1. La soggettività giuridica nel diritto internazionale · CONFORTI riscontra nella prassi...

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Capitolo 1 La soggettività giuridica internazionale dello Stato Sommario 1. La soggettività giuridica nel diritto internazionale. - 2. I requisiti per l’acquisto della soggettività internazionale da parte degli Stati. - 3. Segue: La mancanza (o presunta tale) dei requisiti dell’indipendenza e dell’effettività. 4. Il riconoscimento. 1. La soggettività giuridica nel diritto internazionale Nel diritto internazionale per soggettività giuridica s’intende l’astratta attitudine di un ente a diventare titolare di diritti e obblighi previsti dalle norme di diritto internazio- nale: ciò si verifica quasi automaticamente non per effetto di una norma (come nel diritto interno), ma in quanto uno Stato afferma la sua effettiva autonomia e indipendenza, cioè il suo potere sovrano. Per lungo tempo tale capacità è stata attribuita esclusivamente allo Stato, ovvero a quella forma di organizzazione politica realizzatasi compiutamente nel 1648, anno del Trattato di Westphalia che segnò il definitivo tramonto di Impero e Papato che erano al vertice della cd. «Respublica christiana». Solo a seguito del secondo conflitto mondiale (1939-45) fu riconosciuta la possibilità di acquisire soggettività internazionale anche alle organizzazioni internazionali, (in primis alle nazioni Unite. Oggi, la dottrina internazionalista tende a riconoscere una limitata personalità giuridica anche agli individui (su questo punto si rimanda alla Parte IV, Cap. 1), in considerazione della vasta normativa in difesa dei diritti dell’uomo e della facoltà per gli individui di denunciare la violazione di tale normativa da parte degli Stati di- nanzi a veri e propri tribunali internazionali. Il parere della CIG espresso nella sentenza sulla riparazione dei danni subiti al servizio delle Nazioni Unite del 1949, per cui «i soggetti di diritto, in un sistema giuridico, non sono necessariamente identici quanto alla loro natura o all’estensione dei loro diritti», sembra rispecchiare il diritto positivo attualmente esistente, che quali- fica «soggetti di diritto internazionale», accanto agli Stati (la cui capacità giuridica ha l’estensione più ampia), le organizzazioni internazionali, gli individui e altri enti. 2. I requisiti per l’acquisto della soggettività internazionale da parte degli Stati Il termine «Stato» è plurisenso e può assumere diverse accezioni: Stato-ordinamento, se indica l’ordinamento giuridico statale nel suo complesso, com- prensivo di tutti i suoi elementi costitutivi; Stato-apparato o Stato-governo, in relazione al solo apparato burocratico e alle strutture di vertice dello Stato, ossia all’insieme degli organi statali che, in un dato momento storico, esercitano la propria potestà d’imperio sulla collettività presente nel territorio nazionale; Stato-comunità, riferito all’insieme dei soggetti appartenenti alla comunità statale e stanziati su un determinato territorio, cui è riconosciuta una propria autonomia sia come individui, che come formazioni sociali. Edizioni Simone - Vol. 46 Diritto Internazionale Pubblico

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Capitolo 1La soggettività giuridica internazionale dello Stato

Sommario1. La soggettività giuridica nel diritto internazionale. - 2. I requisiti per l’acquisto della soggettività internazionale

da parte degli Stati. - 3. Segue: La mancanza (o presunta tale) dei requisiti dell’indipendenza e dell’effettività. 4. Il riconoscimento.

1.LasoggettivitàgiuridicaneldirittointernazionaleNel diritto internazionale per soggettivitàgiuridica s’intende l’astrattaattitudinediunenteadiventaretitolaredidirittieobblighiprevistidallenormedidirittointernazio-nale: ciò si verifica quasi automaticamente non per effetto di una norma (come nel diritto interno), ma in quanto uno Statoafferma la sua effettivaautonomiaeindipendenza, cioè il suo poteresovrano.Per lungo tempo tale capacità è stata attribuita esclusivamente allo Stato, ovvero a quella forma di organizzazione politica realizzatasi compiutamente nel 1648, anno del Trattato di Westphalia che segnò il definitivo tramonto di Impero e Papato che erano al vertice della cd. «Respublica christiana».Solo a seguito del secondo conflitto mondiale (1939-45) fu riconosciuta la possibilità di acquisire soggettività internazionale anche alle organizzazioniinternazionali, (in primis alle nazioniUnite.Oggi, la dottrina internazionalista tende a riconoscere una limitata personalità giuridica anche agli individui(su questo punto si rimanda alla Parte IV, Cap. 1), in considerazione della vasta normativa in difesa dei diritti dell’uomo e della facoltà per gli individui di denunciare la violazione di tale normativa da parte degli Stati di-nanzi a veri e propri tribunali internazionali.Il parere della CIG espresso nella sentenza sulla riparazione dei danni subiti al servizio delle Nazioni Unite del 1949, per cui «i soggetti di diritto, in un sistema giuridico, non sono necessariamente identici quanto alla loro natura o all’estensione dei loro diritti», sembra rispecchiare il diritto positivo attualmente esistente, che quali-fica «soggetti di diritto internazionale», accanto agli Stati (la cui capacità giuridica ha l’estensione più ampia), le organizzazioni internazionali, gli individui e altri enti.

2.Irequisitiperl’acquistodellasoggettivitàinternazionaledapartedegliStatiIl termine «Stato» è plurisenso e può assumere diverse accezioni:— Stato-ordinamento, se indica l’ordinamento giuridico statale nel suo complesso, com-

prensivo di tutti i suoi elementi costitutivi;— Stato-apparato o Stato-governo, in relazione al solo apparato burocratico e alle strutture

di vertice dello Stato, ossia all’insieme degli organi statali che, in un dato momento storico, esercitano la propria potestà d’imperio sulla collettività presente nel territorio nazionale;

— Stato-comunità, riferito all’insieme dei soggetti appartenenti alla comunità statale e stanziati su un determinato territorio, cui è riconosciuta una propria autonomia sia come individui, che come formazioni sociali.

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74 ParteII:Lo Stato come soggetto di diritto internazionale

Dal momento che la capacità di agire nella vita delle relazioni internazionali, vale a dire la capacità di produrre atti giuridici, vedersi imputare illeciti internazionali, accedere agli organismi deputati al regolamento pacifico delle controversie, è propria degli organi stata-li, èalloStato-apparatochebisognapropriamenteattribuirelasoggettivitàinterna-zionale.

Dottrina

La dottrina prevalente (CONFORTI, GIULIANO, QUADRI) accoglie la tesi ora sostenuta, sottolinean-do come oggi la Comunità internazionale sia una comunità di Stati che si caratterizzano per il fatto di esercitare un potere di governo e che, conseguentemente, vanno identificati — nello scenario inter-nazionale — proprio in quei loro organi interni cui è effettivamente affidato tale potere.Il fatto che la responsabilità internazionale dello Stato sorga unicamente per la violazione di norme internazionali da parte di agenti dello Stato, e non da parte di individui, corrobora ulteriormente tali affermazioni.

Affinché lo Stato, nell’accezione di Stato-governo o Stato-apparato, acquisisca la soggetti-vitàdidirittointernazionale sono necessari due requisiti:— l’effettività (o sovranità interna), intesa come capacità di un governo di esercitare ef-

fettivamente la propria potestà di imperio sulla comunità stanziata sul territorio nazio-nale. Per il diritto internazionale, infatti, ciò che rileva è «l’effettivo esercizio delle fun-zioni sovrane su un territorio e su una popolazione a prescindere dai criteri attraverso i quali si è addivenuti alla titolarità di tali funzioni sovrane e dalle modalità di loro esercizio» (CARBONE);

— l’indipendenza (o sovranità esterna), intesa come parità nei confronti degli altri Stati o di qualsiasi altro ordinamento (che rende lo Stato superiorem non recognoscens).

La sovranità si manifesta in una serie di poteridifatto che rendono lo stato «superiorem non recognoscens» e che prevede la capacità di impedireaStatiterzidi:— imporre la non ingerenza nei propri affari interni (es.: sia nel regime costituzionale che

nel novero delle libertà pubbliche);— interdire qualsiasi atto di supremazia sul proprio territorio da parte di soggetti estranei

ad esso.Nello stesso tempo, esercitando la propria sovranità qualsiasi Stato (o soggetto di D.I.) si obbliga tacitamente a seguire e rispettare le regole del D.I.CONFORTI riscontra nella prassi internazionale una tendenza, non ancora tradottasi in vere e proprie norme giuridiche, ad aggiungere ulteriori requisiti a quelli richiesti, spesso derivanti da considerazioni di carattere politico-ideologico.Se in passato i Paesi europei mostravano la loro reticenza a riconoscere gli Stati non cristiani o, addirittura, non monarchici, l’orientamento attuale della Comunità internazionale sembra negare o limitare tale riconoscimento agli Stati «non democratici», «non amanti della pace» etc.A dimostrazione di ciò, CONFORTI cita due Dichiarazioni emanate nel 1991 dai ministri degli Esteri dei Pae-si membri della CEE per il riconoscimento, rispettivamente, dei nuovi Stati dell’Europa orientale e dell’ex Unione Sovietica (la prima) e delle nuove Repubbliche della ex Jugoslavia (la seconda). Nel lungo elenco dei requisiti richiesti compaiono, ad esempio, il rispetto dello Statuto delle Nazioni Unite, dell’Atto finale della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, delle norme poste a tutela delle minoranze, del prin-cipio di inviolabilità delle frontiere, degli obblighi sul disarmo e sulla non proliferazione nucleare etc.

75Capitolo1:La soggettività giuridica internazionale dello Stato

Parimenti CARBONE conferma che il sistema internazionale sembra evolversi nel senso di ammettere, tra i requisiti necessari al riconoscimento della soggettività, il rispetto dei diritti dell’uomo e del principio di auto-determinazione dei popoli.

Dottrina

Per ANZILOTTI il concetto di indipendenza comprenderebbe anche quello di indipendenza econo-mica; tuttavia, come rileva QUADRI, tale requisito non può essere accettato, anche perché palese-mente contrastante con l’interdipendenza economica che attualmente, di fatto, caratterizza le relazio-ni economiche internazionali.Lo stesso concetto di «indipendenza» va, secondo CONFORTI, inteso nei suoi giusti limiti: non può definirsi indipendente soltanto lo Stato che sia in grado di autodeterminarsi, perché nel campo delle relazioni politiche, oltre che economiche, ogni Stato è soggetto in una certa misura all’influenza da parte di altri Stati. Da ciò deriva che l’indipendenza viene intesa dall’Autore in senso formale, ossia riferibile a qualsiasi ordinamento giuridico originario, non derivato.

3.Segue:lamancanza(opresuntatale)deirequisitidell’indipendenzaedell’effettività

L’individuazione dei due requisiti essenziali sopra menzionati impone alcune riflessioni in relazione ad enti la cui soggettività internazionale è stata talvolta negata, talvolta ricono-sciuta.

A) GliStatimembridistatifederalioStatifederatiIl possesso del requisito dell’indipendenzasembra da escludersinel caso di StatimembridiStatifederali, o Statifederati, che, pur conservando la loro competenza esclusiva in alcune materie, la devolvono nei campi della politica estera e della difesa militare al gover-no federale centrale.

Dottrina

A conferma della tesi che nega la soggettività internazionale agli Stati membri degli Stati federali, QUADRI rileva che:

— le loro competenze sono delle mere competenze decentrate, facenti comunque capo ad uno Stato federale;

— la facoltà loro attribuita di intrattenere rapporti con altri Stati è, in genere, più teorica che pratica;— la responsabilità internazionale per gli atti da essi emanati ricade sullo Stato federale.

Anche se talvolta gli Stati federati hanno stipulato accordi con Stati terzi (è il caso di alcuni Stati USA o Länder tedeschi) o hanno ricevuto lo status di membri dell’ONU (come avvenne per la Bielorussia e l’Ucraina, all’epoca soggetti federati dell’URSS), è da escludere che possa essere loro riconosciuta la soggettività internazionale. Nel primo caso, la mancanza del requisito dell’indipendenza è eviden-ziata dal fatto che sia la stessa Costituzione federale ad attribuire agli Stati federati la facoltà di concludere accordi con Paesi terzi. Nel secondo caso, è da notare che lo status di membro delle Nazioni Unite attribuito a Bielorussia e Ucraina fu il frutto di accordi politici, grazie ai quali l’URSS ottenne tre voti (in luogo di uno solo) in seno all’organizzazione; lo dimostra la stessa prassi seguita da questi due Stati fino alla dissoluzione dell’URSS, che non hanno mai realmente intrattenuto rap-porti internazionali autonomi con altri soggetti e sono stati sempre rigidamente sottoposti al controllo federale sovietico.

76 ParteII:Lo Stato come soggetto di diritto internazionale

B) LeConfederazionidiStatiPer ConfederazionediStatideve intendersi un’unione di Stati indipendenti e sovrani creata (soprattutto nelle epoche passate) per scopi di difesa esterna e di mantenimento del-la pace tra i soggetti che ne sono membri.L’attribuzione della soggettività internazionale è controversa, ma si propende per la tesi secondo la quale, al di fuori delle competenze convenzionalmente trasferite alla Confede-razione, tutti gli altri rapporti interstatali sono disciplinati dal diritto internazionale, ragion per cui èaisingoliStatichevariconosciutalasoggettivitàinternazionale a pieno titolo.

C) IgovernifantoccioSono governifantoccio quelli sottoposti al totale controllo di un altro Stato, che in quanto mancanti del requisito dell’indipendenza vengono considerati prividipersonalitàinter-nazionale. In questo caso la volontà effettiva è quella dello Stato controllante, capace di influenzare in ogni settore il potere di governo.Esempi di governi fantoccio sono stati, durante la seconda guerra mondiale, il Governofilonazista di Pétain in Francia e la RepubblicaSocialeItaliana, entrambi creati dalla Germania in territori occupati, privi di autono-mia e indipendenza.Attualmente, è stato da più parti ritenuto governo fantoccio quello insediatosi nel 1975 nella parte settentriona-le dell’isola di Cipro, dopo la costituzione, per volontà della Turchia, della Repubblicaturco-cipriota.Con riferimento a quest’ultima, pur non parlando esplicitamente di «governo fantoccio» la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo negò la sussistenza della soggettività internazionale, ritenendo pertanto che le violazioni della CEDU commesse in territorio cipriota dovessero essere attribuite alla Turchia (casi Loizidou c. Turchia del 18 dicembre 1996 e Cipro c. Turchia del 10 maggio 2001). A supporto della propria posizione, la Corte ri-chiamò la ris. n. 541 emessa dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 18 novembre 1983, che aveva chiaramente dichiarato illegittima, ai sensi del diritto internazionale, la costituzione di tale Stato.

D)ImicrostatiPer quanto riguarda i microstati(Andorra, San marino, Principato di monaco, Liechtenstein etc.), caratterizzati dalla esigua estensione territoriale e dal limitato numero di abitanti, la dottrina internazionalista maggioritaria riconoscelorolasoggettivitàdidirittointerna-zionale, purché possano fa comunque valere il requisito dell’indipendenza e non siano su-bordinati ad alcun ordinamento straniero.QUADRI, in passato, mostrava seri dubbi quanto all’attribuzione della soggettività internazionale ai microsta-ti, sostenendo che:— tali Stati non potessero, data l’esiguità territoriale, operare come veri e propri Stati accreditando presso di

sé i rappresentanti dei Paesi terzi e delle organizzazioni internazionali;— non fossero, generalmente, membri di grandi organizzazioni internazionali;— i loro rapporti internazionali, in definitiva, si esaurissero quasi sempre in rapporti con lo Stato confinante

subendo notevolmente l’influsso politico ed economico di quest’ultimo.È da notare, per quanto riguarda l’ultima osservazione, un’inversione di tendenza della prassi internazionale con l’adesione della Repubblica di San marino (1992) e del Liechtenstein (1990) all’ONU.

E) IgoverniinesilioRelativamente al requisito dell’effettività, lo status che solleva una qualche controversia è quello dei governiinesilio, ossia di quei governi che difettanodiunterritorio su cui esplicare la propria potestà di imperio.

77Capitolo1:La soggettività giuridica internazionale dello Stato

L’assenza dell’elemento spaziale, ossia di uno degli elementi costitutivi di uno Stato, per-tanto, nonconsentediattribuirelorolasoggettivitàdidirittointernazionale. Possono, tuttavia, essere riconosciute alcune prerogative sovrane per ragioni politiche, di cortesia internazionale o di altra natura, che esulano da valutazioni conformi alle norme di diritto internazionale.Come rileva CASSESE, infatti, «in questo caso la sopravvivenza dei soggetti internazio-nali riposa su una fictio juris ispirata da motivi politici e giustificata dalla speranza di ri-acquistare il dominio del territorio. Svanita questa prospettiva, anche la fictio juris deve venire meno».Tipico è il caso del governo francese guidato dal maresciallo De Gaulle durante la seconda guerra mondiale, costretto ad abbandonare il suolo francese in seguito all’occupazione dei nazisti e all’insediamento, nella parte di territorio da essi controllato, del governo fantoccio di Vichy.Sebbene il governo De Gaulle facesse sentire la propria influenza sui cittadini francesi, dotandosi di un’orga-nizzazione clandestina che esercitava atti di resistenza contro l’invasore, nessuna parte del territorio francese era controllata in maniera permanente ed effettiva dagli esponenti della resistenza.mancando il requisito della territorialità, dunque, il riconoscimento da parte degli Alleati assumeva carattere meramente dichiarativo, ma non costitutivo (v. §5, lett. B), con valenza prevalentemente ideologico-politica.

F) Iterritorisottopostiall’amministrazioneprovvisoriainternazionale.IlcasodelKosovoLa soggettività internazionale non può essere sostenuta in relazione a quei «territori» o «enti» le cui attivitàdigoverno vengono in gran parte esercitatedaorganismiinterna-zionali, e che per questo difettanodelrequisitodell’indipendenza.Emblematico, in tal senso, è il caso del Kosovo, territorio che, pur avendo unilateralmente proclamato la propria indipendenza il 17 febbraio 2008 e adottato una Costituzione vigente dal 15 giugno dello stesso anno, è qualificato dalla Costituzione serba del 2006 come «Pro-vincia autonoma» all’interno della Serbia e non esercita pienamente tutte le funzioni di governo: come sancito dalla ris.n.1244 del Consiglio di Sicurezza ONU del 1999 (che, peraltro, riconosce la sovranitàserbasulterritoriokosovaro), alcune di esse sono attri-buite all’ONU, alla NATO e all’Unione Europea.La ris. n. 1244, in particolare, ha istituito l’UnMIK (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo), che tuttora costituisce l’amministrazione provvisoriadell’onU in Kosovo. Il 16 febbraio 2008, inoltre, l’Unione Europea ha dato vita alla missione civile EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo) per rilevare molti dei compiti dell’UNmIK e favorire la transizione del Kosovo all’indipendenza garantendo la creazione di uno Stato di diritto, ma la legittimità di tale missione viene contestata da Serbia e Russia perché priva di un mandato diretto da parte dell’ONU.

Per autorevole dottrina (CONFORTI) non può essere addotta a sostegno della tesi circa l’indipendenza del Kosovo il parere positivo espresso dalla CIG il 22 luglio 2010 sulla Conformità al diritto internazionale della Dichiarazione unilaterale di indipendenza rela-tiva al Kosovo, perché con esso la Corte non ha inteso pronunciarsi sull’esistenza o meno di uno «Stato» del Kosovo, ma solo sulla non contrarietà della Dichiarazione alle norme internazionali e, in particolare, alla ris. n. 1244.Anche in tema di riconoscimento, le posizioni all’interno della Comunità internazionale sono divergenti: dei 193 Stati membri dell’ONU, ad esempio, soltanto 99 riconoscono l’indipendenza e, dunque, la soggettività internazionale del Kosovo, fra i quali 3 dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (USA, Regno Unito e Francia).

78 ParteII:Lo Stato come soggetto di diritto internazionale

G)GliStatidichiaratifallitiUn cenno meritano, infine, i cd. Statifalliti(failed States), ossia quegli Stati in cui le au-toritàdigoverno sono talmente deboli o inefficaci da perdere il monopolio dell’uso della forza fisica, il controllo del territorio, delle strutture economiche, politiche e sociali (con il conseguente dilagare di fenomeni quali corruzione e criminalità) e la legittimazione da parte della popolazione (spesso impegnata in rivolte contro i poteri costituiti): rientrano in tale definizione, ad esempio, la Somalia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Repubblica Democratica del Congo etc.Nonostante la prassi dimostri la tendenza degli Stati a riconoscere la continuità di uno Sta-to fallito, e non la sua estinzione, tale scelta è spesso dettata da un mero «pragmatismo politico», ossia dalla volontà di evitare che i territori sfuggiti al controllo statale siano con-siderati res nullius e per questo oggetto di tentativi di occupazione.Sul piano giuridico, in realtà, in tale ipotesi la soggettivitàinternazionale va negata per l’assenzadelrequisitodieffettività.

H)IlcasodellaLibia(2014-2015)All’inizio del 2014 il generale libico Khalifa Haftar è ritornato in Libia dagli Stati Uniti istituendo a Tripoli il suo quartiere generale per creare un esercito per «salvare il suo pae-se dall’instabilità politica e dal terrorismo islamico» lanciando un’offensiva, chiamata «operazionedignità» attraverso forze locali (cd. «Esercizio nazionale libico») che hanno gradatamente conquistato quasi tutto l’Est del Paese.La Libia, dall’agosto del 2011, è in mano a due fazioni: una dell’ovest (nella zona di Zintan) e l’altra a misurata.Anche se nel luglio del 2012 si sono tenute libere elezioni (vittoria dei moderati ed elezione di Ali Zeidan, noto avvocato considerato un paladino dei diritti umani) il Paese è caduto in mano alle fazioni in lotta e diverse decine di migliaia di ribelli (thowar) hanno preso il so-pravvento dopo che il governo in carica li aveva legittimamente assoldati.Di questa fase di anarchia si sono avvantaggiati i candidati jadisti e filo-islamici contro i quali il generale Haftar ha messo in piedi una coalizione di forze eterogenee chiamata «albalibica» dopo che aveva sciolto il Congresso.Attualmente lo Stato libico è al collasso ed è caratterizzato dalla presenza di una serie di città-stato in mano molto precarie, nelle quali un corretto dialogo tra le parti politiche ri-sulta impossibile.Fattore dominante è (e resta) il petrolio e le forze di Haftar sono concentrate soprattutto nel recupero dei territori dove sono installati i principali pozzi petroliferi.mentre si pensa che Tripoli sarà il teatro di guerra principale ove si decideranno le sorti della Libia nello scontro di fazioni avverse, le N.U. e l’Europa restano ad osservare gli sviluppi (sicuramente difficili e sanguinosi) di uno scontro che — se le fazioni in lotta non troveranno presto una intesa — potrà avere conseguenze devastanti per la Libia e per il futuro equilibrio del mediterraneo.

79Capitolo1:La soggettività giuridica internazionale dello Stato

4.IlriconoscimentoA) DefinizioneIl riconoscimento è l’attodi natura politica medianteilqualeunoStatoritienecheunnuovoStatosia inpossessodeirequisitinecessariperottenere lapienapersonalitàgiuridica nell’ambito della Comunità internazionale.Può essere:— de jure, quando uno Stato, esaminati i diversi titoli che consentono l’acquisto della sog-

gettività internazionale ritiene legittima la creazione di un altro Stato, in quanto non contrastante con i propri interessi;

— de facto, nel caso in cui uno Stato si limita solo a prendere atto della nascita di un nuo-vo soggetto di D.I., senza tuttavia pronunciarsi sulla legittimità o meno della sua costi-tuzione;

— espresso, quando tale riconoscimento avviene mediante un atto formale;— tacito, se derivante da un comportamento tale da risultare incompatibile con una volon-

tà di non riconoscere il nuovo soggetto.

B) RiconoscimentocostitutivoedichiarativoPer ciò che concerne gli effetti del riconoscimento, la dottrina si divideva, in passato, assu-mendo due diversi orientamenti:— secondo alcuni, il riconoscimento aveva caratterecostitutivo, in quanto risulta essere

la conditio sine qua non ai fini dell’acquisto della soggettività internazionale (con la conseguenza che il nuovo Stato sarebbe potuto esistere per alcuni Stati e non per altri) in base al principio «di sociabilità» (VENTURINI) che in teoria giustifica la presenza di un individuo in un gruppo solo se lo stesso sia in grado di interagire con gli altri che, così, sono tenuti a riconoscerne, come gruppo, l’esistenza;

— la maggioranza degli autori, tuttavia, attribuisce al riconoscimento un mero valoredi-chiarativo, di carattereprevalentemente politico, privo di conseguenze giuridiche, consistente esclusivamente nel constatare la creazione, già avvenuta, del nuovo Stato.

Dottrina

Oggi, come già detto, gran parte della dottrina internazionalista attribuisce al riconoscimento il solo effetto dichiarativo.CONFORTI — seguendo l’opinione di QUADRI — mette in luce come nella pratica delle relazioni fra gli Stati il riconoscimento abbia valore esclusivamente politico. Esso indicherebbe la volontà di uno Stato di instaurare dei rapporti diplomatici e commerciali; in altre parole, di cooperare con lo Stato di nuova formazione.GIULIANO sostiene che il riconoscimento non avrebbe altro effetto che quello di confermare la pree-sistente personalità internazionale dello Stato, ponendo così fine ad eventuali contestazioni in merito.Secondo BROWNLIE, attribuire valore costitutivo al riconoscimento porterebbe ad un risultato inac-cettabile: in pratica si dovrebbe ammettere che l’esistenza di un determinato Stato è il frutto di un accordo o di una concessione da parte degli altri Stati, laddove è evidente che i requisiti per l’acquisto della soggettività sono chiaramente definiti dal diritto internazionale (effettività e indipendenza).A conferma del valore dichiarativo del riconoscimento, CARBONE richiama sia la giurisprudenza in-ternazionale (il parere n. 10 espresso dalla Commissione d’Arbitrato durante la Conferenza per la

80 ParteII:Lo Stato come soggetto di diritto internazionale

pace in Jugoslavia tenutasi il 4 luglio 1992 a Parigi) che quella italiana (Cassazione penale, 28 dicem-bre 2004, sent. n. 49666), ma ammette che il riconoscimento può essere anche «invocato come prova presuntiva (iuris tantum) sia della sussistenza degli elementi costitutivi della personalità inter-nazionale dello Stato, sia della volontà, da parte degli Stati che lo hanno effettuato, di intrattenere rapporti giuridici rilevanti nell’ordinamento internazionale con lo Stato nei confronti del quale opera il riconoscimento». L’effetto consisterebbe dunque nell’«instaurarsi di rapporti amichevoli» e nell’«av-vio di forme più o meno intense di cooperazione volontaria».A questo proposito è, infine, emblematico un passaggio della sentenza arbitrale del giudice TAFT nella controversia relativa al caso Tinoco tra il Costarica e il Regno Unito, laddove egli afferma che «il non riconoscimento da parte di altri Stati di un governo che pretenda di avere una personalità in-ternazionale, rappresenta di solito una prova adeguata del fatto che esso non abbia raggiunto quel grado di indipendenza e di controllo che lo legittima ad essere considerato tale secondo il diritto in-ternazionale. Ma quando tali Stati fanno dipendere il riconoscimento o meno di un governo dall’ac-certamento non già della sua sovranità de facto e della sua completa capacità di controllo, ma dalla illegittimità o irregolarità della sua origine, il loro rifiuto di riconoscere perde parte del suo valore pro-batorio per quanto riguarda il problema visto sotto il profilo del diritto internazionale».

La realtà delle relazioni fra gli Stati mostra come il riconoscimento sia stato storicamente legato a considerazioni squisitamente politiche, ponendosi, cioè, solo come atto discrezio-nale chenon ne compromette la nascita o l’esistenza; ciò è quanto emerge anche dalla ri-soluzione di Bruxelles adottata dall’Istituto di Diritto Internazionale, ove si legge che «non esiste in diritto internazionale né un obbligo, né un divieto di riconoscimento».Proprio per sottolineare il valore politico del riconoscimento talvolta è stato riconosciuto il governo,organo squisitamente politico, in luogo dello Stato.Tuttavia, secondo la prassi più recente, il riconoscimento costituisce una sanzione e viene generalmente negato agli Stati che:— si siano formati ricorrendo all’uso della forza armata;— non rispettino i diritti fondamentali dell’uomo.Quanto al primo punto, giova ricordare quanto sostenuto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella Dichiarazione sui princìpi di diritto internazionale relativi alle relazio-ni amichevoli fra gli Stati, secondo cui «nessuna acquisizione territoriale ottenuta con la minaccia o con l’uso della forza sarà riconosciuta come legale». Su queste premesse gli Stati ONU hanno dichiarato come non avvenuta l’annessione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1991. Scongiurata successivamente dall’intervento dell’ONU.Nel secondo senso, assume rilievo la Dichiarazione dei ministri degli Esteri dei Paesi ap-partenenti all’allora CEE che, in relazione agli Stati sorti sul territorio della ex Jugoslavia, condizionava il riconoscimento degli stessi al rispetto, tra l’altro, dei diritti dell’uomo e delle minoranze etniche (v. supra, §3).

Il riconoscimento della Macedonia

La natura meramente politica del riconoscimento è stata confermata anche in seguito alle vicende della Repubblica macedone dell’ex Jugoslavia.Lo smembramento della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, infatti, ha indotto le entità statuali che precedentemente ne facevano parte – Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina e Macedo-nia – a dichiarare unilateralmente la propria indipendenza. Nella Dichiarazione di Bruxelles del 16 dicembre 1991, i Ministri degli Esteri dei Paesi membri della CEE invitavano le nuove Repubbliche a presentare una «domanda» al fine di poter ottenere il riconoscimento da parte della Comunità, subor-

81Capitolo1:La soggettività giuridica internazionale dello Stato

dinandolo al possesso di alcuni requisiti (rispetto della Carta delle Nazioni Unite, osservanza dei principi sulla tutela dei diritti umani etc.).La commissione istituita per esaminare le «domande» delle ex Repubbliche jugoslave giudicava in regola quelle della Croazia, della Slovenia e della Macedonia; il riconoscimento di quest’ultimo Stato, però, riceveva l’opposizione da parte della Grecia, che contestava la denominazione di Repubblica di Macedonia (considerando il nome Macedonia come parte inalienabile del proprio patrimonio storico).L’opposizione greca riusciva a bloccare il riconoscimento del nuovo Stato a livello comunitario, ma non ad evitare quello dei singoli Stati o della Comunità internazionale nel suo complesso: la Macedo-nia è stata, infatti, ammessa all’ONU l’8 aprile 1993 con la provvisoria denominazione di «ex Repub-blica Jugoslava di Macedonia».

C) TendenzeattualiDue tendenze attualmente influenzano il riconoscimento:— non riconoscere l’acquisizione di un potere sovrano su un territorio acquisito attraverso

l’usodellaforza (così il Consiglio di sicurezza nel 1990 ha chiesto alla comunità inter-nazionale di non riconoscere l’annessione del Kuwaitall’Irak);

— non riconoscere le entità statuali che non rispettano i diritti umani (es. il Kosovocreato nel febbraio 2008 e riconosciuto nel marzo 2014 da soli 106 Stati).

D)Gliinsortieigruppiarmaticd.«terroristici»Preso atto che ogni Stato nasce quando lo stesso sia in grado di esercitare la propria sovra-nitàeffettiva su un determinato territorio, si risolve anche il problema degli «insorti» ai quali non può negarsi la personalità internazionale quando controllino effettivamente e stabilmente un certo territorio e combattono per l’affermazione del principio di autodeten-zione dei popoli.Essi, in ogni caso, beneficiano e sono destinatari da subito delle norme del diritto interna-zionale di guerra (Convenzione di Ginevra 1949) soprattutto in relazione all’applicazione del dirittoumanitario in materia di diritti fondamentali degli individui e alle modalità di condotta in qualità di belligeranti(v. infra Cap. 9).Sono comunque da escludere da tali formazioni sociali i «gruppi armati terroristici» [come le brigate rosse, i Tupamaros, l’Eta (Euskadi ta Askatasuna), i Talebani e Al-Quaida; discus-sa è, invece, la FARC (Fuerzas Armadas Revolucionaria Columbiana)] in quanto la loro azione costituisceunaminacciaallapaceeallasicurezzainternazionaleex art. 39 Car-ta N.U.Sono altresì considerati «terroristi stranieri» (risoluzione 2178 del 24-9-2014 del C. di Sicurezza) coloro che partono dallo Stato di residenza per combattere a favore di tali forze (opinione controversa): queste risoluzioni e gli altri atti delle N.U. in questo campo non si fondano su giudizi unanimi di valore, ma sono espressione dell’oligopolio della forza delle grandi potenze.

Capitolo 2Altri soggetti e presunti tali

Sommario1. Introduzione. - 2. La soggettività internazionale dei popoli e il principio di autodeterminazione.

3. I movimenti di liberazione nazionale. - 4. Segue: il caso della Palestina. - 5. Gli insorti. - 6. Le multinazionali. 7. La Santa Sede. - 8. L’Ordine di Malta.

1.IntroduzioneAttualmente in dottrina si discute se, oltre agli Stati, alle organizzazioni internazionali e agli individui, esistano altrisoggettididiritto internazionale, ovvero altri enti in possesso dell’astratta attitudine a diventare titolari dei diritti e degli obblighi previsti dalle norme dell’ordinamento giuridico internazionale.Il dibattito, in particolare, riguarda:— i popoli;— i movimentidiliberazionenazionale;— gliinsorti;— le impresemultinazionali;— la SantaSede;— il SovranoMilitareordinediMalta.

2.Lasoggettivitàinternazionaledeipopolieilprincipiodiautodetermina-zione

A) GeneralitàNella prassi internazionale odierna, oltre che in alcuni testi convenzionali, si ricorre spesso all’espressione «diritti dei popoli», inducendo la dottrina a riflettere sulla possibilità (e sulla plausibilità sul piano giuridico) di riconoscere ai popoli (già titolari della sovranità di diritto interno) anche la soggettività internazionale.Gran parte degli autori (tra i quali GIOIA e CONFORTI) giunge a conclusioni negative, rilevando che il popolo potrebbe avere rilievo sul piano giuridico solo se si accogliesse nel diritto internazionale la nozione di Stato come Stato-comunità e non come Stato-apparato.È, pertanto, agli Stati che vanno attribuiti solo i diritti tradizionalmente riferiti ai popoli, di cui questi ultimi sono solo beneficiari materiali (sovranità sulle risorse naturali del proprio territorio, partecipazione allo sfruttamento delle risorse oceaniche etc.), benché si ammetta un’unica eccezione, rappresentata dal dirittoall’autodeterminazione. Quest’ultimo, spet-tando de jure al popolo, e anzi contrapponendolo al governo cui è sottoposto, potrebbe es-sere l’unica strada per riconoscere la soggettività internazionale dei popoli.Per autodeterminazioneesterna (che rileva, cioè, nei rapporti con gli altri soggetti inter-nazionali) si intende il diritto dei popoli sottoposti a dominio coloniale o straniero di deci-

Edizioni Simone - Vol.46 Diritto Internazionale Pubblico

155Capitolo2:Altri soggetti e presunti tali

dere autonomamente il proprio destino politico, dalla proclamazionedell’indipendenza all’associazione conunaltroStatoindipendente(1).Nello Statuto delle Nazioni Unite, esso è stato inserito all’art. 1, par. 2 e all’art. 55, ma per molti anni non ha implicato la messa al bando del colonialismo che, anzi, è stato accolto dalla Carta e disciplinato giuridicamente attraverso l’istituto della tutela e dell’amministra-zione fiduciaria dei territori detti eufemisticamente «non autonomi».Negli anni Sessanta del secolo scorso il processo di decolonizzazioneha ampliato notevol-mente il novero dei Paesi in via di sviluppo rappresentati nell’Assemblea Generale, dando forte impulso all’adozione di importanti documenti: tra essi, la Risoluzione 1514 (XV) del 1960, il Patto sui diritti civili e politici e quello sui diritti economici, sociali e culturali (entrambi del 1966).La risoluzione, in particolare, definiva il principio di «autodeterminazione» come «il dirit-to dei popoli non autonomi e sotto tutela di pervenire all’indipendenza, di determinare li-beramente la propria condizione politica e di perseguire liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale».Negli anni Settanta, ad esso la Corte Internazionale di Giustizia ha espressamente ricono-sciuto carattereconsuetudinario, come risulta evidente dai pareri sul Sud-ovest africano (1971) e sul Sahara occidentale (1975). Ancora più esplicita è stata la sua posizione nella sentenza relativa a timororientale del 30 giugno 1995, in cui il diritto all’autodetermina-zione è emerso come dirittovalidoeapplicabileerga omnes.La prassi delle Nazioni Unite ha, infine, esteso il diritto dell’autodeterminazione anche ai popoli sottoposti a regimedidiscriminazione razziale (in occasione della politica di apartheid praticata in Sudafrica e Rhodesia) e ai popoli sottoposti ad occupazionestranie-ra(con riferimento ai territori arabi occupati da Israele).L’applicazione del principio di autodeterminazione presenta notevoli difficoltà nel caso di territori nei quali il governo straniero, pur essendo massicciamente presente con le proprie forze armate, si appoggia ad un governo locale: secondo CONFORTI, in tali situazioni il principio di autodeterminazione dovrebbe essere interpretato nel senso di imporre ad entrambi i governi la cessazione dell’occupazione.Così sarebbe dovuto accadere, ad esempio, in Iraq, dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003 e fino alle elezioni generali del 2005.

Giurisprudenza

Più in dettaglio, nella sent. 30 giugno 1995 su Timor orientale la Corte Internazionale di Giustizia ha asserito di non aver nulla da obiettare al fatto che «il diritto all’autodeterminazione dei popoli, come si è evoluto a partire dalla Carta e dalla prassi delle Nazioni Unite, è un diritto applicabile erga omnes. Il principio all’autodeterminazione dei popoli è stato riconosciuto dalla Carta delle Nazioni Unite e nella giurisprudenza della Corte …; si tratta di uno dei princìpi essenziali del diritto internazionale contemporaneo».

La presenza di regimi di discriminazione razziale o di dominio di un Paese occupante, dunque, per le N.U. e la prassi internazionale, legittimano gli altri casi di applicazione del principio di autodeterminazione.

(1) Viene così in rilievo, il recente caso della Crimea che ha chiesto di ritornare a far parte della Russia (prima ha fatto parte per molti anni dell’Unione Sovietica.

156 ParteIV:I soggetti diversi da Stati e organizzazioni internazionali

B) Limitiall’applicazionedelprincipiodiautodeterminazioneOccorre anzitutto tener presente che il principio di autodeterminazione nonha effettiretroatti-vi: è dunque applicabile, ad eccezione dei territori coloniali, soltanto a quelle dominazioni risa-lenti a periodi successivi alla sua affermazione giuridica, verificatasi nel secondo dopoguerra.Conformemente a ciò, non poteva parlarsi di autodeterminazione dei popoli nel caso dei Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) sottoposti a dominazione sovietica dal 1940: la loro indipendenza costituisce un’ipotesi di formazione di nuovi Stati per distacco.Altro limite consiste nel bilanciare la richiesta di autodeterminazione con la tutela di un altro principio particolarmente sentito nella Comunità internazionale, l’integrità territo-riale: alla luce di ciò, l’autodeterminazione non può trovare applicazione nei casi di soste-go di minoranze religiose, etniche o culturali, perché determinerebbe la frammentazione territoriale di molti Stati e, conseguentemente, una continua situazione di grave instabilità internazionale.Quest’ultima, infine, è una delle ragioni che inducono ad escludereilriconoscimentodeldirittoall’autodeterminazioneinterna, il quale produrrebbe la delegittimazione di molti governi al potere senza il consenso della maggioranza dei propri popoli.

Dottrina

Secondo CONFORTI, destinatari della norma sul diritto all’autodeterminazione interna non sarebbe-ro i popoli, ma ancora un volta gli Stati, ai quali s’imporrebbe l’obbligo di consentire l’autodetermina-zione. I popoli rappresenterebbero, pertanto, solo l’oggetto o i materiali beneficiari della norma.Al contrario, altra dottrina sostiene che il diritto all’autodeterminazione possa riferirsi direttamente ai popoli solo se inquadrato all’interno del processo di decolonizzazione, per facilitare il loro accesso all’indipendenza.

Secondo CASSESE, infine, l’applicazione concreta del principio di autodeterminazione dei popoli implica:— un vero e proprio diritto del popolo oppresso nei confronti dello Stato oppressore, da poter far

valere anche con il ricorso all’uso della forza o richiedendo forme di aiuto a Stati terzi;— l’obbligo (difficilmente attuabile) per gli Stati oppressori di non impedire con la forza l’esercizio del

diritto di autodeterminazione ai popoli sottoposti a regime coloniale, discriminazione razziale od occupazione straniera;

— la possibilità per gli Stati terzi di assistere i popoli cui spetta l’autodeterminazione, anche se con mezzi diversi dall’invio di truppe. Questi stessi Stati non possono, di contro, sostenere il governo oppressore.

3.ImovimentidiliberazionenazionaleI movimentidiliberazionenazionale sono gruppipoliticiche sioppongono, non neces-sariamente ricorrendo alle armi:— aunregimecoloniale;— aunregimedidiscriminazionerazziale;— aunaforzastranieraoccupante.Tali gruppi si qualificano come entiesponenzialidegli interessi e delle istanze di un popo-lo all’autodeterminazione, ottenendo (proprio per la loro funzione rappresentativa) una specialeprotezionedapartedeldirittointernazionale.

157Capitolo2:Altri soggetti e presunti tali

Parte della dottrina tende ad accordarelorolasoggettività di diritto internazionale sulla base delle seguenti considerazioni:— alcuni movimenti, come l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) dal

1974, hanno ottenuto il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite in qualità di rap-presentanti del loro popolo;

— gli esponenti dell’OLP (già prima che l’Organizzazione assumesse il nome «Palestina») sono stati invitati a partecipare, in veste di osservatori, alle sessioni e ai lavori di tutte le conferenze internazionali convocate dagli organi dell’ONU riguardanti la questione palestinese e successivamente sono stati ammessi a far parte dell’UNESCO a pieno ti-tolo.

Ciò ha senza dubbio contribuito al riacquisto, da parte della nazione palestinese, di alcuni territori prece-dentemente sottratti (Striscia di Gaza e parte della Cisgiordania), che costituisce un passo significativo verso la possibile nascita di un futuro Stato palestinese;

— i conflitti che vedono coinvolti i movimenti di liberazione nazionale sono equiparati ai conflitti tra Stati (dunque non alle guerre civili), con la conseguenza che ad essi si ap-plicherà il diritto dei conflitti armati internazionali;

— gli Stati hanno l’obbligo di isolare quei governi che, lottando per reprimere i movimen-ti di liberazione nazionale, negano il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Gli stes-si Stati sono, invece, legittimati a sostenere tali movimenti, in deroga al principio di non ingerenza negli affari interni.

Alcuni autori, al contrario, sostengono che non si possa considerare i movimenti di libera-zione nazionale come soggettididirittointernazionalefintantoché gli stessi non assuma-no il controllo effettivo di una porzione di territorio (CONFORTI) e non si dotino di una struttura istituzionale capace di gestire i loro rapporti internazionali.Altri ancora (CARBONE), infine, ritengono che, una volta accertata la loro capacità di esercitare un controllo effettivo sulla popolazione, si potrebbe accordare loro la personalità giuridica internazionale a condizione che essi svolgano la loro attività sotto la guida di un comando responsabile e nel rispetto tanto delle Convezioni di Ginevra, quanto dei Proto-colli addizionali.

Giurisprudenza

Dell’argomento si è occupata anche la Cassazione italiana nel 1985 sostenendo che, sebbene ai movimenti di liberazione nazionale non possa essere riconosciuta una soggettività internazionale piena perché privi della sovranità territoriale, essi sarebbero comunque dotati di una «soggettività internazionale limitata al circoscritto scopo di discutere, in parità con gli altri Stati, i modi e i tempi dell’autodeterminazione dei popoli che controllano».Più recentemente, la Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Primo Distretto non ha riconosciuto né all’OLP, né all’Autorità nazionale palestinese l’immunità dalla giurisdizione civile, in quanto la Palesti-na non costituirebbe ancora uno Stato sovrano e indipendente (sent. 31 marzo 2005, caso Ungar v. Palestine Liberation Organization).

158 ParteIV:I soggetti diversi da Stati e organizzazioni internazionali

4.Segue:ilcasodellaPalestinaTra i movimenti di liberazione nazionale un cenno particolare merita la già citata organiz-zazioneper laliberazionedellaPalestina (olP), creata il 2 giugno 1964 con sede a Tunisi allo scopo di rappresentare le istanze del popolo palestinese e il diritto di quest’ultimo a costituire uno Stato indipendente nella regione storicamente conosciuta come Palestina.Con ris. 22 novembre 1974, n. 3237 le Nazioni Unite conferirono all’OLP lo status di «os-servatore», accordandole ulteriori privilegi nel corso degli anni, in particolare quando l’organizzazione assunse la nuova denominazione «Palestina» (1988).Successivamente con risoluzione 67/19 del 29-11-2012 l’Assemblea Generale delle N.U. ha deciso di accordare alla Palestina la qualifica di «Statononmembro» con funzione di «osservatore» (funzione già precedentemente assegnata all’«autoritàpalestinese»). Tale risoluzione ha notevole valore politico che per alcuni autori significa pieno riconoscimen-to della Palestina come Stato.Da tempo, del resto, già si parlava di soggettività internazionale piena, in relazione «ad un processo di formazione in itineredi un nuovo soggetto di diritto internazionale effettivo e indipendente» (LEANZA-CARACCIOLO), soprattutto in considerazione del fatto che, soprattutto dopo una serie di accordi stipulati con lo Stato d’Israele tra il 1991 e il 1995, con cui fu costituita un’autoritànazionalepalestinese(anp)quale forma embrionale di go-verno.A ciò si aggiunga che:— già dal 1976 l’OLP ha il diritto di partecipare alle riunioni del Consiglio di Sicurezza in cui si discutano

l’autodeterminazione del popolo palestinese e la pace in medio Oriente;— dal 1988, dopo aver assunto il nome «Palestina», l’Assemblea Generale le conferì uno status rafforzato di

osservatore, comprendente il diritto di adottare documenti da far circolare come documenti ufficiali in seno all’ONU, il diritto di presentare progetti di risoluzioni sul popolo palestinese e sul medio Oriente, il diritto di partecipare ai dibattiti generali dell’Assemblea e prendere parola etc.;

— molti Stati le hanno riconosciuto in passato una personalità giuridica di diritto interno;— la Palestina da tempo partecipa alla Lega degli Stati Arabi, all’Organizzazione della Conferenza Islamica e

al Gruppo dei 77.

Tale riconoscimento è il risultato del lavoro iniziato dal popolo palestinese e la sua leader-ship che già rivendicano da tempo l’esistenza di uno «Stato di Palestina» comprendente i territori della Cisgiordania, della StrisciadiGaza e di Gerusalemmeest (quest’ultima considerata capitale), ossia quelli antecedenti all’occupazione israeliana del 1967 (la cd. guerra dei sei giorni).Chiedono, inoltre, che esso venga ammesso alle Nazioni Unite come 194° Stato membro con uno status pieno, per ottenere il quale il 23 settembre 2011 è stata presentata una richie-sta formale al Segretario Generale Ban Ki-moon.Secondo l’orientamento di CARBONE, un ulteriore elemento di cui tener conto consiste-rebbe nel fatto che la sovranità della Palestina sul territorio palestinese (dunque sul piano interno) si sta progressivamente stabilizzando e viene esercitata nel rispetto del principio di rappresentatività popolare, come mostrano le elezioni democratiche tenutesi a partire dal 1996. Ciò consente, per l’Autore, di riconoscere senz’altro all’ente in questione una sog-gettivitàinternazionalelimitata.

159Capitolo2:Altri soggetti e presunti tali

5.GliinsortiGli insorti, ovvero coloro chelottanoinunaguerracivilecontroilpropriogovernoper ottenere l’indipendenza (o per unirsi a un altro Stato) mediante la conquista del potere o la secessione, sono oggetto di alcune norme di diritto dei conflitti armati internazionali:— un nucleo fondamentale di norme di diritto umanitario contenute nella Convenzione di

Ginevra del 1949;— il II Protocollo alla Convenzione di Ginevra, risalente al 1977, sulle vittime dei conflit-

ti armati non internazionali.È da ritenere che l’esistenza di tali norme nonsiasufficienteadistituirelasoggettivitàinternazionaleincapoagliinsorti, dovendosi sostenere, da un lato, che i destinatari della disciplina internazionale in materia sono gli Stati, obbligati al rispetto del diritto umanitario, e dall’altro, che durante una guerra civile i Paesi terzi possono sostenere e prestare assisten-za al governo legittimo, ma non ai ribelli.Più in dettaglio, come rilevato da LEANZA-CARACCIOLO, sul piano giuridico l’insurre-zione rimane un fatto meramente interno sul quale si estende il dominio riservato dello Stato, che «può perciò adottare qualsiasi misura per tutelare la sua sovranità sottoponendo gli insorti al suo potere punitivo», nel rispetto dei soli limiti derivanti dal diritto internazio-nale in materia di tutela dei diritti umani e delle minoranze.Ciononostante, la dottrina è unanime nel sostenere che gliinsortiacquistanolasoggetti-vitàdidirittointernazionalequandoriescono:— adorganizzarsisottouncomandounivocoeresponsabile;— acontrollareeffettivamente,econapprezzabilecontinuità, unapartedelterritorio.Qualora si realizzino entrambe le condizioni, è evidente che la guerra civile acquista rile-vanza anche a livello internazionale, in quanto viene a costituirsi un nuovo governo – anche se temporaneo – capace di esercitare il proprio jus imperii su una porzione del territorio.

Prassi

Questo stesso punto di vista è stato accolto dal Presidente degli USA Grant nel 1870, che in una nota relativa ad un conflitto interno all’isola di Cuba esprimeva le seguenti considerazioni: «Non mi riesce di individuare, nelle attuali condizioni di lotta esistenti a Cuba, gli elementi necessari per configurare una guerra nel senso del diritto internazionale. Gli insorti non hanno il controllo di alcuna città, non hanno alcuna sede fissa per il governo, non hanno tribunali delle prede, né porti ove condurre le prede ...».

La «dottrina Tobar»

Relativamente ai mutamenti rivoluzionari, la «dottrina Tobar» afferma che il nuovo governo costitu-ito dagli insorti, purché dotato del controllo effettivo e permanente del territorio, possa essere ricono-sciuto solo successivamente allo svolgimento di elezioni democratiche.Tobar, Ministro degli Esteri dell’Ecuador, si fece portatore di tale principio all’inizio del Novecento, quando le Repubbliche centro-americane si impegnarono, mediante la stipula di appositi trattati, a non riconoscere la legittimità dei governi rivoluzionari finché i loro esponenti non fossero stati liberamente eletti dal popolo e non avessero riorganizzato su basi costituzionali i rispettivi Paesi di appartenenza.Come nota CASSESE, tale dottrina cadde presto in desuetudine.

160 ParteIV:I soggetti diversi da Stati e organizzazioni internazionali

6.LemultinazionaliOggigiorno, parte della dottrina (LOWE, FOCARELLI, CARBONE) discute circa la pos-sibilità o meno di riconoscere la soggettività internazionale delle multinazionali, ossia di quelle società costituite da un’impresa «madre» e da una serie di filiali operanti in Paesi diversi, ognuna sottoposta alla disciplina di diritto interno dello Stato in cui ha sede, espres-sione (nelle parole di TANZI) della cd. business community.Le imprese multinazionali non vanno confuse con le impresetransnazionali, caratterizzate da filiali operanti in diversi Stati che mantengono un sufficiente grado di autonomia nella definizione delle proprie scelte econo-miche e di mercato, né con le impreseinternazionali, che svolgono la loro attività esclusivamente nello Stato di appartenenza pur essendo dotate di una sezione internazionale deputata allo sviluppo delle attività estere.

In materia si riscontrano posizionicontrastanti. Gli autori che propendono per una soluzio-ne affermativa ritengono che le multinazionali abbiano ormai acquisito un potere tale da condizionare l’attività normativa e il processo decisionale sia dello Stato di appartenenza, scavalcando così la sua potestà d’imperio, sia dell’intera Comunità internazionale; riconosce-re la loro soggettività internazionale consentirebbe, inoltre, di applicare alle multinazionali le norme internazionali sulla tutela dei diritti umani (in particolare quelle sul divieto di sfrutta-mento del lavoro minorile), sulla protezione dell’ambiente e sullo sviluppo sostenibile.Gli autori che, invece, contestano tale orientamento (in tal senso FOCARELLI) esprimono le seguenti considerazioni:— le multinazionali, per quanto incisivo possa essere il loro «peso» politico ed economico,

non godono delle prerogative sovrane tipiche di uno Stato, né di un potere legittimo in grado di imporsi «legalmente» su altri soggetti;

— non costituiscono enti unitari, essendo composte da un complesso di società nazionali disciplinate dal diritto interno dello Stato di appartenenza;

— gli accordi che esse stipulano per sfruttare le risorse locali di un Paese non possono essere considerati come trattati internazionali, bensì come contratti di diritto privato;

— la disciplina internazionale cui sono sottoposte è comune anche ad altre persone giuri-diche, e i «codici di condotta» ad esse specificamente rivolte sono privi di effetto vinco-lante (si tratterebbe, infatti, del cd. soft law).

Quale che sia la tesi accolta, è però innegabile che le multinazionali «non solo partecipano attivamente alla formazione delle norme internazionali che le riguardano», ad esempio quelle istitutive di un sistema di garanzie che gli Stati devono fornire agli investimenti stranieri, ma godono anche sia della legittimazione processuale attiva (potendo adire orga-ni giurisdizionali e arbitrali, tra cui l’ICSID), sia della legittimazione processuale passiva (che le rende direttamente responsabili per eventuali violazioni di norme internazionali) (CARBONE).

7.LaSantaSedeSin dalle origini della moderna Comunità internazionale gliStatihannoriconosciutolapersonalitàdidiritto internazionaledellaSantaSede, suprema autorità della Chiesa cattolica costituita dal Romano Pontefice, dalla Segreteria di Stato e dalle altre istituzioni della Curia Romana.

161Capitolo2:Altri soggetti e presunti tali

Occorre distinguere tra lo Stato della Città del Vaticano e la Santa Sede, nonostante su entrambi il potere sia esercitato dal Papa.CittàdelVaticano è lo Stato territoriale creato nel 1929 mediante la stipulazione dei Patti lateranensi con l’Italia, legato alla Santa Sede da un rapporto di subordinazione e ricondotto, per il diritto internazionale, alla categoria dei microstati data la sua ridotta estensione.La SantaSede, invece, è la suprema direzione della Chiesa cattolica, cui è stata attribuita soggettività interna-zionale molto prima del 1929.

Gli elementi che sembrano confermare tale soggettività sono i seguenti:— la Santa Sede esercita la propria sovranità su un determinato territorio, per quanto esiguo

possa essere (0,44 km2);— ha il potere di negoziare e concludere trattati internazionali, che assumono la denomi-

nazione di Concordati se disciplinano la posizione della Chiesa cattolica nello Stato controparte dell’accordo;

— accredita un proprio corpo diplomatico in molti Stati;— può attribuire la cittadinanza dello Stato del Vaticano;— è presente in numerose organizzazioni internazionali in qualità di osservatore, soprattut-

to in quelle promotrici della collaborazione nel campo dei diritti umani.A ciò si aggiunga che la soggettività internazionale viene riconosciuta quale forma di ri-spetto per le funzioni svolte dalla Santa Sede: così accadde anche tra il 1870 e il 1929, seppur in assenza del requisito della sovranità territoriale a seguito della debellatio dello Stato pontificio ad opera del Regno d’Italia.

Dottrina

Alcuni autori propendono per il riconoscimento della soggettività internazionale della Santa Sede in virtù del fatto che, come sostenuto da LEANZA-CARACCIOLO, quest’ultima «costituisce l’insieme degli organi di governo della Chiesa cattolica e dello Stato di Città del Vaticano, che esercita con effettività ed in modo indipendente dagli Stati … sia il governo funzionale della comunità transna-zionale dei fedeli (potestà spirituale) sia il governo territoriale nell’ambito della Città del Vaticano (potestà temporale)».

Altri, invece (in tal senso QUADRI), in tempi meno recenti si sono espressi in senso contrario in quanto:

— il privilegio di presiedere il corpo diplomatico spetta al Papa per ragioni storiche, non avendo ca-rattere obbligatorio;

— non tutti gli Stati inviano proprie missioni diplomatiche presso la Santa Sede, o viceversa ne ac-creditano i rappresentanti (il Regno Unito, ad esempio, ha un proprio rappresentante diplomatico presso il Vaticano ma non accredita presso di sé i nunzi della Santa Sede);

— i rapporti che la Santa Sede intrattiene con gli altri Paesi possono difficilmente essere definiti come vere e proprie relazioni internazionali, consistendo essenzialmente nell’invio di missioni per vigi-lare sul rispetto di alcune libertà costituzionali (ad es. la libertà di culto);

— sebbene goda dello status di osservatore permanente in sede ONU, alla Santa Sede non è attri-buito il diritto di voto in Assemblea Generale;

— i Concordati non sono veri e propri trattati, per il fatto di poter essere estinti o modificati unilateral-mente dagli Stati, non sono sottoposti ai princìpi interpretativi previsti dal diritto internazionale e la garanzia delle norme in essi contenute è assicurata dalla costituzionalizzazione formale del contenuto del Concordato stesso (v. art. 7 Cost. italiana);

— gli interventi della Santa Sede nei singoli Stati, consistenti perlopiù in richiami rivolti alle masse cattoliche affinché assumano determinati comportamenti in linea con la fede, non sembrano ri-conducibili al diritto internazionale.

162 ParteIV:I soggetti diversi da Stati e organizzazioni internazionali

8.L’OrdinediMaltaIl SovranoMilitareordinediMaltaè un’istituzionereligiosa,dipendentedallaSantaSede, che persegue fini di assistenza sanitaria e ospedaliera degli infermi venendo, per questo, assimilata da taluni ad un’organizzazione non governativa.La sua sovranità fu riconosciuta una prima volta da Papa Clemente V nel 1300 (anno stesso della sua costitu-zione) sull’isola di Rodi, quando quest’ultima divenne uno Stato; poi sull’isola di Malta nel 1530 (in seguito alla conquista di Rodi da parte dell’Impero ottomano) grazie ai buoni uffici di Carlo V di Spagna: qui l’Ordine esercitò la sua influenza fino alla conquista napoleonica nel 1798.Nel 1834, infine, la sua sede fu fissata nella città di Roma.

Attualmente, l’Ordine di malta nonesercitalasovranitàsualcunterritorio; ciò induce parte della dottrina (tra cui CONFORTI) a negarela tesi della sua soggettività internazio-nale, anche allo scopo di non concedere all’Ordine quelle immunità solitamente riservate agli Stati stranieri e ai loro organi che, in Paesi come l’Italia, gli consentono di sottrarsi ad obblighi e imposizioni fiscali.Altri autori (CARBONE), invece, ritengono che lo status di soggetto internazionale possa essere riconosciuto all’Ordine a condizione che ciò risulti funzionale al perseguimento dei suoi fini assistenziali.

Giurisprudenza

La giurisprudenza italiana ha sempre riconosciuto al Sovrano Militare Ordine di Malta la personali-tà internazionale. Di tale qualità sarebbe «indice eloquente lo scambio di note diplomatiche avvenuto l’11 gennaio 1960 fra l’Italia e l’Ordine» (Cass., sent. 25 luglio 1964, n. 2056); conseguentemente, «essendo lo SMOM un soggetto di diritto internazionale in tutto uguale ad uno Stato estero, gli com-pete il trattamento giuridico spettante agli Stati» (Cass., sent. 6 giugno 1974, n. 1653) e «i provvedi-menti pronunciati dai suoi tribunali hanno natura di provvedimenti giurisdizionali di uno Stato estero …» (C. App. Roma, 23 gennaio 1978).In casi più recenti la Cassazione ha affermato la giurisdizione dei tribunali italiani nelle controversie di lavoro, sebbene non abbia chiaramente negato la qualità di soggetto di diritto internazionale all’Or-dine (sentt. 18 febbraio 1989, n. 960; 19 luglio 1989, n. 3374; 18 marzo 1992, n. 3360; 12 novembre 2003, n. 17088).

290 ParteVI:Gli ambiti materiali di applicazione del diritto internazionale

7.LazonaeconomicaesclusivaA) DefinizioneedestensioneLa zonaeconomicaesclusiva è un’areadi200migliamarine,misurateapartiredallelineedibasedelmareterritoriale, in cui lo Stato costiero esercita quei poteri necessari allo sfruttamentodellerisorseeconomichepresentisianelsottosuolomarinochenelleacquesovrastanti.Istituto centrale del nuovo diritto del mare, tale area costituisce la novità più importante scaturita dalla Convenzione di montego Bay, e può ormai essere considerata come parte integrante del diritto internazionale consuetudinario.Ai sensi dell’art. 56, nella zona economica esclusiva lo Stato costiero gode di:— diritti sovrani ai fini dell’esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della

gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque sovrastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo;

— diritti sovrani ai fini di altre attività connesse con l’esplorazione e lo sfruttamento eco-nomico della zona, quali la produzione di energia derivata dall’acqua, dalle correnti e dai venti;

— giurisdizione in materia di installazione e utilizzazione di isole artificiali, impianti e strut-ture, di ricerca scientifica marina, di protezione e preservazione dell’ambiente marino.

I poteri conferiti allo Stato costiero non possono pregiudicare i diritti degli altri Stati, che si sostanziano (art. 58) nella libertà di navigazione e sorvolo, di posa in opera di condotte e cavi sottomarini, nonché di altri usi leciti del mare connessi con tali libertà.

B) PiattaformacontinentaleezonaeconomicaesclusivaDa quanto sopra detto, emergono alcune considerazioni:— la larghezza della piattaforma continentale e della zona economica esclusiva, almeno

entro il limite delle 200 miglia, coincidono. Oltre tale limite può estendersi solo la piat-taforma continentale;

— i diritti esercitabili dallo Stato sulla zona economica hanno, ormai, assorbito quelli relativi alla piattaforma continentale, comprendendo lo sfruttamento di risorse naturali, biologiche e non biologiche;

— i criteri fissati per la delimitazione delle aree tra Stati frontisti e contigui sono gli stessi. molti Stati, infatti, hanno definito le rispettive piattaforme e zone economiche con un unico accordo.

C) LapescanellazonaeconomicaesclusivaUno dei motivi che ha consentito all’istituto della zona economica esclusiva di essere rico-nosciuto è quello relativo alla possibilità di creare una zonadipesca posta sotto il control-loesclusivodelloStatocostiero.A tal fine la Convenzione di montego Bay detta una minuziosa disciplina (artt. 61-68): il principio fondamentale è contenuto nell’art. 62, secondo il quale lo Statocostiero promuo-ve l’obiettivo dello sfruttamentoottimaledellerisorsebiologichedellazonaeconomicaesclusiva o comunque entro le 200 miglia dalla costa.

291Capitolo4:Il diritto del mare

Ciò implica che ogni Stato, a seguito di appositi studi e indagini, stabilisca i metodidipesca, la quantità massima di risorseittichesfruttabili, i tempi per consentire la riproduzione.Se la sua capacitàdisfruttamento del paese costiero è inferioreal limite stabilito, lo stesso può concedere adaltriStatil’accessoallerisorseresidue attraverso la conclusione di accordi in materia.Nel fare ciò, lo Stato costiero deve tener conto in primo luogo delle esigenze degli Statiprividisboccosulmare (land-locked) o geograficamentesvantaggiati (perché con un limitato sviluppo di coste), oltre che di quelli in via di sviluppo.La Convenzione di montego Bay prevede, agli artt. 69 e 70, che essi abbiano il diritto di partecipare «su basi equitative allo sfruttamento di una parte delle risorse biologiche ecce-dentarie» della zona economica esclusiva degli Stati costieri della stessa regione, sulla base di accordi da stipularsi tra le parti.Disposizioni particolari, inoltre, sono previste per le specie altamente migratorie, per i mammiferi marini (art. 65) la cui pesca è talvolta vietata da altri accordi internazionali (es. balena), per le specie anadrome (che, cioè, periodicamente si dirigono dal mare alle acque dolci per riprodursi, come il salmone) e per quelle catadrome (che, al contrario, dalle acque dolci muovono verso il mare per deporvi le uova, come l’anguilla).

D)LalibertàdiposadicavisottomariniÈ riconosciuta pienamente nell’alto mare, ma si deve comunque esercitare nel rispetto degli altri Stati all’utilizzo dell’alto mare.Gli Stati costieri non possono impedire la posa di cavi nella piattaformacontinentale (e alla sua manutenzione) salvo se tale attività sia tale da impedire il corretto sfruttamento della stessa.

8.L’altomareel’AutoritàinternazionaledeifondimariniA) DefinizioneGli spazimarini che si estendonoaldilàdelleacqueinterneedelmareterritoriale (Convenzione di Ginevra sull’alto mare) e che nonsonocompresinénellazonaeconomi-caesclusiva,nénelleacquearcipelaghedi uno Stato arcipelago (art. 86 della Convenzio-ne di montego Bay), costituiscono l’altomare, altrimenti definito in dottrina come mare aperto, mare libero o mare internazionale.Si tratta dell’unica zona in cui trova ancora, seppur limitata, applicazione il principio della libertàdeimari che, ammesso fin dal XVII sec., è stato consacrato dalla Convenzione di Ginevra del 1958 e dalla Convenzione di montego Bay del 1982: occorre, però, precisare che in quest’ultima si è preferito passare da una concezione esclusivamente fondata sulla libertà di utilizzazione ad una che favorisce la gestionecollettiva dell’alto mare in vista, soprattutto, di considerazioni di ordine pubblico (DUPUY).L’applicazione del principio di libertà comporta il riconoscimento a ciascunoStato di un uguale diritto ad esercitare tutte le attività di utilizzo del mareinternazionalmenteleci-te, quali navigazione, sorvolo, pesca, posa di cavi, costruzione di isole artificiali e ricerca scientifica. Il suo esercizio, però, è condizionato al rispetto degli interessi e della libertà degli altri Stati.

292 ParteVI:Gli ambiti materiali di applicazione del diritto internazionale

B) Lerisorsemarinecomepatrimoniocomunedell’umanitàIl problema della libertà, inteso nel senso del rispetto della libertà altrui, assume particolare rilievo in relazione alle risorsemineralidelfondomarino.Essendo presenti sul fondo marino alcuni rari metalli, come i nodulidimanganese, che sono esauribili, si pone il problema di garantirnel’accesso anche agli Stati che, in assenza dei mezzi tecnologici necessari, ne sarebbero automaticamente esclusi.Alle risorse dei fondi del mare e degli oceani, posti al di là delle giurisdizioni nazionali, è dedicata la Dichiarazione di princìpi adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1970 che definisce tali zone e le loro risorse «patrimoniocomunedell’uma-nità» (common heritage of mankind). La Dichiarazione ne prevede l’usoafiniesclusiva-mentepacifici, e sottopone la sua esplorazione e utilizzazione ad un regime internazionale.Prima dell’introduzione del principio di patrimonio comune dell’umanità, i fondi e il sottosuolo marino posti al di là delle giurisdizioni nazionali erano considerati come res communis omnium e, come tali, governati dai princìpi di non appropriabilità, piena libertà di utilizzo (con il solo limite della pari libertà altrui), rispetto e tutela dell’ambiente.

La Convenzione di montego Bay ha voluto dare concretezza al principio rivoluzionariodipatrimoniocomunedell’umanità, spesso scontrandosi con interessi statuali difficilmente conciliabili: quelli degli Stati industrializzati, interessati allo sfruttamento in tempi brevi dei fondi marini, e quelli dei Paesi in via di sviluppo (PVS), ispirati a princìpi di giustizia distributiva delle risorse.Si è cercato di comporre le differenti esigenze con l’istituzione di un’organizzazione inter-nazionale, la cd. autorità internazionaledei fondimarini (detta, più semplicemente, autorità) cui è stato attribuito il compito di presiedere allo sfruttamento delle risorse del fondo e del sottosuolo dell’alto mare, nonché garantire che questo avvenga nell’interesse dell’umanità.Il sistema previsto si fonda sul concetto di sfruttamentoparallelo, vòlto a conciliare il principio di patrimonio comune dell’umanità con il dato di fatto che solo alcuni Stati di-spongono dei mezzi tecnici e finanziari atti ad intervenire nella zona. Lo sfruttamento delle risorse avviene, dunque, da parte sia degli Stati che dell’Autorità (GIULIANO).Più in dettaglio, la Convenzione prevede che uno Stato, dopo aver individuato la zona del sottosuolo marino di cui intende sfruttare le risorse, informi l’Autorità; conseguentemente, l’area in questione viene suddivisa in due parti uguali che vengono sfruttate l’una dallo Stato, l’altra dall’organo operativo dell’Autorità.All’Autorità, inoltre, spetta definire ed attuare la politica delle risorse della zona, il controllo dell’attività (consi-stente nell’esame dei piani di lavoro presentati dalle imprese), e l’indicazione dei criteri di ripartizione dei ricavi.

Proprio l’ampiezza e la rilevanza dei poteri di tale organizzazione ha suscitato forti contra-sti in seno alla Comunità internazionale, soprattutto tra gli Stati industrializzati, paralizzan-do di fatto l’attuazione della Convenzione di montego Bay.Soltanto nel 1994, dopo una lunga opera di mediazione del Segretario Generale dell’ONU, è stato siglato un Accordo di attuazione delle disposizioni relative allo sfruttamento delle risorse dell’Area (New York, 29 settembre 1994).Con esso sono state introdotte numerose deroghe al regime previsto dalla Convenzione di montego Bay, in particolare ad alcuni vincoli posti allo sfruttamento dell’Area, ed è stato ridimensionato il ruolo dell’Autorità sacrificando ancora una volta un interesse collettivo mondiale sull’altare delle politiche economiche degli Stati più industrializzati e potenti.

293Capitolo4:Il diritto del mare

9.LasoluzionepacificadellecontroversieinmateriadidirittodelmareLe controversie riguardanti l’interpretazione e applicazione della Convenzione di montego Bay, come stabilito dalla Convenzione stessa nella sua Parte XV, devono essere risolte con strumenti di soluzione pacifica, in particolare ricorrendo a organi giurisdizionali (come la Corte Internazionale di Giustizia e, per i Paesi membri dell’UE, la Corte di giustizia dell’Unio-ne europea) o arbitrali.Tra gli organi giurisdizionali grande rilievo assume il tribunaleinternazionaleperildi-rittodelmare, cui l’art. 21 del suo Statuto rimette non solo le controversie relative alla Convenzione di montego Bay, ma tutte le questioni che un qualsiasi trattato internazionale faccia specificamente rientrare tra le competenze del Tribunale.Ad oggi, dieci sono le convenzioni multilaterali che indicano il Tribunale come organo competente a giudicare: tra queste, l’Accordo del 1993 volto a favorire il rispetto, da parte delle navi da pesca in alto mare, delle misu-re internazionali di conservazione e gestione (in vigore dal 2003) e l’Accordo del 1995 sull’attuazione delle disposizioni della Convenzione di montego Bay relative alla conservazione e alla gestione degli stock di pesci che si muovono all’interno e all’esterno della zona economica esclusiva o altamente migratori.

Il Tribunale, che ha sede ad Amburgo, si compone di un corpo di 21 membri indipendenti (ossia senza vincoli di mandato da parte degli Stati di cui hanno la nazionalità); al suo in-terno sono state istituite una serie di camere giurisdizionali competenti ratione materiae per il componimento di liti internazionali afferenti ai diversi settori del diritto del mare.

Sezione SecondaIl regime internazionale della navigazione

10. LanazionalitàdellenaviOgni mare è sottoposto esclusivamente al potere dello Stato di cui la nave ha la nazionalità (cd. Stato della Bandiera) (CONFORTI).La nazionalità costituisce il criteriodicollegamentodellanaveconl’ordinamentogiu-ridicodiunoStato, necessario alla nave per poter issare la bandiera di quest’ultimo e go-dere della sua protezione diplomatico-consolare all’estero.Una volta verificato tale collegamento, la nave sarà sottoposta alla potestà esclusiva dello Stato di cui è autorizzata a battere bandiera (art. 91 della Convenzione di montego Bay) purché esista un legameeffettivo (genuine link) e lo Stato eserciti un reale, effettivo pote-re di controllo.L’obbligo di un genuine link tra lo Stato di bandiera e la nave nasce, soprattutto, dall’esi-genza di reprimere il fenomeno della cd. bandiera-ombra, o bandieradicomodo(flag of convenience): alcuni Stati, infatti, prescindendo da qualsiasi collegamento sostanziale, ri-conoscono alle navi straniere la possibilità di battere la propria bandiera, sulla base di mere formalità amministrative.Generalmente si ricorre a tale espediente al fine di sottrarre la nave ai controlli fiscali vigen-ti nello Stato a cui effettivamente appartiene.La Convenzione di montego Bay, pur richiedendo un legame effettivo tra lo Stato e la nave, non prevede alcuna sanzione nel caso in cui si sia in presenza di una bandiera-ombra: sol-

294 ParteVI:Gli ambiti materiali di applicazione del diritto internazionale

tanto l’ultimo comma dell’art. 92 assimila la nave che batte due o più bandiere, usandole secondo convenienza, ad una nave priva di nazionalità.

GiurisprudenzaNella sentenza resa il 1° luglio 1999 relativamente all’affare della Motonave Saiga, il Tribunale inter-nazionale per il diritto del mare sottolineava che «l’articolo 91 attribuisce a ciascuno Stato la giurisdi-zione esclusiva sull’attribuzione della nazionalità delle navi. Sotto questo aspetto l’articolo 91 codifica una regola ben ferma di diritto internazionale generale».Per quanto riguarda il requisito del genuine link, in un altro passaggio della pronuncia si sosteneva che «lo scopo della disposizione della Convenzione sulla necessità di un legame effettivo tra la nave e lo Stato di bandiera è quello di assicurare un’attuazione effettiva degli obblighi dello Stato di nazio-nalità della nave, non quello di stabilire criteri in base ai quali altri Stati possano contestare la validità della registrazione di una nave».

11. IlcasoEnricaLexieLe navi e gli aeromobili, anche se si trovano in acque internazionali, sono sottoposti alla giurisdizione dello Stato della bandiera: le cose cambiano, però, se viene commessa a bor-do una violazione (reale o presunta) che dà origine ad un collegamento tra un reato com-messo da membri dell’equipaggio della nave e uno o più cittadini dello Stato costiero nel momento in cui la nave straniera entra nelle acque territoriali dello Stato costiero.Ciò spiega l’intervento giudiziario dell’India nei confronti dei due militari italiani i quali hanno «aperto fuoco» sul peschereccio indiano St. Antony, in rotta di collisione con la nave italiana, causando la morte di due marinai indiani.I due marò italiani (che avrebbero sparato scambiando i marinai indiani per pirati) erano im-barcati sulla nave mercantile italiana enricalexie ma al momento del presunto attentato si trovava al di fuori delle acque territoriali indiane. Se la Enrica Lexie avesse mantenuto il largo e fosse tornata in Italia, il processo si sarebbe tenuto nel nostro Paese e non in India la quale ha attivato la sua giurisdizione essendo la nave italiana entrata nelle acque indiane. In tal modo i responsabili sono stati catturati dall’autorità territoriale e giudicati da un tribunale indiano.L’Italia da tempo sta facendo pressione affinché venga istituito un tribunale internazionale ad hoc, a garanzia di una equa difesa ed un «giusto» e «non defatigante processo» che da tempo tiene desta l’attenzione dell’opinione pubblica.

12. Navimercantili,apropulsionenucleare,militariIn acque internazionali tutte queste categorie di imbarcazioni, come detto, sono sottoposte allo Stato della bandiera o a quello della Comunità viaggiante (es.: la nave da crociera ita-liana che batte bandiera panamense è sottoposta alla legislazione italiana).In particolare:— tutte le categorie di navi, in base a una norma consuetudinaria, godono del liberoacces-

so nei porti (ad eccezione di caso di guerra) e di ugualetrattamento per il libero utiliz-zo dei serviziportuali;

— tutte le imbarcazioni straniere sottoposte alla competenza territoriale dello Stato ospi-tante, ad eccezione delle navimilitari che, in quanto rappresentano ufficialmente lo

295Capitolo4:Il diritto del mare

Stato estero, godono dell’immunità dalla giurisdizione locale (in quanto per una parte della dottrina esse costituiscono «territorio fluttuante» dello Stato della bandiera);

— le navi con propulsione nucleare sono sottoposte ad una disciplina particolare derivante dal potenziale rischio dell’equipaggiamento non convenzionale.

È dubbio se la nave militare possa dare asilo politico in quanto considerata territorio dello Stato della bandiera; esse, comunque, sono tenute a restituire allo Stato territoriale gli even-tuali delinquenti comuni che si siano rifugiati a bordo chiedendo asilo.

13. LapirateriainacquesomaleUna importante eccezione che conferisce un poterepunitivoesclusivoalloStatodiban-diera è quella del trattamento della pirateria nelle acqueterritorialisomale.mentre nelle acque internazionali lo Stato che cattura una nave pirata è legittimato a giu-dicare e condannare i pirati: ciò, invece, non è ammesso nelle acque territoriali di uno Stato costiero ad eccezione della Somalia.Il governo di questo paese, infatti, non è attualmente in grado di assicurare alla giustizia i pirati che così infestano indisturbati sia le acque territoriali del loro paese che quelle inter-nazionali.Così, ad esempio, la risoluzione 1816 del 2008 del Consiglio di sicurezza ha consentito la repressione generalizzata della pirateria nelle acque somale e la L. 130/2001 ha previsto che i mercantili italiani possono tenere a bordo uomini armati sia civili che militari come nel caso della nave Enrica Lexie.

14. LanavigazionenelmareterritorialeIl principio generale che sottopone le navi alla potestà esclusivo dello Stato di bandiera incontra alcune eccezioni a seconda dello spazio marino in cui si effettua la navigazione.nelmareterritorialediunoStatostraniero,lanaveèsottopostaallagiurisdizionediquest’ultimo, fermi restando il diritto di passaggio inoffensivo e la competenza esclusiva dello Stato di bandiera per fatti interni alla nave stessa.Per «passaggio inoffensivo» deve intendersi l’attraversamento del mare territoriale effet-tuato in modo continuo, rapido (salvo causa di forza maggiore o per prestare soccorso), che non arrechi pregiudizio alla pace, al buon ordine ed alla sicurezza dello Stato costiero.Lo Stato costiero gode, inoltre, del dirittodiinseguimentocontinuo (hot pursuit) (che può continuare fino all’alto mare) nei confronti della nave che abbia violato sue leggi interne, purché abbia inizio nelle acque interne, nel mare territoriale o nella zona contigua e non pro-segua nelle acque interne di un altro Stato. Sulla nave catturata potranno essere esercitati i soli poteri esercitabili nella zona ove ha avuto inizio l’inseguimento (es.: accertamenti doganali).Parte della dottrina, infine, ha elaborato la teoria della cd. «presenzacostruttiva» (art. 218 Conv. montego Bay), secondo la quale lo Stato costiero può catturare una nave straniera che, pur trovandosi in acque internazionali, partecipa ad attività illecite commesse nel pro-prio mare territoriale; è il caso, ad esempio, delle navi straniere che trasportano merci di contrabbando con l’intento di trasbordare tali merci su imbarcazioni dirette verso la costa (CONFORTI).

296 ParteVI:Gli ambiti materiali di applicazione del diritto internazionale

15. AltreformedinavigazioneA) LanavigazioneneglistrettiNegli stretti usati per la navigazione internazionale la Convenzione di montego Bay ha previsto duediversiregimi:— per quelli che collegano una parte di alto mare (o zona economica esclusiva) ad un’altra,

è applicabile il dirittodipassaggiointransito, inteso come l’esercizio della libertà di navigazione e di sorvolo, ai soli fini del passaggio continuo e rapido attraverso lo stretto. Il passaggio non deve in alcun modo essere impedito; in compenso, lo Stato rivierasco può indicare appositi corridoi attraverso cui incanalare il traffico marittimo o prescrive-re schemi di separazione del traffico;

— per quelli che collegano una zona economica esclusiva o l’alto mare con il mare territo-riale, oppure gli stretti formati da un’isola e la terraferma appartenenti allo stesso Stato, sussiste il dirittodipassaggioinoffensivo (che non ammette il sorvolo).

B) LanavigazionenellazonaeconomicaesclusivaNella zonaeconomica esclusiva (art. 58 della Convenzione di montego Bay) e, analoga-mente, incorrispondenzadellapiattaformacontinentale (in quanto le due zone coinci-dono), vi è pienalibertàdinavigazione e di sorvolo.Per la regolamentazione dell’esercizio di tali diritti, che deve tener conto dei diritti e degli obblighi dello Stato costiero, la Convenzione rimanda alle norme che regolano la naviga-zione in alto mare.

C) LanavigazioneinaltomareIn altomare, che ex art. 87 della Convenzione di montego Bay «è aperto a tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale», infine, vige la pienalibertàdinavigazione e sorvolo, che trova un unico limite nel rispetto degli interessi e delle libertà degli altri Stati.Nell’alto mare la nave altrui può essere fermata, visitata ed eventualmente perquisita da una nave da guerra:— se sussistono seri motivi per sospettare che essa pratichi la tratta degli schiavi (art. 99

Conv. Montego Bay) o la pirateria (artt. 100-107 idem), o per uso fraudolento di bandie-ra straniera di emissioni radio non autorizzate (art. 109 idem). Dette ipotesi sono ricono-sciute dalla Convenzione di montego Bay ma, se rispetto alle ultime il potere di visita è riconducibile al diritto consuetudinario, lo stesso non può dirsi per la tratta degli schiavi;

— se alla nave straniera è occorso un incidente che sia suscettibile di inquinare il litorale dello Stato costiero;

— nel caso di contrabbando di guerra in tempo di pace. La prassi internazionale è orienta-ta nel senso di riconoscere allo Stato sul cui territorio è in atto una guerra civile l’eser-cizio, anche in acque internazionali, del diritto di ispezione e di cattura della nave altrui, nel caso in cui questa si proponga di intervenire in aiuto degli insorti con la vendita di armi o lo sbarco di soldati (CONFORTI).

Più discussa è la questione se lo Stato straniero detenga un potere di visita o cattura di navi altrui, in tempo di pace, per motivi legati alla difesa dei suoi interessi essenziali. La dottri-

297Capitolo4:Il diritto del mare

na, in linea generale, nega l’esistenza di un simile potere, data soprattutto l’indeterminatez-za di un concetto così formulato che potrebbe portare ad abusi di potere.

Fino alla profondità di 200 metri o fino a quandolo sfruttamento è possibile.

PIATTAFORMA CONTINENTALE

Parte di piattaformaoltre le 200 miglia

(massimo 350 miglia)MARGINE

CONTINENTALEFONDI MARINI INTERNAZIONALI

(ZONA INTERNAZIONALE)

LE ZONE MARITTIME

NEL D.I. ATTUALE

massimo12 miglia

MARETERRITORIALE

massimo24 miglia

ZONACONTIGUA DIVIGILANZA

ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA - 200 miglia MARE INTERNAZIONALE

16. IlregimedeglistrettiGli stretti sono delle «porzioni di terra che permettono e facilitano la comunicazione tra due mari».Il loro regimegiuridico cambia a seconda che:a) fanno comunicare due mari liberi o un mare libero e uno interiore;b) fanno comunicare due mari liberi e le due sponde appartengono allo stesso Stato;c) se le sponde ricadono sotto due sovranità diverse.In particolare vigono alcune precauzioni per assicurare il passaggioinoffensivo dellenavidaguerra, mentre il transito commerciale è regolato dai criteri geografici tradizionali per lo sfruttamento economico del passaggio e del traffico delle navi mercantili.Le regole rispetto ai principali stretti sono le seguenti:1) stretti danesi: è possibile il passaggioincondizionato in tempo di pace;2) Bosforo e Dardanelli: passaggio consentito per tutte le navi in tempo di pace, sono im-

poste restrizioni al tonnellaggio per le navi da guerra;3) Gibilterra: vige la libertà di passaggio con possibile interdizione dalle fortificazioni ri-

vierasche;4) Magellano: idem 3).

298 ParteVI:Gli ambiti materiali di applicazione del diritto internazionale

17. IlregimedeicanaliI canali sono vied’acquachefacilitanolacomunicazionetraduemarieagevolanoiltrafficomarittimo.In materia, valgono le regole della sovranità dello Stato rivierasco che è l’unico abilitato alla regolazione del traffico e all’imposizione dei tributi in un regime di internazionalizza-zione (di diritto consuetudinario e dei trattati) che deve consentire — in tempo di pace — il libero passaggio per tutti gli Stati.Tra i principali canali rientrano:— Suez: vige la convenzione di Costantinopoli 1888 che prevede l’apertura del canale a

tutte le navi in tutti i tempi. All’indomani della creazione dello Stato di Israele (1948) l’Egitto, fino al successivo

trattato di pace (1979) ha impedito per ritorsione il passaggio alle navi israeliane;— Panama: a seguito della dichiarazione di neutralità perpetua del Paese vige un regime

di totale libertà del canale;— Kiel: con il trattato Versailles (1919) è stato aperto alla libera navigazione questo cana-

le di congiunzione tra il Baltico e il mare del Nord. Vige il principio della libertà del passaggio valido, però, solo per le nazioni non in guerra con la Germania.