1. LA PROFESSIONE DELL’ADDETTO STAMPA · CONVERSAZIONI CON I PROFESSIONISTI DELL'UFFICIO STAMPA...

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1 INTRODUZIONE PARTE PRIMA PRATICHE E SEGRETI DI UN UFFICIO STAMPA 1. LA PROFESSIONE DELL’ADDETTO STAMPA 1.1 Funzione e ruolo 1.2 La relazione con il giornalista 1.3 Il comunicatore pubblico 1.3.1 La Legge Bassanini 1.3.2 L'Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) 2. DEFINIRE IL TARGET: CHI SONO I MEDIA 2.1 Che cos'è la notizia 2.2 La notiziabilità 2.3 Chi sono e come lavorano i media 2.3.1 La struttura e gli orari di una redazione 2.4 Essere o non essere? Questa è la notizia! 3. OBIETTIVI E STRATEGIE DI UN UFFICIO STAMPA 3.1 Tattica e strategia 3.2 Intervista a Nicola Bonaccini 4. STRUMENTI DI COMUNICAZIONE 4.1 La comunicazione efficace 4.2 Usare i media senza pagare 4.3 Il comunicato stampa 4.3.1 Anatomia del comunicato 4.3.2 Mai dire comunicato 4.4 Mailing (media) list

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INTRODUZIONE

PARTE PRIMA

PRATICHE E SEGRETI DI UN UFFICIO STAMPA

1. LA PROFESSIONE DELL’ADDETTO STAMPA

1.1 Funzione e ruolo

1.2 La relazione con il giornalista

1.3 Il comunicatore pubblico

1.3.1 La Legge Bassanini

1.3.2 L'Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP)

2. DEFINIRE IL TARGET: CHI SONO I MEDIA

2.1 Che cos'è la notizia

2.2 La notiziabilità

2.3 Chi sono e come lavorano i media

2.3.1 La struttura e gli orari di una redazione

2.4 Essere o non essere? Questa è la notizia!

3. OBIETTIVI E STRATEGIE DI UN UFFICIO STAMPA

3.1 Tattica e strategia

3.2 Intervista a Nicola Bonaccini

4. STRUMENTI DI COMUNICAZIONE

4.1 La comunicazione efficace

4.2 Usare i media senza pagare

4.3 Il comunicato stampa

4.3.1 Anatomia del comunicato

4.3.2 Mai dire comunicato

4.4 Mailing (media) list

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4.4.1 L’aggiornamento delle mailing list

4.4.2 Diventare una fonte affidabile

4.5 La cartella stampa

4.6 La newsletter periodica

4.7 L'House Organ

4.8 La conferenza stampa

4.9 La rassegna stampa e l'archiviazione

PARTE SECONDA

CONVERSAZIONI CON I PROFESSIONISTI DELL'UFFICIO STAMPA

5. L'UFFICIO STAMPA POLITICO

5.1 On Roberto Rao

5.2 Roberto Seghetti

6. L'UFFICIO STAMPA ISTITUZIONALE

6.1 Roberto Antonucci

6.2 Dario de Marchi

7. L'UFFICIO STAMPA AZIENDALE

7.1 Massimo Massimi

7.2 Filippo Ungaro

8. L'UFFICIO STAMPA PER GLI EVENTI

8.1 Daniela Piu

9. L'UFFICIO STAMPA ONLINE

9.1 Ivan Vaghi

Appendice: Comunicati Stampa

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INTRODUZIONE

Per diventare un perfetto addetto stampa non esiste una formula magica. Questo manuale di

comunicazione pratico sulla figura professionale dell'addetto stampa punta su quello che in genere

non troviamo nei testi accademici: lo scambio pratico delle idee.

Crediamo che attraverso la condivisione delle informazioni sia possibile la trasformazione delle cose

che accadono intorno a noi, sentendoci parte attiva del processo di crescita culturale e personale che

riguarda il nostro futuro.

Che cos'è, ma soprattutto cosa fa un ufficio stampa? Al di là dei luoghi comuni, quali sono le

competenze richieste per lavorare in un ufficio stampa? Quale è, se c'è, la routine quotidiana di un

professionista della comunicazione all'interno di diverse strutture?

Il volume è diviso in due sezioni.

La prima parte inquadra la funzione dell'addetto stampa, il suo ruolo e la relazione con il giornalista

con il quale condivide alcune tecnicalità ed un codice deontologico, salvo poi, essere orientato nella

cura degli interessi particolari del suo committente anche nel rispetto dell'etica. A seguire, viene

illustrata la relazione dell'addetto stampa con i differenti media ed i molteplici strumenti tattici a sua

disposizione per condurre l'azione comunicativa, senza trascurare l'aspetto della strategia.

Un capitolo, infatti, è dedicato all'addetto stampa strategico realizzato in forma di intervista a Nicola

Bonaccini, esperto di Media training e Public speaking. Emergono interessanti case history su i punti

di forza della professione, ma anche sulle debolezze, che spesso prendono forma di errori, facili da

evitare, quando la pazienza e l'arguzia di un professionista si rendono disponibili alla condivisione

dell'esperienza.

Nella seconda parte del volume sono protagoniste le voci dei professionisti in presa diretta nel lavoro

del giorno per giorno. In questa sezione abbiamo individuato cinque generi interni alla professione

che, a nostro avviso, rappresentano in modo esemplare alcune delle diverse strutture nelle quali è

possibile esercitare questo mestiere. Teniamo presente, però, che sono molteplici le opportunità sul

mercato del lavoro per un addetto stampa in erba.

Si è scelto di trattare argomenti di approfondimento prendendo spunto dalle pieghe quotidiane di un

lavoro spesso imprevedibile e dare risalto al fondamentale aspetto di essere in relazione, proprio

attraverso il dialogo con le interviste ai professionisti

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della comunicazione. In questa seconda parte del volume non promettiamo regole di

comportamento o di azioni valide per tutti, ma un'offerta di spunti pratici fornita da chi

quotidianamente è coinvolto sul campo di lavoro.

La comunicazione che l'addetto stampa agisce non è mai un processo lineare di messaggi trasferiti da

una fonte ad una generalità di utenti. Siamo influenzati dalle circostanze e non prescindiamo

dall'attualità in cui ci muoviamo. Come in un corpo a corpo continuo, mettiamo in gioco l'esperienza

ma anche l'intuito, la conoscenza delle regole ma anche una personale capacità di adattare ogni

messaggio ai suoi fruitori.

Ciò che auspichiamo è che gli argomenti trattati in questo manuale generino riflessione, discussione

e condivisione.

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PARTE PRIMA

PRATICHE E SEGRETI DI UN UFFICIO STAMPA

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1. LA PROFESSIONE DELL’ADDETTO STAMPA

1.1 Funzione e ruolo

Chi è stato?

Nell'ambito delle pubbliche relazioni la figura dell'addetto stampa è pioneristica. La prima fonte

attestata di comunicato stampa risale all'inizio del 900 in America, scritto da Ivy Ledbetter Lee per

conto delle ferrovie della Pennsylvania. A seguito del deragliamento della carrozza notte nel mare di

Atlantic City, Ledbetter Lee, convinse i vertici della società ferroviaria a fornire tutte le informazioni ai

giornalisti direttamente sulla scena della tragedia. L'esperto di Pubbliche Relazioni aveva una

rivoluzionaria domanda su cui far riflettere i suoi capi: “Perché la stampa deve cercare informazioni

quando possiamo essere noi a fornirle”?

Chi è?

Allora, come adesso, la sua funzione è orientare e produrre notizie. Queste notizie vengono

originate dal comunicatore per volontà di un soggetto - sia esso istituzionale, come un ministero,

ente, comune o camera di commercio, che privato, come un’azienda che produce prodotti o servizi.

Costruisce una struttura di consulenza comunicativa a disposizione di un'azienda, e filtra il flusso di

informazioni proveniente dall'impresa in relazione alle esigenze dei media. Dunque, l'addetto

stampa o il responsabile stampa di una struttura privata lavorano nell'area della comunicazione

utilizzando gli strumenti dell'informazione.

Cosa fa?

L'addetto stampa è un tecnico della comunicazione. Conosce la realtà che comunica e non rimane

ancorato alla visuale di superficie della realtà, ma correda in modo completo le notizie che riferisce.

Comunica in maniera efficace contribuendo alla formazione di idee precise e fondate nel suo

destinatario. In altre parole, come professionista dell'informazione si muove con il preciso obiettivo

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di prendere il messaggio del proprio cliente, farlo arrivare in maniera efficace fino ai destinatari, per

generare in loro un'azione positiva.

Per raggiungere questi obiettivi, l'ufficio stampa quotidianamente svolge le seguenti mansioni:

raccoglie sistematicamente le notizie relative al suo cliente che abbiano interesse

giornalistico e le diffonde ai media per farle pervenire ai pubblici d'interesse

raccoglie sistematicamente le informazioni per il suo datore di lavoro riportate dai media e le

smista verso le direzioni d'interesse

controlla i media sfruttando ogni possibilità che questi gli offrono per diffondere il punto di

vista del suo cliente

elabora le strategie della comunicazione

redige o fa redigere i comunicati stampa

tiene i rapporti con i giornalisti

organizza le rassegne stampa

Il suo ruolo privilegiato è comunicare con i media, verso i quali è il responsabile ufficiale, riconosciuto

dall'organizzazione, dal gruppo o dall'individuo, pubblico o privato, per il quale agisce. Fornisce

informazioni nel dichiarato interesse economico e politico del suo datore di lavoro. Si prende cura

dell'identità del suo committente, influenza il comportamento e le opinioni dei pubblici influenti,

creando e consolidando i sistemi di relazione tra il committente stesso e le aspettative del pubblico.

In molti casi l'addetto stampa lavora a stretto contatto con i giornali (ma non solo). Svolge un vero e

proprio ruolo di fonte primaria assimilabile a quella di un'agenzia stampa. La sua costante relazione

con la “notizia”, con i flussi delle informazioni e la notiziabilità dei contenuti che veicola,

rappresentano per l'addetto stampa un patrimonio professionale condiviso con il giornalista. Gli

aspetti che lo rendono assolutamente unico nel suo genere sono l'uso di tecniche particolari

necessarie ad estrarre la notizia e presentarla in un formato adatto per essere veicolato ai media.

Guardiamo l'esempio di una stessa notizia data in un comunicato stampa e successivamente ripresa

da una testata giornalistica:

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Comunicato stampa UNHCR (The UN Refugee Agency)

JOLIE E GUTERRES A LAMPEDUSA ALLA VIGILIA DELLA GMR 2011

LAMPEDUSA, 19 giugno 2011 –Oggi, vigilia della Giornata Mondiale del Rifugiato 2011,

l’Ambasciatrice di Buona Volontà dell’UNHCR Angelina Jolie ha raggiunto l’Alto Commissario delle

Nazioni Unite per i Rifugiati António Guterres a Lampedusa dove hanno incontrato i migranti fuggiti

dai conflitti in nord Africa e arrivati sull’isola via mare.

Dall’inizio dell’anno oltre 40mila persone, fra le quali rifugiati e richiedenti asilo, hanno

attraversato il Mediterraneo su imbarcazioni sovraffollate per sbarcare a Lampedusa. Si è trattato in

molti casi di migranti economici provenienti dalla Tunisia, ma ci sono anche persone bisognose di

protezione internazionale, come i rifugiati provenienti dall’Africa sub-Sahariana.

La maggior parte di loro sono già stati trasferiti da Lampedusa in altri centri sul territorio, mentre altri

sono stati rimpatriati in Tunisia. Jolie e Guterres hanno visitato le strutture di accoglienza dove

vengono ospitati i nuovi arrivati.

L’Ambasciatrice di Buona Volontà dell’UNHCR è arrivata a Lampedusa direttamente da Malta, altra

destinazione per chi fugge dal nord Africa via mare. A Malta ha visitato le Lyster Barracks, vecchia

struttura della Royal Air Force oggi trasformata in centro di accoglienza per i richiedenti asilo, molti

dei quali sono fuggiti dalla violenza in Libia. Fra loro somali, etiopi e altri sub-Sahariani.

“Malta ha salvato molte vite, ma preoccupano le condizioni di vita quotidiana dei rifugiati sull’isola”

ha dichiarato la Jolie a Malta questa mattina. “Oggi abbiamo parlato con esponenti del governo e ci

saranno ulteriori colloqui per capire come insieme possiamo rendere più umane le condizioni di vita,

soprattutto per i bambini”.

“Abbiamo condiviso le nostri comuni preoccupazioni riguardanti la necessità di velocizzare i tempi

della procedura di asilo. Non vogliamo che qualcuno si ritrovi in una situazione simile alla della

detenzione mentre attende la decisione in merito al suo status.” Ha aggiunto.

Molti hanno raccontato alla Jolie che lavoravano in Libia per inviare i soldi a casa. Un uomo ha

definito la Libia come il cuore dell’Africa, dove tutti avevano la possibilità di lavorare. “Ora [la Libia] è

in fiamme e l’Africa piange,” ha detto l’uomo. In molti hanno raccontato di non aver mai tentato di

arrivare in Europa prima d’ora, desideravano solo un luogo dove sentirsi sicuri e dove poter lavorare.

Ma quando è scoppiata la guerra in Libia non hanno avuto più scelta. “Non chiedono di andare in un

particolare paese, vogliono solo trovare la sicurezza del lavoro e della libertà,” ha evidenziato la

Jolie.

Le donne hanno stretto le mani dell’attrice attraverso le sbarre. “Voglio solo la libertà,” hanno

ripetuto. La Jolie ha ringraziato la guardia costiera maltese dicendo che hanno “salvato negli anni

migliaia di vite umane e per questo devono essere lodati. Adesso devono ricevere sostegno dalla

comunità internazionale per gestire questa situazione.”

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L’Ambasciatrice di buona volontà ha anche visitato un centro aperto vicino all’aeroporto di Malta

dove i richiedenti asilo più vulnerabili sono alloggiati in tende in un vecchio hangar mentre le loro

domande vengono esaminate. Hanno riferito alla Jolie che le condizioni di vita sono difficili, con

pozze di carburante sul pavimento e i topi che rosicchiano le tende.

Articolo giornalistico del Corriere della Sera

Missione umanitaria

Angelina Jolie in visita a Lampedusa

La star, ambasciatrice Onu di buona volontà, incontra i profughi insieme con l'alto commissario per

i rifugiati

LAMPEDUSA (AGRIGENTO), 19 GIU – Visita a sorpresa di Angelina Jolie a Lampedusa in occasione

della Giornata internazionale per i rifugiati. La star, in qualità di ambasciatrice Onu di buona volontà,

è arrivata in occasione della Giornata internazionale per i rifugiati.

In compagnia dell'Alto Commissario Onu per i rifugiati Antonio Guterres, l'attrice si è recata nella

struttura di contrada Imbriacola che al momento ospita 190 migranti, tra cui 60 tunisini e 130

profughi. L'incontro con la Jolie però riguardava soltanto i profughi, non i tunisini.

La Jolie ha insistito per lasciare le proprie impronte digitali all'ingresso, come avviene per i migranti

che vengono identificati. Impossibile avvicinarsi alla star hollywoodiana: le telecamere e i giornalisti

sono tenuti lontani dal centro di accoglienza.

Ad accogliere la star all'aeroporto (è arrivata con il suo aereo privato) c'era anche Claudio Baglioni,

insieme alle autorità, tra cui il prefetto di Agrigento Francesca Ferrandino. Una folla di curiosi si era

assiepata all'aeroporto di Lampedusa, ma nessuno è riuscito a vedere la Jolie o a scattare foto perché

l'attrice è stata ricevuta sottobordo e da lì fatta salire su un mezzo e accompagnata all'Aeronautica

utilizzando un'uscita secondaria.

IL VIAGGIO IN TURCHIA - Angelina Jolie, da dieci anni impegnata in cause umanitarie, è stata due

giorni fa in Turchia, al confine con la Siria, per visitare i profughi che stanno giungendo in massa da

quel Paese. Guterres invece proviene dalla Tunisia dove, al confine con la Libia, vi sono migliaia di

rifugiati provenienti dalle zone di conflitto. «Non è solo una celebrità - ha detto Guterres dell'attrice,

- è una persona competente e molto impegnata, spesso le chiedo di andare in missione per me.

Certo il fatto che sia anche una celebrità aiuta la nostra causa, ma lei lo farebbe anche senza alcuna

pubblicità. È un ottimo membro della nostra squadra».

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1.2 La relazione con il giornalista

L'addetto stampa ed il giornalista hanno un patrimonio condiviso fatto di alcune somiglianze e

molte divergenze. Le due professioni hanno in comune la finalità di diffondere un'informazione

accurata, chiara, tempestiva e veritiera. Con le dovute differenze, utilizzano strumenti simili mutuati

dal loro patrimonio condiviso.

Erano gli anni dell'Affaire Dreyfus, quando, nello studio di Hébrard, direttore del “Temps” ben visibile

si leggeva la scritta “Sapere, Fare, Saper fare, Far sapere”. Le parole appese ad un cartello,

riassumevano i doveri del buon giornalista. Possiamo rintracciare la matrice comune di queste due

professioni nell'incontro di due grandi paradigmi, il sapere e il fare, e nel loro superamento

attraverso il “far sapere”, cioè comunicare.

Se è la comunicazione a tenerli uniti, differenti sono i modi del far sapere, così come i destinatari

del loro lavoro. Per il giornalista la ricerca di obiettività si muove attraverso la negoziazione delle

informazioni. Il giornalista svolge una funzione sociale ampia e condivisa, il suo ruolo principale è

analizzare ed interpretare per i lettori situazioni ed avvenimenti complessi. Valutare affermazioni

che provengono da una pluralità di fonti, per poi renderle esplicite ai lettori.

Tra i due possono crearsi dei conflitti a causa di interessi divergenti, essendo la posizione dell'addetto

stampa certamente più sbilanciata al raggiungimento degli obiettivi concordati con il suo cliente. Ma

non è difficile trovare intese accettabili, là dove sussiste la fiducia reciproca.

L'addetto stampa è un personaggio unico sia per gli strumenti che usa, sia per la direzione della sua

comunicazione. Gli elementi fondamentali a sua disposizione sono il comunicato stampa, la

conferenza stampa e l'organizzazione di eventi. Più avanti analizzeremo con maggior dettaglio

questi strumenti. Intanto occorre sinteticamente mettere in evidenza le loro principali

caratteristiche.

Il comunicato stampa è basato sulle regole classiche della formulazione della notizia: chi comunica

cosa, in che modo e perché, con l'aggiunta del luogo (dove?). Potremmo fornire numerosi esempi di

stili, ma sostanzialmente la risposta alla produzione ed al trattamento del “ciclo della notizia” è

contenuto in queste semplici domande.

La conferenza stampa è un momento d'incontro diretto tra l'ente, il politico, il gruppo, un'azienda,

l'imprenditore, con i giornalisti. Qui si annuncia qualcosa d'importante, mostrando un luogo, un

servizio o un prodotto, concretamente o virtualmente. In questa occasione si offre ai giornalisti la

possibilità di porre domande direttamente agli interlocutori preposti, che rispondono per ridurre il

rischio di fraintendimenti ed interpretazioni fallaci.

L'evento è un vero e proprio atto comunicativo, dove lo stesso messaggio viene veicolato per

entrare in contatto direttamente con i sensi di chi lo riceve: vista, tatto, gusto, olfatto, udito. Ne

orienta la percezione per depositarsi nella memoria sotto forma di esperienza. Ecco un esempio,

dove almeno quattro dei nostri cinque sensi sono coinvolti.

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Siamo ad una degustazione di vini. Ogni produttore espone la sua produzione ed invita all'assaggio.

Ad ogni banco d'assaggio, oltre al vino, troviamo il sommelier, le brochure descrittive delle aziende, i

pannelli fotografici del territorio, le schede con la descrizione organolettica dei prodotti. In un banco,

però, a fianco alla malvasia istriana servita in mescita, ci sono dei piattini con foglie di salvia e pietra

selce. L'invito che si riceve al banco è annusare prima il vino nel bicchiere, poi il piattino olfattivo con

salvia e selce. Nel retro etichetta della bottiglia, le parole descrivono quello che il nostro naso può

fiutare nel piattino e toccare con le dita: sentori di erba officinale e sapidità minerale. Infatti, dopo

aver annusato il vino nel bicchiere, abbiamo ritrovato nel piattino gli stessi profumi. In altre parole, ci

siamo mossi facendo esperienza.

Questa esperienza parte dagli occhi che guardando l'etichetta, passa al naso che fiuta il vino, e

raggiunge le dita che toccano la salvia e la selce, per poi ritornare all'olfatto. In questo piccolo viaggio

attraverso i sensi, durato qualche secondo, qualcosa si è modificato in chi ha ricevuto il messaggio. In

termini di percezione, il vino da uve di malvasia istriana è stato raccontato dalle parole lette e

ascoltate, dalle immagini del territorio dove si produce, ed isolato nelle sue caratteristiche

organolettiche associato a elementi naturali facilmente riconoscibili di piatti olfattivi.

1.3 il comunicatore pubblico

1.3.1 LA LEGGE BASSANINI

La professione del comunicatore pubblico è regolata dalla legge 150/2000, che attua il principio del

diritto all'informazione del cittadino, come garantito dalla Costituzione. Con questa legge vengono

disciplinate le attività di informazione e comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni

consolidando la funzione della comunicazione pubblica.

Già dalla fine degli anni '80 si era affermato un concetto di comunicazione pubblica come risorsa

strategica della Pubblica Amministrazione. Con due sentenze, la Corte Costituzionale aveva da un lato

stabilito la responsabilità della Pubblica Amministrazione ad informare adeguatamente il cittadino,

dall'altro, ogni organo di natura politica non poteva risultare estraneo all'impiego dei mezzi di

comunicazione di massa.

Nei dieci anni successivi, tra il '90 e il 2000, vennero approvate dal Parlamento le leggi sulla

“comunicazione” e sull'“informazione”. Si è trattato di leggi che riguardavano l'accesso dei cittadini

non solo alle informazioni presso gli Enti locali (Legge 142/1990), ma anche la semplificazione delle

procedure amministrative con il decentramento delle funzioni agli Enti locali. Questa legge, detta

anche Legge Bassanini delega il Governo a trasferire funzioni e compiti dallo Stato centrale a Comuni,

Regioni e Province (Legge 59 e 127/1997). Inoltre, è stato rivoluzionato il rapporto tra la Pubblica

Amministrazione ed il cittadino con la legge sulla trasparenza (Legge 241/1990) e la conseguente

razionalizzazione delle amministrazioni pubbliche che individuano gli Uffici per le Relazioni con il

Pubblico (Legge 29/1993).

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La comunicazione diventa una parte integrante dell'azione delle amministrazioni, per consolidare la

loro funzione strategica e innovativa. La comunicazione vuole stabilire certezze, cioè veicolare

all'esterno le decisioni della Pubblica Amministrazione; inoltre si propone di ascoltare i cittadini

attraverso l'URP e modificarne i comportamenti.

All'interno della Legge Quadro 150, uno spazio rilevante viene riservato alle strutture di informazione

e comunicazione. Le prime sono costituite dalle figure del portavoce e dell'ufficio stampa che

svolgono attività di informazione; le seconde sono rappresentate dall'ufficio delle relazioni con il

pubblico, che invece svolgono attività di comunicazione.

Nello specifico, l'art. 7 individua la figura del portavoce che coadiuva l'organo di vertice

dell'amministrazione pubblica nei rapporti politico-istituzionale con gli organi di informazione.

L'art. 9, invece, dettaglia ulteriormente le caratteristiche e i compiti dell'ufficio stampa:

- redazione dei comunicati

- rassegna stampa

- organizzazione di conferenze, incontri ed eventi stampa

- realizzazione della newsletter istituzionale ed altri prodotti editoriali

La legge richiede che il personale specializzato presente all'interno dell'ufficio stampa sia iscritto

all'Albo Nazionale dei Giornalisti e prevede che la struttura sia diretta da un coordinatore, che

assume la qualifica di “capo ufficio stampa”. Egli, sulla base degli indirizzi e delle indicazioni ricevute

dall'amministrazione, cura i rapporti e i collegamenti con gli organi d'informazione, assicurando

chiarezza, trasparenza e tempestività nella diffusione delle informazioni e delle notizie di interesse

per l'ente. In altre parole, un buon ufficio stampa eroga informazioni per le attività quotidiane dei

cittadini, valuta se l'informazione fornita effettivamente aiuti sia l'accesso ai servizi pubblici, sia la

loro partecipazione alla comunità locale per l'esercizio effettivo di diritti ed opportunità.

1.3.2 L'UFFICIO RELAZIONI CON IL PUBBLICO (URP)

Nella sua funzione di relazione verso l'esterno, l'URP svolge i seguenti compiti:

- informazione

- garanzia di accesso ai servizi

- ascolto delle esigenze degli utenti

- promozione dell'innovazione e la semplificazione

- verifica la soddisfazione del cittadino rispetto all'erogazione dei servizi stessi

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Il programma di comunicazione nelle amministrazioni pubbliche viene elaborato annualmente con le

iniziative di comunicazione da realizzare nell'anno successivo. Entro il mese di novembre di ogni

anno, viene trasmesso il programma di comunicazione al Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria

della Presidenza del Consiglio dei Ministri

L'art. 12 è dedicato al piano di comunicazione, lo strumento attraverso il quale le amministrazioni

pubbliche programmano le azioni di comunicazioni nell'arco temporale di un anno. Il piano di

comunicazione prevede:

individuazione dei bisogni

progettazione degli interventi

attuazione

valutazione degli effetti

Questa struttura è stata istituita dal Dipartimento della Funzione Pubblica con l'obiettivo di:

supportare le amministrazioni nell'attuazione delle norme per sviluppare e sperimentare

azioni e progetti di comunicazione pubblica integrata

fornire consulenza alle amministrazioni anche per l'attività di formazione

monitorare l'attivazione di strutture di comunicazione integrata presso le amministrazioni.

Come abbiamo potuto costatare, la Legge 150/2000 e le successive direttive, non inquadrano la

figura dell'addetto stampa ma quella del comunicatore pubblico. Va segnalato che, il Gruppo

Giornalisti Uffici Stampa dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti, nel 2002 ha approvato un documento

specifico per l'addetto stampa che ne regolamenta la direzione etica attraverso una Carta dei doveri

del giornalista degli uffici stampa. Sebbene ripercorra i punti più generali della Carta dei doveri del

giornalista del 1993, l'ufficio stampa di una Pubblica Amministrazione viene considerato una fonte

primaria di informazione verso i cittadini. Il giornalista-addetto stampa è tenuto ad osservare non

solo le norme per i dipendenti pubblici, ma anche le norme deontologiche fissate dall'Ordine dei

Giornalisti. Quindi sotto il profilo contrattuale, il giornalista in presenza di un rapporto di lavoro di

ufficio stampa presso un ente, non può assumere collaborazioni o incarichi che vadano ad interferire

con la sua attività di operatore della comunicazione in un servizio pubblico.

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2. DEFINIRE IL TARGET: CHI SONO I MEDIA

2.1 CHE COS'È LA NOTIZIA?

Tra le tante definizioni a disposizione per definire la notizia, preferiamo quella di Mario Lenzi che in

un vecchio volume di preparazione del giornalista la definisce così: “Il fatto accaduto, l'azione

compiuta, un'informazione d'interesse generale”. La notizia è un evento che ha una valenza

collettiva, ecco perché il giornalista se ne occupa. La pubblicazione di una notizia è la descrizione di

un fatto che i media giudicano interessante per il proprio pubblico.

Posto che la notizia non gironzola per la strada in attesa di essere pubblicata, né la troviamo perduta

sul marciapiede come una banconota da 5 euro pronta per essere raccolta, che cosa fa di un fatto,

una notizia?

Ci sono alcuni elementi da prendere in considerazione che promuovono un fatto a notizia, come il

contenuto di novità e la sua singolarità. Un altro aspetto della notizia è la sua importanza nella vita

pratica delle persone e le conseguenze che può avere nella vita quotidiana. Non va trascurata la

vicinanza fisica. Inoltre, la notizia, può far leva sulle emozioni ed il senso di non concluso, oppure

promettere uno sviluppo. Altre volte invece è esclusiva.

Facendo un esempio pratico: questa mattina ho alzato la serranda del negozio alle 9.30. Questo è un

fatto qualsiasi che rimane nella sfera dell'interesse personale. Altro invece è dire: Come tutte le

mattine ha alzato la serranda della gioielleria alle 9.30 ed ha visto una scena raccapricciante.

Immediatamente ha allertato i carabinieri...

Di quante notizie dispongono i media e quante ne pubblicano? Si calcola in media che un

quotidiano pubblica un centinaio di notizie, su un disponibilità giornaliera di diverse migliaia. Le

notizie sembrano non scarseggiare. La fatica è selezionare le più interessanti senza lasciare buchi

nella rete. Più avanti parleremo della notiziabilità, per ora è sufficiente mettere a fuoco il fattore

tempo legato alla notizia, cioè la tempestività con la quale si rendono notiziabili gli argomenti. La

durata della notizia è molto ridotta, travolta da un fiume in piena di tante altre notizie che la fanno

sparire. Una notizia, se di grande importanza, regge le prime pagine dei giornali per qualche giorno,

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poi tende a sparire. Questo riguarda sia i giornalisti che l'addetto stampa. Tuttavia, se per un

giornalista è più facile avere a disposizione degli argomenti notiziabili, per l'ufficio stampa è un po'

più complicato. L'addetto stampa deve sempre fare in modo che il fatto diventi una notizia e non è

così scontato.

Questo richiede la capacità di essere tempestivi, cioè operare in grande rapidità. Se diamo la risposta

in ritardo a una notizia negativa è come non averla data, lasciando nel lettore o in chi ci guarda il

giudizio negativo suscitato dalla prima impressione. A volte invece, non riusciamo a scrivere in

tempo una notizia, oppure non le diamo la giusta importanza tralasciandola. In gergo questo è

“bucare la notizia”, cioè le notizie che non sono state date non esistono.

Facciamo un esempio di tempestività giornalistica, che può far scuola anche tra gli addetti stampa. Si

tratta di una notizia locale accaduta molti anni fa che inaspettatamente diventò un tema di

importanza nazionale.

Lucia Visca è una giovane cronista di vent'anni che si occupa di cronaca locale per il Paese Sera. Sono

le 7 di mattina. Al suo telefono di casa chiama il brigadiere, come sempre quando vuole darle una

notizia: “Abbiamo un morto all'Idroscalo, interessa?”. Lucia prende nota, riaggancia e chiama

rapidamente il suo fotografo. Mentre esce pensa al solito morto affogato del lunedì.

Alle 7:30 Lucia arriva con la Fiat 600 seguendo le auto della questura. Non c'è nessuno tra le baracche

tranne il commissario e una signora anziana che incrociando il suo sguardo le parla del morto:

“Fijetta mia che te devo di’? Ho visto 'n fagotto, pensavo monnezza. Era quer poveraccio. Ma te che

ce fai qua? Nun te fa impressione, vattene a casa, cocca”. Lucia prima di arrivare, aveva adocchiato

l'unica cabina del telefono a gettoni. Svita la cornetta meccanicamente e se la infila in tasca. Una

volta i cronisti facevano così, per dare vantaggio alla loro notizia sulla concorrenza quando

chiamavano la redazione. I cellulari non esistevano. Lucia Visca descrive così la scena: “C'è il

cadavere. La faccia affondata nella melma, senza camicia. Il cadavere indossa una maglietta sporca

di sangue.” Quando il commissario Marieni lo gira, Lucia sente mormorare “Pasolini”. All'Idroscalo di

Ostia è il 2 novembre 1975, non c'è nessun altro giornalista ancora. Dovrà passare lei la notizia al suo

giornale, che sul momento non ci crede: “Guardate che è proprio Pasolini!”.

2.2 LA NOTIZIABILITÀ

Un principio base per essere ripresi dai media è quello di dare notiziabilità alla nostra informazione.

La visibilità delle notizie non è uguale per tutti i media. Quando il nostro obiettivo è fare in modo che

il comunicato che abbiamo scritto venga pubblicato, dobbiamo valutare chi è il media che lo filtra e

come determina la notiziabilità.

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Pensiamo di avere tra le mani una storia di copertina sulla nostra organizzazione, ma non riusciremo

mai a renderla apprezzabile se l'editore del giornale non è d'accordo. Il suggerimento è imparare a

pensare come i media pensano, cioè gli editori, i giornalisti e i produttori che incontriamo nel

nostro percorso.

Poche e puntuali domande sono necessarie per stabilire se quello che abbiamo davanti è notiziabile.

A chi interessa? A noi, certamente. Ma è coinvolto qualcun altro? Facciamo un test sulle persone

che abbiamo vicino. A loro interessa? La notizia che abbiamo ha un interesse generale o solo per gli

impiegati della nostra organizzazione? In altre parole, la notizia deve essere seducente e parlare ad

un pubblico più vasto possibile.

Esercizio sulla notiziabilità

Individuiamo le attività dell'associazione o dell'azienda che stiamo curando come addetto stampa.

Prendiamo nota su un foglio excel facendo un elenco. Iniziamo la nostra ricerca su vari media delle

notizie simili. Stiliamo un elenco di tutte le notizie, piccole o grandi, locali e nazionali, che sono simili

alle nostre. Facciamo la stessa cosa individuando le notizie simili che troviamo nella carta stampata,

come con quelle prese dalla televisione. Nelle annotazioni delle notizie simili alle nostre

assicuriamoci di descrivere i punti notizia, il giorno in cui sono uscite ed il media attraverso il quale

sono transitate. Incomincerà ad emergere un motivo comune tra i diversi media e i punti notizia

scelti. Alla conclusione di questo esercizio apparirà una mappa dei media che trattano le notizie

simili alle nostre.

2.3 CHI SONO E COME LAVORANO I MEDIA?

Agenzie di stampa, giornali, radio, televisione, internet. Questi sono i media che parlano

quotidianamente a molti di noi. Qualcuno ci dialoga, altri li usano a proprio vantaggio, ma sono in

pochi a conoscerli veramente, stabilendo una relazione efficace e duratura nel tempo. Ogni volta che

sentiamo pronunciare la parola media dovremmo ricordare che è il singolare di medium.

Questa parola è un prestito dal latino felicemente accolto nella lingua italiana come in quella inglese.

Il significato è insidioso, come la sua doppia natura: da un lato è il “mezzo”, inteso come strumento;

dall'altro è “mettersi in mezzo”, mettere qualcosa tra due poli, cioè mediare. In altre parole, con

media si definisce sia lo strumento, che l'azione necessaria a compiere la mediazione.

Un bravo addetto stampa deve sviluppare una certa empatia verso i giornalisti che lavorano per i

media. Le redazioni sono ambienti caotici e rumorosi. I free-lance che lavorano da casa sono soggetti

a mille distrazioni e interruzioni. Il giornalista di solito è un personaggio che ha l'auricolare del

cellulare sempre appeso all'orecchio. Digita furiosamente la tastiera del computer ed è circondato da

persone che urlano da ogni parte, sullo sfondo di telefoni che squillano e montagne di carta

accatastate dappertutto.

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Questo non vuol dire che gli addetti stampa lavorino in condizioni ottimali e rilassanti. Tra l'addetto

stampa e il giornalista si deve creare una relazione simbiotica. In questa relazione non è importante

vedere dove pende l'ago della bilancia, ma sapere che, quando un giornalista telefona per chiedere

qualcosa, vuole subito una risposta. Se l'addetto stampa molla tutto il resto e si impegna a

soddisfare la richiesta, non è detto che guadagni particolari punti agli occhi del giornalista. Il

problema è che se non fa così, di punti ne perde parecchi.

Se il giornalista chiama e l'addetto stampa risponde con le informazioni richieste, quell'addetto

stampa viene riconosciuto come un problem-solver. Così si costruisce la reputazione ed il rapporto

di fiducia. Diventa sempre più probabile che quel giornalista telefoni in ogni occasione a

quell'addetto stampa. Anzi, accade anche il contrario: quando l'addetto stampa telefona al

giornalista per comunicargli un annuncio o una notizia, il giornalista gli darà retta con inconsueta

disponibilità.

Abbiamo detto che l'addetto stampa cura i rapporti con i media per conto di un ente, un'azienda o

un partito. Tra i suoi compiti: scrivere e inviare comunicati, organizzare conferenze, realizzare

rassegne stampa, tenere i contatti con i media. Per mantenere e potenziare i rapporti con i giornalisti

che veicolano la notizia, l'addetto stampa deve conoscere i modi e i tempi di funzionamento degli

organi di informazione, la cui base organizzativa è la redazione.

Se il suo compito è veicolare tutte quelle notizie che soddisfano la visibilità sui media del suo

committente, allora sarà necessario un attento sguardo alle strade dove transita l'informazione.

L'addetto stampa instaura con il giornalista una relazione di fiducia nel tempo. Conosce le sue

modalità lavorative, ne rispetta i tempi ed usa con opportunità la vetrina che quel media gli offre.

Conoscere la redazione

Utile per il mestiere è conoscere la struttura di una redazione, con le differenti gradazioni dei flussi di

notizie che variano a secondo del medium. Come funziona la redazione di una radio, di un'emittente

televisiva e quali sono, se ci sono, le affinità con l'agenzia stampa? In sintesi, l'addetto stampa deve

conoscere non solo il ciclo della notizia, ma anche i suoi flussi, cioè il fattore tempo che lega

indissolubilmente la notizia alla sua notiziabilità, perché le notizie scadono come lo yogurt.

Se la notiziabilità ha varie sfumature, può accadere che quello che è notiziabile per un giornale, non

lo è necessariamente per un periodico, una radio o una televisione. Per esempio, i giornali quotidiani

e settimanali sono molto focalizzati sulle notizie a tempo, cioè in scadenza.

Dall'altra parte i mensili, che hanno una programmazione stabilita con 3/4 mesi d'anticipo, non sono

interessati alle ultime notizie. Per la televisione invece, ricordiamoci che è un medium visivo e le

notizie hanno bisogno di essere accompagnate dalle immagini: “Siamo qui, davanti alla casa

dell'omicida, come potete vedere alle mie spalle”. Questo è l'atteggiamento del giornalista televisivo

che parla delle cose indicandole mentre le rende visibili.

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Ogni redazione gestisce flussi di notizie con tempi differenti. Le ultime notizie di un quotidiano

hanno un ciclo vitale di 24 ore, mentre i settimanali sono legati ai sette giorni. Infine, le testate

internet, radio, tv, hanno tempi molto più ristretti per andare in onda o in rete, seguendo il flusso

aggiornato delle notizie. Le agenzie stampa come quelle internet coprono il ciclo continuo della

notizia. La loro consultazione è quotidiana, il che comporta un'aderenza tempestiva alla realtà,

rispondendo con aggiornamenti live continui alle necessità dell'informazione.

2.3.1 LA STRUTTURA E GLI ORARI DI UNA REDAZIONE

Ogni redazione, indipendentemente dalla sua tipologia, è così strutturata:

Direttore responsabile

È il responsabile di fronte alla legge di tutto quello che viene pubblicato sul giornale e, inoltre, è il

fiduciario dell’editore. Imposta il borderò ed il menabò e decide il contenuto del giornale. Egli deve

essere necessariamente iscritto all’albo dei giornalisti pubblicisti o professionisti. Può avere un

vicedirettore.

In teoria, un direttore è libero di dirigere il giornale secondo le sue idee, ma di fatto gli è difficile non

tener conto degli interessi economici e politici della proprietà e del punto di vista della redazione.

L’articolo 6 del contratto nazionale di lavoro giornalistico (CNLG), dedicato proprio alla figura al

vertice delle redazioni, dice che il direttore – oltre ad impartire le direttive politiche e tecnico-

professionali del lavoro redazionale, nonché stabilire le mansioni di ogni giornalista – è tenuto ad

adottare le “decisioni necessarie per garantire l’autonomia della testata, nei contenuti del giornale e

di quanto può essere diffuso con il medesimo”. Anche se difficile, il direttore dovrebbe tutelare la

redazione dalle eventuali intromissioni e forzature dell’editore. Ci sono stati casi illustri, come le

dimissioni di Indro Montanelli dal Giornale, rassegnate quando Berlusconi, azionista detentore della

maggioranza assoluta delle quote sociali e quindi proprietario del quotidiano, si presentò

nell’assemblea dei giornalisti minacciando di tagliare i finanziamenti qualora la redazione non avesse

cambiato atteggiamento.

Caporedattore

Si occupa dell’organizzazione generale del lavoro redazionale definendo i modi, i tempi e gli spazi del

giornale. Controlla i menabò, la grafica, i contenuti e la lunghezza dei pezzi.

Capiservizio

Presiede il suo settore di competenza (interni, esteri, economia, cultura, sport, spettacoli, etc.). Il

suo compito è quello di organizzare e coordinare il lavoro dei redattori, dei collaboratori e dei

corrispondenti. I capiservizio partecipano alla riunione con i capiredattori e il direttore per decidere

l’impostazione del giornale.

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Redattori

I redattori sono i giornalisti che sono stati assunti da una testata, che abbiano superato il periodo di

praticantato e non abbiano ancora ricevuto incarichi di caposervizio o la nomina di inviato. I compiti

dei redattori sono molteplici: redazione articoli, correzione e revisione pezzi dei collaborati,

partecipazione alle conferenze stampa, ricerche ed acquisizione di informazioni, etc.

Nel cartaceo, i redattori danno indicazioni ai grafici per l’impaginazione, il disegno dei menabò, etc.

Nella tv, si coordinano con l’operatore per l’impianto schematico delle riprese (cosa riprendere,

come riprenderlo), segue la fase di postproduzione a contatto con il montatore, selezionando le

sequenze video più adatte ed inserendo eventuali contributi (es. un grafico, una tabella, i cosiddetti

“cartelli”), etc.

Segreteria di redazione

È l’ufficio di supporto di una redazione: svolge mansioni amministrative e organizzative. Il/la

segretario/a di redazione è a capo della segreteria.

Grafici e Art Director

Responsabili della linea grafica di una testata.

Inviato

È incaricato dal giornale di recarsi sui luoghi in cui si svolge il fatto/l’avvenimento che è al centro

della notizia, per approfondirne origini, sviluppi e registrare testimonianze. Gode di un certo grado di

autonomia e di solito non è presente in redazione, anche se deve essere reperibile in ogni momento.

Inviato speciale

Equiparato al caposervizio, è un giornalista che si è distinto per capacità e scrittura. Gode di molta

autonomia e non è tenuto ad osservare un orario di lavoro fisso.

Corrispondente

È un giornalista che, da una particolare zona di sua competenza, invia al giornale notizie relative a

quell’area. A seconda dei giornali, può avvalersi di un ufficio di corrispondenza, di

una redazione locale, oppure può lavorare autonomamente.

Collaboratori

Hanno un rapporto di lavoro continuativo, ma non vincolato al tempo pieno come per gli altri

redattori. Quella del collaboratore è una figura contrattualmente definita.

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La giornata della redazione

Se una regola generale ha bisogno di mille eccezioni per esistere, questo è il caso di una redazione,

dove nessun giorno è uguale all'altro. Per un addetto stampa è molto importante sapere chi ne fa

parte e conoscere il ruolo di ciascuno. Avere confidenza fisica e visiva con le redazioni è utilissimo.

Quando si invia un comunicato, oppure si costruisce una mailing list è fondamentale avere un'idea

precisa delle persone a cui inviarlo. Quale giornalista può appassionarsi al tema che stiamo

trattando, e sostenere il nostro comunicato nella riunione di redazione? Insomma, occhio ai dettagli

quando incontriamo i giornalisti.

Quotidiano, ultime notizie dalle 24 ore

Cosa succede in una redazione? Il compito di raccolta delle informazioni e della scrittura degli articoli

è affidato ai redattori. Le fonti informative che conducono le notizie in redazione sono tante: le

agenzie di stampa situate nei punti nevralgici dove nascono i fatti (Camera, Senato, Amministrazioni);

gli inviati ed i corrispondenti; radio, televisione e siti d'informazione internet; comunicati stampa;

uffici stampa; pubblico; gruppi di pressione; fonti istituzionali; servizi di emergenza come il 113 o il

118.

La segreteria di redazione è una struttura di supporto che segue il lavoro dei giornalisti, li aiuta nei

contatti seguendo contemporaneamente il vertice del giornale. Solitamente si svolgono due riunioni

di redazione: la prima mattutina (11.30-13.30) fatta dai redattori con il capo servizio e il capo

redattore, per decidere i temi da trattare ed incominciare l'impostazione delle pagine; la seconda

riunione è pomeridiana (16:00) a cui partecipano capiservizio, capiredattori, vicedirettori e direttore

per organizzare i pezzi in pagina, prima pagina ed eventuali cambi di rotta prima della stampa a

seconda dell'evoluzione dei fatti della giornata. In ultimo arrivano i pezzi degli inviati e dei

corrispondenti che hanno più tempo per scrivere e dipendono direttamente dal direttore editoriale.

Notizie del settimanale

Nella redazione di un settimanale le riunioni avvengono il primo giorno di lavoro dopo l'uscita del

numero, in cui vengono stabiliti i temi da trattare. La seconda riunione di redazione avviene il giorno

prima della chiusura del numero, per verificare se la messa in pagina delle notizie ha resistito alla

scadenza della settimana.

Notizie con flusso continuo

Per tutte le altre tipologie di redazione, dalla televisiva, alla radiofonica, da internet all'agenzia, è il

fattore tempo che determina la lavorazione delle notizie. Qui non c'è deadline, cioè il flusso delle

informazioni è continuo. Il ciclo della notizia in queste redazioni è continuo. Forniscono informazioni

consultabili in ogni momento, e per questo hanno bisogno della tempestiva aderenza ai fatti che

accadono. Producono una successione di informazioni aggiornate e per questo hanno tempistiche e

modalità lavorative diverse dalla carta stampata.

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Attualmente l'evoluzione del lavoro giornalistico nella sua convergenza nel Web ha decretato la fine

della deadline, cioè quel tempo limite oltre il quale la notizia, che arriva all'ultimo momento non

riesce ad andare in stampa perché le rotative sono già avviate. La deadline di una volta determinava

la vita o la morte di una notizia, l'essere o il non essere. Se arrivava in ritardo non sarebbe esistita il

giorno dopo.

Oggi, con le moderne concezioni di newsroom si arriva ad integrare una considerevole varietà di

media diversificati che efficacemente sono stati definiti crossmediali. La capacità lavorativa sulla

notizia di queste newsroom crossmediali, permette di ideare, realizzare, promuovere e distribuire su

più media e canali comunicativi contemporaneamente. In altre parole, le notizie, entrano in un

virtuale contenitore e sono lavorate sia nei contenuti che nella formattazione. La diversa

aggregazione dei contenuti permette alla notizia in uscita di essere veicolata su piattaforme

distributive di diversa natura: online, carta stampata, mobile, radio, Tv, digitale terrestre, satellite.

Sull'esempio dei grandi network internazionali come Cable News Network (Cnn) e Associated Press

Television News (Aptn) in possesso di avanzatissime newsroom, l'esempio italiano è NewsMediaset,

l'agenzia di stampa Mediaset. Una testata, formata da 90 giornalisti provenienti dalle redazioni di

Tg4, Studio Aperto, Tgcom, oltre a tutti i corrispondenti, che fornisce immagini e servizi a tutte le

strutture informative di Mediaset.

2.5 Essere o non essere? Questa è la notizia!

Il nuovo sito Web: e allora?

Questo genere di notizia non ha più avuto valore dal 1995 ad oggi. È un evento significativo per la

realtà direttamente coinvolta, ma bisogna saper ridimensionare la nostra dimensione quotidiana

lavorativa e calarla in un contesto sociale più ampio.

Farebbe notizia il sito che offre nuovi benefici e servizi introvabili da qualsiasi altra parte del web

come ad esempio:

Il sito www.interface-tech.com diffonde l'applicazione Facebook per la prenotazione in qualsiasi

hotel nel mondo. Si chiama RiservIT Hotel ciò che trasforma il sito dell'hotel, da statica vetrina in

canale social. L'installazione è rapida senza bisogno del supporto tecnico di Interface Technologies.

Riprogettazione e aggiornamenti: che noia!

Guardando il mondo della pubblicità ci sembra eccitante sulla confezione di un detersivo la

scritta“nuova formula potenziata”? Forse possono essere di qualche interesse i cambiamenti di

modelli nel fare commercio, ma non i ritocchi del trucco estetico di un sito.

23

Quando trattiamo invece delle nuove applicazioni per mobile o aggiornamenti di versioni dalla 2.0

alla 3.0, abbiamo maggior attenzione dai media. In questo caso la comunicazione può contenere:

descrizione del prodotto

dichiarazione sui vantaggi dell'ingresso del prodotto sul mercato

informazioni sul prodotto

informazioni sul prezzo

citazione di un'opinione del manager aziendale

come fanno i lettori ad ottenere il prodotto

descrizione dell'azienda produttrice

Testimonial

Tutto ciò che ruota intorno ad una celebrità fa notizia!

Partnership strategiche

L'acquisizione di clienti non fa notizia, ma quella di partner importanti sì. La stampa legge in questo

le implicazioni in termini di mercato e/o competitività.

Legami con la cronaca

I colleghi del dopolavoro hanno la passione per il teatro. Tutti lavorano all'ufficio centrale delle poste

a Milano. “Erika ed Omar” il titolo della prima in cartellone apre la stagione. Lo spettacolo

dilettantistico fa poca notizia già nelle città piccole, figuriamoci a Milano dove l'intrattenimento è

fortemente competitivo.

Ma è più di un mese che i telegiornali aprono con la notizia dell'omicidio e lo spettacolo risulta di

giusta angolazione per legarsi ad un tema nazionale che ha scosso tante persone.

Celebrazione ed anniversari

Le cifre tonde attirano l'attenzione dei media: milionesimo cliente, un milione di copie vendute in un

mese, e così via. Meglio però non abusare di questo principio o si rischia di perdere incisività.

Premi e riconoscimenti

Perché accontentarsi di essere dei bravi giocatori: possiamo inventarci di essere giudici della qualità

altrui. Indire un concorso o un premio di qualità in un certo settore porta immediatamente notorietà.

Assegnare premi fa notizia!

Beneficenza

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La raccolta fondi per malattie o per una causa sociale aiutano a canalizzare l'interesse dei media su

alcuni temi dando allo stesso tempo lustro ai promotori dell'iniziativa.

Implicazioni politiche

Gossip a parte, nelle controversie politiche che investono un settore industriale i leader di ogni

schieramento fanno sempre notizia, quando assumono posizioni nette.

Che cosa (non) fa notizia?

I bravi giornalisti hanno fiuto per i bidoni e non mangiano la foglia. Sono loro che dobbiamo

conquistare, quindi alleniamo il nostro sesto senso e mettiamoci ancora una volta nei loro panni.

Se si tratta di una società quotata in borsa, i cambi di una linea di prodotti possono essere di un certo

interesse per i media finanziari. Ecco un esempio “Mutui Poste Italiane 2011”. L'offerta dei prodotti

bancari di Poste Italiane si arricchisce sempre di più, non solo dei Buoni Fruttiferi Postali, dei conti

correnti postali, ma anche di diverse tipologie di Mutui Bancoposta, offerti per l'acquisto della prima

casa o finalizzato alla ristrutturazione dell'abitazione.

Editori, giornalisti e produttori determinano ciò che è notiziabile in base alle conoscenze che si sono

fatti dei loro lettori, ascoltatori e spettatori. Non è importante se noi pensiamo che un evento sia

notiziabile, ma è fondamentale individuare il portiere, cioè chi riceve al portone d'ingresso le notizie.

Se il portiere non è d'accordo non c'è modo di convincerlo del contrario. Quindi non si entra. Per

analizzare ciò che è notiziabile bisogna mettersi nei panni del pubblico e chiedersi come fa ad essere

seducente il mio accadimento per loro?

Bisogna avere delle caratteristiche precise e molti assi nella manica:

- un messaggio unico

- la notizia in esclusiva: mai prima d'ora

- un nuovo servizio per la comunità

- raccontare un fenomeno collettivo che genera una tendenza sociale

- l'angolazione locale di una notizia nazionale

Nel primo tsunami asiatico del 2004 è stata costruita dai media una percezione del disastro anche in

relazione agli effetti di ricaduta sull'economia di tanti paesi non direttamente toccati dal maremoto.

Una tragedia che ha fatto superare distanze e differenze politiche accrescendo i rapporti umanitari.

Ad esempio, l'intervento americano in Indonesia, il paese islamico più popoloso del mondo, è stato

un fatto straordinario, se si pensa che in una situazione normale i militari islamici locali non

avrebbero permesso al presidente Susilo nessun appoggio statunitense. Il presidente americano

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George W. Bush, riscattandosi dalle tensioni con il mondo islamico in seguito all'invasione dell'Iraq

del 2003, riuscì a condurre la più grande operazione delle forze armate statunitensi dalla guerra del

Vietnam, dirigendo la flotta navale nel sud-est asiatico con fini umanitari.

Costruire un bookmarks personalizzato

Un suggerimento pratico quando usiamo la rete è quello di memorizzare nel bookmarks del

computer, in una cartella specifica, tutti i link che utilizziamo quando lavoriamo per redigere un

articolo. Questo permette agevolmente di rintracciarli in caso di riferimento futuro. Molto spesso ci

sarà capitato di trovare il sito giusto nel momento sbagliato e dimenticarsi il suo indirizzo (url)

pentendosi di non averlo salvato in tempo.

La fantasia per aggregare informazioni non ha limiti. La struttura è quella di un albero con solide

radici piantate nel terreno ed una chioma aperta e ramificata.

Alcuni cyber giornalisti hanno strutturato sofisticati alberi di conoscenza attraverso l'organizzazione

del loro bookmarks.

All'addetto stampa che legge questo capitolo dedicato ai media e al loro funzionamento possiamo

dare un suggerimento di un utile esercizio.

Riempire con dei link appropriati le cartelle del proprio bookmarks che indicativamente si possono

intitolare:

Quotidiani nazionali

Quotidiani locali

Settimanali (familiari, benessere, generalisti, televisivi, politici, esteri, ecc.)

Tv (streaming, poadcast)

Radio (streaming, poadcast)

Agenzie di stampa italiane

Agenzie di stampa estere

Fonti istituzionali (Camera, Senato, Amministrazioni, ecc.)

Siti informazione

Gruppi di pressione e d'interesse

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3.OBIETTIVI E STRATEGIE DI UN UFFICIO STAMPA

3.1 Tattica e strategia

“La strategia è il compito principale delle organizzazioni, il suo studio non può essere accantonato”.

Così Sun Tzu, filosofo e generale cinese vissuto 2.500 anni fa, definisce la strategia nel più importante

ed insuperabile trattato su “L'arte della guerra”.

La strategia è la descrizione di un piano d'azione di lungo termine usato per impostare e

successivamente coordinare le azioni tese a raggiungere uno scopo preordinato. La strategia si

applica in tutti i campi in cui per raggiungere l'obiettivo sono necessarie una serie di azioni separate,

la cui scelta non è unica ed il cui esito è incerto.

La strategia si contrappone alla tattica, che invece ha lo scopo di pianificare meglio la singola azione

tenendo conto di tutti i vincoli pratici e contingenti. Nell'ambito della comunicazione la tattica

riguarda come condurre un'azione comunicativa, mentre la strategia riguarda il capire se l'azione

comunicativa può essere intrapresa oppure no.

Cambiare tattica in corso d'opera è possibile senza troppi problemi, anzi spesso è vantaggioso per

adattarsi a situazioni nuove. Cambiare strategia di solito è difficile e costoso, perché impone una

riorganizzazione profonda e la modifica o l'abbandono degli strumenti usati fino a quel momento.

Per alcuni la strategia è sostanzialmente una sequenza di decisioni, arricchite da vari strumenti di

analisi che possono essere messe nero su bianco in un documento. In realtà la strategia non è il

piano, ma il suo contenuto e la logica che sottende alla sequenza di decisioni descritte nel piano

stesso. In altre parole, il piano è la cornice che contiene la strategia.

Molto spesso accade che pur dichiarando i nostri intenti strategici, nella realtà ci discostiamo da

quanto abbiamo in precedenza programmato. Questo perché la strategia è un modello, cioè un

esempio da seguire più che un semplice piano.

La strategia possiamo immaginarla come un paraocchi, inteso non in senso negativo, ma come stato

mentale che serve a non distrarsi dall'obiettivo. Attraverso la strategia dettiamo le linee guida per la

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gestione di un’azienda, ma anche di un partito politico, oppure di un imprenditore, un Ente, o anche

di noi stessi, facendo riferimento all'idea che abbiamo di qualcosa, o di come dovrebbe essere nelle

nostre intenzioni. Questa prospettiva poi viene posizionata sul mercato attraverso la determinazione

reale di un messaggio.

Un addetto stampa non deve mai perdere di vista quelle che sono le reali e concrete aspettative

del suo committente. Per il raggiungimento degli obiettivi abbiamo a disposizione tanti modi e sta a

noi capire che cosa genera maggiori aspettative nel committente. Per questo è necessario

individuare la base di partenza con un messaggio chiaro che raggiunga obiettivi semplici, coerenti e a

lungo termine. Una volta che abbiamo individuato i temi, compreso minuziosamente l'ambiente

competitivo nel quale ci dobbiamo muovere, e abbiamo valutato obiettivamente le risorse a

disposizione, allora possiamo orientare tutti gli strumenti tattici a disposizione, cioè tutti i nostri

messaggi. Se nella campagna di comunicazione porteremo avanti il messaggio che abbiamo fissato

nella strategia, abbiamo ottenuto il nostro obiettivo al 100%.

3.2 Intervista a Nicola Bonaccini

Nicola Bonaccini è esperto in Media training e Public speaking. Sociologo, dopo la

specializzazione in Gestione delle Risorse umane, Nicola segue un percorso di formazione

internazionale per approfondire le dinamiche della comunicazione d'influenza a livello

politico e aziendale, che lo portano a stretto contatto con alcuni dei più importanti consulenti

del settore.

Presidente della Commissione per l'aggiornamento professionale di AICOP (Associazione

Italiana Consulenti Politici e Public Affairs) ha al proprio attivo circa 9500 ore d'aula formando

profili che spaziano dai delegati ONU (World Food Program) allo Stato Maggiore dell'Esercito

Italiano, dal Presidente della Commissione parlamentare al Deputato, dall'imprenditore al

manager.

Chi è l'addetto stampa? Con chi comunica?

L'addetto stampa non è un libero pensatore, ma un tecnico, cioè non pensa alle idee ma a come

comunicare le idee, che a volte, per loro natura sono incomunicabili. In questi casi uno dei suoi

compiti è far capire al proprio interlocutore, non solo che l'idea è incomunicabile, ma è anche

inopportuna.

L'obiettivo dell'addetto stampa non riguarda la decisione del messaggio che un'azienda veicola

all'interno della propria campagna di comunicazione, ma riguarda i modi per far arrivare un

determinato messaggio, per far ottenere dei risultati a chi quel messaggio lo ha commissionato.

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Quando è efficace la comunicazione?

La comunicazione è efficace quando, non solo il messaggio arriva al destinatario, ma una volta

arrivato ottiene un risultato. Prendiamo ad esempio il messaggio elettorale. Ottenere un risultato

significa migliorare grazie a quel messaggio l'ottenimento dei voti per il candidato che

professionalmente stiamo seguendo. Nel caso di un messaggio aziendale, invece, dipende da quale

tipologia di campagna prendiamo in considerazione. L'efficacia in questo caso, mira ad ottenere un

risultato positivo all'interno di un determinato evento.

A questo proposito è necessario distinguere i messaggi dalla semplice comunicazione, cioè il semplice

messaggio prodotto da un'emittente verso un destinatario. Questo è piuttosto riduttivo, soprattutto

oggi, quando i messaggi sono in sovrabbondanza. L'unico obiettivo della comunicazione è quello di

essere efficace, cioè arrivare al destinatario, generando in questo destinatario, o in altri destinatari,

un risultato positivo per noi.

È l'addetto stampa che determina gli obiettivi finali della comunicazione, oppure è colui che studia

la manovra migliore per ottenere il consenso in maniera sostenibile?

In senso stretto non è l'addetto stampa a determinare gli obiettivi della comunicazione. Gli obiettivi

sono qualcosa di superiore, ovvero arrivano dal committente, dal capo, da chi nella struttura

gerarchica decide i messaggi. Certamente l'addetto stampa ha un ruolo da protagonista in questo

senso, perché si occupa di definire, assieme al committente, il messaggio in modo che sia comunicato

al meglio.

Non si limita, quindi, a prendere e spostare il messaggio così come gli viene presentato, ma cerca di

concordare con il committente i modi migliori per far arrivare i messaggi all'obiettivo di

comunicazione. In questo senso è un protagonista. Lavora sul messaggio attraverso una serie di

passaggi, facendo in modo che il messaggio non subisca distorsioni e non abbia ostacoli nella sua

diffusione.

Inoltre, l'addetto stampa, in alcuni specifici lavori, può svolgere compiti di coordinatore, cioè

concordando quale sarà il messaggio più opportuno per arrivare ad un obiettivo ben preciso.

Fare l'addetto stampa significa maneggiare gli strumenti tattici: il comunicato stampa, la

conferenza stampa, la cartella stampa. C'è dell'altro?

Indubbiamente tutta quella parte non ancora nelle bibliografie, di cui si parla fin troppo poco:

internet. Article marketing, posizionamento su internet, e tutte quelle micro attività, che ora si

mescolano con l'attività del marketing e vanno a definire una nuova forma di comunicazione, una

sorta di ufficio stampa online.

L'addetto stampa non è solo chi scrive il comunicato e organizza l'evento, ma è anche quello che

utilizza strumenti alternativi con l'obiettivo di raggiungere il più possibile il target destinatario. Per

questa ragione l'addetto stampa può essere chi cura il sito internet, chi cura una determinata

newsletter, chi invece, la scrittura di determinati articoli, che non esisterebbero di per se stessi, ma

che vengono scritti con l'obiettivo di essere riconoscibili su internet.

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Quando gli utenti andranno a cercare un nome, o determinate parole chiave, troveranno degli

articoli scritti ad hoc proprio per quella strategia. Questo è anche uno dei nuovi compiti dell'addetto

stampa. I cosiddetti addetti stampa 2.0.

Come si costruisce la strategia? Su cosa bisogna focalizzare?

La strategia di comunicazione è molto più importante degli strumenti tattici. La tattica non può

esistere se non c'è una strategia alla base. Purtroppo, trovandomi a fare il docente in diversi corsi di

formazione che riguardano la comunicazione efficace, il Public Speaking, la comunicazione

d'influenza, trovo che tante volte, anche addetti stampa professionisti hanno una sorta di problema:

pensano troppo con la propria testa e troppo poco con la testa del committente.

Molto spesso infatti subentrano difficoltà quando il committente ha un'idea e l'addetto stampa ne

ha un'altra, anche basata sull'esperienza dei fatti, quindi teoricamente logica e corretta. Il problema

sembra essere strettamente legato alla strategia. Mi spiego: il committente ha un aspettativa ed è un

suo obiettivo, un suo compito, un suo dovere avere un aspettativa rispetto ad una campagna. Come

dire, non avrebbe senso raggiungere degli obiettivi che non sono ritenuti idonei dal committente.

In questo senso la strategia altro non è che la determinazione reale di un messaggio. Per reale

intendiamo vero, concreto, molto pragmatico. Se il nostro committente ci sta chiedendo di arrivare

ad un determinato obiettivo, possiamo raggiungerlo in tanti modi. Per individuare qual è il modo

migliore, dobbiamo cercare di capire che cosa genera maggiori aspettative nel committente.

In tal senso è sufficiente la domanda: “Scusi capo, direttore, onorevole, dirigente, cosa dovrebbe

succedere per far sì che una volta finita la campagna, lei si guardi indietro, legga la rassegna stampa

ecc. e possa definire quella campagna come perfettamente azzeccata, un risultato perfettamente

ottenuto?”. Noteremo che i committenti hanno un'idea di come è la campagna e come dovrebbe

essere il messaggio. Quelli sono indizi molto importanti.

Tempo fa ho seguito la comunicazione per la celebrazione di un centenario importante per

un'azienda. Noi professionisti dello staff, abbiamo impiegato molto tempo con l'amministratore

delegato ed il presidente di questa azienda per definire il messaggio finale. Molto spesso il

presidente e l'amministratore delegato sono persone estremamente competenti, ma non nel campo

della comunicazione. Lo svantaggio che incontrano gli addetti stampa è nella difficoltà di queste

persone, molto colte, molto competenti, molto rispettabili nel loro lavoro, che non sanno dettagliare

le loro aspettative nella comunicazione.

In questo caso, una lunga intervista permette di capire qual è il reale obiettivo e la reale

aspettativa del nostro committente. Da lì si parte per individuare le parole chiave che definiscono il

messaggio, tenendo conto delle aspettative del committente. Possiamo utilizzare domande che

proiettano in avanti il lavoro che andremo a svolgere. Ad esempio, “Conclusa la campagna, nel

rileggere la rassegna stampa, quale messaggio determinerà la nostra contentezza nell'essere

percepiti in questo modo? Di cosa devono parlare gli articoli per far sì che noi siamo perfettamente

soddisfatti?”. Avrete preso una marea di indizi, che renderanno la campagna tattica, molto, molto più

semplice.

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Quando noi facemmo quell'intervista al presidente per capire quale fosse l'obiettivo che voleva

raggiungere nella celebrazione del centenario dell'azienda, è emersa la parola “stabilità”. Quella

parola è diventata il filo rosso che poi ha definito tutta quanta la campagna di comunicazione.

Cioè, dovevamo comunicare alla gente, alle persone, ai dipendenti ecc., che l'azienda nonostante

tanti anni di attività, nonostante quel periodo di crisi dei mercati, era un azienda stabile. In altre

parole, abbiamo sostenuto che qualunque tipo di problema che si sarebbe presentato dall'esterno

verso l'azienda, non avrebbe in alcun modo scalfito la tradizione, la solidità finanziaria e la capacità

dei manager nel procedere avanti versi il futuro, in maniera molto tranquilla.

Pensiamo a quanto sia stata importante l'intervista. Avremmo potuto parlare di un centenario,

probabilmente attraverso la tradizione, ma anche utilizzando il futuro, e perché no, le nuove sfide.

Proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo se noi avessimo impostato una campagna sulle

“nuove sfide”? Avremmo lavorato su qualcosa di molto diverso rispetto al senso di “stabilità”.

L'addetto stampa non deve commettere mai l'errore di portare avanti, non solo una campagna di

comunicazione che parla di altro, ma che stride fortemente con l'obiettivo e le aspettative del

proprio cliente. Sebbene otteniamo risultati, con l'uscita di articoli, grandi rassegne stampa, grossi

contatti, ci ritroviamo con chi voleva quella campagna estremamente insoddisfatto. Le sue

aspettative sono state mancate.

Tante volte il committente non conosce nel dettaglio queste aspettative. In questo caso è

fondamentale capire qual è la nostra base di partenza, qual è il fondamento, qual è l'idea che per noi

in quei giorni dovrà diventare una bandiera. Poi, su questi temi, orientare tutti gli strumenti tattici,

cioè tutti i messaggi. Se raggiungiamo questo, se la campagna di comunicazione che si andrà a

sostenere e poi concludere, porterà avanti proprio il messaggio fissato nella strategia, abbiamo

ottenuto il nostro obiettivo al 100%.

Tutto ciò significa che l'addetto stampa verso il suo cliente è uno yes man?

Il rapporto addetto stampa/cliente è sempre un rapporto di “amore-odio”. Perché l'addetto stampa

vorrebbe fare e dire di tutto, mentre molto spesso il committente tende, o a non considerare questo

tipo di lavoro, oppure molto spesso ad ostacolarlo, ritenendo il lavoro dell'addetto stampa un po'

sopra le righe. Soprattutto quando tendiamo a voler essere creativi, a voler inventare slogan,

messaggi, a voler essere un po' trasgressivi per far bucare il nostro messaggio.

L'addetto stampa deve avere un ottima capacità diplomatica, cioè una capacità di adattamento

all'interno delle situazioni.

Lungi da me dire che l'addetto stampa è uno yes man, cioè uno che dice sempre sì. L'addetto stampa

potrebbe essere definito con l'espressione “sì concordo, ma aggiungerei...”. Quindi, una persona che

asseconda le esigenze del proprio committente rispettandole, che però intende anche intervenire

all'interno di questa comunicazione. Il modo migliore è quello di lavorare sul piano razionale.

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Il nostro obiettivo è quello di ottenere risultati e far ottenere risultati al nostro cliente. A volte far

capire al cliente che quell'idea è molto interessante, eccellente, ben pensata, ma non porterà ai

risultati che ci aspettiamo, può essere utile.

Accompagnandolo nella comprensione di quelli che possono essere i punti deboli, ma soprattutto

solleticando le sue paure, molto probabilmente riusciremo ad arrivare al nostro modo di vedere la

campagna di comunicazione, ed orientarne il risultato.

Come fa l'addetto stampa a dare il massimo nel suo lavoro senza esserne innamorato?

Non ha alcun senso innamorarsi di determinate idee. Anzi meglio, possiamo esserne innamorati, ma

non è affar nostro e non è affare altrui.

L'addetto stampa è un professionista che si muove con il preciso obiettivo di prendere il messaggio

del proprio cliente, farlo arrivare in maniera efficace fino ai destinatari, generando in loro un'azione

positiva. Qui, è il caso di aprire una breve parentesi sull'etica della professione.

Per quanto mi riguarda, sono convinto che non tutti i messaggi possono essere veicolati nella

comunicazione. Poiché, se ben utilizzati, le tecniche e gli strumenti di comunicazione possono far

ottenere enormi risultati, purtroppo anche negativi o svantaggiosi per chi poi riceve quei messaggi.

Provate a pensare a tutte quelle truffe comunicative, telematiche, a tutte quelle offerte e quelle

promesse che nascondono delle vere e proprie fregature.

Il confine etico dell'addetto stampa professionista dovrebbe essere ben delineato e preciso.

Occupandomi da anni di comunicazione politica, ritengo che nonostante io abbia delle idee ben

precise sulla politica, nonostante sappia per chi voto e perché lo voto, posso tranquillamente, come

tecnico, lavorare con professionalità per chi ha idee di sinistra, per chi ha idee di destra, di centro o

come le vogliamo chiamare nel gergo moderno.

Il problema però è che a volte esistono messaggi di estrema destra e di estrema sinistra, che a mio

modo di vedere non sono politici, ma più che altro di una rivoluzione che non condivido. Tra l'altro,

non portano avanti un pensiero per il bene della società e per il bene comune. Delineare un preciso

confine etico significa per l'addetto stampa capire dove si ci può fermare.

La capacità diplomatica non significa mettersi nei panni del committente e nemmeno catturare la sua

benevolenza. Significa fare un lavoro preciso e serio. Se proprio dobbiamo innamorarci, lo possiamo

fare con il messaggio, e più che altro, del modo di comunicare quel messaggio. Questa è la

caratteristica dell'addetto stampa professionista, che non entra nel merito delle idee una volta fatto

quel check etico.

L'era berlusconiana ha fissato dei capisaldi nella comunicazione imprimendo nell'immaginario

collettivo queste associazioni: il partito-azienda, la scuola-azienda, ecc. Le figure di riferimento

nella consulenza aziendale come in quella politica sono interscambiabili? In altre parole, fare il

consulente di comunicazione per un politico è la stessa cosa che farlo per un capitano d'azienda?

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Pensare che la comunicazione, saturata negli ultimi anni dal cosiddetto marketing, sia un modo per

dire che vendere un'idea è uguale a vendere un prodotto, lo ritengo francamente abbastanza

riduttivo.

All'atto pratico, non è così che si procede. Fino a qualche tempo fa, il così detto messaggio subdolo,

che tenta di convincere qualcuno, era appannaggio della pubblicità, del lavoro delle aziende, di chi

vendeva i prodotti, e di chi voleva convincere a comprare qualcosa in quel momento di cui non

sentivamo il bisogno.

Quando il marketing è entrato nella politica, ed ha inventato il così detto marketing politico, molte

delle attività del marketing classico e della comunicazione tradizionale sono state portate all'interno

di un settore che non vende prodotti, ma qualcosa di altro: immagini, idee, valori. Vende, tra l'altro, è

un termine improprio, perché non c'è nessuno che compra. Diciamo pure che propone, sensibilizza,

crea un'idea.

Anche in questo caso, bisogna sempre chiarire chi utilizza il marketing politico spinto, ovvero

quell'idea in cui si promette di tutto pur di ottenere il voto. Questo ci riporta a quanto dicevamo

prima, sul valicare quel limite etico, improponibile per un professionista.

Promettere di tutto, non significa essere dei bravi comunicatori, soprattutto perché quelle

promesse spesso non vengono mantenute e lo sapevamo già a priori.

Qualche anno fa, una grossa agenzia pubblicitaria multinazionale seguì una campagna elettorale

molto importante. Era quella di Margaret Thatcher, che voleva essere eletta come primo ministro

inglese. Fu una campagna memorabile, che molti libri ancora citano. Margaret Thatcher vinse le

elezioni.

Lo slogan fu “Labour isn't working” cioè il gioco di parole tra, io sono una conservatrice, loro sono

laburisti, il labour non funziona, ma c'è anche un grosso problema nel lavoro. Quella campagna fu

ideata da chi vendeva pannolini, maionese, cracker, cioè essenzialmente prodotti. Erano tecnici

pubblicitari. Da lì, si capì che la pubblicità, in un certo tipo di comunicazione, poteva ottenere risultati

anche per chi proponeva idee, contribuendo alla costruzione di una certa immagine per un candidato

politico.

C'è un confine diverso tra fare marketing politico e fare marketing commerciale. I due ambiti sono

estremamente differenti. A volte le modalità sono simili, ma non possiamo paragonare un pacchetto

di cracker con un'idea per cambiare il Paese.

Ci può spiegare perché una campagna elettorale è più efficace quando diventa permanente?

Definire una campagna elettorale permanente significa utilizzare un termine improprio. La campagna

elettorale è un'attività che mira all'elezione di uno specifico candidato, svolta in un tempo

circoscritto. In gergo “campagna elettorale permanente” significa analizzare se il messaggio

elettorale è coerente e congruente.

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Durante le campagne elettorali, che sono sempre meno efficaci, si fanno promesse di tutti i tipi. Il

politico di turno, che vorrebbe essere eletto o rieletto è vicinissimo ai cittadini, si fa trovare a tutte le

feste e tutti i convegni, parla con tutti, addirittura mette il suo cellulare sui manifesti. Come dire: “mi

potete trovare e reperire a ogni giorno e a ogni ora di questo giorno”. Facendo poi, un controllo dopo

le elezioni, che siano eletti o che non lo siano più, quel cellulare viene puntualmente disdetto. Basta

osservare anche internet, i blog e i siti dei candidati: dopo le elezioni muoiono. Addirittura non

vengono neanche levati dal web. Rimangono visibili sulla rete con notizie non aggiornate, magari con

commenti negativi sui loro forum, a sottolineare lo stato di abbandono. Quasi che non sia più loro

competenza. Questo ci comunica un messaggio assolutamente incongruente.

La “campagna permanente” altro non è che un'azione di rafforzamento continuo ad un certo tipo di

messaggio. Solo in questo modo riusciamo a convincere della coerenza di cui siamo portatori.

Questa è una modalità piuttosto semplice da realizzare, ricordando che la comunicazione non esiste

solo in campagna elettorale. Il politico, che viene eletto con un determinato programma, deve

utilizzare al meglio, il canale della comunicazione a sua disposizione con delle buone campagne di

comunicazione durante tutta la durata del suo mandato. È opportuno che il candidato lavori da

subito per la sua rielezione e riconferma, mantenendo un rapporto costante con i cittadini,

comunicando i risultati ottenuti, oltre che tutte le iniziative che sta portando avanti.

Le campagne di comunicazione non devono concentrarsi solo nel momento elettorale. Nel

momento delle elezioni faccio delle promesse, poi successivamente ottengo i risultati promessi.

Comunicarlo significa dare un'immagine di coerenza e di affidabilità. Chi riesce a ottenere questo, ha

molte buone possibilità di venire rieletto.

Ecco perché molto spesso alcuni sindaci o alcuni deputati, spendono budget molto limitati per la

campagna elettorale, verificabile con i sondaggi che fanno vedere come la fiducia dei cittadini sia

talmente aumentata, che poi quel messaggio sarebbe ridondante e superfluo.

Ricordo vari casi di elezioni e di campagne così dette permanenti, come il caso del sindaco Albertini a

Milano, il caso del sindaco Veltroni a Roma, l'attuale caso della presidente regionale Polverini, qui nel

Lazio. Per dare un dettaglio veloce: Albertini a Milano ammise di aver speso pochi soldi, circa 18 mila

euro per la conferma alla sua candidatura di sindaco, quindi la rielezione. Nei quattro anni da

sindaco, era riuscito a comunicare al meglio le proprie attività, e i sondaggi davano un ottimo

consenso da parte dei cittadini. Quindi, una campagna elettorale ulteriore, costosa, con tanti

messaggi, con tanti dibattiti e manifesti, sarebbe stata assolutamente di cattivo gusto e troppo

costosa e ridondante.

Cosa che non hanno fatto il sindaco Moratti ad esempio, o il sindaco Fassino, o altri che hanno speso

budget milionari nella più recente campagna elettorale, purtroppo non ottenendo risultati. Come

dire, se quel budget lo avessero spalmato - non nel caso di Fassino che è stato nuovamente eletto,

ma nel caso della Moratti - se quel budget lo avessero spalmato negli anni per comunicare i loro

risultati positivi, probabilmente le elezioni sarebbero state più facili e magari avrebbero portato a

risultati diversi. Nel caso del sindaco Veltroni, quando ci furono le elezioni a Roma per la sua

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riconferma di sindaco, prima di cedere il testimone a Rutelli per diventare il segretario del Pd, il

confronto con Alemanno non si poneva.

Veltroni aveva svolto durante il suo mandato di sindaco una campagna permanente, con una

presenza costante di contatto con i cittadini, svolgendo attività di comunicazione ben dosate ed

eccellenti su vari settori. Pensate ai libri scritti da Veltroni negli anni, tutte le campagne sulla cultura,

sul festival del cinema, che lo portarono diremmo in gergo, alla così detta “maggioranza bulgara” dei

consensi, proprio perché il cittadino percepiva un sindaco molto vicino e presente. Ovviamente,

questo è merito di quella comunicazione che ha fatto sì che i risultati ottenuti, tanti o pochi, fossero

comunicati al meglio.

Così è per le attuali campagne della presidente Polverini, che mirano ogni volta ad evidenziare la

vicinanza della Regione e della presidentessa stessa della Regione. La campagna “Mi state a cuore”,

ad esempio, che evidenzia gli sgravi, gli incentivi, le possibilità dedicate a vari settori come le donne, i

giovani, i creativi, le nuove imprese, ha il preciso obiettivo di far percepire che la Regione è attenta

verso i cittadini. Se tutto questo è fatto casualmente, allora si è fortunati. Probabilmente c'è qualche

persona competente al timone di quel reparto comunicazione, che sa che non basta promettere, ma

nel momento in cui si ottengono risultati è bene farli sapere. Il livello di consenso in quel modo

migliorerà notevolmente.

Riepilogando, i casi sono molti, ma comunicare elettoralmente in modo permanente è un bisticcio di

termini. La campagna elettorale è un momento circoscritto dove si chiede il voto. Il politico

immediatamente dopo la campagna elettorale dovrebbe seguire una campagna di comunicazione

con l'obiettivo di rafforzare la fiducia dei cittadini, dando conferma che i propri messaggi e le proprie

promesse sono coerenti e congruenti con il risultati ottenuti.

Volendo mettere in guardia i suoi futuri colleghi dalle insidie del lavoro di addetto stampa in Italia,

ci elenca tre problematiche ricorrenti che spesso incontra fornendo una soluzione possibile?

Dal punto di vista della comunicazione è ragionevole definire l'Italia come un Paese “singolare”.

Avremmo dovuto inventare noi la comunicazione. Il nostro è un Paese che ha una grande storia di

oratori, pensiamo a Cicerone. Oggi, ogni addetto stampa dovrebbe leggere il De Oratore di

Cicerone. Vi stupirete, ma nel dettaglio sembra di leggere un testo di comunicazione moderna.

Soprattutto dovrebbero leggerlo i comunicatori in pubblico, quelle persone che si trovano davanti a

qualcuno ed hanno l'obbligo di spiegare le proprie idee con la capacità e la possibilità anche di

convincerli. A parte questo, l'Italia, nell'ambito della comunicazione e del nostro lavoro di ufficio

stampa, ha tre problematiche che devono essere affrontate.

La prima problematica riguarda la mancanza di formazione. Il nostro è un lavoro che troppo spesso si

impara sempre e solo sul campo. Troppo spesso, perché esistono miriadi di facoltà, insegnamenti,

corsi ecc. che parlano di come funzioni un ufficio stampa, ma poi sono pochissimi quei corsi che nel

dettaglio spiegano cosa debba fare realmente un addetto stampa.

La mancanza di formazione è data da una serie di corti circuiti presenti nel nostro Paese. Nel 2000 il

governo tramite il Parlamento realizzò una legge, la cosiddetta Legge Bassanini, Legge 150/2000, che

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creava la figura del comunicatore pubblico all'interno della Pubblica Amministrazione. Purtroppo

l'assenza di fondi economici, fece sì che il comunicatore pubblico, anziché venire assunto

dall'esterno, cercando tra le varie professionalità del settore, e quindi giornalisti, addetti stampa con

esperienza, venne invece selezionato con avanzamenti interni del personale delle stesse

amministrazioni.

Appare strano immaginare come questi enti pubblici, che non avevano mai comunicato, o assunto

personale fino a quel momento, tramite concorsi dove non erano necessari titoli legati all'esperienza

della comunicazione, facevano avanzare il personale interno non formato in questa professionalità.

Risulta difficile pensare come alcuni funzionari, con capacità e competenze tecniche in altri settori,

siano potuti diventare addetti stampa, addirittura efficaci. Questo è successo. Pochi di questi addetti

stampa di nuova nomina hanno avuto la buona scelta o l'umiltà di tornare all'università scegliendo

corsi specialistici per imparare quel determinato lavoro. Magari hanno letto libri, che purtroppo

scarseggiano anche in questo caso in Italia. La poca formazione porta sempre a tanta

approssimazione.

Il consiglio che in questo caso si può dare è studiare, studiare, studiare. Imparare dall'esperienza va

molto bene, ma soprattutto imparare modelli precisi. Il nostro è un Paese che non può chiudersi in se

stesso nel campo della comunicazione. Allora, perché no, ogni tanto un salto oltre le Alpi, ma anche

oltre oceano. Imparare qualche lingua straniera strategica tipo l'inglese, che ci permette di leggere

testi. Imparare case history, comprendere nuovi strumenti per imparare a fare meglio la nostra

professione in maniera sempre più utile e tecnicamente molto più efficace.

La seconda problematica è legata alla poca cultura della comunicazione. Questo fa ancora più

stupire rispetto alla poca formazione. Molto spesso la comunicazione, soprattutto nelle aziende, è un

po' la cenerentola. Se si pensa al budget che le aziende spendono in pubblicità, e quanto è inferiore il

budget speso in publicity, cioè l'attività degli addetti stampa, allora si capisce come la

comunicazione è relegata in un cantuccio, ovvero “se c'è budget lo facciamo, altrimenti possiamo

anche evitare”.

Questo porta ad una serie di problematiche. La pubblicità comunica direttamente, essendo legata ad

una performance commerciale momentanea, cioè il prodotto viene venduto quando si fa pubblicità,

altrimenti non viene venduto. È chiaro che, se la pubblicità su un prodotto di largo consumo viene

fatta in maniera martellante per tanti anni, come ad esempio la Nutella, risulta evidente che la

Ferrero pur sospendendo per un anno i suoi spot, venderebbe ugualmente. Questo perché, nella

nostra testa e nella nostra pancia, la Nutella è affermata come qualcosa di molto buono e gustoso.

Il problema sembra essere un altro, cioè che oggi le aziende hanno difficoltà a guardare nel lungo

termine, non avendo ancora capito cosa significhi costruire un marchio, cosa significhi entrare nella

testa del consumatore, e perché no, anche nella testa dell'elettore, del finanziatore di iniziative

pubbliche, dei filantropi, ecc.

Per entrare nella testa delle persone è necessario costruire una determinata immagine. Quello che

oltre oceano chiamano branding, viene costruito molto di più dalle campagne di comunicazione, che

non dalla pubblicità.

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Non so se vi è mai capitato di avere una maggior attenzione verso un articolo che parla di un

prodotto, rispetto ad una pubblicità dello stesso prodotto.

Sebbene, attraverso un buon articolo, siamo portati a pensare che anche il prodotto sia buono, molto

spesso non è proprio così. Probabilmente quel prodotto è molto buono, ma l'articolo ne parla in

maniera positiva, non solo perché la sua qualità è eccellente, ma anche perché chi scrive è stato

indirizzato, cioè sensibilizzato da un addetto stampa. Come dire, se io non avessi chiamato e invitato

il giornalista a fare una visita in azienda, non gli avessi chiesto di provare il prodotto, di dare un

parere con una prova del prodotto, o semplicemente non avessi creato un evento in cui si presentava

quel determinato prodotto, l'articolo non sarebbe uscito.

Ecco perché chi si occupa di comunicazione ha un ruolo importante di costruzione dell'immagine e

nel sensibilizzare verso questo tipo d'immagine. L'indirizzare giornalisti o redattori verso un prodotto

non può dare una performance commerciale al prodotto nel breve termine.

Tanto è vero che se oggi esce uno spot in televisione, domani riesco a misurare quanto sono

aumentate le vendite del prodotto, ma questo non posso misurarlo nello stesso modo come quando

si veicola un prodotto attraverso un evento o una campagna di comunicazione. È ragionevole

pensare che questo tipo di azioni diano degli ottimi risultati nel lungo termine con un risparmio

inimmaginabile di budget dedicato.

Oggi, per l'acquisto di mezza pagina pubblicitaria su un quotidiano di larga distribuzione nazionale

spendiamo 30-40 mila euro. Questa spesa è probabilmente lo stipendio annuale di un buon addetto

stampa. Non advertising per un solo giorno, ma publicity per 365 giorni l'anno con l'attività di una

persona preparata e competente, che ha l'obiettivo di lavorare sui diversi fronti guardano nel lungo

termine.

Suggerire che cosa fare per la poca cultura della comunicazione diventa molto difficile. Bisognerebbe

fare una rivoluzione culturale importante. L'elemento culturale non si ottiene solo con una manovra

o una legge. A questo proposito anche l'Ordine dei Giornalisti si è accorto di queste nuove esigenze

creando il Gruppo degli addetti stampa dell'Ordine, il così detto GUS. Da lì partono una serie di

iniziative rivolte a parificare il ruolo degli addetti stampa con quello dei giornalisti, due professioni

molto simili per non dire complementari. Lo sforzo culturale è enorme. Non si può dire che la scelta o

le scelte fatte in questo periodo sono state buone e positive. Lo vedremo solo tra qualche anno.

La mia terza osservazione riguarda il mondo italiano. Il nostro Paese è molto singolare, perché se nei

paesi anglosassoni volessimo cercare lavoro in altre aziende lo troveremmo in maniera molto più

semplice, non essendoci una concentrazione editoriale così forte come da noi. In Italia il gruppo

Mediaset e il Gruppo Espresso sono i due grandi monopolisti della comunicazione italiana.

Da una parte, un gruppo molto connotato dal punto di vista televisivo, dall'altro un gruppo molto

connotato nella stampa cartacea. Entrambi riescono ad inglobare tutta quella che è la comunicazione

di larga distribuzione, sia nella televisione, sia nelle edicole quando compriamo i giornali.

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In che modo il duopolio editoriale Mediaset/Gruppo Espresso condiziona il lavoro dell'addetto

stampa?

In Italia c'è bisogno non solo della “bontà della notizia”, ma anche della “bontà della relazione”. Il

lavoro dell'addetto stampa è già di per sè un lavoro di relazioni, di rapporto diplomatico e cordiale

con gli editor, gli addetti stampa, i redattori, i giornalisti, quindi con un grande settore che raggruppa

diverse professionalità.

Nel nostro paese la relazione è ancora più importante. Teoricamente dovrebbe essere solo la notizia

ad essere protagonista, praticamente non è solo questo. C'è come un muro, un grosso filtro che fa si

che alcune notizie passino ad altre non passino.

Bisogna studiare qual è il sistema editoriale e capire come inserirsi nella maniera più eccellente. Il

consiglio è quello di sviluppare relazioni positive, cioè un rapporto di professionalità positiva con i

giornalisti. Evitare notizie false, giochi di comunicazione. Evitare tutto ciò che può distruggere un

rapporto. Se all'interno del vostro cerchio di amicizie voleste creare un rapporto positivo con una

persona che ritenete di valore, direste sempre la verità? Invitereste un vostro amico ad un evento

sapendo che quell'argomento lo interesserà sicuramente?

Nel momento in cui la mia carriera va avanti, devo essere sicuro di riuscire ad intessere relazioni

positive con tutto il sistema editoriale. Questo lo si fa attraverso la massima attenzione verso la

professionalità altrui. Non basta farsi vivi solo quando abbiamo bisogno. Il rapporto va intensificato

trattando il giornalista come fosse un amico, e non come una persona che strumentalmente ci sta

servendo in quella o per quella situazione.

Un caso assolutamente negativo che ha distrutto i rapporti professionali che potevano instaurarsi

con molte testate, e con molti media italiani, è quello di un giornale online che fu creato ad hoc da un

comunicatore anche piuttosto conosciuto, ma che serviva solamente a dare idea falsa di un

posizionamento su internet.

Ovvero, io oggi potrei aprire un qualsiasi sito internet spacciandolo per una testa giornalistica vera e

propria. Tramite quel giornale, che è sotto il mio controllo, quindi non ha bisogno di un vaglio del

direttore, è sufficiente pubblicare una notizia falsa e veicolarla nella maniera giusta. In quel modo,

immediatamente, da quella fonte originano una serie di bufale. Se vengono ben veicolate, fanno si

che il mio cliente domani si trova sulle prime pagine con una notizia che permette di promuovere al

meglio il suo marchio.

Ci può fare un esempio di fonte telematica che nella diffusione di false notizie genera l'effetto

domino?

Qualcuno diceva che George Clooney non voleva più sposare Elisabetta Canalis, perché lei voleva

sposarsi assolutamente su una nave da crociera, di un determinato marchio. Guarda caso andando a

spulciare, il giornale è intestato ad una determinata agenzia di comunicazione, che ha fra i propri

clienti proprio quell'azienda che propone crociere. Elisabetta Canalis e George Clooney intervistati

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hanno smentito categoricamente sia l'idea di sposarsi, sia l'idea di fare una crociera, e che comunque

non avevano litigato per il posto specifico in quella nave da crociera.

Questa bufala ha fatto sì che la notizia fosse falsa, che il marchio del cliente in un primo momento

fosse promosso come un marchio dei vip, cioè i personaggi famosi si sposano su questa nave da

crociera. Secondariamente è stato fortemente danneggiato con la scoperta della bufala.

Sempre questa agenzia di comunicazione si inventò che il magnate russo fidanzato di Naomi

Campbell non voleva più avere rapporti amorosi nella camera da letto con questa bellissima signora,

perché era troppo impegnato a giocare al suo hobby preferito che era il poker online. Ovviamente su

un determinato sito. Probabilmente, basta andare a vedere chi è il proprietario della testata, chi è

l'agenzia che promuove quel sito di poker per scoprire il gioco.

Questo non è un mio racconto, ma un servizio apparso in televisione alle Iene, dove la professionalità

di questo signore non era neanche stata vagliata. I fatti hanno determinato che si scoprisse il

meccanismo del castello di carta basato su falsità che potevano benissimo essere evitate. Qui, il

confine etico è stato fortemente prevaricato, ma soprattutto non c'è stato nessun tipo di rispetto

verso il cliente, verso chi veniva citato. Non c'è alcuno scrupolo nel mandare in giro notizie

paradossalmente innocue, però false ed irrispettose verso i destinatari.

Il filtro del giornalista non deve essere sempre prevaricato per via della relazione, ma deve essere

rispettato. Se costruite delle relazioni positive, e rispettose della professionalità di entrambi, nel

lungo termine si ottengono risultati, anche in un paese in cui non è solo la notizia ad essere

protagonista della comunicazione.

Che cosa è il messaggio subliminale contenuto nella campagna di comunicazione. Ci fa un esempio

pratico?

Il temine messaggio subliminale ha iniziato a farci paura qualche anno fa. Erano gli anni '70. Qualcuno

inventò i microfotogrammi che venivano proiettati al cinema, all'interno dei film. Avevano

un'efficacia scientifica, ovvero servivano a risvegliare il cervello rettile nelle persone, quello dei

bisogni più elementari, fondamentali, bere, mangiare, ecc.

Se all'interno di un film che sto proiettando al cinema, aggiungo un fotogramma subliminale sotto

una soglia di percezione, la mente dello spettatore la percepisce ugualmente attraverso altri canali.

Cioè, pur passando attraverso la vista, innesca dei condizionamenti nel livello subcosciente. Lo

scrittore Vance Packard, scrisse negli anni '70 “I persuasori occulti” dove parlava di case history di

questo tipo. I messaggi subliminali vennero proibiti. Si riteneva che mandare questi fotogrammi

potesse limitare la libertà personale di scegliere un determinato prodotto o avere un determinato

bisogno.

Non volevamo allora, e non vogliamo adesso ricevere condizionamenti esterni. Quindi, il messaggio

subliminale si è trasformato negli anni diventando product placement. Nei film degli anni '80, ad

esempio, sono stati proibiti alcuni prodotti: il protagonista si accende una sigaretta, che

un'inquadratura ben posizionata sul pacchetto di sigarette ne mette in evidenza la marca. Oppure

bevendo un determinato whisky, l'etichetta veniva inquadrata. Alcuni alcolici, tabacchi sono stati

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proibiti, poiché i film spesso vengono visti da un pubblico che dovrebbe essere un po' al riparo da

determinati vizi.

La verità è che il messaggio subliminale alla Vance Packard, ormai è una cosa lontana. Non esiste più

lo spot della Coca-Cola ghiacciata con il microfotogramma inserito nel film che ci fa andare al bar a

comprarla durante l'intervallo. Personalmente amo molto parlare di messaggi subliminali all'interno

della comunicazione, che non hanno l'obiettivo ipnotico e subdolo di persuadere, ma semplicemente

di veicolare una serie di messaggi che non portiamo avanti a livello verbale.

Faccio un esempio nel lavoro per un cliente in una campagna di comunicazione. La campagna

potrebbe avere un determinato messaggio, spiegato in un certo modo, articolato in una tattica che

utilizza i comunicati stampa in un certo modo, gli eventi, ecc. ecc. Questo è un classico del lavoro

dell'addetto stampa. A volte, per migliorare la percezione altrui del mio cliente posso raggiungere un

obiettivo non necessariamente utilizzando un messaggio verbale.

Mi è capitato in una recente campagna elettorale, quando seguivo un candidato del partito cattolico

di riferimento nel nostro Paese. In particolare, il mio obiettivo era lavorare su due determinati

concetti, la scuola e la famiglia. Volevo far sì che il mio candidato venisse percepito come una

persona molto attenta ai problemi della scuola e della famiglia.

Nell'organizzare un convegno con il tema del rapporto tra genitori e scuola, tra i personaggi di

riferimento c'era uno psicologo molto famoso sempre presente in televisione, il vescovo locale,

quindi un rappresentante della comunità locale di credenti.

Per il pubblico presente al convegno, associare il mio cliente all'immagine presente del vescovo in

veste di rappresentante spirituale, associare il vip-scienziato in veste di personaggio autorevole sui

temi di scuola e famiglia, significava una ben precisa cosa. Cioè, comunicare alle persone che, tra i

cattolici che vogliono lavorare con le famiglie, con la scuola, si poteva inserire anche il mio cliente. Io

non l'ho detto. Non l'ha detto neppure il mio cliente, e non era previsto dalla campagna di

comunicazione.

Ma è anche vero che, se io per la strada mi faccio vedere a braccetto con una modella conosciuta,

probabilmente i giornali, ma anche i passanti, tenderanno a pensare che tra me e quella modella ci

possa essere una relazione che va oltre la semplice amicizia. Questo è vero? Molto spesso è

costruito. Io non ho detto che sono fidanzato con questa signorina, semplicemente i fatti lasciano

intravedere.

Questo per me è comunicazione subliminale. Non te l'ho detto, non voglio che tu lo creda, ma

semplicemente voglio che tu lo possa intuire. Questo si chiama comunicazione su altri livelli,

comunicazione associativa, neuro-associativa. Nulla di così subdolo da quello che diceva Vance

Packard, ma un passo ulteriore.

Le dinamiche per arrivare a quel convegno sono le classiche. La scelta delle dinamiche interne sono

un processo ben preciso, che non può essere trascurato, perché è molto efficace.

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La comunicazione è sempre un lavoro di squadra. Da chi è composta quella minima per seguire un

candidato regionale alle amministrative?

Le campagne elettorali sono assolutamente un lavoro di squadra. Il caposquadra, o il punto di

riferimento della squadra è il candidato. Certo, la comunicazione nel caso elettorale non può essere

coordinata dal candidato, ma da una serie di altre figure che nella loro professionalità hanno

competenze ben specifiche. Si parte ovviamente dalla strategia che viene definita da due figure

fondamentali. La prima è lo stratega elettorale, che si occupa di capire il territorio, i cittadini, le

esigenze, interpretando i temi e le persone da affrontare. La seconda figura è l'esperto di

comunicazione, che io definirei il media trainer, cioè colui che si occupa di decidere i messaggi, come

e quando veicolarli, ma anche come lavorare con l'immagine del candidato in modo tale da

trasmettere tutta una serie di contenuti, come abbiamo visto sia verbali che non.

Lo stratega elettorale si occupa di sondaggi, strategia scientifica, marketing geo localizzato e una

serie di altre attività non iniziali, ma costanti all'interno della campagna, perché molto spesso i

sondaggi devono essere fatti e rifatti più volte nel tempo della campagna elettorale. Oltre a questo

poi c'è il media trainer, quello che si occupa di evitare i problemi comunicativi.

A volte il nostro candidato non è allenato alla comunicazione in pubblico o con il grande pubblico.

Non è allenato a strutturare un discorso nella maniera più convincente. Non è allenato a sostenere

un'intervista, a sostenere un Talk Show o un dibattito. Non è allenato a rispondere a domande che

possono essere particolarmente negative o molto complicate. Per queste ragioni, piuttosto che

trovarsi in una situazione di crisi che può pregiudicare il risultato delle elezioni, è il caso di lavorare

con uno staff tecnico competente per tirare fuori il meglio.

Queste sono le due figure più importanti. C'è da dire che uno staff elettorale prevede addetti

stampa, ovvero quelli che si occupano di realizzare e seguire i messaggi stabiliti a monte, sia dallo

stratega elettorale, che dal media trainer. Essere affiancati da un giornalista può essere un buon

modo per gestire al meglio la comunicazione.

Come dire, l'addetto stampa sta da una parte, il giornalista dall'altra parte della barricata,

determinando una visione molto più completa della situazione comunicativa. Meglio se il giornalista

è locale, cioè si occupa di problematiche locali che riguardano quel collegio elettorale. In ultimo, ma

non meno importante, chi si occupa dell'organizzazione. Agenda!

Il primo discorso da fare al candidato è: “Ricordati che nei giorni di campagna elettorale tu non hai

una tua propria capacità decisionale”. Ovvero, verrà organizzata un'agenda, con qualcuno che in ogni

momento si occuperà di metterlo al corrente di tutto ciò che riguarda il dove, il come, il quando e il

perché bisogna andare, fare, realizzare. La distribuzione delle competenze è fondamentale,

altrimenti si rischia di lavorare scoordinati non riuscendo ad ottenere il massimo dei risultati possibili.

Colui che si occupa dell'agenda dovrebbe occuparsi del famoso Fund raising, ovvero la raccolta dei

fondi. Non è solo questione di ricevere donazioni dai cittadini, ma anche capire fin dove possiamo

arrivare con il budget che abbiamo a disposizione. La campagna elettorale può essere realizzata

anche con pochissimo budget, coadiuvati da volontari. Ma è anche vero che, una campagna regionale

41

in un collegio elettorale piuttosto ampio, non può prescindere dalla disponibilità di un buon budget,

patrimonio del candidato, oppure patrimonio dei suoi sostenitori. Quindi è opportuno coordinare

anche questo tipo di attività.

Lo stratega elettorale, il media trainer, gli addetti stampa sul territorio, i giornalisti, chi si occupa di

agenda e Fund raising. Tutti coordinati per riuscire a raggiungere il risultato di far eleggere il nostro

candidato. A questo possiamo aggiungere, tutti quei volontari, o sostenitori che andranno ad

affiggere i manifesti, i volantini, che apriranno ed animeranno il gruppo su Facebook, risponderanno

alle telefonate o ne faranno tante altre per portare le persone a votare.

Cosa è più vantaggioso per la crescita professionale di un addetto stampa: seguire un politico, un

capitano d'azienda o il mondo associazionistico di settore?

La crescita professionale dell'addetto stampa non può essere definita a tavolino, non si può dire

prima devi iniziare dal politico, poi dall'impresa. Tuttavia nella mia esperienza di lavoro come addetto

stampa ho ritenuto molto formativo l'associazionismo. È un'ottima palestra.

Trovarsi a parlare di idee e di valori, ma soprattutto di ciò che non riguarda un evento misurabile, le

elezioni, la vendita di un prodotto, rende il lavoro molto più difficile, ma anche più

professionalizzante.

Il giorno in cui riuscirete a portare l'immagine dell'associazione che state seguendo, senza lavorare

sulla compassione, ma sulla positività del lavoro dell'associazione, allora sarete pronti. A quel punto

sarete in grado di seguire qualunque campagna elettorale anche la più complessa, qualunque lancio

di prodotto o organizzazione di evento.

Proprio perché le associazioni molto spesso hanno poco budget. Non ci danno la possibilità di

acquistare spazi pubblicitari ed avere tutta quella visibilità. Poco budget significa che possiamo fare le

stesse cose, ma avete bisogno della vostra creatività. A volte troppo budget significa dar poco utilizzo

del nostro potenziale creativo. Poco budget significa aiutarsi con le proprie capacità. Dopodiché

sarete pronti per qualsiasi sfida che per voi sarà sempre in discesa.

42

4. STRUMENTI DI COMUNICAZIONE

4.1 La comunicazione efficace

Imparare quarantatre parole a memoria non è un cosa impossibile. Eppure, Barack Obama si è

incartato quando ha recitato la formula standard nella cerimonia di giuramento come 44esimo

Presidente degli Stati Uniti d'America. Nessuno ha chiesto se è stato tradito dall'emozione. Rimane il

fatto che, con un semplice e chiaro messaggio, ha dimostrato a tutti come l'emozione che muove il

linguaggio è parte importante della nostra relazione con il pubblico.

Ma allora, informare e comunicare sono sinonimi? Cosa si attiva nella comunicazione per ottenere

l'efficacia?

Innanzitutto, informare è solo un aspetto della comunicazione e non ha lo stesso peso del

comunicare. Mettiamo “in forma” le parole, cioè consegniamo al nostro interlocutore un messaggio

che parte da noi e giunge a destinazione nel modo più completo possibile. Ben altro è la

comunicazione dove le nostre parole, organizzate in una forma, mettono in comune con il

destinatario, uno spazio per la relazione.

Siamo efficaci quando il nostro messaggio arriva al destinatario e genera nello stesso una reazione,

cioè un commento o un'azione.

C'è un aspetto da non sottovalutare nell'ambito delle relazioni rappresentato dalla percezione che

abbiamo delle cose e degli eventi. Sembra ragionevole affermare che la percezione è la più alta

forma di realtà, una forza potente che si muove all'interno della comunicazione. Prendiamo

costantemente le nostre decisioni sulla base di come percepiamo da qualcuno o da qualcosa. Non

ci sono due maniere identiche di percepire la stessa cosa.

Nella pratica della comunicazione, che veicola la notizia ai media, la nostra principale preoccupazione

è quella di controllare e ridurre la possibilità di confusione e fraintendimento di ciò che

comunichiamo.

43

Nelle relazioni che abbiamo con i media e i giornalisti, la percezione non è nostra, bensì dei media.

Ecco un esempio: quando veniamo intervistati abbiamo un atteggiamento di controllo e le nostre

parole, pur volendo ottenere chiarezza, assomigliano a quelle di un avvocato difensore, costruiamo

una percezione in chi ci ascolta di essere sulla difensiva, dando l'impressione di avere qualcosa da

nascondere. Lo stesso accade quando leggiamo un foglio che abbiamo preparato in risposta alle

domande di routine dei giornalisti. Se leggiamo accuratamente è come se il nostro messaggio si

caricasse di un sotto testo, un fuori onda, che va nella direzione della difensiva.

Allo stesso modo, quando la nostra organizzazione è in una situazione di difficoltà, non possiamo

esacerbare la situazione, rispondendo in maniera evasiva alle domande. Con lo sguardo e con l'udito

abbiamo il compito di andare fuori di noi, ascoltando le parole che diciamo, mettendoci nei panni di

chi abbiamo di fronte cercando di capire come gli altri ci vedono.

Nella relazione con qualsiasi media, non importa sapere essere il migliore. Conta solo in quel

momento come veniamo percepiti e gli argomenti che tocchiamo.

Quando il nostro compito comunicativo è rivolgerci ai media, diventa fondamentale acquisire questa

consapevolezza. Come facciamo ad essere ascoltati, o se preferiamo, usando il gergo tecnico, essere

ripresi?

4.2 USARE I MEDIA SENZA PAGARE

Comprare uno spazio pubblicitario è cosa ben diversa che condurre il giornalista dentro la nostra

storia e guadagnare attraverso la sua notizia l'attenzione del pubblico.

C'è chi preferisce contenere la notizia in uno spazio pubblicitario a pagamento, reputando il

messaggio maggiormente sotto controllo. Decide in anticipo cosa scrivere, come scrivere e quando

uscire. Ma soprattutto, verso quale pubblico dirigere la notizia.

C'è chi invece non crede sia un limite veicolare la propria notizia gratuitamente per generare

attenzione, cioè non reputa un rischio esporre il proprio contenuto ad un possibile fraintendimento

di altri.

La pubblicazione della notizia porta all'impresa, al singolo, all'istituzione due vantaggi: da un lato

occupando uno spazio dei media che ha di per sé un valore di spazio pubblicitario, genera un

beneficio in termini di notorietà. Dall'altro, essendo i media un sistema non strettamente

cointeressato al soggetto quando ne parlano conferiscono allo stesso una veste di credibilità molto

alta.

Proprio per questo la notizia va considerata alla stregua di una risorsa naturale e come tale va

sfruttata con il massimo di efficienza.

44

4.3 Il comunicato stampa

Il comunicato stampa è lo strumento che l'addetto stampa, il responsabile della comunicazione, il

responsabile dell'ufficio per le relazioni con il pubblico, e chiunque voglia comunicare nei confronti

dei media, utilizza per essere notato, evidenziando in qualche modo una notizia.

La funzione del comunicato stampa è quella di dare una notizia sul prodotto, un'impresa, il deputato,

sensibilizzando la radio, il giornale o la televisione su quel tipo d'informazione. L'interesse

dell'addetto stampa è promuovere la visibilità del proprio cliente sugli organi d'informazione.

Ci sono pratiche e consigli che permettono lungamente di migliorare l'efficacia dei nostri comunicati

stampa. Eccone qualcuno:

- mettere all'inizio la notizia

- scrivere per il giornalista a cui è destinato il messaggio, cioè un prodotto semilavorato

pensando che sarà riscritto da un altro

- formattare il testo evidenziando le singole sezioni che lo compongono

La formattazione con la quale presentiamo il nostro comunicato rappresenta un marchio attraverso

il quale ci distinguiamo dalle centinaia di comunicati che arrivano nelle redazioni di tutti gli organi

d'informazione ogni giorno. Se la struttura del nostro comunicato non sarà chiara, il giornalista

riceverà un'impressione negativa e ad essere compromesso sarà il contenuto del messaggio, molto

probabilmente giudicato noioso ancora prima di essere letto.

Qualche utile consiglio per far brillare la nostra notizia di luce propria, per essere letta e pubblicata.

Non esiste il buon comunicato, ma esiste solo il comunicato che viene pubblicato.

Quando copiamo ed incolliamo il testo del comunicato direttamente nel corpo della e-mail, bisogna

fare attenzione alla sua formattazione. I margini non sono mai superiori a 65 caratteri (spazi inclusi),

per non correre il rischio che il programma di e-mail del destinatario non tronchi le righe. Mai

inferiore ai 60 caratteri (spazi inclusi) per non fare assomigliare il testo ad una poesia dal corpo esile.

Il testo va formattato in ASCII, perché molte lettere accentate come i pallini degli elenchi puntati, ed

ogni simbolo speciale potrebbero trasformarsi in un geroglifico incomprensibile.

4.3.1 Anatomia del comunicato

Titolo (scritto con font 16)

Pubblicitario, breve, massimo di una riga. Accattivante, sintetico e paradigmatico. Deve contenere la

notizia, con qualche parola chiave che attira l'attenzione del giornalista. Non esiste un buon

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comunicato, ma solo il comunicato che viene ripreso, cioè quello che fa scattare qualcosa al

giornalista e gli fa pensare “questa è una notizia che mi potrebbe interessare”. Il titolo quindi dovrà

essere pubblicitario, non dovrà contenere più di tanto la notizia e le informazioni. Appagare

immediatamente la curiosità del giornalista farebbe scattare un meccanismo deduttivo

assolutamente deleterio: “ho già capito quello che mi vuole dire ancora prima di iniziare a leggere”.

L'obiettivo del titolo è incuriosire il giornalista, captare la sua attenzione senza per il momento

appagarla. A questo pensa il sottotitolo che ora vediamo.

Sottotitolo (scritto con font 14)

Un vero e proprio sommario di massimo due righe, sintetico ed esaustivo. Se il titolo è pubblicitario,

il sottotitolo è esplicativo.

Informazioni logistiche (scritto con font 12 )

Scrivere le informazioni che le W dall'inglese ci insegnano: dove ci troviamo? Dove sarà l'evento? Di

cosa si tratta? Ha un titolo? C'è un indirizzo? Quale è l'orario? In altre parole vengono indicate le

coordinate di tempo e di spazio per raggiungere la notizia in svolgimento, mettendo in evidenza il

titolo della conferenza o dell'incontro di cui si da notizia. È bene inserire l'eventuale link ipertestuale

di riferimento.

Spesso l'evento principale che organizza l'addetto stampa, l'addetto della comunicazione, i

responsabili delle Pubblic Relations è la conferenza stampa, cioè un evento in cui vengono invitati i

giornalisti. Lo scopo è presentare un determinato argomento: la dichiarazione importante, una

ricerca, il lancio di un prodotto. Ricordiamoci che la conferenza stampa si trova in un certo luogo e ha

un indirizzo. Certamente un titolo per la giornata, che non necessariamente è uguale al titolo del

comunicato. Riepilogando avremo: il titolo della conferenza stampa, luogo e data, infine gli orari.

“Carrelli in fuga”

“Carrefour Italia apre 106 nuovi Carrefour Market nel Lazio il

prossimo 16 giugno. L'idea creativa si articola con il “richiamo

alla convenienza”, alla quale è impossibile resistere per

chiunque, a cominciare dai protagonisti del supermercato: i carrelli

della spesa.”

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Inviti (quando ci sono, evidenziare in rosso)

L'inserimento di questa voce all'interno del comunicato avviene quando la conferenza stampa ha un

particolare interesse per i giornalisti. Viene indicata con l'espressione convenzionale “Invito per i

giornalisti accreditati presso le testate”. È un invito particolare fatto ai giornalisti che fanno parte di

una redazione. Evidenziare questa comunicazione permette di concentrare l'attenzione verso

specifici giornali che vogliono ospitare la nostra comunicazione.

Corpo del testo (font 12)

Qui si da la notizia! Ricordiamoci della concorrenza degli altri e la selettività del giornalista.

Dobbiamo essere stringati e molto efficaci. Scriviamo tutto in dieci righe. Sintesi! Chi sta facendo che

cosa, quando lo sta facendo, dove lo sta facendo, come lo sta facendo. Ricordiamoci le 5W, regole

fondamentali per un buon comunicatore. In un buon comunicato la NOTIZIA va data subito, non è

possibile metterla alla fine. Se il giornalista nel primo capoverso non riesce a capire dove si trovano le

informazioni importanti, abbiamo perso la nostra possibilità.

Carrefour Market: Carrelli in Fuga

Carrelli in Fuga - un originale progetto di comunicazione,

studiato da Carrefour, per il lancio di 106 nuovi Carrefour Market

nel Lazio

A supporto del progetto convergenza insegne, Carrefour Italia per il lancio, entro il prossimo 16 giugno, di 106 nuovi Carrefour Market nel Lazio, ha sviluppato un originale progetto di comunicazione che ha coinvolto sinergicamente e simultaneamente diversi media.

L’idea creativa portante attorno alla quale è stato articolato il progetto è quella del “richiamo della convenienza”, al quale è impossibile resistere per chiunque, a cominciare dai protagonisti del supermercato: i carrelli della spesa.

Carrelli telecomandati sono stati visti sfrecciare in ogni quartiere della città di Roma, avvistati dai cittadini, richiamati in siti web, free press, stampa locale, circuiti tv di metropolitane e stazioni romane: sono diventati i veri e propri testimonial delle nuove aperture dei Market.

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Il giornalista leggendo il corpo del testo del comunicato immediatamente si domanda: “Dove è

l'informazione importante? Dov'è la notizia?”. Se non riesce a trovarla, passerà al comunicato

successivo. Oltre ad aver perso un'occasione per comunicare con il giornalista, abbiamo

indirettamente favorito il comunicato che verrà letto dopo.

Saatchi & Saatchi e il mistero dei carelli in fuga

Saatchi & Saatchi, a supporto del progetto convergenza di Carrefour Italia,

per il lancio di 106 nuovi Carrefour Market nel Lazio entro il prossimo 16

giugno, ha studiato una vera e propria campagna integrata.

Partendo dal nuovo posizionamento internazionale della marca Carrefour "Ogni giorno è positivo" è

stato sviluppato un progetto di comunicazione che, per la prima volta per un retailer italiano, ha

coinvolto sinergicamente e simultaneamente diversi media. L'idea creativa portante attorno alla

quale è stato articolato il progetto è quella del "richiamo della convenienza", al quale è impossibile

resistere per chiunque, a cominciare dai protagonisti del supermercato: i carrelli della spesa. Questi

sono stati visti sfrecciare in ogni quartiere della città di Roma, immortalati in siti web, free press e

stampa locale e sono diventati i veri e propri testimonial delle nuove aperture dei Market. Due le fasi

in cui è stata strutturata la comunicazione. Una prima fase teaser in cui sono stati coinvolti i

seguenti media: guerrilla, con l'organizzazione di un divertente street-show con carrelli

telecomandati che si è svolto per quattro giorni nel centro di Roma. Circuito delle metropolitane e

stazioni romane, per il quale sono stati realizzati 2 spot (inseriti nei telegiornali come veri servizi

giornalistici) che hanno dato la notizia degli avvistamenti e alimentato il mistero e la curiosità sulle

imprevedibili mosse dei carrelli.

Internet con videobanner e mini-spot virali che hanno avuto il compito di raccontare gli

avvistamenti dei carrelli da parte dei cittadini e un minisito interattivo (www.carrelliinfuga.it) in cui

sono state pubblicate tutte le testimonianze. Un blog dedicato ha permesso di raccogliere i

commenti dei passanti.

Alla seconda fase, quella reveal, è toccato il compito di svelare il mistero.

Tutti i media coinvolti nella prima fase hanno svelato la meta dei carrelli. In più, la stampa free-press

con una speciale "sovraccopertina", ha dato la notizia delle nuove aperture dei supermercati

simulando un'edizione straordinaria. Per celebrare la fine dell'operazione, un film di 90" pianificato

su Internet: tante scene in cui alcuni carrelli abbandonati nei posti più disparati della capitale

prendono vita spinti dal richiamo della convenienza e si dirigono tutti verso il nuovo Carrefour

Market.

Con la direzione creativa di Agostino Toscana e Alessandro Orlandi e la supervisione di Paola Rolli

(copy) e Paolo Montanari (art) hanno lavorato i copy Matteo Maggiore, Daniele Barone e Raffaella

Bedini e gli art: Andrea Salvaneschi e Jacopo Cinti. Regia di Fadi Azzi.

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Nel corpo del testo, al primo capoverso deve avvenire un vero e proprio outing della notizia,

importante per conquistare in maniera profonda l'immaginario collettivo. Dove voglio andare a

parare? La lunghezza del corpo del testo non deve superare la pagina di word. Evidenziamo in

grassetto le parole chiave. L'uso dell'interlinea è fondamentale per separare i periodi. Ogni periodo

esprime un concetto a sé stante, tra loro autosufficienti e facilmente estrapolabili.

In sintesi questi gli argomenti da trattare nel corpo del testo:

dare una specifica angolatura della notizia con un punto di vista originale

corredare con informazioni lo sfondo o il contesto d'ambientazione della notizia

legare il carattere locale della notizia ad un riflesso della stessa notizia su scala nazionale

assimilare la notizia ad un fenomeno che coinvolge un pubblico più vasto possibile

Annotazioni particolari (solo per la conferenza stampa)

Le annotazioni vanno inserite solo in caso di conferenza stampa, quando è presente il buffet o

bisogna dare l'invito di un rinfresco a chiusura dei lavori. Con la stessa cura che abbiamo messo nella

stesura del comunicato, ora raccontiamo i dettagli del rinfresco, non limitandoci a segnalare

semplicemente “al termine rinfresco”.

L'aspetto che invoglia una redazione a mandare un giornalista attento alla vostra conferenza, è anche

la presenza di un buffet conclusivo. Possiamo scrivere che “sarà offerto ai signori giornalisti un

cocktail di rinfresco a base di...”. Insomma, una piccola segnalazione che possa invogliare non solo

verso la notizia, ma anche verso la conferenza stampa.

Contatti

Tutti i contatti possibili devono essere segnalati sul fondo del comunicato. Con i contatti costruiamo il

cordone della comunicazione che ci lega al giornalista o alla redazione quando ne vogliono sapere di

più.

Indicare il nostro nome e cognome. La nostra qualifica specifica di addetto stampa o responsabile

della comunicazione. Il nome dell'azienda o l'istituzione per la quale lavoriamo. L'indirizzo postale, il

telefono, il fax, il cellulare, la e-mail, il sito.

Giorgio De Chirico Responsabile Ufficio Stampa Metafisica spa - Via della Pittura 136 Telefono 0039 06 555555 Fax 0039 06 555554 Cellulare 0039 335 333333 E-mail [email protected]

Sito www.metafisicaspa.it

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Insomma, tutti i recapiti possibili che permettono al giornalista o alla redazione di contattarci in un

secondo momento.

Anche nella stesura dei contatti, è necessario usare sempre la cura per il dettaglio, che significa dare

un preciso segnale di disponibilità e reperibilità. Indicare il numero di cellulare, non è un'invadenza

della vostra privacy. Immaginiamo il giornalista che alle otto di sera sta chiudendo un pezzo. Davanti

al computer a scrivere, che maneggia la notizia del nostro comunicato. Vuole saperne di più, avere un

approfondimento su un particolare. L'occhio gli corre in fondo al foglio. La sua mano ha già preso il

telefono per chiamarci, quando si accorge che c'è solo una mail. Del nostro telefono al lavoro non sa

che farsene. Alle otto tutti gli uffici pubblici sono chiusi. Che fa allora il giornalista? Può cercare su

internet, e magari trova non proprio ciò che noi volevamo fosse comunicato. Oppure il giornalista

può chiamare un'altra persona, che il caso limite vuole essere il nostro acerrimo concorrente. Non

solo abbiamo perso l'occasione di dare la notizia al giornalista, ma gli abbiamo dato la possibilità di

cercarla altrove.

Tempismo

Un comunicato stampa ben fatto ed adeguatamente distribuito ottiene risultati efficaci. Annunciare

la notizia o un evento potrebbe generare un certo quantitativo di articoli che la riprendono. Sia la

forma che il contenuto non sono niente se sbagliamo il tempismo.

Un fattore chiave per annunci e comunicati stampa è il tempo. Abbiamo bisogno di un adeguato

margine di tempo per preparare un comunicato stampa con cura. Chiamare il giornalista dopo che il

comunicato è stato preparato o già diffuso è troppo tardi. Specie se la rivista è sensibile alle news.

Quando riceviamo un comunicato che contiene una notizia già nota, anche se di rilievo, non è più una

notizia e la sua importanza è scaduta. Soprattutto per i settimanali dove abbiamo visto aumentare il

fattore di deperibilità della notizia.

Con un esempio pratico mettiamoci nei panni del giornalista di un periodico. L'addetto stampa invia

per e-mail un comunicato ai giornalisti della sua mailing list e contemporaneamente lo diffonde

online grazie ad uno dei servizi Web disponibili in rete:

www.informazione.it

www.comunicattivamente.it

www.comunicatistampaonline.net

Centinaia di professionisti e realtà editoriali recepiscono in tempo reale l'annuncio. Se il comunicato

ha un reale valore informativo, il testo viene ripreso e rilanciato alle agenzie stampa o dai portali

delle News. Poco dopo l'annuncio (a volte è questione di ore) vengono ricavati i primi articoli online.

Poi tocca ai quotidiani: un giornalista ne ricava un pezzo che esce l'indomani. E siamo già ad un

giorno di ritardo rispetto alle agenzie. Quando una rivista settimanale riesce a pubblicare un articolo

in proposito, la notizia è ormai vecchia come minimo di una settimana. Il che significa che non è più

una “notizia” in senso stretto. Solitamente non siamo abituati a veder la competizione tra i quotidiani

ed i settimanali, che invece esiste. Ed entrambi vivono di competizione anche nei confronti dei siti

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web e dei portali di news online, che possono agevolmente pubblicare i loro articoli nel giro di

qualche ora.

Cosa fa l'esperto addetto stampa? Distribuisce i comunicati attraverso tempistiche differenziate e

calibrate su misura per le esigenze dei destinatari, anticipando l'annuncio almeno una settimana

prima ai periodici settimanali, il giorno prima a quelli dei quotidiani e i portali web. Per quanto

riguarda il mensile, le scalette vengono preparate con mesi di anticipo, di conseguenza non c'è spazio

per le news. Pensare ai mensili è comunque disporre di una risorsa in più per veicolare articoli di

approfondimento elaborando comunicati e documenti ad hoc per le loro esigenze.

Quando inviare il comunicato stampa per l'evento?

↙ ↘

SETTIMANALI QUOTIDIANI E WEB

4.3.2 Mai dire comunicato...

Vale la pena un piccolo elenco puntato di ciò che NON VA MAI SCRITTO nel comunicato stampa in

considerazione del fatto che gli strumenti che ora abbiamo a disposizione si sono evoluti:

Mai nell'oggetto della email, l'espressione “Comunicato Stampa”

Mai nell'intestazione della mail, la data d'invio, essendo automaticamente generata nelle

informazioni di trasmissione

Mai nel corpo del testo, espressioni del tipo “con preghiera di pubblicazione e/o diffusione –

è una forma antiquata, utilizzata quando nelle redazioni non c'erano i computer ed i

comunicati arrivavano verso un solo fax per poi venire smistati.

4.4 Mailing (media) List

Nella mailing list raggruppiamo in elenco tutti i giornalisti nostri potenziali alleati ai quali invieremo il

comunicato.

1 giornoprima

7 giorniprima

51

L'organizzazione della mailing list può essere filtrata per tipologia (agenzie, quotidiani, settimanali,

Tv ecc.), oppure per settore (economia, cultura, costume, politica, ecc.).

Quando decidiamo un intervento comunicativo inviando la notizia è necessario organizzare la scelta

dei contatti tra i giornalisti che sono interessati alla comunicazione da fare in quel momento. Non è il

caso di sparare nel mucchio inviando comunicati in settori completamente estranei alla notizia

contenuta nel nostro comunicato. La mailing list viene tagliata su misura del nostro cliente.

Riepilogando, selezioniamo tra i nostri contatti quelli vicini per condivisione d'interesse al prodotto o

alla notizia che vogliamo veicolare. Spedizioni mirate e non a pioggia. Tempismo, facendo in modo

di raggiungere i giornalisti al momento giusto.

Avere delle solide basi nella lettura e nel confezionamento di rassegne stampa, permette di

inquadrare e collocare con rapidità il nostro cliente, ed immaginare lo spazio più adeguato per la

comunicazione da attivare nella relazione con i media. In altre parole, conoscere il pubblico dei

lettori di ogni giornale, guardare gli impianti grafici e la conduzione editoriale dei settimanali, i tagli

fotografici che raccontano per immagini, gli spazi pubblicitari, così come i mille rivoli estetici e

contenutistici della blogosfera, aiuta ad indirizzare sulle scelte dei giornalisti a cui inviare il

comunicato per far pubblicare le notizie.

Per migliorare la qualità della nostra relazione con i media e raggiungere tempestivamente i

giornalisti nel momento in cui ci servono, abbiamo bisogno di tenere costantemente aggiornata la

mailing list dei contatti. Ecco alcuni accorgimenti pratici per risolvere i problemi più comuni.

4.4.1 L’aggiornamento delle mailing list

Cognome Nome Quotidiano Ruolo Settore Telefono E-Mail

ABBIATI Daniele Il Giornale Redattore CULTURA 02-85661 [email protected]

ABBISOGNO Bruno Il Mattino Redattore SPORT 081-7947111 [email protected]

ABBRUZZESE Giulia Ciociaria Oggi Redattore

CRONACA - Locale

0775-820016 [email protected]

ABELLI Italo Gazzetta di Parma Redattore POLITICA

0521-2251 [email protected]

ABIUSO Francesco Gazzetta di Mantova Redattore

CRONACA - Locale

0376-303350 [email protected]

ACCORSI Andrea Marco La Padania Redattore POLITICA

02-662461 [email protected]

ACCOSSATO Marco La Stampa Redattore CRONACA 011-6568111 [email protected]

ACQUARONE Andrea Paolo Il Giornale Redattore ATTUALITA' 02-85661 [email protected]

ADAMI Daniela Bruna L'Arena

Vice capo servizio CULTURA

045-9600111 [email protected]

ADAMOLI Gelasio La Repubblica Redattore SPORT

010-57421 [email protected]

ADINOLFI Francesco Il Manifesto Redattore CULTURA

06-68719651 [email protected]

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Tenere aggiornata la nostra mailing list migliora la comunicazione con radio, tv, carta stampa e web,

rendendola meno dispersiva e maggiormente orientata. Per l'aggiornamento, nulla vieta di farlo

manualmente, inserendo o aggiornando di volta in volta nuovi contatti al nostro indirizzario. Se

disponiamo di un budget possiamo affidarci ai servizi esterni di alcune società come L'agenda del

giornalista o Medias. La prima è una pubblicazione cartacea con tutti i contatti sul territorio italiano

di uffici stampa, redazioni, giornalisti. Ma dal 2011 è disponibile anche una versione digitale

http://www.agendadelgiornalista.net/digitale/.

Medias, invece, è disponibile nella versione elettronica con abbonamento on-line oppure Cd Rom.

Entrambi risultano agevoli nell'uso potendo esportare i contatti direttamente in formato digitale e

non riscriverli. Il limite di queste pubblicazioni sono i costi elevati e il cambiamento continuo delle

posizioni nelle redazioni che rende necessario l'aggiornamento costante delle mailing list.

Per gli uffici stampa più piccoli non sempre 700/1000 euro annuali rappresentano un costo

sostenibile per beneficiare di questi strumenti di aggiornamento.

Anche Eidos Communication ha brevettato un software per l'invio e la tracciabilità dei comunicati

stampa ad una mailing list sempre aggiornata: Clickpress. Entrando nel sito www.click-press.com è

possibile vederne le funzioni.

Per concludere, nel costruire la nostra mailing list e inviare il comunicato bisogna evitare la tecnica

dell'invio a pioggia a tutti gli indirizzi dei giornalisti che si trovano nel database disponibile (magari

non aggiornato da mesi). Per completare l'opera, attuano un follow-up altrettanto generico ed

ossessivo, tempestando di telefonate ogni giornalista o redattore all'ultimo momento per verificare

se stanno scrivendo effettivamente un pezzo sull'argomento.

È facile immaginarsi il tono delle risposte!

4.4.2 Diventare un fonte affidabile

L'addetto stampa parte dalla re(d)azione per arrivare alla re(l)azione. È importante entrare in

contatto amichevole con il giornalista e gli ambienti editoriali, coltivando questi tipo di relazioni.

Come prima cosa è necessario circoscrivere la propria cerchia dei contatti con i media più

rappresentativi per la tipologia di lavoro che svolgiamo. Il giornalista tende a privilegiare la fonte che

conosce personalmente.

Per capire se un giornalista è disposto a scrivere un articolo sull'azienda o l'ente che stiamo curando,

bisogna chiederlo. Per avere un efficace tempismo, è necessario pianificare il comunicato con un

congruo anticipo. Possiamo approcciare il giornalista con una e-mail di presentazione della notizia,

oppure con una telefonata. Se il giornalista non si occupa direttamente dell'argomento, possiamo

ricevere dei suggerimenti di altri contatti più appropriati.

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La regola d'oro quando si chiama è esordire chiedendo se si sta chiamando in un momento

sbagliato. Il messaggio che deve arrivare è quello di far percepire il massimo rispetto che abbiamo

per il suo tempo e le sue priorità.

4.5 La cartella stampa

La cartella stampa è lo strumento utilizzato per conferenze stampa, viaggi, interviste. Generalmente

contiene:

il comunicato stampa

la scheda tecnica sul contenuto del comunicato (grafici, tabelle, dati, cifre)

il profilo dell'azienda

la scheda dei prodotti e quella dei manager

materiali visuali (foto, video, teaser)

Quando mettiamo in circolazione un comunicato stampa è bene avere già pronta la cartella stampa

completa per i giornalisti che desiderano riceverla. Sempre meglio non inviare cartelle ai giornalisti

che non ne fanno espressa richiesta, la butterebbero via subito e noi avremo impiegato male le

risorse a disposizione del nostro budget. Le cartelle stampa professionali hanno un costo non

trascurabile.

Solitamente è opportuno predisporre sia una cartella stampa fisica che una digitale da inserire nel

sito web del proprio cliente. In entrambi i casi la cartella stampa dovrebbe contenere l'assortimento

dei seguenti elementi:

Profilo dettagliato dell'azienda/istituzione

Il profilo aziendale da includere della cartella stampa non è altro che un arricchimento di notizie del

paragrafo inserito nel comunicato stampa. Si tratta di una pagina contenente le seguenti

informazioni:

data fondazione

nomi e titoli dei top manager

nomi e descrizione dei prodotti di punta

breve descrizione della mission e della storia dell'azienda

indirizzi per i contatti con piantina stradale quando è possibile

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contatti dei responsabili della comunicazione

Si tratta di un vero e proprio sommario. Alcune volte certe aziende amano inserire un ampio

documento che in forma narrativa racconta la storia, la mission ed il posizionamento. Non

escludiamo niente a priori, ma in ogni caso inseriamo anche un breve sommario che rende

immediata la fruizione delle informazioni che in un testo narrativo inevitabilmente dobbiamo andare

a recuperare.

Profili dei manager

I profili biografici da inserire riguardano solo i manager che vogliamo potenzialmente far intervistare

dai media. Qui è preziosa la brevità e la sintesi. Un paragrafo per persona. È visivamente efficace

aggregare più profili sulla stessa pagina.

Comunicati stampa recenti

Alcune circostanze richiedono di allegare nella cartella stampa alcuni comunicati stampa recenti,

oltre a quello attuale. Ci potrebbe essere un nesso tematico tra il comunicato attuale ed altri più

recenti. Nel caso fossero troppi è possibile redigere un sommario con il link al sito per visualizzare o

scaricare le versioni complete.

Materiale visivo

L'utilizzo di immagini, sia su carta che online, rende più gradevole la lettura e attraente l'argomento

trattato. Le immagini possono illustrare il prodotto, il contesto d'uso, la sede dell'azienda o

l'istituzione, i volti dei manager, home page del sito, ecc. Le immagini dovranno essere, poche ma di

buona qualità. All'interno del sito possiamo rendere disponibili le immagini in vari formati come .jpg

oppure .tif, con diverse risoluzioni. Per i meno esperti prevedere di poter spedire su CdRom a chi ne

fa richiesta. Per i più esperti si può disporre un server di Ftp da cui scaricare i file.

Schede tecniche dei prodotti

Le schede sono a se stanti, quando necessarie, contengono i dettagli e le specifiche dei prodotti o dei

servizi offerti.

Referenze

Quando sono disponibili le referenze o le citazioni dei clienti o partner o consulenti famosi fanno

un'ottima impressione.

FAQ

La raccolta di Frequently Asked Question è apprezzata dai giornalisti perché anticipa e chiarisce dubbi

alle domande più comuni. Riusciremo ad essere sempre veritieri senza sconfinare nel marketing

propagandistico se saremo in grado di dirottare o disinnescare le domande potenzialmente

“difficili”.

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Rassegna stampa

Mai più di due o tre articoli, sperando nell'utilità per il giornalista di una testimonianza imparziale

del proprio operato. A volte può esserci irritazione quando si scoprono relazioni ravvicinate con una

media concorrente.

4.6 La newsletter periodica

La newsletter è uno strumento di comunicazione periodico che l'ufficio stampa utilizza per diffondere

notizie e informazioni. La sua diffusione attraverso la rete internet permette di veicolare contenuti,

tenere aggiornato il gruppo d'interesse ed informare i media sulle attività che svolgiamo.

Questo strumento è particolarmente indicato per tutti quegli enti che hanno un ruolo ed un grado

d'importanza tangibile nel loro riferirsi ad un gruppo inserito nel mercato o nelle dinamiche sociali.

La newsletter in questo caso offre uno strumento di dialogo con le redazioni, offre spunti e stimoli

anche in mancanza di una notizia legata ad un avvenimento eccezionale.

La funzione della newsletter è diffondere una conoscenza attraverso consigli immediati e pratici;

mantenere un contatto continuativo con il pubblico di riferimento; creare un'immagine del proprio

lavoro utilizzando le competenze acquisite e la capacità di fare.

La componente fondamentale della newsletter è contenere notizie. Non deve vendere, ma

informare, conducendo il lettore ed i giornalisti ad apprezzarne i contenuti reputandoli affidabili e di

loro vantaggio. Attraverso la cadenza periodica di pubblicazione, possiamo conservare la base di

utenti acquisiti, ma anche espandere relazioni moltiplicando le opportunità per ottenere nuovi

incarichi.

La sua caratteristica è condensare diversi spunti in poche righe e inserire link di approfondimento

per chi fosse interessato a saperne di più. Un'immagine professionale di newsletter è data dalla

struttura e dalla grafica adeguate al messaggio che si vuole veicolare.

Il successo della newsletter sta nel creare fiducia tra chi scrive e chi legge, portando benefici concreti

al lettore anche attraverso un dialogo stimolante. La sua lunghezza, minimo 2 massimo 8 pagine, è in

relazione alla periodicità di uscita: più pagine per quella trimestrale, meno per la settimanale.

I contenuti possono riguardare casi di studio, articoli brevi, strategie da seguire in determinati

contesti, commenti a dati statistici che possono essere d'interesse condiviso. Così come gli eventi

aziendali, i nuovi prodotti, partecipazione a fiere e rassegne, ecc.

La formattazione del testo in html è un buon compromesso, facile da impaginare ed archiviare

all'interno del sito, leggero in fase di spedizione con la posta elettronica.

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4.7 L'House Organ

L'House organ è la pubblicazione periodica a cui fa riferimento l'istituzione o l'ente o l'associazione

che la redige nello speciale interesse del suo gruppo. Può avere cadenza mensile o bimestrale.

L'house organ veicola due tipi di comunicazione: la prima, interna tra i manager e gli impiegati, una

comunicazione d'impresa per aggiornare il personale interno sulle attività e gli obiettivi aziendali. La

seconda, esterna tra i clienti e l'azienda. Molto spesso viene utilizzato dalle amministrazioni

pubbliche per la diffusione delle informazioni istituzionali.

Dai primi bollettini a stampa di fine ottocento, diffusi periodicamente dalle aziende per veicolare

informazioni e dare visibilità ai prodotti, oggi siamo arrivati a vere e proprie testate informative

aziendali online che non solo promuovono l'immagine, ma funzionano da vere e proprie agenzie di

notizie. Dei periodici su misura che integrano la comunicazione aziendale, le strategie d'immagine e

notizie per i propri clienti.

4.8 La conferenza stampa

La conferenza stampa è l'evento dove la compagnia, l'organizzazione, l'istituzione o il singolo

personaggio annunciano la notizia ai media. Solitamente è coinvolto il personaggio interessato, che

articola individualmente o con il supporto di altre persone la presentazione per i media. La

conferenza stampa ha una struttura organizzativa di preparazione, di svolgimento e di chiusura

dell'evento. Vediamone i particolari nel dettaglio.

Preparazione

Organizzare una conferenza stampa significa avere l'opportunità di amplificare la nostra visibilità e

rafforzare la nostra credibilità attraverso la presentazione face-to-face alla stampa di una notizia, un

fatto, un evento, un progetto, ecc.

Come sempre tutto ruota intorno alla notizia e la sua veicolazione all'interno dei media, cioè la

notiziabilità che riusciamo a dare al nostro argomento.

Dopo aver individuato la notizia per il lancio di un nuovo prodotto utile per la comunità, un film, una

partnership con ricadute sul mercato, la celebrazione di un anniversario, o le nuove tendenze

giovanili nel mondo del lavoro, scegliamo il luogo dove l'ambientazione sia facilmente raggiungibile

dai giornalisti come dagli invitati – preferibilmente un luogo centrale.

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Svolgimento

La durata non dovrebbe essere mai superiore a 45 minuti per tenere desta l'attenzione del pubblico

e dei giornalisti. Introduzione, svolgimento e conclusioni dovrebbero lasciar spazio ad eventuali

interventi dal pubblico di giornalisti per chiarire al meglio il messaggio senza possibilità di

fraintendimenti. Lo scopo è quello di far uscire sui media la notizia. Quindi, come nel comunicato

stampa concentriamo i nostri sforzi per rendere appetibile la notizia con la parola scritta. Inoltre, in

questa circostanza abbiamo in mano la regia con tanti dettagli da orchestrare insieme che mirano

sostanzialmente ad una medesima finalità: essere ripresi dai media, cioè utilizzare l'amplificazione

del messaggio attraverso i canali della loro comunicazione con il pubblico.

Al termine della conferenza, possiamo prevedere interviste “one to one” tra i manager o i

testimonial presenti, a cui abbiamo affidato per l'occasione del giorno la rappresentazione della

nostra immagine verso i media.

Per quanto riguarda la scelta dell'orario di svolgimento della conferenza viene fatta in funzione della

tipologia dei media che abbiamo invitato. Questo perché ogni media ha un tempo di lavorazione

differente per far uscire la notizia. Facciamo un esempio. L'orario mattutino della conferenza stampa

permette ai giornalisti che lavorano nei quotidiani di essere presenti senza eccessive sovrapposizioni

nei loro impegni. La loro presenza ci assicura la copertura nelle uscite sui quotidiani per il giorno

successivo. Per quanto riguarda i giornalisti delle testate online possiamo prevedere l'uscita dei pezzi

già nelle prime ore del pomeriggio. Invece, per i giornalisti televisivi l'uscita è prevedibile nella stessa

giornata in un palinsesto serale locale o nazionale dei Tg. Quasi mai viene scelto un orario

pomeridiano o serale per svolgere una conferenza stampa.

Un importante elemento da non trascurare assolutamente è la contemporaneità di altri eventi con

il nostro. Lo svolgimento di altre conferenze potrebbero sottrarci pubblico, ma soprattutto la

presenza dei media.

La consegna della cartella stampa ai giornalisti va fatta all'ingresso della sala. Contestualmente è

opportuno compilare un foglio con l'anagrafica completa del giornalista e della testata o ente di

riferimento. Questo tornerà utile per l'aggiornamento dei contatti della mailing list e la newsletter.

Per quanto riguarda gli interventi o le domande in chiusura, la persona che introduce la conferenza

invita alle iscrizioni indicando la persona in sala preposta al compito.

Riepiloghiamo i momenti essenziali della conferenza stampa attraverso una breve check list:

Prima

individuazione della notizia da comunicare

scelta del luogo, della data e dell'orario

individuazione di un presentatore e/o conduttore dei relatori, ospiti o testimonial

preparazione della cartella stampa

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invio del comunicato stampa ai media

recall

Durante

Registrazione invitati e giornalisti e consegna della cartella stampa

Signage per la sala

Interviste one-to-one

Dopo

Rassegna stampa

Archiviazione

4.9 La rassegna stampa e l'archiviazione

La rassegna stampa è il bottino dell'addetto stampa, il frutto del suo lavoro che prende forma e

contenuto già nelle immediate ore dalla pubblicazione del suo annuncio, della conferenza stampa,

dell'evento o della telefonata con cui ha raggiunto il giornalista di riferimento. In altre parole è la

concreta e visibile architettura della sua strategia comunicativa, la tattica utilizzata. I migliori uffici

stampa non presentano il proprio lavoro attraverso il curriculum vitae, bensì raccogliendo le rassegne

stampa più significative che hanno condotto nel loro percorso lavorativo.

La rassegna stampa, però, non è solo il monitoraggio e la collezione di tutti gli articoli estrapolati dai

media che direttamente o indirettamente hanno reso visibile il committente. A volte occorre

conoscere le notizie in anticipo. Saper individuare quali saranno le campagne più forti e preparare già

dalla sera prima adeguate contromosse. Per questo ci sono validi servizi di rassegna stampa, anche

televisivi, a disposizione nei vari media, i quali anticipano in modo concorrenziale i titoli di apertura

dei principali quotidiani. Le rassegne radiofoniche mattutine come Prima Pagina su Radio Rai 3,

oppure Radio Radicale. Quelle televisive di Rai News 24, Uno Mattina, o delle reti Mediaset. La

mattina seguente con la rapida lettura dei giornali dobbiamo essere in grado di mettere da parte un

certo numero di notizie sulle quali poter fare un lavoro di approfondimento. Sostanzialmente

dobbiamo essere in grado di capire quali sono le notizie che terminano, e quali invece quelle che

avranno una ricaduta nella giornata o in quelle successive. Poi ci sono tutta una serie di notizie con

riferimento alle inchieste, approfondimenti, dati statistici, oppure dichiarazioni dei leader più o meno

noti, che potranno essere in qualche modo riproposte a loro danno o a loro sostegno in epoche

successive.

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L'archiviazione avviene dividendo le notizie per tipologia di file testo, video, immagine, audio. Ogni

file archiviato in genere è collegato ad una scheda di riferimento che contiene numerose parole

d'accesso. Lo scopo dell'archivio delle rassegne stampa è quello della reperibilità delle notizie nel

tempo. Oggi grazie all'informazione interamente digitalizzata non abbiamo problemi di spazio e

l'accesso è svolto in tempo reale.

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PARTE SECONDA

CONVERSAZIONI CON I PROFESSIONISTI

DELL’UFFICIO STAMPA

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5. L’UFFICIO STAMPA POLITICO

5.1 On Roberto Rao sulla figura dell'addetto stampa e del portavoce

politico

La seconda vita dell'On. Roberto Rao è la politica. Laureato in Giurisprudenza e giornalista

professionista, attualmente è Responsabile della Comunicazione per il gruppo politico Udc,

oltre ad assolvere incarichi parlamentari presso le commissioni Giustizia e Vigilanza dei servizi

radiotelevisivi.

Nel Parlamento italiano dal 1994 come Capo Ufficio Stampa del gruppo politico del Ccd.

Successivamente portavoce dell'On. Casini, quando fece la scelta, dopo la fine della

Democrazia Cristiana, di aderire al centrodestra.

Può elencare 5 attività della giornata tipo di un ufficio stampa a servizio di un gruppo politico?

Le nostre attività nella giornata tipo di un ufficio stampa sono mutate profondamente nel corso di

questi 5 anni. Inizialmente c'è la cosiddetta “lettura dei giornali”, che però, mentre tanti anni fa era

una sorta di rito che si ripeteva quotidianamente con una montagna di carta, adesso rischia di essere

sostanzialmente inutile se non è fatta nei tempi giusti.

I giornali bisogna conoscerli la sera prima. Con tutti questi servizi di rassegne stampa che ci sono,

anche televisivi, dobbiamo conoscere i titoli di apertura dei principali quotidiani. Sappiamo bene che

i tre principali quotidiani non fanno vedere le loro prime pagine per problemi di concorrenza e

competizione, mi riferisco a La Repubblica, il Corriere della Sera e in genere La Stampa. Ma tutti gli

altri fanno a gara nel mandare le loro pagine su tutti i programmi televisivi di approfondimento che ci

sono in tarda serata.

Questo comporta il fatto che, la sera prima, un ufficio stampa che voglia dirsi tale, è in grado di

conoscere quelle che sono le campagne più forti e preparare, già dalla sera prima, addirittura il

comunicato organizzando la sera stessa le contromosse per intervenire o sapere quali saranno i

temi del giorno dopo. Questo per dormire preparati.

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La mattina che succede?

La mattina c'è lo sfoglio delle pagine intere. La conoscenza e l'apprendimento di questi altri tre

quotidiani, e il loro impatto che hanno avuto sui siti internet e sulle agenzie.

Devo dire che c'è una grande concorrenza in ambito di rassegne stampa, fruibili in diversi formati,

diversificate e molto bene fatte. Mi riferisco alle radiofoniche di Radio 3 e Radio Radicale, ma anche

quelle televisive di Sky, Rai News 24 ed Uno Mattina. Mediaset non è da meno. Non c'è più solo lo

sfoglio dei giornali, ogni rete fa a gara per avere la propria rassegna stampa.

La mattina presto, già su queste rassegne, partono trasmissioni televisive come Omnibus, Agorà ed

altre. Perciò noi consideriamo la lettura dei giornali, che un tempo era un rito che si preparava per

tutta la giornata, consumata già nelle prime ore della mattina. Un vecchio detto dice “con la carta dei

giornali, il giorno dopo si può incartare il pesce”. Il problema è che ora il pesce si può già incartare

con il giornale della mattina.

Dopo aver fatto una lettura veloce e ragionata dei giornali, mettiamo da parte quei 5-6-10 articoli, a

seconda del tema d'interesse, e su questi incominciamo la manovra ed il lavoro di approfondimento.

Dobbiamo essere in grado di capire quali sono le notizie che finiscono, che terminano, o che avranno

una ricaduta relativa alle conferme della giornata, cioè se possiamo utilizzarle per “macinarle”, come

si dice in gergo, nella stessa giornata.

Poi, avremo anche una serie di altre notizie che ci possono essere utili. Mi riferisco alle inchieste, agli

approfondimenti, ai dati statistici, alle dichiarazioni dei leader più o meno noti che, annusiamo

possano essere in qualche modo riproposte, a loro danno o a loro sostegno in epoche successive.

Una componente importante di questo lavoro viene svolta anche su basi di archiviazione.

Può farci un esempio di come le informazioni possono essere riproposte a danno o a sostegno di

qualcuno in epoche successive?

Qualche anno fa, alcuni noti colleghi comunicatori andavano in giro nei confronti televisivi, con le

cartelline con sopra scritto “Dossier”.

Addirittura il portavoce di Fini, Storace, nello storico confronto con Rutelli, quando Fini e Rutelli si

contendevano la carica di sindaco di Roma. Ebbene, Storace andava in giro al confronto con la

cartellina zeppa di fogli con sopra scritto “Dossier Rutelli”. A fine confronto, dopo che Rutelli, più

volte guardava preoccupato verso Storace, scoprì che dentro c'erano soltanto fogli bianchi, messi

insieme solo per incutere timore.

Oggi questo accade perché, nella cosiddetta seconda Repubblica, c'è molta più leggerezza nel dire

rispetto a quanto era prima. Abbiamo a disposizione degli strumenti che ci consentono di

sottolineare le contraddizioni. Strumenti che prima non c'erano.

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Prima bisognava andare a ricercare nell'archivio cartaceo, fotografarlo, fotocopiarlo... Adesso con

internet, con Google, tutti siamo soggetti ad una verifica quotidiana su quello che abbiamo detto.

Quindi, io invito sempre i nostri comunicatori alla prudenza, per quello che viene detto e fatto, per gli

atti che si sottoscrivono e che si compiono. Con grandissima facilità tutto quanto può essere

rinfacciato.

In questi giorni ad esempio, c'è una polemica molto forte per quello che riguarda i referendum sulla

posizione di Bersani. Era stata molto chiara per alcune privatizzazioni che riguardavano l'acqua, ma

adesso gli viene rinfacciato che sostiene il referendum per il sì all'abolizione di questo tipo di legge.

L'informazione è potere. Come vengono smistate le informazioni? C'è una reale condivisione?

Le informazioni dirette che si acquisiscono, cioè quelle che vengono macinate in giornata, o quelle

che sono da archiviare, devono essere gestite da chi ha competenza sul settore. Non si può avere la

pretesa di essere competenti su tutto. Quindi è importante saper indirizzare questo tipo di

informazioni nel settore appropriato.

Nel mio caso personale, mi occupo di giustizia e comunicazione, di telecomunicazioni, di Rai e

quant'altro. Francamente non posso gestire e tenere per me riservate o comunque sottolineate,

informazioni che riguardano competenze altrui come il discorso sull'economia, sulla sanità o la

difesa. La condivisione e lo smistamento sono aspetti fondamentali attraverso i quali si attiva

immediatamente una rete di comunicazione per l'informazione durante la giornata.

Un cospicuo flusso di notizie. In base a cosa avviene il filtro?

Utilizzando gli strumenti come il BlackBerry, internet e le agenzie stampa, che consentono

l'aggiornamento costante di quello che accade, si ha un limite di due tipi: il primo, siamo sempre

costantemente collegati. Anche tra un'ora, mentre stiamo facendo questa intervista, avrò un gap

d'informazioni da colmare. Quindi, cerco di fare tutto in un orario che non investa l'edizione dei Tg,

per avere tempo, eventualmente, di intervenire sulla notizia.

Il secondo punto, è dare un filtro a queste notizie. Se tutto quanto diventa importante, rischiamo di

investire tante energie su argomenti che il giorno dopo non troveranno neanche una riga sui giornali.

Per questa ragione è importante avere il maggior numero di informazioni possibili durante la

giornata. Allo stesso tempo, però, le informazioni vanno filtrare per importanza, dando loro una

priorità.

Questa priorità, ad esempio, può essere la relazione della notizia con il media di riferimento, cioè la

televisione, la radio, altri organi di grande diffusione, per arrivare ai giornali, la stampa specializzata e

i siti. È fondamentale rispondere tempestivamente scrivendo comunicati stampa, e inviarli, a

seconda delle scadenze e degli orari che sono dettati dalle edizioni dei Tg o l'uscita dei giornali.

Quando viene data una notizia ci sono i Tg, Sky, Rai News 24 e le altre All News che vanno in circolo

continuativamente, bisogna essere più reattivi possibili. Un tempo si diceva, non possiamo mandare

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il comunicato a quest'ora della mattina perché in redazione non c'è nessuno. Ora ci sarà sempre

qualcuno in grado di cogliere l'importanza di una notizia.

Come si costruisce il rapporto di fiducia con il giornalista?

Il rapporto di fiducia deve essere costruito sulla propria affidabilità. Personalmente ho costruito i

miei rapporti di fiducia con i giornalisti da quando ho iniziato la carica di parlamentare nel 1994.

Prima sono stato un giornalista. Conosco anche l'altra parte della scrivania.

La notizia data in maniera erronea o fuorviante, magari pro domo mea, per la parte del mio partito,

per quello che sono i miei interessi, posso darla una volta. I rapporti con i giornalisti sono talmente

stretti che, chi è inaffidabile, oppure gestisce un rapporto solo per favorire la sua parte politica o la

propria persona dando le notizie in parte inesatte o fuorvianti consuma molto velocemente la

candela della fiducia, addirittura da due parti, come dicono nel film Blade Runner .

Noi ci troviamo a costruire un rapporto di fiducia duraturo sulla base della credibilità,

dell'affidabilità, dell'importanza delle notizie che si danno, magari anticipando dei temi che poi

saranno realmente importanti. Quindi, se si dà una notizia fuorviante, meglio non parlarne.

Chiudiamo il rapporto di fiducia per diventare interlocutori, consapevoli del fatto che, quando si parla

con quel comunicatore, egli farà i propri interessi. In questo caso la notizia dovrà essere filtrata,

presa con le molle, facendo un percorso più lungo.

Personalmente buona parte della fiducia stabilita nel tempo con i giornalisti, l'ho costruita

semplicemente facendo analisi politica, cioè diventando un interlocutore. Alcune volte potevo

apparire, altre no. Neanche il mio partito, neanche Casini di cui ero portavoce. La mia analisi era

recepita dal giornalista, cioè dava un contributo all'analisi del giornalista.

Quindi, la fiducia con il giornalista passa attraverso la costruzione di un vero e proprio ruolo di

fonte primaria. C'è dell'altro?

Massima disponibilità. Rispondere al telefono a un giornalista, anche in orari strani, serali e durante il

fine settimana, significa spesso avere la possibilità di entrare in un pezzo, di condizionare il pezzo.

Attraverso la disponibilità accediamo al primo gradino di un rapporto personale che conduce verso la

credibilità, molto più che se uno ad un certo punto stacca il telefono.

Ad esempio, per le edizioni dei Tg i pezzi vengono scritti e confezionati spesso nell'imminenza della

messa in onda. Per i giornali, invece, c'è il momento serale. Essere disponibili a dare una propria

interpretazione, una propria verità, una propria informazione è molto importante.

Poi, bisogna essere informati. Come dicevo inizialmente, parlando della condivisione delle

informazioni con i colleghi. Possiamo sapere quello che accade nelle altre Commissioni, ed indirizzare

il giornalista verso altri colleghi. Non dobbiamo pretendere di raccontare tutto, di essere depositari di

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tutta la verità, soprattutto se non si è competenti. Consiglio di girare su chi conosce le cose meglio di

noi.

A volte accade che il giornalista non mastichi bene l'argomento. Spesso si è giornalisti generalisti, e

chi segue la Giustizia, molto spesso viene chiamato a parlare di Rai ed altro. In questo caso bisogna

accompagnare il giornalista, guidarlo. Spiegare con un linguaggio semplice, sottolineare quelli che

potrebbero essere gli errori ed i rischi, con grande pazienza. Spiegare la notizia e l'informazione che

gli stiamo dando o che ci è stata richiesta. La pazienza è una virtù da esercitare costantemente in

questo mestiere.

Abbiamo spesso interlocutori che non sono dentro la materia, quindi dobbiamo spiegare. Abbiamo

un interlocutore che non ci dirà se non ha capito, e noi dobbiamo rendercene conto. Perché una

notizia data il giorno dopo, che esce sui giornali in un modo sbagliato, offende chi l'ha data, chi l'ha

scritta, mettendo in difficoltà tutti. Con grande pazienza spiegare con attenzione e se il caso lo

richiede, ripartire dall'inizio. Se il giornalista ha perso delle puntate precedenti, aggiorniamolo

dicendo: “Questo è successo due settimane fa; la settimana scorsa la Commissione ha deciso

quest'altra cosa; ora arriverà in Aula questo progetto che tende a dire questo; come tu ben sai...”.

Dobbiamo fare in modo che il giornalista sia competente almeno quanto noi, quindi non funziona

avere la spocchia di chi dà delle informazioni ed è un gradino più in alto. Invitiamo il giornalista a

documentarsi insieme a noi su qualche argomento mettendosi spesso in discussione: “io ritengo

che...”, “per quanto mi riguarda...”.

Molto spesso io uso questa espressione: “Questa è la mia posizione come Roberto Rao; la posizione

di Casini è questa... e questa è la parte ufficiale. Se vuoi ti dico quella non ufficiale, che puoi mettere

come ritieni”; oppure “concordiamo come la metti, e poi comunque se tu non metti nulla ti

garantisco che le cose andranno più o meno in questo modo...” oppure “ritengo che le cose

andranno in questo modo”.

Attraverso un rapporto personale si acquisisce la confidenza professionale. Se dall'altra parte c'è la

stessa correttezza, allora si può costruire una dinamica utile per entrambi.

Come ci si prepara per un'intervista? Tre consigli.

Se io devo organizzare un'intervista per un mio collega, ma vale anche per me evidentemente, devo

concentrare tutto sul tempo di durata. Inutile parlare tantissimo per poi farsi tagliare

dall'intervistatore. Sapendo il tempo, selezioniamo le cose essenziali da dire, per dirle bene in

maniera comprensibile e subito.

Poi, possiamo fare il ragionamento successivo, ma sempre con parole chiare. Quando a casa vedo il

telegiornale insieme alla mia famiglia, anche se con i bambini piccoli è un po' difficile farlo, ma

quando riusciamo mi accorgo che non si è capito nulla: “che cosa ha detto”? Questo per dire che

molto spesso noi siamo autoreferenziali. Diamo per scontato certe allocuzioni, certi nostri modi di

dire, che presuppongono una conoscenza di tutta la materia, o di alcuni presupposti.

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Dobbiamo sempre ricordarci che non tutti abbiamo gli stessi punti di riferimento. Dipende dal target:

se si va sul Tg1 è una cosa, su Sky è un'altra. Se andiamo in una trasmissione di approfondimento è

ancora un'altra cosa. Però, parlare con un linguaggio chiarissimo è sempre utile.

Il terzo consiglio, riguarda il contesto in cui si fa l'intervista, che non è una cosa secondaria. Quante

volte abbiamo assistito ad immagini chiare, sfocate, prese di lato, con uno sfondo brutto. Questo

genera distrazione in chi vede. Anche l'aspetto è importante: se uno ha un capello dritto... Purtroppo

la gente guarda il capello dritto e perde la concentrazione su ciò che viene detto. Oppure, mi capita

di ricevere delle sincere critiche di amici che dicono: “Come eri sciupato in quell'intervista televisiva,

non mi sono concentrato su quello che hai detto”.

Per non parlare poi dello sfondo. Un brutto sfondo o una persona dietro che distrae è ancora peggio.

Faccio un esempio, se uno fa una dichiarazione anche bellissima, ma dietro ha dei brutti ceffi che si

sono piazzati... Perché li conosciamo come sono! Quando si va alle manifestazioni pubbliche politiche

è un disastro.

Riepilogando, curare l'aspetto, lo sfondo e il contesto in cui si viene intervistati. Infine è

importantissimo il linguaggio. Selezionare i messaggi da dare, semplici chiari, brevi.

Quali regole bisogna seguire nel dibattito politico televisivo?

Ci sono tante scuole di pensiero. Sicuramente cercare di non andare sulla voce dell'avversario

politico, però neanche restarne vittima. Non interrompere se possibile. Quando si è costretti,

interrompe con frasi brevi e nette, che possano anche colpire l'interlocutore.

Pensare sempre all'intervistatore o al mediatore che è al centro e soprattutto a chi è a casa. Mai

andare sulla voce dell'avversario politico quando si vuole interrompere, dicendo: “un momento... un

momento... un momento... devo interrompere...”. No! Non serve a niente. Si interrompe, si dice la

cosa, si lascia il segno. Guardare con la coda dell'occhio se la telecamera ha inquadrato, soprattutto

quando siamo in uno studio multiplo con più telecamere. Insomma, interrompiamo, diamo il

messaggio e ci ritiriamo in buon ordine. Non farlo troppo spesso altrimenti si è petulanti.

Ci fa capire meglio la figura del sabotatore televisivo con un esempio?

Abbiamo tanti di esempi di chi va in televisione per interrompere. Un tempo lo faceva spesso il

ministro Vito, adesso assolutamente non più, anzi è particolarmente schivo. Andava in televisione

con l'idea proprio di interrompere l'avversario, metterlo in difficoltà. Spesso giocava fuori casa in

trasmissioni con serate di sinistra. Adesso ci sono nuovi esempi che non faccio, per carità di patria.

Quando si accetta l'invito come ospiti ad una trasmissione, si rimane fino alla fine. Mai minacciare di

abbandonare lo studio prima del termine. Nel caso in cui veniamo interrotti più volte, possiamo

reagire, non direttamente con l'interlocutore, ma rivolgendosi a chi dovrebbe mediare. Quanto meno

mettere in difficoltà il conduttore se non sta svolgendo il proprio lavoro.

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In televisione è necessario parlare molto, ma non necessariamente più del tempo che si ha a

disposizione. Perché dopo un po', la soglia di attenzione cala. Quindi, parlare, dire quello che si

vuole dire, dare il messaggio e chiudere evitando che sia qualcun altro, intervistatore o interlocutore,

ad avere l'ultima parola con espressioni del tipo “beh, va bene, stringa, chiuda, risponda alla

domanda”.

Ecco, rispondere alle domande. Come riusciamo a non dare l'impressione di essere elusivi?

È molto semplice. Quando si riceve una domanda, per prima cosa si risponde alla domanda. Mi rendo

conto di quanto sia difficile, soprattutto per noi politici. Molto spesso si fa tutta una trasmissione

dove hanno parlato altri, magari tirando fuori molti elementi. Noi abbiamo appuntato alcuni

argomenti o abbiamo in testa delle cose da dire, invece, quando tocca a noi ci troviamo a parlare di

altro.

C'è sempre la tentazione del “Beh, però prima volevo dire... Volevo riprendere quell'aspetto lì...”. È

questo che deve essere evitato. Quando lo si fa, solo per flash: risposta uno, risposta due, al tre si

risponde alla domanda.

La cosa più bella sarebbe, rispondere alla domanda e poi tornare sugli altri aspetti, perché non si da

l'idea di sfuggire a quello che è invece la cosa che è stata chiesta a noi.

Siamo in un contesto che chi fa televisione è padrone di un piccolo feudo gestito in maniera

autonoma. Non è né servizio pubblico, né servizio privato. Si fa una televisione in modo che chi

conduce già sa dove deve andare, e non è molto aperto. Questo almeno in molti casi, soprattutto in

Rai. Quindi uno per reagire a questo, ha un atteggiamento difensivo di chi è ospite fuori casa, o al

contrario è padrone di casa, a seconda del colore della trasmissione.

Bisognerebbe cercare di spogliarsi di questo, farsi sempre rispettare da chi conduce e dagli

interlocutori. Affermare le proprie parole, ma sempre con concetti brevi, chiari, chiedendo lo stesso

trattamento degli altri interlocutori.

Dopo una dichiarazione infelice o una gaffe il ruolo del portavoce è fondamentale. Come si gestisce

la situazione critica?

In genere questo è il lavoro dello spin doctor. Chi gioca a tennis lo capisce ancora meglio. Lo spin è il

tipo di effetto che si vuole dare. La palla è sempre la stessa, ma a seconda dell'effetto con cui si

colpisce può essere velenosa, morbida, può mettere in difficoltà o meno l'avversario.

Di gaffe se ne fanno tante. Si cade in contraddizione su delle cose che sono state dette

precedentemente, quindi bisogna essere sempre reattivi, pronti a prevenirle, sapendo quali saranno

gli argomenti, cercando di parlare con chi andrà in televisione. Capire quelle che possono essere le

difficoltà su alcuni temi e dire quello che non si vuole far assolutamente sapere. Faccio un esempio:

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se non si conosce la pronuncia esatta di uno stato o di una persona, allora si dice: “questo si

pronuncia in questo modo”.

L'esempio è banale, per dire che l'approfondimento su alcuni temi è essenziale, attraverso la

conoscenza di argomenti specifici, ed una preparazione al come si risponde. Se non siamo preparati

svicoliamo. Però capita, evidentemente, di non conoscere un capo di stato straniero, è successo

recentemente in una famosa trasmissione.

Cosa si fa in questo caso?

Immediatamente si ammette l'errore, se di errore si è trattato. Ammettere l'errore porta ad essere

umani nei confronti dell'interlocutore, dei telespettatori, di chi ha letto la cosa sul giornale. Siamo

esseri umani abbiamo sbagliato.

Cercare di difendere un errore a tutti i costi può portarci ad un escalation di cui non conosciamo

l'esito. Quando si fanno delle gaffe, era nota quella del nostro ministro dell'interno Scajola nei

confronti di Marco Biagi, chiaramente si tratta di gaffe, di frasi rubate, di fuori onda andati in onda, di

frasi dette ai giornalisti che possono confermarle. Questo ha portato alle dimissioni addirittura del

ministro.

Quindi, ammettere subito l'errore, ci pone in una condizione di vantaggio, nel senso che non

abbiamo difeso l'indifendibile. Però è altrettanto importante spiegare le ragioni per cui si è detta

questa cosa. Farlo subito, farlo urbi et orbi. Se non si ammette di aver sbagliato, ci si può arroccare su

una difesa, ma personalmente sono molto contrario, altrimenti si ingrandisce. Quando si è costretti

ad ammettere, ormai la diga è talmente piena che rischia di saltar giù.

Quindi ammettere subito, spiegare il motivo per cui si è sbagliato “ho sbagliato la pronuncia, beh non

conosco l'inglese”. Meglio dirlo, che far finta di saperlo, altrimenti è un vortice: “No, si dice così”. Poi

si va a scoprire che a scuola ha studiato l'inglese fino alla terza media, sempre per restare all'esempio

che abbiamo fatto prima.

Capita continuamente che tutto quello che diciamo viene registrato, tutto quello che diciamo viene

sentito, quindi bisogna stare molto attenti. Pensare prima a quello che si dice e alle possibili

conseguenze che questo può avere. Ammettere l'errore è sicuramente la cosa da fare per poi gestire

la comunicazione successiva.

Come si utilizza una gaffe riconducendola a proprio vantaggio?

La politica delle battute ha il respiro corto. Si può fare e la tentazione è fortissima. Si può fare sulle

agenzie, su un singolo giornale. Spesso io lo faccio. Chi non ha tanta visibilità usa queste tattiche per

essere ripreso dal giornale, magari azzeccando la battuta in quel momento.

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Ma è più importante dare una sintesi politica. La battuta resta lì. Quindi specularci sì, ma dietro ci

deve essere un motivo molto grave. Ad esempio, un inno razzista viene considerato più di una gaffe.

Equivale ad un sentire politico. Se non viene fatta marcia indietro, bisogna insistere finché la parte

avversaria non ammette il grave errore.

Se il caso è grave e la situazione lo richiede, viene organizzata perfino una campagna stampa. Questo

accade per le cose gravi, non sulle piccole gaffe, che è sempre meglio sottolineare ed andare oltre.

Una battuta sì, ma non è su questo che si prendono i voti. Magari attraverso la battuta possiamo

risultare simpatici, possiamo mettere in difficoltà l'avversario politico, ma alla fine non si lascia un

grande segno politico.

Televisione e linguaggio della politica. Chi influenza chi?

Prendendo come riferimento “L'era della politica pop” (G. Mazzoleni-A. Sfardini, Politica Pop, Il

Mulino), vengono individuate due forze in gioco nell'ambito della politica e della comunicazione: la

prima, quella dei politici che strategicamente decidono di frequentare i luoghi dell'intrattenimento

televisivo più amati dal pubblico, considerandoli come nuove tribune da cui rendersi visibili e

conquistare il consenso elettorale; la seconda, quella del mezzo televisivo che assoggetta la politica

alla logica mediale, fagocitandola come contenuto ed ingrediente dello spettacolo. Lei come si

relaziona a queste due forze?

La televisione, cioè andare in televisione a volte diventa una malattia. Sopratutto quando si ricevono

commenti del tipo: "È tanto tempo che non ti vedo in televisione. Cosa è successo? Sei caduto in

disgrazia politicamente, in disgrazia nel tuo partito che invece manda altri”. Spesso siamo vittime,

anche consapevoli di questo meccanismo.

Personalmente adoro la radio. Per tanti versi non ti dà questo tipo di frustrazione, che colpisce anche

i giornalisti. Chi non conduce più diventa ansioso, come i politici che non vanno in televisione. Noi

siamo spesso vittime. Si va in televisione anche non sapendo perché. Si va in televisione pur di

andarci, con interlocutori avversari o più preparati o non qualificati al nostro stesso livello. Si

frequentano trasmissioni non qualificanti, dove spesso si viene anche presi in giro.

Faccio un esempio, un conto è andare a Ballarò, con Crozza che fa l'apertura della trasmissione.

Individua tra chi è seduto nel pubblico degli elementi di ironia o di satira, e a turno bersaglia.

Dopodiché, si chiude la parentesi satirica e comincia la trasmissione. Lì si può fare la battuta, si può

subire o meno.

Altro è invece quando, sempre Crozza nello spettacolo dove imita Marzullo, invita i suoi ospiti per

fare loro delle battute. In questo caso i tempi sono rapidissimi e le risposte vanno date al volo. Mi

chiedo, perché un politico deve esporsi a queste battute? Bisogna prendere l'aereo, andare a Milano

e registrare la trasmissione. Farsi prendere in giro. Ridere o non ridere. Francamente non so se vale la

pena fare tutto questo. Puoi risultare simpatico a quel pubblico, comunque devi essere all'altezza e

farti apprezzare. Tenendo presente che sei andato a fare un po' lo zimbello.

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La stessa cosa avviene per la trasmissione della Dandini. Spesso intervista i suoi ospiti dove è inserita

la parentesi con Vergassola, che fa delle battute sull'ospite. C'è una parte seria e una parte comica.

Addirittura c'è chi accetta di andare in trasmissioni solo per fare la parte comica, o essere vittima di

una parte comica. C'è chi morirebbe per essere vittima di “Scherzi a parte”.

Comunemente si pensa che il solo fatto di andare in televisione possa trasmettere simpatia.

Questo secondo me è profondamente falso. Ognuno ha il suo stile, c'è chi è più o meno simpatico,

ma alle trasmissioni si va per dare un messaggio politico. Noi siamo politici, non siamo comici o guitti.

Per cui si può risultare più o meno simpatici, ma nell'ambito di un contesto che sia politico, dove si

dicono le cose che si fanno, non soltanto dove si rida, senza prendersi necessariamente troppo sul

serio, essendo consapevoli dei propri limiti.

Per quanto è possibile meglio non lasciarsi travolgere dal meccanismo come ad esempio andare alla

“Vita in diretta” e parlare di botulino, di moda o di altro pur di andare in televisione. Sono dei

meccanismi adatti per fare audience a chi organizza quella trasmissione, a chi scrive i testi per quella

trasmissione. Qui, il conduttore è pronto a spremerti com un limone - a meno che non ci sia un

rapporto di parentela o di amicizia stretto e tutto è possibile - per ottenere maggiori ascolti, per

avere una propria superiorità rispetto a chi ha davanti come ospite.

Siamo all'arena di Giletti nel pomeriggio. Il caravanserraglio di chi grida più forte rischia di

penalizzare chi invece usa degli argomenti più tenui, più responsabili, più moderati. Si avvantaggia

chi usa delle frasi eclatanti e finisce per avere addirittura l'applauso del pubblico, della platea, e

quindi, ne esce sostanzialmente vincitore su chi usa argomenti più seri. Valutare molto bene il

contesto, cercare di non andare da Maria De Filippi a fare il balletto, se non si riesce a parlare anche

delle cose di cui siamo competenti. Insomma, farsi apprezzare per la propria competenza, poi viene

anche la simpatia.

Era della comunicazione Berlusconiana: metafore calcistiche “salire al potere vs. scendere in

campo”, uso di un linguaggio decisamente popolare. Era della comunicazione di Prodi 2006:

inaugura il suo consuntivo con una comunicazione fredda ed istituzionale, definita “ecologia delle

immagini”. Chi ha fatto avvicinare di più i cittadini alla politica?

Sicuramente Berlusconi ha cambiato totalmente il modo di comunicare in Italia. Probabilmente

sarebbe cambiato lo stesso, ma gli ha impresso un'accelerazione in cui ancora oggi lui è il dominus,

anche con sempre meno consenso come vediamo. Però riesce ad imporre ancora un modo di

lanciare i messaggi.

Alcune autorevoli tesi di studiosi e colleghi giornalisti sostengono che, prima Berlusconi ha cambiato

il modo di comunicare e di fare immagine, cultura per certi versi, e poi si è inserito su quest'onda

interpretandola al meglio. Altri invece affermano che è cambiato il modo di comunicare a

prescindere da Berlusconi, al quale va riconosciuta semplicemente la bravura di averla interpretata.

Come dicevo prima, risultano efficaci i messaggi semplici, chiari, ripetitivi, che a seconda

dell'elettorato, arrivano al cuore o al cervello. Usando queste metafore di cui parlavamo, ci si è un

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po' tutti condizionati. Perché, se adesso noi facciamo attenzione - probabilmente anche in questa

intervista lo abbiamo fatto - a quello che si dice in televisione, in un discorso mediamente lungo,

quante similitudini con cose che accadono prese dal di fuori dal linguaggio vero e proprio vengono

fatte? Si usa la semplificazione per ogni cosa. Questo è certamente un vantaggio, perché si rende più

chiaro il messaggio che si vuole dare. Quando ne abusiamo, si finisce per banalizzare tutto.

Quante volte, soltanto nell'ultimo mese, abbiamo sentito espressioni come: “Bisogna abbassare i

toni”. Quante volte abbiamo sentito dire: “Con la mafia e con il terrorismo bisogna tenere alta la

guardia”. Quando si scrivono i comunicati si scrivono sempre gli stessi argomenti (“Senza se e senza

ma”). Se facessimo una ricerca di quanto ricorrono alcune espressioni metaforiche scopriremo,

probabilmente che sono abbastanza le stesse a rincorrersi.

Con i miei collaboratori spesso dico: “dobbiamo fare questo messaggio sulla mafia, dobbiamo dare

questo messaggio sull'attentato terroristico, mi raccomando allora, “il terrorismo si combatte senza

se ne ma, a 360°..., però bisogna tenere sempre alta la guardia...”. Già ci siamo detti quello che non

dobbiamo dire, facciamo uno sforzo di fantasia per utilizzare altre metafore o per utilizzare un

linguaggio che sia ugualmente comprensibile.

Capisco però che, dallo “scendere in campo” è talmente permeato il nostro modo di esprimerci che

facciamo fatica a cercare altre espressioni. È più costoso cercare altre parole per individuare un

concetto, ed è più difficile, in termini di energia quando si fa questo lavoro.

Sei chiamato tutti i giorni a produrre e a dire, anche più volte al giorno. Allora ci si lascia trascinare su

quella cosa che è più efficace, che colpisce di più l'immaginario collettivo, ed è anche giusto da mio

punto di vista. Quando prepariamo i titoli per i comunicati stampa o per le interviste cerchiamo di

inserire l'argomento che più colpisce, anche utilizzando una metafora.

Personalmente ne faccio un grande uso per spiegare, anche quando tengo dei corsi. Mi rendo conto

che potrebbe essere considerato un limite, ma ormai il linguaggio di tutti i giorni è quello che porta

ad utilizzare le metafore. Certo, le metafore più facili, quando si parla di politica, sono quelle che

utilizzano termini belligeranti. Questo però, conduce la dialettica verso lo scontro, cioè utilizzare dei

termini di guerra significa arrivare allo scontro dialettico.

Lo scontro poi porta, non dico allo scontro fisico, su quello non ci si arriva mai, però a dare questa

idea di contrapposizione molto forte. Quindi, cercare di utilizzare le parole e misurarle a seconda del

grado di confronto o di contrapposizione che si vuole dare. Le metafore in fondo sono parte della vita

di tutti i giorni.

C'è rivalità nella comunicazione tra la Regione Lombardia e la Regione Lazio, con Milano sede

economica dei maggiori quotidiani della carta stampata e Roma sede dei palazzi della politica?

Un po' di rivalità c'è. È una rivalità che in tantissimi anni ha fatto di Milano la capitale di tante cose e

Roma la capitale politica. Il degrado della politica ha portato dall'altra parte Milano a rivendicare un

proprio ruolo. Ma abbiamo visto che quando il degrado ha colpito Roma, anche Milano ne ha

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sofferto. Mi riferisco alle grandi inchieste di Tangentopoli che sono partite da Milano. Ancora adesso

è lo stesso.

C'è una grande simbiosi, purtroppo, nel bene e nel male, tra queste due capitali italiane. La sede dei

giornali è a Milano, ma per quanto riguarda la politica, molto viene fatto da Roma. E poi ci sono

sempre di più giornali romani. L'importante è che non siano romano-centrici, né Milano-centrici,

altrimenti scadremmo ancora una volta nella contrapposizione che vuole per ora soltanto la parte

politica della Lega, il nord contro il sud, il nord contro il centro.

Questa metafora di “Roma ladrona”, per tornare al momento precedente, non aiuta nessuno. Non

aiuta il nord, non aiuta Milano, perché di fatto poi si lavora a Roma. I deputati fanno le leggi a Roma,

che ha una funzione di capitale d'Italia. Certo, non aiuta Roma trincerarsi in questo essere una città

della politica che produce poco, mentre invece in contrapposizione, Milano produce e fa meno

politica.

Abbiamo visto questo grande scontro politico che c'è stato tra Moratti e Pisapia, quando si

contendevano la carica di Sindaco di Milano. In quel caso Roma è rimasta ai margini. Se vogliamo

Milano per alcuni mesi è diventata la capitale della politica, anche in maniera molto importante. Noi

lavoriamo perché non ci sia contrapposizione, ma venga valorizzata Roma come ruolo politico, senza

gli aspetti deteriori e negativi che purtroppo della politica sono sotto gli occhi di tutti. Quindi spesso

viene vista male la politica, di conseguenza male Roma in quanto sede della politica, al di là della

bellezza della città.

Per certi versi viene vista meglio Milano, ma peggio per quello che riguarda invece la crisi

nell'economia. Io spererei che siano valorizzate le une e le altre, e vengano meno evidenziate le

debolezze delle due città. Lavorare sulla contrapposizione non è da noi, non è il nostro mestiere.

Però sottolineare le differenze sostanziali e profonde che ci sono tra Roma e Milano sarebbe non

vedere quello che realmente accade. Se Roma fosse troppo distratta da Milano e viceversa, noi

perderemo una grandissima occasione di confronto e di crescita per tutto il Paese.

Cosa è successo alla comunicazione pubblica con l'approvazione della Legge 150 del 2000?

È stato il rifugium peccatorum di chi non riusciva a fare il giornalista e si è buttato a fare il

comunicatore. Di chi pensa che fare comunicazione sia una cosa semplicissima, e possano riuscirci

tutti anche senza conoscere le regole del giornalismo. Io invece dico sempre, prima bisogna aver

fatto il giornalista, conoscere le regole del giornalismo, per poi provare a fare il comunicatore, che

è un mestiere completamente diverso. Questa è una professione che va curata e alimentata giorno

per giorno. Non si fa stando dietro la persona, scrivendo un comunicato stampa, leggendo un

giornale. Tutte le cose che ci siamo detti oggi, più molto altro. La Pubblica Amministrazione si è

dotata di comunicatori dell'ospedale, del tribunale, dell'azienda, quando spesso non c'era neanche

bisogno.

È importante che ciascuno sappia comunicare, che il cittadino abbia uno sportello di fronte al quale

trova tutte le risposte. Non ci sono più soltanto le informazioni, ma un mondo che si apre della

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comunicazione interna dell'ospedale, interna della procura, interna del tribunale, interna

dell'azienda, oltre che della politica. Lì bisogna parlare, bisogna saper parlare, bisogna saper spiegare

quello che c'è dentro, non fare muro.Tanto è vero che spesso vediamo in televisione, nei casi di

cronaca nera ad esempio, parlare il portavoce della famiglia. Viene eletto di fatto un portavoce per

spiegare quello che sta avvenendo visto che la famiglia stessa non vuole parlare. Questo è un fatto

più o meno grave.

Sappiamo che i guasti sono stati molti. Si è cercato di trovare dei nuovi posti di lavoro, diciamo un po'

a pioggia, senza che ci fosse a monte una preparazione sufficiente per svolgere questo lavoro. Ci

deve essere una preparazione di base per quanto riguarda la comunicazione. A mio avviso, una

preparazione specifica per ogni tipo di comunicazione che si va a fare. Mentre avremo una valanga di

nuovi disoccupati che pensavano di avere una professione e invece non l'avevano.

Cosa c'è dietro la favoletta che ci racconta il marketing: quel leader ha magnetismo, ci tira dentro?

C'è quello che probabilmente hanno grandi attori o leader politici carismatici, cioè una capacità di

aver gestito bene la propria immagine, di non essersi troppo inflazionati, di aver parlato

correttamente ed essere rimasti fuori diciamo dall'onda. Si può anche cavalcare l'onda. Andare

sempre in televisione come abbiamo detto prima, per dire quello che la gente vuole sentirsi dire. Si è

simpatici, si viene digeriti bene, sempre per usare una metafora. Siamo sotto gli occhi di tutti e

risultiamo benvoluti perché diciamo quello che la gente vuole sentirsi dire.

Ma un magnetismo significa saper dire dei no. Saper dire delle cose anche scomode, saperle

spiegare. Quando si supera questo gradino, si riesce addirittura a far pensare e ad ascoltare ciò che

accade. Quando si dicono delle cose non banali, che non abbiamo già sentito, allora probabilmente si

raggiunge quel passo in più, che invece per tanti politici è semplicemente andare in televisione,

mettere la faccia, un buon sorriso, dire una cosa detta bene.

C'è poi la parte successiva, che è il magnetismo come lo chiama lei, il saper convincere qualcuno di

qualcosa, e quindi addirittura a farsi votare, cioè a dare la massima espressione di democrazia del

proprio voto a quella persona. Lì si è riusciti ad essere leader politici. Altrimenti è soltanto una

persona, come dire: “mi sta simpatico, lo voto”. Certo può capitare che qualche migliaio di persone

può anche votarci perché siamo simpatici, ma non perché abbiamo detto qualcosa di importante.

Mentre invece, se si dice qualcosa in grado di cambiare le cose, di acquisire fiducia, questa rimane. È

famoso lo slogan della macchina usata che si comprerebbe o meno da quel leader politico. Se quella

persona trasmette fiducia, allora vuol dire che ha le carte in regola per poter guidare un partito, un

istituzione, un paese.

Tutto quello che viene prima della tattica. Ci indica due strategie?

Come ho già detto, dobbiamo impedire che i nostri discorsi siano banali, di essere facilmente

confutabili. Dobbiamo essere convinti delle cose che si fanno. Io non potrei essere portavoce dell'On.

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Casini, se non condividessi il suo pensiero di fondo. E il pensiero di fondo di una persona, come

diceva giustamente lei, non è dato dalla tattica della comunicazione, ma è dato da una strategia.

Io che cosa voglio fare per il mio paese? Che cosa voglio costruire del mio paese? O del mio partito?

Questo bisogna averlo ben chiaro da prima. Non è detto che si debba dire o non dire. Però bisogna

averlo chiaro dentro di sé. Lo stesso accade nel rapporto con una persona, deve essere chiaro.

Possono accadere degli imprevisti, succede nei matrimoni, figuriamoci nei rapporti professionali e

politici. Però dobbiamo essere pronti ad arrivare alle estreme conseguenze quando abbiamo fatto

una scelta ed intrapreso un percorso.

Quale strategia suggerisce per il nostro Paese?

Il nostro Paese è in grandissima difficoltà. Non possiamo continuare a raccontarci delle finte verità.

Dobbiamo pagare tutti un prezzo molto alto, domani o dopodomani, tra un anno, ma lo dobbiamo

pagare. La strategia, allora, non può essere quella di occultare la verità. Noi dobbiamo cominciare a

raccontarla. Possiamo avere la tattica su come e quando raccontarla, ma raccontarla. Coinvolgere gli

Italiani, in un progetto politico, un'operazione che li metta tutti in gioco, in cui il Paese viene prima

di tutto e anche gli interessi personali subiscano un sacrificio. Questo è un discorso che non fa

guadagnare voti, è un discorso drammatico. Ma se non si comincia a fare questo discorso, tutti gli

altri politici che non lo faranno, saranno accusati di aver raccontato bugie. Saranno spazzati via

dall'onda d'indignazione, che abbiamo già visto in Spagna, che arriva in piazza, di chi ha perso il

lavoro, di chi non trova un opportunità nelle imprese che non hanno più sviluppo. Cominciare a

raccontare una grandissima verità. Questa è una grandissima strategia. Farsi proprio portavoce,

anche quando tutti quanti fanno finta di non sentire.

La seconda strategia, invece?

Dimostrare una certa coerenza. Se si cambiano delle idee, non far finta di niente. Spiegare perché si

sono cambiate: noi veniamo dal '94 con un alleanza storica con Berlusconi durata 14 anni. Abbiamo

dovuto spiegare perché abbiamo cambiato idea. Questa è una strategia. Ancora adesso lo facciamo

senza rinnegare quello che si è fatto. Perché chi ha cambiato idea, non è più alleato e getta soltanto

fango nel piatto dove ha mangiato, o sulle scelte che ha fatto fino a poco fa, perde assolutamente di

credibilità. Quindi essere coerenti con se stessi. Poter andare a casa e in famiglia, fieri delle proprie

scelte che abbiamo motivato. Questa è una strategia importante. Per il resto, la strategia è cercare

dal punto di vista della comunicazione di capire quelli che sono i problemi. Quindi andare in giro ad

ascoltare. Se non ascoltiamo i problemi, difficilmente potremmo andare a vendere il nostro prodotto

in televisione, essere credibili, e poi essere conseguenti.

Perché poi una volta spenta la telecamera si dice: “finita anche questa fatica; abbiamo detto un sacco

di frottole; andiamo da un'altra parte”. È più complicato. Questo filmato e questa intervista verranno

riproposte mille volte, e quello che ho promesso se non lo mantengo mi verrà rinfacciato. Quindi la

strategia è non essere banderuola per la ricerca del consenso. Il consenso si consuma e poi finisce.

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5.2 Roberto Seghetti sulla figura dell'addetto stampa del gruppo

politico

Roberto Seghetti, Capo Ufficio Stampa del PD.

Romano, 59 anni, giornalista professionista. Dal 1976 al 2010 ha lavorato nelle redazioni di

Agenzia Giornalistica Italia, Paese Sera, Il Messaggero, Panorama.

Autore di libri e saggi sul sistema dell'informazione, Roberto Seghetti ha insegnato come

professore presso la facoltà di Giornalismo ed Editoria della Lumsa dal 2000 fino al 2010,

anno di nomina a Direttore del master in giornalismo.

Durante il secondo governo Prodi è stato portavoce del viceministro alle Finanze, Vincenzo

Visco.

Può elencare 5 attività della giornata tipo di un ufficio stampa a servizio di un gruppo politico?

Che cosa dobbiamo dire? Chi deve parlare? Quali parole usare? In che modo farlo? Queste sono le

domande quotidiane del nostro lavoro a cui diamo risposta già nelle prime ore della mattina. Poi c'è

la rassegna stampa che è un lavoro più tecnico, solitamente svolta a turno dai miei collaboratori

entro le 8 del mattino.

Cosa dire e chi deve parlare è una decisione presa insieme con il gruppo dirigente, con il Segretario e

tutti gli altri. Generalmente questa attività viene fatta intorno alle 10.

La rubrica quotidiana di lavoro è organizzata su attività previste, come le dichiarazioni, le prese di

posizione, le iniziative che dobbiamo organizzare. Faccio un esempio, se c'è un'iniziativa del Partito

Democratico con il Segretario che parla in piazza, bisogna predisporre tutte le cose per seguirlo

avvertendo i giornali, le agenzie di stampa, sapere che a quell'ora parla il Segretario.

Poi ci sono le cose che non possiamo prevedere, che avvengono anche a prescindere da quello che

organizziamo noi. In questo caso bisogna costantemente verificare quello che accade, quali sono le

dichiarazioni, quali le prese di posizione degli altri. Per esempio, abbiamo avuto per un lungo periodo

una dichiarazione di Berlusconi nei quotidiani. In questo caso bisognava organizzare le dichiarazioni

di commento, che respingevano o che contestavano la versione dei fatti, la narrazione, usando un

termine vendoliano, che veniva dall'altra parte. Questo lo si fa a secondo dei temi, del livello

d'importanza delle dichiarazioni o dei fatti che avvengono.

Per quanto riguarda le parole d'ordine, nel senso di quali parole usare per spiegare ciò che dobbiamo

dire e come lo dobbiamo fare, sono aspetti strettamente legati al lavoro dell'addetto alla

comunicazione. Nel mio lavoro c'è la scelta nei dipartimenti interni di chi sollecitare per le

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dichiarazioni a seconda delle responsabilità, ma anche raccogliere le sollecitazioni che vengono dal

corpo del partito, cioè “È accaduto questo... Vorrei dire questa cosa...”. Poi, bisogna organizzare il

flusso delle informazioni di risposta pronta a quello che accade.

Riepilogando, la prima attività è legata alla rubrica del giorno, ci si prepara, la si esegue, ci si

organizza e si lavora affinché le cose che vogliamo dire e vogliamo fare abbiano visibilità sulla Tv,

sulle radio, nelle agenzie e nei giornali.

La seconda attività è lavorare in relazione a ciò che accade dando un commento, una spiegazione o

una contestazione ribadendo la linea politica del partito attraverso i suoi rappresentanti. Queste due

attività in pratica sono contemporanee, ed hanno uno sviluppo parallelo durante tutta la giornata.

Non sempre si svolgono nello stesso luogo. Possono accadere qui, nell'ufficio stampa che è la sede

del Partito, oppure si organizzano alla Camera e al Senato. In questo caso è necessario un lavoro di

coordinamento.

Infine, c'è un ultimo aspetto del lavoro svolto dall'ufficio stampa, il così detto back office, cioè la

preparazione di materiali. Ad esempio, abbiamo continuamente iniziative come in questo periodo le

feste tematiche dell'Unità in svolgimento da luglio a settembre in diverse parti d'Italia. Prima di ogni

iniziativa prepariamo dei materiali che sono i documenti di base, le spiegazioni, le dichiarazioni, ecc.

Questo è un lavoro più metodico, preparato di settimana in settimana, con uno scadenzario più lento

rispetto alla singola giornata.

Come si archiviano le informazioni e le notizie che dovranno essere utilizzate nel medio o nel lungo

termine per favorire o sfavorire un personaggio di riferimento?

Nel medio e nel lungo periodo c'è la gestione quotidiana, ma anche la strategia, che per un partito

politico coincide con la strategia di lungo periodo del partito stesso. Ci sono delle costanti che

bisogna mantenere. Noi, ad esempio, abbiamo i temi della Costituzione, della ricostruzione

democratica, della democrazia, della partecipazione, dire la verità, l'onestà.

Queste sono le cose che seguiamo tutti i giorni, inserendole nei comunicati che diffondiamo, nelle

iniziative che organizziamo, nelle dichiarazioni che rilasciamo. È la linea del partito, ribadita ogni

giorno per essere rafforzata man mano che procediamo. Non è una cosa che puoi dire una volta per

tutte. Viene detta dal Segretario durante un comizio, affermata da un altro rappresentante del

partito che va in televisione, oppure prende forma di una dichiarazione diffusa su internet o verso le

agenzie. Queste sono le cose basilari che fanno parte della strategia di lungo periodo.

Noi, ad esempio, diciamo sempre due cose rispetto al lavoro. La prima, “Lotta alla precarietà”, l'altra,

“Un'ora di lavoro stabile deve costare di meno di un'ora di lavoro precaria”. Questo perché vogliamo

favorire la stabilizzazione del lavoro. Allora, questa cosa la ripetiamo continuamente nel tempo.

Andando così ad accrescere la forza di questa parola d'ordine.

La stesso accade quando diciamo: “Dobbiamo ridurre il prelievo fiscale sul lavoro dipendente, sul

lavoro autonomo e sul lavoro d'impresa per accrescerlo sulle rendite finanziarie”. Questo per dare un

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segnale. Chi ha di più deve dare di più. Le rendite finanziarie danno troppo poco sul lavoro

dipendente, ma in genere anche all'impresa, quindi bisogna riequilibrare. Questo non basta dirlo una

volta. Bisogna ripeterlo costantemente, perché la comunicazione si rafforza nel tempo, entrando

nella coscienza collettiva.

La reiterazione del messaggio è un aspetto pubblicitario per far digerire il contenuto alle persone. È

stato Berlusconi ad introdurlo nella politica?

In realtà c'è una diversità profonda fra le due tecniche. Perché una cosa è la comunicazione come

creatrice di consenso, nel caso di Berlusconi. Nel nostro caso, invece, è la riflessione sui problemi

concreti e la ricerca di comunicare su quei problemi concreti per farli passare. Queste sono due cose

sostanzialmente diverse.

Noi pensiamo che la semplice comunicazione passa subito, ma poi crea disaffezione diventando un

boomerang. Se invece tu hai una posizione molto concreta, con temi molto concreti, questa è già una

proposta. Devi trovare il modo di raccontarla semplificandola. Qui entriamo in relazione con la

comunicazione semplice.

La politica non è solo comunicazione. La politica è politica e deve trovare il modo di farsi capire.

Ben altra cosa è utilizzare le tecniche di comunicazione per creare consenso. Se poi sotto non c'è

niente, i cittadini non sono mica scemi, le cose concrete le capiscono e le vedono. In poco tempo

diventa un boomerang. È come la pubblicità su un prodotto fasullo. Se il prodotto è buono la

pubblicità aiuta, ma se il prodotto è fasullo la pubblicità non porta risultati. Nel momento in cui le

persone si accorgono, non lo comprano più. Bisogna lavorare sempre sul prodotto buono.

Parlare della pubblicità applicata alla politica è riduttivo, soprattutto oggi con problemi scottanti

come la disoccupazione. Trattarla come una pubblicità non va bene. Bisogna trattarla seriamente.

Non si può fare pubblicità sul tema della disoccupazione. Bisogna semplificare il messaggio perché le

soluzioni non sono mai semplici. La realtà è complicata, bisogna far capire il senso in cui vanno le

soluzioni del problema.

Un esponente del suo gruppo deve essere intervistato come ci si prepara? Tre consigli.

Primo punto, l'intervistato deve conoscere gli argomenti di cui deve parlare. Ci si prepara studiando

gli argomenti, vedendo quali sono le proposte che il partito ha su quegli argomenti. Anche il modo di

illustrarle è importante.

Il secondo punto è una raccomandazione sulla brevità, non dilungarsi troppo.

Il terzo punto, dipende dal tipo d'intervista e per quale mezzo. Se è un mezzo che consente di

spiegare molto e dilungarsi molto, come nell'intervista scritta sul quotidiano che dedica l'intera

pagina, è un conto. Se invece è un'intervista di 40 secondi per un Tg, bisogna essere assertivi, poche

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parole e chiare. I messaggi vanno detti uno per volta. Nell'intervista televisiva con più tempo a

disposizione, avendo un margine di lavoro più ampio, bisogna contestualizzare quello che si dice,

sempre spiegandolo con brevità e chiarezza. In ogni caso bisogna sempre fare il primo gradino, cioè

saper bene ciò di cui si parla. Questo dà sicurezza, in ogni ambito.

Come si costruisce il rapporto di fiducia con il giornalista?

Sono tanti i modi per costruire un rapporto di fiducia con i giornalisti. C'è la frequentazione

quotidiana, lo scambio delle informazioni, l'affidabilità nell'informazione che stiamo dando.

Personalmente non sono di molte parole, però se dò un'informazione, si può stare tranquilli che è

quella e non un’altra.

Inoltre, è utile avere sempre pronto qualcosa da dare, anche se poi non risponde esattamente alle

cose che ti chiedono. Il fatto che tu hai sempre qualcosa da dare, ti rappresenta all'interno del

mondo giornalistico come una fonte. Sicuramente, è questo il rapporto più forte che stabiliamo con il

giornalista, cioè l'addetto stampa è la fonte delle informazioni del giornalista. Un giorno posso

essere una fonte più utile, un altro invece una fonte meno utile. L'importante è essere sempre una

fonte affidabile nel bene e nel male.

Ad esempio, quando voglio far passare una cosa dico chiaramente “Questa proposta ha questo

valore e ha questi risvolti”. Si può star certi che quel valore e quei risvolti sono veri. Il rapporto con il

giornalista si costruisce nel tempo, poco a poco, attraverso la precisione e l’affidabilità, sulle quali si

può tranquillamente contare. Attraverso questi passaggi divento una fonte importante e costruisco

un rapporto di fiducia.

Naturalmente i giornalisti sono donne e uomini come noi, quindi ci sono simpatie e antipatie,

maggiore o minore vicinanza. Però l'importante è avere la consapevolezza che il giornalista sta lì per

lavoro e non per amicizia. Se tu gli dai qualcosa, soddisfi la sua fame materiale per fare il suo lavoro.

Se al contrario non dai niente, diventi inservibile o inutile. Se poi, gli dai una fregatura, come quando

andiamo al ristorante e mangiamo male, la prossima volta non tornerà più.

Dopo una dichiarazione infelice, una gaffe, il ruolo del portavoce è fondamentale. Come si gestisce

la situazione critica?

Non me ne sono capitate parecchie. Una cosa sicuramente si può dire, bisogna avere sempre pronto

materiale di riserva da fornire. L'addetto stampa può cercare di controbattere, cercare di difendere

l'uscita di un'informazione che può dare fastidio facendo uscire un'altra informazione importante per

coprirla. Questa tecnica è molto usata da Berlusconi e il centro-destra come una distrazione di

massa.

Questa è una delle tecniche più efficaci, perché in realtà contrastare l'informazione è difficilissimo.

Comunque, una volta uscita un'informazione, se è falsa, uno lo dice. Se, invece, chi ha prodotto il

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falso continua a dirlo, tu sai che non potrai mai coprire tutto. Bisogna affermare che quella notizia è

falsa, sapendo che ognuno la vede in modo diverso. Si mantiene il proprio punto andando avanti.

Nei giornali potrebbe restare il dubbio, come anche nei lettori e in quelli che seguono. Però lì tieni il

tuo punto, perché sai che hai ragione. Faccio un esempio, è appena uscita una notizia che il bilancio

del Partito Democratico è in perdita. Questo non è vero. Riguarda una modalità di contabilizzazione,

in realtà il bilancio è attivo. Però contabilizzando in un certo modo piuttosto che in un altro, per

competenza invece che per cassa, risulta negativo. In realtà è una cosa molto complessa, perché

nella contabilizzazione di tutto il quinquennio delle elezioni, riceviamo una rata annuale e questo ha

determinato una serie di cose.

Il tesoriere ha spiegato in modo semplice al giornale che aveva scritto l'articolo mandando un

comunicato. Questo per dire che non si può pretendere di dare una spiegazione anche se vera,

riuscendo a coprire tutta l'informazione uscita in quel modo.

Teniamo presente che ci sono i siti che riprendono le notizie del giornale. Bisogna stare tranquilli

sapendo che non riuscirò a coprire quella cosa. Essere consapevoli di aver svolto la propria parte e di

continuare a farlo. Bisogna spiegare nel proprio sito istituzionale l'accaduto e rendere visibile il

bilancio, invitando a leggerlo. Affermare che non è così come viene scritto da altre parti. Questa per

me non è un'informazione negativa è solo un'interpretazione che mi può dare fastidio

marginalmente.

Altra cosa è invece se escono delle informazioni che mi possono dare fastidio, perché nei giornali c'è

un interpretazione fasulla o distorta di un evento. A volte accade. I giornali hanno le loro linee, ti

interpretano. È difficilissimo rimontare quella situazione o smontare interpretazioni, opinioni, ecc. In

quel caso la miglior cosa è contrastare con un diverso flusso di informazioni interessanti.

Per questa ragione consiglio a tutti di aver pronte delle cose interessanti da comunicare, magari

fredde, cioè che non accadono tutti i giorni. Quando accadono bisogna uscire con un'altra cosa e

coprire o cercare di coprire in parte o di ridurre lo spazio fondamentale che va ad occupare

quell'informazione. Un conto è una notizia che mi da fastidio che occupa una pagina, altro è se

occupa un box o un riquadro.

Questo è un lavoro che tutti gli uffici stampa, sia dell'azienda, sia dei partiti fanno costantemente.

Quando poi si ha una potenza di fuoco come Berlusconi, con tre reti televisive, alcuni direttori

compiacenti, nei giornali e nella Rai, è chiaro che viene meglio. Però il sistema è questo: mai pensare

che si rimonta una notizia semplicemente dicendo “non è vero”.

Televisione e linguaggio della politica. Chi influenza chi?

Prendendo come riferimento “L'era della politica pop” (G. Mazzoleni-A. Sfardini, Politica Pop, Il

Mulino), vengono individuate due forze in gioco nell'ambito della politica e della comunicazione: la

prima, quella dei politici che strategicamente decidono di frequentare i luoghi dell'intrattenimento

televisivo più amati dal pubblico, considerandoli come nuove tribune da cui rendersi visibili e

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conquistare il consenso elettorale; la seconda, quella del mezzo televisivo che assoggetta la politica

alla logica mediale, fagocitandola come contenuto ed ingrediente dello spettacolo.

Lei come si relaziona a queste due forze?

Come prima cosa, bisogna utilizzare il mezzo senza essere utilizzati dal mezzo. La politica deve avere

le sue linee, deve avere la sua consistenza. Dopodiché, la tv che è un mezzo potente, va usata come

mezzo per parlare, come uno strumento per raggiungere la maggior parte dei cittadini.

L'informazione è una cosa, l'intrattenimento è un'altra. Nell'intrattenimento le difese critiche si

abbassano. L'ingresso nell'intrattenimento può favorire in qualche modo l'assorbimento del

messaggio. Però questo ingresso deve essere vero, contenuto e non può essere usato troppo. Quindi,

se vogliamo parlare di chi guida un partito, una forza politica, un ministero, è opportuno comparire

due o tre volte nell'arco di un anno, in contesti molto importanti, che segnano la tua presenza e la

tua personalità.

Altra cosa è la presenza costante, anche in cose che contano poco. Come si vede sono due approcci

completamente differenti. Questo secondo atteggiamento ti svaluta. Bisogna scegliere

selettivamente tra quelle trasmissioni che sono confacenti ed organizzate al ruolo che si ha.

In televisione non possiamo scegliere il personaggio con cui stare. Ogni volta è necessaria la

valutazione del caso, se andare o non andare. La scelta può essere fatta in base al parterre che

troviamo. Tenendo presente che se il parterre è di attori, attrici, cantanti, ecc. non si può pretendere

di essere il politico che va lì a dire “serietà”!

Si possono fare delle cose divertenti, senza essere ridicoli. Questo è l'altro risvolto. Non si deve

andare nelle trasmissioni televisive per fare la frittata in diretta. Però, si può fare una cosa con un

comico se è particolare, si può andare a fare “la destra e la sinistra” da Fazio, o Bersani può andare

da Crozza. Questa cosa, però, è avvenuta due volte.

Quali vantaggi politici ha Bersani andando da Crozza?

Non tutti potevano andare da Crozza, perché non tutti hanno utilizzato le metafore come linguaggio

politico come ha fatto Bersani. In quella circostanza la cosa è nata quasi da sola. Più azzeccato è stato

“destra e sinistra”, durante la trasmissione Vieni via con me di Fazio/Saviano, perché poteva esserci

Bersani come un altro segretario del Pd. In queste occasioni il vantaggio è quello di rafforzare la

propria immagine in base a ciò che si dice. È un vantaggio, ma può essere anche un rischio. Se è un

flop, hai un boomerang che torna. Se invece in quel momento sei forte in quella comunicazione, sei

sicuro di essere una forza, allora anche la tua immagine ne beneficia. Non tanto nell'immagine di

leader.

Il pensiero della leadership è banale, e non passa attraverso questi canali. La leadership è una cosa

che viene nel tempo, rispondendo ai problemi reali, altrimenti hai solo una presenza mediatica. Un

po' come quei giornalisti che sono spesso in televisione a condurre il telegiornale, e credono di

essere importanti. Quando poi vanno in pensione, tutti si scordano di loro. Così è la vita.

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Altra cosa è il politico che riesce ad avere una linea politica e trova consenso. È un'operazione di

diverso spessore. Un po' è quello che dicevamo prima rispetto alla comunicazione e alla politica. La

comunicazione funziona quando la politica è molto forte. Se la politica è debole prima o poi la

comunicazione resta quello che è. Ci sono alcuni personaggi politici che fanno sempre le stesse cose,

dicono sempre le stesse cose. Alla quarta volta la gente gira il canale. Un conto è un messaggio

politico, un conto è una roba vuota studiata a tavolino. La partecipazione va calibrata e riempita di

contenuti, altrimenti non va bene. Conviene astenersi, come diceva Totò.

Quali regole bisogna seguire nel dibattito politico televisivo?

Gridare non va mai bene. Le grida le lascerei a quelli che vogliono diventare un personaggio

particolare al bar sport. Bisogna essere in grado di restare tranquilli e fare dei ragionamenti sintetici.

Con una persona che grida, devi avere la possibilità di fare dei ragionamenti sintetici. Essere in grado

di cogliere il momento, ed avere la personalità per imporsi. Questo purtroppo non accade per tutti, e

non è possibile avere una tecnica specifica. È un’utopia affermare che qualsiasi persona,

padroneggiando la tecnica, sia in grado di sfondare in televisione. Non è vero.

Chiunque abbia fatto l'esperienza di parlare in pubblico sa che la tecnica può essere d'aiuto, ma

non è certo la televisione a dare autorevolezza alla tua persona. La tecnica può aiutare, quindi

prepararsi per quello che si deve dire, essere sintetici, assertivi, non gridare. Però, se non hai

autorevolezza non c'è niente da fare. Si vede, traspare. Non c'è la possibilità di avere una tecnica che

aiuti a dare spessore. O ce l'hai o non ce l'hai.

C'è una tecnica che ti può aiutare a non fare brutte figure, a limitare i danni, o a esprimerti meglio se

hai spessore. Ti può aiutare a progredire. Ma velocemente si arriva al punto in cui o c'è qualcosa o

non c'è. La bacchetta magica non esiste. Ci sei solo tu e la possibilità di apparire dicendo cose che

incontrano il pubblico. Spesso nei talk-show si vedono delle persone con una determinazione

formidabile, però si ha la percezione che in realtà siano molto deboli. Quello è perché non ci sono.

Non hanno spessore.

Poi c'è l'aspetto della telegenia, bucare o non bucare lo schermo. Questa è un'altra cosa che non

dipende dall'esercizio, né dalla personalità. Dipende da come vieni percepito in televisione. Questo è

un problema per chi fa comunicazione politica. Nel nostro gruppo politico sono i giovani a soffrirlo

maggiormente. La televisione, oltre a fare informazione, è spettacolo. Per fare ascolti ha bisogno di

persone riconoscibili, che hanno già usato il mezzo ed hanno quel minimo di tecnica che gli consente

di essere spigliati.

Noi abbiamo molti dirigenti giovani, ma quando li proponiamo per le trasmissioni non li vogliono. La

preferenza ricade su deputati che non hanno nessun incarico di partito o che non fanno parte della

segreteria. La motivazione è quella che il giovane non è immediatamente riconoscibile come un

rappresentante del partito. In questi due anni siamo riusciti ad imporre alcuni dei nostri giovani e

siccome avevano spessore sono andati avanti.

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Era della comunicazione Berlusconiana: metafore calcistiche “salire al potere vs. scendere in

campo”, uso di un linguaggio decisamente popolare. Di contro, nel 2006, Prodi inaugura il

consuntivo con una comunicazione fredda ed istituzionale definita “ecologia delle immagini”. Chi a

fatto avvicinare di più i cittadini alla politica?

Questo dipende dai punti di vista. In termini di efficacia Prodi parla a voce bassa, ed è noto che chi

parla a voce bassa obbliga l'interlocutore a stare più attento, facendosi sentire di più di chi invece

parla a voce alta.

Berlusconi, invece, ha usato delle tecniche utilizzate per la pubblicità, ma anche nella comunicazione

politica. Le ha usate in modo sofisticato. Lui è molto attento agli scenari, a cosa c'è intorno. Tutto

questo va bene, ed è andato bene fino a quel momento lì. All'inizio degli anni '90 Mani Pulite ha

sbaraccato la vecchia politica, cioè la politica della corruzione, dove c'è casino, non si capisce niente,

non si decide niente. Il Paese stava sull'orlo della bancarotta. Nel '92 ci fu una manovra economica da

brivido. Il Paese rischiò il fallimento, ed a un certo punto ci fu la necessità di decidere in fretta.

Berlusconi si presentò dicendo: “Io sono un imprenditore, decido io. Basta con queste ciance,

andiamo avanti”. In quel momento quel tipo di comunicazione ha bucato ed è andata avanti.

La gente ha detto basta con queste lungaggini, con le convergenze parallele, con cose che non si

capiscono. “Questo parla come mangia, dice che decide e va avanti”. Questo ciclo sta finendo. Ma sta

finendo anche perché è cambiata la situazione. Cioè di fronte alla dimostrazione che questo modo di

fare non ha dato soluzione, perché era un modo di fare basato solo sul consenso e non sul governo.

Inevitabilmente quando si è al governo dai fastidio inevitabilmente a qualcuno. Se invece ricerchi

solo il consenso, galleggi. La fine del ciclo è determinata dalla crisi attuale, cioè di fronte alla crisi,

l'elettore non vuole più quello che ti convince perché scende in campo, ma il politico che ti dice come

stanno le cose: “Se vuoi trovare il lavoro per i tuoi figli bisogna che facciamo questo ed altro. Il

politico ti dà soluzioni non miracoli, non speranze.

La scesa in campo andava bene, in quel momento lì, ed era innovativa, è stata innovativa rispetto a

quel momento. Oggi questa è una roba stantia. Oggi, se una persona che ti dice scendo in campo

perché la governance del Paese è sbagliata, è un politico che non ha capito che non è il momento.

Questo è il momento di dire: “Signori stiamo nei casini, diciamo la verità, mettiamoci attorno ad un

tavolo e decidiamo che quello che ha di più dà un pezzo a quell'altro. A quello bisogna trovargli un

lavoro. Dobbiamo rimboccarci le maniche e andare avanti”. Questo è un altro tipo di comunicazione

politica. Intanto perché è una comunicazione politica che non dice: “Dò a tutti qualcosa”. Non è come

il film di Albanese, non c'è “Chiu pilu pe' tutti”. Non ce n'è! È una comunicazione di un altro tipo che

sta passando adesso perché è cambiato il momento.

Ci fa un esempio?

Il refrain di Bersani è “Fin dal primo momento noi abbiamo detto che c'era un problema. Voi avete

detto che il problema non c'è. Questo è un errore micidiale, il principale errore che avete fatto,

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siccome non c'era il problema, non avete fatto niente. Il problema c'è ed è grave”. Bisogna dire la

verità. Puoi affrontare e trovare il modo di risolvere i problemi.

Questo non è pensare pessimistico. No! Partiamo dalla verità, mettendoci la buona volontà, che è

un'altra cosa. Non si possono chiudere gli occhi sul 30% dei giovani che sono disoccupati. Non si può

dire di fronte a questa cosa “Trovati un fidanzato ricco”. È un errore di comunicazione mostruoso.

Poteva andare bene nel momento in cui l'Italia si liberava di un po' di muffa e diceva: “Va bene dai!

Spingiamo tutti insieme. Basta con i vecchi parrucconi!”. Infatti è passata, ed è stato un ciclo

lunghissimo dal punto di vista politico. Adesso questa cosa non va più bene, perché non risponde più

alla realtà. Non è questione di tecnica è questione di argomenti.

Cosa è successo alla comunicazione pubblica con l'approvazione della Legge 150 del 2000? La

rivalità tra Milano, sede economica dei maggiori quotidiani e Roma, sede dei Palazzi della politica,

ha determinato trattamenti diversi per questa professione?

La Legge 150 nasce da una esigenza di dare una figura professionale agli uffici stampa pubblici, cioè

da un'esigenza di contrattualizzazione più che da un'esigenza di finalizzazione. Fino ad allora gli uffici

stampa pubblici erano contrattualizzati come dipendenti pubblici, quindi come dipendenti comunali,

regionali, statali.

Si è lavorato perché fossero invece contrattualizzati come giornalisti. Da un lato, questo ha

comportato una diversa contrattualizzazione, dall'altro ha cercato di spingere verso una formazione

più specifica di coloro che fanno parte degli uffici stampa pubblici. Prima era come capitava.

Non tutte le regioni italiane l'hanno attuata nello stesso modo. Alcune regioni l'hanno recepita

immediatamente, hanno fatto una propria normativa, altre regioni non l'hanno fatta. Gli uffici

stampa di alcune province, recependo questa norma hanno impiegato tutti giornalisti, altre no.

Grosso modo si è diffusa la consapevolezza che chi lavora nell'ufficio stampa non è un dipendente

comune, ma come un ingegnere e un architetto, è un professionista che svolge un lavoro specifico.

Il che comporta una formazione specifica. Questo è il dato. L'Ordine dei Giornalisti è riuscito ad

inserire su questo dato l'aspetto della contrattualizzazione, ed il versamento all'INPGI, distributore di

previdenza dei giornalisti.

Credo non ci siano tante diversità tra la Lombardia e il Lazio, se non di opportunità e di scelte

amministrative. In Lombardia c'è un certo tipo di editoria, qui un altro tipo di editoria. Credo che le

diversità tra le due regioni riguardino le scelte di tipo amministrativo. Il numero dei professionisti a

Milano e Roma, che sono i due grandi centri, si equivale.

Come comunicazione c'è più a Milano che a Roma, come giornalisti, grosso molto si equivalgono,

anche se le funzioni sono diverse. Tra l'altro i due mondi sono molto diversi, ho lavorato per 20 anni a

Panorama e conosco com'è il giornalismo milanese. Sono due mondi che si compenetrano. Quindi la

diversità è solo di tipo amministrativo. Così come c'è una diversità di tipo amministrativo nelle

aziende. Ci sono aziende che contrattualizzano come giornalista, altre come comunicatore, altre

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come dirigente dell'azienda. La Legge 150 è stata importante perché ha indicato che comunque deve

essere un giornalista professionista a svolgere un lavoro specifico.

Strategicamente quali canali si usano per far trapelare le informazioni?

Questo dipende dai rapporti che si hanno con la stampa. Noi abbiamo i rapporti con i giornalisti. Si

raccontano le cose. Da che mondo è mondo l'informazione è potere. Avere un'informazione significa

avere potere.

Nel nostro lavoro il problema è saper dare l'informazione, ma soprattutto cercare di farla capire.

Questo non è sempre semplice. Noi la vediamo da dentro. Chi sta fuori, invece, la vede in un'altra

maniera.

Alla fine il modo in cui esce l'informazione dipende da tanti fattori: la proprietà dell'editore, dal peso

degli inserzionisti pubblicitari nel giornale, cioè se il giornale vuole o non vuole spingere un dato

argomento. Dipende dall'amicizia che si ha o dall'affinità politica del giornale.

Io credo che ciascuno debba fare il proprio lavoro, e che convenga farlo con trasparenza. Alla lunga

conviene.

Forzare troppo l'informazione può essere un boomerang. Nel breve periodo ti può dare dei risultati

ma essere trasparente, cioè dire: “io più in là non ci vado”, questo nel lungo periodo ti accredita. Nel

breve periodo si può dare un effetto particolare alla comunicazione, cioè dici qualcosa ad una

persona perché sai che lo dirà ad un'altra, ma sono cose che lasciano il tempo che trovano. Sono

tecniche che possono usare quelli che non hanno altre armi. Per chi ha sostanza conviene giocare

un'altra partita. Nel lungo periodo è vincente. Se non si ha sostanza, si può giocare di sponda,

chiamare i fotografi. Ma questa è photo opportunity più che comunicazione nel vero senso della

parola.

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6. L’UFFICIO STAMPA ISTITUZIONALE

6.1 Roberto Antonucci sulla figura dell'addetto stampa nelle istituzioni

pubbliche

Roberto Antonucci è consulente di direzione e strategie di comunicazione per aziende e

organizzazioni complesse. Specializzato in Organizzazione aziendale e Marketing insegna in

corsi e master postuniversitari di specializzazione nelle aree della Comunicazione.

È presidente della Commissione di ammissione e verifica della posizione professionale degli

iscritti Ferpi - Federazione Relazioni Pubbliche Italiana.

Che ruolo ha l'ufficio stampa all'interno di un'istituzione? Chi mette in collegamento e in che modo?

In questi ultimi tempi è importante rilevare come l'ufficio stampa sia entrato a pieno titolo nel

processo decisionale. Una volta il processo decisionale era riservato soltanto alle funzioni apicali,

presidente, direttore generale, ecc. Ora queste figure si consultano sempre più spesso con il

responsabile dell'ufficio stampa, il quale svolge il ruolo di contatto tra l'istituzione ed i suoi pubblici.

Essendo i pubblici di un'istituzione innumerevoli, il lavoro dell'addetto stampa è estremamente

complesso.

Rilevando una certa confusione sul termine istituzionale è sicuramente bene chiarire che stiamo

parlando dell'ufficio stampa di un'istituzione. Questo perché, non solo esiste l'ufficio stampa e la

comunicazione delle istituzioni, ma esiste anche la comunicazione verso le istituzioni che

sostanzialmente individuiamo con le attività di Lobby e Public Affair, così come esiste la

comunicazione istituzionale nel senso di corporate, cioè degli organismi privati.

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Nel nostro caso parliamo soprattutto o quasi esclusivamente di comunicazione delle istituzioni.

Ci può elencare 5 attività della giornata tipo di un ufficio stampa a servizio di un'istituzione?

Le attività principali di un ufficio stampa a servizio di un'istituzione si possono raggruppare in tre

macro contenitori: ascolto, analisi e comunicazione.

Il primo contenitore è l'ascolto, nel quale il comunicatore svolge il compito fondamentale di

monitorare sia i pubblici interni dell'organizzazione, sia i pubblici esterni. In altre parole, cosa dicono

questi pubblici e la rilevazione delle loro posizioni. Un'attività classica di monitoraggio, quindi di

ascolto, è evidentemente quella della tradizionale rassegna stampa. Naturalmente ora si estende

all'analisi del web e all'ascolto di tutti i pubblici. L'importante è dire pubblici interni e pubblici esterni.

La seconda fase è l'analisi, cioè la mappatura della posizioni dei singoli soggetti che noi abbiamo

monitorato. Chi sono i favorevoli, i contrari e i neutri ai vari temi che la nostra organizzazione segue,

o presidia. Questa è un'attività straordinariamente importante, perché, dall'attività di analisi ne

deriverà la comunicazione con la quale definiamo la terza fase: cosa comunicheremo? Come lo

comunicheremo? Quindi, possiamo affermare che quotidianamente un ufficio stampa ha molte più di

5 attività da svolgere nel corso della sua giornata.

L'addetto stampa è in grado di individuare argomenti da comunicare o prodotti da far conoscere,

tradurli in notizie e veicolarli nel canale più appropriato. Quale allenamento suggerisce, a chi è alle

prime armi, per acquisire consapevolezza e rapidità in queste mansioni?

Sicuramente l'attività di un addetto stampa, non è solo un'attività frutto degli avvenimenti del giorno

per giorno. Un ufficio stampa di un'istituzione dovrebbe avere un suo programma di lavoro annuale

da seguire, quindi da mettere in pratica. In realtà, il vertice di un'istituzione può prevedere benissimo

quali sono i momenti specifici e particolari nel corso dell'anno nei quali avvengono, o avverranno

delle cose d'interesse per l'istituzione.

Per acquisire consapevolezza del proprio lavoro un addetto stampa alle prime armi dovrebbe fare

un'operazione non semplice, mettersi nei panni dei destinatari del messaggio, cioè dei giornalisti,

delle agenzie di stampa, di tutti coloro che sono interlocutori o destinatari dei messaggi

dell'istituzione. Cercare di capire il loro punto di vista, entrare nel loro modo e capire innanzitutto le

loro esigenze.

Questa è un'operazione pratica di analisi delle attese dei nostri interlocutori, per capire il loro

fabbisogno lavorativo e come possiamo servire questa loro attività.

Questo significa molto praticamente cercare di fare un'analisi quotidiana attraverso la lettura della

stampa e di tutto ciò che è pubblicato sul web, per capire quali sono le posizioni di queste testate nei

confronti dei temi che la nostra organizzazione sta trattando.

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In quali casi la conferenza stampa è uno strumento efficace. In quali altri, invece, si deve

assolutamente evitare?

La conferenza stampa è uno strumento classico di comunicazione con i pubblici di un ufficio stampa

istituzionale. Il problema è che delle conferenze stampa spesso se ne abusa. Allora, la conferenza

stampa, andrebbe prescritta ai soggetti istituzionali esattamente come si fa nelle ricette di cucina:

q. b., quanto basta.

Molto spesso la conferenza stampa non è lo strumento giusto per veicolare le informazioni e le

notizie di un'istituzione. Certo è che ci aspettiamo da un'istituzione l'organizzazione di una

conferenza stampa almeno una volta l'anno con la presenza dei soggetti apicali dell'istituzione. In

questo caso è uno strumento ideale per trattare temi che si vogliono approfondire con gli

interlocutori, quindi con il sistema dei media.

Quando i temi che trattiamo rischiano di essere troppo compressi nella loro comprensione, allora

bisogna avere la possibilità di spiegarsi molto meglio. In quel caso, la conferenza stampa, è

sicuramente uno strumento ideale. Barack Obama usa Twitter per fare le conferenze stampa, che

ovviamente sono conferenze stampa moderate, nel senso che qualcuno, filtra le domande che

arrivano, dando la possibilità a Barack Obama di risponde alle domande. Certo nella capienza di

Twitter, rispondendo alle domande alle quali vuole rispondere.

Questo è un modo intelligente di fare una conferenza stampa, che in realtà non è una conferenza

stampa, ma viene chiamata ancora in questo modo in attesa che qualcuno si inventi un nuovo

termine.

Non sempre abbiamo a disposizione una grande notizia o un grande personaggio per dare

risonanza nei media alla nostra conferenza stampa. C'è uno strumento alternativo per dare risalto

ad un annuncio che vogliamo far riprendere?

Se non abbiamo una grande notizia, se non abbiamo un grande personaggio da presentare alla

conferenza stampa come facciamo? Beh, la risposta è molto semplice, non facciamo la conferenza

stampa. Non necessariamente la conferenza stampa è lo strumento ideale, come abbiamo detto. Può

essere addirittura un boomerang per chi la organizza. Soprattutto una raccomandazione: non

convochiamo i giornalisti quando non abbiamo alcuna notizia da dare, si irritano!

Quali cose non possiamo assolutamente trascurare in una conferenza stampa?

Cosa non dobbiamo dimenticare nella fase preparatoria, nella fase di svolgimento e nella fase post

conferenza stampa?

Sicuramente nella fase preparatoria non dobbiamo mai dimenticare di avere la notizia. La notizia

non è necessariamente la cosa eclatante, ma è quel bit d'informazione che serve al nostro pubblico

immediato, che sono i mediatori dell'informazione, che sono i media e i giornalisti, i quali poi ci

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aiuteranno a far arrivare la notizia ai nostri pubblici finali. Sicuramente essere certi che abbiamo un

elemento d'interesse.

Sempre nella fase pre conferenza, un'altra cosa da non dimenticare mai è fornire ed allestire i

materiali. Per materiali intendo dire pdf, jpg, video, tutto quanto può essere di supporto a quanto

stiamo dicendo per un esauriente svolgimento della conferenza stampa, ma anche del lavoro dei

giornalisti che abbiamo invitato. Qui, veniamo alla parte centrale.

Nel corso della conferenza stampa, una cosa che non dobbiamo mai perdere di vista è che ci stiamo

rivolgendo ad un pubblico di nostri partner rappresentato dai giornalisti in sala. Sia che la facciamo

nella vecchia maniera, sia che la facciamo online con degli avatar, i giornalisti sono dei nostri partner.

Non sono dei nemici, ma sono un'occasione per chi fa la conferenza stampa di avviare o consolidare

una relazione con diversi partner di lavoro. Quindi, molta attenzione nel trattarli con intelligenza.

Nella fase post cosa non dobbiamo dimenticare? Innanzi tutto, la rassegna stampa per vedere cosa è

uscito, ma sostanzialmente e soprattutto, se abbiamo creato valore per la nostra organizzazione, cioè

se il contenuto di quanto abbiamo cercato di trasmettere è stato recepito. Poi dobbiamo valutare se

noi siamo stati sufficientemente chiari e se i giornalisti sono stati dei buoni mediatori e buoni

trasmettitori delle informazioni che abbiamo dato.

Tra le cose da non dimenticare, mi viene in mente quello che rispose un guru americano della

comunicazione, ai ragazzi che gli chiedevano un consiglio straordinario. Il guru, dopo averci riflettuto

disse: “Non dimenticate mai una spina tripla”. Intendeva dire che il fatto tecnico è molto

importante. Quindi, sedersi sempre nell'ultima fila della platea della conferenza stampa per capire se

l'audio è buono e la visione è corretta. Oppure accertarsi che prima di trasmettere una telefonata in

sala ci sia il pubblico.

Le parole della politica si evolvono. Metafore calcistiche (dal “salire al governo” allo “scendere in

campo”); termini dal mondo dell'azienda e dell'imprenditoria. La rivoluzione berlusconiana nel

linguaggio della politica è inesorabile.

Di contro, le metafore democratiche di Bersani tratte dalla vita reale (“ragazzi, se piove, piove per

tutti!”), mettono in risalto una politica che si lascia prendere in giro, senza lasciarsi disprezzare.

Avvicinare il linguaggio aiuta ad avvicinare i cittadini all'istituzione?

Il linguaggio aiuta senza altro ad avvicinare i cittadini alle istituzioni, o più esattamente le istituzioni

ad essere più vicine ai cittadini. Papa Giovanni XXIII, quando salì al soglio pontificio chiese al direttore

dell'Osservatore Romano di semplificare il linguaggio quando si parlava del Papa. Secondo Giovanni

XXIII, anziché dire “le soavissime labbra, o le santissime parole”, bastava dire “Il Papa ha detto:...”,

senza fare giri di parole.

Noi viviamo un’epoca nella quale le istituzioni sono dirette, ovviamente da uomini o donne, ma

anche da personaggi. Questa è una novità rispetto al passato. In passato chi dirigeva un'istituzione

tendeva a nascondere la propria persona, la propria figura, dietro l'istituzione.

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Oggi, abbiamo personalità e personaggi che tendono ad essere presenti in prima persona, ed

affermare che loro stessi sono l'istituzione.

A questo punto risulta difficile capire quanto i linguaggi che vengono usati, siano linguaggi per essere

più vicini ai cittadini, oppure vengano usati per fare sì che il personaggio sia più vicino ai cittadini.

Credo sia necessario, per chi ha la responsabilità di un'istituzione, fare una grossa riflessione sul

proprio ruolo di dirigente, di responsabile politico dell'istituzione, quindi sui temi dell'etica e del

senso dello Stato, cioè mettere prima l'istituzione e dopo se stesso nella comunicazione con i

cittadini e con i pubblici dell'istituzione.

Naturalmente gli addetti ai lavori dovrebbero saper distinguere tra comunicazione delle istituzioni,

comunicazione politica e comunicazione elettorale. Tralasciando la comunicazione elettorale, quando

si fa comunicazione per un'istituzione, si fa comunicazione, innanzitutto, per l'istituzione. In seconda

battuta, per chi la dirige dal punto di vista amministrativo, ma anche dal punto di vista politico. Ecco

perché prima parlavo di senso dello Stato e quindi di etica.

Per accrescere la visibilità di un'istituzione e migliorare la qualità della percezione all'esterno, quali

leve della comunicazione deve azionare l'addetto stampa? Ci fa un esempio?

Innanzitutto fare monitoraggi continui per verificare come viene percepita quell'istituzione.

Sostanzialmente dobbiamo renderci conto che non stiamo lavorando nel giorno per giorno, con il

solo scopo di trasmettere le notizie. Non solo l'addetto stampa con il personale dell'organizzazione,

ma tutta la struttura dell'organizzazione, lavorano esclusivamente per consolidare la reputazione

dell'istituzione e creare valore sociale.

Ecco come le azioni di un addetto stampa devono essere finalizzate ad accrescere il valore sociale

dell'organizzazione ed irrobustire la reputazione della stessa istituzione. Questo si fa con la qualità

dei comportamenti quotidiani, con la qualità dei messaggi che vengono trasmessi, con la serietà nel

realizzare il proprio lavoro, nella qualità dei rapporti, cioè nel costruire, consolidare e mantenere i

rapporti con tutto il sistema dei media.

La reputazione non è una cosa che si costruisce da un giorno ad un altro, ci vogliono anni. Questo

vale soprattutto per gli addetti stampa, i quali devono sempre ricordare che la reputazione viene

costruita personalmente nel giorno per giorno. È importante lavorare bene per un'istituzione perché

rafforza il come saranno percepiti. Magari andranno in un'altra istituzione, ma la loro credibilità se la

porteranno appresso.

Relazione tra il giornalista e l'addetto stampa. Cosa fa assomigliare queste due professioni e cosa

le tiene invece separate?

Sono due mestieri completamente diversi, anche se usano le stesse tecnicalità. Sia il giornalista che

l'addetto stampa usano le stesse tecnicalità per scrivere un comunicato stampa.

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Il comunicato stampa ideale è il comunicato che ha nella prima parte il tema, nella seconda parte il

rema. Il tema nella prima parte è la notizia, il rema è il commento.

Il giornalista, però, fa parte del sistema dell'informazione, e l'addetto stampa fa parte del sistema

della comunicazione.

Sono due sistemi totalmente diversi. Credo che il sistema dell'informazione debba occuparsi dei fatti

che accadono in natura: se il signor Mario Rossi viene morso dal suo cane, questa non è una notizia,

se il signor Mario Rossi morde il suo cane, questa è una notizia. Nessuno ha invitato il signor Rossi a

mordere il suo cane. Se questa viene ritenuta una notizia dal giornalista, questi ha il dovere di

trasmetterla nel sistema dei media.

Il comunicatore fa un altro mestiere. Le notizie che il comunicatore produce vengono originate per

volontà di un soggetto che è un’istituzione, o un’azienda che produce prodotti o servizi. Queste

notizie vengono originate, tutto nasce per volontà di qualcuno, ha la firma di qualcuno, si sa chi

pagherà i costi di questo prodotto servizio. Dunque, l'addetto stampa, o il responsabile stampa di una

struttura privata lavorano nell'area della comunicazione utilizzando gli strumenti dell'informazione.

Chi sono gli stakeholder? Può farci un esempio di come l'addetto stampa agisce per muovere la

posizione dello stakeholder a suo favore?

Da qualche anno nel mondo della comunicazione e dell'informazione è emerso un nuovo termine:

stakeholder. Sempre più spesso è invalso l'uso di questo termine come sinonimo di pubblici di

un'organizzazione. Penso che gli stakeholder non siano i pubblici di un'organizzazione, ma indicano

un ben preciso tipo di pubblico. stakeholder significa portatore d'interessi.

Un pubblico normale di un'organizzazione, un pubblico interno, è rappresentato dai dipendenti di

quell'organizzazione. Questi vengono trattati normalmente come un pubblico, cioè investiti,

informati e coinvolti nelle attività di comunicazione interna. Nel momento stesso in cui i dipendenti

entrano in stato di agitazione sindacale, possiamo dire che, quel pubblico interno di dipendenti,

diventa e si qualifica come stakeholder, portatori d'interessi particolari, cioè sono un pubblico che si

presenta all'organizzazione rappresentando un proprio interesse o perché coinvolto direttamente o

indirettamente dalle attività di quell'organizzazione. Facendo un esempio concreto, se un'azienda

decide di mettere una fabbrica con delle ciminiere vicino ad un paesino, i cittadini di quel paesino

diventano stakeholder di quell'azienda.

Un addetto stampa agisce nei confronti degli stakeholder realizzando di solito quello che viene

definito stakeholder engagement, entra in rapporto con gli stakeholder per discutere la questione

che ha sollevato le loro posizioni e li ha fatti caratterizzare come pubblico influente. Naturalmente

quest'attività va pianificata molto prima di realizzare un'azione, immaginando quali saranno gli

stakeholder che emergeranno. Di solito gli stakeholder sono prima inconsapevoli. Quando

l'istituzione realizza un'iniziativa, emergono gli stakeholder.

93

Naturalmente noi possiamo agire con gli stakeholder direttamente, quindi entrando in relazione e

colloquiando. Colloquiare ad esempio significa svolgere attività stampa facendo entrare in campo un

terzo soggetto, che non è l'istituzione, non sono gli stakeholder, ma un terzo soggetto definito

influente, che con la sua influenza, con la sua capacità tecnica, ed anche con il suo profilo etico o

come altra istituzione, interviene nella questione.

Il nostro messaggio viene recepito, ma è passibile di fraintendimento. Come si contiene questo

angolo di distorsione? In particolare, nella comunicazione sul web, perché questo angolo di

distorsione aumenta? Può fare un esempio?

Sarebbe bello se tutta quanta la comunicazione arrivasse ai destinatari esattamente come è partita

nelle nostre intenzioni. Dall'ufficio stampa istituzionale, dalla penna dell'addetto stampa,

direttamente vero i destinatari. Purtroppo non è così. Questo è insito proprio nel meccanismo della

comunicazione.

Warren Bennis, uno studioso di comunicazione, teorizzò l'arco di distorsione. Per motivi di

carattere sociale, di carattere linguistico, di carattere ambientale, le informazioni e i messaggi che noi

trasmettiamo non arrivano mai esattamente ai destinatari come sono partiti.

Una volta i processi di comunicazione erano lineari: c'era l'ascolto, l'analisi, la trasmissione della

comunicazione e di nuovo l'ascolto. Erano processi che noi nelle aule disegniamo come circolari, ma

in effetti erano in sequenza. In ogni passaggio di questa sequenza si aveva la possibilità d'intervenire.

Intervenire a modificare e aggiustare i processi. C'era tempo per correggere. Il web ha fatto saltare

questo paradigma. Quei processi non sono più lineari, ma possiamo descriverli in maniera

fortemente circolare ed accelerata. Quando il messaggio è sul web non c'è più tempo per

intervenire a correggere una notizia.

Il web è legato alla teoria della coda lunga che ci dice come una volta lanciato nel web questo

messaggio, il messaggio rimane depositato nel web, senza andare perso. Potrebbe riemergere nel

tempo, la coda lunga appunto, e tornarci indietro come un boomerang.

L'analisi, il controllo e la verifica dei messaggi sono aspetti molto più complicati da condurre rispetto

al passato. I rischi sono molto più alti, e non sempre ce la possiamo cavare con “non avete capito”. Il

dire non avete capito per un addetto stampa istituzionale, equivale ad una dichiarazione di

incapacità. In questo caso la responsabilità è tutta nostra perché siamo stati in grado di farci capire

sufficientemente quando abbiamo dato il messaggio.

Prima della fase operativa che potremmo definire “tattica” vi è necessariamente una fase di

pianificazione degli obiettivi. Che cosa significa avere un strategia di comunicazione?

Un ufficio stampa istituzionale si muove sempre nell'ambito di un piano ispirato da una strategia di

comunicazione. La strategia è la logica che sottende le varie azioni di comunicazione e la tattica è

l'applicazione della strategia del giorno per giorno. Un ufficio stampa istituzionale, ma anche

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aziendale, o qualsiasi altro soggetto, si muove all'interno di due logiche che sono “work the talk” e

“talk the work”. A parte il gioco di parole, le logiche sono quelle del “raccontare cosa farò” e quelle

del “raccontare quello che sto facendo”.

La prima, “work the talk”, consiste nel raccontare tutti i programmi che avrò per i nostri pubblici in

futuro. La seconda, “talk the work”, consiste nel raccontare giorno per giorno quello che ho fatto,

quello che ho appena fatto, e non quello che farò. È chiaro che sono due stili comunicazionali

assolutamente diversi.

In uno si costruisce sicuramente reputazione, nell'altro bisogna essere fortunati se invece si riesce a

costruire reputazione, comunque, bisogna realizzare tutte le cose che si sono raccontate. La cosa

importante per un soggetto istituzionale rappresentato da un addetto stampa è entrare sempre in

relazione con i pubblici dell'istituzione. La relazione avviene sempre con i giornalista.

Il sistema dell'informazione è classicamente orientato a trasmettere l'informazione a... Il sistema

della comunicazione è orientato a tessere relazioni con... Questa è una delle grandi differenze tra la

professione dell'addetto stampa istituzionale con il giornalista.

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6.2 Dario De Marchi sulla figura dell'addetto stampa nelle istituzioni

Dario De Marchi, giornalista professionista dal 1977, ha lavorato per quasi 25 anni in una

delle principali agenzie di stampa con la qualifica di inviato speciale e giornalista

parlamentare.

Attualmente è responsabile relazione con la stampa di Acquirente Unico Spa, società dello

Stato con 30 milioni di utenti nel settore elettrico.

È stato capo ufficio stampa e portavoce dei ministri dei Rapporti con il Parlamento, Politiche

Comunitarie, Innovazione e Tecnologie, responsabile dell'ufficio stampa del ministro dello

Sviluppo Economico e recentemente portavoce del ministro della Salute.

Autore di alcuni libri sulla comunicazione e docente di comunicazione pubblica e istituzionale

in diversi atenei e istituzioni. Insegna comunicazione di crisi e si occupa di Homeland Security,

oltre a far parte del Consiglio Direttivo dell'AIIC - Associazione Italiana Esperti Infrastrutture

Critiche.

Che ruolo ha un ufficio stampa all'interno dell'istituzione pubblica? Chi mette in collegamento e in

che modo?

La comunicazione e il trasferimento di conoscenza sono gli obiettivi principali che deve affrontare un

ufficio stampa. Trasferire informazione equivale a trasferire conoscenza. L'addetto stampa, sia che

lavori all'interno di un'istituzione pubblica, sia che lavori all'interno di una società, ente o

bocciofila, trasferisce informazioni al cittadino ponendolo al centro dell'azione.

Il ruolo della comunicazione svolto dalle istituzioni è dirigere l'informazione verso i cittadini per

trasferire una conoscenza che contribuisce alla formazione di un libero pensiero.

Un cittadino più informato corrisponde a più democrazia, cioè apprende i modi di far valere i

propri diritti, conosce come far valere i propri doveri, ma soprattutto individua quali sono i campi

in cui si deve muovere. Più informazione sparsa vuol dire più trasparenza. La trasparenza è un

aspetto non banale. Proveniamo da decenni in cui la comunicazione è stata unidirezionale.

In realtà, la comunicazione, soprattutto quella istituzionale, deve essere bi-direzionale, cioè non solo

deve trasferire informazione e conoscenza verso i cittadini, o più in generale verso gli stakeholder,

ma deve avere una capacità di ascolto. In altre parole, sentire qual è il sentiment dei cittadini, degli

stakeholder, e riversarli verso l'interno per poter agire conseguentemente. La comunicazione ha

come compito di trasferire conoscenza, ma anche avere una capacità di ascolto.

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Quali sono tre elementi che differenziano la comunicazione dell'azienda pubblica da quella

dell'azienda privata? Può metterli a confronto?

L'approccio alla comunicazione, sia nel caso istituzionale, che in quello di aziende private, è uguale.

Cambiano le forme, ma l'unica differenza sostanziale sono gli obiettivi.

La comunicazione istituzionale è un dovere ed un obbligo verso i cittadini che sono i sovrani, hanno

diritto di conoscere e di sapere come vengono spesi i soldi, come possono utilizzare gli incentivi,

come possono risolvere i problemi. La comunicazione privata, invece, punta ad una costruzione di

immagine legata al brand e al business. Quindi, diversi obiettivi, stessa sostanza.

Un'altra piccola differenza tra i due generi di comunicazione sta sempre nella forma e nello stile con

cui si porgono le informazioni. La comunicazione istituzionale non si può permettere forme di

comunicazione strillata, fuori dai canoni e dall'etica, del decoro e della decenza. Spesso abbiamo

visto come la comunicazione privata, quella societaria, per colpire gli obiettivi usa delle forme

strillate.

Quando la comunicazione è sotto lo stellone della Repubblica, cioè diretta ai cittadini che votano a

destra e a sinistra, ai cittadini ricchi e ai cittadini poveri, non può permettersi di essere strillata. La

comunicazione dell'azienda, invece, può permettersi delle variabili un po' diverse rispetto alla prima.

Può illustrare 5 attività della giornata tipo di un ufficio stampa a servizio di un'istituzione?

In questo mestiere non ci sono regole precise, e si lavora molto a contatto con l'imprevisto.

Tendenzialmente nella giornata tipo, la prima cosa che un comunicatore deve fare, sia esso pubblico

o privato, è leggersi la rassegna stampa ed i giornali per capire qual è la situazione, lo scenario su cui

porterà quella giornata.

La seconda cosa è controllare la propria agenda e pianificare l'attività: “oggi il ministro va da qualche

parte, cosa dice, cosa fa? Cosa gli faremo dire? Cosa non gli faremo dire?”. Diciamo il ministro, ma

possiamo rivolgere il nostro lavoro per il sindaco, il presidente della Camera di Commercio, il

presidente della ASL.

La terza cosa è predisporre una sorta di dossier contenente le informazioni di base per sostenere la

comunicazione. Se a mezzogiorno parli in un posto, al pomeriggio in un altro, poi c'è un intervento ad

un'inaugurazione o un convegno, che cosa gli facciamo dire in ciascuna di queste occasioni?

Prepareremo dei dossier, lasciando a lui la scelta, o concordando con lui che cosa vuole che noi

facciamo.

Il quarto punto è la distribuzione delle competenze. Chi fa che cosa nell'ambito del mio staff? Avrò

una persona che si occupa di una cosa piuttosto che di un'altra. Certo, poi ci sono delle situazioni in

cui sono io stesso a dovermene occupare perché non dispongo di staff. A maggior ragione è

necessaria un'ottima organizzazione. Durante tutto il giorno dovrò direttamente o indirettamente,

compatibilmente con la possibilità e compatibilmente con la consistenza dello staff, fare il

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monitoraggio delle agenzie di stampa e dell'emittenza, sia nazionale che locale per capire se si

creano delle occasioni d'intervento, delle opportunità, oppure per fare in modo che il mio

interlocutore, il mio datore di lavoro istituzionale, possa intervenire.

La quinta cosa è anticipare l'organizzazione delle attività in agenda. Nel corso della giornata, se lo

spazio ed il tempo lo consentono, sicuramente a fine giornata, valutare l'agenda dei prossimi giorni,

cominciando ad organizzare le azioni propedeutiche correlate. Cominciamo a capire nell'arco dei 10

giorni successivi come si evolverà il lavoro, usando lo spazio dei tempi morti per predisporre le

documentazioni, le informazioni, i programmi e i viaggi che saranno necessari.

In quali casi la conferenza stampa è uno strumento efficace? Quando, invece, va assolutamente

evitata?

Una volta per dire che volare costava tanto, si usava la battuta “volare costa un occhio della testa”,

per cui, si potevano fare due voli. Per quanto riguarda la conferenza stampa dico la stessa cosa,

anche se ora ci sono i voli low cost.

Tempo fa, ho condotto una ricerca su Google per capire quante conferenze stampa si fanno in un

anno. Monitorando quotidianamente le agenzie vediamo che se ne fanno molte. Google dice che

sulla parola conferenza stampa, al singolare, compaiono 10 milioni di citazioni solo in italiano. Vuol

dire che se ne fanno troppe. Ormai si è presa l'abitudine di comunicare attraverso gli eventi e i

rapporti con la stampa, per cui si convocano conferenze stampa a tutto spiano, quasi come se i

giornalisti fossero nostri dipendenti, cosa che assolutamente non è.

Per varie ragioni, nelle redazioni c'è sempre meno gente che può star dietro a sempre più eventi. In

sostanza, si convoca la conferenza stampa solo se c'è la reale necessità di fare incontrare i giornalisti

per spiegare una notizia che il comunicato stampa non riesce a fare in modo ugualmente efficace. In

questo caso, se il comunicato stampa non riesce ad essere così efficace, passo alla conferenza

stampa.

La conferenza stampa mi serve perché devo far vedere qualcosa, devo dimostrare, devo anche

creare una situazione di contatto, ma non può essere quotidiana. Le conferenze stampa devono

essere dosate, calibrate e mai usate come occasione di vanagloria personale. Mai dimenticare che la

conferenza stampa è sempre un rischio. Non dobbiamo mai trascurare l'impegno notevole che

richiede la sua organizzazione. Inoltre, si crea nel nostro datore di lavoro un'attesa tale che, se per i

motivi che dicevo prima, di affollamento degli eventi, i giornalisti non vengono, lui ha un’attesa che

viene disattesa. Da questo può originare un effetto negativo nei confronti del comunicatore come ad

esempio “non sei stato capace di portarmi i giornalisti”. Quindi, ho creato prima un'illusione, poi una

disillusione.

Un buon comunicato stampa se pensato bene, cioè dalla parte dei giornalisti, usando ad esempio

lo stile dell'agenzia stampa, con la notizia in alto, è molto più efficace di una conferenza stampa

mal organizzata.

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Non siamo tutti comunicatori di enti di primo piano, in Italia saremmo dieci, ma forse solo la metà, in

grado di poter fare conferenze stampa al mattino, al mezzogiorno e a sera. Penso alla Presidenza del

Consiglio dei Ministri che le convoca in due ore. Ma sicuramente è un'istituzione di peso. Qualsiasi

altra istituzione, anche da molti ministeri in giù, debbono confrontarsi con l'agenda quotidiana.

Convocare la conferenza stampa senza avere dei forti elementi da dare ai giornalisti vuol dire

precludersi per il futuro la buona reputazione e sicuramente alla prossima occasione i giornalisti

cercheranno di girarci le spalle.

Non sempre abbiamo a disposizione una grande notizia o un grande personaggio per dare

risonanza ai media della nostra conferenza stampa. Torna utile “agganciare la scia” su un tema

d'attualità, oppure agire con altri strumenti? Quali?

Se non c'è una notizia non faccio la conferenza stampa! Anzi, se non ho una buona notizia, non

faccio la conferenza stampa! Se non ho una notizia, non faccio il comunicato stampa.

Il comunicato stampa non è un certificato d'identità che dice che io esisto, o esiste il mio

interlocutore. Spesso non abbiamo un aggancio con l'attualità. Altro è quando la notizia ha un

legame con l'attualità. In questo caso mi colloco in una posizione leggermente avvantaggiata rispetto

a chi dà una notizia autoreggente, cioè fine a se stessa. Partiamo dal presupposto che bisogna avere

la notizia. Se l'agganciamo all'attualità è meglio. Creare l'occasione è utile, ma non deve sembrare

una forzatura ai giornalisti, perché sono i primi a farci le pulci. Quindi, l'aggancio con l'attualità è

utile, non sempre è possibile.

Può fare alcuni esempi di come è possibile utilizzare nella comunicazione istituzionale gli strumenti

del web 2.0 come il mobile e gli user generated contents?

Apprezzo moltissimo l'opportunità data dal mondo digitale. Vengo da un'esperienza di capo ufficio

stampa e portavoce del ministro dell'Innovazione Tecnologica. Pur apprezzando le opportunità

offerte dal mondo digitale, non dimentichiamo che la comunicazione istituzionale ha obblighi e

vincoli diversi da quella aziendale. Il problema è che non si è mai riusciti in questo fronte a far

applicare al mondo digitale le regole che valgono per il mondo reale.

Il mondo digitale non è un far west. Non dovrebbe essere un luogo dove si può far tutto. In realtà

avviene proprio questo. Pensiamo ai blog che accreditano delle immagini, delle informazioni, delle

verità, ma in realtà dicono delle bugie. Solo perché sono in 25 o in 200 a dire la stessa cosa non è

detto che quella sia la verità.

L'impossibilità di esercitare un controllo come avviene per la stampa tradizionale, rende più difficile

usare questi strumenti. Mi piace che la gente possa avere il diritto e la libertà, fa parte dell'articolo

21 della Costituzione creare dei contenuti digitali, ma questi devono restare tali. Posso mettere su

Youtube delle informazioni, posso usare Facebook per trasferire delle informazioni, ma queste non

possono diventare uno strumento di comunicazione ufficiale. Questo potrebbe accadere se ci fosse

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un discrimine tra la qualità, la serietà e l'autorevolezza delle informazioni che passano per questi

media alternativi, che alternativi ora non lo sono più tanto, con l'informazione fatta invece dagli

utenti tradizionali.

È ragionevole pensare che l'esistenza della comunicazione digitale, da un lato ha agevolato la

trasferibilità della conoscenza, come ad esempio la facilità con la quale mandiamo una mail piuttosto

che un fax che arriva ad una macchina condivisa. Nello stesso tempo, però, ha creato un tale

affollamento delle fonti d'informazioni, primarie o secondarie, che nelle redazioni si fa fatica a

seguirle tutte.

I colleghi alla dipendenza del Ministero degli Interni, ad esempio, non solo si occupano della

comunicazione del ministero, ma devono seguire anche gli interventi del ministro nelle sedi interne e

all'estero, oltre a quello che scrive su Twitter, perché lui ha anche il tempo per far questo. Dando per

scontato che lo faccia lui e non lo faccia fare ad altri. Debbo dire che è molto stressante e non so

quanto vada a discapito della comunicazione istituzionale. Questo perché se un ministro deve dire

una cosa ha le occasioni e le sedi per farlo, non occorre che utilizzi delle sedi esclusive digitali che

non sono avvalorate dal certificato di qualità. Abbiamo visto su Facebook comparire spesso dei siti

accreditati da personaggi autorevoli, del mondo dello spettacolo, ma non per questo poi si sono

rivelati veri. C'è un grosso rischio.

Comunque, debbo dire che questi strumenti sono efficaci, se li vediamo nell'ambito della bi-

direzionalità della comunicazione istituzionale. Nel senso che, queste nuove forme di comunicazione

digitale e i social network possono essere utili per monitorare il sentiment e le esigenze sia dei

cittadini, che delle categorie sociali, ma ribadisco, non possono essere uno strumento esclusivo di

comunicazione istituzionale.

Il comunicatore deve sempre tener conto di una forte dose di sano pragmatismo e concretezza.

Attualmente facciamo fatica a comunicare con gli strumenti che sono a nostra disposizione.

Non dimentichiamo che in Italia non c'è la buona regola della comunicazione interna. Il comunicatore

non sempre viene informato di tutto, non sempre nel suo lavoro istituzionale sa cosa è l'oggetto di

una comunicazione.

Quindi, facendo già fatica a comunicare, se si mette ad allargare gli strumenti, sostituendosi ad una

prerogativa che è tipica del marketing, che è un'altra cosa, diventa molto difficile. Non dimentico la

moda che abbiamo avuto negli anni scorsi in Italia, quando tutte le aziende, le assicurazioni,

andavano sul 2.0, sul virtuale. Abbiamo visto che tutti hanno usato questo strumento di

comunicazione in modo molto tradizionale, cioè per dire che avevano fatto una scelta digitale

innovativa. Se andiamo a vedere, il 2.0 è rimasto una cosa per pochi intimi. Ora, molti pochi stanno

navigando sul 2.0, perché il sano pragmatismo dice che già faccio fatica a fare le cose normali. Se

aggiungo cose fantasiose, con in più tutto il nuovo fronte dei social network di difficile

governabilità, realisticamente diventa caotica e poco incisiva l'efficacia della comunicazione del

messaggio finale. Per cui, l'idea è buona ma la concretizzabilità ai fini di una maggiore comunicazione

istituzionale non porta valore aggiunto. Facciamola bene, ma soprattutto facciamola attraverso i

mezzi tradizionali.

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La gente continua a guardare le affissioni, continua a guardare gli spot pubblicitari, continua a

guardare la televisione, leggere il giornale, e soprattutto continua ad ascoltare moltissimo la radio

che è in crescita. Quando ho utilizzato tutti questi strumenti ho già fatto un'operazione utile. Va

benissimo stare su internet, ma non posso non notare che molte grandi aziende hanno nei loro siti,

spazi dedicati alla rassegna stampa ed ultimi articoli pubblicati, con aggiornamenti a tre, sei, nove

mesi fa.

Ecco, usiamo bene i siti internet, la mail e tutte le altre forme di trasferimento delle informazioni

nell'ambito di un paniere in cui dentro c'è tutto, sia gli strumenti tradizionali che quelli innovativi.

Quali strumenti appropriati usa un'istituzione per gestire la comunicazione esterna?

Faccio una premessa che lo scenario attuale ci impone. Negli uffici di comunicazione dei ministeri,

ad esempio, vedo che negli ultimi tempi non ci sono più giornalisti professionisti, soprattutto quelli

con esperienza di giornalismo da quotidiano, in cui, come sappiamo, la prerogativa è selezionare la

notizia da dare, scartando quelle che non sono notizie. Riscontro la presenza di figure, alcune

certamente brave, che sono lì perché vicine, o sono state vicine al ministro, al presidente della

Camera di Commercio o al rappresentante dell'istituzione di turno. Come dire, viene saldato un

debito di riconoscenza. Comincio ad avere riserve sulle caratteristiche di qualità, affidabilità e

professionalità giornalistica di queste persone.

Dal mio punto di vista bisognerebbe riportare tutto ad una sana e reale applicazione della Legge 150

del 2000, la così detta Legge Bassanini. Questa legge in Italia è stata portata avanti in maniera

minimale, sebbene delinea le caratteristiche di una figura professionale accreditata per lo

svolgimento della comunicazione in ambito istituzionale.

Tornando alla domanda, gli strumenti a disposizione dell'istituzione per gestire la comunicazione

esterna sono molteplici: dal rapporto con la stampa, alla pubblicità, passando per le affissioni e gli

eventi. Purtroppo anche qui, se ne fanno troppi. La governablità delle cose sembra passare

esclusivamente attraverso eventi e pubblicità tradizionale.

Prendiamo in considerazione il fatto che la comunicazione istituzionale mass mediatica è a costi zero,

con i soli costi del personale, senza costi d'investimento. La pubblicità, invece, oltre ad avere i costi

d'investimento, si deve confrontare con un mondo pieno di pubblicità, fortemente competitivo. Per

cui, se una campagna non viene condotta in maniera molto efficace e duratura, spalmata nel tempo

e nello spazio, non si riesce ad avere un risultato solido, cioè di radicamento nella conoscenza delle

persone. Non solo, riscontriamo come l'eccesso di campagne pubblicitarie, anche ben fatte, abbia poi

fagocitato il soggetto committente. Nel senso che, moltissime persone ricordano i claim, le battute, i

dialoghi, le gag di una campagna pubblicitaria, ma non ricordano chi era il marchio sponsorizzato in

quella campagna. Quindi starei attento.

La scelta degli strumenti va condotta sempre in base ad una serie di elementi essenziali,

soprattutto nelle istituzioni pubbliche, ed in particolare in questo momento di tagli alla spesa

pubblica.

101

Le diverse esigenze possono essere le risorse finanziarie, il target da raggiungere, la tipologia della

comunicazione e non ultima, l'informazione che vogliamo dare a queste persone. Tutto questo lo si

può fare se si ha un piano di comunicazione.

Onestamente i piani di comunicazione dovrebbero essere alla base di molte azioni comunicative, ma

spesso non si possono fare perché la comunicazione non comunica con il resto dell'azienda. Come se

l'azienda andasse per i fatti propri definendo la comunicazione come si fa con il ragazzo del bar

quando gli chiediamo le ordinazioni. Si dimentica invece di dare delle informazioni tali per cui, la

comunicazione può fare delle scelte e preordinare dei percorsi con itinerari e rotte, per far sapere le

specifiche esigenze dell'azienda, ed informare in maniera compiuta i cittadini.

Quali sono invece gli strumenti per gestire la comunicazione interna?

Siamo passati dalle bacheche alle circolari approdando ai primi House Organ. Ricordo, bellissimi,

quelli della Fiat o della Pirelli. Erano molto utili per noi giornalisti che trovavamo notizie aziendali

altrimenti non reperibili da altre parti.

Si è arrivati alle newsletter, con il loro format molto agile di distribuzione, che arriva in poco tempo

dappertutto, a costi praticamente zero.

L'altra forma è l’Intranet o l’Extranet. Intranet è il sistema maggiore per informare. Molte aziende

arricchiscono questo servizio con informazioni sulla situazione del traffico, così il dipendente quando

esce conosce la situazione. Troviamo anche il menu e tante altre informazioni che all'esterno non

interessano. Tutto questo è utile perché va a stimolare un trasferimento interno di conoscenza. Ma

soprattutto è utile per il brand stesso.

Non dimentichiamo che la comunicazione interna è alla base per creare un fattore, un elemento

psicologico che viene troppo spesso dimenticato: l'orgoglio di appartenenza.

È importante che il personale sia a conoscenza delle operazioni che l'azienda o l'istituzione di

riferimento sta conducendo. La cosa peggiore è quando il personale lo apprende da soggetti esterni,

magari per sbaglio, perché l'amico del presidente, del consigliere o dell'assessore mi riferisce che la

mia azienda o istituzione, sta facendo qualcosa. Mi sentirei offeso, come se in famiglia il mio papà

dovesse comprare la macchina e non lo dice in casa, ma lo vengo a sapere dal vicino.

L'orgoglio di appartenenza è un valore aggiunto, rilevante, ma anche strategico. Faccio un esempio.

Se il centralinista sa che la mia istituzione sta trattando un determinato argomento, per le parti che

per lui può essere utile sapere, è chiaro che quando gestirà le telefonate in entrata, essendo

informato che c'è una trattativa in corso, un progetto o un protocollo d'intesa, veicolerà la telefonata

verso le fonti giuste, e non brancolerà da un ufficio ad un altro facendo fare alla mia istituzione

brutta figura.

L'orgoglio di appartenenza è uno dei fattori spesso dimenticati che può essere coltivato con la buona

comunicazione interna.

102

Le newsletter sono sicuramente un fattore nuovo. Ci sono anche altre forme come il blog. Il rischio è

l'anonimato che vada ad alimentare delle forme deleterie di negatività, di oltraggio, di calunnia senza

che le persone che le fanno si assumano le responsabilità. Questa è la ragione della mia cautela nelle

forme più avanzate del digitale.

Quali sono le leve della comunicazione azionate dall'istituzione per affermare la sua reputazione,

cioè il modo in cui viene percepita all'esterno?

Partiamo da un presupposto. Personalmente, sono contrario alla figura dello spin doctor impiegato

nella comunicazione a livello istituzionale, che invece ha fatto la comparsa da qualche anno anche a

livello governativo. È una figura molto usata all'estero.

In Italia sono contrario che venga usata nelle istituzioni perché dà al cittadino un'immagine del

soggetto istituzionale diversa da quella che è. Quindi, io che vado a votare, devo votare per delle

capacità reali di un soggetto, non perché qualcuno mi ha dato un'immagine di questa persona

falsata, attraverso quelle forme di comunicazione, tale da trarmi in inganno. Stiamo trattando una

materia troppo delicata per lasciarla in mano agli spin doctor. Possono andare bene per un cantante,

per un attore, per uno sportivo, anche per un imprenditore, ma non certo per un uomo politico.

L'obiettivo della comunicazione istituzionale, come del resto quella tradizionale, non è creare solo

la visibilità. Spesso quando si va a parlare con i nostri interlocutori, ci viene rivolta la domanda

“quanti ritagli”? Nessun ritaglio, non siamo proprietari di giornali, non abbiamo questo potere. Però

ci mettiamo tutta l'anima, il corpo e la testa, perché siano tanti questi ritagli. Ma soprattutto, più che

i ritagli e la visibilità, noi dobbiamo puntare alla credibilità e ad una buona e solida reputazione.

Questo non si fa solo attraverso un processo articolato e spalmato nel tempo, ma è necessario un

presupposto, la coerenza. Posso tentare di creare una qualsiasi buona credibilità e solida

reputazione, ma se l'istituzione non ha dei comportamenti nei confronti degli stakeholder coerenti,

che diano un senso di efficacia, trasparenza, onestà e buon risultato, è chiaro che non funziona.

È come un'azienda che si trova a gestire un grosso problema con i suoi consumatori a causa di un

prodotto avariato. Inutile che faccia degli ottimi uffici stampa quando c'è da costruire un'immagine e

soprattutto assicurare che il prodotto non sia più avariato o difettato. Quindi, ci vuole sempre una

stretta correlazione tra la comunicazione e la reale capacità di un'azienda.

Chi sono gli stakeholder per un'istituzione? Ci può fare un esempio di come l'addetto stampa agisce

per muovere la posizione del “pubblico influente” a suo favore?

Basterebbe che la comunicazione si limitasse a trasferire l'informazione di un'ottima azione svolta

dall'istituzione.

Gli stakeholder sono tutti i portatori d'interesse nei confronti dell'istituzione. Per un'istituzione i

primi ed assoluti portatori d'interesse sono i cittadini. La categoria dei cittadini è una categoria

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composita per qualità di capacità informativa e per la diversità d'interessi. Dentro una categoria

come quella dei cittadini ci sono tante varietà di stakeholder: i pensionati, gli studenti, i disoccupati,

le casalinghe, i laureati, gli imprenditori, i rappresentanti di associazioni imprenditoriali o di banche,

quindi a tutti questi bisogna rivolgersi.

L'ASL che realizza un nuovo reparto, o adotta una nuova tecnologia per affrontare degli esami

diagnostici, dovrà comunicare in maniera diversa in relazione al suo pubblico influente. Per esempio

rivolgendosi ai cittadini dirà: “da domani questa ASL potrà eseguire queste tipologie di esami”, cioè

un'informazione generica rivolta a tutti gli utenti. Contestualmente potrò poi utilizzare questa stessa

comunicazione, se così pregnante, per raccontarla a tutte le riviste del mondo della sanità, a tutte le

riviste dei soggetti che fanno innovazione tecnologica applicata alla sanità. Quindi, cambia il modo di

scrittura in relazione agli stakeholder.

La diretta esperienza pratica mi ha insegnato che la scrittura dei comunicati stampa non deve essere

pensata solo come fosse rivolta al Corriere della Sera, ma deve essere pensata per gli stakeholder.

Più comunicati stampa, scritti in una maniera rispondente alle esigenze, alle capacità conoscitive, ed

al linguaggio che viene usato per ciascuna delle categorie diverse che compongono gli stakeholder.

Banalizzando, per un'azienda che fa un prodotto, quindi non un'istituzione, gli stakeholder saranno

gli azionisti, i dipendenti, le organizzazioni sindacali, i fornitori, la rete commerciale, la rete

distributiva, le banche con cui si interfacciano, le istituzioni del posto in cui si trova. Ciascuno di essi

non può essere raggiunto da una comunicazione uguale per tutti, ma a ciascuno racconteremo le

cose che è giusto che quella categoria sappia, e che mettano in risalto la buona reputazione e la

qualità della nostra informazione.

Quali consigli può dare per articolare una strategia di comunicazione?

Un famoso ed importante amministratore delegato per il quale ho lavorato diceva: “La strategia è

quando la pancia e la testa si raccordano”.

Perché è giusto che si faccia un'analisi di scenari delle situazioni, delle metodologie e le esigenze dei

target, quindi si faccia una strategia nella comunicazione, ma la comunicazione è forse uno di settori,

un po' come avviene per il pilota dell'aereo, in cui non esistono delle regole. Certo il pilota dell'aereo

fa tutte le procedure e tutte le manovre, ma quando è in volo ed ha delle correnti che non

prevedeva, ed un carico di passeggeri, e vola ad un'altezza con un motore magari un po' deficitario,

decide ragionando di testa e di pancia, soprattutto di testa ovviamente.

Quindi, nella comunicazione il discorso delle strategie esiste, ma è legato sempre al momento, alla

situazione. È difficile standardizzare il modo in cui si fa una strategia di comunicazione.

Si parte sicuramente da “Che cosa voglio dire”, “A chi lo voglio dire”, “Come lo voglio dire”, “Quali

sono gli strumenti per dirlo”. È una sorta di piramide che parte dal messaggio: i destinatari, ogni

destinatario in quel gruppo di stakeholder, di cui parlavo prima, che sono diversi per ogni tipo di

situazione. Poi bisogna domandarsi “Quali strumenti di comunicazione usa per essere informato?”. In

104

base a questo creo il messaggio usando il linguaggio. La strategia cambia, non si può fare una

semplificazione come sto facendo.

Se organizzo una conferenza stampa a Milano, cioè per presentare un'iniziativa che sta da un'altra

parte d'Italia, e quel giorno, come è successo a me personalmente, c'è un attentato e uccidono

l'amministratore delegato di una grande impresa, tutta la pianificazione viene sballata. È chiaro che

in quel momento la mia strategia viene modificata e riadattata alle esigenze del momento.

Ecco che è necessaria una capacità di stare in equilibrio rispetto a situazioni diverse, alle varie spinte

centripete e centrifughe in modo tale che il comunicatore possa dare sempre una risposta

organizzativa e di contenuti all'esigenza.

La comunicazione sta in piedi su due gambe. La prima gamba è il trasferimento di conoscenza, la

seconda è la logistica e l'organizzazione.

Il comunicatore deve avere la capacità di governare il trasferimento di conoscenza, ma saper usare

tutte le leve, mail, contatti, telefonate, informazioni, archivio. Tenendo conto che fa tutto questo

senza spendere dei soldi d'investimento, come invece abbiamo visto avviene nella pubblicità. È

molto più radicato un bell'articolo che viene messo nei cassetti di un direttore di banca, piuttosto

di un'organizzazione sindacale o di un’altra categoria, piuttosto che avere uno spazio pubblicitario

che tutti sanno che io ho comprato, ho pagato e ho messo come ho voluto.

Mettiamo a confronto il sistema dell'informazione con il sistema della comunicazione. Il giornalista

e l'addetto stampa usano tecnicalità simili. Quali sono le differenze?

Non so quanto sono differenti. Innanzitutto, suggerisco sempre a chi ha un approccio didattico al

mondo della comunicazione, cioè studia e fa comunicazione, di leggersi bene i lanci di agenzia.

Anche se è avvenuta una giornalistizzazione di questi lanci di agenzia. Ricordo che quando nel luglio

del 1971 arrivai all'Ansa mi dissero “tu non scrivi articoli, tu scrivi notizie”!. La notizia sta in alto, in

testa. Si arriva con la nostra comunicazione ad una marea di redazioni, dove i giornalisti sono

bombardati come in un fortino da innumerevoli notizie. Quindi, tu devi riuscire a forare, cioè si

devono scrivere cose che vengono riprese, non scrivere per il vento.

La regola fondamentale è quella di mantenersi come stile di scrittura molto vicino a quello

giornalistico, se non identico a quello dell'agenzia, con la notizia in alto.

Noi in qualche modo dobbiamo fare da mediatori nei confronti dei giornalisti, e non a caso i

giornalisti sono i mediatori di massa.

Esemplifico, immaginiamo un fiume con le due sponde. Sulla sponda sinistra ci mettiamo l'istituzione

per cui lavoro, con il mio datore di lavoro, che semplifico indicando con il simbolo Euro. Sulla sponda

destra ci metto MM, mass media, i giornalisti.

105

Ai miei studenti chiedo sempre “il comunicatore da che parte sta”? Gran parte dei miei interlocutori,

indicano la posizione del comunicatore sulla sponda degli Euro, o poco poco spostati. Invece io la

vedo totalmente vicina, se non quasi sulla sponda degli MM, i mass media.

Questo per dire che i giornalisti mi devono percepire come uno di loro, iscritto all'ordine dei

giornalisti, obbligato a rispettare delle regole deontologiche, che dà a loro delle notizie come se

fossi un corrispondente di un'agenzia di stampa presso l'istituzione.

A Palazzo Chigi, al piano terra sul lato destro dell'ingresso ci sono delle sale occupate dalle agenzie di

stampa dove ci sono i corrispondenti. Il loro compito non è solo riferire la conferenza stampa del

presidente del Consiglio dei Ministri, ma anche riferire le notizie che loro riescono a portare a casa,

attraverso le buone relazioni. Ecco, io devo essere percepito dai giornalisti come un corrispondente

che lavora per l'istituzione, che rispetta le regole dell'affidabilità, di deontologia, che trasferisce

conoscenza. Non sto facendo un'operazione pubblicitaria e non sto vendendo un prodotto, sto

trasferendo informazioni. Quindi ho bisogno che loro percepiscano al meglio me e le informazioni

che veicolo, come produttore di notizie.

Quali sono le azioni necessarie per costruire la fiducia con il giornalista nel tempo?

Prima di costruire una buona reputazione per conto di un'istituzione, dobbiamo averla noi stessi.

Una volta si usava chiamare i giornalisti che fossero affidabili per quello che dicevano e per come

venivano percepiti dai colleghi. Ricorderò sempre, quando alla Presidenza del Consiglio, venne

chiamato un grande giornalista, inviato di un settimanale che ora è stato chiuso. Fu una delusione

totale, perché lui si appecorinò nei confronti del suo datore di lavoro, dimenticando il suo ruolo. Era lì

per avere relazioni con i giornalisti.

In un altro caso, un collega venne chiamato il “porta silenzio”, perché non dava nessuna notizia.

Stava lì. Veniva per cercare di capire e carpire quello che dicevano i giornalisti nei confronti delle

istituzioni e non dava informazioni.

Quindi, i giornalisti ti devono percepire come uno di loro. L'addetto stampa deve possedere un

atteggiamento di onestà ed informativa tale, per cui il ministro o il presidente della ASL, piuttosto

che il presidente della Camera di Commercio, sa che ha la strada verso i giornalisti lubrificata dalla

qualità, dalle doti, dalla capacità professionale di una persona che sa parlare con i giornalisti, e che

dai giornalisti viene percepita come affidabile.

Che poi il comunicatore usi degli strumenti non formali per arrivare ai giornalisti, lo sappiamo e

l'abbiamo sempre fatto. Andare anche alle conferenze stampa degli altri è un'occasione per stare con

i colleghi, per stare dalla loro parte. Sedersi con loro e prendere appunti. I giornalisti ti confermano

come uno di loro e le informazioni che tu dai non sono solo di una matrice di un brand ma sono delle

informazioni reali, comunicabili, puro trasferimento di conoscenza.

Evidentemente, la buona comunicazione non passa solo dalle buone relazioni che si hanno con i

giornalisti.

106

Ricordo il giorno dell'incendio della stazione ferroviaria Tiburtina avvenuta in estate.

Quando ho ricevuto la notizia dell'incidente, quella comunicazione era molto adatta ad una rivista

specializzata di sicurezza, prevenzione e tecnologia, ma non andava bene per i giornali. Scusate il

temine, ma l'ho rovesciata come un calzino, proponendola al mio interlocutore che ha commentato

dicendo che le cose erano le stesse, ma di gran lunga più percettibili. Dopo cinque minuti che

l'avevamo mandata, l'Ansa la stava già dando integrale. Vuol dire che il giornalista dell'Ansa ha preso

la notizia non come un comunicato stampa, ma come una news scritta da un collega. Ripeto, non è

solo un problema di buona reputazione con i giornalisti.

Il processo di comunicazione avviene attraverso una serie di passaggi. Prima di tutti bisogna entrare

nelle redazioni. Qui si entra avendo gli indirizzi giusti. C'è una grandissima mobilità dei giornalisti.

Uno manda una notizia a quel giornalista che magari non sta più in quella redazione. Quindi, devo

avere dei dati ben precisi. Ecco perché dicevo che quell'altra gamba è quella logistico-organizzativa.

Ma soprattutto, debbo arrivare ai giornalisti in maniera molto chiara, avendo la capacità di

interpretare come lui scriverebbe la notizia per i suoi lettori.

La realtà è che noi abbiamo di fronte un cassettino A4, dove entrano le notizie da pubblicare.

Affianco c'è un cestone enorme dove vanno buttate le notizie che non interessano. Il nostro compito

è entrare nel cassettino, tenendo lontano il cestone.

Come gestisce un'istituzione la comunicazione nei momenti di crisi?

Uno degli aspetti nuovi della comunicazione è la comunicazione di crisi. Gli Stati Uniti hanno scoperto

dopo l'11 settembre l'esigenza di dotarsi di un dipartimento denominato The Homeland Security, che

dispone di budget miliardario in dollari.

Abbiamo visto da vicende storiche estremamente disastrose come il Vajont, Vermicino, ed altre

ancora, come sia importante gestire la crisi, che non vuol dire domare, plastificare, modificare la

comunicazione, ma gestire nel senso di condividere l'informazione.

Ho vissuto l'esperienza del terremoto in Friuli dove accanto a Zambelletti, commissario per

l'emergenza, c'era un giovane funzionario che si occupava di interfacciarsi con noi. Nacque allora

l'embrione della Protezione Civile. Ma soprattutto, nacque un sistema di interfacciarsi con i

giornalisti per dar loro informazioni. Questa struttura aveva lo scopo di creare scenari di conoscenza

tali da evitare che al danno si aggiungesse altro danno.

Faccio un semplice esempio. Ci hanno insegnato che se ingeriamo per sbaglio sostanze tossiche

dobbiamo bere del latte. Questa azione non vale per tutto, ma solo in alcuni casi. Quando dò

informazioni per gestire un'emergenza il mio obiettivo è quello di circoscrivere nel tempo e nello

spazio i danni ulteriori. Ma soprattutto, innesco dei meccanismi affinché le persone possono salvarsi.

In altre parole, l'obiettivo dell'informazione nella comunicazione di crisi è ripristinare le condizioni

minime di normalità nel più breve tempo possibile.

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Purtroppo chi gestisce la comunicazione di crisi per conto di un ente, deve tener conto che si crea

una situazione paradossale. Da un lato c'è il passa parola, che amplifica ad ogni passaggio la

situazione esasperandola, rendendola al centro di una sorta di protagonismo (“io so che dopo questa

scossa ne verranno delle altre”). Dall'altro lato, la stampa fa da specchio alla situazione di crisi

amplificandola, cioè non facendo la parte dell'informazione onesta e lineare, ma amplifica le paure.

Del resto i giornali, legittimamente, da ogni situazione di crisi, come un omicidio clamoroso, colgono

l'occasione per aumentare il numero di copie. Aumentando il numero di copie, aumenta il prezzo con

cui vendono la loro pubblicità, il famoso costo-contatto. Ecco che, chi fa la comunicazione deve

tenere conto di uno scenario molto complesso, che non è quello della vicenda di cui si fa

comunicazione, ma della vicenda di contatto di relazioni con i comunicatori.

Le aziende serie si dotano di piani di crisi. Nell'ambito dei piani di crisi, si adottano i piani di

comunicazione di crisi, in modo tale che possono prevedere quello che nessuno aveva previsto.

Sempre nell'incendio estivo alla Stazione ferroviaria Tiburtina, non solo non sono scattati i sistemi di

allarme d'incendio che tutti gli edifici di un certo livello hanno, ma si è innescato un meccanismo ad

effetto domino. L'incendio di una centrale ferroviaria si è trasferito alla rete di trasporto urbano, poi

alla rete metropolitana, infine alla rete autostradale. Ciascuno dei soggetti si preoccupava di

comunicare la propria parte senza interfacciarsi l'una con l'altra, ed i cittadini non avevano una

visione globale.

Ecco che la comunicazione di crisi dovrebbe giocare molto sulla prevenzione, che è anche una

prevenzione organizzativa, per ovviare e gestire al meglio la comunicazione che nei momenti di crisi

può interrompersi a causa della mancanza di luce e di capacità trasmettitiva dei GSM.

Un buon piano di comunicazione di crisi, incastonato in un piano di crisi, deve immaginare delle

stanze di crisi dove si riuniscono le persone per gestire la comunicazione.

Comunicare nelle crisi è molto pericoloso, non solo perché c'è il rischio che si aumentino i danni, ma

perché ne va della reputazione dell'azienda. Il caso più eclatante è quello della Johnson & Johnson

vittima di una serie di sabotaggi che portarono alla morte di alcune persone. In alcuni loro flaconi

furono iniettati dei liquidi mortali. La gestirono talmente bene che al termine di questa vicenda la

loro capacità e la loro percezione migliorò.

Un esempio contrario fu il caso della Perrier, con un problema alla produzione che mise sul mercato

una partita di acqua contaminata. In questo caso, l'aver indugiato nella comunicazione in una

situazione di crisi penalizzò ampiamente l'azienda.

Quindi per governare la comunicazione è sempre meglio dire che non dire?

Quando ero al Ministero dello Sviluppo Economico come responsabile dell'ufficio stampa arrivavamo

a fare dodici comunicati al giorno, nessuno di argomento identico. Si parlava di energia, di

commercio estero, di commercio interno, di industria, di aziende in crisi, di telecomunicazioni.

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La prima cosa che pongo sempre davanti quando debbo comunicare è che cosa voglio comunicare. In

questo contesto cerco di fare mezzo passo in avanti dicendo: “se comunico queste cose qual è il

rischio? Subisco un danno perché innesco delle reazioni tali da non essere più in grado di governare,

oppure le peggioro stando zitto?”. Cosa voglio comunicare, a chi, con quali linguaggi, con quali

media? Cercherò sempre di avere davanti il governo di un quadro complessivo sul quale posso

intervenire in ogni momento anche cambiando la situazione.

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4. L’UFFICIO STAMPA AZIENDALE

7.1 Massimo Massimi sulla figura dell'addetto stampa aziendale

Massimo Massimi è giornalista professionista dal 1978.

Già Consigliere per la Comunicazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri

(Ministero per l'Innovazione e le Tecnologie), ha ricoperto numerose cariche istituzionali, in

ultimo quella di Responsabile della Comunicazione dell'on. Silvano Moffa, Presidente XI

Commissione della Camera dei Deputati "Lavoro Pubblico e Privato" e Presidente del Gruppo

parlamentare "Popolo e Territorio".

Attualmente, ricopre l'incarico di Vicepresidente del G.U.S. Roma (Giornalisti Uffici Stampa),

ed è membro del Consiglio Direttivo della FEE Italia (Foundation for Environmental Education

– Bandiere Blu)

Nei precedenti trent'anni di professione, Massimo Massimi è stato Responsabile della

Comunicazione aziendale per Telecom Italia Mobile, Italcable, Ilva, Alitalia.

Qual è il peso del manager della comunicazione aziendale oggi?

Oggi, la figura del manager nella comunicazione aziendale ha un peso enorme. Le grandi e medio

grandi aziende, soprattutto le multinazionali, non possono fare a meno di una figura che abbia un

certo peso nella comunicazione.

Non a caso, nell'ultimo decennio, tutti i capi della comunicazione sono stati un diretto riporto nelle

aziende dell'amministratore delegato, come degli altri direttori: commerciale, vendite, marketing,

finanziario, personale. Inoltre, riscontriamo che il capo della comunicazione ha cominciato a

partecipare nelle riunioni decisionali, affiancando l'amministratore delegato ed i primi riporti

dell'azienda.

110

Questo perché, non possiamo pensare ad un'azione commerciale, cioè un'azione di marketing per

scegliere il prodotto commerciale, pubblicizzarlo e venderlo, se alle nostre spalle non c'è un forte

sostegno della comunicazione attraverso la stampa e la pubblicità. Verrebbe vanificato il lavoro delle

altre direzioni.

Possiamo dire che il piano di comunicazione di un'azienda sta al versante strategico, come il piano

finanziario sta al versante degli investimenti. Può illustrarci un piano di comunicazione che ha dato

al suo lavoro e alla sua azienda di riferimento un particolare successo?

Il direttore finanziario è la figura più importante dopo l'amministratore delegato. Un suo errore

rischia di mandare in tilt l'azienda per parecchi anni. Al pari, il direttore della comunicazione, non può

permettersi di sbagliare una campagna di comunicazione. Certo, sono minori le ricadute negative

sull'azienda, ma si rischia, anche in questo caso, un mancato guadagno protratto nel tempo.

La campagna stampa pubblicitaria condotta dalla direzione della comunicazione, si muove di pari

passo con il piano finanziario: uno investe, l'altro spende. Nelle aziende, noi che lavoriamo nella

comunicazione, siamo sempre additati come spendaccioni. Bisogna però capire che, la spesa di oggi

rientra nell'immediato futuro con i risultati della campagna pubblicitaria.

Certo, non è quantificabile scientificamente, ma è provato che una buona campagna stampa, fa

guadagnare all'azienda quello che il direttore finanziario ha programmato e pianificato. Viceversa,

una campagna sbagliata vanifica l'azione, seppur buona del direttore finanziario.

Faccio un esempio, considerando tra le campagne importanti che hanno dato i loro frutti. Ero in

una nota compagnia telefonica quando ci fu lo spin off del brand di telefonia mobile. Siamo nel

1995/96. Fui incaricato di condurre lo start up della comunicazione, quindi la gestione della

comunicazione per la neo azienda delle comunicazioni mobili. Insieme, organizzammo un piano di

comunicazione massiccio che prevedeva: 3 mesi di teaser, cioè l'annuncio a sorpresa senza svelare il

nome del prodotto, della marca o dell'azienda che volevamo lanciare sul mercato. Facemmo un

annuncio senza padri né madri, creando così una certa aspettativa nel cliente futuro.

Poi abbiamo sponsorizzato alcuni eventi, sia culturali che sportivi. Anche in quel caso, con una

notevole esposizione verso gli utenti finali, cioè la cartellonistica nei bordi campo degli stadi, nei

teatri e nei cinema, con uno spot che si riferiva alla nascente società di telecomunicazioni. Infine,

siamo arrivati alla vigilia con la vendita degli abbonamenti. Allora si parlava di abbonamenti. Il tempo

di durata complessivo dal primo giorni di teaser fino allo svelamento del prodotto con la vendita è

stato di 4/5 mesi. Il successo è stato inaspettato, superando oltre modo le predizioni che aveva fatto

il direttore marketing. Era stato previsto un certo numero di abbonamenti per la durata della

campagna, quando l'azienda venne costretta a rivedere i suoi piani, a causa di un tilt: le richieste

avevano superato di gran lunga gli abbonamenti che erano stati previsti. A quel punto abbiamo

dovuto rifare il piano commerciale rimettendoci sul mercato.

Qualche semestre dopo, un anno circa, arrivarono le carte prepagate, quelle che ora usiamo tutti.

Anche in quella circostanza, come dico sempre “squadra che vince non si cambia”, abbiamo

111

riproposto la stessa azione di marketing/comunicazione, con le stesse tecnichalities. Il successo è

stato addirittura doppio. Anche lì siamo andati in tilt, perché avevamo meno carte prepagate di

quante ne chiedeva il pubblico.

Quali insidie possono ostacolare il processo di comunicazione generalmente affidato ai media? In

altre parole, come controlliamo lo scarto del messaggio che affidiamo per la diffusione ai media? Ci

fa un esempio?

L'insidia più pericolosa e costante, che tutti i giorni l'addetto stampa si trova ad esercitare è la

sintesi. Spesso il comunicato stampa, passa per tante mani: dall'amministratore delegato ai vari

direttori dei diversi settori di competenza. Già da qui, l'addetto stampa si trova in mano un

documento di parecchie pagine.

Il primo lavoro è sintetizzare in poche righe. Per comodità possiamo dire che il documento va

tradotto dall'aziendalese al giornalistichese. Il testo che arriva sulla scrivania del giornalista deve

essere un testo come se lo avesse scritto il giornalista stesso. Non a caso il sogno di tutti gli addetti

stampa è vedersi pubblicato, il giorno dopo sul giornale, il proprio comunicato stampa, senza ritocchi

da parte del giornalista. Questo vuol dire aver scritto un comunicato stampa quasi perfetto.

Per raggiungere questa “quasi perfezione” il comunicato deve avere sinteticità e chiarezza di

linguaggio. Quindi, non scritto in aziendalese, perché molto spesso le informazioni che arrivano al

comunicatore, provengono dalla parte tecnica, come l'ingegnere dell'azienda, o il commerciale

dell'azienda, i quali necessariamente utilizzano un diverso linguaggio, non avendo come pubblico di

riferimento il cittadino che legge i giornali.

A questo punto, il gravoso compito dell'addetto stampa è tradurre dal tecnico al normale,

sintetizzando in pochissime righe il comunicato.

Nei miei inizi di carriera, mi vengono in mente scene di lamentele tra i giornalisti, perché

mandavamo dei comunicati di 60-80-100 righe. Immaginate un testo così lungo sulla scrivania del

giornalista ed con il capo redattore che dice: per quel pezzo lì hai 15 righe! Quello diventa un

momento di panico. Trasformare 80 righe in 15, significa che per il giornalista è un lavoro tremendo.

Non solo, rappresenta un rischio altissimo per l'azienda. Quei due tre concetti, quelle 2-3 parole

chiave, che l'azienda vuol vedere il giorno dopo sul giornale, cioè il messaggio che l'azienda vuole

mandare, rischiano di non entrare in quelle 15 righe.

La pressione nella velocità di esecuzione, unita alle diverse priorità che il giornalista può attribuire a

tutte quelle informazioni non sintetiche, può tranquillamente generare interpretazioni diverse o

addirittura inaspettate per noi. Per arrivare alla “quasi perfezione”, bisogna studiare, continuare a

formarsi, informarsi dentro e fuori l'azienda, capirne l'umore interno ed esterno. Quindi è

fondamentale attenersi a quelle poche regole, come la battuta di Totò: “sembra facile”, e poi non era

assolutamente facile.

112

Ci indica la “non facile regola” della comunicazione che bisogna assolutamente rispettare?

La principale regola della comunicazione è certamente quella delle 5 W: Who, what, why, when,

where. Se l'addetto stampa riesce a mettere dentro le prime 5 righe queste 5 W, rischia di fare il

comunicato perfetto.

Se una di queste 5 W è posizionata dopo 15 o 20 righe, si rischia che il giornalista, costretto a tagliare

il comunicato, sacrifichi una di queste 5W, cioè le parole che l'azienda vuole leggere, con il rischio di

non averle nell'articolo. In questo caso il comunicato non è stato redatto correttamente.

Questa è una regola semplice. In fondo sono 5 parole, che non sempre è facile far entrare in un testo

di 5/10 righe. Ci vuole una innata proprietà di sintesi che difficilmente può essere insegnata a scuola.

Il responsabile della comunicazione d'impresa e l'addetto stampa lavorano entrambi per l'azienda

curandone la comunicazione. Ci inquadra le differenze tra i due ruoli?

Nei tempi passati Giulio Andreotti usava questa espressione: “le convergenze parallele”, per dire che

due linee possono viaggiare parallelamente senza mai toccarsi. Queste due figure le metterei sullo

stesso piano. Viaggiano su convergenze parallele. Lavorano insieme, collaborano gomito a gomito,

non si staccano mai, però non si incrociano mai.

A mio vedere bisognerebbe farle incrociare, nel senso di spostare i manager e gli addetti stampa per

fare esperienza da una parte e poi scambiarli. La frequentazione di queste due esperienze messe

insieme possono formare nel giro di qualche anno il futuro capo di tutta la comunicazione, che

servirà l'azienda come il numero uno, con sotto queste due figure. È fondamentale fare le due

esperienze.

La diversità principale di queste due figure è una differenza nei tempi che hanno a disposizione per

agire. L'addetto stampa ha tempi molto ristretti. Per comunicare e parlare con il giornalista di carta

stampata l'addetto stampa ha un pomeriggio, perché il giornale è in edicola il giorno dopo.

Se deve parlare con i giornalisti di radio e televisione il tempo si restringe ulteriormente. Una

comunicazione dedicata per i telegiornali parte alle 17 per un Tg che è in onda alle 20. Per la radio la

messa in onda è ancora più anticipata, alle 19:30. Non dobbiamo trascurare i Tg All News come Sky

Tg24. Quindi, i tempi per l'addetto stampa sono brevissimi.

Ha poco tempo per ragionare e per comunicare con i suoi clienti che in quel momento sono i

giornalisti. In queste occasioni è fondamentale una buona preparazione. Le 5 W rientrano in questa

regola ferrea che va rispettata. Per comunicare velocemente deve dare 5-10 righe al massimo,

altrimenti non è una comunicazione veloce.

Viceversa, l'addetto alla comunicazione, che deve pianificare una campagna pubblicitaria o la

sponsorizzazione su un tema sportivo piuttosto che culturale, ha un aiuto esterno. Spesso l'evento

culturale e sportivo non viene creato in azienda, ma l'azienda si va ad appoggiare ad eventi già

costituiti, già predisposti, organizzati da altre persone.

113

L'addetto alla comunicazione sceglie qual è l'evento più adatto in quel momento per l'azienda,

contrattando anche il prezzo per essere presente in quell'avvenimento, così come per la campagna

pubblicitaria. Il direttore commerciale e il direttore marketing, avvertono il capo della comunicazione

che quel certo prodotto o quel certo servizio, fra due mesi o fra due settimane, sarà pronto.

Quindi, l'addetto alla pianificazione della campagna pubblicitaria ha un tempo maggiore per

programmare una corretta ed efficace campagna, organizzazione il lavoro fatto di sponsorizzazioni,

ed essere pronto al momento del lancio del prodotto o del servizio. La differenza sostanziale è

dunque il tempo. Entrambi fanno più o meno lo stesso lavoro, ed hanno come pubblici l'esterno,

quindi il pubblico finale è il lettore-cliente.

Che cos'è l'approccio corporate in un'azienda?

Anche se negli ultimi tempi le pubbliche relazioni sono state svilite, nel mondo della comunicazione

sono considerate una scienza quasi esatta. Fatte bene sono un supporto inestimabile e

indispensabile per il capo azienda e per l'azienda stessa.

L'approccio corporate, potrebbe essere un global total full immersion, come dire anima e corpo. Chi

fa pubbliche relazioni per un'azienda deve conoscere l'azienda in un modo quasi intimo. Capire come

l'azienda è percepita all'esterno, e come i suoi colleghi interni percepiscono l'esterno dell'azienda. Se

non ha questo sentore, non può aiutare a far crescere l'azienda dal punto di vista corporate.

L'azienda da un punto di vista corporate è un tutt’uno. È una sola cosa insieme a tutto il resto.

Soltanto con questa conoscenza totale dell'azienda si possono conoscere bene virtù e vizi. Esaltare le

prime, e nascondere i vizi, sempre deontologicamente parlando. Per ottenere questo non basta più

la conoscenza dei famosi 360°. Nel mondo globalizzato, un’azienda per definirsi corporate oriented

deve travalicare i confini nazionali per rispecchiarsi con la concorrenza internazionale che spesso

deve contrastare.

Può farci alcuni esempi di ciò che è possibile condurre oggi nella comunicazione, usando i nuovi

strumenti del web 2.0 come il blog, i social media ed i così detti user generated contents?

Le ultime consultazioni amministrative referendarie hanno dimostrato come il popolo web con i new

media, ha umiliato i mezzi tradizionali.

Pochi giorni dopo le consultazioni referendarie è uscita la notizia su tutti i giornali che il mondo aveva

superato i 7 miliardi di individui. Per curiosità sono andato a vedere, per parlare di numeri, quanti

iscritti aveva raggiunto Facebook. Ho scoperto che sono oltre 700 milioni. Quelli di Twitter, invece,

superano abbondantemente i 200 milioni. La considerazione che ho fatto è, siamo 7 miliardi di

persone, se solo con Facebook e Twitter arriviamo quasi al miliardo vuol dire che una persona su

sette, dialoga, è raggiunta, ed utilizza questi new media. Con tutti gli altri sistemi, rischiamo, senza

discostarci troppo dalla realtà, che una persona su due utilizza i new media. Di fronte a questi numeri

i mezzi di comunicazione tradizionale di Tv e giornali in testa, impallidiscono. Sono lontani anni luce.

114

I mezzi di comunicazione tradizionale sono destinati definitivamente ad assottigliarsi in cifre

sempre più basse rispetto ai nuovi media. Il limite strutturale del mezzo di diffusione tradizionale

della notizia è la velocità che invece hanno questi nuovi media. I sistemi tradizionali di comunicazione

non possono competere con i nuovi sistemi. Per questa ragione le agenzie stampa tradizionali si

stanno trasformando.

I Tg stanno diventando sempre più all news, il telegiornale delle 20 che fino a qualche anno fa era il

verbo, ora esce con la notizia alle 20 che è già vecchia. Chi ha la possibilità di lavorare sul web o di

ascoltare un Tg che dà notizie 24 ore su 24, riceve dai sistemi informativi tradizionali notizie già

passate. Il giorno dopo sui giornali non ci sono notizie vecchie, ma direi preistoriche, superate da

tutte quelle della notte e delle prime ore del mattino. Questo sistema sta crollando. Gli editori se ne

sono accorti, cercando di correre ai ripari.

Recuperare con la carta stampata e con le televisioni tradizionali non sarà facile.

In termini di efficacia ed autorevolezza, quale contributo danno i nuovi media alla comunicazione

aziendale?

Se per efficacia intendiamo velocità di esecuzione e quantità di notizie, abbiamo visto che quella dei

nuovi media è altissima. Se invece parliamo di autorevolezza, mi viene qualche dubbio.

Per mandare in rete notizie ogni minuto e per portare in rete il maggior numero d'informazioni da

tutto il mondo, dubito che la quantità e la velocità di immissione non vada a discapito della veridicità

dell'informazione e della chiarezza. Pensando di dover dare 5 notizie in un minuto, certamente non

avrò il tempo per rileggere, trovare la parola giusta, fare chiarezza.

Tante informazioni equivalgono a meno qualità. Il vantaggio in questa situazione sembra essere

sbilanciato dalla parte del giornalista che fa informazione. In media il giornalista ha due o tre

argomenti al giorno su cui lavorare. Pur ricevendo migliaia di informazioni, anche a fatica riesce a

selezionarle, verificando poi la veridicità del fatto. Per chi scrive sulla carta stampata o va in

televisione, la responsabilità di ciò che scrive è maggiore di chi invece scrive per il web.

Qualche suggerimento per filtrare ed archiviare le informazioni per un'azienda?

Il filtraggio delle informazioni non è una cosa molto difficile. Le aziende medio grandi o grandi, che si

possono permettere uno staff di comunicazione abbastanza allargato, negli ultimi tempi hanno

suddiviso la responsabilità degli addetti stampa in settori. Uno staff si occupa dei quotidiani, un altro

dei settimanali, uno staff delle televisioni, poi uno solo sulle radio, infine in gruppo dedicato ai

quotidiani e i settimanali specializzati. Questo perché arrivano tantissime informazioni che per essere

filtrare bene, hanno bisogno di settori specializzati. In questo modo, l'imponente flusso delle

informazioni viene parcellizzato per facilitare la successiva trasformazione delle informazioni in

notizie da veicolare attraversi i comunicati stampa.

115

L'archiviazione delle informazioni si risolve meno facilmente. Certo, la tecnologia aiuta, ormai con i

chip e microchip tutto è più facile. Anche in questo caso l'archiviazione delle notizie andrebbe risolta

utilizzando la suddivisione in settori. Addirittura con settori e sotto settori. Chi si occupa di quotidiani

dovrebbe poter coordinare uno staff composto da un addetto solo per le pagine politiche, uno solo

per le pagine economiche, uno solo per le sportive, ecc. Al pari delle redazioni dei giornali con il

redattore capo dell'economico, del politico, che partecipa alla riunione di redazione con il direttore,

così all'interno dell'azienda dovrebbe esserci un direttore, con sotto i vari capi redattore, ognuno per

la propria pagina. Ogni piccolo archivio diventa in questo modo il grande archivio dell'azienda.

Se questo da un lato comporterebbe un bene per l'azienda, pronta in qualsiasi momento a recepire

notizie che altrimenti non riuscirebbe a reperire con poche persone, dall'altro potrebbe generare una

distorsione della figura dell'addetto stampa, ognuno troppo fossilizzato in un proprio settore.

Solitamente il comunicatore viene chiamato da un'altra azienda grazie al suo portafoglio di

conoscenze. Noi vendiamo informazioni attraverso le nostre conoscenze ed attraverso la nostra

professionalità. Se lascio il mio bagaglio ad altri, certo acquisisco altre informazioni, però perdo il mio

bagaglio di conoscenze. Questo è lo sforzo enorme che compie l'addetto stampa ogni qual volta deve

cambiare settore. È importante conoscere i nuovi giornalisti, ma allo stesso tempo non bisogna

perdere le sue vecchie conoscenze. In questo modo cresce il suo bagaglio.

Riepilogando, imparare ad archiviare e filtrarle le notizie, poi conoscere i vari settori dove sono

archiviate queste notizie. Se con la mia esperienza riesco a diventare il capo, so dove mettere le mani

dentro l'azienda. Questo è un vantaggio sia per il capo azienda, che per tutta quanta l'organizzazione.

Il linguaggio pubblicitario non può fare discorsi impegnati: deve tagliare, cogliere gli aspetti

semplici e i motivi ricorrenti. In presenza di business molto complessi, ci può fornire degli esempi di

come viene semplificano il messaggio per i giornalisti senza sacrificare le notizie che vogliamo

vengano percepite dal pubblico?

Abbiamo visto come l'addetto stampa parla con i giornalisti comunicando tutte quelle notizie

aziendali, non avendo però la facoltà di controllare il messaggio finale che invece avviene nella

comunicazione pubblicitaria.

Il messaggio pubblicitario, quindi, o la pagina pubblicitaria sui quotidiani o settimanali, o lo spot

televisivo, devono tener conto di un fattore diverso da quello del testo. Intendo dire che conta più

l'immagine, l'impatto visivo che non il testo. Non a caso nelle pagine pubblicitarie dei giornali i testi

sono pochi e brevi. Contengono al massimo uno o due concetti. Quello che conta è l'impatto

immaginario.

Il messaggio pubblicitario deve toccare il fruitore finale, cioè l'utente-cliente, a cui l'azienda si

rivolge, solleticando nel profondo la sua fantasia. Deve far sentire possibile avere quel prodotto o

quel servizio, nella realtà. Faccio un esempio. Quando mi occupo del lancio per una campagna di

comunicazione di una macchina di lusso, devo far immaginare al mio cliente finale che quella

macchina può essere anche sua. Quando invece progetto la campagna pubblicitaria di un grande

116

albergo di lusso, o di viaggi aerei esotici, devo far in modo che il cliente, nella sua fantasticheria possa

pensare realmente di usufruire di quei servizi. In altre parole, devo muovere il suo intimo, portandolo

non solo a fantasticare, ma facendolo arrivare a comprare quel prodotto.

Nel testo è necessario sempre uno slogan. Faccio un esempio, legato alla pubblicità di un amaro, che

finiva con la frase “Milano da bere”. Quel “Milano da bere” dal punto di vista lessicale, era una frase

senza senso, anzi probabilmente sbagliata. Però ha perforato la fantasia di un'intera generazione,

forse anche di due. Per cui adesso, il modo di identificare la città lombarda, dopo la Madonnina, è

“Milano da bere”. In questo immaginario, Milano è diventata, la Milano chic, la Milano bene, il

salotto buono di Milano. Questa è l'identificazione dell'azienda attraverso lo slogan di tre parole,

corredata e supportata dallo spot televisivo e dalla pubblicità sui giornali. Questo ora è superato.

Adesso si utilizzano altre tecniche. Lo spot pubblicitario è in tre dimensioni, le tecniche

cinematografiche come veri e propri film tipo Mission impossible o Terminator.

Quali strumenti usa per veicolare l'informazione economica relativa ai movimenti finanziari e alle

operazioni di borsa della sua azienda?

Personalmente utilizzo quasi esclusivamente i quotidiani e settimanali specializzati in economia e

finanza. Questo perché la loro natura di approfondimento permette alle notizie di avere un maggior

respiro che gli altri quotidiani non permetterebbero, dovendo rispondere ferreamente ad alcune

regole di sinteticità ed immediatezza della notizia. Intendo dire che il giornalista ha maggiore

possibilità di ragionare, e quindi far ragionare il lettore.

Come comunicatori a volte ci troviamo a veicolare la scelta di un prodotto economico-finanziario

complesso. In questo caso non si tratta soltanto di produrre uno slogan o fare una battuta. Sono

necessarie notizie ed informazioni maggiormente approfondite e molto ben studiate. Queste

informazioni si trasformeranno in suggerimenti per l'acquisto di qualcosa d'importante. In questi casi

l'informazione è meno strillata, meno compressa e più ragionata.

Quando un'azienda sta trattando una comunicazione finanziaria, dovrebbe sempre preferire un

mezzo specializzato in economia e finanza. Ci sono anche delle rubriche televisive specializzate in

economia e finanza che hanno lo stesso impatto. Certamente hanno meno possibilità di ragionare,

informare e formare il loro pubblico. Il messaggio in televisione, si sa, è più rapido. Da telespettarori

non possiamo ritornare su parole e argomenti che non abbiamo afferrato durante una trasmissione

televisiva, cosa che invece leggendo la carta stampata, possiamo fare ritornando sulle pagine.

Spesso risulta vantaggioso stabilire un legame con un tema d'attualità per generare un'occasione

di comunicazione. Le è capitato di recente? Ci racconta come è andata?

È importantissimo legare la comunicazione ad avvenimenti appena accaduti o che sono ancora in

corso. Il mondo va talmente veloce, e le notizie, vanno ancora più veloci del mondo. Non bisogna

farsi sfuggire l'occasione di una notizia che altri hanno confezionato e noi possiamo sfruttare.

117

Faccio un esempio prendendo spunto dalla presentazione di un modello di automobile di una nota

casa automobilistica. C'era una presenza massiccia dei giornalisti della stampa internazionale, circa

1.300, provenienti da tutto il mondo per la prova su strada della vettura. Durante la manovra di

simulazione necessaria a scartare un animale si para davanti la macchina in corsa, il pilota esegue

repentinamente la manovra di scarto destro/sinistro. Commette un errore e la macchina si ribalta.

Al di là dell'immenso danno di immagine avuto dall’azienda, sapete cosa avvenne nelle

comunicazione immediatamente nelle ore successive all'incidente? Le concorrenti cambiarono

completamente la loro strategia di comunicazione investendo spot televisivi e carta stampata sul

tema della sicurezza stradale.

Da subito hanno sfruttato la negatività dell'incidente per portare la positività nei loro prodotti. Pur

non avendo mai fatto riferimento all'incidente durante la prova, ogni singola azienda

immediatamente ha attivato la comunicazione sulla tema sicurezza delle loro macchine. In questo

caso c'è stato lo sfruttamento di un avvenimento d'attualità negativa. La notizia andò su tutti i

giornali per la presenza di così tanti giornalisti alla prova di collaudo, trasformata in elemento

positivo e di comunicazione per i concorrenti. La cosa che mi colpì fu il cambiamento, attivato nel

giro di 24 ore, nelle strategie di comunicazione di quasi tutte le aziende concorrenti, cavalcato con

campagne pubblicitarie rivolte alla sicurezza dei loro veicoli.

Possiamo citare un altro episodio, dove questo effetto traino della comunicazione, che sfrutta un

proprio vantaggio, non più legato ad aspetti di negatività del proprio concorrente, ma ad aspetti

positivi del suo vicino concorrente.

Come membro del consiglio direttivo della FEEE Italia, Federazione Internazionale Onlus, ogni anno ci

occupiamo di assegnare le bandiere blu alle spiagge italiane più virtuose. Tutti gli anni ai primi di

maggio convochiamo la conferenza stampa per i risultati delle analisi e rilevamenti che abbiamo

svolto nell'anno precedente conferendo la bandiera blu ai comuni che hanno rispettato i parametri

fissati.

Siamo a maggio, dal punto di vista comunicazionale la stagione turistica è già avviata. Nonostante

questo, i comuni che hanno sentore di vincere la bandiera blu, cioè che credono nel loro operato,

non partono con la loro comunicazione, ma aspettando il giorno della conferenza stampa organizzata

dalla FEEE Italia.

Siccome questa comunicazione è un avvenimento importante con una grande diffusione sui Tg e

quotidiani nazionali, alcune amministrazioni comunali si mettono in coda alla nostra comunicazione,

ed aspettano la nostra comunicazione per andare in scia e far partire la loro comunicazione.

Così immediatamente dopo l'uscita della graduatoria dell'elenco della nostra Federazione, fanno

partire la comunicazione delle loro spiagge, dei siti turistici, dei siti archeologici, inoltrandola ai loro

potenziali clienti. In questo caso sfruttano come traino la scia della nostra comunicazione per dare un

valore aggiunto alla loro.

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Quali sono le leve della comunicazione che bisogna attivare nei confronti della concorrenza estera?

La concorrenza delle aziende estere è forte nel mondo globalizzato. Noi italiani abbiamo un grande

vantaggio: la nostra italianità. Siamo conosciuti in tutto il mondo per la pizza e il mandolino, ma

anche per il turismo, le spiagge, la gastronomia, i nostri monumenti. Io dico sempre, combattere la

concorrenza estera non è facile, ma noi abbiamo la nostra nazionalità. Dobbiamo tirare fuori il nostro

patriottismo. Il prodotto italiano va bene.

Quando mi accorgo che un'azienda estera comincia ad entrare sul nostro territorio, per giocare sul

nostro campo, io tento l'invasione di campo del suo territorio. È importante cercare di ribaltare la

situazione, spiegando perché il prodotto italiano è migliore di quello che in questo momento sta

cercando di fare concorrenza. L'italianità è riconosciuta nel campo della moda, nel campo del

turismo, dei prodotti altamente tecnologici, dell'enogastronomia. Nel mondo, oltre al vino francese,

e quest'anno siamo arrivati prima dei francesi, non esiste altra nazione che può competere con noi.

Quando ad esempio le aziende vitivinicole francesi cercano di entrare nel nostro campo, bisogna

contrastare rispondendo con altrettanta determinazione e giocare sul campo avversario. Spesso si

riesce a vincere con questa nazionalizzazione del prodotto italiano.

Comunque, prima di invadere rispondendo con un'invasione di campo, vale sempre la pena tentare

un accordo con la parte avversaria. Il tentativo tra le aziende che hanno un prodotto simile è di fare

unione, di fare forza. Questo elimina la concorrenza tra le due parti in accordo e sbaraglia la

concorrenza minore di altre aziende meno forti delle nostre messe insieme, che si stanno affacciando

al mercato. Uccidere il bimbo in culla, prima che nasca e diventi troppo grande. Due aziende forti

invece di combattersi, si uniscono e combattono le piccole, eliminando così dal campo tutti i

potenziali concorrenti futuri, diventando un cartello del prodotto. Nel campo della comunicazione

queste sono le regole, chi è più forte vince.

Quali strumenti usa per la gestione delle comunicazione interna all'azienda?

La comunicazione interna dell'azienda è fondamentale. Gli strumenti da utilizzare sono l'House

Organ, cioè il giornale interno all'azienda, e adesso c'è anche il web. L'House Organ tradizionale,

anche se più costoso del web, ha ancora un forte appeal sempre in crescita. Le aziende che vogliono

coinvolgere i propri dipendenti hanno questo brillante strumento a disposizione. Nella mia

esperienza personale ho sempre cercato di coinvolgere i miei colleghi a partecipare alla formazione e

alla creazione dell'house organ. C'è da dire che, se questa pratica non è vista di buon occhio dalla

direzione del personale, per un'inevitabile distrazione dalle funzioni lavorative, dall'altra parte,

questo giornale ha bisogno per essere vivo ed attivo di partecipazione. Nell'House Organ la

comunicazione non è solo in una direzione, cioè dall'azienda al personale, ma diventa interattiva,

perché il personale risponde e richiede all'azienda. Certo con il web è più facile, c'è un

coinvolgimento quotidiano. L'House Organ ha cadenza settimanale, quindicinale o mensile, quindi è

una comunicazione più lenta. Con il web, invece è quotidiana. Scrivo, mando e-mail, allegati e tutti gli

addetti all'azienda ricevono, leggono, possono rispondere partecipare o meno. Devo dire che ancora

oggi il web per la comunicazione interna è un mezzo freddo.

119

Faccio un esempio, nelle grandi aziende la lamentela più diffusa e comune è l'anonimato tra i

personale stesso e con il capo del personale. Sentirsi solo un numero e non parte della squadra, direi

la frustrazione del numero di matricola. Cosa c'è di più esplosivo che dar sfogo all'egocentrismo che

tutti noi coviamo dentro, se non quello di far scrivere un articolo ad un addetto, un funzionario o un

dirigente, su quello che fa in azienda? Lì esce fuori lo spirito della persona. Esce fuori la voglia di

partecipare. Basta un solo articolo. Oltre ad invogliare, faccio capire che l'azienda è attenta al

problema del singolo. Anche quando scrive una sola persona. Quella persona rappresenta tutta la

comunità. Non accade lo stesso sul web, dove la mia comunicazione e la risposta dei miei colleghi,

rimane un numero, rimane un’e-mail. Leggersi su un giornale, magari con la fotografia, sapendo che

tutti gli altri colleghi ti stanno leggendo e ti stanno vedendo in quel momento, dà orgoglio di

appartenenza all'azienda. Tuttora credo che sia il miglior modo per comunicare internamente sia per

l'addetto, sia per l'azienda.

Lei ha svolto per 30 anni l'addetto stampa a servizio di varie aziende. Da quasi dodici anni, sempre

come addetto stampa è entrato a servire la politica. Può mettere a confronto questi due generi di

una stessa professione?

Le due figure, l'addetto stampa aziendale e l'addetto stampa politico, cioè chi fa comunicazione per

l'azienda, e chi invece fa comunicazione per la politica, sono due figure che nascono dalla stessa

radice. Crescendo danno due fiori completamente differenti.

Nella mia prima parte di carriera, mi sono occupato esclusivamente di comunicazione aziendale, e

nella seconda parte della mia carriera sono riuscito a passare dalla parte della comunicazione

politica. Come in tutti i casi della vita è stata un'occasione fortuita. La prima impressione che ho

avuto in questo cambiamento è stato di trovarmi in un mondo completamente nuovo. Dopo quasi 30

anni di comunicazione aziendale mi sono trovato come Alice nel paese delle meraviglie. Ho imparato

quelle che sono due differenze abissali tra questi due generi di una stessa professione: i tempi e il

linguaggio.

I tempi in politica non esistono, cioè non c'è tempo per ragionare, non c'è tempo per programmare

un comunicato stampa, non c'è tempo per partecipare ad una conferenza stampa, non c'è tempo di

preparare il comunicato stampa. Per il linguaggio accade la stessa cosa. Faccio un esempio, se nel

comunicato stampa aziendale uso dei termini specifici dell'azienda per tradurli in italiano

giornalistico, nella politica il linguaggio è soltanto “politichese”, non va tradotto in italiano. Mi spiego,

molto spesso i messaggi che si scambiano i partiti o i politici tra loro non sono destinati al grande

pubblico, ma a pochi addetti ai lavori. Alcuni di questi messaggi, poi devono arrivare al pubblico

finale, cioè all'uomo e alla donna della strada che leggono il giornale. Questa è l'altra parte del lavoro

dell'addetto stampa, che parlando con i giornalisti trasferisce il concetto dal politiche all'italiano.

Quindi il passaggio è doppio.

Il lavoro di scrittura di un addetto stampa per un'azienda comporta diciamo pure, una sola

traduzione, dall'aziendale al linguaggio giornalistico. Nella comunicazione politica, invece, il primo

120

messaggio è scritto in linguaggio politico rivolto agli addetti ai lavori, il secondo passaggio è rivolto

ai giornalisti per farlo arrivare al pubblico.

Dicevamo della mancanza del tempo per un addetto stampa a servizio di un esponente politico. Un

ministro esce da un convegno e il giornalista gli rivolge la domanda. A quel punto, il portavoce del

ministro o del sindaco di un comune o di una città, non si può permettere di essere impreparato su

qualsiasi domanda gli viene posta dai giornalisti.

Non possiamo rispondere ai giornalisti dicendo “torno in ufficio, scrivo un comunicato e glielo

mando”. Oppure, “mi informo su questa domanda che lei ha fatto, poi la richiamo”. Perché faccio

fare una pessima figura al mio uomo politico. L'uomo politico è stato eletto dai cittadini e deve

rappresentare le istanze dei cittadini.

Il no comment in politica non può esistere, non deve esistere.

Quando un ministro, all'uscita del Consiglio dei Ministri, riceve da un giornalista una domanda non

pertinente sul suo ministero, il portavoce del ministro non può rispondere: “Questo argomento non è

mio, no comment”. Allora, la domanda successiva potrebbe essere “che ci va a fare alle riunioni del

Consiglio dei Ministri, se poi non sente e non sa esprimere l'opinione che è stata comunicata e

approvata nel Consiglio?”

Questo per dire che i politici, nel loro piccolo in un comune, nel loro grande come in un ministero,

devono essere sempre disponibili per il pubblico e sempre preparati in ogni argomento. Questo

significa un enorme lavoro per l'addetto stampa. Non solo deve prevenire ogni mossa possibile,

capendo in anticipo quale sarà l'argomento del giorno successivo, ma anche prepararsi all'interno del

proprio ministero, comune o provincia, confrontandosi con il suo uomo politico di riferimento, e

prepararlo alla eventuale domanda pertinente o impertinente a cui si deve rispondere. Questo è un

lavoro che richiede una grande capacità di sintesi, di lettura, di studio.

Nella comunicazione politica avviene esattamente il contrario di quella aziendale che deve essere

stringata. In quella politica, il ministro se la cava con una battuta, ma il giornalista per i suoi

approfondimenti ha bisogno di un lavoro di contestualizzazione e ampliamento su quella semplice

battuta. Ecco come il lavoro dell'addetto stampa politico entra in gioco fornendo questi ampliamenti

con 80/100 righe di approfondimento.

Bisogna dare al giornalista tutti gli elementi per scrivere più a lungo, senza fuorviare, mantenendo la

chiarezza del pensiero dell'uomo politico che verrà trasferita al lettore. Non possiamo uscire fuori

dalla traccia quando allunghiamo i contenuti dei discorsi. Questo significa che, l'addetto stampa di un

uomo politico, molto spesso, ne deve sapere di più dello stesso uomo politico.

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7.2 Filippo Ungaro sulla figura dell'addetto stampa non-profit

Filippo Ungaro, è Responsabile dell'ufficio comunicazione di Save the Children Italia,

maggiore organizzazione non-profit che lotta per i diritti dei bambini e per migliorare le loro

condizioni di vita in tutto il mondo.

Dal 2001 ad oggi svolge per l'Organizzazione mansioni di coordinamento dei settori Ufficio

stampa, Advertising, Pubblicazioni, Internet. Attualmente è il portavoce di Save the Children

Italia.

Nel 2010, vincitore del “Premio Comunicatore dell'anno 2010”, promosso dalla FERPI

(Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) e dalla Fondazione Valentino nell'ambito del

Premio Ischia Internazionale di Giornalismo 32esima edizione.

Il fondamento della vostra organizzazione è basato sulle idee del cambiamento sociale. Come

riuscite attraverso la comunicazione ad alimentare questo aspetto, tenendo presente il cinismo

dilagante che sembra avvolgere ogni cosa?

In Italia c'è una grande voglia di fare del bene, essere coinvolti ed utili nel sociale. In genere gli Italiani

sono molto generosi. Questo viene dimostrato tutti i giorni. Come donatori sono protagonisti in

tantissime cause nella raccolta di fondi. Tutto questo avviene in contrasto con la politica che troppo

spesso è cinica. Sembra che dall'alto manchi una visione strategica di lungo termine per i problemi

del sociale che riesca a risvegliare le coscienze della gente.

Quotidianamente assistiamo ai tagli sul comparto sociale e sul welfare. L'esempio della politica non è

edificante per i cittadini. Noi, come Save the Children, cerchiamo semplicemente di comunicare in

maniera chiara ed efficace tutte quelle cause che portiamo avanti. Le nostre campagne sono legate ai

problemi dei bambini, all'enorme negazione dei diritti dell'infanzia che ogni giorno si verificano

intorno al mondo.

Per noi è assolutamente inaccettabile che nel mondo ci siano più di 8 milioni di bambini che muoiono

per cause banalissime come la polmonite o la diarrea. Quindi, grazie al sostegno della gente e al

lavoro dei nostri operatori, trasmettiamo queste problematiche in modo chiaro attraverso una

grande passione che distingue il nostro modo di lavorare. Diamo la speranza che questi problemi

possono essere risolti. Per fare questo è necessario trasmettere la propria competenza e la propria

autorevolezza. Ma questo evidentemente non basta. Oltre a fare le cose bene, anche se per piccoli

passi, dobbiamo saperle comunicare. Per fare questo utilizziamo tutte le risorse che abbiamo a

disposizione per ridurre, contrastare e risolvere le problematiche che esistono.

Una chiave importante per il coinvolgimento del pubblico è coniugare la passione e la competenza

indirizzate verso le cose che facciamo.

122

Quali sono le competenze che utilizzate per la comunicazione?

Siamo organizzati come qualsiasi azienda profit, forse anche meglio di molte aziende profit.

All'interno dell'ufficio comunicazione abbiamo tutte le competenze professionali necessarie per il

lavoro di comunicazione: dalla figura dell'ufficio stampa, alla persona che si occupa di advertising,

persone che si occupano di media planning, i testimonial, ed ovviamente tutta la parte internet e

social media.

Ogni persona ha una sua specifica competenza. Parliamo di professionisti validi e preparati che

svolgono il loro lavoro con grande efficacia. Naturalmente nell'ambito del non-profit i budget di

comunicazione, là dove esistono, non sono altissimi. Quindi, oltre alla competenza e alla

professionalità, ci vuole tanta fantasia, tanta creatività, tanta motivazione e voglia di fare.

Quali le leve azionate nella comunicazione non-profit in competizione con quelle del profit?

Questa è una sfida importantissima. Il mercato sia del non-profit, ma anche quello del profit, è un

mercato molto affollato. C'è bisogno di reagire con dei tempi rapidissimi. Questo credo che sia la

sfida più grande. All'interno di questo vasto mercato (profit/non-profit) Save the Children si distingue

dalle altre organizzazioni puntando sostanzialmente non solo sull'autorevolezza, cioè sulla capacità di

saper comunicare la sostanza dei contenuti importanti, ma anche nelle sue modalità che rispondono

a semplicità, chiarezza ed efficacia.

In questo Save the Children si distingue dalle altre organizzazioni, non tanto per una diversità nelle

attività che porta avanti, queste al limite potrebbero assomigliarsi. La differenza è data dal modo in

cui agisce.

Quando noi facciamo bene le cose, immediatamente le comunichiamo. Nel comunicare questi

risultati tangibili rinnoviamo la speranza che i problemi possono essere risolti mostrando i risultati

ottenuti. In questo modo lavoriamo sulla percezione che l'esterno ha della nostra organizzazione.

È molto importante il modo con il quale si viene percepiti dal pubblico.

Avanzare con i progetti, comunicare i risultati ottenuti, concretamente individuare le cose che

ancora mancano e come fare per ottenerle, questo fa emergere il lavoro che svolgiamo e lo

distingue da tutti gli altri.

Naturalmente, oltre a questa attenzione particolare per i contenuti, bisogna saper comunicare bene.

Tanto per cominciare ci vuole una strategia di comunicazione, che deve essere implementata in

maniera efficace nel medio e nel lungo periodo. La prima decisione di un'organizzazione non-profit

per considerarsi tale, è investire nella comunicazione. Quindi, avere delle risorse dedicate, avere un

budget dedicato, e disporre dei professionisti che sappiano fare quel lavoro, anche nell'ambito del

non-profit.

Come abbiamo detto, l'organizzazione non-profit ha le stesse esigenze e bisogni di comunicazione

come l'azienda profit, pur toccando delle tematiche diverse. Tecnicamente funzionano alla stessa

123

maniera. Dopo l'investimento iniziale sulla comunicazione, avviene la scelta dei mezzi più appropriati

per comunicare in relazione agli argomenti e alle campagne da condurre.

L'altro aspetto non trascurabile è la diversificazione dei canali da utilizzare per comunicare con la

massima efficacia. La cosa più importante per un'organizzazione è guadagnare autorevolezza, cioè

godere di una reputazione importante. L'obiettivo è far capire che si ha qualcosa da dire nell'ambito

specifico della comunicazione. Solo così le persone o i media, ascoltano te più di altri, perché proponi

un contenuto più interessante.

Come viene ideata una campagna sociale?

La costruzione di un campagna è una cosa molto delicata. Distinguersi dalle altre campagne sociali

per avere successo è un'operazione abbastanza difficile. Richiede un grande impegno e molti mesi di

lavoro. La domanda fondamentale da cui partire è “perché la campagna della tua organizzazione

deve riscuotere più successo di quelle fatte dalle altre organizzazioni?”.

Chiaramente bisogna cercare di convincere il proprio interlocutore che è il tuo potenziale donatore.

Tanto per cominciare, il primo elemento di sostegno per la campagna è la forza del marchio. Come

abbiamo detto prima è fondamentale godere di una certa reputazione, essere autorevoli ed

affidabili. Questo è di estrema importanza per trasmettere fiducia al pubblico che crede in te.

Il secondo elemento è la costruzione dei contenuti intorno alla campagna. Dobbiamo immaginare

una vera e propria narrazione che ha degli sviluppi e possa essere adattata alle differenti tipologie di

media che abbiamo preventivamente stabilito di utilizzare. La storia che vuoi dare al tuo pubblico, va

pensata anche rispetto ai diversi obiettivi da raggiungere e ai diversi target con cui dialogare. Il

donatore a cui ci rivolgiamo non è unico. Ci sono fasce di donatori diversi per età, per categoria

sociale o per categoria economica. Quindi bisogna costruire dei messaggi che siano adatti al tuo

target di riferimento e utilizzare quegli strumenti di comunicazione che siano adatti a quel target di

riferimento.

Infine, l'ultimo elemento, ma non meno importante degli altri, è la causa proposta. Qui è necessario

individuare tutti quegli elementi che sono vicini alla gente, cioè che le persone possono sentire come

proprie. Coniugando questi tre elementi si può avere successo nella promozione di una campagna.

Nella campagna sociale che durata ha la comunicazione?

Quando costruiamo una campagna sociale, che ha una durata ben precisa, non dobbiamo

dimenticare che la comunicazione va esercitata durante tutto il periodo dell'anno. È impensabile

essere visibili solo nella settimana o nel mese dedicato alla campagna. Bisogna costruire un

comunicazione importante durante tutto l'anno. Questa è una regola fondamentale.

124

Può parlarci dell'sms solidale come strumento efficace?

L'Sms è uno strumento, ma da solo non basta per raccoglie fondi. Bisogna saperlo promuovere.

Anche questo aspetto non è semplice o immediato da capire. Considerando che l'organizzazione non-

profit non ha un grande budget per acquistare spazi pubblicitari, l'Sms all'interno di uno spot

televisivo è poco efficace e raccoglie pochi fondi. Altro è se, un rappresentante di un'organizzazione

insieme ad un testimonial, partecipa ad una trasmissione televisiva. Questo è molto più efficace.

Bisogna riuscire a parlare dell'argomento, lanciando un appello di raccolta fondi tramite l'Sms.

Quando usiamo radio e televisione riusciamo riusciamo a diffondere meglio il messaggio ed arrivare

ad un pubblico maggiore.

Ma anche qui, non è sufficiente piazzare un Sms solidale all'interno di uno spot o all'interno di una

campagna stampa. Occorre saperlo comunicare bene. Ovviamente sono importanti anche i

testimonial.

Ma la cosa più importante in assoluto è riuscire a costruire il contenuto. L'Sms diventa una modalità

di donazione, di adesione a quel contenuto. Si deve riuscire ad entrare in empatia con quel

contenuto, per poi avere uno strumento facile, diretto e immediato per poter condurre una

donazione.

Poi è necessario costruire il contenuto della campagna adatto al media con il quale lo si vuole

veicolare, il contenitore televisivo, quello radiofonico o la carta stampata. Se si riesce a costruire una

narrazione efficace con contenuto, allora l'sms funziona. Se l'Sms è piazzato in un annuncio stampa,

difficilmente riuscirò ad entrare in sintonia con il pubblico di riferimento, o meglio, il pubblico non

riuscirà ad entrare e sentire come proprio quel problema per poi mandare un Sms. Occorre fargli

vivere il problema attraverso un video, attraverso un racconto efficace, attraverso una storia, questa

è una cosa importante.

Ci parla della campagna sociale “Every One” che avete condotto contro la mortalità infantile?

Quale media avete privilegiato?

Per quanto riguarda l'Italia ancora oggi la televisione è lo strumento ed il canale più importante.

Tutto quello che abbiamo pensato per la campagna “Every One”, è stato finalizzato all'obiettivo

principale di andare in televisione. Quindi la costruzione dei contenuti è stata adattata per i

programmi televisivi. Questo ha comportato che le storie venissero supportate da immagini video,

ma anche dai testimonial.

L'utilizzo dei testimonial è un modo assolutamente efficace per poter andare in televisione. La

trasmissione televisiva d'intrattenimento ti ospiterà più facilmente e con maggior interesse se c'è la

presenza di un personaggio famoso. Chiaramente è opportuno, non solo affiancare il testimonial con

un rappresentante dell'organizzazione, ma portare all'interno di quel programma televisivo anche le

immagini con forti emozioni inerente il progetto in svolgimento.

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Ogni campagna comunica attraverso un simbolo forte. Per “Every One” a cosa avete pensato?

Abbiamo individuato un gesto. Il testimonial, ma anche il conduttore televisivo potevano farlo

all'interno della trasmissione televisiva. Per “Every One” è stato il palloncino rosso che rappresenta

metaforicamente un bambino.

Il gesto di non lasciare andare il palloncino rosso, rappresenta metaforicamente il gesto di salvare i

bambini, di trattenerli con noi, di non lasciarli andare.

Questa è una cosa molto semplice, se vogliamo è un'idea banale. In realtà è straordinaria nella sua

resa televisiva nel mostrare immediatamente qualcosa di visivo che ti colpisce. Inoltre è un gesto che

tutti possono fare, anche il conduttore televisivo.

Quali altri simboli/significato avete utilizzato per altre campagne?

Prima di “Every One”, c'era la campagna “Riscriviamo il futuro”, una campagna sull'educazione. Qui il

simbolo era una grossa matita. Anche qui, niente di straordinario, ma un conduttore televisivo che

entra nello studio con un matitone gigante fa un certo effetto. Il telespettatore concentra la sua

attenzione verso quell'immagine.

Queste sono dinamiche importanti per poter costruire e promuovere la tua campagna in maniera

adeguata. Naturalmente vanno considerati gli altri tagli, i contenuti che ti servono per fare attività di

ufficio stampa per uscire sul Tg, sul Gr o la carta stampata. Anche lì devi costruire dei dati, delle

storie, dei tagli particolari per queste tipologie di media.

Che differenza c'è tra stakeholder e donatore?

In realtà non c'è differenza tra un donatore e uno stakeholder. Il donatore è uno stakeholder, che

significa portatore d'interesse. Il donatore fa parte dell'universo degli stakeholder di

un'organizzazione.

Sono diverse e numerose le tipologie dei donatori. Per esempio, il pubblico di riferimento, il

potenziale donatore, il donatore attuale, l'istituzione, il politico, tutti questi possono essere i tuoi

donatori. Anche le altre organizzazioni non-governative, come le stesse aziende profit, possono

svolgere un ruolo attivo per l'organizzazione. Sono le persone che vanno convinte della bontà del tuo

operato, dei progetti che stai portando avanti. Sono loro che ti danno alla fine i fondi da poter

destinare ai progetti che porti avanti nella tua missione.

Per tutte queste ragioni i donatori sono estremamente importanti e vanno in qualche modo curati

con tutte le attenzioni che un'azienda può dedicare ad un cliente. La relazione che si stabilisce non

passa attraverso la semplice fornitura di un prodotto, ma vengono messi in gioco dei valori, una

specifica missione o una causa comune. Si tratta di un processo di condivisione di un valore di cui ti

fai portatore.

126

Come avviene il dialogo con il donatore?

Come dicevo prima la figura del donatore è una figura estremamente importante. Tanto per

cominciare bisogna saperlo convincere quando ancora non è diventato tale, ma è solo un potenziale

donatore.

Ci sono vari metodi e vari strumenti per dialogare con un donatore potenziale e condurlo ad essere

donatore effettivo. Possiamo utilizzare gli appelli televisivi, l'invio dell'Sms, oppure una mailing, cioè

una lettera scritta. Oltre allo strumento dell'online, c'è quello del face to face dei nostri dialogatori in

strada, per attirare nuovi donatori.

La più importante motivazione che possiamo dare al donatore è quella di condividere con lui una

causa forte, stabilendo un rapporto di fiducia con la nostra organizzazione. È la fiducia che bisogna

trasmettere!

Questi sono i primi passi. Il donatore farà una donazione, rimanendo sempre in qualche modo vigile.

Questo è un aspetto, ad esempio, dei donatori italiani, che sono molto attenti e vogliono vedere dei

risultati.

Una chiave per il successo è continuare costantemente e regolarmente a comunicare con il

donatore. Al donatore possiamo chiedere altri fondi, ma non prima di averlo aggiornato su quello

che l'organizzazione sta facendo grazie ai fondi che lui ha già donato. Instaurare un dialogo sempre

aperto tra l'organizzazione e il donatore è importante, quanto il comunicare quello che viene fatto in

maniera chiara, trasparente, efficace per trasmettere quell'emotività che noi, sul campo, tutti i giorni

viviamo.

Dopodiché è importantissimo integrare la comunicazione che rivolgiamo direttamente al donatore

con una comunicazione più ampia. Se un tuo donatore o potenziale donatore vede l'organizzazione

Save the Children in televisione o sugli altri media e questa esposizione sarà positiva, cioè mostra

chiaramente la concretezza della sua missione, allora il donatore riceverà forza da questo. Sarà

ulteriormente convinto della bontà dell'organizzazione.

Per questa ragione è fondamentale l'integrazione fra la comunicazione di raccolta fondi diretta e la

comunicazione più ampia dell'ufficio stampa, perché in questa maniera il tuo messaggio sarà più

forte ed efficace.

Essere sul campo come testimone diretto di ciò che accade. Quando si comunica avviene una

traduzione di queste emozioni per avvicinare le persone che sono lontane da quella situazione.

Come si mettono insieme questi due registri?

Credo che due elementi fondamentali per il successo di un'organizzazione come Save the Children

siano la passione e la professionalità, che vanno sempre a braccetto.

Da una parte c'è la passione per la mission che si porta avanti, la passione per il proprio lavoro.

Questa si alimenta quotidianamente toccando con mano i problemi che i bambini affrontano tutti i

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giorni, portandoci a considerare i problemi come qualcosa di assurdo e inaccettabile che va

combattuto.

Dall'altra parte c'è la competenza e la professionalità. Quando ti trovi sul campo per affrontare

situazioni difficili, di emergenza, naturalmente senti una fortissima empatia verso le persone che devi

aiutare. Allo stesso tempo sai che per affrontare quei problemi devi rimanere lucido, devi essere un

professionista.

Bisogna sapere che per risolvere quei problemi ci vogliono delle cose concrete, fare A poi B poi C e D.

In questo modo vanno risolti i problemi. Quindi, coniugare la passione e la competenza è un aspetto

fondamentale. Sembrerebbe che questi due aspetti vadano in disaccordo, ma in realtà camminano a

braccetto.

Ecco ciò che avverte il pubblico quando noi di Save the Children comunichiamo verso l'esterno: una

grande motivazione, una grande passione per la nostra missione, che è salvare i bambini e difendere i

loro diritti coniugata alla competenza. Il fatto di saper fare le cose bene, che portino a risultati

concreti e tangibili.

Social media e social network. Facebook ottiene numeri strabilianti con i contatti. Come si passa

dal virtuale “mi piace” all'impegno diretto. Quali leve della comunicazione vanno azionate?

Oggi i social media sono essenzialmente uno strumento che può aiutare la mobilitazione, ma non si

sostituiscono alla reale mobilitazione fisica.

I media sociali, internet, l'online sono essenzialmente uno strumento che serve per mobilitare,

radunare, diffondere le informazioni e sensibilizzare.

Di base c'è comunque la volontà di impegnarsi per una causa. Il solo “mi piace” non significa che

quella persona sia convinta di volersi impegnare in prima persona in quella causa. Magari la sua

attenzione ricade su quella cosa per qualche secondo, la trova divertente, simpatica, magari perché

gli è stata proposta da un amico. È facilissimo cliccare sul “mi piace”. Questo non significa che la

persona sia realmente impegnata. Il mi piace in realtà vale relativamente poco per l'organizzazione.

Quello che conta è il coinvolgimento vero delle persone. Il “mi piace” lo consideriamo un primo

gradino. Dopodiché devi entrare in comunicazione con questa persona, trasmettere la tua passione,

cercando costantemente di tenerlo informato sui progetti che stiamo portando avanti, attraverso la

nostra campagna, la nostra azione.

Con i social media possiamo aprire degli importanti canali di comunicazione con finalità di

partecipazione, per esempio, coinvolgendo nella discussione le persone. Capire cosa lui farebbe per

promuovere la campagna sociale. Dopo avergli dato una cornice di elementi lasciarlo libero di

promuovere autonomamente tra i suoi amici, coetanei e conoscenti una campagna, cioè dare spazio

per farlo diventare un attore, un agente attivo per il cambiamento.

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Anche riguardo a questi argomenti che abbiamo trattato, per quanto il pubblico si possa informare,

non sarà mai un esperto di questi temi o comunque non vorrà mai esserlo. Sicuramente sente di

doversi impegnare su alcuni di questi temi. Sente che determinate cose sono inaccettabili. Sente che

c'è il bisogno di riconoscere i diritti dei bambini ad un livello universale. Però ha bisogno in qualche

modo di qualcuno, un'organizzazione come siamo noi in questo caso, che diamo delle direttive

raccogliendo le voci e la volontà del pubblico di riferimento, per portare queste voci e questa volontà

verso le istituzioni e gli enti che possono risolvere questi problemi.

Quando noi facciamo queste campagne, ad esempio “Every One”, e vogliamo risolvere il problema

della mortalità infantile, facciamo la nostra parte attraverso i nostri progetti, salvando veramente la

vita a tantissimi bambini, ma da soli non possiamo risolvere questi problemi.

Allora abbiamo bisogno, per convincere la comunità internazionale, il governo del mondo, le Nazioni

Unite, del sostegno della gente dietro di noi. Abbiamo bisogno di portare in quelle sedi la volontà e la

voce della gente che vuole risolvere questi problemi. Quante più voci avremo dietro di noi, quanta

più mobilitazione ci sarà dietro questi problemi, tanto più forti saremo nei confronti di questi enti, di

queste istituzioni ottenendo tutti i cambiamenti e le trasformazioni sociali necessari.

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8. L’UFFICIO STAMPA PER GLI EVENTI

8.1 Daniela Piu sulla figura dell'addetto stampa per lo spettacolo e gli

eventi

Daniela Piu ha fondato nel 2001, con Gianluca Cannizzo, LaPiu srl, agenzia che si occupa di

ufficio stampa e management artistico di attori, personaggi tv, teatro e grandi eventi.

Già coordinatrice dell’ufficio stampa romano delle tre reti Mediaset e capo ufficio stampa di

Italia 1, Daniela Piu si è specializzata nel campo della televisione e dello spettacolo, seguendo

alcune serie cult del piccolo schermo (“Sex and the City”, “Beautiful”, “The L-Word” ) e

programmi di successo come “Affari tuoi”, “I raccomandati” e “Il treno dei desideri”, ma ha

poi ampliato il proprio raggio d’azione diventando ufficio stampa di grandi personaggi del

mondo dello sport come Max Biaggi e Giancarlo Fisichella e promuovendo eventi di costume

e non solo, come la sfilata per il lancio del nuovo spot di Lormar, con protagonista Manuela

Arcuri e la nuova linea di abbigliamento Swish con la top model Eva Herzigova.

Da alcuni anni, LaPiu si è impegnata anche nel sociale, curando le campagne di informazione

e prevenzione su alcune patologie molto diffuse soprattutto tra i giovani, tra le quali l’Aids,

l’Hpv e le malattie sessualmente trasmissibili.

Come è diventata Daniela Piu?

Ho preso la maturità frequentando una scuola inglese. Mi sono laureata in Lettere alla “Sapienza” di

Roma, Discipline dello Spettacolo. Ancora non c'era Scienze della Comunicazione. Ho partecipato al

primo seminario universitario sulla televisione analizzando dettagliatamente, con una tesina, Capitol,

la soap opera americana.

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Nel frattempo lavoravo facendo la gavetta nelle produzioni e come attrice in un teatro. Un ragazzo

che aveva un'associazione mi chiese se volevo fare anche l'ufficio stampa. Aveva un'associazione a

Roma, in via Donna Olimpia. I primi contatti li ho cercati utilizzando le pagine gialle. Ricordo ancora la

mia prima telefonata a La Repubblica “Pronto, signora Ermini?”. Paola Ermini ancora lavora al

TrovaRoma. Studiavo e lavoravo facendo l'ufficio stampa anche delle cose che recitavo.

Poi ho fatto il Festival di Sanremo come capo ufficio accrediti. Lì ho conosciuto Dalia Gaberscik, la

figlia di Giorgio Gaber, che ha una grossa agenzia a Milano. Lei mi chiese: “E tu che fai? Sei così

brava”! Risposi che studiavo. Lei mi disse: “guarda, mi hanno appena proposto di fare il capo ufficio

stampa a Mediaset, vuoi venire con un contratto da un milione per tre mesi a fare un

programmino”?. Così sono entrata a lavorare a Mediaset con un contratto da tre mesi. Lì sono

rimasta per 13-14 anni. Lavorando con Dalia abbiamo fatto anche teatro, musica e tante altre cose.

Come è organizzato il suo ufficio stampa?

Il gruppo di lavoro che coordino è composto da quattro persone. Ma tutto dipende dal cliente, dalla

mole di lavoro e dalle capacità specifiche di ogni addetto stampa. Per ciascun cliente prevedo sempre

un minimo di due persone che seguono l'intero progetto.

Tento di ridurre al minimo ogni possibile imprevisto: una persona che si ammala, che va in ferie o

semplicemente è costretta ad assentarsi per le evoluzioni che prende il lavoro. C'è sempre una

persona di supporto al corrente di quello che sta succedendo. Comunque, privilegio sempre il lavoro

di gruppo: due, tre, quattro persone. È molto importante l'interscambiabilità. Qualcuno è più incline

alla scrittura, altri invece, nelle pubbliche relazioni.

Quali profili devono avere i tuoi collaboratori?

La capacità di saper scrivere in maniera sintetica è importante. Ma più che altro, capire dov'è la

notizia! È fondamentale avere una consapevolezza visiva degli spazi nei giornali.

Per questo una delle prime cose che affido agli stagisti che lavorano con me è la rassegna stampa. A

questa tengo tantissimo. La reputo una base molto importante per chi inizia questo lavoro. Bisogna

leggere tutti i giornali, da Vip a Il Fatto Quotidiano, i settimanali, insomma tutto quello che esce.

Oltre ad essere informati è necessario avere dimestichezza con gli spazi che i media ci mettono a

disposizione. Solo praticando con dimestichezza i diversi linguaggi dei media hai la possibilità di fare

lo scarto. Quando parli con un cliente, automaticamente ti viene in mente che taglio puoi dare per

ogni giornale. Bisogna conoscere i giornalisti, il modo nel quale confezionano le notizie, i tagli grafici, i

contenuti, le diverse linee editoriali che rispondono ai lettori di riferimento. Davanti agli occhi

abbiamo sempre il nostro cliente. Dobbiamo soddisfare le sue esigenze.

Il nostro lavoro è una sorta di traduzione. Il racconto che ascoltiamo dal committente lo adattiamo

al linguaggio dei diversi media per amplificarne visibilità, diffusione e credibilità. Analizzare i

giornali, facendo la rassegna stampa, permette automaticamente di avere il colpo d'occhio.

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Insomma, avere una visione di ciò che è notiziabile?

Si, proprio questo. La capacità di sentire il racconto del cliente e subito capire qual è la notizia giusta

per i giornali. Se riesci a sintetizzare le parole con un titolo, allora sei sulla strada giusta. Le esigenze e

le aspettative di un cliente vanno subito trasformate in oggetto, in notizia, in titolo. Poi serve il

taglio giusto. Senza queste cose non si va avanti.

Quali altre competenze sono necessarie?

Una bella parlantina. Ti devi innamorare di quello che stai facendo. Quando parli al telefono, il tono

della voce è un aspetto della comunicazione che non va assolutamente sottovalutato. Molto spesso è

per telefono che sensibilizziamo il giornalista alla notizia, cioè creando una giusta aspettativa tra le

migliaia di notizie che ogni giorno sono disponibili. Personalmente cerco di innamorarmi di quello che

sto facendo. La passione è essenziale. Questo lavoro senza passione diventa un incubo. Ovviamente

restando con i piedi per terra e muovendoci in quello che è l'ambito, cioè quello che si può fare e

quello che non si può fare. Avere l'amore, la passione e dire “Sì, è una figata questa cosa!”, anche

quando si tratta di un piccolo spettacolo. Tante mie soddisfazioni sono venute con dei piccoli

spettacoli, che sono riuscita a tramutare, attraverso la comunicazione, in grandi eventi. Questa è una

cosa di grande soddisfazione.

Cosa accade quando l'ambito del management di un personaggio si interseca con il lavoro

dell'addetto stampa?

Questo a La Piu srl accade frequentemente. Da un lato il mio socio si occupa del management, io

invece, dell'ufficio stampa. L'intersezione del nostro lavoro si produce intorno all'evento. Lui porta i

Vip, noi promuoviamo l'evento. Nel lavoro che svolgiamo insieme da tanti anni, c'è molto

affiatamento ed una grande fiducia reciproca. Quasi sempre, siamo noi dell'ufficio stampa a

consigliare la scelta del personaggio, conoscendone il valore potenziale dell’immagine per giornali,

radio, televisione e web.

Ci racconta quando Lorella Cuccarini recitò nel jukebox musical con la regia di Luca Tommasini

intitolato “Il pianeta proibito”? Quello fu un caso in cui il management del personaggio si è

sovrapposto al lavoro di ufficio stampa in uno spettacolo teatrale?

Nel caso di Lorella Cuccarini, gestisco personalmente la sua immagine da circa vent'anni. Ho curato la

sua immagine per trasmissioni come “Domenica in”. Per il musical, “Il pianeta proibito” di Luca

Tommasini, eravamo anche ufficio stampa dello spettacolo. In quella circostanza abbiamo creato

un’immagine simbolo forte, che fosse di rottura con il passato. Già con quella abbiamo fatto notizia.

Si è trattato di Lorella Cuccarini nuda con una chitarra. Non si era mai vista prima di allora una cosa

del genere. Era una cosa molto inedita. Per l'occasione ho scelto un fotografo di moda glamour e la

foto diventò la locandina dello spettacolo.

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Andando per ordine, quanto tempo prima dell'uscita dello spettacolo avete attivato la

comunicazione?

Circa un mese e mezzo prima del debutto nazionale. Ho immediatamente dato l'immagine della

locandina in esclusiva ad un settimanale, questo per creare aspettativa. La figura della Cuccarini è un

esempio di classicità, molto apprezzata e richiesta dai settimanali.

Quali altri elementi sono stati trainanti oltre all'immagine della Cuccarini?

Lo spettacolo aveva tante sfaccettature che abbiamo convogliato nella cartella stampa traducendole

in notizie. È una chiave importantissima l'uso che possiamo fare della cartella stampa, scrivendo cose

interessanti, con vari tagli, tutti funzionali a tradurre le notizie in suggerimenti per le testate

giornalistiche a cui ti rivolgi.

“Il pianeta proibito” era un rifacimento del jukebox musical già fatto in Italia. Qui la novità era la

regia di Tommasini che aveva completamente riscritto il testo stravolgendolo.

Nella cartella stampa abbiamo dato risalto alla playing list delle canzoni prese dalla storia della

musica, con l'aggiunta di quelle canzoni italiane nuove, che sono state introdotte dal regista. C'era la

sinossi dello spettacolo e una parte con le date della tournée. Infine il comunicato, lo abbiamo scritto

alla fine come si fa con la prefazione di una tesi di laurea. Nel comunicato stampa c'è il succo di tutto.

Insomma, la cartella stampa deve essere ben scritta, ricca di cose interessanti. Deve contenere dei

veri e propri pezzi giornalistici. Il giornalista solitamente non si mette a riscrivere le cose, oltre al

fatto che c'è il rischio di avere notizie sbagliate o anche meno notizie di quelle che potresti volere.

Una bella cartella stampa, scritta con intelligenza, vuol dire che viene ripresa direttamente. Questo è

un goal!

Il materiale fotografico per la cartella stampa da dove veniva?

Nel musical devi fare i conti con le prove ed ogni occasione è buona per realizzare materiale

fotografico: prove generali, registrazioni, prove di balletto. Una parte di questo materiale fotografico

può esser utilizzato anche nella fase precedente alla prima dello spettacolo, per stimolare

l'aspettativa nel pubblico, magari con un'anticipazione in esclusiva concordata con qualche

settimanale.

Come si gestiscono i quotidiani il giorno della prima?

In generale nei casi teatrali puoi fare un anteprima stampa il giorno prima dello spettacolo, in modo

tale che, l'uscita del giornale quel giorno annuncia la prima della sera. La platea della sera

dell'anteprima la riempi con giornalisti, amici e persone della produzione.

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Il giorno dopo invece, organizzi la prima. Ma è una prima mondana, cioè inviti i Vip nel parterre.

Questa è una strategia per assicurare una doppia uscita sui quotidiani. Quindi, la recensione del

musical il giorno della prima, la recensione mondana il giorno dopo.

Come si gestiscono invece le televisioni? Quale materiale manda per un Tg?

Solitamente i giornalisti dei Tg vengono invitati prima della prima. Ma anche qui non esiste una

regola precisa. Possiamo dare la disponibilità per le riprese video dello spettacolo nei primi 10/15

minuti, un’ora o tutto il primo tempo.

Quando ci sono dei problemi di nudi o cose che non si possono vedere in prima serata – penso allo

spettacolo “Full Monty”, un musical di Gigi Proietti, che ho sempre curato come ufficio stampa, dove

gli uomini stavano al buio con il sedere di fuori in apertura di spettacolo – allora possiamo dare ai

giornalisti una registrazione Beta, con le scene più salienti dello spettacolo che abbiamo

precedentemente selezionato.

Solitamente il giornalista, prima delle riprese, va dietro le quinte per intervistare il personaggio.

Questo si può fare, prima dell'anteprima o prima della prima. Se magari c'è il Tg1 al quale dare

l'esclusiva o una prima uscita, puoi far venire il giornalista alla prova generale.

Per la prima nazionale del “Pianeta proibito” ho fatto un accordo di esclusiva con il Tg3, che ha

seguito il musical nelle quattro fasi più importanti: la fase embrionale, la fase di prove, la prova

generale e la prima. Sono usciti quattro pezzi in questo modo.

Come si continua a promuovere lo spettacolo durante la tournée?

Negli spettacoli con la tournée è importante darne comunicazione già nelle prime uscite di

presentazione per la prima nazionale, cioè prevedere la pubblicazione del calendario completo delle

date quando si esce per i settimanali e i mensili.

Dopodiché, ogni volta che la data dello spettacolo si avvicina ad un'altra città, si contattano tutti i

quotidiani locali, mandando il materiale completo: foto, comunicato, cartella stampa ecc. ecc. Se è

una città grande, si può organizzare una conferenza stampa e c'è un'ennesima prima. Se sei a Roma e

poi vai a Milano, devi rifare un'altra prima, cioè invitare tutti nuovamente. Questo perché Roma e

Milano si compensano. Quindi, in una città del genere rifai tutto uguale.

A Milano, magari troverai qualche critico che non è venuto a Roma. Nelle città più piccole, invece,

contatti sempre tutti i quotidiani locali, che verranno allo spettacolo o, se non vengono, si può

organizzare una presentazione. Di solito o presentazione o recensione. Ultimamente è dura che

facciano due pezzi.

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Quando in uno spettacolo non c'è un personaggio di forte richiamo, cosa ci si inventa?

Si aguzza l'ingegno e si muove la creatività. Qualche tempo fa ho curato uno spettacolo intitolato

“Singles”, andato in scena in un teatrino dietro via del Tritone a Roma. Gli attori di quello spettacolo

erano bravissimi, ma tutti sconosciuti. Era una commedia francese, semplice ed asciutta, che aveva

avuto un piccolo successo in Francia. Conoscevo l'autore. Oltre ad averla scritta, ne aveva curato

anche la traduzione in italiano.

In quel periodo non ho perso occasione per conoscere tutto del mondo dei singles: le occasioni che

avevano di frequentarsi, dove si incontravano. Insomma, tutti i perché e i per come. Presi contatto

anche con un signore inglese che aveva portato a Roma lo Speed Date. All'epoca era una novità. Mi

sono unita a questo impresario inglese ed abbiamo cominciato a creare degli Speed Date intorno a

questo spettacolino. Offrivamo pacchetti con un giro romantico di Roma sul Double Deck Bus a fare

lo Speed Date; cene organizzate dove incontrarsi per lo Speed Date; oppure serate a teatro. Quindi, il

pacchetto prevedeva lo spettacolo e lo Speed Date. In quella circostanza ho usato delle magliette per

aumentare la visibilità del brand. Tutto il lavoro è stato svolto in grande economia e una buona

strategia ha permesso di far riprendere lo spettacolo, con attori completamente sconosciuti, in

tantissimi giornali compreso il Corriere della Sera.

In quella circostanza lo spettacolo era diventato qualcosa d'altro, un vero e proprio fenomeno.

Questo fu possibile perché in quel periodo i giornali parlavano spesso della vita da singles e dello

Speed Date. È importante fare collegamenti con i temi di attualità. Un legame con un contesto di

attualità forte, permette al giornalista di utilizzare un aspetto della tua notizia. Questa è una delle

chiavi per essere notiziabili sui giornali.

Quale altre occasioni rendono un argomento notiziabile?

Un'altra chiave sono i sondaggi. I numeri sono importanti. Se il tuo attacco è “Il 65% delle donne non

prova l'orgasmo” e tu hai uno spettacolo su questo, già riesci ad orientare l'attenzione. Il numero dà

credito a quello che stai dicendo ma sconsiglio il di abusarne.

Come valuta la scelta di un personaggio da rappresentare? Talento o starlette?

Sempre come ufficio stampa, si può fare tutto. Quando si siedono davanti a me, la prima cosa che

cerco è l'intesa. Ci si deve capire, devo sentire fiducia. Poi, a me arrivano le visioni, qui nel cervello.

Vedo il giornale che esce. Quando vedo quella roba lì, accetto. Se non la vedo, finché non mi arriva, è

un casino.

Purtroppo dobbiamo fare i conti con quelli del Grande Fratello, con Uomini e Donne... Qui al

management rappresentano Marcello Fuentes, un ragazzo che ha fatto Uomini e Donne. Ho

conosciuto Fuentes, è una persona veramente valida, intelligente, con cervello. Allora ho deciso di

dargli una mano. Altre volte, invece, arrivano qui dei ragazzi pieni di talento, senza una lira, che, se

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riescono a fare uno spettacolino nel teatrino off off, sono strafortunati. Tento per quello che è

possibile di fargli da ufficio stampa gratis. E li seguo.

Come si prepara il terreno per...?

Prendiamo il caso di Marco Iermanò, un attore di cinema giovanissimo, pulito, bravo, che ha fatto un

film con Michele Placido, “Baaria”. Un film di un certo livello, dove lui era il fratello del protagonista.

Insomma, sempre parti minori, senza mai essere il protagonista.

In questi casi non puoi far altro che prendere un fotografo di alto livello, pregarlo di crederci e gli fai

fare un servizio fotografico. Poi, inizi a chiamare le testate giuste. Chiamare i propri amici, le persone

che conosci da tanto tempo dicendo “Guarda questo ragazzo è fantastico, è bravissimo, lo vedrai in

altre occasioni, questo significa seminare, posizionare il suo nome tra le persone dell'ambiente. Se

poi dopo sei mesi o un anno, fa qualche cosa di più importante, vedrai che se lo ricordano.

Altro caso: Marco Calvani, un regista teatrale, che scrive opere vincendo premi nel mondo, ma in

Italia fatica ad affermarsi. Lo conobbi qualche anno fa quando venne qui per farmi leggere un'opera

teatrale su “Erika e Omar”.

Alla fine per il suo spettacolo siamo riusciti a coinvolgere il giornalista del Corriere della Sera che

seguì tutta la vicenda di cronaca. Il giornalista è venuto a vedere la prova generale a casa del regista.

È uscita una pagina sul Corriere della Sera. Marco Calvani nella sua messa in scena aveva colto

l'anima dei due protagonisti ispirati al fatto di cronaca. Ecco, questo è un altro esempio di spettacolo

che ha un legame forte con l'attualità. Questa è una chiave di lettura.

Quali sono i consigli per gestire invece un grande personaggio?

Gestire un grande personaggio è relativamente semplice. Tra le caratteristiche di un addetto stampa

elenchiamo baby-sitter, psicologo, counselor... Tutte queste cose qui. Con poche eccezioni di gente

famosa, che ha la testa sulle spalle, normalmente devi combattere con la forza o la vulnerabilità di

un ego. Un consiglio che posso dare è cercare di essere realista e spingere con delicatezza. Ognuno

ha la sua strada e tu devi trovare una strada per ciascuno di loro. Ognuno ha la sua psicologia. Avere

questo tipo di sensibilità è una delle caratteristiche fondamentali che deve avere un ufficio stampa.

Dimenticarsi della propria personalità e plasmarsi su chi hai davanti a seconda delle circostanze.

Certe volte devi far digerire delle cose a chi ha delle crisi: “No! Non lo voglio fare”. Non è

semplicissimo.

Cosa fa l'ufficio stampa quando segue una fiction televisiva?

Nella fiction bisogna stare sul set ed individuare insieme alla produzione le scene più importanti da

fotografare. Sapere la storia, sapere tutto quello che accade. Studiare la sceneggiatura e il soggetto.

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Fare un incontro con tutti quanti, dal produttore in giù e capire loro cosa vogliono. Poi da lì, mediare

e cercare di rimetterli con i piedi per terra. Bisogna conoscere tutti gli attori, incontrare gli agenti,

eventualmente gli altri uffici stampa degli attori. È sempre opportuno coordinarsi con gli altri uffici

stampa degli attori.

Dopodiché, individuare nel piano di produzione quali siano i momenti fotografabili più importanti.

Concordare con la produzione il fotografo di scena, che abbia un senso e non uno qualsiasi. Questo

perché non abbiamo bisogno di migliaia di foto inutili. Il dialogo con il fotografo è una cosa molto

importante.

Nel piano di produzione bisogna individuare, insieme alla produzione, un giorno in cui organizzare gli

special, cioè le fotografie posate sul set. Questo momento andrebbe sempre organizzato durante il

periodo di lavorazione. Una volta chiuso il set, non sempre tutti gli attori potrebbero essere

disponibili o presenti per la sessione fotografica. Magari hanno impegni in altri set, in altre

produzioni, in tournée teatrali.

Quindi, bisogna organizzare per tempo gli special, senza rischiare di non avere tutto il materiale

necessario quando si lancia la messa in onda. A seconda della ricchezza della produzione può esserci

anche un operatore che fa il backstage. Altrimenti, se c'è una produzione abbastanza grande puoi

chiamare una Tv dove può essere organizzato il backstage del servizio fotografico. In quell'occasione

è opportuno organizzare anche le interviste con gli attori.

Come si crea l'aspettativa nel pubblico per una fiction televisiva?

Per la creazione dell'aspettativa di una fiction televisiva, bisogna prevedere, come sempre una

strategia di comunicazione. Se il mio obiettivo è creare aspettativa fino alla messa in onda, devo

valutare, sia i tempi tra il set e la messa in onda, sia l'importanza del personaggio o dei personaggi

che interpretano i ruoli. A volte risulta utile tenere il set blindato, raccogliere tutto il materiale

possibile per poi utilizzarlo nella messa in onda.

Invece, se nel cast della fiction c'è un personaggio trainante, possiamo iniziare la comunicazione

anche molto tempo prima utilizzando alcune foto del personaggio per i settimanali.

Per quanto riguarda la scelta dei tempi necessari di promozione della fiction in prossimità del lancio, i

settimanali vanno contattati circa un mese e mezzo prima. È sempre opportuno valutare se altri

programmi andranno in onda in contemporanea, cioè se ci sono altre partenze. Quando il caso lo

richiede, si prevede l'anticipazione del lancio di una settimana.

Durante il set della fiction possiamo valutare di dare un'esclusiva ad un quotidiano. Questo è molto

amato dai produttori. In quel caso, si contatta il Corriere o La Repubblica, per l'intera pagina dedicata

al set in esclusiva. Se invece è una mega produzione, si possono portare 4/5 quotidiani tutti insieme e

fai un press junket sul set.

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Che cosa è il press junket?

È il viaggio con i giornalisti, dove gli fai vedere qualcosa di cui loro poi scriveranno. Costruisci un

programma articolato per poter uscire con le notizie tutti i giorni. Si possono coinvolgere le agenzie

che battono le notizie ed i giornali che le riprendono. Si organizza la sala stampa, dove il giornalista

può lavorare ed avere accesso al materiale che noi gli mettiamo a disposizione con comunicati e tutte

le notizie di cui hanno bisogno. Contemporaneamente, dai accesso ai giornalisti per le interviste con

gli attori, con il produttore, il regista, selezionando le situazioni migliori che hai interesse a veicolare

nei media per dare la massima amplificazione al prodotto che stai curando.

Quale è stato l'ultimo press junket che ha organizzato?

Utilizzo questo strumento quando faccio l'ufficio stampa della soap opera “Beautiful”, che curo fin da

quando è iniziata. L'ambientazione è Los Angeles. Quest'anno lo abbiamo organizzato durante gli

Emmy Awards, il prestigioso premio televisivo. Ho dato l'esclusiva ad una sola testata, Gioia, che

verrà con la giornalista ed il fotografo scelti da me. Sarà un servizio molto glamour, fuori dalle righe.

L'obiettivo è quello di svecchiare e ringiovanire la comunicazione. Ho deciso di ambientare a Las

Vegas i servizi fotografici con gli attori della soap. Da qualche anno sto lavorando nelle uscite sui

giornali impossibili, cioè quei periodici con un target culturale molto elevato, che solitamente non

hanno mai trattato prima argomenti di questo genere.

Come si riesce a spostare su media di diverso target culturale un prodotto?

Nel caso specifico di “Beautiful” sono riuscita a trasformare la soap opera in un cult, cioè qualcosa

che va al di là della soap stessa, concentrandomi sui giornali con standard culturali più elevati, che

non avevano mai dedicato prima spazi narrativi a questo genere televisivo.

Per esempio, con Vanity Fair la mia intuizione è stata quella di far seguire al giornale l'evento del

raduno dei fan mondiali che ogni quattro anni si svolge a Los Angeles. Ci sono storie di vita

interessantissime. Ho creduto che fosse un argomento giusto per tutti i giornali femminili alti.

Quando hai centinaia e centinaia di fan, dalla donna iraniana che vede “Beautiful” con il satellite

illegalmente a Teheran e, tramite questi eventi, è amica di quell'altra donna australiana, si

incontrano, partecipano al raduno, allora si va al di là della soap. Diventa un fenomeno di costume.

Giornali come Vogue, Vanity Fair, Io Donna, D di Repubblica, possono avere un interesse.

Daniela Piu riesce sempre a trasformare le cose semplici in grandi eventi...

Mi pagano per questo! Il punto è che la natura dell'evento non è una semplice presentazione di

qualcosa, ma una reazione, cioè provocare una reazione. Individuare la notiziabilità di un

argomento che è generato collateralmente dallo spettacolo, dalla fiction ecc., per veicolarla

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all'interno di un giornale interessato a quell'aspetto collaterale. Nel caso specifico di “Beautiful” è il

fenomeno sociale ad essere di richiamo. Poi, bisogna fornire i contenuti da veicolare. Se il fenomeno

dei fans è la notizia per il giornale, cioè che questo movimento si genera dal raduno per la soap

opera, va a descrivere e rafforzare l'immaginario collettivo di “Beautiful”, che diventa anche altro, un

cult appunto. Ripeto, basta trovare la chiave giusta.

LaPiu si occupa anche di campagne sociale? Come nasce l’idea per questo genere di

comunicazione?

L'ultima che abbiamo fatto è stata sull'artrite reumatoide, coinvolgendo Katherine Kelly Lange.

Alcune case farmaceutiche avevano bisogno di una comunicazione più generalista. Volevano uscire

fuori dal loro circuito specializzato di giornali che si raccontano le cose tra loro.

L'obiettivo era quello di far diventare le case farmaceutiche coinvolte un essere parlante e

comunicante, cioè legarli ad un testimonial che potesse aiutarli a comunicare. Per questo abbiamo

individuato Katherine Kelly Lange. Nella sua famiglia c'era stato un parente affetto dall'artrite

reumatoide. Nel caso di una campagna sociale è importante individuare il testimonial che sente

particolarmente quel problema. Risulta più credibile e disponibile alla collaborazione. Tutta questa

campagna l'abbiamo improntata su di lei. Abbiamo curato la realizzazione del video. La sua presenza

nelle date di presentazione ci ha assicurato la visibilità in moltissime televisioni che una campagna

sociale di questo tipo non avrebbe mai avuto. Lo stesso è accaduto per i settimanali che sono stati

richiamati dalla sua grande disponibilità.

Gli eventi fanno spesso parte di una strategia di comunicazione integrata per la promozione di un

prodotto o il rilancio di una linea di prodotti. Ci può fare un esempio in questo senso? Ricorda una

campagna sulla quale ha lavorato di recente nella quale l'evento costituiva una fase decisiva della

promozione del prodotto?

“Strongbow Gold”, il sidro della Heineken. Abbiamo appena concluso la prima fase della

comunicazione iniziata il primo d'aprile. Le ricorrenze aiutano ad entrare nella comunicazione.

Siamo partiti il primo d'aprile con questa nuova campagna, quando tutti si aspettano lo scherzo. La

parola “Strongbow Gold” è arrivata solo 6 di maggio. Più di un mese dopo. La mela d'oro, anzi le mele

d'oro sono stato il filo conduttore di tutta l'operazione, il simbolo attraverso il quale veicolare i

messaggi finalizzati allo svelamento finale del nome del prodotto, “Strongbow Gold”, il sidro della

Heineken. L'azione strategica prevedeva un posizionamento della mela d'oro nei media, cioè il brand

di un prodotto fatto conoscere in tempi non sospetti. Abbiamo pensato alle “Sette cose da non fare

con la mela d'oro”. Per fare questo abbiamo registrato delle clip con Gip delle Iene, che portava a

Manuela Arcuri, Giampaolo Morelli, Aldo Montani ed altri, delle mele d'oro come scherzo per il

primo d'aprile. Quel filmato lo abbiamo fatto girare in rete, perché la stampa si aspetta un pezzo sul

pesce d'aprile. È stato ripreso tantissimo da Repubblica.it, Corriere.it, GossipNews, ecc.

Contemporaneamente, attraverso una partnership con Radio Dj, i conduttori la Pina e Diego, hanno

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cominciato a dire: “Lo sai che mi hanno fatto lo scherzo anche a me con la mela d'oro. Ma cos'era

quello scherzo? Perché questo scherzo?”. Questi erano tutti elementi che componevano la strategia

della comunicazione. Radio Dj aveva un copione da seguire per tutto il mese.

Dopodiché, l'8 aprile, quando Luca Tommasini, che sarebbe stato il direttore artistico dell’evento, è

andato ospite nella trasmissione radiofonica, il conduttore Diego ha confessato che avrebbe voluto

fare il ballerino come lui. A quel punto Tommasini lancia la sfida di ballo a Diego sulle note di “Cogli

la prima mela”. La location programmata è stata quella del Salone del Mobile di Milano, perché è un

momento di fermento pieno di gente. Diego, il primo giorno al Salone, ha iniziato a ballare per due

ore. Il giorno dopo, la Pina ha commentato alla radio e Diego entusiasta ha detto che lo voleva rifare.

Così, per i successivi cinque giorni, Diego ha ballato due volte al giorno per due ore. Noi registravamo

tutto e mandavamo le clip su Youtube con Diego che provava la coreografia al Salone.

Un'altra partnership strategica è stata quella con VanityFair.it, perché il target del sidro doveva

essere alto. Però, ancora non avevamo svelato nulla sul nome del sidro. Nell'ultima puntata

settimanale del programma radiofonico, un venerdì di fine aprile, la Pina, lancia la sua adesione al

ballo per il giorno dopo. Nell'invito, esteso a tutti i suoi amici, la Pina lascia trapelare la presenza di

Paola Barale. Il giorno dopo al Salone del Mobile di Milano c'erano circa 600 persone. Ballavano tutti

la stessa coreografia. A Milano, la zona Fiera si è bloccata per la numerosa affluenza delle persone. I

filmati registrati e mandati su Youtube hanno fanno il resto.

Quando avete svelato il nome del prodotto?

Durante l'evento del 6 maggio, organizzato a via Mecenate a Milano, nello spazio archeologico dove

registrano “X-Factor”. A fine aprile, abbiamo convogliato sul web tutto il girato prodotto fino a quel

momento, confezionando gli inviti teaser per le persone che ancora non sapevano di cosa si

trattasse. Non solo, ci siamo inventati anche un'ape car brandizzata, con le mele d'oro e dei postini-

modelli, anche loro tutti d'oro, che consegnavano ai Vip la mela-invito per l'evento del 6 maggio.

Come è andata la sera dell'evento?

Considerando che a distanza di un mese e mezzo dalla serata dell'evento, ancora raccogliamo articoli

in uscita sui giornali, possiamo dire che è stato un ottimo risultato per la comunicazione.

La copertura mediatica della serata l'abbiamo affidata in esclusiva a Vanity Fair. Praticamente dal

giorno dopo abbiamo avuto quotidiani e settimanali pieni zeppi di notizie. La coreografia dell'evento

era curata da Luca Tommasini, tutta d'oro dove succedeva di tutto. Come nei suoi spettacoli, anche lì

è stata proposta una vera e propria esperienza sensoriale per il pubblico. Inoltre, per la sera

dell'evento ci siamo assicurati fotografi e tv perché c'erano i Vip.

Quando le televisioni fanno le interviste è importante il backdrop, cioè quello che si vede dietro.

L'evento è concepito come un vero e proprio set che permette ai fotografi e agli operatori di

sistemare nell'inquadratura quello che a noi interessa far vedere. Per la serata avevamo creato una

140

parete con le scatole del sidro “Strongbow Gold” da utilizzare come sfondo per le interviste. Le

scritte non erano né troppo grandi né troppo piccole, in posizione decentrata per non essere coperte

dall'intervistato che si metteva davanti. Quindi, rispetto alla strategia iniziale, possiamo dire di aver

veicolato il prodotto attraverso l'uso dell'immagine del Vip, cioè i personaggi affiancati al prodotto.

Poi, l'uso delle partnership, come Radio Dj, Libero e MSN, che hanno svolto la parte editoriale dei

contenuti da noi forniti con le foto, i testi e i video. Altro strumento utilizzato è stato il Buzz

marketing che ha sostenuto la comunicazione per convogliare la gente all'evento attraverso il brusio

della rete. Poi una parte più advertising, cioè più di comunicazione pubblicitaria come il brand con

l'ape car, che avevamo concordato preventivamente con il cliente. Insomma, gli strumenti tattici

dell'ufficio stampa ben dosati da una chiara strategia per fornire ai mezzi d'informazione un prodotto

semilavorato che dovrà essere pubblicato.

Come si costruisce la credibilità professionale? Quale cosa non si può fare nel suo lavoro perché ne

comprometterebbe la reputazione?

Mai dire cavolate. Essere sempre veritieri. Ecco perché quando vado a proporre qualcosa cerco

sempre di far appassionare chi ho davanti. Questo non significa dire cavolate. Non sto vendendo una

cosa per un'altra. Questo è ciò che mi ha portato avanti per venti anni.

Essere precisi e organizzati. Quando ricevi una richiesta, il tuo impegno è soddisfarla per quanto è

possibile, senza dimenticarsi. Rispondere sempre alle mail. Insomma, essere veritieri, leali, precisi e

non perdersi i pezzi per la strada. Negli anni ho sempre affermato questi principi che mi portano oggi

ad essere credibile con tutte le persone con cui mi sono relazionata e ancora mi relaziono.

Nella costruzione della propria credibilità aiuta moltissimo essere disponibili e risolvere i problemi.

Poi, puntualità, correttezza e precisione nel fornire tutte le informazioni di cui si dispone. Bisogna

sempre avere una domanda in testa “come puoi essere utile?”. Anche se poi molti ti chiamano

chiedendo un numero di telefono, magari di qualcuno che tu non conosci. Allora ti dai da fare per

trovarglielo. Dare un aiuto anche se non ti riguarda è utile.

Per le persone che si avvicinano al lavoro dell'ufficio stampa è importante riuscire a stimolare

l'interesse negli altri. Quando si telefona ad un giornalista che è oberato di lavoro, con una quantità

di mail che gli arrivano, il telefono che squilla in continuazione, bisogna diversificarsi nel modo di

comunicare, dal tono della voce. La notizia al giornalista va data subito, non dopo sei minuti che

parli. Il giornalista perde la sua capacità d'attenzione dopo 10 secondi. Nei primi secondi della

telefonata, bisogna essere innanzitutto gentili. Chiedere sempre se si sta disturbando in quel

momento. Non bisogna iniziare a parlare subito a macchinetta. Quando si chiama la redazione

bisogna scegliere il momento giusto. Sapere quando ci sono le riunioni di redazione, quando

troviamo il giornalista. Inutile chiamare alle 10 di mattina un quotidiano perché in redazione non c'è

nessuno. Si chiama dalle 15 in poi. Vedere se è un capo servizio, se sta in riunione. E poi cercare

quello che devi dire in maniera pronta, allegra e gioiosa, che sia d'interesse nei primi secondi. Buon

lavoro!

141

9. L’UFFICIO STAMPA ONLINE

9.1 Ivan Vaghi sulla figura dell’addetto stampa web 2.0

Ivan Vaghi, Ceo MIKAMAI, è un imprenditore esperto di comunicazione tecnologica. Da

consulente sostiene molte compagnie nell'industria della Comunicazione internet e

Pubbliche Relazioni, espandendo il suo network attraverso l'Europa.

Nel 2008 a Milano ha fondato MIKAMAI, che attualmente dirige, web agency specializzata in

social networking, sviluppo e innovazione tecnologica mobile. In tre anni di attività apre una

filiale a Londra ed acquisce l'agenzia 24Amp, società di social media e digital PR a Valencia.

Ivan è cresciuto in Italia. Nel 1994 si è trasferito nel Regno Unito dove ha conseguito un

diploma in Computer Science ed un PhD presso il Mixed Reality Lab dell'Università di

Nottingham lavorando sui “Sistemi collaborativi on line”.

Dal 2001 è ingegnere finanziario per le maggiori banche d'investimento italiane. Fino al 2005

è responsabile di UniCredit TradingLab, laboratorio internazionale di finanza personale per la

misurazione del rischio nei prodotti derivati finanziari.

Dal 2005 opera nell'ambito del Risk Management e del Trading Departement per Cassa

Depositi e Prestititi Spa, ente pubblico controllato dal Ministero dell'Economia e delle

Finanze.

142

Abbiamo finora trattato fenomeni classici di comunicazione e diffusione di notizie e siamo arrivati

alla conclusione, che nella gestione di un buon ufficio stampa, le relazioni (con il giornalista, con gli

stakeholder, con l’utente) sono il perno. Possiamo dire che nel web questo nodo è costituito dalla

reputation? Come si costruisce?

La reputazione sul web è veramente al centro. Quando parliamo di reputation sul web non

intendiamo i casi classici di quello che i giornalisti dicono di noi, oppure nel modo in cui ci

presentiamo con il nostro sito. Si tratta di guardare più nell'insieme. Da un lato, come appariamo sul

web, qual è la nostra presenza sia da un punto di vista dei motori di ricerca sia di quello che dicono le

persone di noi, dei nostri prodotti. Poi è importante guardarci in relazione alla concorrenza.

Prima di tutto bisogna analizzare molto bene la nostra presenza in rete. Per fare questo sono

necessarie le ricerche su Google e su Facebook, che sono i due canali principali di accesso alla rete.

Dobbiamo vedere come siamo posizionati, con quali parole chiave le persone ci cercano, se positive,

se negative. Poi, dobbiamo analizzare il buzz in rete.

Quando appare il nostro nome è fondamentale individuare a cosa è legato, a quali tipi di parole

chiave, a quali messaggi positivi, a quali messaggi negativi, ed eventualmente anche rispetto a quali

altri brand.

Una volta che siamo riusciti ad inquadrare il nostro marchio all'interno di una sorta di matrice di

pareri positivi, negativi e neutrali, possiamo confrontarli sui vari canali della nostra concorrenza. A

quel punto possiamo focalizzare in modo diretto, quello ci potrà dare i frutti maggiori.

Facciamo un esempio. La parte dei social media è uno di questi. Sia che siamo presenti, o non siamo

presenti sul web, sia che noi parliamo o non parliamo, la gente comunque parla di noi e su questo

non ci si può fare nulla. Ciò che possiamo fare è ascoltare quello che gli altri dicono di noi, cercare

di trarre una lezione quando possibile, cercando di portare l'accento positivo su quei fenomeni di

comunicazione che sono positivi nei nostri confronti.

Tipicamente, in una prima fase, vengono tracciati gli influencer che riguardano il nostro marchio. Gli

influencer possono essere sia persone, che aziende, che organizzazioni, che siti, comunque punti in

cui il nostro brand è presente, non necessariamente perché ce lo abbiamo portato noi. A quel punto

dobbiamo analizzare il singolo influenser, quanta influenza ha, se è positiva o negativa, poi decidere

all'interno di questo quadrante dove andare a focalizzare i nostri sforzi, cercando di capire il perché

andiamo a fare certe azioni.

Ad esempio, cercare di rispondere a delle critiche negative non ha sempre un'utilità. Spesso su

internet la gente va per criticare più che per dare un parere positivo. Da questo punto di vista

internet diventa anche una valvola di sfogo. A volte quindi è davvero inutile buttare la benzina sul

fuoco. Invece vale la pena vedere quali sono gli influencer positivi, di questi, quali tra loro hanno una

grossa presenza in rete e nel caso andare a fare anche delle azioni di sponsorizzazione nei loro

confronti.

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Per gli influencer positivi sul nostro marchio, che non hanno però una grossa presenza in rete,

possiamo andare ad effettuare delle attività che permettono di dare a loro una maggiore presenza in

rete, una maggiore visibilità e di conseguenza anche per il nostro brand.

Quali competenze sono necessarie per attivare la comunicazione nell'ambito del web? Cinque

consigli.

Solo cinque? Prima di tutto bisogna avere una pratica dell'uso della rete. Navigare tanto, saper

utilizzare gli strumenti in modo molto pratico. Per cui riuscire a capire le sfumature di

comunicazione che sono date solo dalla pratica.

Capire quale può essere il peso di fare un Like all'interno di Facebook in un certo contesto. Tempo

fa quando si è partiti con i media sociali, si cercava di coinvolgere le persone in modo abbastanza

articolato su partecipare in rete. Poi ci si è accorti che questo poteva non essere sempre facilmente

fattibile, perché su 100 appena 2-3 persone erano quelle che partecipano. Facebook ha operato una

grande semplificazione, riuscendo a ridurre la partecipazione al semplice atto di dire “I like”, mi

piace, su un certo argomento.

Questo ha portato ad una partecipazione davvero massiccia delle persone nei confronti del brand,

cioè nel poter esprimere un'opinione, generando poi quelle che sono le fan page su Facebook.

Quindi, ora è possibile esprimere la propria preferenza sul brand cliccando sulla manina con il pollice

alzato. Questa manifestazione di parere positivo viene poi automaticamente mandata a tutti i propri

contatti in rete all'interno di Facebook, diventando un'operazione molto virale per un marchio.

Quali altre competenze necessarie per attivare la comunicazione sul web?

Dicevamo delle competenze per attivare la comunicazione. La capacità di usare gli strumenti base

della rete che saranno poi gli stessi che utilizzeranno i nostri utenti; gli strumenti base del web

marketing, che comunque non sono morti, ma anzi hanno un ruolo fondamentale per portare un

pubblico di base, come ad esempio le newsletter.

È utile avere un’abitudine ad un uso non mediato di questi strumenti. Spesso chi arriva da un campo

molto diverso, studia la teoria di questi strumenti, ma non li prova.

Questo vuol dire essere in grado, ad esempio, di scrivere un post in un blog, piuttosto che creare una

pagina fan all'interno di Facebook, che ha un forte valore per chi lavora all'interno di questo settore.

Queste pratiche permettono di capire esattamente tutte le sfumature di ciò che è complesso e ciò

che non lo è.

Inoltre è importantissimo riuscire ad avere appeal con le persone in rete, e sapere come contattare

quelli che sono gli influencer all'interno delle singole nicchie che tu vuoi andare a toccare. Non basta

saper creare una comunicazione in termini molto teorici ed astratti, ma devi saper parlare con quelle

persone che poi vanno a veicolarla.

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Probabilmente uno dei punti più importanti è saper analizzare continuamente i risultati. Risulta

opportuno impostare la comunicazione per avere risultati numerici da monitorare giorno per giorno,

se possibile, azione per azione, ed andare poi a correggere il tiro. Quindi, non è solo un lavoro

creativo. C'è una parte di creatività, una parte sociale, una parte di estrema analisi. Al contrario dei

mezzi tradizionali, possiamo sapere minuto per minuto, secondo per secondo, qual è il risultato delle

nostre azioni e poi andare a calibrarlo.

Per cui anche creare in modo strategico delle attività che partono e poi non abbiamo più controllo,

non è una buona idea. In altre parole, lo sforzo è quello di riuscire a tenere in qualche modo

insieme tutte le varie attività e nel tempo capire cosa funziona, cosa non funziona, facendo

tweaking, cioè ricalibrare la comunicazione. Questo è veramente fondamentale. Possiamo partire

dall'advertising, ma anche con il comunicare con le persone sui vari canali.

Cosa s'intende per comunicazione non convenzionale? È acqua passata?

Quando si parla di comunicazione non convenzionale non è sempre facile capire esattamente di cosa

si stia parlando. Anche perché, tutto quello che stiamo ora facendo sul web è stato classificato come

comunicazione non convenzionale già qualche anno fa. Quindi, bisogna davvero capire di cosa

andiamo a parlare. Facebook, piuttosto che LinkedIn, io non li considero nemmeno più come

comunicazione non convenzionale. Alla fine il web esiste da 18 anni, se fosse una persona, ormai

sarebbe un adolescente maggiorenne.

Oggi, parlando di comunicazione non convenzionale nel campo del web, dobbiamo ragionare su quali

sono le norme ormai acquisite di comunicazione sul web e cercare di cogliere gli aspetti di rottura

per poter vedere da un'angolatura diversa le cose, ad esempio come poter utilizzare un canale in un

modo differente da come è stato utilizzato fino a questo momento.

Quindi, non classificherei la semplice comunicazione sul web come comunicazione non

convenzionale, ma i singoli usi che ne vengono fatti. Ad esempio, pensare alla campagna che è stata

fatta tanti anni fa di “Super Mario Bross” su Youtube, dove una persona andava sul sito di Youtube,

vedeva il video di Super Mario. Dopodiché, mentre Super Mario saltava, si vedeva l'intera pagina

traballare e vari pezzi cadere. Quello è stato un esempio interessante, perché rompeva le aspettative

di quello che era un canale ormai tradizionale come poteva essere Youtube.

Recentemente c'è stata la campagna Tipp-Ex, una sorta di sbiancante per i denti. Anche loro hanno

veicolato un video su Youtube, dove ad un certo punto l'utente era messo di fronte ad una scelta. In

particolare c'era la scena dove il cacciatore veniva spaventato da un orso. Il cacciatore poteva

decidere di sparare all'orso, tu come utente potevi decidere di farlo. Ad un certo punto, compiuta la

scelta, come si faceva una volta nei video game, il cacciatore si girava verso l'utente in gioco dicendo

“ no, non mi piace questa tua scelta, allungava la mano fuori dal video, prendeva questi Tipp-Ex da

una pagina di pubblicità per cancellare la tua scelta. Poi ti proponeva di fare scelte diverse: parlare

con l'orso, ballare con l'orso, fare lotta libera. A quel punto si attivava un altro video.

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Questo esempio per dire che ciò che sostiene la campagna non convenzionale non è tanto il mezzo

del web, che ormai è molto stabilito, quanto invece la metodologia introdotta dall'utente in

termini di creazione di contenuti.

A questo proposito possiamo guardare la campagna che “Mini” ha ambientato a Berlino, sviluppando

user generated contents. Le persone, attraverso un photo booth, potevano registrare un video

messaggio ed il loro volto veniva proiettato su un palazzo dove era posizionato il logo di “Mini”. Il

photo booth dava espressione delle voci di ogni singola persona e l'accostamento al logo creava la

suggestione che fosse “Mini” a rendere possibile tutto questo. Questa metodologia è stato ripresa da

altri brand. Per esempio, è stato utilizzato a New York da Nike, durante i mondiali in Sud Africa.

Anche noi con le nostre agency, abbiamo cercato di spingere queste idee, come nel lavoro che

abbiamo fatto per RTL, “You on air”.

Qui le persone potevano scrivere sulla pagina Facebook del canale radio ed erano visibili anche sul

canale televisivo 750 Sky. In questo caso abbiamo realizzato una soluzione comunicativa alternativa a

quella degli sms a pagamento delle campagne televisive per la raccolta di fondi.

Come si scrive per il web? Tre consigli pratici.

La scrittura per il web non è così diversa da quella tradizionale. Bisogna però considerare lo specifico

del web. In particolare, quando scriviamo per un giornale o per una rivista, tipicamente nel caso dei

quotidiani, scriviamo anche per attrarre l'occhio che cade sulla prima pagina.

Nel caso del web arriviamo alla prima pagina attraverso la selezione che i motori di ricerca

operano, quindi non siamo in pieno controllo. Imparare a scrivere per il web significa imparare a

conoscere i motori di ricerca, cioè scrivere per essere trovati.

È necessario avere una competenza base su come si viene indicizzati, come i propri contenuti

vengono indicizzati sui motori di ricerca.

Secondariamente, conoscere come le persone selezionano con un clic il nostro titolo quando

compare. Quindi, da una parte è necessario saper usare gli analytics di Google per capire come

siamo trovati, dall'altra parte sapere individuare gli articoli da linkare per creare una visibilità di

reciprocità con altre persone.

Il terzo punto è abbandonare l'idea che quando si scrive per il web lo si fa pensando di scrivere in

qualche modo sulla carta. Non è esattamente la stessa cosa. Spesso arriviamo ad una pagina o ad un

articolo non sempre nel momento in cui vogliamo leggerlo, ma semplicemente perché ci è stato

indicato da un amico, magari attraverso Facebook. A questo punto, se non riusciamo a cogliere

l'attenzione della persona nei primi secondi, rischiamo di perderla.

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Che cosa dobbiamo fare per trattenere l'attenzione di un utente?

La formattazione del testo è uno stratagemma efficace: testo grande, contenuti brevi, utilizzo del

bold per dare un certo ritmo al testo. In assenza di questi elementi rischiamo di trovarci davanti ad

una pagina di testo che in quel momento ci spaventa.

Spesso quando troviamo una pagina interessante, ma impegnativa nel modo con la quale viene

presentata - testo in un unico grande blocco continuato, senza interruzioni di righe o parole in

grassetto evidenziate – la mettiamo da parte pensando di leggerla in un secondo momento. In realtà

non verrà mai letta.

Quindi, i contenuti vanno presentati con frasi brevi, che portino ad azioni immediate. Un esempio è

fare un Like su Facebook, piuttosto che il pulsante di Delitius che ci permette immediatamente di

segnare il bookmark alla prima pagina per potervi accedere dopo. Sempre legato all'idea di fruizione

immediata del testo è necessario condurre una vera e propria seduzione attraverso il testo per

attirare l'attenzione dell'utente.

Qui è importante la competenza del copywriting. Il titolo deve attirare la nostra attenzione

riuscendo a condurre al primo paragrafo. Il primo paragrafo poi deve portarci al secondo, e così

via. Il web non è come un giornale di carta, dove in quel momento abbiamo solo quello, e siamo

invogliati a leggerlo. Nella rete abbiamo tantissimi stimoli. Per riuscire a mantenere sempre desta

l'attenzione dell'utente su un particolare articolo o facendolo navigare in un sito, dobbiamo fare in

modo di condurlo attraverso continue selezioni che lo tengano legato a noi.

Dobbiamo lanciare un prodotto sconosciuto sul web. Da dove si parte?

Quando dobbiamo progettare una strategia per il lancio di un nuovo prodotto sul web dobbiamo

capire se il marchio è già posizionato, oppure si deve ancora imporre sul mercato.

Nel caso in cui il marchio è già posizionato è importante capire le linee guida sulla comunicazione già

esistenti. Spesso queste sono piuttosto rigide perché il marchio, tipicamente, ha una storia, ha delle

proprie tradizioni e soprattutto non può rischiare di andare ad offendere nessuno.

Per un marchio tradizionale, la vera sfida è riuscire a trovare un tono di voce umano. Sul web,

infatti, funzionano tutte quelle caratteristiche che in qualche modo possono essere associate alla

voce piccola di una persona, piuttosto che ad un mega brand.

Come riusciamo ad ottenere questa voce?

Tipicamente se la campagna è a breve termine possiamo creare dei contenuti generati dagli utenti.

Per fare questo come prima cosa è necessario estrarre dal marchio alcuni valori associati.

Successivamente creare delle campagne intorno a quei valori sulle quali coinvolgere gli utenti

stimolando un dialogo per avere un loro punto di vista. In alternativa, possiamo lavorare su quelle

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comunità già esistenti legate a quel sistema valoriale andando a sponsorizzarle. Questa strategia

funziona abbastanza bene per il breve termine.

Invece, se vogliamo ragionare sul lungo termine, dobbiamo pensare alla costruzione di una

community. Questo però non è detto che sia possibile per tutti i brand ed è notevolmente più

difficile. Comunque, un modo per realizzare una community è individuare una funzionalità realmente

utile per gli utenti.

Da questo punto di vista sono pochissimi i brand che sono riusciti ad affermare con successo questa

tipologia di costruzione social. Da un lato è necessaria una buona inventiva, dall'altro, una grande

dedizione. In altre parole, non si tratta di fare una campagna spot, cioè l'equivalente social di una

campagna pubblicitaria, ma di avere davvero un impegno costante e duraturo nel tempo verso quel

tipo di prodotto di comunicazione.

Ad esempio, Nike+ è riuscita a farlo con la campagna “Running” di Nike. Attraverso un'applicazione

iPhone, i runner possono registrare i propri percorsi e condividerli in rete. Questo di sicuro è un

progetto di grossa portata e lunga durata, che necessariamente deve essere accettato nel piano

strategico di lunga durata dall'azienda. In questo caso è necessario che l'azienda abbia nel suo Dna

l'aspetto social.

Vorrei segnalare come questa tecnica sia stata utilizzata anche da alcune banche in Italia. Senza fare

nomi, possiamo individuarle in quei piccoli istituti che legano al web la loro caratteristica innovativa.

In questo caso, lo scopo è aprire un dialogo con i clienti. Al contrario di molti istituti di credito

tradizionali, per coloro che utilizzano il web le funzionalità del banking vengono concertate con i

clienti all'interno di appositi forum dove si raccolgono funzionalità direttamente dai clienti che la

banca si occupa di implementare.

Questa strategia funziona quando la struttura della banca è talmente agile da consentire il dialogo tra

la comunicazione che gestisce l'assistenza al cliente con quella della produzione e del business.

Quando questo funziona, l'effetto è eccezionale.

Nei casi in cui ci occupiamo di un marchio più piccolo, siamo avvantaggiati nella comunicazione per

avere uno storico di riferimento estremamente ridotto. Questo ci permette di condurre una

comunicazione polarizzata. Mi spiego, abbiamo una maggiore libertà di creare delle emozioni forti,

da una parte positive, dall'altra magari anche negative, per attrarre quella nicchia di mercato che per

noi è interessante.

Per creare la comunicazione di nicchia, a volte è necessaria una comunicazione di rottura. Questo ci

permette di diventare i porta bandiera di quello che è un movimento di opinione.

Recentemente un brand che ha costruito la sua comunicazione sulla rottura è stato MBT, Masai

Barefoot Technology, quella scarpa che, con la strana forma a barchetta, crea una sorta di instabilità

che porta ad esercitare meglio tutti i muscoli del corpo per mantenere una migliore postura. La

comunicazione è andata nella direzione dell'anti scarpa. Attraverso questa strategia di rottura sono

riusciti a creare un'ottima presenza in rete del loro marchio.

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WikiSap come intelligenza collettiva: il social media realizzato da Mikamai. Puoi raccontare come

siete riusciti a costruire questa “intelligenza collettiva” basata sulla condivisione?

WikiSap è stato uno dei nostri primi progetti qui a Mikamai. Nel 2008 abbiamo costruito un social

network assieme a Sap con lo scopo di lanciare il marchio in rete e renderlo più approcciabile da

parte degli utenti.

Se oggi dovessimo ripetere questa operazione certamente non andremmo nella stessa direzione,

perché, sia Facebook che LinkedIn, sono molto più affermati. Stiamo parlando del 2008, più o meno,

un anno e mezzo prima del grosso boom di Facebook in Italia.

Come prima cosa abbiamo costruito una community online, anzi, siamo andati a costruire un

contenitore, perché le community non si costruiscono in maniera così semplice. Il primo gradino è

stato quello di costruire un contenitore che permetteva alle persone legate all'ambito del business

professionale dell'IT di parlare di innovazione.

Quindi, il canale era marchiato Sap, ma più in generale si parlava di innovazione. Le singole persone

potevano caricare i propri video, mettere i propri post, mettere i propri commenti, ma soprattutto

socializzare ed eventualmente creare business per persone dello stesso ambito.

La linea principale è stata quella di individuare una nicchia di utenti che discutevano di innovazione

ed invitare gli utenti interessati a partecipare in questo spazio aperto che era la nostra officina di

lavoro. Per noi questo social media è stato un piattaforma importante sulla quale abbiamo davvero

imparato a muoverci in rete. Successivamente per Sap Italia è diventato un case study europeo,

quello di andare a creare un luogo, che è anche un media, all'interno del quale varie persone,

compresi i contatti commerciali di Sap, potevano incontrarsi e discutere.

Di recente abbiamo replicato per Travel Trade Italia, cioè Travel Trade Group legato alla fiera di

Rimini, la creazione di un social network per esperti di turismo, dove compratori e venditori dei

prodotti italiani possono incontrarsi tra loro, cercandosi per aree specifiche e fare business.

La differenza di questo social media con Facebook è nella sua verticalità, cioè un media sociale di

nicchia ad invito privato. Come dicevo prima, non ha più senso parlare di social media orizzontali, là

dove Facebook ha inglobato tutto il mondo occidentale, anche se non ancora del tutto in Cina e in

Russia.

L'idea fondamentale quando si va a costruire un social network, è capire quale valore si sta

portando agli utenti. Se quel valore è già coperto da uno dei sistemi esistenti, probabilmente non ha

senso muoversi in quella direzione. Nel caso in cui invece riusciamo ad individuare un valore da

portare agli utenti allora può avere un senso costruire un social network molto più di nicchia.

La pervasività di Facebook ed il suo nuovo status di televisione collettiva, ha ricreato un po' di

stanchezza verso certi aspetti di Facebook, riportando l'attenzione verso la costruzione di social

network estremamente di nicchia. Per fare un confronto, ora accade quello che fino a 4-5 anni fa era

il ruolo delle mailing list.

149

Nello spostamento delle aziende verso l'uso dei social media ci sono delle pericolose insidie. Quali

sono gli errori più frequenti che commettono le aziende maneggiando questi strumenti?

Data la presenza soverchiante di Facebook nell'ambito dei social media, molte aziende cercano di

saltare su questo treno senza però fermarsi un attimo a pensare.

Se questo tipo di comunicazione non viene gestita bene, possono esserci vantaggi, come anche

pericoli. Ad esempio, è importante sapere perché si stanno facendo le cose. Siamo interessati ad

andare su Facebook perché abbiamo qualcosa da dire, oppure semplicemente perché è una moda?

Se si tratta solo del seguire una moda, probabilmente ci sono dei modi migliori per spendere il

proprio budget.

Non è detto che l'azienda debba necessariamente costruire una community. Anche perché le

community, più che costruirle, si cercano e si vanno ad aiutare. L'azienda deve capire se con l'uso

dei social media vuole svolgere un'attività per dare più spazio ai propri contenuti, oppure far

discutere le persone. Se questo non è chiaro, conduce inevitabilmente ad una serie di

incomprensioni che inibiscono l'efficacia della campagna di comunicazione

Se l'azienda non ha una policy che le permette nella sua scelta di comunicazione di ingaggiare le

persone su social media, non può lamentarsi della mancanza di numero di fan sulla pagina. Questo è

un problema da affrontare, perché certe attività e certi risultati possono essere ottenuti solamente a

fronte di certe attività. Quindi è importante capire cosa si vuole fare e non semplicemente seguire le

mode. Inoltre non cercare di uscire con il progetto perfetto aspettando mesi e mesi finché non è

completo. A volte, anche una leggera imperfezione, anche un work in progress, è molto efficace

nella comunicazione in rete, risultando agli occhi delle persone un progetto più genuino.

Per quanto riguarda invece la gestione delle potenziali situazioni di crisi è buona maniera non andare

a rispondere se siamo provocati. Meglio rimandare le persone verso il canale appropriato, oppure

dare una risposta positiva, mai usando aggressività nei confronti di una persona. Per le aziende che

sono al loro primo uso dei social media, di fronte ad un problema sollevato legittimamente da un

utente, accade spesso di dare una risposta secca non pensata, che certo non fa brillare la sua

reputazione nel tempo.

Un'altra cosa importante, quando si crea un canale in rete, è delimitare l'ambito di comunicazione di

quel canale. Per cui, se è solo un brand, è opportuno creare una pagina Facebook legata ad una certa

specifica attività della comunicazione e non sull'itero marchio. Qualora vogliamo proporre l'intero

brand, bisogna prevedere di poter rispondere anche riguardo le eventuali domande sui prodotti. Se

non sono disposto a farlo, meglio non aprire la pagina, oppure circoscrivere l'ambito ad uno specifico

tipo di comunicazione. In questo caso, circoscrivere la comunicazione significa, trattandosi di una

questione legata al customer care, che noi stiamo seguendo la campagna di lancio, piuttosto che

stiamo seguendo un concorso.

Non dobbiamo mai avere la pretesa di voler costruire a tutti i costi una community. Le persone non

passano il tempo su Facebook per seguire quello che fa il nostro brand, piuttosto seguono la propria

comunicazione tra amici. Sembra di maggiore interesse trovare il modo di collaborare con dei punti

150

d'attenzione, dove già quelle persone sono presenti. Solitamente i punti d'attenzione sono legati ai

sistemi valoriali del nostro brand. Risulta molto più efficace parlare con questi gruppi già esistenti per

capire come creare uno scambio di attenzione.

Oggi il brand non può permettersi più di essere troppo arrogante, parlando senza dare diritto di

replica. Quando parla, le persone rispondono. A quel punto bisogna essere in grado di sostenere una

conversazione. Per fare questo spesso servono anche delle linee guida. Anche i brand devono essere

disposti a sedersi, cercando di pensare il motivo per cui fanno determinate azioni e quali sono le

linee guida per comunicare in rete, senza aspettare di doversi trovare in una situazione di crisi, dove

in dieci intorno all'amministratore delegato si cerca di capire qual è il modo giusto per rispondere al

commento su Facebook.

Ci puoi indicare tre elementi all'interno dei social media che possono influenzare i processi

d'acquisto?

I social media vengono visti anche in relazione al ROI, il ritorno sugli investimenti. Questo è un

aspetto fondamentale per capire come i social media influenzano i processi d'acquisto. Possiamo dire

che in Italia, il mercato non è ancora del tutto maturo per una vera analisi del ROI, quindi,

quell'analisi che incrocia i risultati sui social media insieme al risultato delle vendite.

Cosa vuol dire portare a fare più acquisti?

Vuol dire, portare più awareness nelle persone, cioè più consapevolezza del marchio tra le persone,

portare più traffico sia online che offline e portare ad una loyalty nei confronti del prodotto.

In che modo?

L'esistenza del brand è legata alla sua condivisione tra le persone in rete. Tipicamente si tratta di una

strategia dei contenuti che vengono costruiti sia sotto forma di blog, che sotto forma di post su

Facebook, per creare interesse tra le persone, che portano a fare “Like” su Facebook per condividerle

tra gli amici, ma anche con attività di advertising su Facebook. Queste ultime, anche se non vengono

cliccate, cioè non portano ad una presenza diretta degli utenti sulla pagina, creano comunque

un'attenzione ed un'abitudine di quelle persone verso quel marchio.

Esistono poi le strategie di traffico, ad esempio come portare traffico alle pagine, traffico al sito,

traffico nell'eventuale e-commerce. Soprattutto quando il nostro brand tratta di e-commerce. C'è una

relazione quasi lineare tra numero di visite e numero di vendite che vengono effettuate. Di fatto,

ogni visita alla pagina è un piccolo tesoro su cui lavorare. In questo caso bisogna fare un vero e

proprio marketing mix, da una parte con i contenuti, come abbiamo detto prima, awareness, infine

anche di advertising.

151

Degli ottimi strumenti per fare advertising sono Google, oppure Facebook. Il vantaggio

dell'advertising su Facebook è quello di essere estremamente targettizzato verso una specifica fascia

d'età, una certa città, verso quelle persone che hanno letto un particolare libro, oppure a chi è

piaciuto quell'altro brand. In questo caso possiamo andare molto diretti nel cercare di creare traffico.

Questo per l'online.

Se il traffico lo vogliamo creare sul negozio, portando le persone fisiche negli store, allora è il caso

di creare delle campagne legate al negozio, pur veicolandole utilizzando il canale online come

Facebook o Twitter. In questo momento per l'Italia vale ancora più Facebook che Twitter.

Il fatto che ci sia un particolare evento, che venga un particolare testimonial, piuttosto, che offrire

dei coupon attraverso la pagina di Facebook. La strategia dei coupon, che possono essere convertiti

in buoni acquisto in negozio, ha funzionato con successo sia sul mercato americano che in quello

inglese, riempendo i negozi con persone che acquistavano prodotti.

L'aspetto più delicato è quello di riuscire a costruire questa sensazione di fiducia sulla quale bisogna

lavorare a lungo termine. Questo aspetto è principalmente legato al servizio clienti. Se una persona

parla del nostro brand in rete, bisogna essere pronti ad ascoltare ed intervenire in modo positivo,

quando è necessario.

A noi è capitato ad esempio di aver avuto problemi con certi prodotti acquistati da alcuni brand il cui

tradizionale servizio clienti non funzionava. Frustrati, abbiamo scritto un commento in Twitter,

piuttosto che sul nostro blog. Nel caso di quei brand che fanno monitoraggio della reputazione

online, quello che abbiamo scritto sul nostro blog è stato visto nel giro di pochi giorni, e quello che

abbiamo invece scritto su Twitter, addirittura nel giro di trenta minuti. Il servizio clienti ci ha

contattato chiedendo cosa non andava e se potevano essere in qualche modo di aiuto. Nel caso di

Twitter ci hanno dato dei consigli.

Come utente, nel momento in cui la tua richiesta viene ascoltata, l'approccio nei confronti del

brand cambia completamente. Da consumatore arrabbiato, diventi un fan di quel brand, perché ti

accorgi che quello che hai detto, la tua lamentela, non solo è stata presa in considerazione, ma

hanno fatto realmente qualcosa per poterti aiutare.

Il web da questo punto di vista sembra essere ancora un canale molto efficace per risolvere alcune

tipologie di problemi legate al servizio clienti, mentre invece alcuni canali convenzionali che passano

attraverso assurdi contact center sembrano non funzionare affatto.

Parliamo di strategie editoriali. Oggi la comunicazione è integrata, si passa dal testo scritto a

webcast, poadcast, video, e-learning.

Parlando di strategie editoriali, un caso esemplare che posso menzionare è il lavoro svolto per

Fujitsu, con la costruzione di una strategia di presenza online, attraverso un canale principalmente

editoriale.

152

In questo caso si è trattato di individuare un argomento che potesse essere interessante non

solamente nell'ambito Business to Business. Sebbene Fujitsu venda principalmente sistemi B2B per

Data Center di virtualizzazione, siamo andati a cercare un angolo che potesse essere d'interesse più

ampio.

Il profilo di chi prende decisioni B2B riguarda professionisti che più in generale attingono

informazioni dalla rete anche per altre occasioni slegate da quelle del loro diretto business. Ci siamo

domandati: “A che tipo di realtà porta la virtualizzazione ed in particolare il Cloud Computing”?

Uno dei principali vantaggi è il decentramento e l'ottimizzazione dei Data Center per non creare

sprechi.

Quindi, l'angolo su cui abbiamo focalizzato è stato quello del Green Innovation Technologies, cioè i

consumi e le tecnologie che fossero a basso impatto ambientale, come quello del Cluod Computing.

Su questo abbiamo costruito il piano editoriale, andando inoltre a mixare quelli che erano i contenuti

di Fujitsu stessa.

Faccio un esempio. Presentando alcune offerte commerciali come l'e-learning abbiamo affiancato

alcuni video di repertorio di Fujitsu, con nuovi materiali di nostra produzione. Nel caso del webcast in

streaming, invece, la nostra proposta è stata quella di portare gli utenti ad interagire per mezzo di

video chat alle tavole rotonde. I contenuti degli esperti erano aperti alle interviste e alle domande

degli stessi utenti che partecipavano.

Il disegno complessivo del piano editoriale è stato costruito da una parte, con contenuti ricercati da

noi, dall'altra sul materiale di comunicazione di Fujitsu, dall'altro ancora con interviste a persone che

avevano una qualche rilevanza all'interno dell'ambito del Green IT. Le interviste ci davano la

possibilità di viralizzare i contenuti lavorando sulla cerchia delle persone stesse, che erano

comunque interessate ad ampliarlo. Creando dall'altra parte contenuti di interesse più generale

anche per chi andasse a cercarli su Google.

Tutta questa attività è stata parte di un marketing mix in cui c'erano anche delle attività di

advertising su Google, piuttosto che newsletter.

Come avete fatto community per la Hasbro, la seconda società al mondo che produce giochi e

giocattoli, nel Social Card Gaming di Lucca? Avete scalzato la Mattel?

Uno dei lavori abbastanza recenti di cui siamo orgogliosi è quello che abbiamo fatto per il Festival

Internazionale del Fumetto e del Gioco, prima a Lucca e poi a Firenze. In questa occasione il nostro

committente è stata Hasbro. Questo forse deriva anche un po’ dalle nostre origini nerd, di giocatori

di ruolo prima e giocatori di Magic dopo, ma soprattutto dai contatti di uno dei miei partner e

cofondatore di Mikamai, grande giocatore di Magic a livello nazionale.

Quello che abbiamo costruito è stato un sistema di interazione tra i giocatori ed il nuovo prodotto

della Hasbro. Con un'istallazione interattiva i giocatori, non solo interagivano con il mondo di Magic,

ma contribuivano direttamente nella decisione di come quel mondo si sarebbe evoluto.

153

L'intera narrativa è stata costruita attorno alle due fazioni in lotta, Mirra e Phyrexia ed i giocatori

mediante il loro voto potevano stabilire chi avrebbe vinto tra le due fazioni. Questo avveniva

attraverso dei touch screen, posizionati all'interno di una sorta di torre alta 4 metri con schermi

interattivi.

I giocatori potevano vedere alcuni contenuti esclusivi e, una volta che avevano votato per una

fazione, potevano vedere su tutti gli schermi collegati in quel momento, quale fazione stava

vincendo. Inoltre, tutto il sistema è stato legato alle pagine Facebook di ogni singola fazione. Per cui,

in qualunque momento, anche chi si collegava da casa, poteva vedere chi tra le due fazioni stava

vincendo. Alla fine la fazione vincitrice di Phyrexia, ha cambiato la narrativa del mondo di gioco di

Magic.

Mobile. Cosa succede se gli oggetti e i luoghi cominciano a parlare? Puoi introdurci nell'ecosistema

fisico-digitale di Foursquare? Quando e dove funziona, quali sono i vantaggi che apporta alla vita

di tutti i giorni?

Il mobile di sicuro si sta imponendo con prepotenza anche in Italia. Mi è capitato di andare

abbastanza di recente in Cina. Nella metropolitana a Shanghai potevo vedere ogni singola persona

collegata in rete su telefonia mobile che stava facendo qualcosa. Alcuni giocavano, altri facevano

browsing in rete, era assolutamente pervasivo.

Qui in Italia non ce ne siamo ancora accorti perché probabilmente ha maggiore diffusione la rete

tramite computer fisso o laptop, però la direzione è decisamente quella.

La tecnologia mobile è interessante perché va a riempire tutti quegli spazi interstiziali, all'interno

dei quali non ci sono spazi strutturati, cioè dove non vengono svolte delle vere e proprie attività.

Ad esempio, quando aspettiamo l'autobus alla fermata, quando siamo in metropolitana, oppure in

treno. Magari anche mentre guardiamo la televisione, sdraiati sul divano, con il nostro tablet a

fianco. Le nostre abitudini di fruizione di contenuti ed il modo in cui andiamo in rete stanno

decisamente cambiando.

Se a questo aggiungiamo la geo localizzazione, che probabilmente prenderà ancora qualche tempo

per andare veramente ad imporsi, possiamo aggiungere tutta una serie di interessanti interazioni tra

il mondo digitale e quello fisico. Pensiamo ad esempio di poter compiere particolari azioni

all'interno dello spazio fisico di un negozio e da queste trarre un diretto vantaggio.

All'estero si parla molto di Foursquare, in Italia ancora poco. Foursquare è un sistema che permette

tramite cellulari di poter segnalare la propria presenza all'interno di un particolare posto, un outlet

commerciale piuttosto che una piazza o un qualunque luogo e dare un proprio parere su questo

posto.

Questo ad esempio è stato utilizzato negli Stati Uniti da Starbucks in campagne pubblicitarie dove,

chi faceva molti check in – così vengono chiamate le segnalazioni di presenza all'interno di un luogo –

riceveva sullo schermo del suo mobile un Qr Code, quella sorta di matrice di codice a barre. La

154

persona con questo Qr Code poteva andare dal personale di Starbucks ed utilizzarlo per farsi dare un

cappuccino gratis. Quindi è stato molto utilizzato per creare campagne legate al luogo.

Non solo, ma ad ognuno di questi check in possono legarsi delle attività su Facebook, per cui i nostri

amici possono seguirci vedere le nostre attività di consumo.

Questo rimane il primo passo di quello che è un fenomeno a più lunga percorrenza, il così detto Web

3.0, per analogia con il web 2.0 che connette le persone, il web 3.0 connette persone-oggetti e

oggetti-oggetti all'interno di un'unica grande rete. Su questo ci stanno lavorando in molti, mancano

ancora delle vere e proprie infrastrutture per farlo, ma ci sono tantissimi progetti interessanti.

A questo proposito uno dei progetti più eccitanti è proprio un progetto italiano: Arduino. Il suo

creatore Massimo Banzi, permette per 30 euro, di acquistare queste piccole schede programmabili

che permettono di creare degli ambienti altamente interattivi.

A Londra, proprio con Arduino, è stato realizzato un bel progetto che riguardava un fornaio. Quando

la mattina usciva il pane fresco, piuttosto che le brioche, i fornai, premevano un pulsantone rosso

collegato ad un Arduino che era posizionato sulla loro coreografica grossa scatola, l'Arduino mandava

un tweet, un segnale sul canale twitter a tutte le persone che lo stavano seguendo per annunciare le

brioche fresche. A quel punto le persone dagli uffici calavano verso la panetteria per comprare il

pane caldo dal forno.

Questo è un aspetto molto umano dell'interazione tra uomo, macchina, marketing e persona.

Tornando agli spazi interstiziali, la realizzazione che avete fatto con Job Slot, potrebbe considerarsi

un esperimento ante litteram di Foursquare pur non utilizzando la tecnologia mobile. In pratica con

Job Slot, attraverso un sito ed un applicazione per Facebook, avete fatto incontrare la domanda e

l'offerta di chi ha tempo libero e di chi lo mette a disposizione. Ce ne vuoi parlare?

In questa occasione abbiamo realizzato un progetto dove gli spazi interstiziali non sono più nel nostro

tempo libero, ma diventano un'occasione di mercato.

Da una parte abbiamo sfruttato la comunicazione aperta di Facebook che consente di creare una rete

di reputazione tra i nostri amici ai quali siamo linkati, dall'altra abbiamo legato il mondo degli

annunci per trovare lavoro.

L'idea è stata di un nostro cliente per il quale abbiamo lavorato costruendo e promuovendo la

piattaforma Job Slot. Questo sistema, non più costruito sul web tradizionale, ma proprio all'interno di

Facebook come applicazione, permetteva di registrarsi, dichiarare le proprie capacità e formulare

delle offerte di lavoro.

Tutte queste offerte, costruite attorno ad una nostra ora di tempo, potevano essere comparate l'una

con l'altra ed essere promosse utilizzando le nostre reti di reputazione. A quel punto, le persone che

avevano richieste di lavoro potevano visualizzare le posizioni aperte che offrivano lavoro, chiedere

155

eventuali referenze, ma soprattutto avevano un nome ed un volto di riferimento legato ad una rete

di reputazione condivisa.

Questo progetto ha riempito una nicchia di mercato che ancora non era stata propriamente

sfruttata, riuscendo a fare business sulla base delle nostre relazioni come piattaforma. Ci è piaciuto

talmente tanto che abbiamo deciso come azienda di parteciparvi.

Inoltre, l'apporto della Regione Lombardia è stato certamente lungimirante, se pensiamo a quello

che succede adesso in Inghilterra con il concetto di Big Society, ovvero l'idea una grande società di

persone interconnessa non solo in interni fisici, non solo attraverso le istituzioni, ma anche

direttamente tramite delle applicazioni, tramite la possibilità di aiutarsi e di commerciare l'uno con

l'altro in maniera più diretta.

Cosa significa realizzare applicazioni iPhone per le aziende?

Quando parliamo di applicazioni per iPhone dobbiamo capire se l'azienda per cui le stiamo facendo è

interessata ad entrarci per un fattore di moda, oppure per un piano a lungo termine. C'è da dire che

il mercato linguistico italiano è molto più piccolo di quello di lingua anglosassone ed i ritorni sugli

investimenti per un applicazione che viene costruita ad hoc per l'iPhone sono molto più limitati di

quelli che vengono fatti all'estero.

Il mercato italiano vincola maggiormente la costruzione di un'applicazione per l'iPhone ad un

format ed un taglio editoriale ben preciso, cioè con qualcosa che ci tiene maggiormente in contatto

con il brand, con un personaggio famoso con alcuni tipi di notizie che ci interessano, ma che

fondamentalmente sono una ripetizione di una stessa applicazione calata su vari contenuti editoriali.

Questo in Italia può essere fatto ed ha un senso.

Altro è, invece, andare a costruire applicazioni molto complesse ad hoc pensando di creare profitti.

Questo è molto più difficile, a meno che non si pensi di costruire un'applicazione come parte di una

strategia di lungo termine. Avevo già nominato Nike+, ovvero il social network per i “Runner” di Nike.

In questo caso hanno creato un'applicazione, certo con i suoi difetti, ma con un'idea ben precisa di

comunicazione. Non era l'unica applicazione per i “Runner” che esisteva, però in questo caso hanno

preso un'idea funzionale, precisa, utile e, appoggiandola al loro brand, sono riusciti ad alzarla, a

spingerla e a renderla molto più comunicabile.

Ho portato questo esempio per dire che, quando un brand entra nel mercato con un'applicazione

per l'iPhone dovrebbe sempre chiedersi perché lo sta facendo. Ad esempio, con le nostre aziende

lavoriamo su iPhone, non tanto per spingere applicazioni individuali con la finalità di monetizzare i

profitti, quanto ragionare sulle piattaforme editoriali del futuro che ormai vanno in quella direzione.

Non vorrei essere impreciso ma ritengo che su Amazon il livello di proventi legato ai libri venduti in

forma elettronica abbia ormai raggiunto quelli legati all'edizione cartacea. Il segnale è indiscutibile.

156

Facendo una predizione fondata sulla tua conoscenza del mercato anglosassone e statunitense

quali saranno le nuove tendenze della comunicazione nei prossimi 2-3 anni?

È sempre difficile fare predizioni. Guardare il mercato estero, tipicamente il mercato anglosassone,

ma anche a mercati un po' più spostati come quello cinese piuttosto che quello indiano, che hanno

caratteristiche molto diverse, possono darci delle intuizioni di quello che può essere un web diverso.

Di sicuro nei prossimi anni sia il mobile che la geo localizzazione si imporranno con violenza,

soprattutto per i vantaggi immediati di cui beneficeremo nella quotidianità. Saremo in grado di

costruire dei promemoria che ci ricordano di svolgere alcune azioni in certi luoghi, come una sorta di

bookmarking fisico dei posti.

Principalmente sarà qualcosa di utile per noi, su cui però le aziende andranno pian piano a costruire.

Poi sarà utile anche nei termini dell'informazione che vogliamo cogliere dal nostro ambiente. Ad

esempio, andando in una città nuova spesso ci troviamo in una situazione in cui non sappiamo che

cosa puoi fare, quali sono le opportunità che ci sono intorno a noi. Può accadere che a venti metri ci

sia un gruppo interessante che stia suonando, oppure che qualcuno stia presentando un libro.

Questo ora noi non possiamo saperlo se non vedendo per sbaglio un volantino su un muro che

probabilmente è anche di settimane prima. Il fatto di poter essere registrati a canali d'interesse, non

solo per argomenti, ma anche per città, per luoghi fisici, ed avere un aggiornamento in tempo reale,

ci può permettere una maggiore serendipità nel trovare cose che ci piacciono.

Pensiamo all'essere in un locale e poter saper che ci sono delle persone amici di nostri amici, o che

hanno degli interessi con noi in comune, grazie ad un meccanismo che porta in automatico entrambi

a metterci in comunicazione senza obbligarci a fare quello che è il primo passo che può essere

imbarazzante.

Questi sono tutti quei meccanismi che in inglese definiscono la social currency, ovvero un valore non

tanto monetario, quanto in termini di relazioni che possiamo intrecciare. Chi riuscirà a costruire bene

questi meccanismi legati alla geo localizzazione sarà un vincente sul mercato.

Infine, un altro tema interessantissimo è quello che è stato portato all'attenzione da Foursquare, il

tema della gamification, ovvero di come trasformare un'attività in un gioco e renderla così anche più

piacevole e più interessante.

Foursquare l'ha fatto dando dei punti agli utenti ogni qual volta compiono certi tipi d'azione. Questo

è applicabile oltre che in termini commerciali se si vuole anche in termini civici o in termini di creare

una maggiore socializzazione ed aiuto tra le persone.

157

APPENDICE

COMUNICATI STAMPA

158

159

Memorelle, le caramelle per non dimenticare mai nulla

È tempo di pillole magiche e, dopo quelle “blu” che regalano altre indescrivibili gioie,

non potevano mancare quelle “verdi” per potenziare la memoria. Promettono meraviglie

le nuove “Memorelle”, le caramelle per migliorare la memoria realizzate con lo stesso

principio attivo che si estrae dal succulento fusto del baobab, il cibo preferito dagli

elefanti.

In attesa che le portentose caramelle che regalano una memoria d’elefante facciano il

loro debutto sul mercato e per accontentare i soliti scettici che non credono negli

incantesimi, Learning System, società leader da oltre 10 anni nell’insegnamento di

tecniche motivazionali, di apprendimento e lettura rapida, propone un corso intensivo di

memoria.

Il corso, questo sì, garantisce l’aumento del 70% delle potenzialità della memoria dei

partecipanti e insegna a superare, quindi, quei condizionamenti che ne limitano l’agilità

e la prontezza, quali stress, ansia, ma anche l’eccessiva emotività di fronte alle difficoltà

di concentrazione. Una full immersion di tre giorni, sorprendentemente coinvolgente,

che insegnerà a comprendere che l’unico vero limite per migliorare le proprie capacità

mentali è quello dettato dalla nostra volontà. Caramelle magiche permettendo!

Seminario intensivo d’apprendimento e di tecniche di lettura rapida a cura di:

LEARNING SYSTEM: 16,17,18 Maggio

Hotel Universo, Via Principe Amedeo, 5 – Roma

Per i giornalisti accreditati presso le testate la partecipazione al corso è gratuita

Mario Rossi

Ufficio Stampa Eidos Communication

Via A. Salandra, 1/A

00187 – Roma Tel. 06.42014100

Fax 06.42004873 Cell. 347.347 347

Email [email protected]

160

Roma, 10 dicembre 2008

Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel Mondo

Da 37 Paesi a Roma per valorizzare identità e appartenenza e per fare

rete

Roma accoglie, dal 10 al 12 dicembre, le delegazioni dei giovani italiani provenienti da

37 Paesi di tutto il Mondo per la Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel Mondo. Si

tratta di un incontro senza precedenti per dibattere le tematiche connesse alla realtà e al

futuro delle giovani generazioni di Italiani che risiedono all’estero.

La Conferenza rappresenta un’opportunità per il nostro Paese, che intende valorizzare

un capitale umano di notevole valore sociale, culturale, economico e politico e mettere in

relazione i giovani italiani di tutto il mondo con il patrimonio della loro identità, riletta

ed interpretata modernamente.

L’evento, voluto dal ministro degli Affari Esteri Frattini, in collaborazione con il

sottosegretario con delega agli Italiani nel Mondo, senatore Mantica, coinvolgerà più di

quattrocento giovani tra i 18 e i 35 anni, a cui si uniranno circa duecento coetanei

residenti in Italia, per assicurare una presenza di studenti, lavoratori, professionisti,

imprenditori, nonché esponenti della cultura e dello sport, che rappresentano le realtà

delle nuove generazioni italiane.

L’esigenza di convocare una conferenza dei giovani italiani e di origine italiana nel

mondo è stata manifestata negli ultimi anni, con grande determinazione, dalle nostre

collettività all’estero e dai loro organismi rappresentativi, al fine di individuare

strumenti utili per definire una linea politica per la valorizzazione delle nuove

generazioni e favorire il consolidarsi del loro rapporto con il nostro Paese. In particolare

negli ultimi due anni, il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) ha promosso in

161

ogni Paese ove fossero significativamente presenti nostre collettività, una serie di

incontri dei giovani da cui sono scaturiti i documenti preparatori della Conferenza.

La Conferenza svilupperà cinque temi: “identità italiana e interculturalità”, “lingua e

cultura”, “informazione e comunicazione”, “mondo del lavoro e lavoro nel mondo” e

“rappresentanza e partecipazione”. Su queste tematiche saranno articolati i lavori della

Conferenza, affidati ad altrettanti moderatori individuati tra personalità del mondo

accademico e del giornalismo quali: Nicola Piepoli, Paolo Peluffo, Pierluigi Vercesi, Mario

Morcellini, Francesco Delzìo, Renzo Prencipe e Graziano Tassello. I documenti prodotti

da cinque gruppi di lavoro tematici saranno presentati in Plenaria per la discussione e

l’approvazione, e confluiranno nella dichiarazione Finale della Conferenza, che sarà

adottata al termine dei Lavori, il 12 dicembre.

La Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel Mondo sarà aperta il 10 dicembre con una

seduta solenne alla Camera dei Deputati, durante la quale sono previsti gli interventi del

Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, del Presidente del Senato, Renato

Schifani e del Presidente della Camera, Gianfranco Fini e proseguirà alla FAO, dove si

ascolteranno i saluti del Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, del Segretario Generale

CGIE, Elio Carozza e del Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, Vasco

Errani, nonché la Relazione del Ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini.

Ufficio Stampa epr comunicazione:

Via Arenula 29 – Roma tel. 06 555555

Maria Rossi cell. 347 347 347

Mario Rossi cell. 340 340 340

162

18 dicembre 2008

Ministero del Lavoro della Salute e dellePolitiche

Sociali

UFFICIO STAMPA

PROGETTO CODICE ARGENTO

Al via in quattro Regioni la sperimentazione di un nuovo modello

assistenziale per l’anziano fragile

Risposte flessibili, personalizzate, integrate e continuative che tengano

conto delle reali necessità e bisogni assistenziali di ciascun paziente

Percorsi assistenziali e terapeutici controllati e validati sia nella fase di

accesso all’ospedale sia in quella di dimissione

Formazione del personale, predizione diagnostica e individuazione di un

case manager (angelo custode)

Obiettivi del Progetto: riduzione della durata della degenza, del tasso di

riospedalizzazione, della disabilità e mortalità intraospedaliera e decremento dei

costi per il Serizio Sanitario Nazionale

Un “Codice Argento” per gli anziani fragili all’interno del Pronto Soccorso e una rete di

servizi di collegamento tra ospedali e territorio coordinata da figure professionali

specializzate (“angeli custodi o case manager”) nelle valutazione delle modalità di

intervento più adeguate a rispondere al bisogno di salute di ciascun individuo. Sono

questi i punti-chiave del progetto “Codice Argento”, presto in sperimentazione in

quattro Regioni italiane, Veneto, Toscana, Lazio e Sicilia, e finalizzato a ridisegnare

l’assistenza sanitaria e socio-sanitaria dedicata agli anziani fragili ad alto rischio di no

autosufficienza.

163

Sono circa 12 milioni, quasi il 20% della popolazione, gli italiani sopra i 65 anni; secondo

i dati ISTAT (report 6/2008) il 52% degli uomini e il 66% delle donne in questa fascia

d’età dichiara almeno due malattie croniche in atto , mentre rispettivamente il 44% e il

51% di loro ne denuncia almeno tre. Non solo: tra gli over, la quota di popolazione con

disabilità è del 18,7%, e raggiunge il 44,5% (35,8 per gli uomini e 48.9 per le donne)

sopra gli 80 anni, mentre almeno il 5,4% degli uomini ed il 7,4% delle donne di età

superiore ai sessantacinque anni si trova in stato di povertà. Le proiezioni demografiche

suggeriscono un sostanziale raddoppio di questi indicatori entro il 2050.

Obiettivo della sperimentazione, al via in Veneto, Toscana, Lazio e Sicilia, è garantire

agli anziani fragili risposte flessibili, personalizzate, integrate e continuative

tengano conto delle reali necessità e bisogni assistenziali di ciascun paziente, in modo da

assicurare un percorso assistenziale e terapeutico controllato e validato, sia nella

fase di accesso all’ospedale sia nella fase di dimissione dallo stesso.

La sperimentazione è articolata in tre sottoprogetti fra loro strettamente coesi ed

integrati. Il primo è caratterizzato dalla formazione del personale coinvolto sia

attraverso l’organizzazione di un corso di formazione a distanza, sia attraverso la

realizzazione di audit interni. Il secondo sottoprogetto prevede lo sviluppo e la

validazione di uno scoring di predizione diagnostica per gli anziani fragili da attuare

all’atto del triage del pronto soccorso e da cui discendano interventi personalizzati

mirati alla reale situazione del paziente. Il terzo, strettamente correlato al precedente,

prevede l’individuazione di un case manager (angelo custode) che sappia correttamente

e concretamente individuare il miglior percorso assistenziale per il paziente in fase sub

o post acuta con il congruo e corretto coinvolgimento delle strutture di riabilitazione

intensiva o estensiva, di lungodegenza, di assistenza domiciliare, di RSA, derivati dalle

reali esigenze del soggetto.

I risultati attesi, supportati da sperimentazioni similari ma non sovrapponibili in altri

paesi, riguardano la riduzione della durata delle degenza, del tasso di riospedalizzazione,

della disabilità e mortalità intraospedaliera e ad un anno della dimissione, la riduzione

della percentuale di istituzionalizzazione a fronte di un decremento dei costi per il

Sistema Sanitario Nazionale. Il progetto, della durata di tre anni, inizierà nei primi mesi

del 2009, sarà coordinato da un comitato scientifico insediato presso questo Ministero e

da un centro coordinatore, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che collaboreranno

strettamente con le unità operative delle regioni individuate.

Ufficio Stampa – Settore Salute del Ministero del Lavoro, della Salute e delle

Politiche Sociali Responsabile: dott. Mario Rossi

Tel. 06.55555-55 mail [email protected]

Lungotevere Ripa, 1 – 00153 Roma

164

FONDAZIONE DE SANCTIS

L’eredità di Francesco De Sanctis

Un viaggio tra i capolavori della letteratura italiana letture

Roma, 16 marzo – 11 maggio 2009

Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana

Toni Servillo Anna Bonaiuto Leopardi Giorgio Ficara Anna Galiena Petrarca

Antonio Debenedetti Claudia Gerini Dante Jacqueline Risset Nei Marcorè Alfieri

Ernesto Ferrero Luigi Lo Cascio Tasso Nadia Fusini Alessandro Haber Boccaccio

Franco Cordelli Laura Morante Machiavelli Aldo Schiavone Fabrizio Bentivoglio

Leopardi Alfonso Berardinelli Francesco De Sanctis

Premio De Sanctis per la Saggistica

Roma, Ottobre 2009

Giorgio Ficara (Presidente)

Alfonso Berardinelli, Antonio Debenedetti, Alain Elkann, Nadia Fusini, Louis Godart,

Raffaele La Capria, Giacomo Marramao, Jacqueline Risset, Vera Slepoj, Claudio Strinati

La Fondazione De Sanctis presenta la sua attività per il 2009: un ciclo di letture dei

classici amati da De Sanctis dal titolo “L’eredità di Francesco de Sanctis. Un viaggio

tra i capolavori della letteratura italiana” e la nascita del Premio Letterario per la

Saggistica.

Fabrizio Bentivoglio, Toni Servillo e Anna Bonaiuto leggono Leopardi, Alessandro

Haber legge il Decameron, Laura Morante il Principe di Machiavelli, Claudia Gerini il

XXX Canto del Purgatorio, Luigi Lo Cascio la Gerusalemme Liberata, Anna Galiena I

Tronfi di Petrarca e Neri Marcorè la Vita di Alfieri.

Così la Fondazione De Sanctis, nata nel 2008, intende dare nuova forza vitale ai classici

più amati dal grande storico della letteratura a cui dobbiamo la formazione di una

coscienza culturale dell’Italia unita. Tutto nasce dall’idea del giovane erede del critico

Francesco De Sanctis jr che, dopo aver ereditato dal nonno l’archivio personale e la

biblioteca del suo antenato – manoscritti, lettere, testi autografi e documenti inediti – ha

deciso di puntare su alcuni grandi eventi che potessero creare un proficuo contatto tra la

grande letteratura, le istituzioni e le nuove generazioni.

165

Il ciclo, L’eredità di Francesco De Sanctis. Un viaggio tra i capolavori della

letteratura italiana si inaugura il 16 marzo, alle ore 17, nel Salone delle Feste del

Quirinale, alla presenza del Presidente delle Repubblica Giorgio Napolitano: Anna

Bonaiuto e Toni Servillo leggono La sera del dì di festa, Il pensiero dominante, Il

tramonto della luna e La ginestra o il fiore del deserto di Leopardi. Introduce Giorgio

Ficara, che è anche il Direttore scientifico della Fondazione.

Il ciclo proseguirà per otto settimane ospitato nei più importanti luoghi istituzionali di

Roma, dal Senato della Repubblica alla Camera dei Deputati sino al Ministero per i Beni e

le Attività Culturali.

Un’occasione straordinaria anche per visitare (strettamente su prenotazione) luoghi

solitamente chiusi al pubblico: dalla Sala Zuccari di Palazzo Madama alla Biblioteca

Chigiana di Palazzo Chigi, alla Sala della Lupa di Montecitorio.

Le letture saranno anticipate ogni volta da un’introduzione fatta da una rosa di nomi

eccellenti della cultura italiana: Giorgio Ficara, Antonio Debenedetti, Jacquiline

RIsset, Ernesto Ferrero, Nadia Fusini, Franco Cordelli, Aldo Schiavone e Alfonso

Berardinelli. I testi saranno sottoposti a una reinterpretazione molto originale, si veda

il Principe di Machiavelli messo sotto la lente di ingrandimento di un giurista-politologo

come Aldo Schiavone, o la Vita scritta da esso di Vittorio Alfieri riletta dallo scrittore

Ernesto Ferrero, già autore della celeberrima biografia di Napoleone N., o infine la

lettura inedita delle eroine della letteratura femminile tra Otto e Novecento. Gli autori e i

testi selezionati sono quelli ai quali è dedicato uno spazio di maggiori rilievo all’interno

della Storia delle Letteratura Italiana di Francesco de Sanctis: Dante, Petrarca,

Boccaccio, Machiavelli, Tasso, Alfieri e Giacomo Leopardi.

Il Premio De Sanctis per la Saggistica si terrà in ottobre. La sua giuria è composta dai

più brillanti critici e studiosi italiani – Alfonso Berardinelli, Antonio Debenedetti,

Alain Elkann, Giorgio Ficara (presidente), Nadia Fusini, Loius Godart, Raffaele La

Capria, Giacomo Marramao, Jacqueline Risset, Vera Slopoj, Claudio Strinati. Il

Premio si rivolge alla saggistica in senso lato – letteraria, storia, artistica, filosofica,

scientifica, economica e politica – e individua, ogni anno, un testo che innovi

profondamente nella tecnica e nei contenuti stessi del genere. Accanto a questo

riconoscimento principale e istituzionale, la giuria ha scelto di attribuire altri tre premi:

per un saggio di autore straniero su argomento italiano, per un saggio breve

pubblicato su rivista o di curatela di opera letteraria e per un saggio di divulgazione

scientifica in collaborazione con Eni.

La densità dei premi dedicato alla narrativa in Italia è altissima: il Premio per la

Saggistica intende, dunque, colmare una lacuna, e con ciò reintrodurre, in maniera

ambiziosa, sulla scena culturale del nostro paese la letteratura e la critica letteraria,

secondo l’insegnamento di De Sanctis, modello intellettuale e morale di riferimento.

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L’eredità di Francesco De Sanctis. Un Viaggio tra i capolavori della letteratura

italiana nasce in collaborazione con LOTTOMATICA e con BNL – Gruppo BNP PARIBAS

e si avvale del Patrocinio del Senato della Repubblica, Camera dei Deputati,

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per i Beni e le Attività Culturali,

Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Ministero degli Affari

Esteri, Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma.

Il Premio De Sanctis per la saggistica è invece realizzato grazie al contributo di Eni e

del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Per partecipare agli incontri è necessario la prenotazione telefonica

Fondazione De Sanctis

Palazzo Cenci

Via Beatrice Cenci 7/a – 00186 Roma

Prenotazioni tel 06 555555/55

www.fondazionedesanctis.it

Ufficio Stampa:

Mario e Maria Rossi

Tel 055 055 055

[email protected]

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BNL sponsor di “L’eredità di Francesco De Sanctis. Un viaggio tra i

capolavori della letteratura italiana”

Roma, 12 marzo 2009. BNL- Gruppo BNP Paribas è sponsor della manifestazione

“L’eredità di Francesco De Sanctis. Un viaggio tra i capolavori della letteratura italiana”,

un ciclo di letture dei classici più amati dal grande storico che si svolgerà dal 16 marzo

all’11 maggio 2009 presso i più importanti luoghi istituzionali di Roma.

La scelta di BNL di essere presente a questo evento, nato con l’obiettivo di creare un

proficuo contatto tra la grande letteratura, le istituzioni e le nuove generazioni, si

inserisce all’interno di una più ampia volontà della Banca di svolgere un ruolo da

protagonista nella diffusione dei valori sociali e culturali attraverso la promozione di

iniziative di grande rilievo.

BNL da circa un secolo è protagonista dello sviluppo economico, sociale e culturale del

nostro Paese grazie ad attività di sostenibilità economica e sociale intraprese nel corso

degli anni, con l’offerta di soluzioni competitive e personalizzate alle esigenze bancarie e

finanziarie di famiglie, imprese e pubblica amministrazione. La Banca nel corso degli

anni ha anche fornito sostegno attivo al mondo del non profit, dello sport, dell’arte, del

cinema e della cultura nelle sue più diverse forme d’espressione; un’attenzione che è

passata dal semplice mecenatismo a un coinvolgimento diretto della Banca

nell’organizzazione di importanti iniziative. Nel campo dell’arte, in particolare, BNL può

vantare attualmente un patrimonio di circa 5 mila opere tra cui spiccano capolavori

assoluti dell’arte classica e moderna.

BNL, fondata nel 1913, è uno dei principali gruppi bancari italiani e tra i più noti brand

in Italia. Oggi fa parte del Gruppo BNP Paribas, leader europeo nel settore dei servizi

bancari e finanziari di portata mondiale e una delle 6 banche più solide del mondo

secondo la valutazione di S&P’s. Il Gruppo è presente in oltre 85 paesi, con più di

171.000 collaboratori, di cui 131.000 in Europa. Detiene posizioni chiave in tre grandi

settori di attività: Banca Retail, Asset Management & Servizi e. Banca d’Affari e di

Investimento.

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BNL, con circa 900 punti vendita in Italia, offre un’ampia gamma di prodotti e servizi da

quelli più tradizionali a quelli più innovativi per soddisfare le molteplici esigenze dei

propri clienti (privati e famiglie, imprese e pubblica amministrazione)

Media Relations

Contatti:

Mario Rossi – Maria Rossi- Federica Neri 06 555 555 555

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Milano 25 settembre 2004

INVECCHIAMENTO: UN CONVEGNO A MILANO PER FARE IL

PUNTO E PRESENTARE NUOVE SOLUZIONI

“L’invecchiamento della popolazione

Nuove complessità per la società e la medicina”

Milano 26 settembre

Centro Congressi Fondazione Carialo

Corso XXII Marzo, 10

Ore 10:00 – 18:00

“L’invecchiamento della popolazione – Nuove complessità per la società e la medicina” è

il titolo del convegno che si terrà il 26 settembre a Milano dalle ore 10.00 alle ore 18.00,

presso il Centro Congressi della Fondazione Cariplo.

Organizzato dall’Università degli Studi di Milano e dall’Ospedale Maggiore IRCCS, in

collaborazione con Fondazione Pfizer, il convegno sarà diretto da Carlo Vergani,

direttore della cattedra di Gerontologia e Geriatra dell’Università degli Studi di Milano.

Anticipando i temi del Convegno, che sarà aperto al pubblico e agli operatori del settore,

il prof. Vergani ha dichiarato: “Sarà il secolo delle malattie croniche, così come il ‘900 è

stato quello delle patologie del benessere e l’800 quello delle malattie trasmissibili”.

Al termine dl convegno è previsto un buffet

Maria Rossi

Ufficio Stampa Pfizer

Corso Magenta 17

00895 Milano

Tel. 02 02 02 02

Email [email protected]

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Fiat annuncia aumento della propria quota di partecipazione in Chrysler Group LLC dal 20% al 25%

La Fiat annuncia oggi l'aumento della propria quota di partecipazione in Chrysler Group LLC dal 20% al 25% in seguito al verificarsi del primo dei Performance Events. Come descritto nell’accordo operativo del 10 giugno 2009, Chrysler Group ha emesso una lettera d’impegno irrevocabile nei confronti del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti con la quale la società dichiara di aver ricevuto le necessarie autorizzazioni regolamentari e che inizierà la produzione commerciale del motore FIRE (Fully Integrated Robotized Engine) nel suo stabilimento di Dundee (Michigan, USA). Di conseguenza, la quota di partecipazione di Fiat è automaticamente aumentata come previsto nell‘accordo operativo.

Attualmente, le quote di partecipazione in Chrysler Group sono:

_ UAW VEBA 63,5% _ Fiat 25,0% _ Tesoro USA 9,2% _ Governo Canadese 2,3% La prima applicazione sul mercato nord americano del motore 1.4 FIRE con tecnologia MultiAir sarà sulla nuova Fiat 500, la cui distribuzione da parte di Chrysler Group inizierà a breve attraverso i nuovi concessionari. Fiat potrà ulteriormente aumentare la propria quota in Chrysler sino al 35%, in tranche del 5%, attraverso il raggiungimento di due ulteriori Performance Events. Il primo evento si riferisce all’aumento dei ricavi e delle vendite al di fuori dell’area NAFTA. Il secondo riguarda la produzione commerciale negli Stati Uniti di una autovettura basata su una piattaforma Fiat con prestazioni di almeno 40 miglia per gallone.

Torino, 10 gennaio 2011

Fiat S.p.A. Via Nizza 250, 10126 Torino

Tel. +39 011 006 1111, Fax +39 011 006 1219

[email protected]

www.fiatspa.com

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INTESA SANPAOLO CONFERMA IL SOSTEGNO AL CINEMA

ITALIANO INVESTENDO NEL NUOVO FILM DI PAOLO

GENOVESE, “IMMATURI – IL VIAGGIO”

• La Banca, assieme a Roma Gas & Power, investe 1,5 milioni di euro

• Confermato per il 2012 l’impegno al sostegno nel settore

Milano/Roma, 3 gennaio 2012 – Intesa Sanpaolo, con l’obiettivo di sostenere l’industria

cinematografica italiana, di diffondere l’opportunità dello strumento d'investimento

anche ad altri investitori privati e di rendere stabile il supporto finanziario al settore, ha

partecipato alla produzione del nuovo film di Paolo Genovese, “Immaturi – Il Viaggio”,

coinvolgendo l'azienda Roma Gas & Power. Complessivamente la Banca e la Società -

quest’ultima attiva nel settore della vendita di gas naturale e di energia elettrica – hanno

investito nella produzione del film 1,5 milioni di euro.

Intesa Sanpaolo ha dimostrato negli anni grande attenzione all'industria

cinematografica italiana con una serie di iniziative di successo: dai cortometraggi del

progetto “PerFiducia” (giunto alla quarta edizione), alla produzione del cortometraggio

“Baggage” del regista bosniaco e premio Oscar Danis Tanovic, alla sponsorizzazione del

Torino Film Festival, alla creazione del Desk specialistico Media & Entertainment di

Mediocredito Italiano (che in circa 3 anni ha erogato ad oggi oltre 200 milioni di euro a

supporto della produzione e distribuzione di opere cinematografiche e televisive), fino

alla partecipazione diretta, con quote di minoranza, nel capitale di due società di

produzione di primario standing.

Nel 2010, dando attuazione alla nuova normativa del Tax Credit Esterno, Intesa

Sanpaolo è stata il primo soggetto privato ad investire direttamente nella produzione di

singole opere cinematografiche, realizzando la prima operazione in Italia di questo

genere con la partecipazione alla produzione del film “This must be the Place” di Paolo

Sorrentino, presentato al Festival di Cannes nel maggio scorso, con un apporto di 2,5

milioni di euro.

La Banca ha poi proseguito in questo tipo di operatività nel corso del 2011 investendo

complessivamente ulteriori 2,5 milioni di euro in quattro film: in quello del maestro

Ermanno Olmi (“Il villaggio di cartone”), presentato fuori concorso al recente Festival di

Venezia, nell'opera prima di Pippo Mezzapesa (“Il paese delle spose infelici”), presentato

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al Festival di Roma, nel prossimo lavoro di Matteo Garrone (“Big House”), in uscita nel

2012 e, da ultimo, nel film di Paolo Genovese, “Immaturi - Il Viaggio”.

Anche per il 2012 Intesa Sanpaolo continuerà con questa attività d'investimento a

sostegno della produzione cinematografica, avendo già individuato tre opere di grande

interesse di cui una di una giovane regista e altre due di registi affermati e molto amati

dal grande pubblico.

Per Informazioni

Intesa Sanpaolo - Rapporti con i Media

+390287963010/3531 - [email protected]