1. Le Amilodosipadis.uniroma1.it/bitstream/10805/1822/3/Tesi dottorato word... · AGel Gelsolina S...

67
1 1. Le Amilodosi 1.1. Definizione e Classificazione Le Amiloidosi sono un gruppo di patologie caratterizzate da un’alterata conformazione di proteine autologhe o loro frammenti, le quali aggregano in fibrille e si depositano a livello extracellulare in vari organi e tessuti dell’organismo. 1-4 Il termine amiloide fu coniato dal patologo Virchow, nel 1854, per descrivere i depositi, rilevati su tessuti autoptici, di una sostanza che erroneamente egli identificò con l’amido o la cellulosa, in base al colore assunto dopo colorazione con acido solforico e iodio. 2,3 In realtà, l’amiloide deriva dall’assemblarsi di precursori proteici anomali che assumono una struttura secondaria a foglietto β ripiegato e formano depositi fibrillari in associazione con altre sostanze di natura non proteica. A seconda della natura biochimica del precursore della proteina amiloide, le fibrille si possono depositare localmente o possono coinvolgere a livello sistemico virtualmente ogni organo. 2-4 Nel passato le Amiloidosi sono state classificate in due grandi gruppi, costituiti, appunto, dalle Amiloidosi sistemiche e dall’Amiloidosi localizzata; tali gruppi comprendevano, tuttavia, forme eterogenee dal punto di vista biochimico ed eziopatogenetico. Una migliore comprensione della complessità chimica delle fibrille di amiloide ha determinato, negli ultimi decenni, la necessità di adottare un sistema di nomenclatura chiaro e uniformemente riconosciuto, in cui la classificazione delle Amiloidosi si fondasse sulla natura biochimica delle proteine formanti le fibrille. 5 Le linee guida per la nomenclatura e la classificazione dell’amiloide e delle Amiloidosi sono state aggiornate nel 2010 da parte del Nomenclature Committee of the International Society of Amyloidosis. 5 Ad oggi, sono state identificati

Transcript of 1. Le Amilodosipadis.uniroma1.it/bitstream/10805/1822/3/Tesi dottorato word... · AGel Gelsolina S...

1

1. Le Amilodosi

1.1. Definizione e Classificazione

Le Amiloidosi sono un gruppo di patologie caratterizzate da un’alterata

conformazione di proteine autologhe o loro frammenti, le quali aggregano in

fibrille e si depositano a livello extracellulare in vari organi e tessuti

dell’organismo.1-4

Il termine amiloide fu coniato dal patologo Virchow, nel 1854, per descrivere i

depositi, rilevati su tessuti autoptici, di una sostanza che erroneamente egli

identificò con l’amido o la cellulosa, in base al colore assunto dopo colorazione

con acido solforico e iodio.2,3 In realtà, l’amiloide deriva dall’assemblarsi di

precursori proteici anomali che assumono una struttura secondaria a foglietto β

ripiegato e formano depositi fibrillari in associazione con altre sostanze di natura

non proteica. A seconda della natura biochimica del precursore della proteina

amiloide, le fibrille si possono depositare localmente o possono coinvolgere a

livello sistemico virtualmente ogni organo. 2-4

Nel passato le Amiloidosi sono state classificate in due grandi gruppi, costituiti,

appunto, dalle Amiloidosi sistemiche e dall’Amiloidosi localizzata; tali gruppi

comprendevano, tuttavia, forme eterogenee dal punto di vista biochimico ed

eziopatogenetico. Una migliore comprensione della complessità chimica delle

fibrille di amiloide ha determinato, negli ultimi decenni, la necessità di adottare

un sistema di nomenclatura chiaro e uniformemente riconosciuto, in cui la

classificazione delle Amiloidosi si fondasse sulla natura biochimica delle

proteine formanti le fibrille.5

Le linee guida per la nomenclatura e la classificazione dell’amiloide e delle

Amiloidosi sono state aggiornate nel 2010 da parte del Nomenclature Committee

of the International Society of Amyloidosis.5 Ad oggi, sono state identificati

2

almeno 27 tipi di Amiloidosi, sulla base delle diverse proteine in grado di

formare fibrille di amiloide in vivo (Tabella 1.1). In accordo con tale

classificazione, la proteina amiloide è designata con la lettera A maiuscola,

seguita da un suffisso che specifica la natura della sostanza proteica. Ad esempio,

la sigla AL indica l’Amiloidosi causata dalle catene leggere delle

immunoglobuline.

1.2. Struttura, biochimica ed eziopatogenesi dell’Amiloide

Al microscopio ottico, con colorazioni standard, l’amiloide appare come una

sostanza amorfa, eosinofila e ialina, a deposizione extracellulare. I depositi di

amiloide si colorano in rosa con l’ematossilina-eosina e mostrano metacromasia

con la colorazione al cristal-violetto. La colorazione rosso Congo conferisce una

caratteristica birifrangenza verde quando le sezioni colorate vengono osservate al

microscopio a luce polarizzata.2

Al microscopio elettronico, l’amiloide appare in gran parte formata da fibrille

sottili, rigide, non ramificate, di lunghezza indefinita e con un diametro

approssimativo di 7,5-10 nm. La cristallografia a raggi X e la spettroscopia

all’infrarosso dimostrano una conformazione caratteristica a β-foglietti incrociati.

Tale conformazione, indipendente dalla composizione chimica dell’amiloide, è

responsabile della particolare colorazione e birifrangenza alla colorazione rosso

Congo.6,7

Oltre alle proteine fibrillari (95%), nell’amiloide sono sempre presenti altri

componenti minori (5%), quali la componente P dell’amiloide, proteoglicani e

glicosaminoglicani ad alto grado di solfatazione. Queste sostanze di natura non

proteica sono probabilmente derivate dal tessuto connettivo in cui l’amiloide si è

depositata. Tutti i depositi di amiloide contengono un’identica componente non

3

fibrillare, la pentraxina o amiloide sierica P (serum amyloid P, SAP), una

glicoproteina che mostra omologia strutturale con la proteina C reattiva ed

elevata affinità per le fibrille di amiloide, facilitandone quindi la deposizione

tissutale.1,8

Tra le numerose forme biochimicamente distinte di proteine dell’amiloide,

alcune sono più comuni; i quadri patologici associati sono trattati di seguito.

4

Tabella 1.1

Proteina Amiloide Precursore

proteico

Forma sistemica (S)

o localizzata (L)

Sindrome o tessuto

coinvolto AL Catene leggere delle

immunoglobuline

S,L Primaria, associata a

Mieloma Multiplo AH Catene pesanti delle

immunoglobuline

S,L Primaria, associata a

Mieloma Multiplo

Aβ2M β2-microglobulina S

L?

Emodialisi cronica

Articolazioni ATTR Transtiretina S

L?

Sistemica senile,

familiare

Tenosinovite AA Amiloide sierica AA

(apoSAA)

S Secondaria, reattiva

AApoA-I Apolipoproteina AI S L

Familiare Aorta, menisco

AApoA-II Apolipoproteina AII S Familiare

AApoA-IV Apolipoproteina AIV S Sporadica,

invecchiamento AGel Gelsolina S Familiare (finlandese)

ALys Lisozima S Familiare

AFib Catena α del fibrinogeno

S Familiare

ACys Cistatina C S Familiare

ABri ABriPP S Demenza familiare

ALect2 Fattore chemiotattico leucociti 2

S Prevalentemente Rene

ADan ADanPP L Demenza familiare

(Danese) Aβ Precursore della

proteina Aβ (AβPP)

L Malattia di

Alzheimer,

invecchiamento AprP Proteina prionica L Encefalopatia

spongiforme

ACal (Pro)calcitonina L Tumori cellule C

tiroidee AIAPP Polipeptide amiloide

isole pancreatiche

L Isole di Langerhans,

insulinoma

AANF Fattore natriuretico atriale

L Atri cardiaci

Apro Prolattina L Invecchiamento

ipofisi, prolattinoma AIns Insulina L Iatrogena

AMed Lactaderina L Senile, aorta

AKer Cheratoepitelina L Cornea, familiare

ALac Lattoferrina L Cornea Aoaap Proteina odontogena

associata ad

ameloblasto

L Tumori odontogeni

ASemI Seminogelina I L Vescicole seminali

5

Amiloidosi AL

La forma più comune (incidenza di 8-10 casi per 1.000.000 di abitanti per anno)

di Amiloidosi sistemica riscontrata nella pratica clinica è l’Amiloidosi da catene

leggere (light chain amyloidosis o AL), denominata anche Amiloidosi idiopatica

primitiva o associata a Mieloma Multiplo.9-11 La proteina AL può essere

costituita da catene leggere immunoglobuliniche intere, dal loro frammento NH2-

terminale o da entrambi. La maggior parte delle proteine AL analizzate è

costituita da catene leggere di tipo λ (in particolare del tipo λVI) o dai loro

frammenti, ma in alcuni casi sono state identificate anche catene di tipo κ. Meno

del 20% dei pazienti con Amiloidosi AL ha un Mieloma Multiplo e i restanti

pazienti sono affetti da altre gammopatie monoclonali; viceversa, circa il 15-20%

dei pazienti affetti da Mieloma presenta anche Amiloidosi. Gli aspetti

fisiopatologici e clinici di tale patologia saranno approfonditi più avanti nel corso

di questa trattazione.

Amiloidosi AA

L’Amiloidosi AA (secondaria, reattiva o acquisita) si verifica più frequentemente

come complicanza di una malattia infiammatoria cronica.12 Nei Paesi occidentali

l’efficace trattamento delle patologie infiammatorie ne ha ridotto notevolmente

l’incidenza. Raramente l’amiloidosi AA si manifesta in alcuni gruppi di pazienti

con febbre mediterranea familiare (familial mediterranean fever, FMF) e febbre

irlandese familiare (familial hibernian fever, FHF). Durante l’infiammazione,

citochine pro infiammatorie come l’interleuchina (IL)1, la IL6 e il fattore di

necrosi tumorale (TNF), stimolano la sintesi epatica di amiloide sierica A (serum

amyloid associated, SSA), una proteina della fase acuta che fa parte di un

complesso lipoproteico ad alta densità (HDL3). L’amiloidosi AA mostra una

6

predilezione per la milza, il fegato, i reni, i surreni e i linfonodi; tuttavia, nessun

apparato viene risparmiato e l’interessamento vascolare può essere ampiamente

diffuso, anche se un coinvolgimento cardiaco clinicamente significativo è raro.

Amiloidosi eredofamiliari

Le amiloidosi eredofamiliari, diverse dalla forma AA associata a FMF e FHF,

coinvolgono primariamente il sistema nervoso centrale e la loro ereditarietà è

autosomica dominante. Le polineuropatie amiloidosiche familiari (familial

amyloid polineuropathies, FAP) colpiscono soprattutto famiglie portoghesi,

giapponesi, svedesi, finlandesi e greche.6,13 Le FAP differiscono per la

sintomatologia clinica e per la natura biochimica delle fibrille, che possono

contenere mutanti della transtiretina (TTR), dell’apolipoproteina AI, della

gelsolina, della cistatina C e, occasionalmente della catena α del fibrinogeno A o

del lisozima. La forma più comune di FAP è l’Amiloidosi ATTR, una neuropatia

periferica ed autonomica descritta per la prima volta in Portogallo. La

transtiretina, originariamente descritta come prealbumina, è una proteina che

trasporta nel sangue la tiroxina e la proteina legante il retinolo. Le forme mutate,

amiloidogeniche di TTR, differiscono dalla controparte normale per una singola

sostituzione aminoacidica e si depositano, oltre che al sistema nervoso periferico

e vegetativo, anche a livello cardiovascolare e renale.

7

Amiloidosi Aβ2M

In presenza di malattie renali che richiedano emodialisi a lungo termine, può

svilupparsi una forma di amiloidosi con serie complicanze ossee ed articolari.4

La β2microglobulina è presente ad alta concentrazione nel siero di pazienti

nefrologici perché non viene filtrata attraverso le membrane da dialisi. Nella

patogenesi dell’Amiloidosi Aβ2M sembra essere implicata la produzione di

prodotti finali della β2microglobulina fortemente glicosilati.2

Amiloidosi Aβ

La proteina amiloide β (Aβ) rappresenta il principale componente delle fibrille

nei depositi di amiloide dei vasi cerebrali e nel nucleo delle placche neuritiche

dei pazienti con malattia di Alzheimer. Essa deriva da una glicoproteina

transmembrana più grande, nota come proteina precursore dell’amiloide β

(amyloid β-precursor protein, AβPP). Forme familiari di malattia di Alzheimer si

associano a mutazioni di AβPP o a mutazioni di geni che codificano per le

proteine preseniline.2,4

8

2. L’ Amilodosi AL

2.1. Fisiopatologia

L’Amiloidosi a catene leggere delle immunoglobuline (AL) è una patologia

caratterizzata da una popolazione clonale di plasmacellule del midollo osseo che

produce catene leggere monoclonali di tipo κ o λ, come molecole intere o come

loro frammenti. Le catene leggere dei pazienti con Amiloidosi AL presentano

un’anomala sequenza aminoacidica e dunque un’anomala struttura terziaria che

favorisce la conformazione caratteristica a β-foglietti incrociati e la deposizione

tissutale.1,3,11 Sostituzioni atipiche a livello di residui aminoacidici critici possono

compromettere la stabilità delle catene leggere le quali, piuttosto che assumere la

normale configurazione ad α elica, vanno incontro ad un folding alterato (Figura

2.1).

Figura 2.1 Formazione delle fibrille di Amiloide (da Merlini et al. NEJM 2003)

9

I polipeptidi parzialmente o scorrettamente ripiegati possono generare molecole

modificate che tendono ad autoaggregarsi e che, in determinate condizioni

ambientali, danno origine ai protomeri fibrillari. Tali forme intermedie

aggregano tra loro rispettando il principio di minima energia libera del sistema,

originando, in presenza di sostanze tissutali di natura non proteica, i depositi di

amiloide. Oligomeri o protofibrille possono, inoltre, mediare tossicità cellulare

attraverso un meccanismo che attiva l'apoptosi cellulare nei tessuti bersaglio.1

Nella maggioranza dei pazienti affetti da Amiloidosi AL si riscontrano catene

leggere libere monoclonali e un clone di plasmacellule midollari di modeste

dimensioni, con una percentuale media di infiltrato plasmacellulare del 7%. I

livelli della proteina monoclonale e delle plasmacellule midollari non tendono ad

aumentare con il tempo, a differenza di quanto avviene nel Mieloma Multiplo

(MM). I tre quarti delle catene leggere amiloidogeniche sono di isotipo λ ed i due

geni Vλ, 6a e 3r, contribuiscono alla codificazione del 42% delle catene leggere

amiloidogeniche.14 Le catene leggere della famiglia λVI sono quasi

invariabilmente associate con amiloidosi.15 Caratteristiche peculiari delle catene

leggere amiloidogeniche sono, almeno in parte, responsabili del tropismo

d'organo dei depositi d'amiloide. In letteratura è stato osservato che pazienti con

cloni derivati dai geni VλVI 6a hanno un prevalente coinvolgimento renale,

mentre quelli con cloni derivati dai geni Vλ 1c, 2a2, e 3R presentano una

malattia multisistemica con interessamento cardiaco; pazienti con cloni Vκ

hanno, infine, più probabilità di avere un’amiloidosi a localizzazione epatica.16,17

Le ragioni per le quali l’Amiloidosi AL presenti questo tipico tropismo d’organo

rimangono, tuttavia, in gran parte sconosciute.

La popolazione clonale che dà origine all’Amiloidosi AL e quella del MM

differiscono per quanto riguarda l’espressione dei geni delle regioni variabili

delle catene leggere delle immunoglobuline, ma sono molto simili dal punto di

vista citogenetico. Le anomalie citogenetiche più comuni sono rappresentate

dalle aneuploidie, quali le trisomie dei cromosomi 7, 9, 11, 15 e 18, e dalle

10

traslocazioni del cromosoma 14 (gene delle catene pesanti delle

immunoglobuline).3,11

Figura 2.2 Sindromi e sintomi di presentazione dell’amiloidosi in due centri di riferimento. (A) Organo

prevalentemente coinvolto all’esordio. (B) Sintomi all’esordio. (da Dispenzieri et al. Biol Blood

Marrow Transplant 2008)

11

2.2. Manifestazioni cliniche

Lo spettro di presentazioni cliniche dell’Amiloidosi AL è ampio, perché si tratta

di una malattia sistemica che può colpire qualsiasi organo al di fuori del sistema

nervoso centrale.18,19 Come si evidenzia in uno studio del 2008 che unisce

l’esperienza clinica di due grossi centri di riferimento per l’amiloidosi, uno

italiano (Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche di Pavia),

l’altro statunitense (Divisione di Ematologia della Mayo Clinic, Minnesota), gli

organi più frequentemente coinvolti sono il rene e cuore, seguiti dal fegato e dal

sistema nervoso periferico (Figura 2.2 A). Il coinvolgimento polmonare,

linfonodale e muscolare è anche possibile, ma è meno comune e più difficile da

documentare. Le manifestazioni cliniche all’esordio sono aspecifiche e includono

sintomi quali l’astenia, la dispnea, l’edema, le parestesie, l’ipotensione

ortostatica e la perdita di peso (Figura 2.2 B). Quadri clinici altamente specifici

quali la porpora periorbitale, la “spalla imbottita” e la macroglossia sono

patognomonici, ma si riscontrano in una minoranza dei casi (dal 10% al 15% dei

pazienti all’esordio), risultando dunque inadeguati per effettuare una diagnosi

tempestiva. Le principali caratteristiche cliniche di 645 pazienti con Amiloidosi

AL riferiti al Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche di Pavia

sono riportate in tabella (Tabella 2.1).

I dati presentati dalla Mayo Clinic in 30 anni di attività clinico-scientifica nel

campo delle amiloidosi sono in linea con quanto osservato dal centro italiano e

mostrano una netta predominanza dell’Amiloidosi AL nella popolazione

maschile (67%) con un’età mediana alla diagnosi di 67 anni. Da rilevare che,

mentre nella popolazione italiana l’organo maggiormente interessato dalla

deposizione di amiloide AL è il rene (50%), nella popolazione statunitense

prevale il coinvolgimento cardiaco, il che comporta alcune differenze nei sintomi

d’esordio nei due gruppi di pazienti.

12

Tabella 2.1 Caratteristiche cliniche di 645 pazienti con amiloidosi AL (Centro per lo Studio e la Cura

delle Amiloidosi Sistemiche, IRCCS S. Matteo di Pavia)

*SNP=sistema nervoso periferico; °SNA=sistema nervoso autonomo.

Coinvolgimento renale

La sindrome nefrosica è la manifestazione precoce più importante. Negli stadi

iniziali può essere rilevata soltanto una lieve proteinuria, ma con il tempo si

sviluppa un caratteristico complesso sintomatologico con stato anasarcatico,

ipoprotidemia, proteinuria massiva e ipotensione. In gran parte dei pazienti la

proteinuria è pari o superiore a 150 mg nelle 24 ore. Di solito, il danno renale

non è reversibile ed evolve con progressiva iperazotemia fino all’exitus. Il tempo

medio intercorrente tra la diagnosi di sindrome nefrosica e l’indicazione al

trattamento dialitico è di 14 mesi; dall’inizio della dialisi la sopravvivenza

mediana è di 8 mesi. La morte sopraggiunge, generalmente, per complicanze

extrarenali, quali lo scompenso cardiaco e le aritmie, spesso dovute ad un

successivo interessamento cardiaco da amiloidosi AL.3,4,11

13

Coinvolgimento cardiaco

Nell’amiloidosi AL le manifestazioni cardiache sono rappresentate soprattutto da

insufficienza cardiaca congestizia, cardiomegalia e da varie aritmie. Tali

manifestazioni sono per lo più conseguenti all’amiloidosi miocardica diffusa;

tuttavia, possono essere coinvolti dalla deposizione di amiloide anche

l’endocardio, le valvole e il pericardio. All’esordio i pazienti spesso presentano

sintomi da disfunzione delle sezioni destre del cuore, quali la dispnea da sforzo,

l’epatopatia congestizia e gli edemi declivi; in questa fase, la funzionalità delle

sezioni sinistre è conservata, nonostante sia già visibile l’ispessimento

ventricolare. Con l’avanzare della malattia, le pareti cardiache si ispessiscono

notevolmente (spessore > 15mm), la compliance si riduce ed insorge una

cardiomiopatia restrittiva che può esitare in uno scompenso cardiaco franco.

Altre manifestazioni sono rappresentate dalla bradicardia e dalla sincope post-

minzionale, dai disturbi di conduzione e da altre aritmie; poiché la trombosi

atriale può verificarsi anche in corso di ritmo sinusale, l’insorgere di fibrillazione

atriale si associa con un alto rischio di trombo-embolismo.

Le anomalie elettrocardiografiche rilevabili includono un complesso QRS a

basso voltaggio, deviazione assiale sinistra con un pattern pseudoinfartuale e

alterazioni della conduzione atrioventricolare e intraventricolare, che spesso

danno luogo a blocchi di vario grado.

Lo strumento diagnostico più importante è l’ecocardiogramma, che mostra un

ispessimento asimmetrico della parete del ventricolo sinistro, con ipocinesia e

minore contrattilità in fase sistolica ed ispessimento del setto interventricolare e

della parete ventricolare posteriore in diastole; le cavità ventricolari sinistre,

invece, sono di dimensioni normali ed è possibile rilevare un quadro diffuso di

“granuli brillanti” iper-rifrangenti. 3,4,11

14

Coinvolgimento epatico

Il coinvolgimento epatico è piuttosto comune, ma le anomalie della funzionalità

epatica sono minime e si verificano solo in uno stadio avanzato della malattia.

Comune è l’epatomegalia, raramente associata ad ittero ed ipertensione portale.

L’interessamento del fegato si verifica più spesso in presenza di sindrome

nefrosica e di scompenso cardiaco congestizio. 3,4,11

Coinvolgimento gastrointestinale

Sintomi gastroenterici sono di comune riscontro in tutte le forme sistemiche di

amiloidosi; essi possono dipendere da un coinvolgimento diretto del tratto

gastrointestinale oppure dall’infiltrazione del sistema nervoso autonomo da parte

dell’amiloide. I sintomi sono rappresentati da ostruzione,

perforazione,ulcerazioni, emorragie, malassorbimento, perdite proteiche e

diarrea. L’infiltrazione della lingua, tipica dell’amiloidosi AL, può in taluni casi

condurre alla macroglossia. 3,4,11

Neuropatia periferica ed autonomica

In circa il 15-20% dei casi si riscontra neuropatia periferica. I pazienti

presentano, comunemente, una neuropatia sensitiva simmetrica ad andamento

disto-prossimale con disestesia che interessa dapprima gli arti inferiori e

successivamente può estendersi agli arti superiori. Anche la disfunzione

autonomica è di comune riscontro, determinando sintomi quali ipotensione

ortostatica, impotenza, disgeusia, nausea, costipazione o diarrea cronica. Un

quadro di ipotensione posturale importante, non associata a tachicardia, può

presentarsi in caso di disautonomia cardiaca, poiché il cuore non riesce a fornire

15

un’appropriata risposta di compenso all’abbassarsi della pressione arteriosa. 3,4,11

Coinvolgimento cutaneo

L’interessamento della cute è una delle manifestazioni più caratteristiche

dell’amiloidosi AL. Le lesioni sono costituite da papule o placche leggermente

rilevate, di aspetto cereo, che sono in genere raggruppate nel cavo ascellare o

inguinale, nella regione anale, sul volto, sul collo e su aree mucose come

l’orecchio e la lingua. Le ecchimosi periorbitali (“sindrome degli occhi neri” o

“sindrome del procione”) sono patognomoniche e si rilevano in circa un quinto

dei casi. 3,4

Coinvolgimento osteomuscolare

L’amiloide può coinvolgere direttamente le strutture articolari infiltrando la

membrana sinoviale, il liquido sinoviale o la cartilagine articolare. L’artrite

amiloidosica può simulare varie malattie reumatiche, in quanto si può presentare

come un’artrite simmetrica delle piccole articolazioni, con noduli, rigidità

mattutina e affaticamento. L’infiltrazione muscolare di amiloide può determinare

una pseudo miopatia; in particolare, l’infiltrazione della muscolatura della spalla

può causare la sindrome della “spalla imbottita”.3,4

Coinvolgimento respiratorio

Depositi di amiloide possono essere presenti a livello dei seni paranasali, della

laringe e della trachea, con ostacolo al flusso aereo. A livello polmonare,

l’amiloidosi coinvolge in modo diffuso i bronchi e i setti alveolari, potendo così

simulare una neoplasia.4,11

16

Coagulopatia

Le emorragie rappresentano una grave complicanza dell’amiloidosi. L’aumentata

tendenza al sanguinamento riconosce diverse cause: disfunzione piastrinica,

iperfibrinolisi con ipofibrinogenemia e deficit di fattori della coagulazione; in

particolare, ben riconosciuto è il deficit di fattore X. Ad ogni modo, la

manifestazione emorragica che più comunemente si osserva è rappresentata dalla

porpora, dovuta alla fragilità dei vasi ematici infiltrati di amiloide.4,11,20

17

2.3. Diagnosi Clinica e di Laboratorio

La diagnosi di Amiloidosi AL è particolarmente complessa in quanto, a fronte di

una presentazione clinica variabile e spesso subdola, non esistono tecniche di

imaging, né esami di laboratorio su campioni ematici ed urinari che siano

diagnostici per questa patologia.21 La diagnosi di Amiloidosi AL dovrebbe essere

sospettata in ogni paziente con sindrome nefrosica non diabetica, con ipertrofia

del ventricolo sinistro all'ecocardiografia, con epatomegalia associata ad aumento

degli indici di colestasi in assenza di alterazioni morfologiche all'ecografia o alla

TC, con polineuropatia, nonché quando si riscontri la presenza di una

gammopatia monoclonale in un paziente con inspiegabile astenia, edema, perdita

di peso o parestesie.22 Uno screening appropriato di un paziente con una sindrome

clinica compatibile con amiloidosi AL dovrebbe includere l’elettroforesi

sieroproteica, l’immunofissazione del siero e delle urine, la misurazione delle

catene leggere libere circolanti 23-25 come pure la dimostrazione di un eventuale

clone plasmacellulare amiloidogeno mediante esame citologico e/o istologico

midollare.

Se il paziente ha una sindrome clinica compatibile con l’amiloidosi e si riscontra

la presenza di una componente monoclonale sierica e/o urinaria

all’immunofissazione e/o un rapporto alterato alla determinazione delle catene

leggere libere circolanti, l’esame bioptico è comunque necessario per stabilire la

diagnosi.

2.3.1. Indagini di laboratorio

Le indagini di laboratorio mirano alla dimostrazione, tipizzazione e dosaggio

della componente monoclonale. Va considerato, tuttavia, che in patologie quali

l’Amiloidosi AL e la malattia da deposito di catene leggere (light chain

18

deposition disease, LCDD), il clone plasmacellulare è esiguo e basso è il titolo di

proteina monoclonale presente nel siero. Per tale motivo, l’elettroforesi

sieroproteica risulta negativa nel 5-20% dei pazienti con amiloidosi AL o

comunque può mostrare quadri diversi dal tipico spike monoclonale; di riscontro

piuttosto comune è il pattern nefrosico, con bassi livelli di albumina e γglobuline

e alti livelli di α2globuline.24 Nello screening di un paziente con sospetta

amiloidosi è indispensabile procedere all’immunofissazione sierica; essa

generalmente rivela la presenza di immunoglobuline policlonali nella frazione γ

e di una proteina monoclonale di piccola entità che migra in regione β/γ.

Tenendo conto che in circa il 25% dei pazienti non si rilevano catene leggere nel

siero mediante immunofissazione, è sempre necessario associare

l’immunofissazione urinaria. Mediante tale metodo, le catene leggere

monoclonali si riscontrano nel 90% dei pazienti; tale percentuale sale al 99% con

l’impiego dei test nefelometrici per le catene leggere libere del siero (serum Free

Light Chain, sFLC).11 Il dosaggio delle sFLC ha assunto una crescente

importanza nella pratica clinica: agli inizi del decennio scorso è stato introdotto

un nuovo metodo automatizzato che permette di quantificare le catene leggere

libere κ e λ (catene leggere non legate alle immunoglobuline complete) secrete

dalle plasmacellule. Esso prevede l’utilizzo di anticorpi diretti verso gli epitopi

nascosti delle sFLC, localizzati in corrispondenza dell’interfaccia tra le catene

leggere e quelle pesanti dell’immunoglobulina completa. Un rapporto κ/λ alterato

(range normale 0.26-1.65) alla determinazione delle catene leggere libere

circolanti indica l’eccesso di una catena rispetto all’altra e viene interpretato

come un indice di espansione clonale in base a test eseguiti su volontari sani,

pazienti affetti da mieloma multiplo, LCDD ed amiloidosi. 23

Tale metodica, oltre ad avere una maggiore sensibilità rispetto all’elettroforesi e

all’immunofissazione, permette una quantificazione delle catene leggere libere

circolanti; i risultati numerici correlano con la quota di sostanza amiloide

prodotta e sono predittivi della prognosi.26 Nel corso della malattia, inoltre, il

19

dosaggio delle sFLC rappresenta un valido strumento per il monitoraggio dei

pazienti: grazie alla breve emivita, esso risulta particolarmente rapido e utile

nella valutazione della risposta precoce al trattamento e nell’identificazione della

recidiva di malattia.24,27

Infine, in circa l'85% dei pazienti con amiloidosi AL, la biopsia osteomidollare

permette di rilevare una popolazione monoclonale di plasmacellule. A tal fine

sono utilizzati test di immunofluorescenza con antisieri anti CD138, anti κ ed

anti λ; contestualmente, la colorazione con Rosso Congo può mostrare eventuali

depositi di amiloide.

2.3.2. Diagnosi istologica

La diagnosi di amiloidosi viene posta esclusivamente mediante reperto bioptico

in cui si mettono in evidenza i depositi fibrillari che emettono la classica

birifrangenza verde mela all’osservazione in luce polarizzata dopo colorazione

con Rosso Congo. La biopsia dell'organo clinicamente coinvolto è generalmente

non necessaria. La biopsia renale, endomiocardica ed epatica sono costose,

invasive e gravate da un elevato rischio emorragico. L’indagine più utilizzata in

prima battuta è costituita dall’agoaspirato di grasso periombelicale, che ha

buona sensibilità (82%) e specificità (94%). Controindicazioni alla procedura

sono la presenza di importanti ernie ombelicali o diastasi dei retti addominali. Se

il grasso periombelicale è controindicato o non diagnostico, la presenza di un

quadro clinico suggestivo rende necessaria l’estensione dell’indagine bioptica ad

altri tessuti. La biopsia delle ghiandole salivari minori è un esame semplice,

sicuro e privo di controindicazioni; tale esame ha dimostrato una sensibilità del

58% in pazienti con amiloidosi sistemica e agoaspirato di grasso periombelicale

negativo. Se anche la biopsia delle ghiandole salivari minori è negativa e se il

sospetto diagnostico persiste, dopo aver considerato il rischio emorragico relativo

del paziente, è indicato procedere alla biopsia dell’organo coinvolto.7,29

20

Per il completamento della diagnosi è indispensabile, inoltre, la tipizzazione dei

depositi di amiloide: l'identificazione della proteina amiloidogenica evita una

diagnosi scorretta ed un trattamento inappropriato.28 La caratterizzazione

ultrastrutturale delle fibrille di amiloide può essere effettuata mediante

immunoistochimica in microscopia elettronica con l’impiego di anticorpi diretti

contro le diverse proteine amiloidogeniche oppure, in casi particolarmente

complessi, mediante tecniche di proteomica.29

Se la diagnosi di amiloidosi sistemica a catene leggere è confermata, dopo gli

esami bioptici la prognosi dovrebbe comunque essere valutata attraverso un

pannello di indagini che includa:

Immunofissazione sierica e urinaria

Dosaggio delle catene leggere libere circolanti

Proteinuria delle 24 ore

Dosaggio delle immunoglobuline

Emocromo, dosaggio della creatinina e della fosfatasi alcalina

Biopsia osteomidollare

Dosaggio dei marcatori cardiaci NT-proBNP (porzione N-terminale del pro-

peptide natriuretico di tipo B) e troponina (cTn) I o T.7

2.4. Prognosi

La prognosi dell’Amiloidosi AL è infausta, in particolar modo quando essa si

presenta a seguito di Mieloma Multiplo o in associazione con danno d’organo.

21

In pazienti con amiloidosi cardiaca sintomatica non trattati o non rispondenti, la

sopravvivenza mediana riportata dalle casistiche è di circa 6 mesi.10,30

Nell'Amiloidosi AL l'andamento clinico è in larga misura dipendente dalla

presenza e dall'entità del coinvolgimento cardiaco al momento della diagnosi.

La valutazione di tale coinvolgimento si è evoluta nel corso degli ultimi tre

decenni.7 Inizialmente, erano presi in considerazione parametri puramente di tipo

clinico, quali la presenza di insufficienza cardiaca, di cardiomegalia o di

versamento pleurico; successivamente la valutazione clinica è stata soppiantata

dall’ecocardiografia. Reperti come l’ispessimento parietale, la presenza di

granuli iperriflettenti, le anomalie del rilascio diastolico, la disfunzione

ventricolare destra, sono risultati tutti correlati alla prognosi dell’amiloidosi.

Negli ultimi cinque anni è stato messo in luce l'importante ruolo di nuovi

marcatori biochimici di danno cardiaco. Livelli elevati di troponine cardiache

sono correlati ad una cattiva prognosi nei pazienti con Amiloidosi AL, sia in

quelli che ricevono un trattamento convenzionale, sia in quelli elegibili per

ASCT.31 Il frammento N-terminale del peptide natriuretico di tipo B (NT-

proBNP) è un marcatore sensibile di disfunzione miocardica nell'amiloidosi AL

ed il più importante determinante prognostico.32 Il gruppo della Mayo Clinic ha

proposto un sistema di stadiazione per l'Amiloidosi AL basato proprio sulle

troponine cardiache sieriche e sul NT-proBNP, suddividendo i pazienti con

Amiloidosi AL in tre gruppi con prognosi radicalmente diversa.33 Utilizzando

come cut-off valori di troponina T di 0,035 mcg/L e valori di NTproBNP di 332

pg/mL, i pazienti sono stati classificati in tre gruppi: Stadio I, per valori bassi di

entrambi i biomarkers (33% di incidenza); Stadio III, per entrambi i valori elevati

(30% di incidenza), o stadio II, se solo un marker risulta elevato (37% di

incidenza). Le sopravvivenze mediane riportate sono di 26.4, 10.5 e 3.5 mesi,

rispettivamente, per gli stadi I, II e III.

La percentuale di plasmacellule nel midollo osseo, il livello delle catene leggere

libere alla diagnosi, il numero degli organi coinvolti ed i livelli sierici di acido

22

urico sono tutti parametri che condizionano la prognosi dell’Amiloidosi AL, ma

non sono stati integrati in un sistema di stadiazione come è avvenuto per i

biomarkers cardiaci.7,26,27

2.5. Terapia

Lo scopo della terapia nell'Amiloidosi AL è diminuire la sintesi del precursore

amiloidogenico mediante la soppressione del sottostante clone plasmacellulare.

I depositi di amiloide possono essere riassorbiti e la disfunzione d'organo può

regredire se si riduce rapidamente la concentrazione delle catene leggere

monoclonali circolanti. Gli schemi di terapia per l’Amiloidosi AL derivano da

quelli in uso nel Mieloma Multiplo (MM). Va tenuto presente, tuttavia, che i

pazienti con Amiloidosi AL, a differenza di quelli affetti da MM, non hanno

soltanto una neoplasia ematologica, ma presentano un danno funzionale di

diversi organi che li rende più fragili e quindi più esposti alla tossicità della

chemioterapia. Viceversa, nell’amiloidosi è necessario l’utilizzo di terapie che

possano portare rapidamente a un recupero della funzione degli organi

coinvolti.34

L'associazione di Melphalan e Prednisone (MP) per os, introdotta nel 1972, è

stata la terapia standard dell'Amiloidosi AL per molto tempo. Due importanti

studi di fase III hanno stabilito l'efficacia di questo approccio e ne hanno

dimostrato la superiorità rispetto al trattamento con colchicina.35,36 Sebbene il MP

sia un regime terapeutico efficace e ben tollerato, il lungo tempo necessario per

ottenere la risposta lo rende inadatto ai pazienti con malattia rapidamente

progressiva ed il suo utilizzo è attualmente riservato ai pazienti a cattiva

prognosi.

Sulla base degli studi di efficacia del Melphalan e perché studi multicentrici

23

avevano dimostrato elevati tassi di risposta ematologica e di risposta d’organo

nell’Amiloidosi AL trattata con il solo desametasone, è stato successivamente

adottato uno schema di combinazione Melphalan e Desametasone (MDex).

In uno studio del gruppo di Pavia condotto su pazienti non eleggibili a trapianto a

causa dello stato avanzato della malattia, è stato osservato che l'associazione di

desametasone e melphalan per os (MDex) induceva una risposta clonale nel 67%

dei pazienti, con il 33% di remissioni complete e miglioramento della

funzionalità d'organo nel 48% dei casi, a fronte di un tasso di mortalità del 4%

nei primi 100 giorni dopo MDex.37 A sei anni, si registravano tassi di

sopravvivenza di circa il 50%, con una progression free survival (PFS) del 40%.38

Due studi più recenti in cui si utilizzava lo stesso schema di trattamento, invece,

hanno mostrato sopravvivenze mediane inferiori a 18 mesi.39,40 In tali studi,

tuttavia, sono stati presi in considerazione soprattutto pazienti con malattia

avanzata e importante compromissione cardiaca, non rispondenti alla terapia e

deceduti in un breve intervallo di tempo. Le differenze rilevate sottolineano,

dunque, l’importanza di una stratificazione dei pazienti per stadio al momento

dell’interpretazione dei risultati. Concludendo, MDex è ancora considerato uno

standard terapeutico nei pazienti che non sono candidati a trapianto e a studi

clinici, grazie al basso profilo di tossicità, alla dimostrata capacità di indurre

risposte ematologiche anche in presenza di malattia avanzata ed alla disponibilità

di formulazioni orali per entrambi i farmaci.7

Il Melphalan ad alte dosi (200 mg/m2, MEL200) seguito da autotrapianto di

cellule staminali (ASCT) è stato considerato per diversi anni il trattamento più

efficace per l’Amiloidosi AL. Tuttavia, questa procedura è gravata da una più

elevata mortalità nell’Amiloidosi AL rispetto a quanto si osserva nel Mieloma

Multiplo, in particolare in pazienti con disfunzione cardiaca e coinvolgimento

multiorgano.41 Per ridurre la tossicità dell’autotrapianto è stato proposto di

adattare la posologia del Melphalan impiegata nel condizionamento in base alla

24

classe di rischio del paziente; l’autotrapianto con dosi ridotte di Melphalan (100-

140 mg/m2) si associa, tuttavia, ad una minore percentuale di risposta, senza

riduzione della mortalità legata alla procedura.42 I dati finora disponibili

sembrano indicare che, in pazienti a basso rischio, la terapia con MEL200 è in

grado di indurre la più alta percentuale di remissioni complete (circa il 40%), con

un tasso di mortalità che si attesta comunque al 5-10% nei centri di

riferimento.43,44

Nell’ultimo decennio, la disponibilità di nuovi farmaci ha notevolmente ampliato

l’armamentario terapeutico contro l'Amiloidosi AL. Il primo tra i nuovi agenti ad

essere testato in pazienti con Amiloidosi AL in recidiva, la Thalidomide, è

risultata poco efficace e mal tollerata a dosi elevate se utilizzata in monoterapia.

Essa ha però mostrato efficacia, a dosi intermedie e in associazione con

desametasone (TDex), con percentuali di risposta ematologica del 40%-50%. Si è

tuttavia confermata l’elevata incidenza di tossicità grave; in particolare, è stata

documentata bradicardia sintomatica nel 26% dei pazienti trattati.45 La

combinazione di ciclofosfamide per via orale con thalidomide e desametasone

(CTD) si è mostrata efficace in pazienti recidivati; inoltre, in una serie

retrospettiva di 122 pazienti di nuova diagnosi (48% con coinvolgimento

cardiaco) afferenti ad un singolo centro, sono stati registrati alti tassi di risposta

ematologica con il 74% di sopravvivenza a 3 anni.46 Le attuali raccomandazioni

suggeriscono di eseguire controlli mensili dell’ECG dinamico secondo Holter in

tutti i pazienti con Amiloidosi AL trattati con thalidomide.

La Lenalidomide è stata testata nel trattamento dell’Amiloidosi AL in

combinazione con desametasone (LDex), con un tasso di risposta ematologica del

41% e del 67% nei due studi pubblicati.47,48 Lenalidomide è stata combinata con

Melphalan e desametasone (Mel/LDex) in pazienti di nuova diagnosi; una

risposta ematologica è stata osservata nel 58% dei casi e una risposta completa

25

nel 42% dei casi.49 La combinazione di Lenalidomide con ciclofosfamide e

desametasone (RCD) è stata studiata in 35 pazienti: il tasso di risposta

ematologica era del 60%, e in coloro che ricevevano almeno quattro cicli, il tasso

di risposta era 87%. Come dimostrato in uno studio di dose-escalation di fase I-

II, la massima dose tollerata di lenalidomide in pazienti affetti da amiloidosi AL

è di 15 mg; gli effetti tossici includono citopenie, eruzioni cutanee, astenia e

crampi.49

La Pomalidomide è un derivato di thalidomide che mostra somiglianza strutturale

sia con thalidomide che con lenalidomide. L’associazione di Pomalidomide e

desametasone è stata testata in uno studio di 26 pazienti, in precedenza sottoposti

a terapia con agenti alchilanti ed ad ASCT. Di questi, 13 erano stati già trattati

con lenalidomide, 12 con thalidomide e 9 con bortezomib. Nei 19 pazienti

valutabili per la risposta ematologica è stato riscontrato un tasso di risposta del

35%.50 La terapia dei pazienti con amiloidosi AL con Pomalidomide in seconda

linea è attualmente autorizzata all’interno di sperimentazioni cliniche.

Per quanto riguarda, infine, il Bortezomib, uno studio condotto su 18 pazienti ha

dimostrato una risposta ematologica nel 77%, con il 16% di risposte complete.52

Uno studio di dose-escalation di fase I, in cui era espressamente escluso l'uso di

corticosteroidi ha confrontato due diverse schedule di somministrazione: (1) nei

giorni 1, 4, 8, e 11 ogni 21giorni o (2) nei giorni 1, 8, 15, e 22 ogni 35 giorni.

Risposte ematologiche sono state osservati nel 50% dei pazienti, con il 20% di

risposte complete. Il regime settimanale ha mostrato una minore neurotossicità.53

La combinazione di Bortezomib e desametasone (BDex) è stata usata dopo

ASCT per migliorare la risposta al trapianto.54 Diciassette su 23 pazienti hanno

ricevuto Bortezomib e desametasone post-trapianto, e il 74% ha raggiunto una

risposta completa, con una risposta d’organo nel 58% dei casi. In un altro studio,

la combinazione BDex è stata testata in 26 pazienti, 18 dei quali hanno ricevuto

26

questa terapia in prima linea. Il tasso di risposta è risultato complessivamente del

54%, con il 31% di risposte complete.55 Attualmente, sono in corso due studi

randomizzati di fase III, uno in Europa e uno negli Stati Uniti, che confrontano la

terapia standard MDex vs Melphalan e desametasone associato a Bortezomib

(BMDex) in pazienti con Amiloidosi AL di nuova diagnosi.56

2.5.1. Linee guida 2011-2012 per la terapia dell’amiloidosi AL sistemica della

Società italiana per l’Amiloidosi 56

Le Linee Guida 2011-2012 per la terapia dell’amiloidosi AL sistemica sono state

discusse e approvate dalla Società Italiana per l’Amiloidosi facente capo al

Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche della Fondazione

IRCCS Policlinico San Matteo e Università di Pavia. Si raccomanda, anzitutto, di

non iniziare la chemioterapia prima di essere giunti a individuare con certezza il

tipo di amiloidosi in causa e di avere ottenuto i parametri necessari per la

valutazione del rischio e per la definizione della risposta al trattamento,

mediante: caratterizzazione immunoistochimica in microscopia elettronica o

proteomica dei depositi di amiloide, quantificazione delle catene leggere libere

circolanti e quantificazione di NT-proBNP e cTnT (o cTnI).

Secondo le nuove Linee Guida, la scelta terapeutica si fonda sulla stratificazione

del rischio basata sui marcatori biochimici di disfunzione cardiaca;33 il sistema di

stadiazione della Mayo Clinic, tuttavia, è qui integrato con i parametri di

funzione renale ed epatica e tiene conto dell’età e delle condizioni generali dei

pazienti (Tabella 2.2).56,57

27

Tabella 2.2 Definizione del rischio secondo la Società italiana per l’Amiloidosi (DLCO= capacità di

diffusione polmonare per il monossido di carbonio, eGFR= velocità di filtrazione glomerulare stimata)

La valutazione della risposta alla terapia prevede misurazioni frequenti delle

catene leggere libere circolanti e dei marcatori biochimici di disfunzione cardiaca

(almeno ogni due cicli o tre mesi dopo autotrapianto di cellule staminali), come

previsto dai criteri di risposta ematologica e cardiaca dell’International Society of

Amyloidosis. Uno stretto controllo del clone plasmacellulare (principalmente

attraverso frequenti determinazioni della concentrazione delle catene leggere

libere circolanti) e della funzione d’organo, in particolare cardiaca, nel corso

della terapia e dopo il conseguimento della risposta, è indispensabile per

individuare tempestivamente i pazienti che non rispondono e quelli che

recidivano e intervenire modificando di conseguenza la strategia terapeutica.

Trattamento dei pazienti a basso rischio

Tenuto conto che le combinazioni di bortezomib e desametasone con gli agenti

alchilanti melphalan (BMDex) e ciclofosfamide (CyBorD) hanno mostrato, se

pure in piccoli studi, una percentuale di risposte complete paragonabile a quella

28

che si ottiene con il melphalan ad alte dosi e che lo schema CyBorD, non

impiegando il melphalan per os, ha il vantaggio di non precludere un’eventuale

futura mobilizzazione delle cellule, si propone di offrire ai pazienti a basso

rischio in primo luogo una terapia d’induzione secondo lo schema CyBorD,

seguita dall’ASCT con MEL200 in caso di mancato conseguimento della CR (o

della risposta d’organo). In caso un paziente a basso rischio rifiuti l’ipotesi del

futuro autotrapianto, dovrebbe essergli proposto l’arruolamento nella

sperimentazione clinica randomizzata di fase III BMDex vs. MDex.

Trattamento dei pazienti a rischio intermedio

I pazienti che non possono essere arruolati nello studio clinico randomizzato di

fase III BMDex vs. MDex, dovrebbero essere trattati con MDex, che rappresenta

la terapia standard nei soggetti con amiloidosi AL a rischio intermedio. Nel caso

in cui l’arruolamento non sia impedito da controindicazioni al bortezomib, si può

prendere in considerazione una terapia con CyBorD.

Trattamento dei pazienti ad alto rischio

I pazienti ad alto rischio possono essere trattati con schemi attenuati di BMDex

o MDex.

Trattamento dei pazienti in recidiva

Se possibile, nei pazienti che recidivano dopo tre mesi dalla fine del trattamento,

si raccomanda di ripetere la terapia di prima linea che ha indotto la risposta. Se

questo non è possibile, o se la recidiva avviene entro tre mesi dal termine della

terapia di prima linea, i pazienti in recidiva dovranno essere trattati come i

29

pazienti refrattari.

Trattamento dei pazienti refrattari

I pazienti refrattari dovrebbero essere trattati all’interno delle sperimentazioni

cliniche (terapia con pomalidomide e desametasone).

Nei pazienti che non possono essere inclusi nelle sperimentazioni cliniche, la

scelta della terapia dipende dal trattamento impiegato in prima linea e,

naturalmente, dalle condizioni di ogni singolo paziente che possono

rappresentare controindicazioni all’uso di farmaci particolari (Tabella 2.3).

Tabella 2.3 Indicazioni della Società di Ematologia per la scelta della terapia di seconda linea sulla base del trattamento praticato all’esordio

30

3. Diagnostica strumentale del coinvolgimento cardiaco

Da un punto di vista diagnostico, l'elettrocardiogramma tipico è caratterizzato da

una riduzione dei voltaggi del QRS sulle derivazioni periferiche ma soprattutto

sulle precordiali, così come anche da pseudonecrosi e ritardi di conduzione

atrioventricolari e intraventricolari. Tuttavia, esiste, e non va trascurata, la

possibilità di essere depistati da elettrocardiogrammi con voltaggi nella norma o

addirittura aumentati, presenti fino al 20% in una casistica di pazienti con

diagnosi bioptica di amiloidosi cardiaca. È però la lettura “integrata” ECG-eco il

vero strumento per elaborare il sospetto, soprattutto la corretta diagnosi

differenziale, fra cardiomiopatia ipertrofica e cardiomiopatia amiloidotica.

In caso di cardiomiopatia amiloidotica, all’ecocardiogramma si apprezza spesso

non solo l’aumento di spessore del setto interventricolare e delle pareti del

ventricolo sinistro, ma anche delle valvole atrioventricolari (>5 mm), del setto

interatriale, della parete libera del ventricolo destro. Sono estremamente

frequenti anche l’abnorme ecoriflettenza (“granular sparkling”) del miocardio

ventricolare e il versamento pericardico, generalmente lieve. Non sempre tutti

gli elementi coesistono in un singolo paziente, ma le diverse combinazioni

hanno un potere evocativo nei confronti dell’amiloidosi molto forte. Spesso si

possono cogliere altre due combinazioni molto caratteristiche ed evocative:

“ipertrofia concentrica” con lieve ipocinesia globale e normali volumi

ventricolari sinistri; volumi e frazione di eiezione del ventricolo sinistro del

tutto normali, ma ridotta velocità di ispessimento parietale.

Una caratteristica interessante è proprio legata alla velocità con cui si realizza

l'aumento degli spessori nel momento in cui iniziano a polimerizzare le subunità

monomeriche a livello tessutale, parametro che sembra avere un significato

prognostico in caso di amiloidosi primaria.

31

A fronte di un quadro ecocardiografico suggestivo di cardiomiopatia ipertrofica,

il riscontro di voltaggi del QRS anche solo normali (non necessariamente ridotti)

deve evocare la possibilità di infiltrazione amiloidotica.

Più recentemente, l’aggiunta alle metodiche standard dell’utilizzo della

risonanza magnetica cardiaca ha consentito, in base al sospetto ecocardiografico

- pur non garantendo ovviamente una caratterizzazione tessutale che spetta solo

alla biopsia - di indirizzare il clinico verso la diagnosi di amiloidosi.

Nella fattispecie, la presenza di "delayed enhancement" (o “late enhancement”)

a doppio binario a livello subendocardico e subepicardico e le caratteristiche di

rapido svuotamento di cavità e rallentato lavaggio di parete del gadolinio

suggeriscono fortemente la possibilità di un quadro di amiloidosi cardiaca;

inoltre, è frequentemente dimostrabile un ispessimento endocardico globale che

spesso indirizza la diagnosi correttamente.58,59

Studi di Vogelsberg e Thomson sul valore della risonanza magnetica con

gadolinio nell’amiloidosi cardiaca clinicamente sospetta hanno, infatti,

dimostrato la sua buona sensibilità e straordinaria specificità nell’evidenziare il

coinvolgimento cardiaco da malattia mediante determinati pattern

contrastografici, anche posta a confronto con il gold standard diagnostico

costituito dalla biopsia endomiocardica.

Nonostante i grandi progressi che hanno riguardato l’ecocardiografia, la

risonanza magnetica e le metodiche nucleari, occorre ricordare che il “gold

standard” diagnostico rimane la dimostrazione istologica dei depositi di

amiloide e che, quindi, le suddette metodiche rappresentano esclusivamente uno

strumento per la stadiazione e la definizione della prognosi.

32

4. Studio sperimentale

4.1 Scopo dello Studio

Scopo dello studio è stato quello di valutare le correlazioni esistenti fra

parametri ecocardiografici (SIV e FE), di risonanza magnetica cardiaca e

bioumorali (NT-proBNP, troponina I e sFLC) e la loro valenza diagnostica e

prognostica nei pazienti affetti da Amiloidosi AL.

Obiettivo secondario è stato quello di valutare il ruolo della risonanza magnetica

cardiaca nella stadiazione del coinvolgimento cardiaco all’esordio e la sua

eventuale capacità di offrire informazioni aggiuntive rispetto all’ecocardiografia

bidimensionale standard, utili anche dal punto di vista prognostico.

4.2 Pazienti e Metodi

4.2.1 Pazienti

Lo studio è stato eseguito su un gruppo di 10 pazienti, 8 maschi e 2 femmine,

affetti da Amiloidosi AL, di cui 7 primitive e 3 secondarie a patologia

linfoproliferativa (2 MM e 1 linfoma linfoplasmocitoide), afferiti presso la

U.O.S. Diagnosi e Cura delle Discrasie Plasmacellulari e delle Amiloidosi

dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma nel periodo compreso tra

Febbraio 2009 e Luglio 2011.

Tutti i pazienti sono stati sottoposti a procedura diagnostica istologica mediante

agoaspirato del grasso periombelicale sottocutaneo o biopsia della ghiandola

salivare minore: i campioni ottenuti sono stati osservati mediante microscopia

ottica in luce polarizzata dopo colorazione con rosso Congo e valutati per la

birifrangenza verde mela necessaria per la corretta diagnosi di amiloidosi. In due

33

casi è stato necessario eseguire la biopsia dell’organo maggiormente coinvolto,

rispettivamente stomaco e rene, entrambe senza complicanze.

La biopsia osteomidollare con colorazione rosso Congo è stata eseguita in tutti i

casi. Tutti i pazienti studiati hanno presentato una positività alla colorazione

rosso Congo dell’agoaspirato del grasso periombelicale sottocutaneo, della

ghiandola salivare minore o della biopsia d’organo.

Dopo essere stati sottoposti alle indagini utili alla tipizzazione della malattia e

alla stratificazione del rischio, i pazienti con amiloidosi sistemica sono stati

classificati in una specifica classe di rischio, secondo quanto previsto dalle linee

guida della Società italiana per l’Amiloidosi, al fine di identificarne prognosi e

trattamento di I linea (Tabella 4.2.1).

Per quanto riguarda i protocolli terapeutici utilizzati, 7 pazienti sono stati

sottoposti ad una sola linea terapeutica, 3 dei quali con agenti alchilanti in

monoterapia o in associazione a steroidi; 3 pazienti sono stati trattati con due

linee terapeutiche, in tutti i casi comprendenti steroidi e farmaci quali

bortezomib, ciclofosfamide o lenalidomide, in associazione o meno ad agenti

alchilanti; 1 paziente con forma secondaria a linfoma linfoplasmocitoide è stato

trattato con l’associazione di ciclofosfamide, desametasone e rituximab.

Pz Rischio Marker di rischio Terapia di I linea

1 Basso No MDV

2 Alto Troponina I e T MD

3 Intermedio Età MD

4 Intermedio Età MD

5 Alto Troponina I e T VD

6 Intermedio P.A. < 90 mmHg CyBorD

7 Alto Troponina I e T CyBorD

8 Basso No CyBorD

9 Intermedio Età CDR

10 Intermedio Età, eGFR < 50 ml/min MDV

Tabella 4.2.1. Stratificazione del rischio e terapia di I linea

34

4.2.2 Metodi

Alla diagnosi ed al termine della terapia di prima linea è stata effettuata una

valutazione cardiologica completa (visita cardiologica, valutazione della classe

NYHA, ECG, Ecocardiogramma, Risonanza Magnetica cardiaca, NTpro-BNP,

troponine cardiache, funzionalità renale) e monitorato il quadro ematologico

(free light chain k e λ sieriche, elettroforesi proteica, proteinuria di Bence Jones,

biopsia osteomidollare).

Mediante l’Ecocardiografia sono stati valutati i seguenti parametri:

- volumi delle camere cardiache;

- spessori della parete ventricolare sinistra determinata in modalità M-mode;

- spessore del setto interventricolare (valore in diastole < 12 mm);

- frazione di eiezione;

- Doppler pulsato del flusso e delle velocità transmitralica e polmonare;

- Onda E, onda A e rapporto E/A;

- Deceleration time;

- Tissue Doppler Imaging;

- infiltrazione dell’apparato valvolare;

- presenza di versamento pericardico;

- valutazione morfofunzionale delle camere destre.

Mediante la Risonanza Magnetica si sono andate a ricercare eventuali

alterazioni di segnale tipiche della patologia ed in particolare:

- ispessimento miocardico diffuso;

- ispessimento della parete libera del VD e del setto interatriale;

- ispessimento valvolare ed eventuale insufficienza valvolare;

35

- tardivo potenziamento subendocardico diffuso (“late enhancement”);

- accelerata cinetica del gadolinio nel sangue ed a livello miocardico;

- versamento pleurico e pericardico non ravvisabili all’ecocardiografia.

Dal punto di vista ematologico, l’andamento della patologia è stato valutato

principalmente mediante il dosaggio sierico delle free light chain (serum free

light chain k e λ - sFLC); hanno completato la valutazione lo studio proteico

sierico ed urinario mediante elettroforesi proteica ed immunofissazione, lo

studio delle urine delle 24 ore per la ricerca e quantificazione della proteinuria di

Bence-Jones ed, infine, la biopsia osteomidollare.

Lo studio proteico è stato eseguito mediante i seguenti test:

Elettroforesi proteica capillare sierica/urinaria

Sistema Capillarys Protein(E) 6 Sebia basato sul principio dell’elettroforesi

capillare in fase libera su campione di siero o urine in tampone alcalino a pH

specifico; le proteine sono rilevate direttamente per spettrofotometria di

assorbimento ad una lunghezza d’onda di 200nm.

v.n. Albumina 55.8-66.1%; Alfa-1 globuline 2.9-4.9%; Alfa-2 globuline 7.1-

11.8%; Beta-1 globuline 4.7-7.2%; Beta-2 globuline 3.2-6.5%; Gamma

globuline 11.1-18.8%.

Immunofissazione proteica sierica e urinaria

Sistema Hydragel Sebia destinato al rilevamento delle proteine monoclonali nel

siero e nelle urine mediante immunofissazione. Le proteine, separate mediante

36

elettroforesi su gel di agarosio tamponato in mezzo alcalino, sono incubate con

singoli antisieri rispettivamente specifici anti catene pesanti gamma (IgG), alfa

(IgA), e mu (IgM) ed anti catene leggere kappa e lambda (libere e legate).Gli

immunoprecipitati sono colorati con violetto acido o con amidoschwarz; gli

elettroforegrammi sono interpretati visivamente per valutare la presenza di

reazioni specifiche con le sospette proteine monoclonali.

Protidemia totale sierica

Test colorimetrico basato sulla reazione del biureto VITROS TP per la misura

quantitativa delle proteine totali nel siero e nel plasma.

v.n. 6.6-8.7 g/dL

Proteinuria delle 24 ore

Test colorimetrico VITROS UPRO per la misura quantitativa della

concentrazione delle proteine nell’urina.

v.n. 40-150 mg/24h

Proteinuria di Bence-Jones

Sistema Hydragel Bence Jones Sebia utilizzato per l’identificazione delle

proteine di Bence Jones, o catene leggere libere (kappa o lambda), nelle urine e

nel siero, mediante elettroforesi ed immunofissazione su gel d’agarosio

tamponato a pH alcalino (pH 9.1). Le proteine dei campioni vengono fatte

migrare ed immunofissate mediante antisieri con le seguenti specificità:

Antisiero Trivalente: anti catene pesanti gamma (IgG), alfa (IgA), e mu (IgM);

37

antisiero anti catene leggere, libere e legate, kappa; antisiero anti catene leggere,

libere e legate, lambda; antisiero anti catene leggere libere kappa; antisiero anti

catene leggere libere lambda. Dopo l’immunofissazione le proteine precipitate

sono colorate con violetto acido e l’eccesso di colorante è rimosso con una

soluzione acida.

Dosaggio sierico delle catene leggere libere circolanti (sFLC)

Sistema nefelometrico automatizzato Freelite kappa e lambda libere umane

Binding Site su analizzatore Radim Delta in grado di quantificare le catene

leggere libere k e λ (catene leggere non legate alle immunoglobuline complete)

secrete dalle plasmacellule. Un rapporto anormale k/λ libere indica l’eccesso di

una catena rispetto all’altra e viene interpretato come un indice di espansione

clonale in base a test eseguiti su volontari sani, pazienti affetti da mieloma

multiplo ed amiloidosi (Katzmann et al, Clinical Chemistry 2002).

Il livello normale di catene leggere libere k sieriche è 3.3-19.4 mg/L, mentre il

livello normale per le catene leggere λ sieriche è 5.7-26.3 mg/L. Il rapporto

normale k/λ libere è 0.26-1.65.

Il range normale di riferimento utilizzato con la metodica delle sFLC riflette un

livello più alto di catene leggere libere λ che non ci si aspetterebbe in base al

normale rapporto k/λ delle immunoglobuline complete che è pari a 3. Questa

differenza è dovuta al fatto che l’escrezione renale di catene leggere libere k

(che esistono normalmente in forma monomerica) è più veloce dell’escrezione

delle catene leggere libere λ (normalmente presenti in forma dimerica).

Pazienti con rapporto sFLC k/λ < 0.26 presentano una catena leggera libera λ

monoclonale, mentre quelli con rapporto > 1.65 una catena leggera libera k

monoclonale.

38

Alla luce di quanto riportato, appare chiaro come un importante contributo nella

difficile diagnosi di Amiloidosi AL possa giungere dal ricorso al dosaggio

sierico delle catene leggere libere delle immunoglobuline (serum free light chain

- sFLC) che offre i seguenti vantaggi:

• maggiore sensibilità e precisione rispetto all’elettroforesi ed immunofissazione

sierica;

• fornire un risultato numerico utile per il monitoraggio della malattia;

• comodità di un test eseguibile su siero;

• identificazione di pazienti che non hanno una componente monoclonale

ravvisabile con le comuni tecniche di laboratorio;

• marker più accurato di remissione completa/progressione della malattia

rispetto a quelli attualmente utilizzati;

• rapida valutazione della risposta al trattamento grazie alla breve emivita (2-6

ore);

• miglior valutazione dei pazienti sintomatici.

Il dosaggio delle sFLC è stato introdotto dal Gennaio 2008.

v.n. catene leggere libere k sieriche 3.3-19.4 mg/L;

catene leggere λ sieriche 5.7-26.3 mg/L;

ratio k/λ libere 0.26-1.65

Lo studio del danno cardiaco è stato eseguito mediante i seguenti test:

NT-proBNP II Elecsys (N-terminal pro-brain natriuretic peptide)

Test immunologico Cobas Roche per la determinazione quantitativa in vitro del

precursore del peptide natriuretico di tipo B N-terminale nel siero e nel plasma

39

umani (Immunoassay in elettrochemiluminescenza “ECLIA”).

v.n. Uomini < 50 aa: < 88 pg/mL; Donne < 50 aa: < 153 pg/mL;

Uomini > 50 aa: < 227 pg/mL; Donne > 50 aa: < 334 pg/mL.

Troponin I Elecsys

Test immunologico Cobas Roche per la determinazione quantitativa in vitro

della troponina I cardiaca nel siero e nel plasma umani (Immunoassay in

elettrochemiluminescenza “ECLIA”).

v.n. 0.00 – 0.06 ng/mL

Troponin T Elecsys

Test immunologico Cobas Roche per la determinazione quantitativa in vitro

della troponina T cardiaca nel siero e nel plasma umani (Immunoassay in

elettrochemiluminescenza “ECLIA”).

v.n. 0.00 – 0.10 ng/mL

La valutazione ecocardiografica è stata eseguita mediate ecocardiografo Esaote

My Lab 30 CV; la risonanza magnetica nucleare cardiaca è stata eseguita

mediante RMN GE Healthcare.

La valutazione dei campioni ottenuti mediante l’agoaspirato del grasso

periombelicale sottocutaneo o la biopsia delle ghiandole salivari minori per la

ricerca di sostanza amiloide è stato eseguito mediante colorazione rosso Congo

Highman e osservazione alla microscopia ottica a luce polarizzata, in grado di

evidenziare la classica birifrangenza verde mela in caso di riscontro positivo.

40

4.3 Valutazione della risposta alla terapia

La valutazione della risposta alla terapia, effettuata mediante misurazione dei

marcatori biochimici di disfunzione d’organo e delle sFLC, segue i nuovi

criteri proposti dall’International Society of Amyloidosis 2011.

La risposta alla terapia deve essere valutata almeno ogni due cicli (o tre mesi

dopo autotrapianto di cellule staminali).

L’obiettivo della terapia è il raggiungimento della risposta completa o almeno di

una risposta parziale associata a risposta d’organo.

Risposta ematologica

Risposta completa (CR): assenza di componenti monoclonali

all’immunofissazione di siero e urine e normale rapporto / delle catene leggere

libere circolanti.

Risposta parziale molto buona (VGPR): differenza tra la concentrazione delle

catene leggere libere circolanti amiloidogeniche e non amiloidogeniche (dFLC)

<40 mg/L.

Risposta parziale (PR): riduzione di dFLC >50%.

Tutti gli altri pazienti si considerano non responsivi.

41

Risposta d’organo

Rene

Riduzione 50% della proteinuria (che deve essere almeno 0.5 g/24h prima della

terapia) in assenza di comparsa o progressione di insufficienza renale (definita

come una riduzione della velocità di filtrazione stimata (eGFR) ≥25 mL/min ×

1.73 m2 e aumento della creatininemia di almeno 0.5 mg/dL).

Cuore

Riduzione di almeno due classi NYHA (in pazienti che sono in classe NYHA III

o IV prima dell’inizio della terapia), riduzione 30% e ≥300 ng/L del NT-

proBNP (in assenza di comparsa o progressione d’insufficienza renale definita

come una riduzione eGFR ≥25 mL/min × 1.73 m2 e aumento della creatininemia

di almeno 0.5 mg/dL).

Fegato (almeno un criterio deve essere soddisfatto)

Riduzione 2 cm delle dimensioni del fegato alla TC o all’ecografia addominale,

riduzione 50% della fosfatasi alcalina.

Il consenso degli esperti dell’International Society of Amyloidosis è che non ci

sono metodi validati per definire la risposta e la progressione

dell’interessamento del sistema nervoso periferico e di quello autonomo.

42

4.4 Analisi statistica

Le distribuzioni dei dati sono state verificate con il test di D'Agostino & Pearson

normality test. Le differenze tra i tempi t0 e t1 sono state valutate con il Paired t-

test oppure con il Wilcoxont-test a seconda della distribuzione dei dati.

Le correlazioni sono state calcolate con il test parametrico di Person.

Infine sono state analizzate le curve di sopravvivenza tra i tre gruppi

Progressione, Risposta d'organo e non risposta mediante il Log-rank (Mentel-

Cox). La significatività dei test è stata considerata p<0.05. Per l'analisi dei dati è

stato impiegato il software Graphpad 5.0.

4.5 Risultati

Il paziente 1 è stato trattato in I linea con MDV (Melfalan 0.22 mg/kg p.o. gg 1-

4, Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4, Bortezomib 1 mg/mq ev. gg 1,4, 8, 11

per un totale di 6 cicli ogni 28 gg) mostrando una risposta ematologica completa

(CR) ma un iniziale peggioramento della proteinuria nefrosica; tuttavia, la stessa

si è progressivamente e spontaneamente normalizzata nel corso del follow-up

giunto a 32 mesi.

Il paziente 2 è stato trattato in I linea con MDex (Melfalan 0.22 mg/kg p.o. gg

1-4, Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4 per un totale di 8 cicli ogni 28 gg)

mostrando una risposta ematologica parziale (PR) associata a risposta d’organo

con miglioramento del quadro cardiologico stabile al follow-up giunto a 36

mesi.

43

Il paziente 3 è stato trattato in I linea con Melfalan per os (Melfalan 0.18 mg/kg

per os gg 1-4 per un totale di 3 cicli ogni 28 gg) presentando un quadro di non

risposta al trattamento (NR) e conferma endoscopica della persistente

localizzazione gastrica; successivamente è stato trattato con terapia di II linea

con Bortezomib (1.3 mg/mq ev. gg 1, 8, 15, 22 per un totale di 6 cicli ogni 35

gg), quindi di III linea con Lenalidomide (15 mg/die per 21 gg ogni 28 gg per un

totale di 5 cicli) ed attualmente di IV linea con Ciclofosfamide per os senza

ottenere una risposta ematologica e d’organo, mantenendo a distanza di 36 mesi

dall’esordio clinico un quadro di malattia stabile. Da sottolineare, fin dalla

conclusione del trattamento di I linea, il progressivo incremento dei valori di

NT-proBNP fino a valori francamente patologici ( > 1500 pg/mL), in assenza,

tuttavia, di modificazioni ecocardiografiche. In considerazione della

localizzazione gastrica con anamnesi positiva per sanguinamento locale con

ematemesi ripetute e conseguente anemizzazione, l’utilizzo di steroidi non è

stato mai associato al trattamento principale.

Il paziente 4 è stato trattato in I linea con MD (Melfalan 0.18 mg/kg ridotto del

25% della D.T. per os gg 1-4, Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4 per un

totale di 3 cicli ogni 28 gg) presentando un quadro di non risposta al trattamento

(NR) associato a progressivo peggioramento della funzionalità renale fino al

trattamento emodialitico; successivamente è stato trattato con terapia di II linea

VD (Bortezomib 1 mg/mq ev. gg 1, 4, 8, 11 e Desametasone 20 mg/die ev gg 1,

4, 8, 11 per un totale di 4 cicli ogni 21 gg) senza ottenere risposta e, quindi, è

stato sottoposto a III linea con Lenalidomide (15 mg p.o. a gg alterni per un

totale di 2 cicli) mostrando progressione di malattia ed exitus a 2 anni

dall’esordio della patologia.

44

Il paziente 5 è stato sottoposto a terapia di I linea con VD (Bortezomib 1 mg/mq

ev. gg 1, 4, 8, 11 e Desametasone 20 mg/die ev gg 1, 4, 8, 11 per un totale di 4

cicli ogni 21 gg), mostrando una risposta ematologica parziale (PR) ma grave

progressione del danno d’organo cardiaco e renale fino al trattamento

emodialitico con exitus sopraggiunto a 6 mesi dall’esordio della patologia.

Il paziente 6 è stato trattato in I linea con CyBorD (Ciclofosfamide 300 mg/mq

per os gg 1, 8, 15 e 22, Bortezomib 1.3 mg/mq gg 1, 4, 8 e 11, Desametasone 20

mg per os gg 1, 8, 15 e 22 per un totale di 2 cicli ogni 28gg) presentando un

quadro di non risposta al trattamento (NR) associato a progressivo

peggioramento della funzionalità cardiaca; successivamente è stato trattato con

terapia di II linea RD (Lenalidomide 10 mg/die p.o. per 21 gg ogni 28 gg,

Desametasone 20 mg p.o. gg 1-4) interrotta durante il primo ciclo per exitus

dovuto ad arresto cardiaco giunto a 4 mesi dall’esordio della patologia.

Il paziente 7 è stato trattato in I linea con CyBorD (Ciclofosfamide 300 mg/mq

per os gg 1, 8, 15 e 22, Bortezomib 0.7 mg/mq gg 1, 8, 15 e 22, Desametasone

20 mg per os gg 1, 8, 15 e 22 per un totale di 3 cicli ogni 28gg) presentando un

quadro di risposta parziale molto buona al trattamento (VGPR), associato,

tuttavia, a progressivo peggioramento della funzionalità cardiaca fino all’exitus

giunto a 4 mesi dall’esordio della patologia.

Il paziente 8 è stato trattato in I linea con CyBorD (Ciclofosfamide 300 mg/mq

per os gg 1, 8, 15 e 22, Bortezomib 1.3 mg/mq gg 1, 4, 8 e 11, Desametasone 40

mg per os gg 1, 8, 15 e 22 per un totale di 3 cicli ogni 28gg) presentando un

quadro di risposta ematologica parziale (PR), associato, tuttavia, a progressivo

peggioramento della funzionalità cardiaca e renale; successivamente è stato

45

trattato con terapia di II linea MD (Melfalan 0.18 mg/kg per os gg 1-4,

Desametasone 20 mg/die per os gg 1-4 per un totale di 6 cicli ogni 28 gg)

mostrando una non risposta ematologica ed un’ulteriore progressione del danno

cardiaco e renale che hanno imposto un trattamento di III linea con RD

(Lenalidomide 25 mg p.o. per 21 gg ogni 28 gg, Desametasone 20 mg p.o./sett.

per un 1 ciclo) fino ad exitus per insufficienza cardiaca sopraggiunto a 10 mesi

dall’esordio della patologia.

Il paziente 9 è stato trattato in I linea con CDR (Ciclofosfamide 100 mg/mq p.o.

gg 1-5, Desametasone 20 mg ev g 1, Rituximab 375 mg/mq g 1 per un totale di

6 cicli ogni 21 giorni) mostrando una risposta parziale ematologica (PR)

associata a scomparsa della proteinuria stabile al follow-up giunto a 17 mesi.

Il paziente 10 è stato trattato in I linea con MDV (Melfalan 0.18 mg/kg ridotto

del 25% della D.T. per os gg 1-4, Desametasone 20 mg p.o. gg 1-4, Bortezomib

1 mg/mq ev. gg 1,4, 8, 11 per un totale di 8 cicli ogni 28 gg) mostrando una

risposta parziale molto buona al trattamento (VGPR), associata al progressivo

miglioramento della funzionalità cardiaca e renale fino a totale normalizzazione

nel corso del follow-up giunto a 14 mesi dalla fine della terapia.

L’età media dei pazienti era pari a 57.1 anni (range 43-75).

La presentazione clinica era varia; in taluni casi il quadro clinico era dominato

da sintomi aspecifici, quali il calo ponderale, l’astenia e la dispnea. In altri casi, i

pazienti presentavano segni e sintomi legati alla compromissione cardiaca e/o

renale, quali ipertensione o ipotensione, edemi declivi, oliguria. Le

caratteristiche cliniche dei singoli pazienti sono riassunte in tabella 5.1.

La diagnosi istologica di Amiloidosi AL è stata posta in 9 casi su biopsia delle

46

ghiandole salivari minori; in un caso con grave sindrome nefrosica è stato

necessario ricorrere alla biopsia renale; il paziente non ha riportato complicanze

peri- e post-procedurali.

Dei 10 pazienti studiati, 8 erano affetti da Amiloidosi AL di tipo λ e 2 da

Amiloidosi AL di tipo k; alla diagnosi 6 presentavano coinvolgimento cardiaco

e renale, 3 esclusivamente cardiaco ed 1 esclusivamente renale; 3 presentavano

insufficienza renale (30%) e 3 sindrome nefrosica (30%), 2 hanno necessitato

del trattamento dialitico; il valore medio di creatininemia era di 1.39 mg/dL

(range 0.8-2.9 mg/dL); la proteinuria media delle 24 ore era di 3.7 g/24h (range

180 mg-17.6 g/24h, 3 pz <1g/24h) (tabella 5.2); la plasmocitosi midollare era in

tutti i casi primitivi inferiore al 15% della cellularità totale, mentre nelle forme

secondarie era compresa tra il 50 e 60%.

Il paziente con forma secondaria a linfoma a basso grado presentava una

percentuale midollare di linfociti maturi del 60% (tabella 5.3).

L’immunofissazione sierica ed urinaria evidenziavano la presenza di una

componente monoclonale in tutti i 10 casi.

Indici di funzionalità epatica e di colestasi alterati sono stati riscontrati in due

pazienti, che hanno mostrato caratteristico aumento delle dimensioni del fegato

all’esame ecografico.

Lo studio ecocardiografico del sistema cardiovascolare ha evidenziato

alterazioni di cinesi e spessore del setto interventricolare (SIV) in 8 casi; nei

restanti due casi non sono stati riscontrati segni ecocardiografici di

compromissione cardiaca, né rialzo di NT-proBNP e troponine (tabella 5.4).

In accordo con quanto dimostrato dall’indagine ecocardiografica e dai marcatori

cardiaci, lo studio di imaging eseguito mediante cardioRMN è risultato

patologico in 6 casi: in 4 pazienti è stata dimostrata ipertrofia miocardica diffusa

associata ad un pattern contrastografico di lento riempimento subendocardico

47

(“late enhancement”), in un caso è stata dimostrata esclusivamente ipertrofia

miocardica diffusa ed in un altro caso esclusivamente un quadro di “late

enhancement”. In 2 casi non è stato possibile eseguire l’esame per insufficienza

renale (pazienti 4 e 10).

Pz Sesso Età Primitiva/secondaria Organi convolti Sintomi/segni d'esordio

1 F 60 AL lambda Rene + Cuore Astenia, edemi declivi

2 M 71 AL lambda Cuore Astenia, dispnea

3 M 75 AL lambda Stomaco Astenia, melena, calo ponderale

4 M 75 AL lambda Rene + Cuore Astenia, dispnea, edemi declivi

5 M 43 AL lambda Cuore + Rene Astenia, dispnea, oliguria

6 M 46 AL lambda Cuore + Rene Astenia, dispnea, ipotensione

7 M 61 AL lambda Cuore Astenia

8 M 59 AL lambda sec. MM Rene + Cuore Astenia, ipotensione

9 F 71 AL k sec. LNH Rene Dispnea, edemi declivi

10 M 71 AL k sec. MM Cuore + Rene Astenia, edemi declivi

Pz Proteinuria (mg/24h) Cr (mg/dL)

1 3600 0,87

2 370 1,2

3 180 1,1

4 17600 2,9

5 2700 1,7

6 2700 0,9

7 180 1

8 1600 1,2

9 1760 0,8

10 6500 2,3

Tabella 5.2. Compromissione renale all’esordio

Tabella 5.1. Caratteristiche dei pazienti arruolati

arruolatiarruolati

48

Pz CM (g/dL) sFLC k - L (mg/L); ratio PL%

1 0,7 k 28,7 - L 139 ; 0,2 11

2 1,42 k 22,9 - L 1800 ; 0,01 14

3 1,6 k 7 - L 283 ; 0,02 1

4 0,34 k 7 - L 90 ; 0,07 4

5 0,3 k 48 - L 565 ; 0,08 10

6 0,86 k 8,9 - L 265 ; 0,03 2

7 ipo-g k 4,23 - L 466 ; 0,009 10

8 2,64 k 4,11 - L 2850 ; 0,001 50

9 0,6 k 3700 - L 3,36 ; 1101 60

10 2,19 k 15700 - L 4,31 ; 3651 60 (linfociti)

Tabella 5.3. Componente monoclonale sierica (CM), catene leggere

libere monoclonali sieriche (sFLC) e plasmocitosi midollare all’esordio

Pz SIV (mm) FE (%) CardioRMN NT-proBNP Trop. I Trop. T

1 9 65 late enhancement 2524 0,02 n.e.

2 17 45 ipertrofia + late enhancement 2516 0,11 0,09

3 14 65 neg. 369 0,02 0,01

4 15 50 n.e. 2081 0,03 0,01

5 22 40 ipertrofia + late enhancement 15256 0,44 0,29

6 20 48 ipertrofia + late enhancement 9356 0,07 0,04

7 20 50 ipertrofia + late enhancement 6325 0,22 0,12

8 16 60 ipertrofia 851 0,06 0,047

9 8 60 neg. 254 0,01 0,01

10 21 60 n.e. 23637 0,04 0,01

Tabella 5.4. Valutazione cardiologica strumentale e biochimica all’esordio

49

Il follow up medio dei pazienti osservati è stato di 16.2 mesi (range 1-36).

La sopravvivenza globale è stata del 50% (5/10 pazienti, v. figura 5.5).

La durata media di risposta al trattamento è stata di 10 mesi (range 1-36).

Non sono stati riscontrati effetti collaterali e/o complicanze di rilievo durante il

trattamento chemioterapico di I linea.

Figura 5.5. Correlazione tra sopravvivenza e risposta al trattamento

50

Considerando globalmente le risposte ottenute, 7 pazienti su 10 hanno mostrato

una risposta ematologica al trattamento di prima linea (1 CR, 2 VGPR, 4 PR): 4

hanno ottenuto una contestuale risposta d’organo duratura nel tempo (1 CR, 1

VGPR, 2 PR), mentre in 3 casi si è verificato il decesso per grave progressione

del danno d’organo, principalmente cardiaco, in un tempo compreso tra 1 e 6

mesi dopo il termine della terapia, nonostante l’ottenimento della risposta

ematologica (2 PR, 1 VGPR) (tabella 5.6).

Le risposte d’organo osservate sono state ottenute sia in caso di coinvolgimento

multiorgano (cuore e reni), sia in caso di danno esclusivamente cardiaco o

renale: in tutti i casi di interessamento cardiaco il valore dell’NT-proBNP si è

ridotto di oltre il 75% rispetto al valore d’esordio, con consensuale

miglioramento ecocardiografico del pattern di rilasciamento cardiaco e stabilità

degli spessori del SIV confermati alla cardioRMN (nessun paziente ha

presentato una riduzione dello spessore del SIV); d’altro canto, in tutti i casi di

interessamento renale con sindrome nefrosica con o senza riduzione del filtrato

glomerulare si è ravvisata la normalizzazione sia della proteinuria sia della

creatininemia entro il range fisiologico (tabelle 5.7 e 5.8).

Per quanto concerne, invece, i pazienti in risposta ematologica ma con

progressione del danno d’organo, va sottolineato come tutti e 3 i casi all’esordio

presentassero un netto incremento dei valori di proBNP (15256, 6325 e 851

ng/mL, v.n. < 332 pg/mL), così come elevati spessori del SIV

all’ecocardiografia (22, 20 e 16 mm, vn < 12 mm) e riscontro di ipertrofia

diffusa e “late enhancement” alla cardioRMN, accompagnati da rapporti sFLC

k/λ francamente patologici (0.08, 0.009 e 0.001 rispettivamente).

Dei 3 pazienti non responsivi al trattamento di I linea, nessuno ha risposto ad un

trattamento successivo (di II, III o IV linea) e due di questi hanno subito un

peggioramento del danno d’organo fino al decesso, avvenuto rispettivamente

51

dopo 4 e 21 mesi; l’unico paziente vivente non responsivo alla terapia di I linea

è attualmente in trattamento di IV linea con Ciclofosfamide per os in una fase di

malattia stabile.

Per quanto concerne le variabili in studio, correlazioni statisticamente

significative sono state ritrovate all’esordio tra spessore del setto

interventricolare e NT-proBNP (r2=0,711 e p=0,021), tra spessore del setto

interventricolare e troponina I (r2=0,711 e p=0,048) e tra frazione di eiezione e

troponina I (r2=-0,73 p=0,016); al termine della terapia di I linea si conferma

esclusivamente la correlazione tra spessore del setto interventricolare e NT-

proBNP (r2=0,65 e p=0,041).

Pz Risposta Ematologica Risposta d'organo Follow-up (mesi) Terapia di salvataggio

1 CR Sì 32 No

2 PR Sì 36 No

3 NR No 32 VD, Len, CTX

4 NR No Deceduto (21) VD, RD

5 PR Progressione Deceduto (6) No

6 NR Progressione Deceduto (2) No

7 VGPR Progressione Deceduto (1) No

8 PR Progressione Deceduto (6) MD, RD

9 PR Sì 17 No

10 VGPR Sì 14 No

Tabella 5.6 Risposta al trattamento di I linea e follow-up

52

Pz NT-proBNP NT-proBNP Proteinuria/24h Proteinuria/24h Cr Cr

T0 T1 T0 T1 T0 T1

1 2524 652 3600 77 0,87 1

2 2516 592 370 75 1,2 1

3 369 715 180 250 1,1 1,1

4 2081 3882 17600 15300 2,9 3,9

5 15256 33834 2700 1800 1,7 2,1

6 9356 23648 2700 2650 0,9 0,8

7 6325 29231 180 238 1 1,1

8 851 2058 1600 3174 1,2 1

9 254 341 1760 201 0,8 0,8

10 23637 665 6500 273 2,3 1,3 Tabella 5.7. Valori di NT-proBNP, proteinuria delle 24 ore e creatininemia prima (T0) e

dopo (T1) la chemioterapia

Pz sFLC ratio sFLC ratio SIV SIV FE% FE%

T0 T1 T0 T1 T0 T1

1 0,2 1,52 9 inv. 65 inv.

2 0,01 0,13 17 inv. 45 55

3 0,02 0,02 14 inv. 65 inv.

4 0,07 0,1 15 inv. 50 inv.

5 0,08 0,29 22 inv. 40 35

6 0,03 0,04 20 inv. 48 inv.

7 0,009 0,19 20 inv. 50 inv.

8 0,001 0,02 16 inv. 60 55

9 1101 94 8 inv. 60 65

10 3651 0,85 21 inv. 60 inv. Tabella 5.8. Valori di rapporto sFLC k/λ, setto interventricolare e frazione di eiezione

misurata in ecocardiografia prima (T0) e dopo (T1) la chemioterapia

53

4.6 Discussione

L’Amiloidosi AL è una patologia insidiosa e potenzialmente fatale; una diagnosi

precoce ed una rapida definizione dell’estensione dei depositi di amiloide è

essenziale per istaurare prontamente la terapia più corretta. In particolare, risulta

cruciale la distinzione tra le forme localizzate e le forme sistemiche, che

richiedono un approccio terapeutico più aggressivo, volto a ridurre la sintesi del

precursore amiloidogenico mediante soppressione del sottostante clone

plasmacellulare. Si rende cioè necessario, in pazienti con estesa compromissione

da amiloidosi, l’utilizzo di terapie che possano portare ad un rapido recupero

della funzione degli organi coinvolti.34 Altrettanto importante risulta il

monitoraggio della risposta alla terapia, al fine di individuare tempestivamente i

pazienti che non rispondono e intervenire modificando di conseguenza la

strategia terapeutica. Il principale strumento per la valutazione della risposta

ematologica è rappresentato, al momento attuale, dalla determinazione della

concentrazione delle catene leggere libere circolanti (sFLC); la misurazione dei

marcatori biochimici di disfunzione cardiaca costituisce, viceversa, il più

importante indice di risposta d’organo.56 Lo sviluppo e la disponibilità di nuovi

farmaci per il trattamento dell’Amiloidosi AL, suggerisce l’opportunità di

identificare altre molecole coinvolte nella patogenesi della malattia e di

studiarne le modificazioni durante il trattamento, al fine di individuare nuovi

potenziali markers di risposta alla terapia.

Nel presente studio abbiamo valutato all’esordio ed al termine del trattamento

chemioterapico di I linea il coinvolgimento sistemico della patologia mediante i

principali marcatori biochimici e parametri ecocardiografici (sFLC, NT-

proBNP, troponina I, creatininemia e proteinuria, SIV e FE), ricorrendo, in

aggiunta, all’imaging fornito dalla cardioRMN per identificarne l’utilità sia in

fase diagnostica che prognostica.

54

Dai dati emersi dalla nostra analisi si evince come, nella maggior parte dei

pazienti con coinvolgimento cardiaco (7 su 8), vi sia una rispondenza tra gli

incrementati valori di NT-proBNP (marcatore più sensibile rispetto alla

troponina I) e lo spessore del setto interventricolare misurato mediante

ecocardiografia standard; parimenti, la cardioRMN eseguita negli stessi soggetti

ha evidenziato un quadro francamente patologico, in particolare dominato dal

contemporaneo riscontro di diffusa ipertrofia miocardica e lento potenziamento

subendocardico dopo iniezione del mezzo di contrasto. Fa eccezione a questo

discorso il paziente 1 che, a fronte di un elevato valore di NT-proBNP basale e

di un pattern contrastografico alla cardioRMN di “late enhancement”, non

presenta alterazioni morfofunzionali di rilievo all’ecocardiografia standard.

Tuttavia la cardioRMN, seppur dimostri una discreta sensibilità nell’evidenziare

alterazioni patologiche della morfologia e della funzionalità cardiache, non

aggiunge maggiori informazioni dal punto di vista diagnostico e prognostico di

quanto non riesca a fare l’ecocardiografia bidimensionale standard in mani

esperte; inoltre, la cardioRMN presenta degli indubbi svantaggi quali la limitata

accessibilità, gli elevati costi di utilizzo e, non ultima, la possibile ridotta

compliance del paziente (protesi metalliche, insufficienza renale, claustrofobia,

allergia al mezzo di contrasto, ecc.).

Dal punto di vista biochimico, la quantità di sFLC monoclonali prodotte non

sempre correla con l’entità del danno d’organo: i pazienti 5 e 6, che hanno

manifestato il danno cardiaco maggiore con exitus, presentano valori di sFLC

ratio più vicini al fisiologico di altri pazienti che hanno sviluppato un danno

meno esteso. Inoltre, relativamente alla risposta ematologica ottenuta, la

riduzione delle sFLC non sempre correla con la risposta d’organo e, di

conseguenza, con la prognosi: nei casi in cui il danno d’organo all’esordio sia

troppo avanzato, anche l’ottenimento di una PR o di una VGPR può non bastare

55

per evitare la progressione del danno che è sempre la principale causa

dell’exitus. Di qui nasce l’importanza di iniziare tempestivamente un

trattamento specifico che si basi su una corretta e precoce diagnosi.

In merito alle correlazioni statisticamente significative rinvenute nel presente

studio, si evince come i marcatori biochimici di danno cardiaco, principalmente

NT-proBNP e troponina I, siano ottimi surrogati dell’imaging ecocardiografico

tanto all’esordio quanto al follow up, soprattutto per la notevole corrispondenza

rinvenuta con lo spessore del setto interventricolare (ed in parte con la frazione

di eiezione) che rappresenta uno degli elementi morfologici con maggior

valenza prognostica. D’altro canto, non è stato possibile riscontrare una

correlazione netta tra i valori di sFLC ed i marcatori biochimici del danno

d’organo, sia esso cardiaco o renale, probabilmente per l’eterogeneità delle

variabili in gioco e per i molteplici quadri clinici di presentazione della

patologia. Inoltre, un ulteriore aspetto che potrebbe essere determinante in

questo senso è la latenza con cui la risposta d’organo si presenta, in media dopo

mesi, rispetto alla comparsa della risposta ematologica: questo spiega quello che

accade a quei pazienti che, nonostante una chiara risposta ematologica,

presentino una lenta ed inesorabile progressione del danno d’organo sino

all’exitus.

Dal punto di vista terapeutico, le migliori risposte ematologiche sono state

ottenute in 2 casi dallo schema MDV (Melfalan, Desametasone e Bortezomib) e

in un altro caso dallo schema CyBorD (Ciclofosfamide, Bortezomib e

Desametasone), ma solamente la prima associazione ha consentito il

raggiungimento della risposta d’organo. Tuttavia, in considerazione dell’esiguità

e dell’eterogeneità del campione in studio, non è possibile stabilire quale sia il

trattamento di I linea più efficace. Indubbiamente è possibile sottolineare

56

l’importanza dell’efficacia del trattamento di I linea, fallito il quale nessun altra

terapia di salvataggio si è dimostrata in grado di raggiungere la risposta

ematologica, con conseguente progressione del danno d’organo.

4.7 Conclusioni

Alla luce dei risultati presentati in questo studio emerge come l’amiloidosi AL

sia una patologia estremamente complessa, non soltanto dal punto di vista

diagnostico per l’estrema variabilità di presentazione clinica, ma anche dal

punto di vista strettamente biologico per la difficoltà di interpretazione dei vari

marcatori ad oggi disponibili, sia all’esordio della malattia che nella sua

valutazione in corso di terapia.

Ciò che più chiaramente è emerso è la correlazione tra i marcatori bioumorali di

danno cardiaco e l’indagine strumentale ecocardiografica, sia alla diagnosi che

al controllo al termine della terapia di I linea: i valori sierici di NT-proBNP e

troponina I correlano in maniera significativa soprattutto con il valore dello

spessore del SIV ed in maniera minore con la frazione di eiezione, a significare

un’estrema sensibilità dei due marcatori di predire il danno d’organo. Lo stesso,

purtroppo, non può ancora dirsi per il dosaggio sierico delle catene leggere

libere monoclonali (sFLC): non è stato, infatti, possibile dimostrare una

correlazione significativa tra il loro andamento e quello del danno d’organo

valutato con gli specifici marcatori, sia esso cardiaco o renale; ancor di più, non

sembra esservi una chiara relazione tra la quantità di sFLC prodotte e l’entità del

danno d’organo riscontrato.

Per quanto riguarda l’utilizzo della cardioRMN, essa rappresenta indubbiamente

57

un valido strumento di conferma del danno cardiaco, soprattutto in quei pazienti

con sospetto di amiloidosi sistemica che si presentino con un quadro

ecocardiografico di cardiomiopatia restrittiva, ma riduce la sua validità in fase

diagnostica e prognostica rispetto all’ecocardiografia stessa per una serie di

evidenti limitazioni intrinseche: accessibilità, costi, compliance del paziente.

Entrambe le metodiche strumentali di valutazione del danno cardiaco, tuttavia,

possono non risultare di aiuto in quei pazienti con compromissione iniziale: è lì,

invece, che i marcatori biologici quali NT-proBNP e troponina I e T risultano

fondamentali nel contribuire ad una diagnosi precoce di amiloidosi.

Meritano un cenno per il loro fondamentale ruolo nella diagnosi precoce, tanto

all’esordio quanto alla recidiva, le catene leggere monoclonali sieriche libere

(sFLC) che, nonostante nel presente studio non abbiano mostrato correlazioni

significative con gli altri biomarker di danno d’organo, rappresentano il

principale marcatore-guida del trattamento chemioterapico di questa patologia,

la cui importanza si evince dalla centralità che ricoprono all’interno dei criteri

internazionali di risposta alla terapia correntemente utilizzati.

In considerazione di quanto descritto, si rende necessario nel prossimo futuro il

ricorso a biomarcatori sempre più sensibili e specifici della compromissione

d’organo, quali ad esempio MCP-1 e VEGF, al fine di rendere questa patologia

sempre meno misconosciuta e potenzialmente curabile.

58

Bibliografia

1. Merlini G, Bellotti V. Molecular Mechanisms of Amyloidosis. The New

England Journal of Medicine 2003; 349:583-596.

2. Cotran, Kumar, Collins. Robbins. Le basi patologiche delle malattie. VI

edizione italiana, Piccin 2000; cap. 7, pag. 289-296.

3. Young NS, Gerson SL, High KA. Clinical Hematology. Mosby Elsevier

2006; cap. 51, pag. 676-686.

4. Braunwald E, Fauci AS, Kasper DL, Hauser SL, Longo DL, Jameson JL.

Harrison. Principi di Medicina Interna. XVI edizione italiana, McGraw-Hill

2002; cap.319, pag.2289-2294.

5. Sipe JD, Benson MD, Buxbaum JN, Ikeda S, Merlini G, Saraiva MJ,

Westermark P. Amyloid fibril protein nomenclature: 2010 recommendations

from the nomenclature committee of the International Society of Amyloidosis.

Amyloid 2010; 17(3–4): 101–104.

6. Anesi E, Palladini G, Perfetti V, Arbustini E, Obici L, Merlini G. Therapeutic

advances demand accurate typing of amyloid deposits. The American Journal of

Medicine 2001 Aug 15;111(3):243-244.

7. Gertz MA. Immunoglobulin light chain amyloidosis: 2011 update on

diagnosis, risk-stratification and management. American Journal of

Haematology 2011; 86: 181-186.

59

8. Ancsin JB. Amyloidogenesis: historical and modern observations point to

heparan sulfate proteoglycans as a major culprit. Amyloid. 2003;10(2):67-79.

9. Kyle RA, Linos A, Beard CM, Linke RP, Gertz MA, O'Fallon WM, Kurland

LT. Incidence and natural history of primary systemic amyloidosis in Olmsted

County, Minnesota, 1950 through 1989. Blood 1992;79:1817-22.

10. Cohen AD, Comenzo RL. Systemic light-chain amyloidosis: advances in

diagnosis, prognosis and therapy. Hematology American Society Hematology

Education Program 2010; 2010:287-294.

11. Hoffman R, Benz EJ Jr, Shattil SJ, Furie B, Silberstein LE, McGlave P,

Heslop H. Hematology. Basic principles and practice. Edition 5. Churchill

Livingstone Elsevier 2009; cap.89, pag. 1425-1447.

12. Rocken C, Shakespeare A. Pathology, diagnosis and pathogenesis of AA

amyloidosis. Virchows Archiv 2002;440:111-122.

13. Planté-Bordeneuve V, Said G. Familial amyloid polyneuropathy. Lancet

Neurology 2011 Dec;10(12):1086-1097.

14. Perfetti V, Casarini S, Palladini G, Colli Vignarelli C, Klersy C, Diegoli M,

Ascari E, Merlini G. Analysis of V(lambda)-J(lambda) expression in plasma

cells from primary (AL) amyloidosis and normal bone marrow identifies 3r

(lambdaIII) as a new amyloid-associated germline gene segment. Blood

2002;100:948-953.

60

15. Solomon A, Frangione B, Franklin EC. Bence Jones proteins and light

chains of immunoglobulins. Preferential association of the V lambda VI

subgroup of human light chains with amyloidosis AL (lambda). The Journal of

Clinical Investigation 1982;70:453-460.

16. Comenzo RL, Zhang Y, Martinez C, Osman K, Herrera GA. The tropism of

organ involvement in primary systemic amyloidosis: contributions of Ig V L

germ line gene use and clonal plasma cell burden. Blood 2001; 98:714-720.

17. Perfetti V, Palladini G, Casarini S, Navazza V, Rognoni P, Obici L,

Invernizzi R, Perlini S, Klersy C, Merlini G. The repertoire of λ light chains

causing predominant amyloid heart involvement and identification of a

preferentially involved germline gene, IGLV1-44. Blood 2012;119(1):144-50.

18. Dispenzieri A, Merlini G, Comenzo RL. Amyloidosis: 2008 BMT Tandem

Meetings (February 13-17, San Diego). Biology of Blood and Marrow

Transplantation 2008; 14(1 Suppl 1):6-11.

19. Palladini G, Kyle RA, Larson DR, Therneau TM, Merlini G, Gertz MA.

Multicentre versus single centre approach to rare diseases: the model of

systemic light chain amyloidosis. Amyloid 2005;12:120-126.

20. Sucker C, Hetzel GR, Grabensee B, Stockschlaeder M, Scharf RE.

Amyloidosis and Bleeding: Pathophysiology, Diagnosis, and Therapy. American

Journal of Kidney Diseases 2006;47(6):947-55.

61

21. Chee CE, Lacy MQ, Dogan A, Zeldenrust SR, Gertz MA. Pitfalls in the

diagnosis of primary amyloidosis. Clinical Lymphoma, Myeloma and Leukemia

2010;10:177–180.

22. Perfetto F, Moggi-Pignone A, Livi R, Tempestini A, Bergesio F, Matucci-

Cerinic M. Systemic amyloidosis: A challenge for the rheumatologist. Nature

Reviews Rheumatology 2010;6:417–429.

23. Katzmann JA. Screening panels for monoclonal gammopathies: Time to

change. The Clinical Biochemist Reviews 2009;30:105–111.

24. Bradwell AR. Serum Free Light Chain Analysis (plus Hevylight). Sixth

Edition, The Binding Site Group 2010; cap. 15, pag. 130-147.

25. Dispenzieri A, Kyle R, Merlini G, et al.; International Myeloma Working

Group. International Myeloma Working Group guidelines for serum-free light

chain analysis in multiple myeloma and related disorders. Leukemia

2009;23:215–224.

26. Dispenzieri A, Lacy MQ, Katzmann JA, et al. Absolute values of

immunoglobulin free light chains are prognostic in patients with primary

systemic amyloidosis undergoing peripheral blood stem cell transplantation.

Blood 2006;107(8):3378-3383.

27. Lachmann HJ, Gallimore R, Gillmore JD, Carr-Smith HD, Bradwell AR,

Pepys MB, Hawkins PN. Outcome in systemic AL amyloidosis in relation to

changes in concentration of circulating free immunoglobulin light chains

62

following chemotherapy. British Journal of Haematology 2003;122:78-84.

28. Lachmann HJ, Booth DR, Booth SE, Bybee A, Gilbertson JA, Gillmore JD,

Pepys MB, Hawkins PN. Misdiagnosis of hereditary amyloidosis as AL

(primary) amyloidosis. The New England Journal of Medicine 2002;346:1786-

1791.

29. Diagnosi delle amiloidosi sistemiche – Linee Guida 2011. Società Italiana

per l’Amiloidosi e Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi. Versione 1.0

del 29 Ottobre 2011

30. Kyle RA, Gertz MA. Primary systemic amyloidosis: clinical and laboratory

features in 474 cases. Seminars in Hematology 1995;8:45-59.

31. Dispenzieri A, Gertz MA, Kyle RA, Lacy MQ, Burritt MF, Therneau TM,

McConnell JP, et al. Prognostication of survival using cardiac troponins and N-

terminal pro-brain natriuretic peptide in patients with primary systemic

amyloidosis undergoing peripheral blood stem cell transplantation. Blood

2004;104:1881-1887.

32. Palladini G, Campana C, Klersy C, Balduini A, Vadacca G, Perfetti V,

Perlini S, Obici L, Ascari E, Melzi D'Eril G, Moratti R, Merlini G. Serum N-

terminal pro Brain Natriuretic Peptide is a sensitive marker of myocardial

dysfunction in AL amyloidosis. Circulation 2003;107:2440-2445.

33. Dispenzieri A, Gertz MA, Kyle RA, Lacy MQ, Burritt MF, Therneau TM,

Greipp PR, Witzig TE, Lust JA, Rajkumar SV, Fonseca R, Zeldenrust SR,

63

McGregor CG, Jaffe AS. Serum cardiac troponins and N-terminal pro-brain

natriuretic peptide: a staging system for primary systemic amyloidosis. Journal

of Clinical Oncology 2004;22:3751-3757.

34. Merlini G, Seldin DC, Gertz MA. Amyloidosis: pathogenesis and new

therapeutic options. Journal of Clinical Oncology 2011;29(14):1924-1933.

35. Skinner M, Anderson J, Simms R, et al. Treatment of 100 patients with

primary amyloidosis: a randomized trial of melphalan, prednisone, and

colchicine versus colchicine only. The American Journal of Medicine

1996;100:290-298.

36. Kyle RA, Gertz MA, Greipp PR, Witzig TE, Lust JA, Lacy MQ, Therneau

TM. A trial of three regimens for primary amyloidosis: colchicine alone,

melphalan and prednisone and melphalan, prednisone and colchicine. The New

England Journal of Medicine 1997;336:1202-1207.

37. Palladini G, Perfetti V, Obici L, Caccialanza R, Semino A, Adami F,

Cavallero G, Rustichelli R, Virga G, Merlini G. The association of melphalan

and high-dose dexamethasone is effective and well tolerated in patients with AL

(primary) amyloidosis ineligible for stem cell transplantation. Blood

2004;103:2936-2938.

38. Palladini G, Russo P, Nuvolone M, Lavatelli F, Perfetti V, Obici L, Merlini

G. Treatment with oral melphalan plus dexamethasone produces long-term

remissions in AL amyloidosis. Blood 2007;110(2):787-788.

64

39. Lebovic D, Hoffman J, Levine BM, Hassoun H, Landau H, Goldsmith Y,

Maurer MS, Steingart RM, Cohen AD, Comenzo RL. Predictors of survival in

patients with systemic light-chain amyloidosis and cardiac involvement initially

ineligible for stem cell transplantation and treated with oral melphalan and

dexamethasone. British Journal of Haematology 2008;143(3):369-373.

40. Dietrich S, Schönland SO, Benner A, Bochtler T, Kristen AV, Beimler J,

Hund E, Zorn M, Goldschmidt H, Ho AD, Hegenbart U. Treatment with

intravenous melphalan and dexamethasone is not able to overcome the poor

prognosis of patients with newly diagnosed systemic light chain amyloidosis and

severe cardiac involvement. Blood 2010;116(4):522-528.

41. Comenzo R, Gertz M. Autologous stem cell transplantation for primary

systemic amyloidosis. Blood 2002;99:4276-4282.

42. Gertz M, Lacy M, Dispenzieri A, Ansell SM, Elliott MA, Gastineau DA,

Inwards DJ, Micallef IN, Porrata LF, Tefferi A, Litzow MR. Risk-adjusted

manipulation of melphalan dose before stem cell transplantation in patients with

amyloidosis is associated with a lower response rate. Bone Marrow

Transplantation 2004;34:1025-1031.

43. Skinner M, Sanchorawala V, Seldin D, Dember LM, Falk RH, Berk JL,

Anderson JJ, O'Hara C, Finn KT, Libbey CA, Wiesman J, Quillen K, Swan N,

Wright DG. High-dose melphalan and autologous stem-cell transplantation in

patients with AL amyloidosis: an 8-year study. Annals of Internal Medicine

2004;140:85-93.

65

44. Gertz MA, Lacy MQ, Dispenzieri A, Hayman SR, Kumar S.

Transplantation for amyloidosis. Current Opinion in Oncology 2007;19:136–

141.

45. Palladini G, Perfetti V, Perlini S, Obici L, Lavatelli F, Caccialanza R,

Invernizzi R, Comotti B, Merlini G. The association of thalidomide and

intermediate dose dexamethasone is an effective but toxic treatment for patients

with AL (primary) amyloidosis. Blood 2005; 105:2949 –2951.

46. Wechalekar AD, Goodman HJ, Lachmann HJ, Offer M, Hawkins PN,

Gillmore JD. Safety and efficacy of risk-adapted cyclophosphamide,

thalidomide, and dexamethasone in systemic AL amyloidosis. Blood

2007;109:457–464.

47. Dispenzieri A, Lacy MQ, Zeldenrust SR, Hayman SR, Kumar SK, Geyer

SM, Lust JA, Allred JB, Witzig TE, Rajkumar SV, Greipp PR, Russell SJ, Kabat

B, Gertz MA. The activity of lenalidomide with or without dexamethasone in

patients with primary systemic amyloidosis. Blood 2007;109:465–470.

48. Sanchorawala V, Wright DG, Rosenzweig M, Finn KT, Fennessey S, Zeldis

JB, Skinner M, Seldin DC. Lenalidomide and dexamethasone in the treatment of

AL amyloidosis: Results of a phase 2 trial. Blood 2007;109:492–496.

49. Moreau P, Jaccard A, Benboubker L, Royer B, Leleu X, Bridoux F, Salles

G, Leblond V, Roussel M, Alakl M, Hermine O, Planche L, Harousseau JL,

Fermand JP. et al. Lenalidomide in combination with melphalan and

dexamethasone in patients with newly diagnosed AL amyloidosis: a multicenter

66

phase 1/2 dose-escalation study. Blood 2010;116:4777-4782.

50. Kumar S, Hayman SR, Buadi F, et al. A phase II trial of lenalidomide, cyclo

phosphamide and dexamethasone (RCD) in patients with light chain

amyloidosis [abstract 3853]. Blood 2009;114.

51. Dispenzieri A, Gertz MA, Hayman SR, et al. A pilot study of pomalidomide

and dexamethasone in previously treated light chain amyloidosis patients

[abstract 3854]. Blood 2009;114.

52. Sitia R, Palladini G, Merlini G. Bortezomib in the treatment of AL

amyloidosis: Targeted therapy? Haematologica 2007;92:1302–1307.

53. Reece DE, Sanchorawala V, Hegenbart U, et al.; VELCADE CAN2007

Study Group. Weekly and twice-weekly bortezomib in patients with systemic

AL amyloidosis: Results of a phase 1 dose-escalation study. Blood

2009;114:1489–1497.

54. Brunvand MW, Bitter M. Amyloidosis relapsing after autologous stem cell

transplantation treated with bortezomib: Normalization of detectable serum-free

light chains and reversal of tissue damage with improved suitability for

transplant. Haematologica 2010;95:519–521.

55. Lamm W, Willenbacher W, Lang A, Zojer N, Müldür E, Ludwig H,

Schauer-Stalzer B, Zielinski CC, Drach J. Efficacy of the combination of

bortezomib and dexamethasone in systemic AL amyloidosis. Annals of

Hematology 2011;90(2):201.

67

56. Terapia dell’amiloidosi AL sistemica – Linee Guida 2011. Società Italiana

per l’Amiloidosi e Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche.

Versione 1.1 del 22 ottobre 2011.

57. Palladini G, Merlini G. Transplantation vs. conventional-dose therapy for

amyloidosis. Current opinion in Oncology 2011 Mar;23(2):214-20.

58. Falk RH. Diagnosis and management of the cardiac amyloidoses.

Circulation 2005; 112; 2047-60 ;

59. Maceira AM, Joshi J, Prasad SK, Moon JC, Perugini E, Harding I, et al.

Cardiovascular magnetic resonance in cardiac amyloidosis. Circulation

2005;111: 186-9.