parlato.

Difficoltà a compiere azioni finalizzate (aprassia): all’iniziodifficoltà nel vestirsi, curare la casa e guidare l’automobile; inseguito anche nella utilizzazione di oggetti comuni (come ad es.spazzolino, cucchiaio, penna, ecc.).

Difficoltà a riconoscere persone o cose (agnosia): all’inizio dif-ficoltà a riconoscere oggetti e situazioni; in seguito a riconoscere ivolti di persone familiari, parti del proprio corpo nonché la propriaimmagine riflessa nello specchio.

Disturbi delle funzioni esecutive: all’inizio ridotta capacità disintesi ed a cogliere il significato di espressioni astratte (es. pro-verbi), o somiglianze e differenze tra concetti; in seguito scomparsadell’autocoscienza del proprio stato di malattia ed anche della pro-pria persona.

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Tabella 1. I disturbi cognitivi della malattia di Alzheimer

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Deliri: sono ideazioni (dette paranoidee) a diverso contenuto chepreoccupano il paziente determinandone anche specifici e conse-quenziali comportamenti; spesso crede che qualcuno lo spii, lovoglia derubare, o che il proprio coniuge lo tradisca o lo vogliaabbandonare, oppure ha una patologica gelosia; altre volte può rite-nere che i familiari o chi lo assiste siano degli impostori, o degliestranei; così come può avere una errata percezione delle immaginitelevisive interpretandole come situazioni reali, che accadono nellapropria casa e con le quali interagisce.

Allucinazioni: sono percezioni di cose, parole, suoni, che il malatocrede di udire, vedere o sentire.

Ansia, fobie, agitazione: fanno parte di questi disturbi l’attivitàmotoria continua ed afinalistica (come ad es. aprire e chiuderearmadi e cassetti, indossare e togliere indumenti, rifare continua-mente il letto), compiere attività inappropriate (come ad es. riporrecibo nell’armadio) camminare avanti e indietro incessantemente,manifestare compulsivamente il desiderio di uscire di casa, chiederecontinuamente di voler tornare nella casa della prima infanzia, ecc.

Irritabilità, aggressività: spesso sono disturbi legati all’incapa-cità a dare risposte appropriate a specifiche richieste o ad assumerecomportamenti adeguati all’ambiente, anche se a volte si scatenanosenza una causa apparente; gli atteggiamenti aggressivi possonoessere di tipo verbale (offese, minacce, turpiloquio, urla), o fisico(calci, pugni, morsi), il più delle volte diretti verso chi fa assistenza;molto più rari sono invece i fenomeni di autolesionismo.

Depressione: nelle fasi iniziali principalmente tristezza e faciletendenza al pianto, spesso dovuti al percepito senso di inadeguatez-za o di incapacità; altre volte sono evidenti sensi di colpa, mancatasperanza per il futuro, senso di inutilità.

Apatia: in genere i pazienti apatici manifestano un totale disinte-resse per l’ambiente, rimanendo senza far nulla per molte ore al

Tabella 2. I disturbi del comportamento della malattia diAlzheimer

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Nel 2005 l’American Alzheimer Association, la Società scientificaamericana che riunisce i maggiori esperti internazionali, ha pubbli-cato i “10 campanelli di allarme della malattia di Alzheimer”cioè quelli che rappresentano i segnali premonitori di malattia e che,quando presenti in numero di almeno quattro, consigliano di rivol-gersi allo specialista (Tabella 3).

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giorno; spesso i pazienti smettono di parlare con gli altri e si chiu-dono in sé stessi.

Euforia-disinibizione: esagerata allegria, iperattività, comporta-menti socialmente inopportuni, ipersessualità (es. masturbazione inpubblico, avances sessuali inappropriate, ecc.); queste manifesta-zioni non sono però frequenti della malattia.

Disturbi del sonno: difficoltà nell’addormentamento, risvegli pre-coci o frequenti durante la notte, fino alla totale inversione delritmo sonno-veglia (stanno svegli di notte e dormono di giorno).

Disturbi dell’alimentazione: i soggetti dementi spesso presenta-no un rapporto alterato con il cibo, che può presentarsi come ricer-ca continua di cose da mangiare, a volte anche non commestibilioppure come inappetenza, fino al totale rifiuto del cibo.

1. Va spesso in confusione e ha dei vuoti di memoriaÈ normale scordarsi un appuntamento, ma è preoccupante se ledimenticanze sono frequenti o si è spesso confusi.

2. Non riesce più a fare le cose di tutti i giorniDimenticare una volta la pentola sul gas è distrazione; ma non cuci-nare un pasto e scordarsi di servirlo o di averlo preparato.

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Tabella 3. I 10 campanelli di allarme dell’Alzheimer (AmericanAlzheimer Association)

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3. Fa fatica a trovare le parole giusteÈ normale avere, ogni tanto, un nome sulla punta della lingua, manon scordarsi parole semplici sostituirle con altre illogiche (comead es. zuccotto al posto di cappotto, tabella al posto di tavolo).

4. Sembra che abbia perso il senso dell’orientamentoNon è preoccupante sbagliare la fermata dell’autobus, lo è se siperde la strada di casa o non si capisce dove ci si trova.

5. Indossa un abito sopra l’altro, come se non sapessevestirsiPuò succedere a tutti di uscire di casa con il golf indossato al rove-scio, non però indossare due giacche, una sopra l’altra, o l’accappa-toio al posto del cappotto.

6. Ha grossi problemi con i soldi e i calcoliPuò succedere a tutti scambiare una moneta con un’altra, ma nonsbagliarsi tra uno e cento euro.

7. Ripone gli oggetti nei posti più straniCercare gli occhiali e poi accorgersi di averli in testa è pura sbada-taggine, non invece riporre il ferro da stiro in frigorifero o i surgelatiin guardaroba.

8. Ha improvvisi e immotivati sbalzi d’umoreCapita a tutti svegliarsi ogni tanto con la “luna storta” ma non fre-quenti, improvvisi ed immotivati sbalzi d’umore.

9. Non ha più il carattere di un tempoInvecchiando certi difetti si accentuano, meno frequentementemigliorano, ma non è normale cambiare completamente il carattere,diventando irascibile, diffidente dopo essere stato per tutta una vitauna persona tranquilla.

10. Ha sempre meno interessi e spirito di iniziativaÈ possibile che invecchiando uno perda lo spirito di un tempo, madeve far riflettere un comportamento trasandato per la propria per-sona o per la propria casa.

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Le cause della malattia di Alzheimer sono ancora oggi sconosciute.Negli ultimi venti anni sono stati però individuati alcuni fattori che,quando presenti, aumenterebbero il rischio di ammalare. Fra questi,quello sicuramente più importante è l’età: più si invecchia, maggioreè la probabilità di ammalare. Lo dimostra il fatto che essa colpisceuna persona su otto dopo i 65 anni, circa uno su due dopo gli 85.

Ma altri sono i fattori di rischio e, tra questi, soprattutto l’ipertensio-ne arteriosa, quando presente fin dall’età adulta e non adeguatamen-te curata; cosi come il diabete, l’ipercolesterolemia, il fumo di siga-retta.

Numerosi sono inoltre gli studi che documentano come fattore dirischio sicuramente importante in chi è già anziano, il rinunciare aduna vita socialmente attiva, ricca di stimoli, relazioni interpersonali,interessi culturali e momenti di svago. Emblematica è infatti la com-parsa di demenza negli anziani poco dopo il loro ingresso in case diriposo.

Altro fattore di rischio è avere, tra i propri consanguinei, qualchecaso di Alzheimer: in questi casi il rischio di ammalarsi risulta

Quali le cause

“Perché la nonna ha questa malattia?”, ha domandatoDaniela. “Perché lei? È colpa mia? Perché le ho fatto spin-gere troppe volte l’altalena? È questo che le ha fattomale?”. Daniela pensava che fosse colpa sua...e io pensavoche fosse colpa mia.., perché avevo fatto correre troppo lanonna... Ma il nonno ci ha detto che non era colpa nostra.E che d’altronde non era colpa di nessuno. Era così, puntoe basta”.

In Cara nonna di Sandrine Lavallè e Anja Thielen

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aumentato di tre volte rispetto a chi non si trova nella stessa condi-zione. Questo però non significa automaticamente che l’Alzheimer èuna malattia ereditaria, se non limitatamente ai rarissimi casi in cuisi trasmette da una generazione all’altra un gene difettoso, evenienzequeste nelle quali la malattia compare in più membri e per lo piùentro i 60 anni di età.

Il timore infine che la malattia di Alzheimer sia contagiosa – doman-da tutt’altro che infrequente –, è assolutamente fantasioso in quantonon si tratta di malattia infettiva.

Quanto dura

“Non esiste buono o cattivo tempo, esiste solo buono o cattivoequipaggiamento”.

Sir Robert Baden Powel

Nella forma più comune di Alzheimer, quella cosiddetta sporadicain quanto colpisce casualmente la popolazione, la sua durata mediaè di 7-10 anni, con un minimo di due anni ed un massimo di venti,questo a sottolineare che si può vivere da malati Alzheimer quasidue decadi della nostra vita!

Ciò a dimostrare che non solo l’età di esordio ma anche le manifesta-zioni e la velocità di progressione variano moltissimo da individuo aindividuo, dando ragione del fatto che la diagnosi di inizio è spessodifficile e che esprimere un giudizio sulla sua durata è, di fatto,impossibile.

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Capitolo Terzo

ome si curaC

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Purtroppo, nonostante siano numerose le proposte di cura basate siasull’impiego di farmaci che di interventi non farmacologici aggiunti-vi od alternativi, la malattia resta a tutt’oggi una delle più avare dirisultati soddisfacenti.Per quanto riguarda la terapia farmacologica dei disturbi cognitivi, ilprimo farmaco specifico per l’Alzheimer è stato, come già ricordato,la tacrina, proposta quasi 80 anni dopo la scoperta della malattia,presto però abbandonata per la sua alta tossicità soprattutto a livellodel fegato. Nell’ultimo decennio sono stati invece messi a disposizione altri far-maci con meccanismo d’azione simile alla tacrina, l’efficacia deiquali, anche se comunque non pari alle aspettative, non è comunquegravata da importanti effetti collaterali. Sono questi i motivi per cuiil Sistema Sanitario Nazionale (SSN) che ha previsto la prescrizionegratuita nell’ambito di uno specifico protocollo che individua ipazienti idonei al trattamento.Successivamente altre sono state le sostanze proposte per la cura eprevenzione della malattia, sulla cui effettiva utilità i pareri sonoperò molto discordanti e, per questo, non dispensati gratuitamentedal SSN.Relativamente al trattamento dei disturbi comportamentali, o per lomeno di alcune modalità di espressione di essi, numerosissime sonole scelte possibili, anche se i risultati sono del tutto imprevedibili,spesso deludenti e con il rischio di effetti collaterali anche gravi,che ne prevedono pertanto la prescrizione soltanto da parte deiCentri clinici esperti o di specialisti della materia.

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“Non sono sicuro che l’Alzheimer sia un killer nel sensocomune del termine, ma veramente è menomante. Sonocerto che è menomante – ma cosa sto dicendo? – è sicura-mente un killer dei pensieri”.

In Visione parziale di Cary Smith Hendersone Nancy Andrews

Capitolo Terzo

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Farmaci per i disturbi cognitivi

Come è stato appena affermato non esiste a tutt’oggi alcun farmacoin grado di prevenire, arrestare o far regredire la malattia.Ma se è vero che attualmente la malattia di Alzheimer non è né pre-venibile né guaribile, questo non vuol dire che sia incurabile. Infatticon i farmaci disponibili si è almeno in grado di migliorarne i sinto-mi e quindi la qualità di vita del paziente e di chi lo assiste, rallen-tandone la progressione verso gli stadi più avanzati.Per raggiungere obiettivi terapeutici più ambiziosi si dovrà invecepurtroppo attendere ancora molti anni per sperare di entrare in pos-sesso di sostanze più efficaci.

Inibitori dell’acetilcolinesterasiDonepezil (ARICEPT, MEMAC), galantamina (REMINYL) e rivastig-mina (EXELON, PROMETAX) sono attualmente gli unici farmacidotati di un favorevole rapporto costo/efficacia, documentato danumerosi studi condotti su casistiche di pazienti estremamentenumerose e selezionate. La loro efficacia, riscontrabile in circa il 60-70% dei pazienti trattati, si identifica con il miglioramento dei sinto-mi della demenza e/o nel rallentamento della sua progressione. Suquando sospenderne la somministrazione, così come sul loro usonelle fasi più avanzate, esiste discordanza da ciò che è previsto dalledisposizioni vigenti (nota 85) e ciò che risulta dalle ricerche piùrecenti e dalla esperienza clinica relativa al trattamento di ormaimolte migliaia di pazienti.Per la loro prescrizione da parte Centri clinici esperti, le cosiddetteUnità Valutative Alzheimer (UVA), occorre però che sia certa ladiagnosi di malattia, che la malattia non si trovi in una fase partico-larmente avanzata e che non esistano controindicazioni relative allacoesistenza di definite patologie elencate nei protocolli di tratta-mento.

MemantinaSi tratta di un farmaco con una modalità di azione completamentediverso dagli anticolinesterasici. Esso agisce su un altro possibile

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meccanismo inducente la malattia, quello di un eccessivo rilascionel cervello di una sostanza eccitatoria ad azione tossica sui neuroni,il glutammato, a cui conseguirebbe o un’aumentata produzione dibeta-amiloide oppure una maggiore vulnerabilità dei neuroni allasua esposizione (ipotesi glutammatergica dell’Alzheimer).Non esistono in pratica controindicazioni assolute all’ assunzione dimemantina (AXURA, EBIXA), anche se una particolare attenzioneva posta nei pazienti con storia di crisi epilettiche. Seppure gli effetti positivi di memantina sono limitati, da cui ladecisione del SSN di non farsene carico, si tratta di un’ulterioreopportunità terapeutica per le forme più avanzate di malattia, o inpresenza di controindicazioni all’uso dei farmaci anticolinesterasici.

AntiossidantiIl loro impiego parte dal presupposto che alla base della morte deineuroni ci sia una aumentata produzione di radicali liberi dell’ossi-geno, prodotti naturali del metabolismo energetico cellulare, contro iquali l’organismo possiede meccanismi in grado di immediatamenteneutralizzarli in quanto altamente lesivi dei tessuti dai quali vengo-no prodotti o con i quali vengono a contatto. Tale ipotesi, cosiddettadello stress ossidativo, viene chiamata in causa anche per spiegare lostesso processo di invecchiamento. In realtà dall’utilizzo in clinicadi tali sostanze, quali Vitamina E, selegilina, ginko-biloba, non si èavuto alcun significativo risultato. Anche la loro proposta ai fini pre-ventivi non poggia su alcuna evidenza di efficacia scientificamentedocumentata. Utile può essere invece consigliare una dieta ricca difrutta e verdura per il suo alto contenuto di antiossidanti naturali.

AntinfiammatoriL’osservazione che l’utilizzo cronico di questi farmaci in donne affet-te da malattie reumatiche diminuiva il rischio di Alzheimer, haacceso la speranza di avere in mano la possibilità di prevenire e/ocurare la malattia. In realtà risultati degli studi clinici condotti perverificare la effettiva utilità di questa forma di intervento hanno datorisultati negativi.

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EstrogeniLa constatazione che questa malattia colpisce in maggiore misura ilsesso femminile dopo la menopausa, quando cioè gli ormoni sessualifemminili (estrogeni) drasticamente diminuiscono e di cui è nota l’a-zione protettiva nei confronti di quella particolare parte del cervello,l’ippocampo, sede dei processi di memorizzazione, ha portato allaproposta di utilizzarli per la prevenzione e terapia della malattia.Anche in questo caso, i risultati degli studi più recenti, non hannoconsentito però di confermarne l’utilità di impiego.

AntiamiloideNegli ultimissimi anni sono iniziati nell’uomo studi con sostanzeche, nell’animale, si sono dimostrati in grado di ridurre la produzio-ne cerebrale di beta-amiloide sperimentalmente indotta o la sua tra-sformazione in sostanza tossica, in questo modo ponendosi l’obiettivodi agire su quello che è ritenuto il processo causale della malattia.Ricerche su pazienti alzheimeriani sono attualmente in corso coin-volgendo Centri di eccellenza, sia statunitensi che europei, dei qualifa parte il Centro per lo Studio dell’Invecchiamento Cerebrale eDemenze nell’Anziano dell’Istituto di Gerontologia e Geriatriadell’Università degli Studi, del quale fa parte l’Unità ValutativaAlzheimer dell’Azienda Ospedaliera di Perugia.

VaccinoMolte le attese riposte nella possibilità di impedire la deposizione dibeta-amiloide mediante l’iniezione intracerebrale di vaccini.Brillanti le dimostrazioni nel topo, ma assolutamente fallimentarifino ad oggi quelle nell’uomo per il verificarsi di gravi casi di menin-go-encefalite, di cui tre mortali. Attualmente la ricerca, dopo unperiodo di ripensamento, è il fase di ripresa con vaccini più purifica-ti e selettivi.

Trattamento dei fattori di rischio vascolare

Sono numerosissimi ormai gli studi condotti negli ultimi 20 anni adavere dimostrato che i tradizionali fattori di rischio per le malattie

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cardiovascolari quali l’ipertensione arteriosa, le iperlipemie, il dia-bete, il fumo di sigaretta, la sedentarietà, da sempre riconosciutiimportanti nei confronti della demenza vascolare, sono oggi ritenutitali anche per la malattia di Alzheimer ad insorgenza in età avanza-ta. Seppure manchi a tutt’oggi la prova del nove che il loro tratta-mento riduca la probabilità di ammalare nei soggetti a rischio, purtuttavia è doveroso intervenire efficacemente su di essi, rappresen-tando l’unica possibilità concreta che ci viene offerta in tema di pre-venzione.

Quali allora le conclusioni che si possono trarre da quello che è lostato dell’arte in merito alla prevenzione della demenza di Alzheimerdopo tanti studi e ricerche e quali i suggerimenti concreti che posso-no essere attualmente proposti? “Le 10 regole d’oro per il cervel-lo” (Tabella 4), recentemente pubblicate dall’AssociazioneAlzheimer Americana, rappresentano indubbiamente un utile riferi-mento.

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1. La testa innanzituttoLa salute inizia dal cervello. È uno degli organi più vitali del corpoe ha bisogno di cure e attenzione.

2. Dal cervello al cuoreCiò che è buono per il cuore è buono per il cervello. Fare qualcosatutti i giorni per prevenire malattie cardiache, ipertensione, diabetee ictus può ridurre il rischio di Alzheimer.

3. I numeri che contanoTenere sotto controllo peso, pressione, colesterolo e glicemia.

4. Nutrire il cervelloAssumere meno grassi e più sostanze antiossidanti.

segue

Tabella 4. Le 10 regole d’oro per il cervello (AmericanAlzheimer Association)

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Farmaci per i disturbi del comportamento

AntidepressiviSono estremamente preziosi per migliorare il tono dell’umore di que-sti malati, soprattutto nelle prime fasi quando essi hanno ancora laconsapevolezza del proprio stato. Naturalmente il medico deve sape-re che non tutti gli antidepressivi sono indicati, dovendo esserealmeno prioritariamente esclusi quelli che hanno un effetto negativosul sistema colinergico già di per sè compromesso.

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5. Far lavorare il corpoL’attività fisica ossigena il sangue e aiuta le cellule nervose: cam-minare 30 minuti al giorno tiene attivi mente e corpo.

6. Stimolare la menteMantenere il cervello attivo e impegnato stimola la crescita dellecellule e delle connessioni nervose: leggere, scrivere, giocare,imparare cose nuove, fare le parole crociate.

7. Avere rapporti socialiOccupare il tempo libero con attività che richiedono sforzo fisico ementale: socializzare, conversare, fare volontariato, frequentare unclub, ritornare sui banchi di scuola.

8. Attenzione ai colpi!Usare le cinture di sicurezza, stare attenti al rischio di cadute,indossare il casco quando si va in bicicletta.

9. Essere saggiEvitare le cattive abitudini: non fumare, non bere troppo, non fareuso di droghe.

10. Guardare avantiIniziare oggi a preparare il domani.

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Ansiolitici ed ipnoticiSeppure anche essi comunemente impiegati, prima della loro pre-scrizione occorre sempre verificare che non vi siano condizioni clini-che (come febbre, dolore, stitichezza) od ambientali (assenza di quiete,illuminazione eccessiva o buio intenso, televisione dal volume troppoalto, più persone che parlano contemporaneamente, assistenza daparte di persone nuove, ecc.), di per sè in grado di giustificare statid’ansia od insonnia, per non rischiare di prescrivere farmaci, nonsolo inutili, ma anche potenzialmente dannosi.

AntipsicoticiLa somministrazione di questa categoria di farmaci rappresentaspesso una scelta ineludibile quando la gestione del malato diventaveramente difficile, se non impossibile, per la presenza dei gravidisturbi del comportamento (vedi Tabella 2).

Occorre a tal proposito essere consapevoli che sia gli antipsicoticitradizionali o “tipici“ (aloperidolo, promazina, clorpromazina, ecc.)che, quelli cosiddetti non tradizionali o “atipici” (risperidone, olan-zapina, quetiapina, aripiprazolo, ecc.), oltre a non dare garanzia diefficacia, non sono immuni da effetti collaterali anche gravi, dallaparkinsonizzazione del paziente, alla comparsa di eventi vascolarimaggiori (infarto cardiaco ed ictus cerebrale) e di complicanze ema-tologiche. Ne deriva che, come precedentemente affermato, la loroprescrizione, sia che si tratti dei tipici che degli atipici, deve esseresempre effettuata dopo una compente valutazione clinica e sottopo-nendo successivamente i pazienti a frequenti e regolari controlli neltempo.

La terapia farmacologica dei più gravi disturbi del comportamentorappresenta il momento sicuramente più difficile ed impegnativo peril medico, in quanto è quello maggiormente contrassegnato da insuc-cessi e da frustrazione per chi assiste questi malati. Diventa pertantoimperativo categorico verificare che non esistano fattori estranei allamalattia ad esserne responsabili, seguendo la metodologia indicatain Figura 2.

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Terapia non farmacologica

1. Interventi di tipo riabilitativo

Si tratta di interventi che agiscono sulla sfera cognitiva, cognitivo-comportamentale, relazionale ed emotiva, in pazienti con demenza digrado lieve-moderato, quando la memoria remota è ancora sostan-zialmente conservata e le funzioni sensoriali non sono significativa-mente compromesse.La loro efficacia si basa sui risultati di numerosi studi anche se sononecessarie ulteriori conferme su più ampie popolazioni di pazientitrattati.

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Figura 2. Percorso diagnostico-terapeutico dei disturbi psicocom-portamentali nel paziente con malattia di Alzheimer (Behavioraland Psychological Symptoms of Dementia – BPSD)

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L’obiettivo è quello di ridurre il livello di disabilità del paziente,migliorare la qualità della sua vita ed, auspicabilmente, rallentareanche il decorso della malattia, potenziando le residue funzioniintellettive, fisiche e affettive.Indipendentemente dalla metodica utilizzata prioritario è sottoporreil paziente ad una valutazione volta a definire la gravità dellademenza, la presenza di disturbi comportamentali, la coesistenza dialtre malattie, nonché le condizioni sociali e ambientali che possonointerferire, sia positivamente che negativamente, con l’intervento.A tal fine è anche necessario che si venga a creare un rapporto difiducia tra l’operatore, il paziente e la famiglia, il cui coinvolgimentoè fondamentale, non solo come sostegno psicologico, ma anche perl’attuazione compiuta dello stesso programma terapeutico; così comeporsi sempre degli obiettivi realistici, sapendo che la malattia allostato attuale ha un decorso inesorabilmente progressivo di cui nonconosciamo la velocità di progressione.

Vengono di seguito riportati quelli più sperimentati e di uso comune.

Terapia di riorientamento nella realtà (Reality OrientationTherapy-ROT)Tale intervento si basa sull’ipotesi che la stimolazione neurosenso-riale (visiva, uditiva, fisica, ecc.) attivi connessioni nervose scarsa-mente utilizzate e/o ne favorisca lo sviluppo in una sorta di vicarian-za funzionale. Fornendo punti di riferimento spaziali, temporali e relazionali, laROT permette al paziente di riappropriarsi di quegli strumenti chegli consentono di ritrovare un rapporto con se stesso e con la realtàin cui vive.Sul piano operativo essa prevede:- attività di orientamento temporale che consistono nel dare infor-

mazioni sul tempo cronologico (calendario), relativo (mattino esera), stagionale e meteorologico;

- attività di orientamento spaziale che richiamano l’attenzione sullasede degli incontri, i percorsi abituali ed i luoghi familiari;

- attività di riappropriazione corporea volte a portare il paziente a

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focalizzare l’attenzione sul proprio corpo e sulle sue funzioniattraverso tecniche di concentrazione, massaggio e toccamento;

- attività di stimolazione sensoriale idonee a riportare il soggetto alcontatto con l’ambiente circostante in modo progressivo.

Della ROT vengono individuate due fasi fra loro complementari: for-male, che consiste in periodiche sedute in gruppi di 4-5 malati inambienti adeguati; informale, che prevede la stimolazione continuadel paziente durante l’intero arco della giornata, coinvolgendo anchei familiari.Con questa metodica è possibile indurre un miglioramento moderato,ma significativo, non solo delle prestazioni cognitive, ma anche deidisturbi comportamentali, anche se non dell’autonomia funzionale. Da segnalare la possibilità di effetti negativi quali comparsa di irri-tabilità, ansia o depressione.

Terapia della Reminiscenza (Gruppi Remember)Momento centrale del programma riabilitativo è l’utilizzazione delricordo come strumento indispensabile per gettare un ponte tra pas-sato, presente e futuro, al fine di meglio interpretare e vivere larealtà quotidiana. Esso si sviluppa in tre diverse fasi: di potenziamento delle capacitàmnesiche remote; di integrazione dei ricordi passati con quellirecenti; di ampliamento della memoria recente. I soggetti vanno incoraggiati a parlare del loro passato, a ricordare eriportare al gruppo esperienze vissute durante l’età adulta e l’infan-zia; successivamente, vanno stimolati a verbalizzare i loro problemiattuali e ad ascoltare quelli degli altri per permettere di comprende-re meglio la loro condizione, così da raggiungere sempre più un mag-gior adattamento al presente ed un miglior livello di socializzazione.L’utilizzo di questa metodica sembra poter significativamente contri-buire a prevenire il processo di disintegrazione della personalità,garantendo l’allenamento mentale necessario per una attività diintrospezione, arricchendo i propri ricordi e facilitando gli aspettirelazionali.Sono stati eseguiti numerosi studi di efficacia i cui risultati, seppure

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modesti, appaiono comunque positivi, anche se vengono purtropporapidamente persi con l’interruzione del trattamento.

Riabilitazione della memoria (Memory Training)Il trattamento riabilitativo consiste nell’indurre il soggetto ad associa-re spontaneamente la cosa da ricordare a persone, animali, episodi emomenti appartenenti al proprio vissuto. Esso si basa sul fatto cheogni informazione viene tanto più facilmente appresa quanto piùrisulta motivata ed affettivamente vissuta. Il programma consta di duemomenti: uno strutturato, costituito dalla seduta di memory trainingvera e propria, l’altro non strutturato, che accompagna il paziente peril resto della giornata. La durata della terapia è di 60-75 minuti circa,con una frequenza di 2-3 volte la settimana. Il programma prevedel’utilizzo di una serie di materiali capaci di stimolare i vari canalisensoriali per acquisire quelle informazioni che dovranno poi essererichiamate alla memoria. Sarà pertanto essenziale favorire l’esecuzio-ne di associazioni spontanee con persone, animali, oggetti, momentidella propria vita quotidiana, anche in virtù del fatto che fattori emo-tivi e motivazionali giocano un ruolo centrale nell’attività della fun-zione mnesica. L’informazione sarà infatti appresa tanto più rapida-mente quanto più risulterà motivata e affettivamente vissuta.- Ausili esterni passivi: consistono in adattamenti ambientali idonei a

consentire al paziente di meglio orientarsi negli spazi in cui vive:segnalazioni ben in evidenza, scritte a grandi lettere, utilizzazionedel colore come elemento di identificazione (ad es., porte dei bagnidi colore giallo, frecce verdi per indicare il giardino, altri), ecc.

- Ausili esterni attivi: rientrano in questa categoria agende, timer,calendari, elenchi della spesa e delle cose da fare, lavagne, pian-tine stradali, piccoli registratori tascabili, ecc.; compito del riabi-litatore è in questo caso addestrare il paziente al loro uso corretto.

Terapia basata sull’accettazione della realtà nella quale ilpaziente è convinto di vivere (Validation Therapy)Viene proposta come tecnica di comunicazione in pazienti condemenza che credono di vivere in epoche precedenti della propriavita.

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Mediante l’ascolto e l’osservazione, si cerca di conoscere e capire larealtà del soggetto, al fine di stabilire con lui contatti significativi.Non si tratta di riportare il malato alla realtà attuale, ma di seguirlonel suo mondo per cercare di capire quali sono i sentimenti, le emo-zioni e i comportamenti che derivano da questo suo rivivere espe-rienze, relazioni e conflitti passati. Sulla sua reale utilità i pareri sono attualmente discordi.

2. Altri tipi di Intervento

Numerose altre forme di intervento sono state sperimentate e proposteper cercare di contrastare l’evoluzione della malattia e per renderemeno pesante il carico assistenziale soprattutto nelle sue fasi più avan-zate. Si tratta di interventi non tradizionali e pertanto non codificati trale prestazioni previste dai piani sanitari regionali in quanto non deriva-ti da studi che consentano giudizi di sicura efficacia, ma che pur tutta-via poggiano ormai su molte esperienze positive sia italiane che estere.

Terapia effettuata con l’ausilio di animali (Pet Therapy)Si tratta di una terapia basata sull’intuizione, che risale all’antichità,del valore terapeutico degli animali e che trova oggi la sua struttura-zione metodologica e impieghi mirati a specifiche patologie. Nel giugno del 1994 il Centro di Collaborazione OMS/FAO per laSanità Pubblica Veterinaria di Roma, interagendo con altre struttu-re, organizza il 1° corso informativo di “Pet Therapy” ed Ippote-rapia. Il razionale al suo impiego è basato sulla certezza che la pre-senza di un animale migliora da un punto di vista psicologico la vitadell’individuo, diminuendo la solitudine e la depressione, agendo dasupporto sociale, dando un impulso alla cura di se stessi e diventan-do una fonte di attività quotidiane significative. Si tratta naturalmen-te di una terapia di supporto che integra, rafforza e coadiuva le tera-pie normalmente effettuate per il tipo di patologia considerato. Perquanto riguarda il suo utilizzo nei pazienti dementi, molti studidimostrano che la compagnia di un cane (sempre in presenza del suoistruttore) riduce l’aggressività e l’agitazione, così come migliora ilcomportamento relazionale dei malati.

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Altri studi dimostrano che la presenza di un acquario nella stanza dapranzo può ridurre i disturbi del comportamento alimentare. Inoltrepossono esserci benefici anche sulle funzioni cognitive, in quanto conquesta metodologia si incoraggia l’interazione verbale e non verbaletra persona e animale, stimolando non solo la memoria del paziente(gli animali possono riportare ricordi del passato), ma anche il suoorientamento temporale (orario del pasto dell’animale o della passeg-giata), nonché dei suoi organi di senso stimolati dall’odore emessodall’animale, dal colore e dalla sensazione tattile del suo pelo.

MusicoterapiaQuesta metodica si propone di: favorire l’opportunità di espressione“non verbale” delle emozioni tramite il movimento, la danza, ilsuono di strumenti; stimolare la comunicazione attraverso il canto dimotivi familiari e la rievocazione di esperienze di vita; stimolare ilricordo attraverso le associazioni tra canzoni, musica ed esperienzepersonali; migliorare l’autostima; facilitare il rilassamento ed alle-viare lo stress. Deve essere condotta da operatori con formazione specifica, in quan-to, se non ben gestita, può peggiorare stati d’animo e comportamenti.

Attività fisicaTale proposta terapeutica si basa sulle seguenti motivazioni:- i soggetti anziani fisicamente attivi ed in buona forma fisica

hanno prestazioni cognitive e psicomotorie migliori rispetto ailoro coetanei sedentari;

- la maggior parte degli studi indicano che una singola seduta diesercizio così come un programma di allenamento fisico induco-no un miglioramento delle funzioni cognitive, in particolare diquelle che diminuiscono con l’età;

- i meccanismi attraverso i quali l’attività fisica determina unmiglioramento delle prestazioni cognitive sono molteplici, inparte legati ad un miglioramento del metabolismo cerebrale eforse del trofismo neuronale ed in parte di natura psicologica.

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Laboratorio di oggettisticaIl suo significato è quello di impegnare il paziente in piccole attivitàmanuali, in maniera guidata e facilitata, al fine di ridurre stati d’an-sia e di tensione ed aumentare l’autostima.

OrticolturaConsiste nell’affidare al paziente la cura di una o più piante, conobiettivi non solo di tipo ricreativo, ma anche terapeutico, consen-tendo, ad esempio mediante la cadenza dei tempi di annaffiatura opotatura, di migliorarne il senso di orientamento.

Attività spiritualiL’esperienza di molti studi insegna che può essere utile per unpaziente con demenza partecipare a funzioni religiose. Per coloroche hanno avuto un importante ruolo nella vita della propria comu-nità, partecipare ad attività spirituali può rappresentare un modo permantenere l’autostima ed il senso di appartenenza sociale, peraffrontare lo stress della malattia e per favorire la comunicazione congli altri. Inoltre le funzioni religiose possono aiutare a rievocarericordi e tradizioni del passato e mantenere l’orientamento tempora-le, data la cadenza delle festività religiose nel corso dell’anno. È ovvio che tali attività devono essere gradite al malato e consone alsuo vissuto ed alle sue attuali condizioni.

Visione di filmPuò essere un’attività gradita e stimolante per il paziente affetto dademenza lieve-moderata, purché non sia causa di spavento o di agi-tazione per le scene e le vicende trattate.

Inserimento in gruppi intergenerazionaliSi basa sul presupposto che, creando momenti di interazione traanziani dementi e giovani sani, si possano migliorare la memoria sti-molando la rievocazione di racconti ed episodi di vita vissuta,migliorando nel contempo il livello di socializzazione.

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Capitolo Quarto

ome si assisteil malato

C

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Al fine di assicurare la migliore assistenza possibile al malato edaiutare la famiglia, i principali aspetti da considerare sono quelli diseguito riportati.

Conoscere i suoi diritti

“Chi ti dà il diritto di non informarmi?...di non curarmiperché sono inguaribile?...di cacciarmi via dall’ospeda-le?...di spogliarmi nudo davanti agli altri?”

In Carta dei diritti degli anziani non autosufficientidella Fondazione E. Zancan

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“Non abbiate paura di baciarlio di farvi baciare da loro.Non prenderete l’Alzheimer.

E allora sorridete puree loro capiranno.Carezzateli senza paura,sentiranno.

Baciatelise non vi fa schifo:comprenderannoancor di più tutto il resto.Abbracciateli, come facevatecon il vostro bambino.Cantate con loro,vi seguiranno.

Scherzate con lorodelle miserie,che sono comunia entrambi”

Renato Bottura, medico

Capitolo Quarto

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Nel 1999 le Assemblee Generali di Alzheimer’s Disease Internatio-nal, Alzheimer Europa ed Alzheimer Italia, approvano la Carta deiDiritti del Malato di Alzheimer, i cui principi sono riportati inTabella 5.

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Diritto del malato al rispetto ed alla dignità al pari di ogni altro cit-tadino.

Diritto del malato ad essere informato nelle fasi precoci dellamalattia, e dei congiunti o rappresentanti legali in qualsiasi fasedella stessa, anche della sua prevedibile evoluzione.

Diritto del malato o del rappresentante legale a partecipare, perquanto possibile, alle decisioni riguardanti il tipo di cura e di assi-stenza presente e futura.

Diritto del malato ad accedere ad ogni servizio sanitario e/o assi-stenziale al pari di ogni altro cittadino, senza preclusione alcuna inrapporto al suo stato di malattia che lo rende spesso disturbante edifficile da gestire.

Diritto del malato di disporre di servizi adeguati specificamentededicati ad affrontare i problemi della demenza.

Diritto del malato e di chi si prende cura di lui di scegliere fra lediverse proposte di cura/assistenza.

Diritto del malato ad una speciale tutela e garanzia contro gli abusifisici e patrimoniali, data la sua vulnerabilità.

Diritto del malato, in assenza di rappresentanti legali, o nel caso incui i potenziali rappresentanti legali rifiutassero la tutela, di avereper legge un tutore ufficiale scelto dal tribunale.

Tabella 5. Carta dei Diritti del Malato di Alzheimer

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Conoscere la persona che si è chiamati da estranei ad assistere, èfondamentale, ancor più se si tratta di un paziente affetto da de-menza.

Da qui la proposta di acquisire notizie relative a stile di vita, fami-glia, amici, tradizioni, abitudini, preferenze, esperienze di lavoro,hobby, da raccogliere in un libro – il cosiddetto libro della biogra-fia del paziente – da utilizzare come prezioso strumento di lavoroper la possibilità di personalizzare le modalità di intervento.

Su come costruire il libro della biografia, in Tabella 6 vengono elen-cati gli elementi da considerare.

Conoscere la sua storia

“Ho sempre amato molto profondamente la musica e trovoche sia di gran conforto. Mi riempie le giornate e mi dàqualcosa da fare – ascolto e vado a ricercare i dischi chepiù amo. Mi sembra che sia un gran bel modo di andare atempo e anche perderlo. E poi è divertente...mi bastaascoltar la musica per sentire che sto proprio facendo qual-cosa che amo. Non posso più eseguirla, ma posso certamen-te utilizzarla come intendo io – cioè per sentirmi splendida-mente”.

In Visione parziale di Cary Smith Hendersone Nancy Andrews

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A. Stile e formato

Piacevole a vedersi.

Di facile consultazione.

Fatto di materiale resistente, difficile a rompersi.

Preveda la possibilità di essere ampliato ed aggiornato.

Utilizzi anche materiale fotografico, disegni, ritagli di giornale, car-toline e qualsiasi altra cosa richiami alla memoria esperienze divita vissuta.

B. Contenuti

Dati anagrafici relativi anche ai familiari.

Dati relativi all’infanzia, ai rapporti con i familiari, alla casa dove si è nati, ai primi anni di scuola, agli amici dei primi giochi, al primoamore e ad altri eventi o aspetti significativi (ad es. veniva chiama-to con il proprio nome oppure aveva qualche soprannome; e se sìperché?).

Dati relativi alla scuola frequentata, al titolo di studio conseguito,alle materie preferite, a quelle più difficili, ecc.

Dati relativi al periodo di vita militare.

Dati relativi alla attività lavorativa svolta, al tipo di lavoro, alruolo, al grado di soddisfazione, al primo stipendio, al rapporto coni colleghi, all’età del pensionamento ed al modo in cui è stato vis-suto.

segue

Tabella 6. Elementi da considerare per la costruzione del librodella biografia

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In aggiunta o in sostituzione del libro altrettanto efficace può essereanche la utilizzazione di video, poster, bacheche con immagini,murales, grandi foto, didascalie incollate su fogli di carta ecc., cosìcome avere una scatola contenente oggetti che hanno contrassegna-to le tappe della vita del paziente.

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Dati relativi alle proprie esperienze di vita con descrizione dei luo-ghi dove si è vissuti; al proprio matrimonio ed a quello dei figli e/oamici, alla prima casa, alla prima macchina (o motocicletta), ecc.

Dati relativi al carattere (felice, scherzoso, ottimista, pessimista,espansivo, riservato, introverso) ed alle modalità di rapportarsi coni propri familiari e le altre persone.

Dati relativi ai rapporti con la religione con descrizione della comu-nità di fede e del luogo frequentato (ad esempio la parrocchia), allepreghiere preferite, ad eventuali esperienze di volontariato, ecc.

Dati relativi alla vita relazionale con parenti, amici, vicini, colleghi,ecc.

Dati relativi ad onorificenze e/o ad appartenenza a gruppi e/o asso-ciazioni.

Dati relativi agli interessi culturali (letture preferite), musicali(musiche e/o artisti preferiti), alle attività ludiche (giochi e/o sportpreferiti), ricreative (hobbies), ai viaggi effettuati (località visitate),al rapporto con gli animali (ad es. animali preferiti e relativi nomi),all’alimentazione preferita (piatti e bevande).

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La comunicazioneLa comunicazione è una condizione essenziale della vita, dello svi-luppo umano e della salute mentale. Si tratta di una relazione chepresenta sia contenuti concreti ed obiettivi (quello che io dico, quelloche io sento), che affettivi ed emozionali (come lo dico, come vedo chilo dice). Si tratta quindi di un processo interattivo dove il dire ed ilfare di ogni individuo influenza e, nello stesso tempo, è influenzatodal dire e dal fare dell’altro con cui interagisce. La comunicazione può essere verbale e non verbale: quella verbaleutilizza il linguaggio delle parole, quella non verbale il linguaggiodel corpo.Per quanto riguarda la comunicazione verbale, bisogna sapere cheil malato di Alzheimer presenta problemi sia nella comprensione chenella produzione delle parole e nell’espressione dei pensieri. Aseconda dello stadio di gravità della malattia egli passa progressiva-mente dalla difficoltà a trovare le parole (anomie) ed a comunicare ipensieri, all’incapacità di esprimere frasi di senso compiuto pur par-lando continuamente (afasia fluente), fino allo stadio finale in cuidiventa totalmente incapace di parlare e di comprendere (afasia glo-bale). Nelle fasi iniziale e moderata della malattia, il paziente riesce,a volte, a nascondere i problemi di linguaggio tenendo, per esempio,

Comprendere ed essere compresi

“Mia moglie sta facendo di tutto per rendermi le cose soppor-tabili, per tenermi occupato e farmi sentire bene. La apprez-zo veramente tanto. Comunque, se ti capitasse di averel’Alzheimer, la cosa migliore che puoi fare è trovare unabrava persona che ti assiste, come la mia meravigliosamoglie. Ho paura di perdere i contatti col mondo. Lei è lasola che veramente mi capisce e io non sono facile da capire”.

In Visione parziale di Cary Smith Hendersone Nancy Andrews

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1. Chiamarlo per nome e richiedere sempre la sua attenzione.

2. Accertarsi che possa sentirvi.

3. Usare parole brevi, frasi semplici e corte.

4. Parlare lentamente, fare solo una domanda semplice per volta.

5. Dare tempo sufficiente per rispondere.

6. Abbassare il tono della voce.

7. Stare attenti e non interrompere, non avere fretta, dare suggerimen-ti necessari se non gli viene una parola.

8. Chiedere sempre di svolgere un compito alla volta e non diversi con-temporaneamente.

9. Eliminare rumori e attivita’ distraenti.

10. Evitare di parlargli come se fosse un neonato.

11. Evitare di parlare di lui liberamente in sua presenza, anche quandola demenza è grave.

12. Imparare ad utilizzare il linguaggio non verbale.

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Per quanto riguarda la comunicazione non verbale occorre sottoli-neare che, quando la malattia è in fase avanzata e le capacitàespressive sono totalmente compromesse, il malato tende ad utilizza-re sistemi alternativi, che vanno compresi per non scatenare reazionicomportamentali che potrebbero essere di difficile gestione.È quindi importante conoscere il modo di relazionarsi correttamentecon lui facendo di tutto per ridurgli il senso di frustrazione conse-guente alla sua incapacità a comunicare.

un atteggiamento schivo e diffidente. Quando il disturbo del linguag-gio diventa grave, esso può dar luogo a reazioni catastrofiche sia nelpaziente che in colui che presta assistenza (caregiver), per l’impossi-bilità di comprendersi utilizzando l’usuale linguaggio verbale.

In elenco vengono riportati suggerimenti che possono migliorare lacomunicazione verbale con il malato di Alzheimer:

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Sono elementi delle comunicazione non verbale: • i gesti, le espressioni del viso, gli atteggiamenti;

• il riso, il pianto, lo sbadiglio, i cambiamenti nel tono dellavoce, le pause, i silenzi;

• il contatto fisico, il modo in cui ci si colloca nei suoi confronti(distanza, posizione eretta o seduta vs posizione sdraiata, posi-zione seduta vs posizione seduta, ecc.);

• l’aspetto esteriore determinato dall’abbigliamento, dal trucco edagli ornamenti (gioielli, tatuaggi, piercing, ecc.).

È da sottolineare che la comunicazione non verbale è molto piùefficace di quella verbale, nel senso che il modo in cui mi compor-to è molto più importante rispetto a quello che dico. Posso dire “tiamo” e far capire chiaramente come non sia vero; posso dire “tiodio” ma lasciar trasparire dal modo in cui lo dico che il mio senti-mento è ben diverso.

Nel mentre la capacità di comprendere il linguaggio verbale inesora-bilmente diminuisce con il procedere dalla malattia, la capacità dicomprendere il linguaggio non verbale non viene mai meno, nemmenonegli stadi più avanzati di essa, rappresentando quindi la modalitàcomunicativa privilegiata con il malato Alzheimer.

Importante è pertanto per chi assiste questo malato, saper stargliaccanto, prendere le sue mani, toccarlo con delicatezza, con amore,in modo che possa sentire il bene che gli si vuole, scherzare insie-me, stare al gioco del suo delirio, cantare canzoni conosciute, ninnenanne, inni religiosi, anche nelle fasi più gravi. Così come utile puòessere farlo ballare, se era per lui un elemento di svago, spesso percreare, attraverso la musica e il contatto fisico, l’idea di un’intimitàlegittima; cercare di mantenere vivo in lui, se predisposto, l’interessespirituale, invitandolo a pregare ed a pregare insieme in modo daaiutarlo a ricordare le parole.

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Ogni individuo è estremamente dipendente dall’ambiente in cuivive, tanto più il malato di demenza man mano che le sue abilitàdiminuiscono, in quanto diminuiscono sempre di più le sue capacitàdi adattamento.

Occorre quindi:• assicurare che l’ambiente sia tranquillo, stabile, accogliente,

familiare;• fare solo i cambiamenti necessari ad evitare cadute ed altri inci-

denti, come ad esempio togliere tappeti, mettere in sicurezza far-maci, detersivi e liquori, sostituire i fornelli a gas con quelli elet-trici, ecc.;

• programmare la giornata in maniera da dare un ordine costantealle diverse attività della vita quotidiana (come ad esempio svegliamattutina, orario dei pasti, della passeggiata, del riposo, ecc.),perché creare una routine significa migliorare il rapporto con lospazio e con il tempo, così come passeggiare all’aria aperta aiuta acontrollare disturbi quali agitazione, iperattività, insonnia;

• applicare targhette, frecce direzionali, insegne, promemoria suarmadi, cassetti e altri mobili; contrassegnare le porte dellecamere con colori e nomi diversi, avere calendari ed orologi gran-di e bene in vista, abbellire la stanza con immagini fotografichedei familiari e congiunti, di grandi dimensioni e recanti il nomedi questi, aiuta il malato a vivere con maggior autonomia;

L’ambiente in cui vive

“Ho una paura folle di salire le scale. Soprattutto perché imiei piedi vanno per conto loro. In altre parole non sonoper niente sicuro di dove io voglio che vadano. L’Alzheimeruccide molte cose che prima facevo d’istinto”.

In Visione parziale di Cary Smith Hendersone Nancy Andrews

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• incoraggiare la lettura, ascoltare musica, fare i cruciverba,curare piante, lavorare a maglia, ecc., in quanto dedicarsi a pas-satempi piacevoli aiuta a mantenersi più sereni e a contrastare ildeterioramento cognitivo;

• non privarlo dei suoi soldi anche quando ci si accorge che non dàpiù valore al denaro per non umiliarlo, magari chiedendo collabora-zione ai vicini e negozianti della zona con i quali si è più in confi-denza;

• assicurarsi che abbia sempre con sé un documento di identifica-zione o anche un semplice biglietto con il numero telefonicodelle persone con le quali prendere contatto in caso di necessità,è estremamente importante in caso di smarrimento, malessere,incidente, ecc.

Perché l’ambiente abbia sufficienti requisiti di sicurezza, occorrefare attenzione ai seguenti punti:• l’illuminazione deve essere adeguata, non troppo debole, né

troppo diretta e abbagliante; le superfici riflettenti, come finestree specchi, vanno adeguatamente schermati; vanno eliminate lepossibili cause di abbagliamento o pronunciati giochi d’ombre;gli interruttori della luce devono essere facilmente accessibili;

• i mobili vanno disposti in modo tale da non ostruire il passaggio,usare sedie con braccioli e gambe robuste che aiutino ad alzarsi esedersi;

• eliminare tappeti e scendiletto, ancor più se logori o strappati,oppure assicurarsi che siano adeguatamente fissati al pavimento;ricordarsi che i pavimenti con superficie troppo liscia o sdruc-ciolevoli, ad esempio per uso di cera, possono rappresentare ungrave rischio di cadute e fratture;

• in cucina mettere in sicurezza coltelli appuntiti, forbici, oggetti divetro; controllare periodicamente le scadenze dei cibi; porre glioggetti più frequentemente usati ai livelli più bassi e posizionare lemensole ad una altezza accessibile; per ridurre il rischio di lasciareaperto il fornello del gas, scrivere sugli interruttori in maniera chia-ra le parole “APERTO” e “CHIUSO”, ancor meglio sostituire gliimpianti a gas con quelli elettrici o ad induzione elettromagnetica;

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• in bagno applicare sul pavimento strisce anti-scivolo o tappetinidi gomma; utilizzare ciabatte idonee e sedili nella doccia e nellavasca; preferire la doccia al bagno in vasca; utilizzare serviziigienici più alti ed applicare maniglioni di sostegno, così comerendere impossibile al paziente di chiudersi dall’interno;

• le scale, la più importante fonte di pericolo per gli anziani masoprattutto per quelli con demenza, dovrebbero avere scalini dialtezza adeguata (max 30 cm), essere provviste di corrimano edavere accesso controllato.

Per i problemi visivi del paziente, quali agnosia (vedi Tabella 1),vulnerabilità ai fenomeni di abbagliamento, alterata percezione dellaprofondità (per cui un disegno di colore diverso sul pavimentorispetto a quello dello sfondo è interpretato come un “vuoto” perico-loso), è necessario:• ricorrere a contrasti cromatici perché possa vedere gli oggetti

che deve utilizzare o il pasto che deve mangiare (è inutile chie-dergli perché non mangia se la pasta “in bianco” viene servita inun piatto bianco posto sopra una tovaglia anch’essa bianca);

• differenziare il colore delle maniglie delle porte, delle finestre,dei mobili, ecc. dal colore di fondo; utilizzare posate e piatti chesiano in risalto rispetto alla tovaglia; fare in modo che la tavoladel WC sia di una colorazione forte, diversa dal resto, in modo dapoter ben individuare la zona di seduta;

• mantenere porte, maniglie, serrature dello stesso colore dellaparete per quei vani nei quali il malato non deve entrare;“mascherare” ad esempio con grandi poster le porte di ingressoper ridurre al minimo i tentativi di fuga;

• garantire la possibilità di mantenere, mediante interruttori checonsentono la regolazione dell’intensità luminosa, lo stesso gradodi visibilità all’interno dell’abitazione al variare del giorno e dellesituazioni di luce;

• differenziare cromaticamente, se vi sono scale, l’alzata dallapedata o almeno sottolineare con diverso colore il margine diogni gradino; prevedere un’illuminazione diffusa in modo daimpedire che la propria ombra si proietti sui gradini.

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Garantire un’adeguata igiene personale al paziente non solo fa benealla salute (il termine deriva da Igea, dea greca della salute) inquanto evita infezioni, irritazioni o macerazioni della pelle, ulcera-zioni, ma rappresenta anche uno dei principali modi di aiutarlo aconservare la dignità di persona.Se nelle prime fasi della malattia il malato di Alzheimer è ancora ingrado di badare a se stesso se adeguatamente stimolato e controllato,nelle fasi più avanzate necessita di sempre maggiore aiuto nel lavar-si, fino a diventare totalmente dipendente da chi lo assiste.Poiché quella del lavarsi è un’attività che riguarda l’aspetto più inti-mo della persona, guai a non tener conto del suo senso del pudore edelle sue abitudini.

Da qui l’opportunità di tener conto dei sotto elencati suggerimenti:• pianificare il luogo e l’orario nel momento della giornata in cui il

malato è più tranquillo; • prepararlo spiegandogli cosa e perché di quello che si sta facendo;• invitarlo a collaborare con sollecitazioni o comandi semplici, uno

alla volta;per il bagno in vasca, utilizzare poca acqua;

• per la doccia (generalmente preferibile), tenerlo seduto su uno sga-bello;

• utilizzare tappeti antisdrucciolo e maniglie di sostegno;• non lasciarlo mai solo;

L’igiene personale

“Ricordiamo alla nonna che bisogna lavarsi e così è semprepulita. Alle volte l’aiutiamo. Controlliamo la temperaturadell’acqua per evitare che si bruci o le mettiamo il dentifri-cio sullo spazzolino, altrimenti si sbaglia e prende lo sham-poo”.

In Cara nonna di Sandrine Lavallè e Anja Thielen

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• utilizzare saponi poco schiumogeni e non irritanti per gli occhi;• controllare sempre la temperatura dell’acqua;• invitarlo a lavarsi da solo le zone genitali;• avere attenzione per le zone “difficili” del corpo, come la regione

sottomammaria, le pieghe dell’inguine, la regione anale;• asciugare accuratamente senza strofinare;• attenzione al phon!;• garantire un’adeguata igiene della bocca, compresa l’eventuale

protesi;• curare piedi ed unghie;• utilizzare la musica o il canto nei pazienti con disturbi del compor-

tamento;• trovare la motivazione giusta in presenza di rifiuto (“ti sei mac-

chiato”, “vengono a farci visita…”, “andiamo fuori a passeggiaree mangiare un gelato appena pronti”, ecc.), anche ritardando orinviando al giorno successivo l’intervento;

• essere amabili e rispettosi, avere pazienza e calma, altrimenti èmeglio farsi sostituire.

L’utilizzo della toilette

“In effetti le persone con l’Alzheimer pensano, forse non lestesse cose delle persone normali, ma pensano. Si doman-dano come le cose succedano, perché succedano in un datomodo. Ed è un mistero”.

In Visione parziale di Cary Smith Hendersone Nancy Andrews

Con il progredire della malattia il paziente con Alzheimer va incon-tro ad incontinenza, dapprima urinaria, poi anche fecale, ossiadiventa incapace di controllare urine e feci. L’incontinenza è unodegli eventi tra i più problematici sia per il malato che per chi lo

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assiste; occorre perciò sempre informare il medico al suo primomanifestarsi, perché a volte può essere dovuta a problemi medicicurabili e guaribili, come un’infezione delle vie urinarie o la diarrea.

Al suo primo apparire, è bene comportarsi come segue:

• è sbagliato imporre la propria presenza nella toilette, perché que-sto crea imbarazzo; è meglio cercare che faccia da solo, garanten-do che abbia a disposizione tutto ciò che gli serve; non affrettia-mo insomma i tempi, perché il momento in cui andrà totalmenteassistito prima o poi arriverà inesorabilmente;

• verificare che la porta del bagno abbia apertura verso l’esternoper rendere possibile l’immediato soccorso ove necessario;

• verificare che la distanza tra camera e bagno sia facilmente per-corribile e ricorrere eventualmente all’uso di raccoglitori di urineportatili;

• preoccuparsi che il WC sia fornito di maniglioni d’appoggio e chesia collocato ad un’altezza dal pavimento tale da renderne facilel’utilizzo e sia dotato di una tavola di colore tale da richiamarel’attenzione sul dove e come sedersi;

• sollecitarlo a recarsi alla toilette ad intervalli di tempo regolari,per esempio non appena si sveglia al mattino, ogni 3 ore duranteil giorno, prima di coricarsi la sera ed una volta durante la notte.

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Relativamente alla funzione del vestirsi, come d’altro canto nellealtre attività, bisognerebbe limitarsi, finché possibile, ad una sem-plice supervisione, semplificando le scelte disponibili e facendo inmodo, ad esempio, che l’armadio contenga soltanto un ristrettonumero di indumenti stagionali e restare nelle vicinanze mentre ilmalato si veste, rammentandogli passo passo, se necessario, lasequenza con cui indossare di vari capi. Metterlo in condizione di vestirsi con il minor aiuto possibile è infat-ti importante sia per mantenere alto il suo livello di autostima, siaper stimolarlo a compiere autonomamente questa funzione.

Se indossa un indumento in modo sbagliato, intervenire con moltotatto, aiutandolo a ripetere l’operazione in modo corretto.È bene scegliere chiusure con velcro, pantaloni con elastico, reggi-seni che si allacciano davanti, evitare abiti con chiusure complicate,meglio lunghe cerniere lampo; così come riporre gli abiti nello stessoordine in cui vanno indossati. In camera lasciare in vista solo i vestiti del giorno e la sera, quandodorme, rimuovere subito gli indumenti sporchi e metterli in postinon accessibili al malato.

Il vestirsi

“...la nonna ha dimenticato come fare per vestirsi corretta-mente. Prima, quando si vestiva ancora da sola, era diver-tente: alle volte si metteva tre pullover uno su l’altro, senzagonna né pantalone; oppure si metteva la gonna sopra unpantalone. E poi, anche se fuori c’era un caldo da soffoca-re, si metteva sempre i suoi grossi maglioni di lana. Così,da allora, aiutiamo la nonna a vestirsi, le prepariamo gliabiti e le ricordiamo come indossarli. Così la nonna è sem-pre bella”.

In Cara nonna di Sandrine Lavallè e Anja Thielen

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L’alimentazione

“Vorrei parlare con altre persone colpite da Alzheimer persapere fino a che punto sono impacciati, fino a che puntodimenticano rapidamente le cose, fino a che punto sannorendersi utili. Io cerco il più spesso possibile di apparecchia-re la tavola e di sbrigare alcune faccende domestiche. Miamoglie me lo lascia fare, grazie a Dio”.

In Visione parziale di Cary Smith Henderson e Nancy Andrews

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Fargli indossare scarpe con suole antiscivolo, evitare che resti tuttoil giorno in pantofole, perché non sostengono bene il piede e lo fannodeambulare con meno sicurezza.

I soggetti con demenza spesso presentano un rapporto alterato con ilcibo, che può presentarsi come ricerca continua di cose da mangiare(iperfagia) così come scarso appetito (inappetenza) fino al suo totalerifiuto (anoressia).Nel caso dell’iperfagia può essere utile far sparire dalla portata delsoggetto cibi altamente calorici come i dolci, merendine, patatine, chepossono portare ad obesità e indurre diabete e offrire invece frutta distagione ed ortaggi. L’inappetenza può invece essere il risultato di situazioni contingenti,come ad esempio una masticazione inadeguata, (per rifiuto od inade-guatezza della protesi), la solitudine, una grave riduzione della capacitàvisiva (il paziente potrebbe non vedere quello che c’è sul piatto e pertale motivo non finire tutto) oltre che per la malattia di per se stessa.

Per tutti valgono le seguenti indicazioni:• assicurare che il pasto avvenga in un ambiente silenzioso e tranquil-

lo, evitando rumori e distrazioni;• se non ha altre malattie che richiedono diete specifiche, come ad

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Il problema del sonno

“Il nonno ci ha spiegato che spesso la nonna, da quando hala malattia di Alzheimer, di notte non dorme, si sveglia piùvolte e cammina per la casa. Allora, neppure lui può dor-mire. Sta appresso alla nonna. Ha paura che le capitiqualcosa. Forse è proprio sorvegliando la nonna che ilnonno stanotte è caduto dalle scale”.

In Cara nonna di Sandrine Lavallè e Anja Thielen

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esempio il diabete, l’alimentazione è assolutamente libera e deveessere, oltre che fonte di equilibrato nutrimento, anche momentopiacevole della giornata;

• variare quotidianamente il menù ed accontentare le richieste seaccettabili;

• preparare pasti semplici, che il malato possa mangiare con facilità,come bocconcini di carne o pesce senza intingoli, pasta corta consughi densi, dolci da mangiare anche con le mani, tutto ciò per farein modo che il malato sia per quanto più possibile a lungo indipen-dente nello stare a tavola;

• utilizzare bicchieri e tazze di facile e sicura presa; stoviglie infrangi-bili e colorate, tovaglioli e tovaglie molto assorbenti o di plastica;

• servire un cibo per volta, assicurandosi che non sia troppo caldo ofreddo;

• farlo visitare regolarmente dal dentista per cercare di garantire lamigliore masticazione possibile;

• se compaiono disturbi della deglutizione o se il paziente rifiuta dimangiare, consultare subito il medico.

Per cercare di prevenire e trattare al meglio i disturbi del sonno, cosìfrequenti specie nelle fasi più avanzate, è utile cercare di:• evitare i “pisolini” durante il giorno;

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• incrementare l’attività fisica, ad esempio con brevi passeggiareripetute nell’arco della giornata;

• ridurre l’uso di bevande la sera;• evitare situazioni stressanti nelle ore serali, favorire attività rilas-

santi come la musica o il massaggio delle mani;• assicurare un ambiente confortevole per quanto riguarda

caldo/freddo, luce/buio, silenzio/rumore;• non somministrare farmaci senza consultare prima il medico.

Ci sono poi situazioni particolari di cui tener conto come la cosiddet-ta “Sindrome del tramonto” ed il “Girovagare notturno”.

“Sindrome del tramonto”: esprime la condizione che vede il mala-to diventare più irrequieto, ansioso, confuso, dicendo che devetornare a casa sua, quando al tramonto compare la prima oscu-rità. Si suppone che questo accada in quanto verso sera la perso-na è più stanca e fragile e la diminuzione della luce aumenta ledifficoltà visive e/o percettive e favorisce errate interpretazionidegli stimoli ambientali. È consigliabile quindi , durante le oreserali, non impegnarlo in attività stimolanti o stancanti, ma even-tualmente mettere musica in sottofondo o fargli un pediluvio.Così come utile può essere evitare la presenza di più stimoli nel-l’ambiente (televisore acceso, bambini che giocano, più personeche parlano), ed aumentare l’illuminazione, stando attenti a chenon si creino zone d’ombra, fenomeni di abbagliamento o rifran-genza.

“Girovagare notturno”: è una delle situazioni più disturbanti e pro-blematiche in quanto impedisce all’intera famiglia di godere delgiusto riposo notturno. Diventa allora importante cercare di rende-re tale girovagare privo di pericoli, adottando precauzioni qualichiudere la porta della cucina, quella che conduce fuori dall’abi-tazione, tenere luci accese nelle stanze, rimuovendo tutti i possi-bili ostacoli. Per cercare di correggere l’insonnia, limitare o aboli-re i sonnellini diurni mantenendolo quanto più possibile in atti-vità, ma cercando prima di tutto di capire se esistano cause speci-

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La sessualità

“Anche quello, anche fare l’amore diventa altro dame....sono disponibile perché penso che forse per lui è untentativo, il tentativo più vero e più semplice per restare incontatto con la vita, perché forse è lo sforzo per non sentir-si solo...”.

In Smarrirsi: la mente nel labirinto di Maria Sandias

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fiche eliminabili o comunque correggibili (sedativi assunti adosaggi inadeguati, letto scomodo oppure una sopravvenuta inca-pacità a distinguere tra giorno e notte), Utile può essere in certicasi far bere un po’ di latte caldo, far mangiare qualche biscotto;così come cambiare le dosi e l’orario di somministrare dei farmaciipnotici concordandolo con il medico. E se proprio non vuole tor-nare a letto, lasciarlo dormire dove vuole, purché non in condizio-ni di rischio (divano, poltrona, sedia, per terra, ecc.).

Si tratta di un altro grande problema di cui solitamente si tende anon parlare. È invece importante sapere che le relazioni affettivo-sessuali in alcune coppie in cui uno dei partner è malato possonocontinuare anche a lungo in modo tranquillo e soddisfacente, even-tualmente anche con modalità nuove per la coppia, Se invece sorgo-no problemi non bisogna esitare a chiedere aiuto, prima di tutto almedico curante ed eventualmente, dietro suo consiglio, allo speciali-sta che lo ha in cura per l’Alzheimer.Talvolta il malato può anche tenere in pubblico un comportamentoinappropriato e imbarazzante (spogliarsi, toccarsi, tentare approcci,ecc.); in questi casi occorre sempre ricordare che questi comporta-menti sono una conseguenza della malattia, quindi non bisogna rea-gire esageratamente, ma provare a distrarre il malato scoraggiandolocon dolcezza e cercando di coinvolgerlo in altre attività.

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Si tratta di un problema a volte tutt’altro che facile da risolvere,quando ci si trovi nelle fasi iniziali di malattia.

I provvedimenti da prendere sono i seguenti:• si deve cercare prima di tutto di convincerlo che si tratta di un prov-

vedimento transitorio, facendogli accettare l’idea di farsi accompa-gnare da un congiunto o di utilizzare il trasoporto pubblico;

• se necessario chiedere l’intervento del medico che rappresenta pursempre un’autorità per il malato, sempre che sia ancora in gradoricordare quanto gli viene detto;

• se ancora non si riesce nell’intento, può essere risolutivo metterefuori uso il veicolo e cercare di farlo sparire dalla sua vista con lascusa che è stato necessario portarlo in officina per la riparazione;

• può rivelarsi alfine indispensabile richiedere la revoca della paten-te di guida, ai sensi dell’art. 130 del Nuovo Codice della strada.Tale richiesta, da presentare alla Motorizzazione Civile, può essereavanzata da un parente (entro il quarto grado), un affine (entro ilsecondo grado), il tutore o il curatore, il Pubblico Ministero o unprocuratore speciale.

La guida di autoveicoli

“Alla fermata dell’autobus aspettiamo qualche minuto. Poilui dice: “È tutta colpa delle mie sorelle che non mi lascianoprendere la macchina perché si preoccupano... Mi sonodetta: dove vado con un problema così? Questo suo muo-versi nel vuoto dove il prima e il dopo sono così confusi,sempre mi sgomenta... meglio muoversi nelle vicinanzeconosciute”.

In Smarrirsi: la mente nel labirinto di Maria Sandias

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Capitolo Quinto

impatto sulla famiglia

L’

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Conoscere la sofferenza di chi assiste

La famiglia costituisce a tutt’oggi, e resterà ancora a lungo, il piùdiffuso ed efficiente strumento di assistenza domiciliare per le per-sone affette da demenza. Infatti essa si fa carico di tale servizio inoltre l’80% dei casi, in tale compito essendo impegnata per moltianni, continuativamente, spesso anche quando, per disperazione, ècostretta a chiederne l’ospitalità in struttura residenziale, e comun-que fino alla morte del proprio congiunto.

Un recente studio condotto nel nostro Paese dal Censis ha fattoemergere una realtà veramente drammatica: in genere è una donna,il più spesso una figlia, a prestare assistenza a malato sette giorni susette; spesso per oltre 5 anni; l’87,3% afferma di sentirsi spossato, il53,6% indica di non dormire a sufficienza, il 43,1% di soffrire didepressione, il 31,9% segnala di aver subito modificazioni rilevantidel proprio peso, il 20% di essere stato costretto a ricorrere all’usodi farmaci per meglio sopportare il proprio stato di sofferenza psico-logica. Tra i farmaci più assunti il 30% è rappresentato dagli antide-pressivi; il 29% dagli ansiolitici.Si comprende quindi il perché dell’affermazione “l’Alzheimer fa duemalati”: chi ne è affetto e chi lo assiste”; così come del perché si

“Rischio, passi cauti, a volte follemente incauti sul cigliodell’abisso. E camminare sempre. Con lo sguardo rivolto inalto avanti. Mai guardare l’abisso che, incolore, si famassa e potere di attrazione indicibile. L’attrazione delnulla in cui sei tentato di lasciarti andare. Non guardare,non guardare. Avanti, un passo dietro l’altro su quell’orloesiguo dove ti pare di poter posare il piede con sicurezza.Un passo dietro l’altro. Per oggi è andata. Domani rico-mincerà l’esercizio”.

In Smarrirsi: la mente nel labirinto di Maria Sandias

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Capitolo Quinto

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parli di Alzheimer come malattia “familiare”, per quanto globale è ilcoinvolgimento dell’intero nucleo familiare.

Dallo stesso studio Censis, emerge comunque il convincimento chesia la casa il luogo più idoneo per l’assistenza, e come radicato sia ilrifiuto del ricovero definitivo come la risposta più adeguata.D’altra parte è facilmente comprensibile quanto sia stressante pren-dersi cura della persona con demenza, tanto più se si tratta di unfamiliare: ci sono nuovi compiti da imparare, così come di accettare,sia sul piano emotivo che su quello pratico, un nuovo modo di vive-re, per la necessità di supportare un bisogno sempre maggiore diaiuto, subendo al contempo la dolorosa perdita di un’importanterelazione personale.

Molti sono infatti gli aspetti da considerare da quelli pratici (comeper es. applicare sistemi di sicurezza, semplificare l’ambiente, farsicarico di compiti prima svolti dal malato, controllare la scadenzadelle bollette, ecc.) ed organizzativi (come ad es. tempi da dedica-re alla sorveglianza, tempi da dividere fra il malato e gli altri compo-nenti della famiglia, ecc.), a quelli esistenziali (per es. quantotempo resta per me che mi prendo cura del malato?), psicologici(come l’ansia di non capire che cosa il malato vuole comunicare, leresistenze ad accettare questa malattia, ecc.) ed economici, datol’alto costo assistenziale che grava per ben oltre il 70% sulla fami-glia.

Un altro aspetto da considerare è anche quello che vede ogni fami-liare alle prese con la sofferenza di vedere il proprio caro perdereprogressivamente tutte le sue capacità, la sua identità, le modalità dirapportarsi con lui e con gli altri, riducendosi a poco a poco gli spazidi comunicazione, di contatto e scambio che erano abituali. Inoltre, quando la persona che si ammala è un genitore o un coniuge,i rapporti fra i vari componenti della famiglia si invertono: da perso-na che curava, aiutava, proteggeva, rassicurava, sosteneva, ora è per-sona che ha bisogno di essere curata, aiutata, guidata, protetta, rassi-curata, sostenuta.

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Come gestire i disturbi del suo comportamento

“Camminavi di continuo, con ritmo frenetico, su e giù perla casa, avanti e indietro dal giardino, senza tregua, anchedi notte (cosa che non avevi mai fatto), salendo e scenden-do le scale, aprendo e chiudendo i cassetti; a volte avevol’impressione di avere in casa un topo ballerino, quei topiche, per un’anomalia genetica corrono sempre intorno, tictic tic, tic tic tic”.

In Ascolta la mia voce di Susanna Tamaro

L’Associazione Internazionale di Psicogeriatria ha pubblicato undocumento sui disturbi del comportamento presenti nella malattia diAlzheimer, sicuramente quelli più difficili e problematici da trattare,comunemente indicati con la sigla BPSD (Behavioral andPsychological Symptoms of Dementia)I contenuti di quel documento vengono qui integralmente riportati,data la loro grande utilità ai fini di saper gestire meglio questi malati

Che cosa sono i BPSD?Si tratta di disturbi psicologici e del comportamento che compaiononella maggior parte dei pazienti durante il corso della malattia diAlzheimer, così come di altre forme di demenza. I disturbi più comunisono agitazione, apatia marcata, modificazioni dell’appetito, altera-zioni del pensiero ed ansietà. Essi possono includere aggressività,azioni ripetitive ed afinalistiche, tendenza alla fuga, girovagare senzameta, depressione, sospettosità ed accuse (deliri), allucinazioni visiveed uditive (vedere o sentire cose che non ci sono) e mancanza delsonno notturno (vedi Tabella 2, pagg. 26-27).

Quali le cause?Sono molteplici. Studi recenti suggeriscono che molti disturbi delcomportamento sono strettamente correlati con le stesse basi biologi-

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che della malattia alle quali vanno aggiunti fattori genetici, stress,eccessiva stimolazione, variazioni nell’ambiente e malattie e disturbiintercorrenti (vedi Percorso diagnostico-terapeutico dei disturbi psi-cocomportamentali nel paziente con malattia di Alzheimer, pag. 40).

Quanto durano?I BPSD solitamente durano circa un anno ma, a volte possono durareanche due o più. Sapere che arriverà il giorno in cui essi cominceran-no a diminuire ti aiuterà ad assistere il malato. La maggior partedegli studi dimostrano che i BPSD spesso iniziano cinque o sei anniprima che la demenza si renda evidente e che possono dipendere dallostadio e dalla severità della demenza. Sappi che la depressione è spes-so il primo dei sintomi.

Gestire i BPSDIl punto di attacco al problema è di verificare che i disturbi lamentatinon siano da attribuire a fattori estranei alla malattia, procedendosecondo il percorso diagnostico terapeutico indicato in Figura 2(pag. 38).

Le persone con demenza non sempre possono tenere sotto controllo iloro comportamenti, per questo i loro pensieri e le loro sensazioni nonsempre riflettono quello che dicono e quello che fanno. Con la com-prensione e la conoscenza puoi diventare capace di rispondere in modoappropriato.

Un valido aiuto ti può venire dall’imparare a guardare dietro aldisturbo del comportamento, cioè dal provare a capire ciò che causa ilcomportamento e non le azioni di per se stesse. Per esempio, le personecon demenza che chiedono sempre di tornare a casa propria, possonoin realtà voler dire che non si sentono sicure dove stanno, ma nonsono in grado di capirlo e, quindi, non potrà farli sentire meglio larisposta “Ma caro, tu sei a casa tua”. Anzi, questa frase probabilmentele farà sentire ancor più frustrate ed irritate. Un approccio sicuramen-te più utile può essere dimostrare affetto, abbracciarle, rassicurarlecon amore e comprensione.

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Molte volte le persone con demenza non sanno dove si trovano, noncapiscono cosa succede e non possono dire quello che vogliono. È allo-ra molto importante che cerchi di capire quello che la persona condemenza prova e che lo tratti in modo gentile, per ridurre che ilrischio che si inneschi una tensione o una reazione di paura.

Ugualmente importante è garantirgli un ambiente confortevole dalmomento che i problemi del comportamento si verificano più frequen-temente quando il malato è costretto in una stanza chiusa a chiave,senza la possibilità di girovagare; sottoposto a mezzi di contenzione; sitrovi a dover vivere in un ambiente caotico o molto rumoroso, subiscaun cambio di assistenza o si trovi a vivere in un ambiente a lui scono-sciuto. Da qui l’utilità per te di tenere un diario sul quale annotare ipossibili fattori scatenanti in modo da evitare il loro ripetersi.

I farmaci possono aiutareI farmaci antidepressivi, antipsicotici ed antiepilettici possono ridurrei BPSD. Siccome però essi sono gravati da effetti collaterali ancheimportanti, è il medico l’unico legittimato a prescriverli. Sappi inoltreche dal momento che i BPSD non sono “per sempre”, il trattamentoprescritto dovrebbe essere periodicamente controllato.

Cosa posso fare io?Pensa a come puoi affrontare il comportamento della persona e qualepotrebbe essere la “vera” ragione che sta dietro al disturbo, non ti fer-mare semplicemente a come si presenta il disturbo del comportamento,a quello che il malato fa. Se una donna con demenza si agita quando fa il bagno può essered’aiuto avere un’assistente donna e non un uomo. Poiché i soggetticon demenza non sempre possono ricordare le cose, può aiutare il daresempre un’istruzione per volta. Una routine regolare nell’utilizzare ilwater può prevenire l’agitazione in chi non è capace di dirti quandone ha bisogno.Trattare le persone con demenza come se fossero bambini può farlesentire cattive e possono infuriarsi. Parlare in modo caldo, gentile, daadulto ad adulto, è la cosa migliore. Il “come” tu dici qualcosa può

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essere ancor più importante della “cosa” che dici. È più facile per chiassiste diventare frustrato e perdere la pazienza quando deve occuparsidi questi problemi comportamentali. L’impazienza spesso fa peggiora-re il comportamento. Restare calmi e pazienti sarà meglio per tutti. Puoi acquisire le capacità che ti sono necessarie, che ti possono aiuta-re quando affronti i BPSD. Per esempio, coloro che assistono i malatipossono compensare il comportamento sbagliato dando a qualcunocon demenza più attenzione quando sta urlando, e non facendo atten-zione a lui quando sta pacifico e tranquillo.

Le Associazioni Alzheimer locali mettono insieme persone con demen-za, i loro familiari, gli assistenti socio-sanitari, i ricercatori fornendosupporto pratico e consigli, sostegno legale e corsi di formazione sullagestione dei malati con demenza. Molte Associazioni Alzheimer orga-nizzano corsi di formazione per aiutare chi assiste ad imparare tecni-che di risoluzione dei problemi.

E tu che assisti il malato che cosa puoi fare per te stesso?Prenditi cura di te stesso.

Cerca di capire che la rabbia, la paura, la frustrazione, la tristezzache provi sono reazioni normali. I BPSD sono la più importante causadi stress in chi assiste, ancor più della perdita di memoria e dellacapacità funzionale. Se i disturbi impegnativi possono essere fermati operlomeno ridotti, anche il tuo stress dovrebbe ridursi. È importanteche tu rimanga in salute; questo ti aiuterà a prenderti cura di chi amiin modo migliore. Se chi assiste è sano, felice e rilassato maggiore èl’effetto positivo su chi viene assistito e di soddisfazione e gratificantepuò essere il suo compito.

Non dimenticare che anche tu hai bisogno di aiuto.

Se ti senti stressato e frustrato, puoi aggravare la situazione anchesenza volerlo. Ridurre il tuo livello di stress può aiutarti a rompere uncircolo vizioso. Chi presta assistenza può realizzare questo con l’aiutodi consigli, gruppi di supporto, attività di gruppo, training di rilassa-

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mento, gestione dello stress e terapia psicologica. Prendi un po’ ditempo per te stesso usando l’assistenza di sollievo se disponibile. Se seisano e meno stressato, sarai capace di gestire meglio i disturbi delcomportamento.

In conclusione, prendersi cura di un malato di demenza può esseremolto logorante ed i sintomi comportamentali e psicologici possonorendere l’assistenza più difficile. Ci sono cose che possono aiutare aridurre lo stress di chi assiste e migliorare l’assistenza alle persone condemenza e tu puoi farle.

Il primo passo è sviluppare una migliore comprensione dei BPSD e dicome essi incidono su te che assisti e sulla persona con demenza.

Perciò, cerca aiuto! Questo aiuto ti può venire dalla corretta diagno-si, dal miglior farmaco ed anche dal supporto per te stesso. Impara dipiù sui disturbi del comportamento e così potrai anche imparare adassistere meglio individuando di volta in volta le metodologie più effi-caci così potrai migliorare la qualità della tua vita e, contemporanea-mente, quella del malato.

I 16 suggerimenti che seguono ti possono aiutare a ridurre i BPSD:

• Abbi un atteggiamento gentile, premuroso, “caldo” nei riguardidel malato.

• Sii consapevole del fatto che è la malattia a causare i disturbi delcomportamento e non il malato; i comportamenti alterati non sonointenzionali o personali, sono il risultato della malattia.

• Sii paziente; non mettere fretta al malato.

• Sii flessibile, le cose non sempre devono per forza essere in undeterminato modo.

• Accetta il fatto che ci saranno cambiamenti.

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• Cerca di avere aspettative realistiche su quello che il malato puòfare.

• Sii paziente con alcuni “problemi” comportamentali, per esempio,le domande ripetitive.

• Mantieni il malato impegnato nelle attività di ogni giorno.

• Incoraggialo a sentirsi importante ed utile.

• Forniscigli possibilità di scelta, per esempio: “Preferisci un toast odelle uova per colazione?”, è meglio di “Cosa vorresti per colazio-ne?”, o di “È ora di colazione adesso”.

• Enfatizza gli aspetti positivi.

• Abbi cura anche dei tuoi bisogni; riconosci i tuoi limiti, chiedendoaiuto, prendendoti un po’ di riposo e facendo una sosta quandonecessario.

• Accetta l’aiuto di familiari e amici: ti possono aiutare nei compitiquotidiani ed anche con il solo ascolto.

• Manifesta i tuoi sentimenti e le tue sensazioni a qualcuno di cuihai fiducia.

• Sii creativo, cerca differenti soluzioni ai problemi che ti trovi agestire.

• Trai soddisfazione dal riconoscere che l’attività di assistenza chestai facendo è davvero importante”.

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Capitolo Sesto

spetti eticiA

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La diagnosi di malattia di Alzheimer (come anche delle altre formedi demenza) si accompagna a numerosi e difficili problemi di tipoetico che coinvolgono il paziente, i familiari, i medici e le personeaddette all’assistenza. Per molti dei problemi è difficile dare risposte definitive, perché fatto-ri legati ai valori, alla cultura, alla religione possono influenzare lescelte degli individui. Il rispetto della libertà e dell’autonomia dellapersona, la condivisione ed il dialogo tra paziente, familiari e operatoridovrebbe sempre essere alla base di qualsiasi decisione da prendere.

La comunicazione della diagnosi

Uno dei problemi più delicati è certamente quello della comunica-zione della diagnosi, su cui così si esprime un gruppo di esperti didiscipline diverse, di cui facevano parte anche la FederazioneAlzheimer Italia e la Associazione Italiana Malati di Alzheimer, inun “Documento di consenso sulla Malattia di Alzheimer” promossodalla Società Italiana di Neuroscienze: “Il paziente ha il diritto

“Un padre mise un mucchietto di fagioli sul tavolo. Ne tolsealcuni dal mucchio e spiegò così al figlioletto la malattia delnonno: il nonno ha una malattia che lo fa essere così. Non ècontagiosa, nessuno di noi diventerà come il nonno. È comeavere un braccio rotto: ci sono delle piccole parti del cervel-lo del nonno che sono rotte. E non guarirà più. Questa pic-cola parte del cervello del nonno è rotta, e così non si ricor-da cosa gli hai appena detto, quest’altra piccola parte èrotta, e così si dimentica come si usano le posate a tavola;questa piccola parte è rotta, e allora si arrabbia facilmente.Ma la parte che serve a voler bene, il nonno ce l’ha ancora”.

In Demenza e malattia di Alzheimer, di N.L. Macee P.V. Rabins

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Capitolo Sesto

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morale e legale di conoscere la sua diagnosi e la comunicazione aifamigliari dovrà essere preventivamente autorizzata da egli stesso.Tale diritto non può essere negato, nei limiti della praticabilità corre-lata con lo stadio di malattia del paziente, così come la richiesta dipreventiva autorizzazione del paziente alla comunicazione della dia-gnosi ai famigliari. Pur essendo una iniziativa non facile, il medico farà ogni sforzo, sem-pre nel rispetto della volontà del paziente, per comunicargli la dia-gnosi di malattia di Alzheimer. Lo informerà inoltre che la malattia –attualmente non guaribile – è suscettibile di cure e trattamenti chefaranno sì che molti sintomi possano essere controllati e che molti pro-blemi possano essere rimossi o attenuati. Nel comunicare al paziente che la malattia di Alzheimer è inguaribi-le, non dovrà mai essere omessa l’informazione che la condizione nonè incurabile e che alcuni suoi sintomi sono controllabili. La comunicazione della diagnosi permetterà inoltre di richiedere alpaziente il consenso informato alla sua partecipazione in iniziative diricerca sulla malattia di Alzheimer”.Del tutto recentemente l’Associazione Alzheimer Europe, che rag-gruppa 31 Associazioni nazionali, ha preso posizione su questo temacomplesso e controverso pubblicando la “Carta sulla comunica-zione della diagnosi”, che qui di seguito viene riportata così comerecentemente apparsa sul Notiziario della Federazione AlzheimerItalia n. 32 del I trimestre 2007:

1. Le persone affette da demenza hanno diritto ad essere informate sullaloro diagnosi.

2. L’informazione sulla diagnosi non deve essere rifiutata solo in base alfatto che la persona non è in grado di capirla.

3. Le persone affette da demenza hanno diritto ad essere informate anchesul loro stato di salute generale, prognosi, terapie disponibili ed even-tuali effetti collaterali, terapie non farmacologiche, servizi e provvidenzeeconomiche a cui possono accedere e a conoscere il nome del medicoche li prenderà in carico.

4. Le persone affette da demenza hanno diritto a ricevere sempre una rela-zione scritta.

5. Le persone affette da demenza hanno diritto ad avere un eventuale

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secondo incontro con il medico per ricevere ulteriori informazioni ochiarimenti, se necessario.

6. Le persone affette da demenza devono essere indirizzate all’associazio-ne Alzheimer nazionale o locale e informate sui servizi offerti dall’asso-ciazione.

7. Si deve studiare un metodo per tenere aggiornati i medici sulle associa-zioni Alzheimer, preferibilmente con la collaborazione di Istituzioni eassociazioni dei medici.

8. Si devono fornire le informazioni in modo che la persona affetta dademenza possa capire, facendo particolare attenzione alle sue difficoltàdi comprensione e comunicazione nonché al suo livello di istruzione,capacità di ragionamento e background culturale.

9. I medici devono essere aggiornati sulle nuove terapie e preparati acomunicare la diagnosi.

10. Il familiare della persona affetta da demenza deve essere informato, selo richiede, purché il malato sia d’accordo o non abbia richiesto, in pre-cedenza, di non comunicare ad altri la diagnosi.

11. Si deve rispettare il chiaro rifiuto della persona affetta da demenza dinon comunicare ad altri la diagnosi, indipendentemente dal suo gradodi incapacità, a meno che sia chiaro che ciò non sarebbe nel suo inte-resse.

12. La comunicazione, nei due casi precedenti, deve essere fatta per per-mettere al familiare di prendersi cura del malato in maniera efficace.

13. Le persone venute a conoscenza della diagnosi di una terza persona acausa della loro attività (sia volontaria sia pagata) devono trattarel’informazione con riservatezza.

14. I medici non devono comunicare la diagnosi a familiari o amici dellapersona affetta da demenza solo per non avere la responsabilità dellacomunicazione alla persona affetta da demenza.

15. I medici che non comunicano la diagnosi di demenza al paziente devo-no registrare questo fatto sulla cartella clinica insieme alla motivazione.

16. Le persone affette da demenza hanno diritto a richiedere di non essereinformate sulla loro diagnosi.

17. Le persone affette da demenza hanno diritto a scegliere chi debba esse-re informato per loro conto.

18. Le persone affette da demenza hanno diritto a richiedere un secondoparere medico.

19. Tutti i diritti elencati qui sopra dovrebbero essere riconosciuti da unalegge nazionale.

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Il rispetto delle scelte individuali

La diagnosi di malattia di Alzheimer non significa di per sé che la per-sona sia immediatamente incapace di prendere decisioni e di fare scel-te. Poiché la libertà di poter decidere degli aspetti della propria vita èuno degli elementi centrali che definisce la qualità di vita di ogni indi-viduo, andrebbero rispettate le sue residue abilità di decisione. Anche se con la progressione della malattia le decisioni dovrannosempre più coinvolgere altre persone (familiari, sostituti legali),nelle fasi iniziali il paziente può possedere ancora una sufficientecapacità decisionale in alcuni campi (ad esempio, le decisioni tera-peutiche o la partecipazione a sperimentazioni e ricerche).L’autonomia decisionale nel malato di Alzheimer va considerata perciòun concetto dinamico e valutata nelle varie fasi della malattia ed inrelazione al tipo di decisione da assumere. È necessario sottolineare(vedi pag. 54 comunicazione) che il malato utilizza varie strategie percomunicare la propria preferenza: talora è il comportamento, l’espres-sione facciale, la reazione emotiva che fanno capire quale è la decisio-ne preferita. Il malato va aiutato (ridurre il numero di opzioni, utilizzareconcetti semplici) e guidato (quasi “per mano”) nel processo di scelta. Ci possono essere casi in cui i desideri del paziente e quelli deifamiliari differiscono, ed anche questi ultimi talora sono in disaccor-do fra di loro. Occorre quindi che tutte le persone coinvolte, masoprattutto lo specialista ed il medico di famiglia si adoperino a chesi arrivi ad una decisione condivisa, attraverso una serena edapprofondita discussione dei rischi e dei benefici per il paziente. Sequesta non viene raggiunta, potrà essere necessario l’intervento diun terzo esterno, attraverso un processo di tutela. Tale percorso peròpuò richiedere del tempo ed anche un impegno economico.

La ricerca scientifica nei pazienti con demenza

La necessità di approfondire le conoscenze sulla demenza imponeche la ricerca continui con sempre maggiore impegno. Si pone così il problema del consenso da parte del paziente che, per

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essere tale, deve necessariamente prevedere la sua piena consapevo-lezza di ciò che gli viene richiesto, di fatto impossibile se la malat-tia si trova in una fase avanzata.Da qui la possibilità di condurre ricerche solo quando il malato sitrova nella fase lieve o moderata di malattia. Analoghe considerazioni valgono quando la ricerca si proponga divalutare l’efficacia di nuovi farmaci. Essendo oggi disponibili mole-cole attive anche se di efficacia limitata, esistono grossi dubbi di eti-cità sulla possibilità di confrontare il “nuovo farmaco” con un “nonfarmaco” (il cosiddetto placebo) ed in effetti i nuovi protocolli di stu-dio prevedono il confronto del farmaco in sperimentazione con unodi quelli già in commercio.

Le decisioni di fine vita

Numerosi ed angosciosi i dilemmi etici quando il paziente si trovinelle fasi finali della malattia: è giusto curarlo con gli antibiotici secompare una polmonite (in molti Paesi la risposta è no)? È giustosottoporlo a cure intensive? Quanto e come sostenerne le funzionivitali come applicazione di sondino nasogastrico o di una sondagastrica per via per cutanea (PEG), o inserirlo in un programma diventilazione assistita? Come stabilire quando è arrivato il momentodell’ “ultima flebo”, quando cioè ogni atto medico diventa accani-mento terapeutico, destinato unicamente a protrarre una inutile soffe-renza? L’atteggiamento dovrebbe essere quello di privilegiare la qualitàdella vita del paziente, più che non ostinarsi a prolungarne l’esisten-za a tutti i costi, facendo ricorso alle sole “cure palliative” (vedi boxa fondo pagina) ed evitando interventi “straordinari”, cioè quegliinterventi che sono sproporzionati tra le sofferenze anche psicologi-che da essi causate e risultati attesi; tra disagi provocati ed esigenzedi autonomia e dignità nei momenti terminali; tra costi economici erisultati raggiunti. Secondo la Legislazione italiana ed il Codice Deontologico dei medi-ci, in assenza di una specifica volontà del paziente da lui stesso

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dichiarata, le scelte terapeutiche dipendono dalla responsabilità edalla competenza del medico, indipendentemente dalle decisioni odai suggerimenti dei familiari, che devono tuttavia essere il più pos-sibile coinvolti ed informati. Altro è il caso dei pazienti di cui è statasancita legalmente l’incompetenza, in quanto sono assistiti da untutore o da un amministratore di sostegno che ha il potere di prende-re decisioni. Solo negli ultimi anni in Italia si è cominciato a parlare del cosiddet-to testamento biologico (living will), espressione utilizzata perindicare le volontà espresse da una persona in pieno possesso dellecapacità mentali, in merito ai trattamenti terapeutici che desidere-rebbe o meno ricevere nel caso in cui, per una malattia o un traumaimprovvisi, non fosse più in grado di manifestare la propria volontà.Ma la critica che più frequentemente viene rivolta al testamento bio-logico è che le decisioni del paziente non sono espresse nel momen-to in cui sono necessarie. Esistono diverse modalità di esprimere iltestamento biologico, alcune delle quali hanno ottenuto un ricono-scimento giuridico, specie nel mondo anglosassone. Attualmente èin corso un ampio dibattito su questo argomento anche in ambitopolitico e legislativo, ma a tutt’oggi ci sono solo disegni di legge indiscussione.

Con il termine “cure palliative” l’European Associationfor Palliative Care intende riferirsi alle cure attive e globa-li prestate al paziente quando la malattia non risponde piùalle terapie specifiche. Il controllo del dolore e degli altrisintomi, dei problemi psicologici, sociali e spirituali assu-me importanza primaria. Lo scopo non è quello di accelera-re o differire la morte, ma di preservare fino alla fine lamigliore qualità della vita possibile.

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Capitolo Settimo

spetti legaliA

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Lo stato di incapacità del malato di Alzheimer

Durante il corso della vita di una persona la legge presume che per-sista la piena e legale capacità di compiere contratti ed atti giuridici,di valutarne cioè la portata e le conseguenze economiche e persona-li. Ciò implica che non possono essere considerati validi e produttividegli effetti giuridici previsti dalla legge, quei comportamenti realiz-zati quando il soggetto non è in grado di rendersi conto, anche peruna causa transitoria (tipo l’ubriachezza), del valore etico-sociale edeconomico dell’atto che pone in essere.

Questa incapacità, di intendere e di volere, può divenire abituale ecostante a causa di un’infermità o di una disabilità come è per imalati di Alzheimer. Il lento ma inesorabile declino delle facoltàmentali del soggetto progressivamente lo rende incapace di provve-dere ai propri interessi economici, di compiere atti giuridici efficaci,sia complessi come la vendita di una casa, sia semplici come riscuo-tere la pensione, in quanto il malato dapprima non sa valutare laportata ed il significato della firma apposta e, nelle fasi più gravi,diventa del tutto incapace di firmare. In questo caso, essendo giuri-dicamente paragonato ad un minore di età degno di protezione, lalegge gli consente di far tutelare da altri i propri interessi, così comeun bambino è tutelato dai propri genitori.

Importante è pertanto che la famiglia, tra tutte le emergenze chedeve affrontare, non trascuri questo aspetto e si preoccupi di salva-guardare gli interessi patrimoniali, economici e giuridici del malato,

“Non è vero che questi malati non capiscono, fa comodo anoi pensarlo. Non sappiamo come e quando, certo lorocapiscono e soffrono...vedono se stessi naufragare...è terri-bile. Ed è terribile stare loro vicino”.

In Smarrirsi: la mente nel labirinto di Maria Sandias

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Capitolo Settimo

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adottando le opportune misure, magari facendo ricorso ad un consu-lente (avvocato, notaio). Attualmente i sistemi di tutela previsti dallanormativa italiana sono i seguenti:

• Interdizione• Amministrazione di sostegno• Procura.

InterdizioneNelle fasi iniziali della malattia, quando il malato conserva ancoramolte delle sue facoltà cognitive, la legge può intervenire per tute-larlo ed evitare che altri compiano atti per lui dannosi, con un siste-ma che consente di far annullare un singolo atto giuridico, se realiz-zato in modo da pregiudicarne gli interessi.

Nello stadio più avanzato della malattia si rende invece necessariala tutela più sistematica e generalizzata data dal procedimento diinterdizione, al termine del quale il giudice nomina un soggetto(tutore) che si sostituisce in tutto al malato e ne cura gli inte-ressi come se fossero i propri.

Tale procedimento è di grande rilevanza giuridica, in quanto la per-sona interdetta non potrà più compiere da solo alcun atto, anchebanale, inerente alla propria sfera patrimoniale o personale (comesposarsi), né potrà votare.

L’istanza per la interdizione può essere proposta dal coniuge, daiparenti entro il quarto grado o dagli affini entro il secondo grado;essa viene presentata tramite un avvocato al Tribunale del luogo diresidenza del malato e così inizia un procedimento, piuttosto lungo,durante il quale il giudice adotta una serie di verifiche, tra cui l’esa-me della persona da interdire, necessario per dimostrare che lainterdizione sia inevitabile. Se la persona da interdire è gravementemalata e non può recarsi in Tribunale, sarà il giudice a muoversiperché non si può prescindere dall’esame diretto delle condizionidel malato, non essendo considerate sufficienti le testimonianze o icertificati medici.

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Se il procedimento sarà accolto e quindi il malato dichiarato inter-detto, si rende pubblica la sentenza con la annotazione sul Registrodegli atti dello stato civile e su altri Registri di pubblica consulta-zione.

L’atto successivo da compiere è quello della nomina del tutore, cioèdi colui che, scelto dal giudice di solito tra i parenti più vicini, potràoperare in nome e per conto del malato. Il tutore compirà tutti gli attifornendone al giudice un rendiconto annuale. Inoltre, per porre inessere gli atti più rilevanti, come la vendita di un immobile, sirichiede una preventiva autorizzazione del giudice. Insieme al tutoreviene nominato un protutore che si sostituirà al tutore nel caso incui questi abbia un interesse personale in un certo rapporto giuridi-co o non possa più assolvere l’incarico.

Nelle intenzioni del legislatore l’interdizione è concepita come“estrema ratio” perché:• impedisce all’interdetto di compiere qualsiasi atto di rilevanza

giuridica, come sposarsi, riconoscere un figlio naturale, ottenereun lavoro, fare testamento o donazioni, stipulare qualsiasi con-tratto, anche banale;

• è un procedimento costoso e può essere lungo;

• comporta un eccesso di pubblicità della misura adottata.

Si tratta dunque di una misura “totalizzante” che può risultareeccessiva e per questo, dopo un lungo e difficile iter parlamentare,nel 2004 è stata istituita la figura dell’amministratore di sostegno.

L’amministrazione di sostegnoLa Legge 9 gennaio 2004 n. 6 ha istituito il cosiddetto amministra-tore di sostegno, figura, da tempo auspicata, destinata a tutelarecoloro che hanno, anche temporaneamente, una ridotta autonomia eversino in condizione di impossibilità di provvedere ai propri inte-ressi a causa di una menomazione fisica o psichica.

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In presenza di tali presupposti la legge ritiene utile supportare lalimitatezza di capacità del malato con il sostegno di colui che ilgiudice ritiene idoneo a tale compito, cioè a sostituirsi in tutto o inparte al malato nella attuazione di alcuni atti aventi validità giuri-dica.

La procedura che si deve seguire per la nomina dell’amministratoredi sostegno è più semplice di quella prevista per l’interdizione: sipresenta l’istanza al giudice tutelare del luogo di residenza del mala-to, ufficio cioè che ha più sedi sul territorio rispetto al tribunale ed ècomposto da un solo giudice e non da un collegio di tre magistrati;non necessita il patrocinio di un avvocato per la presentazione dell’i-stanza; richiede solo un minimo di attività istruttoria e la verifica daparte del giudice, anche con accertamenti medici, delle condizionifisiche del malato.

La pronuncia del giudice deve intervenire entro 60 giorni dalla pre-sentazione dell’istanza ed in essa dovrà indicare tutte le modalitàcon cui l’amministratore deve agire, la cautele da seguire nel porrein essere atti in nome e per conto dell’incapace, la periodicità concui deve rendere conto al giudice sull’attività svolta.

Rispetto al soggetto che viene interdetto, colui che si avvale di unamministratore di sostegno ha:- una capacità esclusa o ridotta solo per gli atti che il giudice spe-

cifica;

- un procedimento che non richiede la presenza di un legale, i cuitempi sono ridotti ed i costi praticamente inesistenti;

- una pubblicità del provvedimento che è limitata agli atti per cuiil giudice ritiene essenziale la presenza dall’amministratore.

La tutela offerta con l’amministratore di sostegno, proprio perchéparziale e non generalizzata, può risultare uno strumento efficace efacilmente adattabile a quelle realtà in cui il malato mantenga delle

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facoltà cognitive ancora vive. Quando si giunge alle fasi più avanzatedella malattia, la tutela presentata con l’istituto di recente introdu-zione non risulta però più utile poiché il malato necessita di unasostituzione completa e totale nella sua sfera giuridica e personale.A quel punto l’interdizione, pur concepita come estrema ratio, costi-tuirà una scelta inevitabile.

La procura come sistema alternativo non giudizialeLa procura è un altro meccanismo del nostro ordinamento in baseal quale un soggetto può sostituirsi in attività giuridicamente rile-vanti ad un altro che è il titolare delle azioni da compiere. Si trattadi un atto giuridico particolarmente significativo con cui un soggettoconferisce ad un altro tale potere con un atto pubblico compiutodavanti ad un notaio, quando ovviamente si rende conto del valoregiuridico dell’atto che sta ponendo in essere. In pratica un malato diAlzheimer potrebbe porre in essere questo atto solo quando la suamalattia è in fase iniziale, quando cioè è ancora in grado di esprime-re chiaramente la sua precisa volontà.

La procura può essere di due tipi: speciale, se è relativa alla sosti-tuzione del malato in un singolo affare, tipo una vendita; generale,se è relativa ad ogni tipo di attività futura che si potrà realizzare.

Nei confronti di una malattia, quale l’Alzheimer,

che per definizione è progressiva, è opportuno il rilascio

di una procura generale.

Per realizzare questa operazione deve sussistere estrema fiducia daparte del malato nei confronti del procuratore ed una buona armoniafamiliare al fine di evitare contrasti futuri nella gestione del suopatrimonio, visto che il procuratore non è sottoposto ad alcun con-trollo in tale attività, a differenza di quanto accade per il tutore ol’amministratore di sostegno.

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La responsabilità a carico di chi esercita l’assistenza

Coloro che assistono un malato incapace hanno una responsabilità ditipo civile, per cui nel caso in cui il malato stesso provochi un dannoa terzi , possono essere chiamati al risarcimento per non aver usatola massima diligenza nell’ottemperare all’obbligo di vigilanza.

Ben più delicato è il caso in cui colui che attua un’assistenza realizzicomportamenti che possono recare danni o lesioni al malato, ancheinconsapevolmente, poiché, in tal caso, la responsabilità che conse-gue è di tipo penale, cioè comporta una denuncia che può implicareuna condanna ad una sanzione pecuniaria e detentiva inflitta al ter-mine di un processo.

Possono verificarsi infatti eventi durante la cura di un malato cheimplicano la infrazione della legge penale e la commissione di reati,che possono essere così raggruppati:

• Il reato di abbandono del malato poiché si viola il dovere diassistenza o l’obbligo di custodia. Si realizza se la persona chesi ha l’obbligo di curare viene lasciata in balia di se stessa odi terzi che non siano in grado di provvedere adeguatamente,da ciò derivando un pericolo per la sua vita o la sua incolu-mità.

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È bene inoltre precisare che, mentre con l’interdizione il soggettoperde anche di fronte ai terzi la sua capacità e quindi se il malatodovesse da solo stipulare un atto, questo può considerarsi non pro-duttivo di effetti, con la procura il malato resta di fronte alla legge eai terzi giuridicamente capace e, pertanto, se dovesse compiere unatto giuridico da solo, questo conserva la sua validità, a meno chenon si dimostri, con apposita causa, lo stato di incapacità al momen-to in cui ha contratto l’atto stesso.

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Tutte queste ipotesi sommariamente descritte non esauriscono i casiche di fatto si potrebbero comunque verificare.

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(da un disegno originale di Nello Palloni)

Figura 3. La morte del paziente è avvenuta per intrappolamentodel corpo tra materasso e spondine

• Il reato di eccesso nell’uso dei mezzi di correzione o disci-plina (che vale anche per i mezzi di contenzione), se si fa unabuso di mezzi che sono considerati di per sé leciti. In praticala legge penale risulta violata se si usa un mezzo di contenzio-ne sapendo che si tratta di un abuso e che ne può derivare unamalattia, una lesione, un danno in chi lo subisce (Figura 3).

• Il reato di uso di violenza fisica o percosse tale da offende-re la integrità fisica e personale della vittima. Un comporta-mento penalmente rilevante può risultare anche nel caso incui si realizzi una coazione della volontà con l’uso di minacciao violenze non fisiche ma di ordine morale, o con l’uso disostanze che abbassano la razionalità e la volontà di chi subi-sce, tipo farmaci, droghe o alcol.

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La normativa a tutela del malato

Negli ultimi tempi sono intervenute delle leggi che hanno introdottoparticolari benefici a favore delle persone malate o handicappate.

• Legge 11/2/1980 n. 18: essa riconosce a coloro che si trovinoin situazione di invalidità, per minorazioni fisiche o psichichetali di richiedere un’assistenza continua, un contributo econo-mico di carattere forfettario per il rimborso delle spese conse-guenti a tale stato. Tale contributo mensile, detto indennitàdi accompagnamento, è esente da imposte ed è indipenden-te dal reddito del beneficiario e della sua famiglia. Lo stato diinvalidità, accertato da una particolare commissione medicaistituita presso la ASL, è variamente graduato e attribuiscebenefici diversi in relazione a tale percentuale: nei malati diAlzheimer la percentuale è solitamente quella massima, a cui

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Il già ricordato (vedi pag. 81) “Documento di consensosulla Malattia di Alzheimer” così si esprime in meritoall’uso dei mezzi di ontenzione nel paziente affetto dademenza: “Purtroppo nel corso della malattia si può rende-re necessario l’uso di mezzi di contenzione meccanici o far-macologici. Il loro utilizzo può essere consentito solo adeterminate condizioni, in particolare quando questi mezzicontribuiscono alla sicurezza del paziente e delle personeche hanno a che fare con lui e non sono una semplice con-venienza per lo staff coinvolto nella sua assistenza. I mezzidi contenzione meccanica devono essere applicati in mododa limitare il minimo necessario la libertà del paziente.Analogamente i mezzi farmacologici devono essere usaticon il più basso dosaggio possibile. Infine, l’uso di mezzi dicontenzione deve essere rivalutato periodicamente in modotale che il loro uso venga limitato al più breve tempo possi-bile”.

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consegue anche la corresponsione della indennità di accom-pagnamento. L’invalido che abbia ottenuto il riconoscimentodi una percentuale pari come minimo al 67% ha comunquediritto ad una serie di prestazioni, come l’esenzione dai ticketsanitari, ausili relativi alla propria patologia, preferenza nel-l’assegnazione di case popolari.

• Legge 5/2/1992 n. 104: essa prevede una serie di misure edagevolazioni per chi versi in una situazione di handicap ed avantaggio di chi presta assistenza a tale malato.L’agevolazione più significativa è data dalla possibilità perl’handicappato lavoratore o il familiare che lo assiste in viacontinua ed esclusiva, di fruire di tre giorni di permessoretribuiti al mese dal lavoro. Per colui che presta l’assi-stenza sussiste poi il diritto a scegliere la sede di lavoro piùvicina al domicilio della persona disabile, compatibilmentecon l’organizzazione del datore di lavoro e a non essere trasfe-rito senza il proprio consenso. La stessa legge 104/92 preve-de, inoltre, delle agevolazioni fiscali per spese mediche e diassistenza specifica necessaria, per gli oneri contributivi pre-videnziali ed assistenziali versati per il personale assunto perl’assistenza personale o familiare e per le spese sostenute perl’eliminazione di barriere architettoniche all’interno della abi-tazione o in spazi condominiali comuni. Sono inoltre ricono-sciute delle agevolazioni per l’acquisto di mezzi di tra-sporto destinati alle persone con indennità di accompagna-mento ed alla conseguente esenzione dal pagamento del bolloauto. Le persone invalide con capacità di deambulare sensi-bilmente ridotta possono ottenere il “contrassegno invalidi”che permette il parcheggio negli spazi riservati, a prescin-dere dalla titolarità della patente o dalla proprietà dell’auto.

• Esenzione ticket sanitari: si ha diritto all’esenzione dal paga-mento dei ticket non solo se già invalido civile in percentualeeguale o superiore al 67%, ma anche perché affetto, ai sensidel DM 28 maggio 1999, n. 329, da un malattia cronica ed

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invalidante. Tra le prestazioni esenti per le demenze e lamalattia di Alzheimer sono previste la tomografia assiale com-puterizzata (TAC) e la risonanza magnetica nucleare (RMN)per il solo caso di sospetto diagnostico specifico, clinicamentemotivato, esplicitamente documentato e limitatamente ad unaprestazione l’anno. Il diritto all’esenzione non è automaticoma è collegato al rilascio di un attestato da parte dell’ASL diresidenza, che richiede una certificazione da parte di strutturespecialistiche pubbliche o di Istituti di Ricerca a caratterepubblico.

• Assegno di cura: si tratta di un sostegno economico per i fami-liari o altri soggetti che con l’anziano intrattengono consolidatie verificabili rapporti di “cura”, anche se non legati da vincolifamiliari, che assicura ad anziani non autosufficienti l’assi-stenza continuativa nell’ambito del piano individuale di assi-stenza predisposto dall’Unità di Valutazione Geriatrica. InUmbria viene periodicamente indetto un bando e solo in talcaso è possibile presentare al Centro di Salute la relativadomanda, corredata da tutti i documenti e le certificazionirichieste.

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Capitolo Ottavo

a rete di servizi

L

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“Non bisogna lasciarsi affondare. Né lasciarsi contaminaredalla sventura. Ciò di cui l’uomo ha bisogno in certimomenti di sconforto non è di un altro grido di dolore, madi una voce più forte della sua che gli restituisca il corag-gio”.

In In nome dei miei di Martin Gray

Come già ricordato, nel nostro Paese è sulla famiglia che di fattoviene a ricadere la quasi totalità dell’impegno assistenziale al malatodi Alzheimer, con conseguenze spesso devastanti sull’equilibrio psi-cofisico dei suoi componenti.

Da qui l’attivazione in alcune regioni italiane di un “PianoAlzheimer” che prevede presenza di servizi e strutture in grado digarantire un’assistenza continuativa, capace di dare risposte adegua-te e tempestive alle molteplici, complesse e variabili esigenze deimalati ed aiuto alle loro famiglie.

Nella sua realizzazione il “piano Alzheimer” ha previsto servizi,centri clinici, strutture residenziali le cui caratteristiche sono quelledi seguito brevemente riportate.

L’assistenza domiciliare

È un servizio che garantisce al paziente che vive nel proprio domici-lio interventi sia di tipo sociale (a carico del Comune) che sanitario(a carico dell’ASL). Essa è attivata, dietro presentazione di richiestadel medico di medicina generale, da un apposito nucleo di valutazio-ne che individua gli interventi necessari e predispone per la lororealizzazione. Si parla di assistenza domiciliare integrata quandovengono a coesistere bisogni di tipo sanitario e sociale.

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Capitolo Ottavo

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Il centro diurno

Si tratta di un servizio territoriale di tipo semiresidenziale che sipropone di garantire supporto al malato attraverso l’offerta di presta-zioni a valenza socializzante e riabilitativa. Quelli attivati in Umbriaaccolgono per 8-9 ore al giorno, per almeno 5 giorni a settimanapazienti con malattia di grado moderato-grave purché non affetticontemporaneamente da patologie organiche scompensate. Il perso-nale è costituito da un medico (in genere un geriatra) e da assistentisociali, caposala, operatori di base, animatori, musicoterapeuti epersonale amministrativo. L’ammissione al servizio avviene dopopresentazione di una domanda su apposito modello da consegnarepresso il Centro di Salute di riferimento e successiva verifica effet-tuata dall’Unità valutativa specifica.

Il centro clinico esperto

Si identificano con le già ricordate Unità Valutative Alzheimer(UVA), individuate dalla Regioni a seguito dell’attivazione delProgetto Cronos (vedi pag. 16). Situate in ambito ospedaliero o terri-toriale esse hanno il compito di fare diagnosi di malattia, valutare ilpaziente, elaborare e prescrivere il piano di trattamento, controllarel’efficacia e la tollerabilità dei farmaci prescritti, in questo ruoloessendo anche importante punto di riferimento per i medici di medi-cina generale, per gli specialisti, nonché per le famiglie.

L’ospedale

Rappresenta la sede alla quale il malato deve ricorrere in presenzadi eventi acuti (polmoniti, fratture, infezioni generalizzate, emergen-ze chirurgiche, scompenso cardiaco, ecc.). È invece opinione diffusache non è l’ospedale il luogo di cura di questo paziente, ma il domi-cilio, le istituzioni residenziali, qualsiasi altro posto, ma non l’ospe-dale, non considerando invece che una quota non irrilevante di

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dementi, pari a circa il 16% nel nostro Paese, muore in ospedale eche, negli USA, circa il 25% di tutti gli anziani ospedalizzati soffre diuna demenza di Alzheimer o di altre forme di demenza. Si tratta fral’altro di cifre destinate a salire – lo afferma chiaramente il rapporto2007 dell’Associazione Americana Malattia di Alzheimer –, in ragio-ne del fatto che aumenteranno sempre più i pazienti con coesistentimalattie, per il trattamento delle quali l’ospedale resta e resterà sem-pre l’unico luogo di cura.

Eppure non c’è nulla di più esemplificativo che avere davanti agliocchi l’immagine della nudità di una anziano demente, che lo vedecostretto ad affidare a mani estranee le parti più intime del suocorpo, senza alcuna possibilità di difesa anche dagli sguardi, perrendersi conto di quanto l’ospedale di oggi sia lontano per struttura-zione degli spazi, organizzazione del lavoro, metodologia assistenzia-le, formazione del personale, in ultima analisi per cultura e “mis-sion”, dall’essere luogo di cura anche per la persona affetta dademenza. Per rendercene conto basta accostare a quell’immagine dinudità fragile ed indifesa, le abituali procedure gestionali ed assi-stenziali dei nostri ospedali, che vedono nella standardizzazione,scandita dalla rapidità delle risposte ai problemi clinici che lohanno condizionato al ricovero, trascurando i bisogni più profondidella persona in un sistema che ha come obiettivo primario quellodella razionalizzazione della spesa.

Day Hospital e Day Service

Si tratta di servizi che consentono di realizzare interventi diagnosti-ci e/o terapeutici di livello ospedaliero per caratteristiche e com-plessità, evitando da un lato l’ospedalizzazione e dall’altro il gravedisagio per il paziente e i familiari qualora le stesse prestazionidovessero essere effettuate in regime ambulatoriale o di degenzacontinuativa.

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Il nucleo Alzheimer

Si tratta di moduli organizzativi da 15/20 posti letto situati all’inter-no di strutture residenziali per anziani, progettati per accogliere tem-poraneamente (come per esempio è il cosiddetto “ricovero di sollie-vo”) o definitivamente, malati di Alzheimer o di altre forme didemenza non gestibili nel proprio domicilio.

Un modello paradigmatico di come dovrebbe essere concepita unastruttura residenziale destinata ad accogliere questi pazienti è quelloelaborato e sperimentato da Moyra Jones, terapista occupazionalecanadese: il cosiddetto “Gentlecare”, la cui traduzione letterarianella nostra lingua può essere “l’ assistenza rispettosa della personamalata”, con ciò a sottolineare che si tratta di un modello organizza-tivo che privilegia le esigenze del malato su quelle della struttura.

Ricordati che sei tu che lavori dove io vivo e non che io vivo dove tu lavori!

La metodologia del Gentlecare si basa sul principio secondo cui unafunzione persa può essere recuperata o neutralizzata ricorrendo aduna protesi: esempi paradigmatici sono l’applicazione di un arto arti-ficiale in un amputato; di una dentiera in un edentulo; di un amplifi-catore di suoni in un ipoacusico.

E in che cosa consiste la protesi per un paziente demente?Nel caso del paziente affetto da demenza, la cui funzione persa è lacapacità di interagire con l’ambiente in cui vive per problemi dimemoria, orientamento, riconoscimento di luoghi e cose, etc, l’inter-vento protesico consiste nel costruirgli intorno un ambiente di vita ingrado di sopperire alle sue incapacità.

Nella sua applicazione il metodo è stato in grado di ridurre i disturbidel comportamento del paziente, diminuire lo stress delle famiglie,aumentare il numero di malati in grado di ritornare al proprio domi-cilio.

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La metodologia del Gentlecare interviene a tre diversi livelli:

• lo spazio fisico, che deve avere le caratteristiche dell’ambientefamiliare, quindi non troppo tecnologico né tanto meno troppoospedaliero; che sia in grado di garantire comfort, sicurezza efacilità di identificazione e accesso dei diversi ambienti(camera da letto, bagno, ecc.)

• il personale di assistenza, che deve essere formato ad hoc ecostantemente allenato a sviluppare in modo appropriato l’at-teggiamento, il linguaggio, la professionalità, il rispetto, l’e-sperienza, la capacità di comunicare, osservare, analizzare erisolvere i problemi, anche quelli più impegnativi (come ades. gli stati di intensa agitazione psicomotoria);

• le attività della vita quotidiana, il cui principio non deveessere quello di inventare cose nuove, ma di impegnare ilpaziente in quelle attività che scandiscono i ritmi di una gior-nata normale: “primarie” (mangiare, lavarsi, vestirsi), “neces-sarie” (riposare, dormire, avere momenti di privacy), “essen-ziali” (muoversi, comunicare) e “significative” (dal lavoro algioco).

Il giardino Alzheimer

Si tratta di uno spazio all’aperto, realizzato in continuità con struttu-re residenziali o diurne, progettato in modo tale che al suo interno imalati possano muoversi liberamente (anche e soprattutto da soli), insicurezza per l’assenza di ostacoli fisici e psicologici (come ad esem-pio le improvvise zone d’ombra). Il giardino è caratterizzato da unpercorso principale chiuso ad anello, lungo il quale si trovano puntidi sosta attrezzati. Una ricca dotazione arborea di piante, erbe aro-matiche e fiori (attenzione che non siano velenose perché il malatopotrebbe mangiarle!) favorisce il rilassamento, nonché il benesserefisico e mentale. Percorsi appositamente studiati per l’esercizio

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motorio e le attività di gruppo possono contribuire al rafforzamentomuscolare, alla conservazione dell’equilibrio e ad un migliore riposonotturno.

In conclusione, su quale però sia la realtà attuale dei servizi per ilmalato di Alzheimer o di altre forme di demenza nel nostro Paese,non ci può essere miglior commento di quello che si legge nel rap-porto Censis su “I costi sociali ed economici della malattia diAlzheimer: cosa è cambiato?” presentato a Roma il 20 marzo 2007.

“Dal 1999, anno della prima indagine, sono miglioratiservizi come i Centri diurni e l’Assistenza Domiciliare, e nesono stati introdotti di nuovi come le Unità di ValutazioneAlzheimer e l’accesso gratuito a farmaci specifici; nono-stante questi positivi cambiamenti, l’assistenza rimaneancora limitata e permangono forti differenziazioni territo-riali. Uno dei cambiamenti più significativi riguarda ilricorso ad una badante straniera, nella maggior parte deicasi convivente; il sostegno apportato da queste figure èperò circoscritto ad un aiuto per i lavori domestici e ad unaffiancamento, non ad una sostituzione, dell’assistenteprincipale: il vero passo in avanti consisterebbe nella diffu-sione di una rete di servizi che rendesse più tollerabile e piùefficace il compito alla famiglia, senza sostituirla. Nelleaspettative di chi assiste, un sistema in grado di risponderealle esigenze dei pazienti dovrebbe prevedere: un aiuto eco-nomico e sgravi fiscali, il sistema della domiciliarità, ladisponibilità di un punto di riferimento unico per la dia-gnosi, la terapia e il supporto assistenziale dell’Unità diValutazione Alzheimer”.

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Capitolo Nono

e Associazionidei familiari

L

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“...Un gesto d’amore, anche il più piccolo, aiuta l’amore. Epensai alle mie amiche che credono di fare così poco per mee invece fanno tanto. Perché è con il loro amore che io rie-sco ancora a dare a lui un po’ d’amore, riesco ad assisterloe sostenerlo. L’amore è proprio un fluire che non si ferma,una corrente fortissima che si moltiplica e si arricchisce.Un gesto d’amore è culla e motore di un altro gesto, di unaltro sguardo”.

In Smarrirsi: la mente nel labirinto di Maria Sandias

I problemi che sconvolgono la famiglia del malato di Alzheimer sonomolteplici e mutevoli nel tempo, coinvolgendo sia la salute psichica,che quella fisica, sia l’attività relazionale e sociale che l’aspetto eco-nomico dei suoi componenti.

Per questo sono nate, nel tempo, diverse Associazioni di familiaricon l’obiettivo di:• rappresentare gli associati presso Autorità, Enti, altre Associa-

zioni, in sede legislativa ed amministrativa;

• essere interlocutore privilegiato per Enti pubblici e privati;

• coordinare l’azione degli associati nella promozione di iniziativesocio-culturali, di corsi di formazione, della divulgazione delleesperienze e di aggiornamento sullo stato di avanzamento delleconoscenze biomediche;

• organizzare gruppi di mutuo aiuto e sostegno ai familiari;

• organizzare attività a favore dei malati e delle famiglie (es. telefonoAlzheimer, attività diurne per i malati, assistenza a domicilio, ecc.);

• avvalersi della collaborazione delle diverse professionalità;

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Capitolo Nono

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• contribuire alla costruzione di banche dati (vedi ad esempio rap-porto Censis 2007);

• promuovere la discussione su temi bioetici (consenso informato,ricerche sull’uomo, decisioni di fine vita, ecc.);

• assegnare borse di studio e contributi di ricerca a singoli studiosio ad Istituzioni impegnate nello studio e nella ricerca sullamalattia di Alzheimer.

Quale conseguenza dell’impossibilità finora dimostrata dai varisistemi assistenziali istituzionali di dare risposte esaustive ai bisogniassistenziali di questo paziente, il cui impatto su chi è chiamato afarsene carico è spesso devastante, nel 1984 quattro grandi Paesi delmondo occidentale di lingua e cultura anglosassone Usa, Canada,Australia e Regno Unito costituiscono Alzheimer’s Disease Interna-tional (ADI), a cui fa seguito, nel 1991, la nascita di AlzheimerEurope.

Per quanto riguarda il nostro Paese, nel 1985 si costituiscel’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (A.I.M.A) e nel 1993 laFederazione Alzheimer Italia (F.A.I.), che si federa con AlzheimerEurope.

Nel 1997 viene fondata a Perugia, in affiliazione con la FederazioneAlzheimer Italia, l’Associazione Malati Alzheimer e TelefonoAlzheimer dell’Umbria (A.M.A.T.A. Umbria - vedi scheda tecnica),che ha come Centro Clinico di riferimento l’Istituto di Gerontologia eGeriatria dell’Università degli Studi di Perugia (vedi scheda tecnica).

Attualmente A.M.A.T.A. Umbria, che oltre a Perugia ha sede anchea Narni e Terni, fa parte di Alzheimer Uniti Onlus, una Associazionedi volontariato fondata a Roma nel 2006, alla quale aderiscononumerosissime associazioni a carattere regionale o locale del centrosud e delle isole.

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Capitolo Decimo

M.A.T.A.Umbria(scheda tecnica)

A.

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È una Associazione di familiari, operatori sanitari e sociali, volontarie persone comunque sensibili al problema, costituitasi il 5 settembre1997.

Perché è nataGli operatori dell’Istituto di Gerontologia e Geriatria dell’Universitàdegli Studi di Perugia, essendo sempre più coinvolti dal dramma edalla disperazione dei familiari dei pazienti con Alzheimer, perchélasciati spesso soli ad assistere un malato così impegnativo, hannodato il via alla nascita dell’Associazione Malati Alzheimer eTelefono Alzheimer dell’Umbria (A.M.A.T.A. Umbria) insieme adalcuni familiari e a persone sensibili al problema.

FinalitàDifendere i diritti dei malati Alzheimer e delle loro famiglie.

Linee principali di intervento- Formazione del personale di assistenza e cura.- Sensibilizzazione di tutta la comunità civile e stimolo alle isti-

tuzioni.- Sostegno ai familiari.

Associazione Malati Alzheimer e Telefono Alzheimer UmbriaSede Legale: Via Cortonese, 111 06124 Perugia;075/5011256

Affiliata a: Federazione Azheimer Italia e Alzheimer Uniti ONLUS

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Capitolo Decimo

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Iniziative ed attività

• Telefono Alzheimer (informazioni su malattia, trattamenti, ser-vizi; sostegno psicologico; consulenze mediche, legali e sociali).

• Corsi di formazione per operatori pubblici e privati (badanti)e volontari.

• Incontri periodici con i familiari.

• Amata Umbria Informa: bollettino quadrimestrale.

• Attività periodiche di musicoterapia, animazione, ginnasticadolce e riabilitazione cognitiva per i malati.

• Progetto pilota di assistenza domiciliare.

• Attività di musicoterapia per familiari.

Contatti

Telefono Alzheimer: - Perugia 075 5011256- Terni 0744 304799- Narni 0744 717017

Sito Web: www.amataumbria.itE-mail: [email protected]

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Capitolo Undicesimo

l centro clinico di riferimentodi A.M.A.T.A.Umbria(scheda tecnica)

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È il “Centro per lo studio dell’invecchiamento cerebrale edemenze nell’anziano”, attivo dall’ottobre del 1984 pressol’Istituto di Gerontologia e Geriatria dell’Università degliStudi di Perugia, a cui fa riferimento la S.C. Geriatradell’Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia.

Dal 16 settembre 2000 il Centro è sede dell’Unità ValutativaAlzheimer geriatrica (UVA) della stessa Azienda Ospedaliera. Dal 2001 è anche il Centro di coordinamento nazionale delle UVAgeriatriche consorziate nel Progetto Rete Geriatrica Alzheimer(Re.G.Al.) della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria.Attualmente il Centro dispone di una banca dati relativa ad oltre 5000pazienti delle varie regioni italiane.Dall’inizio della sua attività ad oggi presso il Centro sono stati valutatioltre 9000 soggetti, nel 35% dei quali è stata formulata la diagnosi dimalattia di Alzheimer ed oltre 350 sono i pazienti alzheimeriani (nonconsiderando quelli con altre forme di demenza) ad essere seguitiperiodicamente per valutare l’andamento della malattia, verificarel’efficacia delle cure e fare opera di sostegno alle famiglie.Intensa è l’attività di ricerca, sia di base che clinica, svolta in collabo-razione non solo con numerosi Centri nazionali ma anche esteri, siaeuropei (Dusseldorf, Parigi, Stoccolma) che statunitensi (Boston,Philadelphia). Di questa attività internazionale sono testimonianza lenumerose pubblicazioni edite a stampa sulle più prestigiose rivistedel settore, così come l’intensa attività pubblicistica sotto forma dilibri, monografie ed editoriali (vedi elenco), nonché la partecipazioneai gruppi multidisciplinari di esperti che ha prodotto il “Documento diconsenso sulla Malattia di Alzheimer” promosso dalla Società Italianadi Neuroscienze edito nel 1999 e le “Linee guida sulla terapia dellaMalattia di Alzheimer”, elaborato dalla Associazione Italiana diPsicogeriatria (AIP) pubblicato sulla rivista scientifica internazionale“Drugs and Aging” nel 2005.Il Professore Umberto Senin, che fin dall’inizio ha avuto il compito disovrintendere il Centro, è stato chiamato a far parte come esperto delgruppo di lavoro che ha elaborato, per conto della Commissione Unicadel Farmaco (CUF) dell’allora Ministero della Sanità, il Progetto Cronos.

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Capitolo Undicesimo

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Il Centro ha partecipato nel corso degli anni alla sperimentazione diquasi tutti i farmaci proposti per il trattamento della malattia diAlzheimer fin dall’era antecedente l’avvento degli anticolinesterasici.Attualmente il Centro sta portando avanti in collaborazione con altriCentri di eccellenza italiani, europei ed extraeuropei, studi sperimen-tali di efficacia di sostanze antiamiloide.Il Centro, oltre che promotore ed organizzatore di eventi scientifici acarattere internazionale, nazionale e regionale, è costantementeimpegnato a sostenere tutti i programmi di formazione promossi daA.M.A.T.A. Umbria.

Principali pubblicazioni

U. Senin, Paziente Anziano e Paziente Geriatrico. Fondamenti diGerontologia e Geriatria, Edises, Napoli, 1999.

U. Senin and Expert Panel Società Italiana di Neuroscienze.Documento di consenso sulla Malattia di Alzheimer, Il PensieroScientifico Editore, 1999.

A. Cherubini, P. Mecocci , U. Senin, Ipertensione arteriosa e fun-zioni cognitive nell’anziano, Edises, Napoli, 2000.

P. Mecocci, A. Cherubini, U. Senin, Invecchiamento cerebrale,declino cognitivo, demenza: un continuum?, Critical MedicinePublishing, Roma, 2002.

C. Caltagirone, A. Bianchetti, M. Di Luca, P. Mecocci, A.Padovani, E. Pirfo, P.L. Scapicchio, U. Senin, M. Trabucchi, M.Musico, Guidelines for the treatment of Alzheimer’s disease from theItalian Association of Psychogeriatrics. Drugs Aging 22 (Suppl. 1):1-26, 2005.

U. Senin, A. Cherubini, D. Maggio, P. Mecocci, Paziente Anziano,Paziente Geriatrico e Medicina della Complessità. Fondamenti diGerontologia e Geriatria, II Ed., Edises, Napoli, 2006.

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Letture consigliate

Alzheimer Europe, Alzheimer Italia: Manuale per prendersi curadel malato di Alzheimer, Grafiche Moretti, Milano, 1999.

G. Bigatello, La sottoveste sopra la gonna, Editrice Marna,Berzago, Lecco, 2000.

Caritas Italiana-Fondazione Emanuela Zancan, Gli ultimi dellafila. Rapporto 1997 sui bisogni dimenticati, Feltrinelli Editore,Milano, 1998.

CENSIS: La mente rubata – Bisogni e costi sociali della Malattia diAlzheimer, Edizione Franco Angeli, Milano, 1999.

CENSIS: I costi sociali ed economici della malattia di Alzheimer:cosa è cambiato?, Roma, 20 marzo 2007. www: censis.it

M. Dogliotti, E. Ferrario, F. Santanera, I malati di Alzheimer: esi-genze e diritti, UTET Libreria, Torino, 1994.

Fondazione Emanuela Zancan, Padova, Carta dei diritti deglianziani non autosufficienti”.

C.S. Henderson, N. Andrews, Visione parziale. Un diariodell’Alzheimer, Edizione Italiana a cura di Associazione GoffredoDe Banfield e Federazione Alzheimer Italia, Editoriale Lloyd,Trieste, 2002.

S. Lavallè, A. Thielen, Cara nonna, Edizione Italiana a cura diFederazione Alzheimer Italia, Grafiche Moretti, Milano, 2003.

A. Longo, P. Mecocci, U. Senin, Alzheimer: un aiuto per chi aiuta.Una guida per familiari ed operatori, Edizioni La Voce, Perugia,1997.

N.L. Mace, P.V. Rabins, Un giorno di 36 ore. Un libro per tutticoloro che dedicano 36 ore al giorno all’assistenza di persone consindrome dementigena, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma,1987.

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N.L. Mace, P.V. Rabins, Demenza e malattia di Alzheimer, CentroStudi, Erikson, Trento, 1996.

P. Mariotti, G. Masaraki, R. Rizzi, I diritti del malato, EdizioniGiuffrè, Milano, 1993.

P. Mecocci, U. Senin, Malattia di Alzheimer. Dalla parte del care-giver, Edifarm, Milano, 1999.

M.G. Mezzadri Cifano, Uno stato di grazia. L’Alzheimer con i tuoiocchi, Idea Studio, Milano, 2003.

M. Sandias, Smarrirsi. La mente nel labirinto, Armando Editore,Roma, 2005.

L. Scopelliti, M. Ghersetti, Alzheimer. La mente rubata, Libreria AlSegno Editrice, Pordenone, 1999.

S. Tamaro, Ascolta la mia voce, Rizzoli Editore, Milano, 2006.

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e attività per immagini

L

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Attività di A.M.A.T.A. Umbria

Attività di formazione

Attività di sensibilizzazione

Musicoterapia

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Attività motoria

Attività di animazione

Attività di A.M.A.T.A. Umbria

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La Scuola Geriatrica perugina

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Attività del Centro Clinico

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Attività del Centro Clinico

Laboratorio di ricerca

Laboratorio di psicometria

Laboratorio per la valutazione del rischio cadute e riabilitazione motoria

Laboratorio per la valutazione della disabilità

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Annalisa Longo

Nata a Perugia il 15 luglio 1960, è dirigente medico pressola S.C. di Geriatria, Azienda Ospedaliera di Perugia edocente presso la Scuola di Specializzazione in Geriatriadell’Università degli Studi di Perugia. Fin dalla laurea si dedica all’assistenza del malato anzianoed in particolare di quello affetto da demenza. Dal 1999 è presidente di A.M.A.T.A. Umbria.

Umberto Senin

Nato a Zara (Dalmazia) il 21 ottobre 1937, è professore ordi-nario di Gerontologia e Geriatria; direttore dell’Istituto diGerontologia e Geriatria e della Scuola di Specializzazione inGeriatria dell’Università degli Studi di Perugia. Già presidente della Società Italiana di Neurogeriatria e dellaSocietà Italiana di Gerontologia e Geriatria, è attualmentepresidente della Associazione Italiana di Psicogeriatria.

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Questo libro-guida

è dedicato ai malati,

alle famiglie

e a tutti coloro

che supportano

con generosità

ed impegno

A.M.A.T.A. Umbria

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settembre 2007